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manuale storia del pensiero politico, Dispense di Storia Del Pensiero Politico

riassunto manuale storia del pensiero

Tipologia: Dispense

2019/2020
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Caricato il 01/09/2020

elenamilano
elenamilano 🇮🇹

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Scarica manuale storia del pensiero politico e più Dispense in PDF di Storia Del Pensiero Politico solo su Docsity! CAPITOLO I – ANTICHITA GRECA E ROMANA L’immagine del cerchio sarebbe probabilmente quella più adatta per descrivere come i greci percepivano il loro spazio politico, un cerchio dove al centro si pone il potere politico (Kratos, Archè = principio, origine), che riguardava la cosa pubblica (riguardava tutti). La politica ha lentamente eroso il carattere sacro delle leggi, ponendosi nel mezzo proprio perché disponibile ad ascoltare le ragioni di tutti. Un aspetto negativo riguardo a tale violazione delle leggi, riguarda il fatto che la politica ha dovuto legittimarsi non più sulla tradizione, ma sulla necessità di ordine sociale, di assorbire le dinamiche interne alla polis. Lo spazio circolare della politica è uno spazio determinato dall’esclusione, dalla netta separazione tra i liberi e gli schiavi, tra uomini e donne, ricchi e poveri. L’uguaglianza è dunque molto diversa da quella che intendiamo noi. Ciò che ci separa da loro è il concetto di democrazia partecipata, non più attuabile nel presente. Omero Omero nell’Iliade e nell’Odissea mette a nudo il mondo greco, difatti gli studiosi notano nel poema una forte crisi dell’autorità (Achille è un ribelle ad Agamennone, capo supremo; Ulisse deve riconquistare il trono usurpato). In ogni caso, la virtù eroica (aretè), che si imparava da Omero era un valore fisico e morale, che per la sua stessa natura di riconoscimento di forza e onore, generava un’infinità di conflitti. Conseguentemente, la morale eroica, si scontra con il concetto di diritto. Tale situazione genera conflitto. Per questo si assiste alla decadenza di tale modello. Da qui nasce l’irrisolto dualismo che percorre l’Iliade, la virtù eroica individuale (che privilegia la supremazia del singolo sugli altri), e la capacità di giudizio collettivo, che implica la conciliazione di forza e consiglio (Achille = forza, Agamennone = consiglio). Il sistema valoriale che emerge dai poemi omerici si dimostra fragile. La Giustizia Il concetto di giustizia conosce nell’antica Grecia svariate connotazioni. Dapprima si parla di themis (è un ordine giuridico che è anche divino e religioso), la figlia del Dio Zeus, incarnante un ordine ed una regola, divina, cosmica. Questa connotazione divina e trascendente della giustizia è quella che darà i natali alla giustizia eroica, connotata dal concetto di sangue e di ghenos (stirpe), oggetto della Paideia (educazione dei fanciulli, cultura), e se si commette un crimine, è tutto il sangue, tutta la stirpe a doverne portare il peso. Quando la società greca arcaica arriva ad uno stadio sufficientemente evoluto da svincolarsi dal concetto di stirpe, per gestire i rapporti inter-familiari che scaturiscono dalla comunità cittadina, si fa ricorso alla Dike (Dea della giustizia, diritto). La Giustizia, intesa come virtù dell’animo degli uomini per la convivenza, sarà il concetto cardine tanto per Platone, quanto per Aristotele. Mano a mano che il concetto di giustizia verrà monopolizzato dall’organizzazione cittadina, mano a mano che verrà affinato, contro le pretese di una sua gestione aristocratica, essa individualizzerà anche il concetto di colpa, cioè, il colpevole non macchierà più il Ghenos con un suo gesto criminoso, non saranno più necessari riti di espiazione sacri di purificazione collettiva della colpa, ma diventerà puramente individuale. Si attuerà dunque un processo di laicizzazione della giustizia. Esiodo Esiodo può essere visto come uno dei primi liquidatori della cultura e dei concetti di giustizia eroica e aristocratica. Analizza l’Eris (la discordia), ammettendo la sua duplice natura, negativa quando forma la guerra, positiva quando stimola la competizione dei produttori. Dà quindi più peso alle attività produttive, criticando apertamente quelle eroiche e guerriere. Egli sovverte completamente lo schema valoriale aristocratico, avversando la prepotenza (Hybris), favorendo la Giustizia (Dike). Eschilo Anche Eschilo è critico dello schema valoriale aristocratico, poiché nella sua trilogia, l’Orestea, egli ritiene sia opportuno rompere lo schema imperante della catena causale colpa – giustizia – vendetta – vendetta – nuova colpa. Nelle sue tragedie mette in scena l’istituzione della giustizia nelle città come un evento fondamentale, che si verifica tra anarchia e despotismo, e che si incarna nei Nomoi (le leggi), che esprimono la saggezza politico-giuridica delle città. C’è un rapporto tra l’ordine divino della giustizia e le istituzioni politiche di Atene  basti pensare che nell’Orestea, Atena si offre come giudice per il matricidio di Oreste, sottoponendo il caso ad una giuria ateniese composta da 12 membri, ricalcata sul tribunale ateniese dell’Areopago. Solone Atene intraprese la via tracciata da Esiodo. Veniva prodigata la Eunomia (nuovo ideale civile della città, buona legge), poiché le leggi si riferivano, seppur artificialmente, ad un ordine più alto. Solone salvò Atene da una guerra civile tra ricchi e poveri, attuando durante il periodo di arcontato, la liberazione dalla schiavitù della terra, senza però ledere troppo la preminenza dei ricchi. L’Eunomia, o anche buon governo, si presenta come una ragionevole mediazione, del compromesso tra le parti, e dunque il riconoscere la superiorità dell’obiettivo (mediante l’applicazione delle leggi), sul singolo uomo. Erodoto (definito da Cicerone il “Padre della storia”) Erodoto attraverso il Logos Tripolitikos ci espone la visione delle tre forme di governo più lampanti: Democrazia, Oligarchia, Monarchia. Nella sua opera, ogni personaggio è sostenitore di una delle tre, elencandone i pregi, screditando le altre due. Erodoto non prende posizione. Gli si riconosce il merito di aver usato per primo il termine Democrazia (Democratia). Democrazia, Oligarchia e Tirannide Peculiarità del Mondo Greco è il fatto che non conobbe mai una formalizzazione teorica all’altezza della democrazia che praticò, questo poiché generalmente la filosofia, dunque i filosofi, essendo per la maggior parte aristocratici, non amarono mai la democrazia. Essi proponevano spesso, infatti, un governo aristocratico, dei migliori. Chi invece vi partecipò, fu la categoria degli storici (e dei tragici), che ne gettarono alcune fondamentali basi teoriche. La libertà, secondo loro, poteva produrre miracoli, così la democrazia che ne era il prodotto, basti pensare all’inimmaginabile vittoria sui persiani. Il modello pastorale del potere, viene definito come proprio dei popoli asiatici, dei barbari (e quindi inadatto all’Ellade). Pericle riteneva che nel popolo ci fosse una saggezza intrinseca che aveva permesso lo sviluppo maestoso di Atene, che conciliava principio di elezione (non rappresentativo) con sorteggio, a scienze pratiche, che si distinguono da quelle teoretiche (per oggetto e per metodo), operando una rottura del concetto di Sapere rispetto alla concezione Platonica, che lo poneva come unificato e affermava che l’esattezza fosse rintracciabile in qualunque campo. Nell’ “Etica Nicomachea”, la politica viene analizzata nell’ambito della vita associata. Virtù fondamentale è la Prudenza, che segna il passaggio alle virtù etiche (coraggio, temperanza e liberalità), che fanno delle passioni un elemento sussidiario rispetto alla ragione. Le Virtù etiche sono le disposizioni mediante le quali l’uomo diventa buono e compie il bene disciplinando le passioni e gli istinti. Tuttavia se per agire bene bisogna conoscere il bene, è fondamentale sapere attraverso quale virtù agire. Essendo impossibile dimostrare per via teoretica ciò che è giusto in qualunque caso, Aristotele adotta il criterio del “Giusto Mezzo”, che valuta il “bene pratico” come ciò che sarebbe stato scelto dall’uomo saggio (colui che agisce prudentemente). La più importante di tutte le virtù è ovviamente la Giustizia (emblema di moderazione del singolo e della città), che è definita non come parte della virtù, ma come “l’intera virtù” (cioè quella che le raccoglie tutte. La Dikaiosyne (Giustizia) si suddivide in distributiva (delle ricchezze alla cittadinanza) e correttiva (privilegiando l’eguaglianza nelle relazioni). Non esiste un “Ottimo Stato”, ma molte possibilità di realizzarlo nelle diverse città, secondo la virtù degli uomini e secondo i dettami della ragione pratica. Aristotele è rivoluzionario rispetto a Platone anche perché ritiene che la politica non sia ne buona ne cattiva, ma sia un dato necessario. La distanza con Platone emerge subito riguardo al fondamento della vita associata. Secondo lui non nasce solo da individui che svolgono funzioni e da governanti che impartiscono ordini, bensì nasce come organizzazione complessa che accoglie contraddizioni, necessità complesse e complessità dei rapporti. Per Aristotele l’uomo è un “Animale Politico”, cioè naturalmente socievole. Il Potere Politico si differenzia dalle altre forme di potere (familiare, economico, ecc.…), poiché è si concepito come comando, tuttavia esercitato su “liberi e eguali”. Qui si instaura il legame tra autorità e libertà, fondata sulla proprietà privata, poiché liberi sono coloro che sono padroni di beni. Qui dunque Aristotele è in polemica con Platone, che voleva abolire la proprietà all’interno della sua Polis ideale. Analizzando la città, Aristotele dice che la Politeia (costituzione) è la struttura che da ordine alla città. Bisogna definire diversamente il cittadino a seconda della costituzione vigente. Aristotele elenca tre forme politiche buone: Monarchia, Aristocrazia e Politia (nella quale i governanti mirano al bene comune) e tre forme politiche deviate: Democrazia, Oligarchia, Tirannide (chi è al governo mira solo al proprio vantaggio). In questo schema la democrazia si caratterizza come il governo della massa esercitato per il proprio interesse di classe e, dal momento che la massa dei cittadini è solitamente costituita dai meno abbienti, la democrazia può essere definita il “Governo dei poveri” a proprio esclusivo vantaggio. Per quanto riguarda l’Oligarchia, Aristotele si oppone ad una visione del governo aristocratico dei più abbozzando una teoria della ragione dei più. La maggioranza è per Aristotele non numerica, ma una somma di virtù individuali. Nel 4° libro de “La Politica”, vuole trovare la forma di potere migliore, e utilizza il “criterio della stabilità” del regime per classificare il migliore. Secondo lui la ricetta perfetta sta nell’estensione della classe media, del suo peso nella vita politica e nell’eguaglianza dei suoi membri. Tale stato ideale dovrebbe essere governato da una mistione di Aristocrazia e di Politia, così da essere lontano dagli eccessi, dunque ben governato. L’ELLENISMO Dell’Ellenismo si ricordano: • Cinismo = disgiunzione tra la pratica della virtù e la città. Erosione del concetto di Patria a favore del Cosmopolitismo. • Epicureismo = La Filosofia ha la funzione di alleviare le pene e le sofferenze della vita. Non bisogna quindi partecipare alla vita politica, che è fonte di apprensione e pericoli. L’Epicureismo non è però indifferente alla politica, in quanto questa è ritenuta necessaria per la difesa delle “utilità individuali”, altrimenti compromesse dalla natura conflittuale degli individui. Politica e Giustizia quindi non realizzano nessun “bene più alto”, ma solo la “sicurezza”. • Stoicismo = deriva il nome dalla “Stoa”, il portico in cui il suo fondatore Zenone di Cizio tenne le sue elezioni ad Atene. Per tale corrente vi è una forte continuità tra le leggi fisiche del cosmo e le leggi politiche. L’ordine politico deve essere fondato sulla ragione e sulla provvidenza. L’Ordine politico, in quanto discendente da leggi di natura, è visto come necessario, anche a prescindere dalle modalità della sua gestione. ROMA A Roma il Senato era detentore dell’Auctoritas (autorità), che era il fondamento etico e politico che dava senso all’azione politica quotidiana. L’Auctoritas conferisce quindi legittimità alla Potestas (potere politico vero e proprio). In seguito, il Princeps diverrà custode dell’auctoritas (con Augusto). A Roma il senato incarnava la continuità e il volere delle classi dirigenti romane, cosa che non riuscì mai alla nobiltà delle Poleis greche, poiché a Roma tutta la Costituzione girava intorno all’autorità senatoria, centro da cui si traeva la Potestas esercitata dalle magistrature. I Magistrati a Roma non sono gli agenti del popolo, ma della città, a differenza di Atene. Nel corso della storia e delle lotte tra Patrizi e Plebei, la Potestas passerà anche al popolo grazie al Tribunato della Plebe. Ciò che è fondamentale ricordare di Roma, aspetto che passerà alle generazioni successive fino ad oggi è la giuridicizzazione della politica all’interno dello schema del diritto. Roma impresse la forma mentis alle categorie della politica attraverso lo ius publicum (diritto pubblico) e lo ius privatum (diritto privato). Secondo Cicerone la caduta della Grecia fu causata dalla libertà senza freno e dalla licenza delle assemblee che decidevano secondo il capriccio del momento. Al contrario, a Roma, la libertà era ordinata e disciplinata e tutta la Costituzione ruotava attorno all’auctoritas senatoria, il centro da cui traeva legittimità la potestas esercitata dalle numerose magistrature. Polibio Polibio si interroga sul perché dell’ascesa folgorante della potenza romana. Convinto che la storia sia la palestra migliore per capire la politica, egli volge lo sguardo alla Costituzione Romana, la quale è per lui la vera causa della sua superiorità. Polibio ritiene che Roma non corrisponda a nessuna forma pura (infatti Polibio accetta la divisione in sei forme delle costituzioni, comprendente le tre forme rette (monarchia, aristocrazia, e democrazia) e le loro rispettive corruzioni ( tirannide, oligarchia, oclocrazia(forma di governo in cui le decisioni sono prese dalle masse))  Polibio pone la democrazia tra le forme rette, Aristotele invece poneva la Politia tra le forme rette  il significato delle degenerazioni è comunque simile, cambia solo il nome  in Polibio la democrazia è praticamente la Politia). Roma non corrisponde a nessuna forma pura, perché i Consoli rimandano alla Monarchia, il Senato all’Aristocrazia e i tribunali della Plebe alla Democrazia. La realizzazione di una Costituzione mista porta alla stabilità, ma questa non vige grazie al progetto di un saggio legislatore come era stato in Grecia per Licurgo (principale legislatore di Sparta) , bensì grazie a lotte continue interne alle città. Polibio sarà anche teorico del ciclo politico che porta le forme a degenerare per poi tornare in ascesa, di continuo. Cicerone Cicerone era uno stoico, che romanizzò il pensiero politico stoico greco. Egli era fautore di un forte impegno politico, non quindi sostenitore della via contemplativa. Sosteneva inoltre la fondamentale presenza di elementi giuridici da includere nel pensiero politico. Nel “Somnium Scipionis”, Cicerone fa il manifesto della sua politica, consacrando l’etica pubblica come dedizione alla causa della città, come servizio pubblico per eccellenza, ritenendo che la virtù esistesse solo quando messa in pratica, non nell’ozio della contemplazione (impegno politico = azione che guadagna i maggiori meriti). Per lui il diritto è centrale nella vita politica, sia in quanto iustum (giusto, cioè accoglie in sé la giustizia), sia in quanto iussum (cioè in quanto oggetto di comando positivo da parte di un potere). Per Cicerone il diritto è la repubblica stessa, infatti, a differenza della Grecia, il diritto è anche Potere, non solo un’idea di Giustizia, ma una cogenza a cui i cittadini sono effettivamente sottoposti. Legge e Potere determinano la gerarchia dello Stato, secondo lo schema: Legge  magistrati  popolo. La legge è positiva (effetto dell’atto legislativo positivo di un’autorità sovrana), ma deve anche seguire la Legge di Natura (ordinamento non stabilito dall’uomo ma originariamente presente in natura = Giustizia). Cicerone squalifica qualunque azione eversiva del diritto. E contrario alla Democrazia, poiché la ritiene capricciosa, fu interprete anch’egli della costituzione mista di Polibio. Augusto Augusto cercò sempre di porsi al Popolo e al Senato come restauratore dei costumi antichi della Roma repubblicana. Difatti egli convogliò all’interno del suo titolo di Princeps Senatus (primo tra i senatori), l’imperio proconsolare maggiore(istituzione del diritto romano che conferiva il potere sulle province, di rango superiore rispetto ai governatori delle province stesse (maius)), l’auctoritas, lasciando la potestas nelle mani delle magistrature tradizionali. Egli voleva presentarsi come colui che restituisce la Repubblica al Senato e al popolo. Seneca Seneca era spettatore di un epoca di uccisioni e stragi. La sua teoria consisteva in una pedagogia (educazione) del regnante, mediante l’ideale del potere sottomesso e guidato dall’etica. Seneca riconosce l’onnipotenza del princeps, che deve essere ricondotta mediante l’insegnamento e l’etica alla giusta misura d’esercizio. E necessario eliminare l’ira dall’animo, favorendo un modo di comportarsi e pensare virtuoso. Attraverso i mezzi forniti dallo stoicismo, egli vedeva il princeps come un soffio vitale e ragione per l’intero impero, contrapposto alla moltitudine, che era portatrice di valori irrazionali. Il “fare bene” diventa il compito del princeps, un dovere, un officium. Il principe è visto come un padre provvidente. La lotta delle investiture (investitura laica dei vescovi) Processo avviato dall’impero, che prevedeva l’assegnazione ai vescovi della titolarità di feudi. Consentiva all’impero di riportare sotto il proprio controllo vaste zone di territorio che i feudatari laici gli avevano praticamente sottratto. Così come la Chiesa cercava legittimazione temporale, cioè potere nei regni secolari, l’Impero, prima con i carolingi, poi con gli Ottoni, cercò di inquadrare la nomina dei vescovi all’interno del sistema feudale. Controllando la nomina (l’impero), la missione vescovile perdeva gran parte del suo valore spirituale. Nel 1075 Gregorio Magno, con il c.d. “Dictatus Papae”, formulò la superiorità del Pontefice sui Vescovi (Allora l’imperatore era Enrico IV di Franconia), nonché quella del potere spirituale su quello temporale. Difatti il Pontefice poteva deporre l’imperatore in modo legittimo, sciogliendo i sudditi dal vincolo di obbedienza. La tesi della superiorità del pontefice emerge anche dall’argomentazione della Successione Petrina, poiché Pietro ha ricevuto direttamente da Cristo il compito di guidare la Chiesa, dandogli le chiavi. Il potere terreno deve quindi sottostare al potere papale. La posizione degli imperialisti è contrassegnata da una certa debolezza argomentativa. Pietro Crasso (XI secolo), giurista di Ravenna, sostiene la tesi paritaria dei due poteri, ma con una debole argomentazione. L’ordine giuridico medievale Nel Medioevo, c’è una società intimamente pluralistica, sia pe la molteplicità di ordinamenti giuridici che convivevano in un medesimo ambito territoriale, che per la pluralità di fonti del diritto. Il Medioevo non può essere interpretato secondo i criteri della modernità, poiché a differenza di essa, non esisteva il monopolio da parte dello stato di un unico diritto, bensì vi era un enorme pluralismo delle fonti. Esempio chiaro è la Personalità del diritto, secondo cui ogni cittadino veniva giudicato in base al popolo di appartenenza. La funzione del Re è quella della Iurisdictio, cioè il rendere giustizia, ripristinare l’ordine quando questo veniva infranto. Il Re è divinizzato, poiché emanazione della volontà divina. Giovanni di Salisbury Scrive il “Policraticus”, che è un trattato di scienza politica cristiana. Si formò intellettualmente a Parigi, fu in contatto con i maestri di Chartres e con il loro “umanismo” (dignità e il valore di tutte le persone, basata sull'abilità di determinare giusto e sbagliato appellandosi a qualità umane universali, particolarmente alla razionalità). Questo rapporto emerge con il Policraticus, un trattato di politica intriso di morale, ma che non scade nel moralismo. Essendo un trattato di scienza politica cristiana, segna anche l’allontanamento dalla dottrina dell’Agostinismo politico, utilizzando una prospettiva che si rifaceva più alla cultura classica. La distribuzione del potere nelle mani del re, non stava a significare secondo lui il comando del superiore sull’inferiore, piuttosto, in una logica organicistica, il rapporto tra capo e membra, cioè alla cooperazione tra le parti, più che alla gerarchia.. Il tema della giustizia diventa centrale, assume significati politici, sia laici che ecclesiastici. Il Principe deve riconoscersi vincolato alle leggi. Concepisce legittimo il tirannicidio, e considera vera la tesi della superiorità del potere spirituale su quello politico laico, disegnando il principe come una sorta di ministro del potere sacerdotale, ma mette in guardia anche la cristianità da una possibile tirannia della Chiesa, legittimando anche il tirannicidio per coloro che usurpano il seggio papale. Tommaso D’Aquino Parla di bene comune. Adatto a Tommaso è il detto “Gratia non tollit naturam, sed perficit”, cioè la grazia non annulla la natura, ma la perfeziona. Innanzitutto c’è una maggiore considerazione della Natura in Tommaso, rispetto alle tesi dell’Agostinismo politico, specialmente di quella umana, che non era più solo negativa e bisognosa di un potere coercitivo, ma anche positiva, in quanto razionale, in grado di costruire un ponte tra natura e grazia. Secondo Tommaso esiste una “lex naturalis” che tiene insieme tutto il creato, discendente dalla “lex aeterna”, e fornisce un quadro su cui costruire la “lex humana”. La Legge Naturale emanata da Dio è l’ordine razionale dell’essere che l’uomo può conoscere grazie alla ragione. Questa può essere trascurata dagli uomini che hanno la mente ottenebrata dalle passioni. Secondo lui l’uomo ha una naturale e spiccata tendenza associativa, dovuta alla necessità e molteplicità dei bisogni umani. Potere (necessario per ottenere i fini dei più) e Società sono tappe naturali dello sviluppo umano. Secondo Tommaso il “Bene Comune” è ciò che interessa tutti, dunque è anche il bene dell’associazione politica. Dunque il potere politico è lo strumento per ottenere il bene comune. La forma di Governo che egli ritiene più adatta è quella dell’Uno (Monarchia), poiché immagine di Dio unico che regge l’intero universo, e perché l’uno è in grado di salvaguardare l’Unità della Società. Tuttavia Tommaso è favorevole ad una qualche partecipazione politica dei sudditi, poiché è un rimedio al carattere instabile delle forme pure di Governo. Nel pensiero di Tommaso appaiono i germi del pensiero costituzionale, in primo luogo perché dice che la volontà politica degli uomini ha valore di legge solo quando discende dalla legge naturale, dunque non quando è soggetta all’arbitrio di alcuni, ma deve esprimere il bene comune (come la costituzione). In secondo luogo, come conseguenza, la legge deve inserirsi in un quadro di leggi naturali e razionali, e il governo deve essere limitato dunque sia nel legiferare che nell’agire. Tommaso è favorevole al diritto di resistenza nei confronti della tirannide. Inoltre il potere politico è limitato dal fatto che in qualche modo tutti devono parteciparvi. Il tardo Medioevo La svolta nel confronto tra potere temporale e potere spirituale sta nella nascita dei regni nel ‘300, pronti a fronteggiare tanto la Chiesa, quanto l’Impero. Essi, rifacendosi al riscoperto diritto romano, reclamavano autonomia e completezza. Egidio Romano Nel 1285 scrive la sua opera più fortunata, il “De Regimine Principum”, dedicata all’allora ventenne Filippo il Bello. Pur senza non discostarsi da un’ottica cristiana, fa del suo aristotelismo (attento alla destinazione etica della politica e al primato del sommo bene) uno strumento di realismo politico, rendendosi ben più vicino alle posizioni aristoteliche che a quelle agostiniane. Tutto cambia con la bolla papale “Unam Sanctam”, quando all’inizio del ‘300 scenderà in campo a fianco di Bonifacio VIII. Diventerà promotore della Ierocrazia (governo dei Sacerdoti), non più della tesi della neutralità e razionalità della politica, ma riafferma la denotazione pastorale del potere, secondo l’idea che ciò che è inferiore (la politica) deve essere ricondotto al superiore (la direzione spirituale), a mezzo di ciò che è intermedio (la Chiesa). Ogni Regno, a suo avviso, che non fosse stato istituito come sacerdozio, doveva essere considerato come un ladrocinio. Anche le due spade devono essere poste in un rapporto gerarchico in virtù della superiorità ontologica dello spirito. Egidio trasformerà il dominio sopra i re in domino anche su ciò che loro controllano, dunque il Papa sarà sovrano anche dei sudditi, contrapponendosi alla povertà della Chiesa enunciata dai francescani, dirà che tutti i beni devono essere ricondotti alla potestà della Chiesa. Il Pontefice occupa la posizione più alta, e può essere considerato come la Chiesa stessa. Giovanni da Parigi Propone una uova entità politica. Egli cerca di innovare la discussione politica. Innanzitutto cerca di contrastare l’estremismo di Egidio, in secondo luogo vede le entità politiche al di fuori del quadro di inclusione e subordinazione rispetto a Chiesa e Impero. Nel “Tractatus de regia potestate” ribadisce la necessità della compresenza di piani distinti nella vita dell’uomo. Questa distinzione deve essere netta, così nonostante riconosca in certi ambiti la superiorità della potestà spirituale, ritiene che quella secolare le sia superiore in altri, e soprattutto che questi poteri non derivino l’uno dall’altro, ma convivono l’uno con l’altro. Su questa teoria della pluralità, si innesta il discorso sul Regno di Francia, dicendo che esso non rientra nella donazione di Costantino, poiché fondato dai Franchi, non dai romani. I Comuni (inizio 1300) Il fenomeno comunale prese piede soprattutto in Italia, e si trattava di un fenomeno di autonomia politica delle città fondato su un contratto (con il Signore Feudale). I Comuni cercavano autonomia e legittimazione rispetto all’Impero e alla Chiesa. Costituivano tante repubbliche popolari (Il governo del Comune era basato su un Consiglio generale cittadino che eleggeva dei magistrati, detti consoli, incaricati della reggenza. All'interno di questo organo collegiale le deliberazioni erano considerate valide in virtù di un corretto sviluppo della procedura, come la convocazione dell'assemblea in presenza di un numero minimo di cittadini appositamente nominati e la verbalizzazione delle decisioni). Dante Nel suo “Convivio” parla della necessità dell’Associazione Politica per il raggiungimento della vita felice. Il raggiungimento di una molteplicità di bisogni richiede infatti la collaborazione di molti per la loro realizzazione. Dante fu paladino nella causa imperiale, nel “Monarchia”. Secondo il principio aristotelico di società fondata sulla naturale socievolezza dell’uomo per lo scopo del raggiungimento della felicità, Dante teorizza una Monarchia Universale come presupposto chiave per il suo raggiungimento. Dante non introduce svolte logiche di rilievo, ma cerca piuttosto di legittimare il potere imperiale come discendente direttamente da Dio e non dal Papa. Dante criticava i giuristi romani favorevoli al papato, i decretisti (studenti e dottori di diritto canonico), dando loro dei “falsi cristiani”. Vale la “Teoria dei due soli” (della quale Dante se ne fece portavoce nel “Monarchia”)  Impero e Chiesa traggono potere e legittimità direttamente da Dio, così come il sole brilla di luce propria, che viene da Dio, esistono due soli che brillano di luce propria: la Chiesa e l’Impero, che sono stati creati come corpi celesti indipendenti, e ognuno ha la sua sfera di competenza indipendente. A questa teoria si oppone la “Teoria del sole e della luna”, per la quale la Chiesa sarebbe il sole, e l’impero la lune, che riflette semplicemente la luce del sole, ma non emette luce propria. Machiavelli Il Principe, guida suprema dello Stato, buono, liberale e clemente verso i sudditi, legittima la propria preminenza, grazie al possesso di virtù mondane (in primo luogo capacità di governo e militari), che gli provengono dalla meditazione sulla storia antica e moderna. Machiavelli cercò di costruire una teoria politica fondata sulla ragione, e sulle virtù riscoperte, a sfavore della morale ed etica cattolica. Per prima cosa inserisce la contingenza, la sorte, come elemento fondamentale per l’analisi del reale, imprescindibile per qualsiasi giudizio, attuando una concezione neopagana che negava la provvidenzialità. L’unico modo per opporsi a questo è lo sfruttamento della virtù, che l’uomo può ricercare per vincere la contingenza, non adeguandosi passivamente ad essa. Machiavelli si pone per un’analisi profonda del reale, che non sfocia in scetticismo, ma coglie la sua difficile interpretazione, e caratterizza il successo non solo come prodotto della volontà e della saggezza, ma anche come risultante della sorte. Con il passare degli anni, Machiavelli perderà questa fiducia nelle capacità umane, e l’agire sarà sempre più soggetto a difficoltà. Quello che eleva Machiavelli rispetto agli altri pensatori, è un approccio innovativo al reale, con un’osservazione spregiudicata e realistica delle cose umane, offrendo un modello non più assoluto, ma fondato sulla storia (Roma), sulla virtù, sulla contingenza. I Discorsi Nei “Discorsi”, Machiavelli ricerca la praticità. Opera un confronto tra la crisi della repubblica romana e quella contemporanea fiorentina, contemplando per primo l’utilizzo di mezzi non consoni all’ideale di uomo puro per salvare la civiltà dal baratro. Quali sono questi mezzi non consoni? Machiavelli illustra ne primo libro, la crisi finale del “vivere libero”, e la necessità di entrare nei “modi cattivi”, di utilizzare cioè strumenti politici non consoni a una vita politica libera, per trattenere la civiltà dal baratro. Il problema centrale è il mutamento, la contingenza e la sorte, e come arginare la loro pressione sulle cose umane. Machiavelli considera la politica come un campo di forze aperto allo scontro e alla formazione di nuove egemonie, dove il ciclo delle forme politiche è influenzato anche dagli altri stati, che non sono spettatori, ma anche soggetti interessati a sfruttare i travagli altrui, poiché mirano ad accrescere la propria potenza, la quale è il vero fine della politica. Machiavelli ritiene che lo Stato misto, con la più alta partecipazione sia il più stabile, dunque il migliore, poiché si pone in modo solido alle sempre possibili transizioni. Machiavelli è rivoluzionario anche perché rompe con il concetto di bene politico identificato con la concordia, anzi, a suo avviso, è il conflitto, che se ben canalizzato può portare ad uno stato efficiente e stabile. Secondo lui Roma è rimasta libera grazie al conflitto tra patrizi e plebei, il quale è stato incanalato attraverso le istituzioni, producendo i grandiosi effetti che conosciamo. Inoltre altra mossa vincente di Roma è stata porre la guardia della politica nelle mani della plebe, con i loro tribuni. L’istituzione del Tribunato della Plebe fu infatti inventata a salvaguardia della libertà, e consentì di tenere a freno la “nobiltà”. Come Marsilio da Padova, Machiavelli crede che il popolo intero sia più savio del singolo principe. Questo non perché Machiavelli ritenesse il popolo pieno di bontà, ma perché per lui il popolo ha minori possibilità di “usurpare” la libertà e l’uguaglianza. Né il popolo, né i grandi si sottraggono a una naturale malvagità, che spinge entrambi all’egoismo e a infrangere le leggi. Ma i nobili per le loro risorse economiche e politiche, sono più pericolosi e anarchici dei plebei. Teorizza come stato più adatto una Repubblica atta all’espansione, militarmente, avendo come obbiettivi la potenza e la gloria, nonché un popolo armato (fondamentale), la qual cosa lo rende difficilmente manovrabile. Punto fondamentale, è comunque il saper incanalare le energie conflittuali presenti nella città entro le istituzioni, le quali devono favorire il conflitto, non spegnerlo. All’apice del suo realismo, Machiavelli afferma che per realizzare un fine buono, servirebbe un principe malvagio, ma diventa così difficile mantenere la repubblica, che diventerebbe così una “quasi monarchia”. Il Principe malvagio servirebbe per poter frenare quegli uomini che per la loro insolenza non sono frenati dalle leggi. Machiavelli ritiene che la virtù stia scomparendo nella sua epoca a causa della religione cristiana, la quale deprime l’amore per la libertà e per la gloria, facendosi portatrice di altri valori, come l’umiltà e la passività, non adatti alla politica, ma essenzialmente privati. Secondo Machiavelli, tuttavia, è bene che il privato sia povero, poiché la brama di possedere beni materiali, genera tra i cittadini un tipo di conflitto non produttivo di virtù politica, ma catastrofico e distruttivo. L’unica cosa che rimane alla modernità, benché più debole dell’ethos antico, è l’interesse per la ricchezza, e dove gli appetiti dei singoli non distruggano l’etica pubblica, si può costruire uno stato efficiente. Il cuore della politica è in definitiva: buoni soldati (o meglio, cittadini armati), buone leggi, buoni ordini. Il Principe Ne “Il Principe”, Machiavelli prova ad individuare una forma politica avente la virtù, capace di agire in un mondo che diventa sempre più insicuro. Il “Principe” è una spiegazione pratica su come liberare l’Italia dai barbari, salvando mediante una potestà regia, l’organismo politico dalla corruzione. Machiavelli vuole un principato nuovo, retto da un principe nuovo, non tiranno (Governo Politico = rivolto alla gloria e alla potenza della città; Governo Tirannico = si occupa solo di interessi personali del governante) ma rivolto al governo e alla ricerca della gloria della nazione, non personale. Per prima cosa, questo principe deve armare i sudditi (al contrario di Hobbes che li disarmerà nel suo Leviatano). Condanna dunque l’utilizzo di milizie mercenarie, ma favorisce le armi proprie che così esercitano una sorta di partecipazione politica. Per Machiavelli l’etica cristiana resta valida, ma la politica si sottrae da essa, e ne utilizza una propria, tutta mondana. Considerata la natura dei tempi e degli interlocutori politici, in alcuni casi il Principe deve essere meschino, falso e crudele, per il bene di tutti. Il male è necessario per affrontare il contingente. Bisogna comunque ascendere al principato con l’aiuto del popolo. Se si diventa principe con l’aiuto dei Grandi, non si potrà comandarli né maneggiarli a piacimento. I Grandi chiederanno inoltre al principe di comandare e opprimere il popolo. Mentre il principe deve tendere ad un “onesto fine” (non opprimere il popolo). Raccogliendo il fine di avere il popolo amico, il Principe potrà essere capo, anche militare del suo popolo, armandolo senza doverlo temere e innalzando quella bandiera di liberazione dai barbari a cui l’Italia è pronta. Nell’”Arte della Guerra”, Machiavelli esalta l’utilizzo delle milizie proprie e non mercenarie. Nelle “Istorie Fiorentine” Machiavelli critica il papato, accusandolo di essere l’artefice della disunione degli stati italiani. Inoltre ribadisce la differenza tra Roma antica e Firenze contemporanea, ritenendo che se nella prima il fondamentale conflitto si risolveva disputando pubblicamente, nella seconda secondo una guerra privata intestina alla città. Guicciardini Guicciardini è anch’egli un pensatore fiorentino realista. Si distingue da Machiavelli per la sua componente filo aristocratica, e per una maggiore disillusione. Gli Ottimati e la Prudenza Nella sua piena maturità politica, Guicciardini prese le distanze dal suo grande amico machiavelli, redigendo intorno al 1530 le “Considerazioni intorno ai discorsi di Machiavelli”. Machiavelli, nel V capitolo dei “Discorsi” aveva posto il cuore del controllo politico nelle mani del popolo, Guicciardini al contrario lo pone nelle mani dell’aristocrazia, mantenendo comunque l’elemento della mistione e della partecipazione alla vita politica delle tre classi. Il suo sostegno alla causa aristocratica era dettato da motivi personali, familiari e intellettuali, anche alla luce dell’analisi della situazione fiorentina con Lorenzo il Magnifico, il quale aveva cominciato a tiranneggiare escludendo proprio i cittadini nobili, e alle vicende di tribolazione successive alla sua morte. Occorreva dunque restituire la guida politica alla classe ottimatizia, de sempre custode della saggezza e della “Prudenza”. Guicciardini si focalizza sul consiglio, il quale deve essere esteso, e lo intende come potere legislativo. “Nessun dubbio che il Consiglio debba essere grande, cioè largo e universale, composto da tuti quelli adatti alla cittadinanza; nessun dubbio che questo consiglio debba essere giudice delle leggi nuove o della correzione delle vecchie”. Guicciardini ritiene però che le deliberazioni più importanti debbano essere fatte da un consiglio più ristretto, cioè il centro dell’iniziativa politica deve essere posto in organi dotati della dote fondamentale, la Prudenza. Il modello è la Repubblica di Venezia, e in particolare l’istituzione del Doge (a Firenze c’è il Gonfaloniere). Dovrebbero esserci istituzioni capaci di controllare l’attività del Gonfaloniere, affinché questa non diventi tirannica e pericolosa per la libertà. Guicciardini immagina quindi che egli abbia a suo fianco gli uomini principali e più savi della città, con il cui concorso egli abbia a prendere le sue decisioni, e che l’autorità del governo ricada su un consiglio a vita, composto di 150 membri. Questo consiglio è, se vogliamo, una sorta di Senato, e ha 3 principali benefici: 1. Le deliberazioni importanti di sua competenza sarebbero maneggiate da chi le intende, e non andrebbero alla moltitudine; 2. Il senato costituirebbe un freno all’eccessiva potenza del gonfaloniere; 3. Le cose sarebbero meglio governate dai cittadini più savi e più virtuosi, ma soprattutto che simili cittadini avrebbero una via istituzionale e politica per mettere la loro virtù al servizio dello Stato, e non contro di esso. Nei prodotti letterari successivi Guicciardini mostra un mutamento intellettuale verso una sostanziale sfiducia nelle capacità di previsione del futuro, rinnegando la tesi del governo dei savi e prudenti (si vede nelle “Considerazioni” e nei “Ricordi”), perché “Le cose future sono tanto fallace e sottoposte a tanti accidenti che el più delle volte coloro ancora che sono ben savi se ne ingannano”  è tutta questione di sorte e di fortuna  “Nelle cose umane la fortuna ha grandissima potestà”. Parole come queste non intendono certo sottrarre agli uomini la volontà del fare, ma si ha l’impressione che questo fare sia più il risultato della sua intima doverosità, che indice della speranza di prevedere e di padroneggiare gli eventi. La Prudenza comunque, pur risultando fortemente indebolita, non è completamente corrosa, poiché grazie alla forza e alla fortuna può giocare comunque un ruolo. Guicciardini costruisce così una Sapienza Politica, che prevede che gli uomini hanno “poca bontà e fede” e hanno per bussola delle proprie azioni i loro “interessi particolari”. ammessa solo se guidata da motivi religiosi. A suo avviso, l’ideale politico a cui tendere è quello di una sorta di democrazia religiosa, dell’autogoverno dei giusti. Per Calvino l’agire umano non produce e non merita salvezza, ma è in grado, se coronato da successo mondano, di dimostrare che il singolo è assistito dalla Grazia divina. Riforma e Tolleranza Sebbene nel codice genetico della Riforma ci fosse la tolleranza, questa fu sconfitta fin da subito. La riforma era intransigente nei suoi principi. Inoltre, grazie a Calvino, la riforma aveva assunto un carattere istituzionale che portò a confondere la funzione dei pastori con quella dei magistrati. Condivideva dunque con i Papisti l’unicità della fede, per la quale si manifestavano tracce di intolleranza che spazzavano via qualunque confessione non fosse pienamente la propria. Calvino stesso, nella sua opera “ Defensio Ortodoxae fidei” era favorevole alla punizione degli Apostati (coloro che abbandonano la propria religione). Sebastian Castellion confutò questa tesi, cercando di smontare il concetto stesso di eresia, dovuto al fatto che la verità non è poi così certa, e che dalle scritture si possa evincere con chiarezza una verità univoca (cosa non possibile perché la verità non è certa). Castellion avanza dunque l’idea di atteggiamenti di grande prudenza nei confronti della religione e delle punizioni  “Uccidere un uomo non è difendere una dottrina; è uccidere un uomo”. CAPITOLO V – COSTITUZIONE, RIVOLUZIONE, REPUBBLICA E UTOPIA Il Costituzionalismo Se il mondo romano e il suo diritto imperiale potevano essere riassunti nel principio “Quod principi placuit legis habet vigorem” (ciò che piace al principe ha valore di legge), il mondo barbarico e quello feudale riescono invece a dare più peso al Popolo. In ambito germanico, infatti, la cessione da parte del popolo dei propri diritti al Re, non è una totale alienazione, ma va vista invece solo come l’affidamento temporaneo e condizionato dell’esercizio del potere, che risulta quindi popolare quanto a origine e consensuale e pattizio quanto al suo esercizio. L’humus (retroterra) germanico fu favorevole al nascere del costituzionalismo medievale  la legge infatti (secondo Bracton e Glanvill), andava più scoperta che costruita. Essa non era in totale possesso del legislatore, non era da lui forgiabile a piacimento, secondo la tesi che la giustizia, rappresenti la trama razionale dell’agire umano  la giustizia è sempre anteriore alla legge, che viene costruita sulla giustizia. Il Medioevo è espressione di una società pluralista. Le libertà hanno un carattere negoziale e pattizio (la libertà non è quindi intesa come possesso individuale, ma come privilegio accordato a collettività e a città), come emerge con chiarezza nella Magna Charta libertatum (concessa nel 1215 dal re Giovanni senza Terra). Bracton Bracton, con il “De legibus et consuetudinibus angliae” (1240), forma una vasta enciclopedia del diritto anglosassone. Per Bracton la sola Inghilterra può vantare un diritto senza legislatore, una legge che pur non essendo scritta può vantare potere, esprimendosi nella consuetudine antichissima a cui fanno riferimento i giurisprudenti. Questa sarà la disposizione tipica della Common Law, che grazie al pluralismo dei soggetti (le leggi sono approvate dal consenso di coloro che le usano e sono confermate dal giuramento dei re  non possono essere né mutate né abolite senza il comune consenso dei quali furono approvate), permetta che essa non cada mai sotto un potere arbitrario. Secondo Bracton il re deve essere sottoposto dolo a Dio e alla legge, perché è la legge che fa i re, non il contrario. Egli ritiene che sia libero nell’azione di gubernacolum, ma sottoposto alla Iurisdictio, dunque è custode della legge e dell’equità sociale. Invece di aumentare il suo potere e le sue prerogative (come avverrà nel lungo processo di costruzione dello stato moderno), il re di Bracton è piuttosto un custode della costituzione e dell’equità naturale. Fortescue Fortescue difende la differenza tra Dominio Regale e Dominio regale e politico. Egli critica il dominio esclusivamente regale che vige in Francia; la natura della legge nel dominio regale e politico implica invece un ruolo essenziale anche nella volontà dei cittadini. In Inghilterra è questa la forma vigente, infatti le leggi non nascono per assenso del re, ma per assenso di tutto il regno. Questo garantisce equità per il popolo. Il tipo regale e politico si regge sulla consuetudine, che dato il suo perdurare nel tempo dimostra la sua intrinseca saggezza. Quindi si ha vantaggio per i sudditi, ma si incarna anche la netta superiorità del diritto naturale consuetudinario rispetto a quello positivo. Il potere giudiziario, nel dominio regale e politico, diviene mano a mano custode della legge grazie all’interpretazione della consuetudine. Il Puritanesimo I Puritani rifiutano la Chiesa Anglicana (identificata dal Calvinismo come una manovra politica incapace di rappresentare le profonde istanze di riforma religiosa diffuse dal calvinismo). I Puritani rifiutavano la Chiesa anglicana e volevano riformarla secondo principi interamente cristiani. Secondo i Puritani l’esperienza religiosa non poteva essere ingessata nelle forme dell’anglicanesimo, ma richiedeva una struttura democratica per la Chiesa, capace di esprimere la volontà dei Santi. Vi era quindi la richiesta di una struttura democratica per il governo di ciascuna Chiesa, il che significava che tutti i problemi dovevano essere discussi, analizzati e risolti con il consenso di tutti nelle assemblee e nelle riunioni della congregazione. Giacomo I (Giacomo Stuart) Giacomo I continuò quell’opera intrapresa da Enrico VIII di potenziamento della monarchia. Nelle sue opere “The true law of Monarchies” e il “Basilikon Doron”, scritte per il figlio, Giacomo mette l’accento contro i puritani, rafforzando il legame tra governo civile ed ecclesiastico, polemizzando con l’ideale democratico dei puritani, ritenendo che sarebbe solo un modo diverso di condurre la plebe. Giacomo I pone l’attenzione anche verso la nobiltà e i teorici del parlamento. Sulla prima suggeriva al figlio di tenerla sotto stretto controllo, obbligandola a osservare le leggi come se fosse il più infimo dei cittadini, mentre sui teorici del parlamento, più precisamente i “nobili teorici del parlamento”, i quali cercavano di imbrigliare la libertà d’azione del re, riferendosi alla supremazia che la legge esercitava su di lui, egli ritiene che non è il popolo a scegliere il re e a stabilire con lui le regole di governo, ma un re che è tale per aver conquistato il suolo, la terra e gli abitanti dell’isola. “Derivando da sé e dall’atto di forza creatrice di diritto ogni titolo alla legittimazione del proprio rango e della propria funzione, il re non deve dunque sottostare né alla legge, né al Parlamento, perché semmai sono questo e quella a derivare da lui”. Sono i re a fare le leggi, non il contrario. Egli giustifica il tutto con un passo biblico, dove il popolo di Israele chiede a Dio un re che li governi come “tutte le genti”  re umano che trae potere da Dio. E dunque sostenitore della teoria del diritto divino dei re, cioè che tutto il potere dei re viene loro concesso direttamente da Dio. La Rivoluzione e Cromwell Nel 1642 scoppia apertamente il conflitto tra Monarchia e Parlamento, che resisteva ai tentativi regi di renderlo docile e sottomesso. I puritani, relegati fino ad allora in assemblee segrete, portarono alla causa parlamentare una fortissima e irrefrenabile energia, visibile nella loro scelta presbiteriana, cioè in una scelta democratica e partecipativa della vita comunitaria. La rivoluzione parlamentare trovò la vittoria nel “New Model Army” di Cromwell, un esercito formato da uomini liberi di umili natali che fossero pienamente convinti della bontà della causa per cui combattevano. Dopo questi avvenimenti fu abolita la monarchia e proclamata una Costituzione Repubblicana. Ricapitolando  Nel 1645 l’esercito parlamentare di Cromwell sconfisse quello regio, e nel 1649 fu abolita la monarchia. I Livellatori (levellers) I Livellatori (Levellers) furono un movimento politico, guidato da John Lilburne, che si sviluppò durante la Rivoluzione Inglese, alla fine della prima guerra civile (nell'estate del 1646). Il movimento, che prevedeva tra i suoi punti fondamentali la tolleranza religiosa, l'uguaglianza di fronte alla legge e l'ampliamento del suffragio, influenzò attraverso i suoi principi e le sue battaglie numerose correnti politiche che si affermarono, successivamente, nel resto dell'Europa, come, ad esempio, il socialismo. Dapprima si scagliarono contro i privilegi nobiliari, poi contro il parlamento stesso. Essi ritenevano illegittima qualsiasi livellazione della proprietà privata e della ricchezza. Quello che desideravano era livellare il peso politico dei cittadini, combattendo così il despotismo, sia di un potere monarchico, sia di un parlamento senza scadenza, il che suscitò preoccupazioni nel parlamento, poiché riteneva che avrebbero potuto radicalizzare la loro ideologia verso una forma più “comunista” (anche se ovviamente non esisteva ancora il comunismo). La carica eversiva dei livellatori era sempre bilanciata, in tutti i loro atti, dalla citazione dei diritti inviolabili e immutabili dell’uomo. Il cardine del loro pensiero era la necessità che tutte le cariche venissero legittimate per principio di elettività a suffragio universale maschile. E che fosse pesantemente utilizzato il concetto di rappresentanza. Furono nel complesso una via di mezzo tra istanze puramente democratiche e istanze invece liberali. Occorre, secondo i levellers, che tutti esercitino la libertà di scegliere coloro che saranno chiamati a qualsiasi livello a governare. Gli Zappatori (parte più radicale dei livellatori) Ai livellatori si affiancava una componente più radicale, quella degli zappatori. Il leader era Winstanley. L’obiettivo degli zappatori era portare all’estremo compimento la rivoluzione, eliminando qualunque forma di potere, facendo si che al potere monarchico non si sostituisse quello parlamentare. L’Inghilterra doveva essere una libera Repubblica e andava attuata una forma di comunismo che redistribuisse la terra. Secondo il leader la proprietà era fonte di problemi, causati dall’ineguaglianza. Gli uomini dovevano vivere in comunità, ognuno producendo per i propri e per gli altrui bisogni, con leggi emanate da un parlamento, leggi brevi, non da interpretare, ma da applicare. Criticava apertamente le enclosures (terre demaniali che vengono sottratte all’uso comune  vecchi e nuovi proprietari le recintano e le destinano al pascolo delle pecore, la cui lana viene venduta sul nascente mercato manifatturiero). Questo inizio di utilizzazione capitalistica della terra consente CAPITOLO VI – LA PRIMA MODERNITA Machiavellismo e Antimachiavellismo Il ‘500 segnava il rafforzarsi delle monarchie in Europa (fatta eccezione per la repubblica di Venezia). In questo clima, l’ispirazione repubblicana di Machiavelli era più che mai inattuale. Privato dei suoi motivi teorici più profondi, il libro dei “Discorsi” di Machiavelli fu interpretato, erroneamente, ma a lungo, come una sorta di appendice all’armamentario tecnico del bravo politico, attirando sostenitori e critici. Si ritiene che il primo anti machiavelliano sia stato Reginald Pole, cardinale, cugino di Enrico VIII e contrario allo scisma d’Inghilterra. Egli ritiene sbagliati i concetti di mancanza di fede, simulazione della virtù, il primato dell’utile sulla giustizia, l’invito ad essere temuto più che amato  tutto ciò sembrava indicare un principe malvagio ed empio che avrebbe mandato in rovina i sudditi. Il campione protestante dell’Antimachiavellismo fu l’Ugonotto (ugonotti = protestanti francesi che si rifacevano agli ideali calvinisti) Innocent Gentillet, che nel 1576 pubblicò a Ginevra un trattato atto a smontare la scienza politica di Machiavelli, additandolo come teorico della tirannia, a cui contrapponeva la sua teoria, che altro non era che una glorificazione dei principi che avevano retto la Francia fino a quel momento, tra cui i limiti al sovrano, come i Parlamenti (UK) e gli Stati Generali (Francia). Secondo Gentillet c’è bisogno di allargare le occasioni e il peso dei “consigli”, al fine di indirizzare le decisioni del sovrano secondo modalità costituzionali. I Monarcomachi I monarcomachi furono non tanto oppositori di Machiavelli, quanto dei fondamenti della tirannide. Erano un gruppo di intellettuali calvinisti che proponeva la resistenza armata, fino all’uccisione del re, ove necessario. Le strategie argomentative cui fecero ricorso i membri di questo gruppo sono due: 1. Francois Hotman = lo sconvolgimento dell’assetto coatituzionale prodotto dalla politica del Re era superabile attraverso la restaurazione dell’antica e saggia Police, che era il sistema di governo che dissociava monarchia e sovranità, che conduceva a collocare la sovranità sempre nel popolo e nell’assemblea degli stati, e con il considerare la forma monarchica come un potere di governo delegato e in un certo senso subalterno, elettivo e sempre revocabile. 2. Théodore de Bèze e Philippe Duplessis-Mornay = Teorizzavano la libertà della disobbedienza, per passare poi alla teoria della resistenza attiva e infine quella del tirannicidio. La resistenza al re, si vuole sempre presentare come un atto costituzionale, non come un invito indiscriminato alla ribellione, e si fonda sulla teoria del “Doppio Patto”. Un primo patto è tra Dio e il Popolo, grazie al quale il popolo diviene popolo di Dio. Il potere del re è certamente istituito da Dio, e consiste nella jurisdictio, nel fare cioè le leggi e nel giudicare. Ma il popolo è considerato nel complesso superiore al sovrano. Il secondo patto avviene direttamente tra il Re e il Popolo. Tale patto stabilisce che il popolo obbedisca fedelmente al re che avesse comandato con giustizia. Ma il popolo non è la moltitudine dei singoli individui, quanto piuttosto un insieme di corpi sociali dotati di valenza politica. I contraenti del patto sono quindi i ceti sociali, impersonati dai Magistrati, che hanno autorità dal popolo, e che sono associati al regno. I magistrati giudicano sulla presenza della giustizia nei comandi del re, e negano la fedeltà al Re se questi ha infranto i patti sottoscritti ricorrendo così al diritto di resistenza. I Giuristi Se il Costituzionalismo ha avuto in Inghilterra i suoi più validi teorici e le sue più durature forme istituzionali, le ragioni e le radici medievali del costituzionalismo operavano allo stesso modo anche in Francia. Alla costruzione dell’ideologia monarchica francese, che passò da monarchia sacra a Monarchie Royale, contribuirono in modo determinante i Giuristi. Prima che Bodin, con geometrica precisione potesse definire la sovranità, ci fu un interminabile confronto sulle prerogative del Re e degli organi preposti al suo controllo. All’inizio c’è il testo di Seyssel “La Monarchie de France”, secondo cui il Re è sottoposto nel suo potere assoluto a tre freni: la religione, la giustizia (i parlamenti), e la Police (parla di police perché sente di dover mantenere intatta la regola della giustizia), intesa come le buone leggi a cui deve sottomettersi. Teorizza un tipo di governo temperato, con una chiarezza approssimativa. Bodin La sua opera fu “Six livres de la Republique”, la quale trae la propria ragion d’essere sul fatto che sia in Francia che in Europa ci sia la necessità di rifondare, su basi più solide, sia il comando, che l’obbedienza. Secondo Bodin, le guerre civili religiose, e il machiavellismo inteso come teoria pro tirannide, sono due facce della stessa medaglia: cioè la crisi dello stato e dell’autorità della tirannide, che va restaurata per evitare il caos delle guerre. Il modo corretto per restaurarla è attraverso un pensiero nuovo, cioè il concetto di sovranità assoluta. La sovranità è il cardine su cui si poggia lo stato, perpetuo perché non sottoposto a vincoli temporali, che ne limiterebbero l’azione, assoluto, perché non conosce istanza superiore. Il Re non è più sub lege. La regalità legittima (cioè la legalità) si divide in: quella che è limitata, e quella che non lo è. La Francia viene inquadrata come monarchia limitata, asserendo che l’autorità regia gli sembra moderata dai poteri che la costituzione dà ai magistrati. Successivamente, Bodin accentua ulteriormente l’assolutezza della sovranità, criticando il governo misto. Oltre al tema della sovranità, affianca una rigorosa difesa del diritto privato, della proprietà e della giustizia, ed è qui che si nota la differenza tra sovranità assoluta ed arbitraria, e a farne intravedere alcuni limiti. Il pensiero di Bodin sembra oscillare tra due principi, entrambi assoluti, cioè i diritti irrevocabili della famiglia, ed il potere legislativo assoluto del sovrano. I sudditi devono obbedire alle leggi assolute del sovrano e alle leggi di natura, restando naturalmente liberi secondo esse. Quindi si oppone alla tirannide arbitraria (che dipende dall’opinione del singolo). Questa è la teoria della Monarchia Royale. Per Bodin ogni mistione di poteri introduce elementi confusionali e di debolezza nella compagine statale, che deve invece essere tenuta insieme dalla sovranità. Vedendo nella mistione l’origine di “Perturbazioni negli Stati”, e temendo pericolose conseguenze nell’applicazione dei suoi principi, Bodin ne confuta le basi teoriche. Bodin distingue però tra forme di Stato, che sono le “tre semplici” (monarchia, oligarchia, democrazia), e che riguardano l’individuazione del soggetto della sovranità, e forme di governo, che possono invece essere molteplici, avendo a che fare con le modalità secondo le quali la sovranità viene esercitata. Le forme di Stato possono esprimersi in forme diverse, ad esempio un regime monarchico può esprimersi in modalità democratica quando il principe lascia che i sudditi partecipino al governo. Pone fondamentale importanza all’esigenza di armonizzazione dello strato sociale come obbiettivo da raggiungere, cioè costituire la sovranità senza sovvertire le radici del vivere civile, in modo pienamente razionale. Althusius Se Bodin incarna l’ideale dello Stato sovrano accentratore, Althusius sembra rappresentare una possibile alternativa federale rispetto alla scelta unitaria della Republique. Favorevole ad alcune tesi dei monarchi, operò una riflessione sulla sovranità riconoscendola essenziale ai fini della conservazione del corpo politico. E originale perché attribuisce la sovranità al popolo, a differenza della maggior parte dei giuristi (che la attribuisce al Re). Il popolo non potrebbe in alcun caso rinunciare a tale diritto, né trasferirlo definitivamente ad altri. Althusius giustifica quindi la rivolta nei Paesi Bassi contro il Re di Spagna come un giusto tentativo di sottrarre al Re e di restituire agli olandesi i loro diritti di sovranità di cui quello abusa. Althusius, che pensa secondo le categorie aristoteliche, dà il primato all’associazione mediante la quale gli uomini con patto espresso o tacito si obbligano reciprocamente a mutua comunicazione su ciò che è utile o necessario alla socialità. La “Consociatio” è il punto di partenza della vita politica. Secondo Althusius si possono applicare le stesse logiche che vigono nelle organizzazioni minori allo Stato, cioè con le stesse modalità di diritto e legge. Althusius ricorda a Bodin e ai discepoli che il fondamento del potere supremo è comunque la legge naturale, e che la somma potestà del monarca deve essere ricondotta all’associazione generale, cioè lo Stato. La Sovranità dello Stato è in realtà federale, perché fondato su un patto (foedus), ossia quello delle associazioni minori (famiglie, corporazioni…). Però bisogna ricordare che Althusius intende che la sovranità risiede nel corpo politico del popolo, come insieme di associazioni minori, allora chi amministra la sovranità non è propriamente il popolo, il quale non potendo amministrare da sé i propri diritti, li delega ai ministri da esso scelti, trasferendo in essi la sua autorità. Al vertice della piramide amministrativa, Althusius non pone un potere, ma due: il sommo magistrato e gli Efori, il sui compito (essendo eletti a suffragio universale), è quello di collaborare con il sommo magistrato, ma anche impedire che il suo potere sia arbitrario, Gli efori custodiscono dunque i diritti, la libertà e i fini del popolo, controbilanciando il monarca. Gli Efori hanno dunque il potere di deporre il magistrato supremo se infrange le leggi fondamentali del regno. I Libertini e Pascal Il libertinismo si afferma in Francia e in Europa nei primi del ‘600. I “Libertini” erano teorici di un profondo rinnovamento della cultura, imbevuti di ideali antichi e pagani, materialisti ed eredi della tradizione rinascimentale. Essi riconobbero che le leggi erano qualcosa di artificiale, ma non chiesero mai il ritorno allo stato di natura, ma apportarono nuovi concetti al tema dell’obbedienza. Michel de Montaigne immette nella modernità una soggettività scettica, dubbiosa di tutto, che ha la sua unica certezza nell’irripetibilità della vita terrena. Il problema centrale per lui è trovare una saggezza pratica capace di garantire la salvezza del singolo, pace e sicurezza. Questo obbiettivo si raggiunge con la politica, la quale perde la sua caratterizzazione rinascimentale di attività eccelsa e virtuosa, diventando uno strumento esterno e finalizzato per le necessità puramente umane e biologiche. Il potere deve conservare la pace tra gli uomini, e il problema è legittimare l’obbedienza, senza la quale non esisterebbe la società. Grazie alla Riforma (protestante), il mondo moderno conosce una nuova e inedita importanza della soggettività, ma al tempo stesso la religione ha perduto la propria funzione di omogeneizzazione sociale e di stabilizzazione politica, diventando anzi veicolo di crisi. Se dopo la riforma nulla può restare come prima, è naturale che anche l’obbedienza debba in grado di punire. Egli non deve inoltre opporsi direttamente alla moltitudine, poiché ne uscirebbe sconfitto. Consigli come questi, insieme all’elogio del segreto, della prontezza delle armi, e degli stratagemmi bellici, della forza e della disciplina, fanno della ragion di stato di Botero qualcosa che, pur essendo rigorosamente cattolica, è anche rigorosamente mondana. Naudé Che la Ragion di Stato faticasse a mantenere l’equilibrio, era chiaro quando nacque una “Buona” e una “Cattiva” Ragion di Stato. Quella cattiva aveva le sue regole e la sua fondazione nel concetto tirannico di “Arcana Imperii”, cioè quel diritto di compiere atti extra legem. Questa tesi è abbracciata da Naudé, il quale vede il Principe come il solo titolare dell’azione politica dell’intero stato, al contrario di quanto prescrive il contrattualismo e il costituzionalismo. Naudé si pone in modo opposto a Botero, infatti ritiene la Ragion di Stato come la trasgressione del diritto comune per il bene comune, dando così per scontata quella discrepanza tra Ragione Politica e ragione Morale, che a Botero invece sembravano saldate insieme. Dunque egli fu erede di Machiavelli. La Scienza dello Stato Botero riteneva necessaria la fondazione di una scienza dello stato, cioè di una scienza che permettesse allo stato di espandere potere e ricchezza, il che presupponeva una storia di interventismo economico da parte del potere centrale, un governo economico per la politica. Questa teorizzazione assunse un aspetto più concreto con l’opera di Antoine de Montchrestien, scritta nel 1615 “ Traicté de l’oeconomie politique”. Egli favoriva un atteggiamento protezionista dello stato sulle merci nazionali, impedendo l’ozio e la disoccupazione, e favorendo la concorrenza interna dei produttori. La Scolastica Spagnola La scoperta dell’America portò in Spagna una ventata di innovazione filosofica, che venne definita seconda scolastica. E difficile immaginare con quanta radicalità la scoperta del Nuovo Mondo abbia sfidato la cultura europea del Cinquecento. Essa pose all’ordine del giorno, ad esempio, il problema se gli indigeni americani discendessero da Adamo, o se invece valesse la tesi del “Poligenismo”, secondo la quale l’umanità nacque da capostipiti distinti. Un’altra questione riguardava il valore universale della predicazione di Cristo e della redenzione resa possibile dalla sua incarnazione. Tema di notevole importanza fu la schiavitù: su questo problema si scontrarono per anni numerosi intellettuali, da Sepulveda, a Bartolomé de Las Casas. Per il primo, gli indigeni altro non erano che animali, dunque era più che lecito schiavizzarli. Las Casas, convinto del mostruoso anticristianesimo di questa tesi, era profondamente contrario, perorando la causa dell’abolizione della schiavitù per gli indios. Vitoria Frate domenicano, Vitoria analizza il problema della legittimazione giuridica del dominio spagnolo sugli indios. Secondo lui, gli Indios, benché infedeli, e dunque soggetti al peccato originale, erano per diritto naturale, anche senza grazia divina, veri possessori del territorio, e vivevano in vere strutture politiche. Fu molto coraggioso, poiché seppur frate, e suddito imperiale, ritenne che non esistesse al mondo un vero sovrano legittimo, sia che sia imperatore, sia che sia papa. La legittimità, però, del dominio è assicurata da un’altra via, ossia la sostanziale unità del mondo e del genere umano, che è tutto coinvolto in quel diritto internazionale che vede in lui l’autore ed inventore. Vitoria giustifica il possesso spagnolo sulla base economica che gli indios avrebbero ostacolato il commercio spagnolo, salvaguardando il diritto naturale al commercio, minacciato dagli indios. Nel suo scritto, il “De legibus”, Vitoria analizza il fenomeno della costituzione del potere. Per lui non è una delega temporanea dei cittadini nei confronti del monarca, bensì è una vera e propria alienazione, poiché il re è superiore a tutti, anche allo stato stesso, cioè all’insieme dei cittadini. Suarez Suarez invece si pone sul problema della riforma che stava scuotendo l’Europa intera, con i relativi rischi di anarchia e teocrazia (governo dei sacerdoti). E un esaltatore del diritto naturale, contro la monarchia di diritto divino. A suo avviso ciascun uomo nasce libero, dunque nessuna sovrastruttura politica può dirsi fino in fondo legittima. Egli è dunque teorico dello “Stato di Natura” inteso come una situazione originaria di assoluta libertà ed eguaglianza degli uomini. Tuttavia il diritto di natura non impedisce agli uomini di assoggettarsi ad un potere. Essenziale è quindi la coesistenza della necessità di trascendere l’originaria libertà e del principio del libero consenso, presupposto indispensabile a legittimare tale trascendimento, anche nel caso di un governo monarchico. Per Suarez lo Stato che viene prodotto come unità politica, deve essere esso stesso frutto di una precedente unificazione morale. La comunità politica che nasce dal consenso è titolare del potere universale su tutti i propri membri, solo in quanto è già unificata come corpo morale. Suarez crede che ogni Stato è “Comunità perfetta”, destinata ad essere indipendente rispetto al potere imperiale  questo è il c.d. “Legittimità della pluralità degli Stati”. Nonostante la divisione statale, la comunità umana, è comunque unita, dal punto di vista della specie, della politica e della morale. Questa unità non assorbe gli stati, ma li rende parte di una comunità internazionale, dotata di un proprio diritto, a metà tra quello naturale e quello civile, e che si forma attraverso la pratica dei rapporti tra i popoli. Questo è il c.d. Diritto delle Genti. CAPITOLO VII – IL SOGGETTO E LO STATO Nel XVII Secolo l’Europa esce dalle guerre di religione, e l’assolutismo e la ragion di Stato diventano di grande attualità. Lo Stato ha surclassato Chiesa e Impero come protagonista della storia europea, a partire dalla pace di Vestfalia del 1648, che consacra il sistema statale (viene riconosciuta la sovranità territoriale). In questo contesto il potere politico è inteso razionalmente, con fini razionali, ma con compenetrazione e giustificazione divina, un’alleanza tra trono e altare. Qui sorge la teoria antecedente all’illuminismo del contrattualismo razionalistico. Il razionalismo si pone il fine ambizioso di fare della politica l’imperio della ragione, della sicurezza e dell’ordine. Il soggetto moderno è il Borghese, che riscrive la politica in chiave individualistica, dunque antinobiliare, mosso da dinamiche squisitamente logiche. Cardine è la mediazione razionale tra gli uomini nel costruire la società, dunque il contratto. E attraverso il contratto che il pensiero politico razionalistico persegue l’obiettivo di razionalizzare la politica, di realizzare cioè la mediazione razionale. La politica è legittima quando l‘ordine politico è costruito da un rapporto razionale fra soggetto e soggetto, tra soggetti e stato. Il potere politico che nasce da un patto tra individui, è la sovranità dello Stato, che esprime la razionalità di tutti, e la volontà politica di tutti. E la sovranità che produce la legge universale, universalmente coercitiva, per tutti i cittadini. Il contrattualismo politico è così innovativo che produrrà tutte le teorie del secolo: assolutismo (Hobbes), liberalismo (Locke), democrazia (Rousseau), Stato Costituzionale del diritto (Kant). Tutti questi autori hanno intrinsechi il concetto di sovranità razionale e patto. Su queste costanti si instaura il dibattito sulla rappresentanza moderna e su come limitare il potere efficacemente, e se farlo o meno. Hobbes Hobbes produce una filosofia atta ad evitare il conflitto tra uomini e mantenere l’ordine. Il problema non è più il sommo bene e la vita migliore, ma la fuga dal sommo male, morte o violenza. Il punto di avvio si ha nel titolo dell’opera, e cioè “Leviathan, or the matter, Form and Power of a Commonwealth ecclesiastical and civil”. Hobbes per definire lo stato usa il termine Leviatano, bestia biblica sommamente potente, colei che signoreggia e tiene a freno le arroganze, essere con cui non si può scendere a patti. Il Leviatano è il potere più altoche esista, è stato creato in modo tale da non avere paura, anzi da incuterla. In apertura del libro il frontespizio mostra l’immagine di un gigantesco uomo, il cui corpo è costituito da molti piccoli uomini, che ha in capo una corona, e che, in atteggiamento di protezione verso il Paese che egli domina e sovrasta, reca in una mano la spada (il potere politico) e nell’altra il pastorale (il potere spirituale). Questo è lo stato moderno. Natura, Patto, Artificio La Natura è per Hobbes assenza di ordine, morale o politico, presente o finalistico. La volontà umana è in realtà priva di idealismi, formata solo da repulsione e desiderio, senza finalità metafisiche. Non esistono gerarchie stabilmente fondate. Quindi l’uomo è naturalmente uguale, ma cerca sempre di sopraffare gli altri, cioè segue la sua naturale e umana inclinazione, il desiderio perpetuo. L’uomo è conflittuale, è uguale con il suo prossimo, ma cerca sempre la prevaricazione. Celebre è l’affermazione “Homo Homini Lupus” (l’uomo è lupo per gli altri uomini, in natura c’è sempre una guerra che vede schierati tutti contro tutti, è inimmaginabile un potere stabile. Con Hobbes tramonta l’ideale aristotelico imperante nel pensiero politico dell’uomo visto come animale politico (Zoon Politikon), ritenendo la natura umana squisitamente animale, così come bene e male non hanno nessuna consistenza oggettiva. In natura non esiste alcuna legge efficace. Questa situazione di perenne conflitto, obbliga l’uomo ad uscire dallo stato di natura, il che non avviene per Giustizia, ma per Utilità (o per paura della morte). Questa scelta razionale è la Legge Naturale. Dunque Hobbes considera la politica come un mezzo di conservazione della vita umana. Come obbiettivo ha la costruzione delle condizioni per obbedire alle leggi di natura e quindi per vivere in pace, costruendo un’ Unità politica artificiale, introducendo i concetti di Autore, Attore e Rappresentanza. L’Attore è lo Stato, cioè il sistema per ottenere la pace (l’unità politica artificiale). L’attore è un solo uomo (o una sola istituzione), che rappresenta e impersona i molti autori (i singoli uomini dello stato di natura), che l’hanno autorizzato a costruire l’ordine artificiale. Quest’uomo, o questa singola istituzione è il sovrano. Lo scopo di creare un regime resistente, si attua mediante la logica del patto e della Rappresentanza moderna, ed è qui, nella rappresentanza che il Leviatano trova fondamento, diventando lo strumento essenziale per costruire la volontà universale dei cittadini. Il patto differisce dal contratto, poiché se quest’ultimo è una semplice transazione di diritto, il patto si pone nel futuro, permettendo l’instaurazione della fiducia reciproca. Il Leviatano è l’artificio che permette la vita in società in modo stabile ed efficace. Per Hobbes è tutto costruito secondo ragione, egli viene infatti additato come il fondatore del Razionalismo Politico. ricava che l’antropologia di Locke è meno pessimista di quella di Hobbes: Difatti se per Hobbes il patto è l’opposto della natura, per Locke è un’evoluzione che consente di difendere meglio i diritti umani. Per lui, infatti, già in natura vige una legge morale e razionale di reciproco rispetto degli uomini e delle loro proprietà, e quindi già in natura è possibile una qualche coesistenza; pertanto il patto di cui Locke si serve ha lo scopo di costruire un ordine politico artificiale che non è l’opposto dello stato di natura (com’è invece il Leviatano per Hobbes) ma che serve a garantire meglio i diritti naturali dell’uomo. Lo Stato di Natura presenta difetti che lo rendono “scomodo”, cioè non esiste una legge certa, non vi è potere esecutivo, non vi è un giudice riconosciuto come imparziale. E la comunità che fa le leggi, da quelle leggi poi i magistrati hanno l’autorizzazione ad agire, in nome della comunità. E dunque un patto in logica moderna, fondato sull’autorizzazione. Occorre notare che per Locke l’entrata in società implica l’alienazione dei diritti naturali di vita, libertà e giustizia privata, ma solo la giustizia privata è realmente alienata, poiché la vita e la libertà vengono ridate sotto forma di diritti civili (dunque critica la versione di Hobbes dove i cittadini cedono al Leviatano tutti i loro diritti, per lui questa versione del cittadino o è pazza, o non esiste). Egli ritiene che il potere legislativo sovrano risieda nel popolo stesso (il popolo sovrano), il quale lo delega ai suoi rappresentanti eletti, che non possono contraddire i diritti naturali e civili fondamentali. Il potere legislativo deve essere imparziale, non arbitrario, non assoluto, universale. Nel complesso, il liberalismo di Locke è un aggiornamento del costituzionalismo inglese. Locke teorizza la tripartizione del potere in base alle tre funzioni: legislativo (potere supremo ma non assoluto), esecutivo (è il governo, che ha il potere di applicare le leggi e punire i trasgressori) e federativo, cioè la gestione della politica estera. Vigendo il razionalismo si può parlare di guerra giusta (difensiva) e ingiusta (aggressiva). Per Locke, a differenza di Hobbes, il Re gode di un potere fiduciario, in quanto è il potere sovrano legislativo a concederglielo su fiducia, non perché lo possegga intrinsecamente. Il Re può agire solo per il bene del popolo, se ciò non succedesse ci si potrebbe “appellare al cielo”, cioè ribellarsi. Va da se che Locke differenzia la Tirannide (è l’esercizio illegale, abusivo e eccessivo della forza da parte del supremo magistrato) dal Regno, e ammette, a differenza di Hobbes, la ribellione. Ci si può ribellare anche al legislativo, che va posto sotto fiducia del popolo in modo tale da controllarlo. Locke vuole così legittimare la Gloriosa Rivoluzione ( (Quando nel 1688 Giacomo II fugge da Londra, non c’è alcun Parlamento che possa dichiarare vacante il trono, poiché il re lo aveva sciolto nel Luglio precedente: solo il principio della sovranità popolare (patto sociale originario, precedente ad ogni istituzione) può evitare il collasso dell’intera società). Per la legge di natura, infatti, il popolo può esistere come corpo politico costituito privo di rappresentanza. A differenza di Hobbes, il soggetto e la società possono veramente fronteggiare il Leviatano, guardandolo come una loro creatura, non come un loro superiore. Infine Locke si occupa del problema della tolleranza religiosa, tale da trovare le condizioni per una libertà interiore di culto, ma anche la pubblicità dei culti, in virtù di due fatti: l’impossibilità di stabilire quale sia la vera religione, e la separazione tra stato e fede. La politica non può essere legittimata mediante la religione. Locke si astiene dal fare teologia, ritiene che ognuno a proprio modo possa interpretare il Dio. L’unica condizione che pone è che le Chiese non si fondino su principi non conformi ai diritti naturali, in quel caso sono da combattere e reprimere. Spinoza Spinoza assorbe le conclusioni eversive (che tendono a rovesciare l’assetto politico e sociale) formulate da Hobbes, ma non dichiara chiusa la questione politica, poiché la ritiene sempre aperta alle innovazioni della prassi e della moltitudo. Spinoza vuol essere un teorico della gioia e della vita; l’uomo libero a suo avviso è guidato dal desiderio del bene, cioè di agire, di vivere. Lo studio non è sulle forme di governo, ma su quelle di liberazione. Natura e Politica La differenza con Hobbes la dice lui stesso quando afferma che per lui è sempre valido il diritto naturale, e che non esiste potestà superiore, se non quella del popolo stesso. Spinoza ritiene l’elemento costituente, la “Potentia” (il Popolo), superiore a quello costituito, la “Potestas” (l’autorità). Egli rigetta l’idea del Dio antropomorfo della tradizione giudaico cristiana, di un Dio legislatore e sovrano del mondo, e rigetta anche l’idea della trascendenza (non ci sono materia e spirito), per lui la sostanza = Natura = Dio, è quindi unica, ma si manifesta in infiniti modi (teoria egualitaria  noi per esempio siamo uguali a un cane, che è semplicemente un altro modo di manifestarsi della sostanza). Egli rifiuta dunque il dualismo corpo-mente. In secondo luogo difende le passioni e gli affetti (2 grandi classi di affetti: letizia e tristezza) come qualcosa di naturalmente insito nell’uomo, qualcosa da sviluppare, non reprimere. Il desiderio di felicità e autoconservazione (“conatus sese conservandi” = sforzo di autoconservazione) porta l’uomo ad agire. Quando i diritti naturali collidono, si ha la Guerra. Ciononostante, anche Spinoza appartiene alla corrente che vede l’uomo come essere naturalmente socievole. Gli uomini riscontrano una spontanea tendenza ad associarsi. L’Immaginazione Spinoza ritiene che il bene comune non sia qualcosa di fissamente predefinito, ma che sia una sorta di questione perennemente aperta, un processo costitutivo sempre aperto, in cui entrano in gioco le passioni, l’immaginazione e la ragione degli uomini. L’opera di Spinoza istituisce un nesso strettissimo fra il Timore e la Superstizione, unendo questa coppia in una relazione con il Regime Monarchico, il cui “segreto più grande”, e il cui “massimo interesse”, consistono nel “mantenere gli uomini nell’inganno e nel nascondere sotto lo specioso nome di religione la paura con cui essi devono essere sottomessi”. Di contro a tale regime si pone la “libera comunità” democratica, che assume a proprio fondamento la “pubblica libertà” e il “libero giudizio del singolo”. Per Spinoza la Paura non è sufficiente a sostenere nessun regime politico, neppure quello più dispotico. L’ordine politico non può prescindere dalla condivisione di un comune “orizzonte di senso” da parte di coloro che sono ad esso soggetti, non può evitare di stringersi in un rapporto costitutivo con l’animo delle masse. L’immaginazione nei regimi monarchici è fatta propria dal sovrano, che la trasmette ai sudditi sotto forma di superstizione (cioè timore). Nei regimi democratici, l’immaginazione è fatta propria dai cittadini, che interpretano la religione come sottomissione alla causa comune del regime democratico, esprimendola in “Potenza personale collettiva”. Sta proprio in questo la caratteristica del Cristianesimo. Questa religione permise infatti di universalizzare, di abbandonare il vecchio schema teocratico. La parola divina risiede nei cuori, non nelle parole dei profeti. La Democrazia Democrazia: forma che maggiormente si avvicina allo stato di natura. Nella democrazia non si alienano i propri diritti a favore di un altro, ma a favore della totalità della comunità di cui si è parte → tutti gli individui rimangono uguali come nello stato di natura. Seppure usi un lessico contrattualistico, in questo caso si nota la grande differenza tra Hobbes e Spinoza. Il patto spinoziano è caratterizzato da un insieme di cause di ordine razionale, affettivo, immaginativo che costringono gli uomini a unire le proprie forze. Consiste in vantaggi materiali cooperativi, così come nella liberazione delle passioni dalla paura. Le caratteristiche del contratto spinoziano sono quindi: • Il suo criterio istitutivo è l’UTILITA’, vantaggi materiali della cooperazione + prospettiva di liberazione dalla paura che il consorzio delle forze procura  non si tratta di un trasferimento di diritti ma di uno spostamento delle potenze individuali per comporre un’unica potenza collettiva. • Questo potere sarà conseguentemente più potente, assoluto e autonomo quanto più ampio sarà l’aggregato di potenze individuali in cui il suo diritto si radicherà  quanto più esso sarà democratico • L’”imperium” (potere politico), nato per contrastare le passioni antisociali degli uomini, vive del dispiegamento delle stesse potenze individuali che lo costituiscono, progressivamente liberate dalla paura e arricchite nella cooperazione sociale. • Origine integralmente laica e fisico materiale del potere politco dall’unione delle potenze individuali si traduce nella rivendicazione di una metodologia realistica. Materialismo politico: multitudo, potenza della massa che costituisce un corpo politico collettivo la cui forma non è mai definitiva e bloccata in una rappresentazione. Stato e Mondo Coloniale La moderna teoria della sovranità non è solo frutto della Riforma e delle conseguenti crisi di religione ma altre cose sono state decisive: - Scoperte geografiche - processi di colonizzazione A proposito di tali fattori vi sono delle conseguenze: • circolazione merci persone e idee necessario per sviluppo capitalismo • Atlantico: unico grande sistema regionale che ha unito in uno stesso spazio politico l’Europa, l’Africa e le Americhe. • Nave coloniale: - proiezione marittima dello Stato territoriale, con autorità politica riconosciuta (comandante), sistema di amministrazione della giustizia e possibilità di guerre contro altre navi. - veicolo principale per la formazione e diffusione di una nuova cultura della ribellione che accumunava dissidenti religiosi, schivi, fuggiaschi e nascente proletariato che trova un prototipo della moderna fabbrica (mansioni gerarchizzate in cambio di denaro) il razionalismo politico moderno accanto al contratto affianca un’altra Strategia di neutralizzazione del conflitto  esternalizzazione, fuori dai confini dello Stato: o esportazione della disobbedienza sull’altra sponda dell’Atlantico attraverso l’impiego forzato nelle spedizioni coloniali di criminali, dissidenti, per sedare il proliferare di ribellioni e proteste processo di esternalizzazione del dissenso (anche Hobbes poi la esternalizzerà con la trasformazione del conflitto interno in guerra tra stati sovrani) o divisione dell’Atlantico in due spazi politici qualitativamente diversi: lo spazio ordinato degli Stati europei e quello disordinato e selvaggio del mondo coloniale riconfigurazione spaziale. o LOCKE: diversamente dai governi civili d’europa l’ordine, nei contesti coloniali, è sempre una conquista  il potere politico agisce in modo arbitrario e dispotico (immanenza della conflittualità). Si crea quindi un intreccio tra funzioni di governo e funzioni di giustizia che porta i Parlamenti a essere sempre in lotta contro il re e a divenire una sorta di contropotere. Ad esempio x limitarne i poteri: - il re nel XVII secolo inizia a istituire delle figure degli intendenti di giustizia: dipendenti direttamente dal re con compiti di amministrazione e di polizia e controllo di amministrazione finanziaria dello stato; - L’editto di Saint Germain nel 1614 sottrae ai Parlamenti il controllo amministrativo i Parlamenti reagiscono con la Fronda Parlamentare nel 1648, che afferma il ruolo dei parlamenti come custodi delle leggi fondamentali teorizzando una forma di monarchia controllata (finisce nel 1651 quando arriva Luigi 14 che nel 1673 toglie ai Parlamenti il diritto di rimostranza. - Viene ripreso nel 1715 quando Luigi muore, in cambio del sostegno della reggenza di Filippo d’Orleans in seguito al posto vacante. Nel XVIII secolo poi la Francia è attraversata da una complessa crisi: cresce la popolazione, aumenta la mobilità sociale perché si diffondono nuove pratiche commerciali, flusso migratorio da campagna a città, aumento prezzi perché si devono sostenere le spese militari, partecipazione al dibattito politico. Politicamente si traduce in una crisi di rappresentanza: sia i sostenitori della monarchia (Voltaire) sia quelli dei Parlamenti (Montesquieu) rivendicano il diritto di rappresentare la nazione francese.  impasse (situazione complicata da cui non si sa come uscire) del sistema teso tra Dispotismo amministrativo della Corona (riforma Maupeou: abolizione della venalità delle cariche, smembramento del potere del Parlamento Parigi, istituzione dei consigli superiori regi) Pretesa della società corporativa dei Parlamenti (Il corporativismo è un tipo di organizzazione sociopolitica di una società sulla base dei gruppi di maggiori interessi, o "corpi sociali", cioè le associazioni intermedie tra cittadino e autorità politica che formano la società civile, come gruppi su base agricola, affaristica, etnica, del lavoro, militare, scientifica, sulla base di interessi comuni.) Tuttavia entrambi concepiscono la rappresentanza come divisa in due: a) Rappresentatio in toto che è quella di un monarca che rappresenta tutta la nazione (non per contratto); b) Rappresentatio singulariter: quella propria dei ceti che rappresentano le singole parti del corpo della nazione. La rappresentanza di antico regime è strettamente legata al territorio ed è forma visibile di ciò che storicamente esiste  diverso da idea di rappresentanza MODERNA: una e indivisibile, portatrice della volontà generale che si afferma mediante una legge universale. Questa diversità è dovuta al fatto che nell’Ancien regime non si riescono a separare le funzioni giudiziarie da quelle politiche, cosa che verrà fatta con l’elezione della prima Assemblea nazionale, proposta da Sieyes: è la prima moderna assemblea parlamentare che ha potere legislativo, che occupa lo spazio del Re e non dei Parlamenti e non rappresenta i ceti, bensì il popolo come insieme di cittadini.  infine la rivoluzione decreta che tribunali e corti di giustizia non avrebbero più partecipato all’amministrazione dello stato. Bossuet E il principale teorico dell’assolutismo monarchico per diritto divino dei re. E un vescovo francese. ➢ “Storia universale” o Protagonista della storia è la provvidenza di Dio che guida il destino degli uomini o Riprende la profezia secondo la quale nella storia si sono succeduti 4 grandi regni mondani: Egizio, Assiro-persiano, greco-macedone e poi romano che vede la nascita di Cristo. o La storia umana è quindi sacra e si conclude, secondo Bossuet, con il Sacro Romano impero di Carlo Magno, giustificato perché attua la renovatio dell’Impero romano o Poi vi è la monarchia francese, giustificata perché istituita per volontà divina per conservare l’eredità carolingia e ereditare la missione del Sacro romano impero, ovvero realizzare pienamente la volontà di Dio. ➢ “Politica” o Nega il diritto di resistenza all’autorità la quale ha una legittimazione provvidenziale: la monarchia è la forma di governo migliore e più naturale perché esprime il governo di Dio sugli uomini; o Nessuno ha il diritto di resistere all’autorità la quale è regia, ereditaria e assoluta. Aggiunge questa caratteristica rispetto a quelle tradizionali: nel re si concentra tutta la potenza dello stato, il re quindi ha il più alto diritto di giudicare ed è legittimato all’uso della forza non solo verso il popolo ma anche verso i Grandi del regno (es Fronda parlamentare). Queste teorie sono il fondamento teorico di Luigi 14 per giustificare la monarchia. Bayle Pierre Bayle ha una vicenda personale che diventa il simbolo delle persecuzioni dei protestanti; sarà costretto a emigrare in Olanda. Nel suo pensiero emerge l’Importanza della ragione contrapposta all’autorità politica e religiosa. Dizionario storico-critico Sottopone all’indagine razionale la natura umana e i modelli teorico-politici. • Un tema importante su cui riflette è quello della tolleranza, soprattutto dopo che l’editto di Fontainebleau aveva sancito l’emarginazione dei protestanti in Francia (no matrimoni cattolici-protestanti, no personalità giuridica a chi non fosse cattolico). • Come Hobbes per Bayle è importante che non ci siano disordini per motivi religiosi, che sono causa di guerre civili tuttavia rifiuta l’antropologia negativa dell’uomo-lupo, sostituendovi una concezione più moderata fondata sullo scetticismo libertino relativo alla natura umana, distingue tra coscienza (che è un’esperienza intima dell’uomo) e obbedienza (il dovere nei confronti dello stato). • L’assenza della distinzione tra spirituale e temporale non porta solo alla rovina dello spirito evangelico ma soprattutto alla rovina dell’autorità politica, sovranità, che diviene lacerata al suo interno  Lo stato x lui deve essere secolare e monarchico e non deve appoggiare nessuna determinata religione, ma essere al di sopra delle parti. Sia in virtù della garanzia dell’ordine civile, sia in virtù della coerenza con il vero sentimento religioso. • Egli estende la tolleranza anche agli atei e rivendica la capacità di libertà propria dell’uomo. Nell’opera “commentario filosofico su queste parole di Gesù Cristo: Costringeteli a entrare” afferma che la religione deve essere una questione della coscienza del singolo e non una questione politica. Il “Liberalismo Nobiliare” E’ una corrente di pensiero che sostiene la causa dei privilegi e delle rivendicazioni dei parlamenti e della nobiltà. (contro l’ assolutismo teorico di Bossuet) I principali teorici sono Fénelon, Saint-Simon e Boulainvilliers. • Essi non mettono in discussione il potere assoluto (nessuno ormai metteva in dubbio tale potere nel 1600), ma non approvano il modo in cui viene esercitato, cioè la tirannide (per Bossuet il male era l’anarchia). • Essi sostengono che il potere sia si assoluto, ma non illimitato e deve essere quindi regolato e moderato, dividendolo con altre istituzioni poste sotto il controllo della gerarchia nobiliare (parlamenti, consigli, assemblee etc...) L’opera più importante di FENELON è “Le avventure di Telemaco” in cui critica la politica di Luigi 14 e quella economica del suo ministro Colbert (interventismo economico vs libero commercio) SAINT SIMON vorrebbe un potere per mezzo di consigli e decentramento amministrativo (stati particolari e Generali). BOULANVIELLERS vorrebbe più potere x la nobiltà e meno al re e al terzo stato. A partire dal ‘700 in Francia il sapere storico diviene una delle armi di lotta politica, perché la storia è usata cm fondamento di legittimazione del potere e dello stato; infatti in questo periodo c’è una lotta tra 2 tesi: - La These nobiliaire: questa tesi difendeva le prerogative dei Parlamenti e dei corpi costituiti nobiliari, fondandole nelle antiche tradizioni di libertà e di nobiltà dei Franchi, conquistatori dei Galli romanizzati. Questa tesi fu poi fatta propria dai parlamenti alla metà del 1700, che la radicalizzarono fino a sostenere che, essendo la costituzione storica di Francia interpretabile, secondo la tradizione franca, come un contratto tra re e popolo, e poiché il popolo non poteva parlare direttamente, i Parlamenti erano storicamente i rappresentanti del popolo contro i rischi di degenerazione dispotica sulla cui strada si era incamminata la monarchia francese; - La These Royale: la monarchia francese è legittima perché discende direttamente dai re franchi ed è in continuità con l’imperium, che da Roma è arrivato fino a Luigi 14. Ma proprio queste logiche mercantilistiche (mercantilismo imperiale e non statuale) legate all’espansione delle attività commerciali sul territorio, porteranno alla disgregazione dell’impero tedesco a favore della crescita degli stati territoriali. Il Diritto Naturale Nel ‘600, a seguito della riforma protestante che produce un ripensamento del fondamento dell’obbligazione politica, si afferma un processo di laicizzazione del diritto: il giusnaturalismo. Il giusnaturalismo moderno afferma l’esistenza di un diritto naturale: sistema di norme di condotta intersoggettiva diverso e precedente quello statuale. E’ un sistema valido di per se e superiore a quello statale.  critica il fondamento divino (concezione scolastica del diritto) I teorici del giusnaturalismo, pongono alla base dell’obbligazione politica l’esistenza di uno stato di natura e la stipulazione di un contratto sociale tra tutti gli individui, che è il momento generatore dell’obbligazione politica nella forma statuale (mentre per Hobbes conduceva all’assolutismo).  Stato = opera volontaria della razionalità degli individui. Quindi il diritto naturale moderno vuole essere fonte di legittimazione dell’ordine politico. Tuttavia pur essendo naturale per essere effettivo non può fare a meno della politica. Grozio “De jure belli ac pacis” (1625) Pone il diritto naturale quale fondamento del diritto riconosciuto valido dagli uomini. Tesi: gli uomini sono per natura socievoli, portati a forme di convivenza pacifica  attraverso un contratto volontario creano un’associazione politica fondata sul riconoscimento di un diritto comune, il cui rispetto è garantito da un sovrano a cui gli uomini hanno delegato la sovranità di origine pattizia. Dato che in quel periodo storico vi è la Riforma protestante, e lui è consapevole della rottura che essa causa sul tema della validità del diritto naturale e sulla legittimità del potere, Grozio cerca di laicizzare il fondamento giuridico dello stato, dimostrando x assurdo che il diritto naturale è valido anche in assenza di Dio. Riconoscere l’esistenza del diritto naturale non basta a rispettarlo  ci vuole un’altra forma di diritto, il diritto volontario, cioè le leggi volute dal sovrano. Esso è diviso in: - diritto civile: dir. Pubblico che regola i comportamenti all’interno dello stato. - diritto delle genti: embrionale forma di diritto internazionale che regolamenta i rapporti tra stati, che possono essere anche rapporti di guerra (senza pero riprecipitare nello stato di natura)  Grozio non tenta di limitare la guerra come Hobbes, ma di regolamentarla con il diritto delle genti, civile e naturale sviluppa un’idea di “guerra giusta” cioè rispettosa delle regole di diritto internazionale. La guerra è giusta quando è di difesa, oppure in riparazione di un torto  reazione alla tendenza di attribuire tutto il diritto di guerra allo stato sovrano che poteva giudicare da solo la liceità della stessa. “Mare liberum” - controbatte le tesi della sovranità inglese sul mare - risposta “Mare clausum” di J. SELDEN , giurista inglese che sostenne sulla base del dirtitto naturale delle nazioni l’appartenenza delle acque al primo occupante (base teorica rivendicazioni inglesi sul mare del nord e nord atlantico contro olandesi) Pufendorf • Come Grozio no visione negativa dell’uomo e stato di natura  sostiene la naturale socievolezza dell’uomo ma fondata sul principio di utilità che è la tensione (il fatto di tendere al…) al benessere propria di ogni individuo; • Nello stato di natura esiste un elemento di tensione tra il perseguire la propria utilità da parte dei singoli e la socialità  questa sensazione spinge gli individui a uscire dallo stato di natura nel momento in cui questo si rivela instabile a causa della naturali debolezze degli uomini; • Spinti dall’istinto verso il benessere e verso la ricerca della felicità, gli uomini istituiscono lo stato per mezzo di 2 patti e un decreto, realizzando cosi quella socialità che nello stato di natura era solo un’aspirazione. a) Primo patto = unisce gli uomini, formando il coetus, cioè il corpo politico, che per decreto stabilisce la forma di governo dello Stato. b) Secondo patto = gli individui delegano il proprio potere di comando inviolabile e irrevocabile a una sola persona che sarà il sovrano  introduce la differenza tra chi comanda e chi obbedisce. Tale potere però non deve trasformarsi in arbitrio. (diverso da Hobbes): il sovrano garantisce stabilità e ordine in cambio di obbedienza alle proprie leggi (scambio reciproco). L’Età dei Lumi Kant: Risposta alla domanda: che cos’è l’illuminismo? E l’uscita dell’uomo da una condizione di minorità di cui egli stesso è responsabile. Storicamente inizia nel 1680, anno di apogeo dell’assolutismo di Luigi 14 e del dominio francese in Europa. Va dal 1680 al 1789. Laboratorio di una nuova civiltà e che porterà alla rivoluzione! I Concetti dell’Illuminismo La filosofia dei lumi è una “filosofia militante” perché vuole mettere in pratica l’ordine già presente a livello teorico nei razionalisti quali Cartesio, Hobbes, Locke, Newton, Bayle e Spinoza. Parte dalla consapevolezza della necessità di ridare all’uomo cartesiano, gettato nel mondo armato della sola ragione, un posto riconoscibile nell’universo, pensato a partire dall’esperienza umana, liberata dalla tradizione. Attraverso il lume della ragione è necessario compiere un’opera di rischiaramento e riqualificazione di tutti i concetti chiave della tradizione filosofica, al fine di uscire dalle tenebre dell’ignoranza e della superstizione. La ragione illuminista, unico strumento di cui l’uomo dispone, da un lato opera come critica dell’uomo, del reale, della tradizione e della filosofia, dall’altro conferisce all’uomo il potere, inteso come capacità di compiere un’azione in maniera razionale dopo aver liberato completamente la sua mente da vecchie idee. CONSEGUENZE: a) Passaggio dalla realtà sensoriale all’idea che si può conoscere solo con la ragione  la mente è una tabula rasa in cui non ci sono idee innate  può elaborare la realtà che lo circonda senza più dipendere da un modello o una legge trascendente b) Si elabora una nuova idea di natura, sottoposta a leggi razionali e non creata da Dio si abbandona il dogma della Provvidenza divina. c) S’inserisce allora il tema del male: se Dio non è più il punto di riferimento, occorre trovarne un altro x creare una nuova etica individuale  il “vangelo del progresso”: cammino da compiere con la ragione per trionfare sul male: fiducia nella ragione, ottimismo x il futuro e umanitarismo sono la laicizzazione di fede, speranza e carità. d) In particolare si riflette sulla teodicea, cioè la giustificazione del male alla luce della volontà divina e sul ruolo e la funzione della religione nel determinare la condotta umana  L’uomo non è capace di spiegare i problemi della conoscenza, morale e politica  questo produce lo scetticismo, che è il risultato ultimo di tutta la speculazione illuminista. Ci sono diversi illuminismi geograficamente (non è un movimento unitario): francese, tedesco, italiano, scozzese, polacco. I Lumières francesi si divisero in varie fazioni all’interno del parti philosophique: - il gruppo dell’Enciclopédie con Diderot e D’Alembert -Voltaire -Rousseau -I materialisti -I radicali Ma tutti riflettono sul tema inglese della libertà: l’uomo è stato creato libero, ed è stato lasciato nel mondo in balia della sua ragione e delle sue passioni  il problema è capire come usare questa libertà e fin dove essa si debba o possa estendersi. (sostenitori libero arbitrio vs teorie deterministiche, uomo sottoposto a leggi dell’universo) Con l’illuminismo nasce anche la figura dell’intellettuale moderno: il PHILOSOPHE: o Sono uomini di lettere che prendono il posto dei chierici; sono un gruppo sociale che si percepisce indipendente, libero e autonomo e vuole influenzare il potere politico e la società. o Si sviluppa anche l’opinione pubblica: uno spazio di discussione e diffusione di idee diverso da quello dello stato e della famiglia  Salons, biblioteche, logge massoniche, clubs, caffè, salotti etc... + diffusione di gazzette e giornali. o Dal 1780 questi filosofi esauriscono la funzione critica e diventano deputati, rappresentanti non tanto della società colta ma della nazione. Ma proprio in virtù dell’universalismo e dell’idea che la cultura civilizzata si debba diffondere a tutti i popoli, rende l’illuminismo incapace di riconoscere le differenze e con l’imperialismo e il colonialismo del XIX secolo verrà alla luce la genesi eurocentrica dei concetti illuministici di libertà, uguaglianza e riconoscimento di una comune natura umana. La Politica e i Lumi Le tematiche trattate sono: diritti naturali, giustizia, progresso, libertà, ragione, natura, tolleranza, legge, sovranità, nazione. Esse non sono trattate in maniera omogenea, bensì in presa diretta a partire dalla contingenza storica. Ad esempio: il tema del diritto naturale è usato come artificio retorico per criticare il sistema istituzionale tipico dell’ancien regime, forma istituzionale caratterizzata da struttura gerarchica e • Anche se gli illuministi non assumono posizioni dichiaratamente democratiche, iniziano a riflettere sulla necessità della rappresentanza dei cittadini nel governo: i rappresentanti sono i cittadini scelti, che in un governo temperato vengono incaricati dalla società di parlare a suo nome  proposto il modello della monarchia inglese: tutte le parti della società hanno il diritto di partecipare allo stato con elezione di rappresentanti Quando Diderot constata l’impossibilità di realizzare una vera politica di riforma nell’assolutismo, il suo pensiero si radicalizza: afferma che il popolo può condannare il sovrano tiranno anche in maniera cruenta “una nazione non si rigenera che in un bagno di sangue” e che ha tutto il diritto di darsi un regime democratico fondato sulla libera partecipazione di tutti alla scelta del sovrano (influenza repubblicanesimo) Elogia la rivoluzione inglese e l’indipendenza delle colonie americane. Voltaire Voltaire è l’emblema dell’illuminismo e della lotta delle riforme in Francia e Europa alla luce di una rivendicazione della Tolleranza. • Nella sua vasta produzione emerge la proposta di uno Stato di leggi e della garanzia della libertà politica e di opinione degli uomini. • Egli non elabora una specifica forma di stato che ritiene giusta, perché in virtù del relativismo politico, ogni stato deve avere la forma di governo che meglio rispetta i suoi costumi e il suo spirito: monarchia assoluta in Francia o Prussia, monarchia costituzionale in Inghilterra, repubblica a Ginevra. • Lo stato però deve essere fondato sulla libertà della legge razionale, prodotto razionale dell’unica volontà sovrana, che considera uguali tutti i cittadini e che più si avvicina alla perduta uguaglianza naturale, in opposizione all’idea di politica, di derivazione machiavelliana, fondata sulla potenza  riprende quindi i temi del contrattualismo nonostante non ci sia mai esplicito riferimento a un contratto e quindi manca una esplicita teoria della rappresentanza in senso moderno; • La storia per Voltaire: è data da un ordine secolarizzato, profano, laico determinato progressivamente specialmente in base ai rapporti economici che influiscono sui rapporti politici nello Stato.  Egli ritiene che il perseguimento dell’interesse individuale fa coesistere la Babele delle diversità umane: attenzione ai rapporti economici e al lavoro influenti nella determinazione storica dei rapporti politici. • Tema della differenza culturale e antropologica: da un lato egli sposa “teorie poligenetiche” in cui emerge una gerarchia delle razze con al vertice l’uomo europeo; dall’altro la teoria economica della tolleranza vede le differenze in modo differente: non più in negativo (perciò da neutralizzare secondo strategie di omogeneizzazione) ma come qualcosa di indifferenze e irrilevante  universalismo delle differenze. • “Trattato sulla tolleranza” = Il Trattato sulla tolleranza è una delle più famose opere di Voltaire. Pubblicata in Francia nel 1763 costituisce un testo fondamentale della riflessione sulla libertà di credo, sul rispetto delle opinioni e di molte di quelle caratteristiche con cui oggi identifichiamo una società come civile  Écrasez l'infâme, "schiacciate l'infame". Schiacciare l'infame significa lottare con tutte le forze della propria ragione e della propria morale contro il fanatismo intollerante tipico della religione confessionale (cattolica, protestante o altro). Ogni uomo di buona volontà è chiamato a lottare per la tolleranza e la giustizia della religione naturale, una religione governata da un Dio aconfessionale, senza dogmi, che rende inutili le cerimonialità e che punisce i malvagi e remunera i buoni, come un giudice giusto. Il Dio di Voltaire sovrintende alla macchina meravigliosa che ha creato come un orologiaio, che ne cura il meccanismo. La concezione di Voltaire è perciò deista. La Fisiocrazia Essa influenza Voltaire e si diffonde in Francia a partire dalla metà del 1700. L’esponente principale è Quesnay (autore nel 1758 del “Tableau Economique”). o I fisiocratici sostengono che esiste un ordine naturale razionale che si regge su determinati principi (diritto naturale, giusnaturalismo, libertà e proprietà) e che nell’economia deve essere centrale il governo della natura. o E’ necessario far riforme soprattutto economiche che garantiscano una maggior libertà di iniziativa economica e di scambio (di cui si fece interprete il ministro di Louis 16 Turgot), contrariamente al colbertismo dell’ancien regime. o La vera fonte di ricchezza è la terra: perché l’agricoltura è il momento della creazione del prodotto che fornisce un margine di reddito, l’industria è invece il momento della trasformazione del prodotto e il commercio della distribuzione  capiscono che Il surplus costituisce la vera origine della ricchezza (come riconoscerà anche Marx); o Necessità di un’unica autorità sovrana che emanando leggi positive permetta la libera attività di investimento. Pierre Paul Le Mercier de la Riviere definisce le idee di Quesnay “dispotismo legale”: nel monarca si devono concentrare potere legislativo e esecutivo, affinché egli emani leggi positive che garantiscano la realizzazione dei dettami della natura, ossia la felicità dei sudditi, identificata nella possibilità di accrescere la libertà e la proprietà individuali. Emerge quindi come il progetto politico della fisiocrazia sia contro la separazione dei poteri e l’esistenza di corpi intermedi di controllo del sovrano. L’Illuminismo Materialistico e Radicale Nell’illuminismo francese ci sono posizioni anche più radicali. • Helvétius: visione della natura umana orientata all’utilitarismo: l’uomo non nasce ne buono ne cattivo, ma ogni suo comportamento è orientato al soddisfacimento del proprio interesse. Egli afferma l’uguaglianza di tutti gli uomini (pure le donne!!!) perché tutti hanno identiche capacità intellettuali di riconoscere il proprio interesse. In “De l’Homme” afferma che compito del legislatore è fare riforme per accordare interesse privato e pubblico. • Barone d’Holbach: l’utile è la legge che regola la condotta degli uomini che ricercano la felicità, la quale è alla base del contratto che lega il sovrano alla nazione. Gli uomini non sono tutti uguali, anzi proprio l’ineguaglianza porta gli uomini ad aiutarsi reciprocamente. Egli critica ogni forma di religione perché la politica si deve fondare solo sulla conoscenza della natura e della legge naturale che spinge alla felicità (no Dio)  per emancipare gli individui bisogna riformare l’assetto costituzionale dello stato in senso rappresentativo e in direzione di una sovranità popolare. Essa però nel concreto secondo lui riguarda i proprietari terrieri e quindi esclude 2/3 dei francesi. • Jean Meslier: nel Testamento affronta il rapporto politica-religione e afferma la filosofia atea, proclamata in nome della fratellanza e dell’egualitarismo, il cui riconoscimento libera l’uomo dall’oppressione e dalla superstizione. critica la società del tempo. • Morelly: socialismo e proto comunismo: nello stato di natura vi era assoluta uguaglianza, distrutta dall’introduzione della proprietà privata che deve essere quindi abolita. Lo stato non deve presentare una struttura gerarchica e ogni cittadino deve contribuire all’utilità generale. • De Mably: l’uomo in società ricerca il proprio benessere e la politica deve essere centrale perché garantisce il più ampio benessere. In “Diritti e doveri del cittadino” propone la monarchia repubblicana (unica realizzabile al tempo) come giusta forma di governo, in cui il potere esecutivo è fortemente limitato dal legislativo, in cui il ruolo del legislatore è centrale e la proprietà privata è progressivamente abolita. • Marchese de Sade: critica le principali idee illuministe proponendo una visione nichilista estrema: la natura e quindi anche quella umana sono dominate dalla violenza, la ricerca della felicità non è altro che ricerca dell’espressione di questa violenza della natura che col suo moto incontrollabile distrugge e ricrea forme di vita (anche il godimento deriva dal dolore che si procura all’altro) .  propone un’ idea anarchica della società in cui è abolito il diritto di proprietà privata e ci sono pochissime leggi (al contrario della rivoluzione che aggiunge alla violenza naturale quella prodotta dall’iniquità delle leggi). La Germania L’illuminismo tedesco è influenzato da quello francese e dai principi cameralistici di razionalizzazione e centralizzazione, infatti gli illuministi tedeschi collaborano moltissimo con il sovrano assoluto, considerato “primo magistrato dello stato”, che interpreta il diritto naturale mediante l’emanazione di leggi positive che realizzino il benessere dei sudditi. L’autore più importante è sicuramente Kant. Poi ci sono: • Lessing: sottolinea l’importanza della tolleranza religiosa (storia dei 3 anelli che sono le tre religioni monoteiste cristianesimo, ebraismo, islamismo: come i tre figli riconoscono la comune derivazione dal medesimo padre cosi le religioni devono riconoscersi reciprocamente come espressione di una sola volontà divina  assurdità delle lotte religiose), perché tutte le religioni sono ugualmente legittime. • Thomasius: afferma che la società non è un’associazione di individui creata naturalmente (Grozio), bensì artificialmente al fine di permettere all’uomo di realizzare la sua felicità e realizzare le proprie inclinazioni. Quindi lo scopo dello stato è mantenere l’esistenza della società contro il ritorno al disordine dello stato di natura. Egli affronta anche il tema del diritto: esistono 3 ambiti dell’agire dell’uomo: a) Interno: regolato dalle leggi di natura, è una legge morale ed è sede di virtù; b) Esterno: legge positiva emanata dal sovrano; c) Prudenza: azioni private non giudicate dalla legge, ma dall’opinione pubblica. (idea di uno spazio pubblico ma separato e non coincidente con lo stato  società civile). • Wolff: il singolo ha il dovere naturale di raggiungere benessere e felicità e il diritto a compiere questo dovere. A questo scopo mediante un contratto è istituito lo stato deve garantire ai cittadini la possibilità di realizzare il proprio dovere. Si tratta dello stato di polizia, sintesi di ordine e benessere, regolamentato dal monarca che con la propria polizia e con le sue norme regolamenti ogni aspetto della vita dei sudditi in vista del benessere e della felicità di tutta la società. TRATTI COMUNI: - Collaborazione con i sovrani - Riconoscimento di un’equa amministrazione della giustizia - Rispetto diritti naturali - Soprattutto: connessione tra esigenza di benessere e esigenza di ordine  riconoscimento del dovere di essere felici: il suddito ha il diritto a essere felice e Una delle tematiche centrali degli scozzesi è il rapporto tra amor proprio (passione che per Hobbes domina l’uomo) e benevolenza, cioè innato affetto e l’amore verso l’altro e la rideterminazione tra ragione e sentimento. • Shaftesbury: ogni uomo è in grado di cogliere il giusto e l’ingiusto perché è innato in lui l’affetto morale. Andando contro a Hobbes, quindi, non vi è un contratto alla base della società perché la società è il fine a cui tendono gli uomini spontaneamente  coincidenza tra interesse del singolo e interesse collettivo: Agire per il bene della società è agire per il proprio bene. Vi è una propensione morale che rende l’uomo socievole. • Hutcheson: l’elemento morale è presente sin dall’inizio nella sfera dell’interesse pubblico. La naturale benevolenza degli uomini, più il loro senso morale e senso pubblico li porta a creare un patto, per tutelare libertà e proprietà, quest’ultima fondamento naturale dell’ordine politico. • Kames: teorizza un governo etico delle passioni (in opposizione a una visione coercitiva e autoritaria del potere) per realizzare l’interesse comune che è legittimo perché naturale. Contrario a loro: Mandeville: “Favola delle api, ovvero dei vizi privati, pubblici benefici” - Non c’è nessun legame tra morale e natura umana perché la preoccupazione principale degli individui è l’amore di sé e la volontà di conservare se stessi; - Ma i vizi umani sono funzionali in quanto permettono la costruzione delle virtù civili. E’ la paura che ha spinto gli uomini ad associarsi e creare istituzioni politiche che trasformano la vanità in virtù morale (al contrario di Hobbes in cui il contratto fa uscire dallo stato di natura, per Mandeville è solo la paura a fare ciò)  il male naturale è fondamento della società; senza di esso non ci sarebbero le virtù. Poi con Hume e Smith il rapporto tra ragione e sentimento toccherà anche la dimensione economica e nascerà la moderna economia politica che affronta i temi della proprietà, del commercio e del lavoro da un punto di vista sociale e non sono quantitativo, utilizzandoli x valutare il grado di civilizzazione della società. Lavoro = Prosperità economica = ricchezza della nazione Hume • Per Hume non c’è un contratto che viene stipulato da individui che sono negativamente liberi (cioè in modo politicamente inefficacie) e dunque che necessitano di un ordine diverso da quello naturale che li renda liberi positivamente ed eguali (razionalismo moderno)  per raggiungere tale “ordine diverso”, Hume parla di evoluzione, che è quel processo naturale che determina attraverso il cammino storico le regole del giusto comportamento. • Per Hume non c’è una profonda discontinuità tra uomo presociale e sociale: L’uomo in natura non è egoistico ma è sociale di natura e caratterizzato da socievolezza nei confronti degli altri e simpatia (sympathy: processo di immedesimazione con l’altro)  la società è lo “stato di natura” dell’uomo, perché nella società vengono educati i suoi istinti naturali. • Egli rifiuta quindi l’approccio antropologico negativo di Hobbes, ma anche quello ottimistico di Shaftesbury. e Hutcheson, perché se da un lato ammette la socievolezza, ritiene che l’uomo agisca guidato dall’utilità sociale: la socialità non è un sentimento di fratellanza universale, ma è una necessità, perché costruendo una società si possono soddisfare le passioni in modo più sicuro. • Egli però non è un rigido utilitarista calcolatore (come sarà Bentham), perché non ragiona a priori, bensì mediante l’esperienza: secondo lui all’interno della società, mediante la funzione educativa, gli uomini hanno sempre più bisogni e passioni che devono essere soddisfatte allargando la società civile che diventa sempre più complessa  necessità di costruire un nuovo sistema, la società politica o governo, che sviluppa delle regole per la società civile, divenuta sempre più complessa  “Al progresso della società civile si accompagnano l’esistenza e il progresso della società politica” • La socievolezza naturale risulta troppo debole per garantire spontaneamente un ordine pacifico  emerge necessità di un governo e una teoria della giustizia, che tutelino la proprietà: il consorzio politico non nasce per contratto ma è un miglioramento di ciò che c’è di natura. L’uomo riesce a vivere nella comunità politica grazie a virtù naturali (ex egoismo, benevolenza…) e virtù civili (artificiali, prodotte dall’intelletto umano ex giustizia). Nel rapporto tra autorità e libertà egli riconosce la necessità di una coazione che salvaguardi la società civile, ma è imprescindibile salvaguardare anche la libertà del singolo. Smith Secondo Smith alla base della società, della quale riconosce la naturalità, vi è il prudent man, cioè il cittadino, il quale agisce mediante l’intreccio di passioni egoistiche e sociali: - La sympathy: il porsi del soggetto nella situazione di un altro soggetto per esprimere approvazione o disapprovazione del suo comportamento, al di là dei giudizi morali. - La proprietà: definisce il rapporto di adeguatezza o inadeguatezza tra l’affezione (affetto, attaccamento) provata da un soggetto e l’oggetto che la causa. - La prudenza: la virtù morale che guida il prudent man e che fonda l’organizzazione sociale. Il rapporto tra virtù e interesse (passioni egoistiche e passioni sociali) è il tema centrale in Smith e questo rapporto è trattato come rapporto tra sfera economica e sfera politica (approccio storico empirico che lega il carattere economico con la storicità delle forme politiche e giuridiche) Nel complesso rapporto di intreccio tra virtù e interesse egli introduce la figura del legislator o sovrano, il quale ha un compito di mediazione politica e normativa dei vari interessi in campo. Egli ha 3 compiti in particolare: a) Proteggere la società dalla violenza di altre società; b) Proteggere i membri da ingiustizia e oppressione; c) Erigere e conservare certe opere pubbliche e istituzioni.  NON deve: sovraintendere all’attività produttiva indirizzando gli individui, perché il commercio è un’attività “libera e virtuosa”. Smith auspica infatti un sistema politico basato sul lavoro e un sistema economico basato sul libero scambio commerciale che  darà origine al sistema capitalistico borghese guidato dall’azione della mano invisibile. Il concetto di mano invisibile è teorizzato nella “Ricchezza delle nazioni” (opera): è la razionalità prudenziale che coniuga l’interesse del singolo con quello collettivo. (opera che si prefigge di indagare le cause e la natura della ricchezza delle nazioni). Un altro tema e concetto che Smith vuole sottolineare è il rapporto tra economia e politica, tra ricchezza e potere: egli compie un’indagine storica delle complesse modalità in cui si rapportano i singoli e nota che vi è uno stretto legame tra la sfera economica, quindi i modi di sussistenza, e i tipi di ordinamento politico e giuridico che i cittadini si danno.  Alla fine del Settecento appare quindi chiaro come non si possano più separare la sfera politica da quella economica ed etica, perché  “Se alla base della società sta il Prudent man, che di fatto è il cittadino, la cui condotta non è guidata dalla volontà resa razionale, ma da un intreccio irresolubile di passioni egoistiche e sociali (Sympathy, Proprietà e Prudenza), di virtù e interesse, allora con la figura del Legislator, Smith mostra l’utopia della perfetta razionalità della politica moderna, che da Smith in poi non potrà più essere pensata come autonoma dalla sfera dell’economia politica e da quella etico-morale”. Ferguson Nell’opera “Saggio sulla storia della società civile”, Ferguson afferma: • Che ci sono 4 stadi attraverso cui evolvono tutte le società, a seconda delle strutture economiche che prevalgono: caccia, pastorizia, agricoltura e commercio. Tutte attraversano il processo di ascesa, grandezza e decadenza (come testimonia la repubblica di Roma). • Analizzando lo stadio commerciale a lui più vicino egli, osservando le dinamiche del lavoro, rileva un’elevata divisione del lavoro sociale sia a livello statale (costituzione esercito permanente + ampio apparato di funzionari statali) sia a livello della società (si diffondono attività sempre più parcellizzate e specializzate, spersonalizzate e demoralizzate). Egli analizzando il sistema politico è influenzato dal repubblicanesimo anglosassone e sostiene che le società commerciali possono avere un destino di libertà o tirannide, a seconda che si riconosca o meno l’individuo come cittadino soldato che partecipa alla diretta vita politica contro il dispotismo della divisione del lavoro e delle prerogative sempre più ampie connesse all’esecutivo. Per Ferguson è importante che vi sia un public spirit che domini la scena politica, così che vi sia un conflitto virtuoso (come dice Machiavelli) tra i cittadini che garantisca la libertà dalla tirannide. Ma in realtà questo ideale repubblicano non si concretizza in un vero progetto politico, perché egli guarda positivamente alla partecipazione dei cittadini, ma non ritiene che ciò possa per il momento modificare gli assetti istituzionali e quindi difende la monarchia temperata inglese dando per assunto l’assetto costituzionale della monarchia dopo la Gloriosa Rivoluzione. La rivoluzione Americana ✓ 4 luglio 1778 A Philadelphia: Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America con cui le tredici colonie americane si dichiarano indipendenti dal Re inglese Giorgio III. ✓ E’ stata redatta da Thomas Jefferson (3 presidente usa) e corretta da John Adams e Benjamin Franklin. Dal “Federalist” emerge una costituzione repubblicana-democratica per quanto riguarda il principio fondante, ma non necessariamente unitaria e anzi bilanciata nell’articolazione dei poteri previsti dalla costituzione. Alla divisione verticale (potere federale e potere statuale) si affianca una divisione orizzontale con la ripresa della teoria di Montesquieu sulla separazione dei poteri: I poteri devono essere bilanciati e controllati . Soprattutto Controllo del legislativo, potere per eccellenza,  2 camere: la Camera dei rappresentanti (rappresentanti il popolo) e il Senato (rappresentante gli stati) per evitare tentazione che il legislativo si sostituisca al potere costituente del popolo. La costituzione è stata poi emendata con successivi 21 articoli, di cui i primi dieci costituiscono il “Bill of Rights”, cioè la dichiarazione dei diritti dell’individuo (1791) prima erano dati per scontati ed era sembrato superfluo dichiararli. Paine Trasferitosi in Francia, era già molto famoso nelle ex colonie americane per aver pubblicato, pochi mesi prima della dichiarazione d’Indipendenza: “The common sense”: denuncia l’oppressione a cui sono sottoposte le colonie americane; afferma che il governo più perfetto è comunque un “male necessario” e se imperfetto diventa un “male intollerabile”. Le colonie quindi devono rendersi indipendenti e formare un governo repubblicano in modo da dimostrare al mondo la possibilità di una nuova via e della salvaguardia dei diritti umani. “The rights of man”: difende i diritti degli individui e l’uguaglianza e afferma che il popolo sovrano deve governare mediante rappresentanti, sottoponendo a continua revisione la costituzione che esso stesso si è dato  idea della rappresentanza ma non quella inglese tramite notabili e parlamento ma quella democratica che esprime direttamente la volontà del popolo. CAPITOLO IX – RAGIONE E RIVOLUZIONE Rousseau L’uomo non è un animale sociale, perché la sua bontà naturale è ciò che lo porta, nello stato di natura, ad essere autosufficiente o al massimo a vivere in piccoli gruppi. Tra stato di natura e stato civile c’è un immenso spazio, però l’uscita dallo stato di natura è inevitabile a causa della perfettibilità dell’uomo che lo distingue dall’animale. La differenza è tra un’uscita negativa (storia dell’umanità come di fatto verificatasi) e una positiva da realizzarsi con contratto (drastica correzione della storia)  questa è la proposta politica di Rousseau. La Civiltà e la Storia (Rousseau) “Discorso sulla scienza e sulle arti” • Scritto per partecipare al concorso dell’Accademia di Digione: le scienze e la arti hanno contribuito a migliorare i costumi? • Rousseau afferma che lo sviluppo delle culture delle lettere, delle arti e delle scienze sia la causa dei mali sociali. Il progresso ha portato alla perdita delle virtù guerriere e patriottiche tipiche delle epoche antiche; • Confronto tra il mondo civilizzato e quello delle citta greche o roma repubblicana: condanna il lusso dei moderni che ha portato alla decadenza delle virtù, parassitismo e mediocrità. • Si inizia quindi a delineare la profonda antitesi tra natura e civiltà con denuncia dei guasti prodotti dalla cultura e progresso (e quindi civiltà) sulla natura. Nel definire lo stato di natura = Secondo i giusnaturalisti lo stato di natura è una condizione di indipendenza in cui gli uomini si trovano prima di istituire il governo civile, cioè quando non sono ancora sottomessi all’autorità politica  nessuno per natura è soggetto a un autorità e tutti nascono liberi ed eguali + il diritto di comandare può derivare unicamente da un contratto che porta i singoli a rinunciare al proprio diritto naturale di libertà a favore di un uomo o gruppo. Pur concordando con essi circa il principio dell’uguaglianza naturale, Rousseau si discosta: o Rifiuta sia l’idea di Hobbes (guerra di tutti contro tutti) sia quella dei giusnaturalisti Grozio, Locke e Pufendorf (pace e reciproca assistenza e il solo scopo della legge civile è rafforzare gli obblighi della legge di natura); o Secondo lui tutti loro hanno trasferito nello stato di natura idee prese dalla società civilizzata parlando di un uomo allo stato selvaggio ma i realtà dipingevano l’uomo civilizzato. o Per lui l’uomo allo stato di natura è isolato, nn ha contatti con i simili e non si riconosce nella sua specie. E’ amorale o premorale, tuttavia è naturalmente capace di condividere le sofferenze dei suoi simili e capace di “concorrere alle proprie scelte in qualità di agente libero”  il diritto naturale primitivo, implicito allo stato di natura, è dovuto alla naturale bontà dell’uomo. o Passando allo stato civile, cioè che prima era istinto e bontà , diviene giustizia e ragione. Il contratto sociale non cancella il diritto naturale, ma lo trasforma sulla base della ragione. Secondo Rousseau l’umanità evolve verso il suo perfezionamento o verso la sua degenerazione, non in virtù della fatalità o provvidenza ma in virtù della perfettibilità dell’uomo, che lo porta dall’eguaglianza primitiva alla disuguaglianza civilizzata. Nel processo evolutivo la prima rivoluzione avviene cn il formarsi delle: - famiglie, non è più natura ma non è ancora cultura  equilibrio tra natura e civiltà; - divisione del lavoro, sviluppo di metallurgia e agricoltura e l’avvento della proprietà: “il primo che, cintato un terreno, pensò di affermare questo è mio, e trovò persone abbastanza ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile.”  Processo di accumulazione che legittima proprietà e disuguaglianza  si produce uno stato di guerra, che nn coincide come per Hobbes con lo stato di natura, bensì con la condizione dell’umanità civilizzata. Non vi è il contratto all’origine della società civile ma piuttosto il contrario: gli uomini hanno dovuto abbandonare, per vie non contrattuali, l’isolamento iniziale ma la società che essi creano è una società profondamente ingiusta e percorsa da inamicizia reciproca  per questo essi avvertono esigenza di stringere un patto e sottomettersi a un’autorità comune, ovvero per evitare la guerra di tutti contro tutti. NB= per evitare un conflitto potenzialmente distruttivo è necessario l’artificio del contratto sociale che fa nascere le società civile e permette di ristabilire la pace. Tuttavia questo patto è profondamente ingiusto perché di fatto giustifica le azioni dei ricchi a danno dei meno provveduti: il patto è stipulato dai possidenti. Nasce così l’istituzione di sopruso e sfruttamento che è lo Stato che: - Con la legge e il diritto di proprietà legittima la distinzione tra ricchi e poveri; - Con l’istituzione della magistratura sancisce la distinzione tra potenti e deboli; - Con il potere da legittimo a arbitrario consolila la differenza padrone-schiavo. Rousseau non propone di tornare allo stato di natura perché non è possibile, ma progetta nuove associazioni guidate dalla volontà generale. Il Contratto A differenza di Hobbes, per Rousseau il contratto sociale non assume la forma di una sottomissione, bensì è un patto di associazione e unione, che si differenzia per due motivi: a) Ha come fine la disalienazione dell’uomo e non la sua alienazione; b) Non genera un’istituzione sovrana ma una comunità. a) Questa caratteristica dipende dal fatto che il contratto non serve ad uscire dallo stato di natura ma a correggere radicalmente il corso corrotto della storia  bisogna rifare l’uomo, restituirgli la pienezza che la storia gli ha tolto b) significa che la sovranità nn è rappresentabile o istituzionalizzabile, è un Tutto omogeneo e onnipotente che nn può essere rinchiuso in un’istituzione. La sicurezza comune però non deve implicare la sottomissione al sovrano  creare le condizioni che permettano agli uomini di unirsi in un corpo politico senza per questo dover rinunciare ai propri diritti inalienabili di libertà uguaglianza e indipendenza. Per Rousseau bisogna trovare una forma di associazione che difenda e protegga con tutta la forza comune la persona e i beni di ciascun associato, e per la quale ciascuno, unendosi a tutti, non obbedisca che a sé stesso e resti libero come prima. Stipulando il patto gli individui cedono i propri diritti naturali individuali e li vedono trasformati in diritti civili, ma senza perderli e intanto si vedono assicurate sicurezza, libertà e uguaglianza.  ogni contraente cessa di essere persona privata e assume qualità di membro individibile del Tutto. Si crea così una persona pubblica (una comunità, un’unione di tutte le persone) definita repubblica o Corpo Politico, che qnd è passiva è detta Stato, quando è attiva è detta corpo sovrano, ed è una potenza in relazione agli altri corpi politici. Rousseau poi affronta il rapporto tra libertà e obbligo politico: Spesso accusato di essere pensatore totalitario ma non è cosi per due aspetti: a) la libertà è l’ubbidienza alla legge che si prescrive a se stessi, quindi obbedendo alla volontà generale gli uomini in quanto membri del corpo politico non fanno altro che obbedire a se stessi come autorità sovrana (no elemento terroristico); b) Alienazione non implica soppressione dei diritti naturali ma significa che si trasformano in diritti civili  viene ceduta libertà naturale in cambio di libertà civile: dopo il patto >LA CORRENTE MODERATA: che della rivoluzione vuole conservare la spinta a creare ordini politici moderni e razionalizzare lo stato, ma vuole tenere tutto sotto controllo mediante i poteri costituzionali e soprattutto imbrigliare nei poteri costituiti (cioe norme costituzionali) il potere costituente del popolo. >LA CORRENTE DEMOCRATICA-RADICALE: vuole destrutturare l’ordine politico riaprendo il processo costituente, forza del popolo contro un nemico interno. Sieyes E’ tra gli interpreti della rivoluzione colui che per primo propone la concezione del potere costituente. La Nazione Sieyes distingue tra: - La Società Civile o Nazione che è l’insieme di tutti i francesi a cui viene attribuito il potere costituente; - Lo Stato che è l’organizzazione politica francese, titolare dei poteri costituiti. La volontà generale trascende le singole volontà individuali e crea una “persona morale” che si perpetua nelle generazioni. In “Che cos’è il terzo stato”? Afferma che il terzo stato è la nazione come corpo unitario di cittadini generato dal diritto naturale e non positivo, che esercitano una sovranità comune e inalienabile. Essa è l’origine del tutto, esiste prima di ogni cosa e la sua volontà è la legge stessa! Il potere costituente è fonte di ogni legalità e la costituzione è la forma giuridica che limita i poteri costituiti e non può limitare il potere costituente perché ne è il prodotto. “Il Legislativo è fatto per volere e l’esecutivo per agire in base a tale volontà”.  La nazione non deve sottomettersi a certe forme costituzionali!! Sieyes elabora anche la concezione di cittadinanza come associazione tra individui basata su rapporti di uguaglianza e universalità tali da escludere ogni forma di privilegiato, il quale costituisce un elemento esterno all’ordine politico, che deve essere combattuto. Ecco che l’esigenza di unità della nazione produce il principio di una guerra civile potenziale contro i privilegiati (sono nemici interni); La Rappresentanza Sieyes rifiuta la rappresentanza per ceti in quanto la volontà della nazione coincide con la volontà comune e inalienabile e unitaria di un corpo di cittadini, ma anche quella moderna, che si è unitaria, ma poi il rappresentante è come un sovrano e il popolo perde la sovranità. Egli ritiene che serva una rappresentanza commissariale in cui i delegati hanno solo l’incarico di agire per gli affari del governo. Solo in casi straordinari vi è un tipo di rappresentanza, la “Rappresentanza Straordinaria” (si verifica solo per uno scopo ben preciso e circoscritto) tale per cui la volontà dei rappresentanti coincide con quella della nazione, ma anche in questo caso la nazione non perde la sovranità del tutto, perché sciolta l’assemblea, la nazione può fare quello che vuole.  il potere costituente della nazione non è né istituzionalizzabile, né giuridificabile. Egli elabora la “teoria della rappresentanza politica”: Afferma che anche in politica bisogna applicare il principio della divisione del lavoro, in modo da lasciare il lavoro rappresentativo ai più competenti (governo come professione) e si svincoli dai vincoli cetuali e corporativi dell’Ancien Règime. Egli elabora anche la “teoria del mandato libero”: Afferma che un deputato rappresenta la Nazione tutta, perciò non può essere vincolato a volontà particolari. I deputati sono mandatari della volontà nazionale che è sempre in atto perché il potere costituente non si esaurisce mai! Il potere legislativo è l’interprete della volontà generale, mentre quello esecutivo si riduce ad applicare la legge: questo sarà utilizzato dalla costituzione giacobina per legittimare il potere. Sieyes poi stabilisce la strategia della “regola”, che limita preventivamente i poteri stabilendone gli ambiti di applicazione (rifiuta il modello di bilanciamento dei poteri inglese). Ispirata a Sieyes sarà la costituzione termidoriana (1795), dove vengono nettamente separati legislativo ed esecutivo, e il potere legislativo è diviso tra diversi corpi che propongono e votano le leggi (non è più il popolo a farlo)  struttura istituzionale con pluralità di organi. Non c’è più l’identificazione tra potere legislativo costituito e potere costituente. Storicamente: nel 1792 in Francia, distrutta la monarchia, la Convenzione si riunisce per dare alla Francia una nuova costituzione. A sinistra ci sono i girondini, al centro la palude e a destra i monarchici costituzionali. Alle elezioni i girondini hanno la maggioranza ma un cospicuo numero viene eletto tra i giacobini (Robespierre), ala estrema della sinistra. Il conflitto tra girondini e giacobini è quello tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta. I Girondini Esponenti più importanti Brissot e Condorcet. CONDORCET elabora una teoria di una matematica sociale, che permetta con la statistica e la matematica di elaborare previsioni in ambito politico. Poi elabora anche la teoria del progresso storico e filosofico, secondo cui lo spirito umano ha compiuto un cammino di dieci tappe, mediante un progressivo perfezionamento organico e spirituale della specie umana. Politicamente si è passati da regimi dispotici a regimi democratici e rappresentativi. Il pregresso è illimitato e per gli uomini della decima epoca (quella attuale) vi è la possibilità della felicità e di vedere abolite disuguaglianze e guerre. Quando il 9 termidoro 1794 il Terrore di Roberpierre viene fatto cadere, i girondini instaurano il Terrore Bianco (che si scatenò contro i Giacobini e i Sanculotti (i più radicali tra i partigiani della rivoluzione francese, coloro che non portano le culottes, i tipici pantaloni della nobiltà)) e attuano una politica liberale, con la costituzione dell’anno III (1795) in cui si rinuncia al suffragio universale, si afferma il principio del censo, il diritto di proprietà e di libera iniziativa economica. L’assetto costituzionale: potere legislativo a 2 assemblee, potere esecutivo a un Direttorio di 5 membri dell’assemblea degli anziani. I Giacobini Controllano il potere mediante il Comitato di salute pubblica dal 1793 al 1794. OBIETTIVO: Vogliono reintegrare l’uomo con sé, con gli altri e con la natura realizzando la volontà generale  restaurare la natura contro la corruzione della società. Essi partono dalla presunzione che l’uomo si trovi in uno stato di minorità che gli impedisce di essere libero e quindi serve un’autorità , il partito rivoluzionario, che ha il diritto e il dovere di guidare l’uomo al recupero della sua sostanza buona, anche mediante rigidi strumenti di coazione e introduzione di elementi di inugluaglianza. Robespierre: (riprende spesso Rousseau) • Il principio che anima la democrazia è la virtù. • La democrazia deve essere un mix tra diretta e rappresentativa. • L’istituto della rappresentanza ha gravi limiti poiché deve essere limitato temporalmente ed è continuamente soggetto ai controlli del popolo sovrano che deve controllare la corruzione dei deputati. • I rappresentanti sono solo commissari  Ha una concezione solo strumentale delle istituzioni: ad esempio il potere esecutivo in realtà non gode di una sufficiente porzione di sovranità per poter esercitare in maniera significativa la sua funzione ma il primato va all’Assemblea legislativa, perché il potere del popolo è sopra ogni istituzione. “Sia le istituzioni che la politica sono solo strumenti per rigenerare l’uomo e riportarlo alla virtù”. Il Terrore diviene lo strumento inevitabile per realizzare libertà, uguaglianza e fratellanza e per imporre la volontà generale anche contro l’apparente volontà della maggioranza e venire imposta da un partito minoritario. In più Robespierre rifiuta l’ateismo e attraverso il culto dell’Essere Supremo (ispirato al deismo), cerca di dare maggior legittimazione al terrore. Saint Just, collaboratore di Robespierre, attribuisce alla rivoluzione il potere di rigenerare integralmente la società umana, la quale è naturale ma ha bisogno di regole. La società è si naturale, ma se lasciata priva di elementi ordinativi è destinata a generare guerra. Questo stato di guerra è sempre stato legittimato dalla politica che è fonte di violenza e ingiustizia, e che ha realizzato il comando dei vincitori sui vinti.  necessità di un’altra politica. Il trionfo del bene può avvenire solo mediante l’azione di una dittatura pedagogica destinata a potenziare le potenzialità umane che in natura esistono ma non possono esprimersi efficacemente. La Rivoluzione ebbe un forte impatto anche nelle colonie francesi, e in modo particolare nella più ricca di esse, Santo Domingo, la “Perla delle Antille”, dove gli schiavi diedero vita ad una rivoluzione che nel giro di pochi anni portò all’abolizione della schiavitù nei possedimenti coloniali francesi e, nel 1804, alla nascita del primo Stato indipendente a maggioranza nera: Haiti. Gli insorti vengono anche chiamati “Giacobini Neri”. Sotto la guida di Toussant Louverture, un ex schiavo affrancato che si distinse per capacità militari e grande acume politico, gli insorti raggiunsero brevemente il controllo di gran parte dell’isola, grazie anche al sostegno della nuova Convenzione Nazionale francese a maggioranza giacobina, che li sostenne per non cedere l’isola agli spagnoli ed agli inglesi, e concesse formalmente l’abolizione della schiavitù nel 1794. Louverture venne catturato nel 1802 dalle truppe del governo francese intenzionato a ristabilire la schiavitù, e morì un anno dopo in carcere. Il processo rivoluzionario riprese a Santo Domingo, con a capo uno dei massimi collaboratori di Louverture, Jean Jacques Dessalines, che il I Gennaio del 1804 dichiarò l’isola una libera Repubblica indipendente.  Il concetto di proprietà è fondamentale: essa nello stato di natura esisteva, ma era solo provvisoria. Poi nasce lo stato che attraverso le leggi la difende e la rende perentoria. È cittadino “pleno iure” solo chi ha una proprietà, perché così non dipende da altri e può essere perfettamente integro e quindi partecipare al processo legislativo. (Prospettiva anti- democratica: concepisce lo status economico o censo come presupposto necessario per godere dei diritti politici). Kant accoglie il principio di separazione dei poteri (senza il quale non si può accettare l’idea di rappresentanza) e delle 3 forme di Stato monarchia, aristocrazia, democrazia. Kant preferisce la Repubblica alla democrazia, perché nella democrazia ognuno partecipando direttamente vuole essere il signore; invece nella repubblica vi sono i rappresentanti, ma bisogna essere certi che non anullino il principio rappresentativo diventando dispotici e soprattutto garantiscano la totale separazione tra poteri: il legislativo e l’esecutivo devono essere seprarati e né uno né l’altro possono giudicare. La Storia, l’Illuminismo e l’Ordine Internazionale ➢ La storia La storia è caratterizzata da un razionale cammino di progresso verso un ordine civile razionale. Il principio direttivo della storia è un disegno della natura, che si attua senza che gli uomini ne siano consapevoli, ed è finalizzato a crare una società civile che faccia valere universalmente il diritto. Questo disegno traspare dal passaggio da uomo barbaro a civilizzato. Kant interpreta la rivoluzione Francese in 2 modi: - Non la giustifica come atto di violenza perchè questo è quell’aspetto della politica che va superato dal diritto positivo; - Considera il risultato giuridico e storico da essa raggiunto come manifestazione della tendenza storica alla razionalità. Atto di entusiasmo e passione che nasce perché il popolo ha voluto darsi una costituzione che credeva buona. ➢ L’illuminismo “L’Illuminismo è definito da Kant come l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità e il suo far uso pubblico della ragione”. Infatti Kant distingue: - L’uso pubblico della ragione è quello di uno studioso dinanzi ai suoi lettori (libertà di manifestare il proprio pensiero razionalmente); - L’uso privato della ragione si attua nel momento in cui eseguiamo la funzione civile affidataci. Non si può ragionare ma solo obbedire. ➢ Guerra e pace: Kant critica la guerra nella sua epoca perché ormai è solo un mezzo barbarico distruttivo e dannoso per la cultura (mentre storicamente ha avuto ruolo positivo di disperdere ovunque il genere umano ad abitare il pianeta); In “Per la pace perpetua” afferma che la pace è la situazione in cui la ragione umana si realizza mediante un progresso anzitutto morale: non della morale in quanto tale che è assoluta, ma della disposizione umana a sottomettersi ai suoi comandi  “la pace nn deriva dall’amicizia tra stati ma da un’esigenza logica e morale”. Bisogna fare in modo che il diritto internazionale non coincida piu solo con lo ius ad bellum (diritto di fare la guerra) dei sigoli stati, ma nella sottomissione volontaria della loro sovranità alla razionalità veramente universale della legge internazionale, che non è una legge esterna degli stati, ma un imperativo della ragione. Condizioni negative della pace: limitazioni alla propria sovranità. Condizioni positive: - Stati con costituzione repubblicana con cittadini informati e attivi - Il diritto internazionale si deve fondare su una libera federazione di stati che rinunciano volontariamente a farsi guerra fra loro (tappa intermedia prima della lega dei popoli); - Il diritto cosmopolitico, cioè il diritto delle persone singole ad accogliere ed essere accolte nel mondo, senza subire sopraffazioni, deve essere limitato alle condizioni di universale ospitalità. Il Giudizio Politico Kant non ha scritto mai la sua filosofia politica, quindi secondo alcuni pensatori del ‘900 come Hannah Arendt, per capire il pensiero politico di Kant possiamo studiare la “Critica del giudizio”, in cui si parla di estetica. Ne emerge che il giudizio di Kant non è oggettivo e scientifico come quello del razionalismo moderno, bensì ritiene che la politica sia un’agire libero, comune e pubblico. La differenza è che nel primo caso l’universale deve superare il particolare, nel secondo caso l’universale politico si costituisce grazie al particolare, cioè grazie alla pluralità di opinioni che si fronteggiano nell’arena politica e tutte vengono rispettate. CAPITOLO X – LA DIALETTICA Pensiero più importante del XIX secolo. Autori: Fichte, Hegel, Marx. La dialettica moderna è un tipo di pensiero che analizza soprattutto le contraddizioni del pensiero razionalistico moderno, in particolare quella tra libertà individuale e necessità dell’ordine politico, cioè tra soggetto e stato. Essa inizia a riflettere a partire da: 1) Kant: la dialettica afferma che non è possibile una piena conciliazione tra soggetto morale interiormente libero e ordine politico che limita necessariamente le libertà esteriori, ed è proprio nella rivoluzione Francese che si manifesta ciò. 2)la dialettica accetta che in politica si debba applicare la ragione, ma del razionalismo moderno e dell’illuminismo critica l’eccessiva astrattezza, causa prima dei fallimenti.  La dialettica prende sul serio le contraddizioni presenti nel progetto razionalistico e cerca di interpretarle entro diversi apparati categoriali che ne permettano il superamento e la concretezza, in modo da far si che queste contraddizioni non siano assunte solo come cieco destino, ma come gradini verso la libertà. I difetti della dialettica sono: - Produrre effetti non voluti di olismo metafisico (supremazia del Tutto sopra le parti) e passività politica, a causa del suo impianto ottimistico; - Affida la realizzazione della libertà non all’agire umano ma alla necessità della storia. Fichte Riprende le tematiche di Kant e vuole organizzare la politica in modo che si superi la distinzione tra mondo morale dello spirito e mondo empirico della storia.  il dovere morale diviene principio di azione politica e spinge la storia ad affermare progressivamente la libertà, rendendo protagonisti sia l’individuo che lo stato e la nazione. Rispetto a Kant, considera si la rivoluzione francese come un importante evento storico, ma è interessato a indagarne anche le cause di legittimità. E inoltre considera l’inadeguatezza tedesca di fronte alla rivoluzione e quindi vuole impegnarsi affinché la Germania, nazione spiritualmente “eletta”, “realizzi l’umanità tra gli uomini” e realizzi l’ultima tappa del progresso morale  per farlo punta molto sugli intellettuali come guida filosofica e morale del popolo verso la libertà. Rivoluzione e Libertà politica Fitche ha una concezione contrattualistica e antidispotica dello stato. Egli critica il meccanismo assolutistico e paternalistico perché afferma che è necessario distinguere tra la felicità, che l’uomo si attende da Dio, e la protezione dei diritti esterni che deve essere garantita dal sovrano. Inoltre afferma che è necessario ricordare che ci sono diritti alienabili e diritti inalienabili e tra questi ultimi il diritto di critica della dimentisione pubblica. Nell’opera “il Contributo”, infatti, egli mostra la legittimità della rivoluzione, in quanto basata sulla libertà degli uomini e il diritto inalienabile di cambiare il proprio pensiero e la propria volontà  Proprio il futuro, dimensione del progresso e perfezionamento, obbliga gli uomini a non considerare immutabili le costituzioni tramandate (al contrario di Rehberg: ogni generazione riceve in eredità un quadro istituzionale che non può respingere) Gli individui non devono ancorarsi a specifiche forme costituzionali, ma possono cambiarle se lo ritengono opportuno, perché lo Stato è solo uno strumento finalizzato alla creazione di una società perfetta di uomini liberi e ragionevoli, concepito in funzione del proprio annientamento (lo scopo del governo è quello di rendere superfluo un governo). Per realizzare tutto ciò secondo Fichte serve l’aiuto dei dotti. Importantissimo per Fichte è il ruolo della morale che serve per uscire dalla concezione della politica come coercizione, per far trionfare la legge generale. Egli quindi elabora la teoria delle quattro sfere concentriche: la prima è più ampia è il terreno della coscienza (legge morale), quella più piccola è quella del contratto statale (contratto particolare ma non diverso da tutti gli altri che possono essere realizzati), i cerchi intermedi sono quelli del diritto naturale in cui ognuno può realizzare contratti. Lo Stato e la Rappresentanza L’opera più importante di Fichte è “Fondamento del diritto naturale secondo i principi della dottrina della scienza”. La tesi è: l’individuo è un essere razionale e moralmente libero. L’antitesi è: coesistono più libertà. scandaloso farsi umano della divinità), innalzando il ruolo del soggetto verso l’assoluto. ✓ Nella “Costituzione della Germania” Hegel afferma che la Germania è caratterizzata da un deficit di concretezza, che non la rende capace di resistere alle truppe Napoleoniche. Egli afferma che è necessario risvegliare lo spirito nazionale tedesco affinchè la Germania trovi la propria via alla rivoluzione. Per Hegel infatti la rivoluzione francese è ok, ma il messaggio di libertà che lancia manca di concretezza storica nazionale! La Germania deve renderlo concreto abolendo il feudalesimo e i particolarismi attraverso uno Stato inteso come universalità fornita di potenza. ✓ Nel “Sistema dell’eticità” egli afferma che l’eticità migliore è quella greca, in cui il conflitto tra individuo e stato è risolto nella totalità politica: nella polis greca il cittadino si riconosce immediatamente nella città, nello stato. Si crea un’unità che è armonia. Hegel polemizza contro l’astrattezza della libertà borghese fondata sull’uguaglianza esteriore. SUPERAMENTO DEL CONTRATTUALISMO: - Hegel nega la validità dello strumento del contratto che, secondo un processo razionalistico di costruzione dello stato, dovrebbe portare la moltitudine dei singoli a trasformarsi nell’unità del corpo politico.  il tutto non può essere costrutito dalle parti: i singoli individui, che erroneamente credono col contratto di essere origine dell’universalismo politico, si collocano già all’interno dell’Idea del Tutto e agiscono grazie a questa (non grazie al contratto). - Egli afferma il primato logico e storico del Tutto sulle parti, l’unitaria sovranità dello Stato, radice originaria su cui si fonda la vita associata in opposizione all’impostazione che pone all’origine un elemento privatistico (contratto) e individualistico (difesa del proprio diritto naturale) . ✓ “La fenomenologia dello spirito” Secondo la filosofia Hegeliana la coscienza svolge un processo di riconoscimento, passando attraverso diverse fasi: Coscienza (riconoscimento di un altro fuori di se), Autocoscienza (il sapere di se stessi), Ragione (operare in sé), Spirito (operare l’opera dello spirito). La coscienza con questo percorso giunge a sapersi come autocoscienza che non vive isolata, ma tra le altra autocoscienze. Tutti i soggetti per Hegel entrano in una dimensione sociale di relazione e confronto attraverso la dialettica del riconoscimento: un processo dialettico che porta i soggetti a conoscersi. Ad esempio storia del rapporto dialettico servo-padrone: il signore, colui che lotta e che non ha paura della morte, e il servo, colui che davanti al rischio della vita che la lotta comportava ha riconosciuto il signore sottomettendosi e lavorando per lui. In realtà il vero vincitore è il servo perche il signore, esonerato dal lavoro è come se uscisse dalla storia, il servo invece, che all’inizio crede di essere schiavo, attraverso il lavoro si conosce, capisce la sua importanza, capisce che la realtà esterna è da lui formata e diventa il vero padrone, uomo libero. E’ proprio attraverso la vita reale e le esperienze che il soggetto diviene soggetto concreto, che attraversa le diverse fasi della storia: dalla serenità della Grecia Antica, alla concezione giuridica dell’impero romano, alla coscienza infelice del medioevo fino all’età moderna, dove in Germania la riforma di Lutero ha permesso di realizzare la vera libertà, intesa come comprensione filosofica della realtà. La Filosofia del Diritto “Lineamenti di filosofia del diritto” Opera divisa in 3 parti: 1. Diritto; 2. Moralità; 3. Eticità. Il vero oggetto di indagine è lo Stato moderno post-rivoluzionario. La conciliazione del particolare con l’universale, raggiunta nel sapere assoluto fenomenologico, viene attuata nella realtà storico sociale (che Hegel definisce spirito oggettivo), dallo Stato Moderno post- rivoluzionario. Nella prefazione Hegel affronta il tema della libera personalità infinita e afferma che nella Polis Greca la libertà rimane solo un ideale perché rimane indifferenziata, propria di una totalità semplice; la libertà soggettiva, invece, si realizza nel mondo cristiano-germanico grazie alla capacità critico-lavorativa che gli uomini hanno conquistato con il lavoro moderno caratterizzato dal capitalismo. Come si realizza la libertà per Hegel?? attraverso le contraddizioni del reale. Nella parte del Diritto: la libertà è volontà astrattamente libera e assume le forme del diritto privato (proprietà, contratto, illecito), che però regola i rapporti tra due individui solo in quanto persone giuridiche. Nella parte della Moralità: la libertà è la volontà che diviene cosciente di sé, ed è veramente libera. È volontà soggettiva. Nella parte Eticità: la volontà da particolare diviene universale perché il soggetto raggiunge la fase di autocoscienza, riconoscendosi nello stato. Qui si ha la piena realizzazione della libertà!!! La parte di eticità è divisa in: a) Famiglia: è la prima radice etica dello stato. E’ un’unita ancora solo sostanziale ed è la sede degli affetti in quanto fondata sull’unione immediata dei legami di sangue e dell’amministrazione del patrimonio privato. Non vi è ancora il principo di soggettività come scissione perché gli interessi dei membri (del padre e del figlio) non si contrappongono. La distinzione tra famiglia e società civile è opera della trasformazione moderna, e avviene quando il lavoro esce dalla casa, dall’oikos, rompendo i rapporti di dipendenza che regolavano l’antica economia europea e gettando il soggetto nella società civile regolata da dinamiche diverse. b) Società civile: è la sfera pubblica universale caratterizzata dalla molteplicità di soggetti con interessi diversi. E’ il mondo delle individualità infinite dominate dalla concorrenza e dal mercato. Hegel la divide in 4 momenti: 1) Sistema dei bisogni: luogo del disordine, domina l’intelletto e la razionalità calcolatrice e del lavoro; 2) Amministrazione della Giustizia: ricompare un elemento universalistico ovvero la restaurazione del diritto violato; 3) Polizia: amministrazione interna dello stato con ripresa delle scienze camerali tedesche; 4) Corporazione: prima forma di totalità concreta seppur ancora di interessi particolari e non sostanziali. “La società civile è dunque il mondo dei rapporti economici tenuti avvinti dal diritto”.  corrisponde allo stato liberale di diritto di Kant PASSAGGIO DALLA SOCIETA CIVILE ALLO STATO Ciò che segna l’apertura della Società Civile allo Stato è l’articolazione in ceti: c) Stato: è l’universale, ma non come somma dei particolari, bensì è l’universale certo di sé, che non nasce dai particolari, ma è invece consapevole di esserne l’origine. E’ il “das Wissende”: l’entità che sa. Hegel comunque riconosce il valore degli interessi particolari per l’interesse universale, infatti la scoietà civile non si annulla nello Stato, ma rimane immanente, perché in essa si manifesta la libertà soggettiva. La società per Hegel è divisa in Stande cioè ceti o corporazioni, associazioni che non derivano da un’originaria apparteneza naturale ad una categoria ma sono legate alle diverse forme di lavoro della moderna società e mostrano la personale predisposizione del particolare a riconoscersi nell’universale. Esse sono: • Ceto Sostanziale (proprietari terrieri); • Ceto Formale (mondo industriale); • Ceto Universale (tutti quelli che sono al servizio diretto dell’interesse universale, la burocrazia). Questa rappresentanza cetuale è pensata da Hegel perché in essa la società è rappresentata “come essa è”, cioè persone atopicamente dissolte che si stanno preparando al volere l’universale. Lo stato di Hegel è una monarchia costituzionale, che si articola nei 3 poteri, ma non è creata da questi (a differenza del razionalismo!). Lo stato a differenza del giusnaturalismo e razionalismo : - Non è la somma di volontà particolari ma è l’idea etica (libertà) che si manifesta attraverso la mediazione della società civile (rappresentazione cetuale) che riesce a unire la coscienza soggettiva con l’ordine oggettivo. - Nel rapporto tra religione e politica, per Hegel la politica supera la religione perché riesce a realizzare nel concreto la libertà che la religione realizza solo nel cuore. individuale razionalità”, derivandone una nuova politica scientifica (i philosophes), che pretende di stabilire leggi universali. - La scienza politica per Burke, è sperimentale: deve invece essere fatta con cautela e molta saggezza data la variabilità dei processi storici + incidenza degli elementi extra razionali (affetti, istinti, abitudini); - Secondo lui l’uguaglianza tra gli uomini non si basa sui diritti naturali, ma sulle virtù dei singoli, così come l’equilibrio sociale scaturisce non dall’opera dello Stato, ma dalla naturale ricomposizione del dissidio tra interessi reciprocamente conflittuali, vi è infatti tra ordine naturale e ordine politico una simmetria provvidenziale fondata sul principio evolutivo; - Secondo Burke la rivoluzione abbatte uno Stato per crearne uno nuovo, ancora più potente perché pretende di realizzare nuove istituzioni razionali e, a tal fine, deve avere in proprio potere tutta la società. Ma rimuovere le istituzioni intermedie già presenti (parlamenti, corporazioni), porta il potere politico a degenerare in dispotismo. I Controrivoluzionari Cattolici Criticano non solo la rivoluzione, ma tutto l’intero pensiero illuminista, perchè secondo il loro determinismo teologico-politico la società e il potere politico hanno un fondamento naturalmente trascendente: Dio. Dio fonda l’ordine politico e poi lo abbandona alle ferree leggi di una natura gerarchica e la storia ha il compito di tramandare queste gerarchie. Secondo il loro “naturalismo cristiano” è del tutto inutile che l’uomo cerchi di sostituirsi a Dio nel legittimare la politica, perché finisce con il produrre solo instabilità e disordine  il potere unico, indivisibile e gerarchico trascende ogni possibilità di intervento autonomo da parte degli uomini: l’ordine politico non si può fondare su libertà e razionalità, altrimenti sarebbe un prodotto esclusivamente umano, e quindi modificabile. Solo gli spostamenti relativi ai dogmi religiosi possono produrre spostamenti adeguati sul piano politico. Il sovrano è un diretto ministro di Dio e il suo mandato è quello di amministrare un ordine che è intrinsecamente stabile. Essi ritengono che la sovranità sia una, personale , infallibile, di diritto divino ma NON illimitata: essendo aristocratici pur riconoscendo il monarca portano avanti la lotta all’accentramento monarchico  l’unico diritto di resistenza è quello naturale, dei ceti nei confronti del monarca, che richiama il monarca ai limiti naturali del suo potere. Comunque essi hanno compreso: il ruolo del potere e della religione nel creare stabilità e la possibilità che la ragione moderna crei un potere ancora più forte e invadente di quello tradizionale. Maistre - La ragione individuale produce solo opinioni divergenti, quindi serve una religione politica, una “Religione Nazionale” imposta dal sovrano per motivi di coesione interna. - Il fondamento della politica non è l’uomo ma Dio e l’origine non è capibile dalla ragione umana. - La storia è “politica sperimentale”, nel senso che è la dimostrazione ex post di una legittimità della politica che sfugge alla ragione; la monarchia, ad esempio, agli occhi umani è solo una legittima usurpazione che essi non comprendono. La Provvidenza divina, che procede per vie misteriose, vuole che l’uomo sia incapace di governarsi, che la sovranità sia fondata sul sacrificio e sulla punizione più che sulla razionalità. - In “Considerazioni sulla Francia” afferma che la rivoluzione francese è proprio la dimostrazione che gli uomini con la loro ragione non possono cambiare la storia: prima infatti afferma che la rivoluzione non fu opera solo degli uomini, bensì degli uomini guidati da Satana; poi partendo dall’assunto che solo Dio è motore della storia, afferma che: poiché gli uomini da soli non potrebbero mai riuscire ad abbattere l’ordine voluto da Dio, eppure con la rivoluzione sembra che ce l’abbiano fatta perché hanno ucciso il re, allora è in realtà Dio stesso che ha voluto la rivoluzione per punire la corruzione dell’antico regime e riportare poi l’ordine necessario  è un miracolo di origine divina. - La politica potrà essere sottratta dall’assolutismo e dalla ribellione solo se la sovranità si riconoscerà fondata su Dio e non sulla ragione + se accetterà di trovare i suoi limiti non nelle costituzioni ma nell’autorità del Papa, arbitro della politica europea della restaurazione. Bonald (1754-1840) - Secondo l’impianto teorico di Bonald, Dio ha donato all’uomo il linguaggio e la ragione, ma quest’ultima può essere usata solo per comprendere un mondo che l’uomo non può modificare. - Tutta la società obbedisce a una regola trinitaria di causa ed effetto, che riprende i rapporti della divina trinità, come il rapporto tra: o Dio (la causa) e la creautura (l’effetto) è stato mediato da un mezzo (il Verbo/Figlio); o Potere de re (la causa) e la società dei sudditi (l’effetto) richiede di essere mediato da un Ministro (la nobiltà). Ogni rapporto politico viene concepito come un caso applicativo di questa regola:  Il sistema della società è quindi di tipo organicistico e la società politica (guidata dall’aristocrazia) protegge la società civile, luogo della produzione (i migliori membri di quest’ultima possono essere cooptati nella prima). Secondo la sua teologia politica poi vi è sempre un parallelismo tra la forma di dogma e la forma della politica, quindi la rivoluzione, frutto della ragione umana, è infernale e votata all’inevitabile fallimento, perché pretende di agire al di fuori di ogni dogma religioso (anche se ha avuto un effetto positivo: la Francia ha espulso i suoi vizi). Lamennais (1782-1854) - Secondo lui la ragione è il “senso comune”, che è principio di autorità. Ma la ragione si è sempre data una religione, per appagare il bisogno di certezze. La Religione Cattolica è la migliore perché è la più razionale e fornisce maggiori certezze. - La ragione moderna è invece irrazionale perché vuole fare a meno della religione, quando invece solo Dio è l’autore della società e solo il cristianesimo cattolico ne è la garanzia della conservazione. - Lamennais critica non solo la rivoluzione, ma anche la restaurazione perché ritiene che i borghesi non si siano distaccati a sufficienza dai principi rivoluzionari e ritiene che invece la Chiesa dovrebbe cogliere questa storica occasione per correggere le instabilità del mondo moderno, dando vita a un vero e proprio partito cattolico. Donoso Cortés - Egli reagisce non tanto alla rivoluzione francese del 1789 ma a quella europea del 1848 (moti del ’48). - L’ordine politico può essere fondato solo su Dio che spiega e giustifica le strutture gerarchiche di dominio nella famiglia, nella società e nello Stato. Secondo la sua spiegazione teologico-politica: - Al Teismo (Dio crea e governa il mondo) corrisponde l’assolutismo regio; - Al Deismo (Dio crea ma lascia il mondo alle sue leggi)  liberalismo costituzionale (parlamenti che controllano il sovrano); - Al Panteismo (Dio è ovunque)  Democrazia (sovranità ovunque); - All’Ateismo (rifiuto di Dio)  Socialismo (rifiuto di ordine politico e di Dio). Secondo lui tutta l’Europa dal 1848 è diretta verso un’inarrestabile decadenza in cui il nesso tra trono e altare che si è incrinato, non può più essere ripristinato e lascia inevitabilmente spazio all’avvento del Socialismo. E la rivoluzione francese, che ha posto in dubbio i principi del Cattolicesimo, non ha fatto che peggiorare la situazione, infatti anche i borghesi liberali hanno fallito, perché non hanno capito il nesso tra ordine religioso e ordine politico, quindi non hanno capito che distruggendo il Cattolicesimo hanno aperto la strada al Socialismo. L’unico modo per rispondere all’avanzata dei socialisti (rivoluzione democratica e socialista) è istaurare una dittatura cattolica. Liberalismo e Positivismo in Francia Il Liberalismo Postrivoluzionario mostra come Democrazia e Libertà possano talvolta contraddirsi perché un Governo Popolare (effetto della Rivoluzione Francese) può trasformare le leggi che normalmente sono garanzie di libertà, in ostacoli alla libertà (Terrore). Constant - Per Constant la lezione della storia francese dall’89 è che anche l’autorità legittima/ la legge dello stato può trasformarsi in dispotismo  L’autentica libertà deve collocarsi in una dimensione esterna alla legge e cioè nella indipendenza dell’esistenza personale. - Egli della rivoluzione esalta i principi (libertà, eguaglianza, sovranità popolare) ma critica le forme di governo a cui essa conduce: Dal Terrore fino alla tirannia di Napoleone. - Sicuramente secondo Constant non si può più mettere in discussione il primato della sovranità popolare, però essa deve essere limitata entro delle forme costituzionali, - Passaggio uomo da natura a cultura; - Cerca di dominare la natura attraverso riti magici e mistici; - Società fondata sul lavoro degli schiavi, guerra, governo militare. ▪ Stadio metafisico: - Ai miti si sostituiscono le entità astratte prodotto della filosofia; - Dal punto di vista sociale si affermano individualismo, egoismo, utilitarismo; - Sovranità al popolo. ▪ Stadio scientifico o positivo: - Osservazione e rispetto dei fatti; - Questo stadio che da tempo si è sviluppato nella matematica, astronomia, fisica etc..deve raggiungere anche la politica, la morale e l’economia e questo è il compito della filosofia positiva. (Comte è fondatore della sociologia = scienza della società). Anche lui è sostenitore della società industriale come definitivo sistema di organizzazione sociale, ma la solidarietà tra le diverse componenti non deve ostacolare il progresso che è sia “rinnovamento mentale” che “rinnovamento sociale”. Egli promuove la religione positiva che è al vertice del sapere inteso come comprensione dell’umanità. Deve esserci l’unità di un culto, di una morale, di un costume, deve esserci una Religione dell’Umanità. La Germania I prossimi autori riguardano le reazioni che si sono verificate in Germania in risposta all’Illuminismo e alla Rivoluzione Francese. Herder Lui riscopre il valore delle tradizioni e delle culture nazionali, infatti è colui che crea il termine nazionalismo anche se la sua finalità non era quella di chiudere i popoli in se stessi ma di rivendicare il diritto delle genti a manifestare la propria specificità in modo autonomo. Ogni popolo è manifestazione unica e originale della divinità e le genti hanno diritto a manifestare in modo autonomo la propria specificità. Natura e storia insieme cooperano all’educazione dell’uomo e dell’umanità, entrambe sono la manifestazione di Dio. La successione delle epoche storiche è manifestazione del cammino di Dio attraverso le nazioni: l’Oriente è la sede del genere umano, La Grecia è il luogo delle istituzioni libere abattute poi dai Romani, l’antichità germanica è il luogo della convergenza tra cristianesimo e cultura nordica che si apre a un nuovo ciclo storico. Il Romanticismo La cultura romantica critica la razionalità razionalista e illuminista che pretende di avere validità universale facendo astrazione da ogni concreta circostanza di tempo e luogo, trasformandosi da principio di libertà e eguaglianza e giustizia in strumento di oppressione terrore e violenza. Alla ragione i romantici oppongono il principio della soggettività e del sentimento concreto. L’interiorità spirituale però non è in grado di dar vita a un’autonoma prospettiva politica e infatti loro sublimano ogni problema reale a una “sfera superiore” la sfera poetica  riduzione della politica a poesia, aspirazione a una politica poetica. ✓ Friedrich Schlegel: - Il Romanticismo si basa su uno “stato interiore”, che è politica sentimentalizzata, la quale rifiuta ogni differenza politica e istituzionale e porta quindi a un’indifferenza per il dibattito relativo ai problemi politico-isituzionali. - Egli rifiuta il meccanicismo e per organizzare lo stato propone l’organicismo in cui la religione sia fonte di legittimazione e fattore di limitazione del potere. - Esalta il Medioevo come epoca organica, basata su un’organizzazione corporativa della società con: 3 classi che producono (contadini, artigiani e servi); 2 classi che governano (nobili e chierici) e il monarca come giudice. Nel medioevo precetti morali e religiosi convergono. ✓ Novalis: - Esalta il modello del cattolicesimo medievale come esempio insuperato di ordine politico e unità spirituale e critica il moderno assetto sociale fondato sul contratto. Egli sostiene la poeticizzazione della politica attraverso la proiezione esterna dell’io sentimentale. - Lo stato è visto come un “grande uomo” di cui le corporazioni sono gli organi: la nobiltà è la facoltà morale, il clero la facoltà religiosa, i dotti l’intelligenza e il re la volontà. Ciò che tiene unito questi organi è l’amore. (il re esiste perché vi è una devozione emotiva da parte dei sudditi). - Egli vede nel Cristianesimo la forza che può rigenerare l’Europa conferendole unità spirituale, lacerata dalla Riforma e dalla rivoluzione. ✓ Adam Muller: - Oppositore allo stato prussiano, propone di riorganizzare la società attraverso lo Stato monarchico, che assicuri la continuità della tradizione politica, sociale ed economica senza degenerare in nazionalismi o politica di potenza. - Anche lui esalta il Medioevo, epoca in cui i diritti e i doveri erano innati in ogni componente della società organica, e critica gli effetti dissolventi dell’economia e della politica borghese  esaltazione dei fattori produttivi precapitalistici: non capitale e lavoro, ma natura e uomo. Il libero scambio tende a distruggere la comunità nazionale facendo dell’individuo un cittadino del mondo. - Egli vede la guerra come una condizione tanto naturale quanto la pace e come stimolo per valorizzare le singole specificità nazionali. ✓ Gorres:  Inizialmente aderisce alle idee rivoluzionarie, poi con Napoleone diviene sempre più conservatore, fino ad arrivare ad aderire al cattolicesimo politico reazionario: ha una visione nostalgica dell’europa preassolutistica, critica la separazione tra Stato e Chiesa e ritiene che la Chiesa debba guidare il popolo tedesco, valorizzando le tradizioni nazionali. Gentz:  Propone il principio di equilibrio che deve valere sia all’interno (cioè tra i poteri dello stato e i due rami in cui è diviso il legislativo), sia sul piano internazionale nella prospettiva di un equilibrio europeo come equilibrio tra le nazioni. ✓ Haller: - Rispetto ai romantici lui non sostituisce al razionalismo illuminista il soggettivismo sentimentale, bensì il razionalismo tradizionalistico. - Secondo lui ogni tipologia sociale deve essere ricondotta ai rapporti di signoria-servitù in cui si esprime la volontà di Dio  l’ordine politico è formato da molti contratti di diritto privato. - Vige il principio della disuguaglianza naturale, quindi la forma di stato è quella dello Stato patrimoniale (quello in cui non vi è alcuna distinzione fra il patrimonio del sovrano e quello dello Stato ed anche i poteri pubblici rientrano nel patrimonio del sovrano). L’unico davvero libero è il sovrano. Humboldt Esponente più significativo del periodo delle riforme in Prussia (1807–1819). - Egli accetta la differenziazione moderna tra uomo e cittadino. Egli vede, come Kant, da una parte il Soggetto come massima espressione della libera personalità individuale e dall’altra lo Stato come sistema di limitazione della libertà del singolo. - Secondo lui mentre gli antichi che partecipavano alla vita pubblica completamente non lasciavano spazio alla differenziazione tra ambito privato e pubblico, lo stato paternalistico moderno, con l’uniformità della sua azione di governo, costringe gli individui a conformarsi e questo depotenzia l’energia spirituale di ogni libera personalità. - La politica deve riuscire a riattivare la partecipazione dei cittadini alla cosa pubblica, cercando di conciliare la massima libertà interiore con la dimensione esterna destinata a porre dei limiti a questa stessa libertà (lo stato)  no logica utilitaristica; - Lo Stato può educare il cittadino, ma non l’uomo, che è libero perché è subordinato a una legge che riguarda solamente la sua dimensione esterna e ne rispetta la dignità morale. Egli politicamente propone il modello di uno Stato di popolo e di ragione, cioè una monarchia costituzionale, con costituzione scritta, basata sulla rappresentanza cetuale nazionale, organizzata su 3 livelli: comunale (competenze amministrative), provinciale (amministrative + deliberative), generale (deliberative)  amministrazione circorscitta all’ambito del particolare. Egli sta quindi cercando di conciliare l’affermazione teorica della libertà individuale con delle caratteristiche proprie dell’assetto politico e istituzionale della Germania: ceti e principio monarchico. Savigny - E’ il principale fondatore della scuola storica del diritto: il diritto non deve la propria esistenza all’azione arbitraria del legislatore, ma all’agire nella storia di “forze interiori” che agiscono in conformità con lo “spirito del popolo”; quindi all’origine del diritto vi è la convinzione collettiva del popolo, l’intuizione. ➢ “Panopticon” (1791) = riforma delle leggi sui poveri - E’ una struttura circolare che può essere applicata anche a scuole, ospedali, manicomi, al centro della quale si erge una torre d’ispezione circondata da celle che grazie alla disposizione a raggiera e a un gioco di luci, sarebbero perfettamente visibili per il sorvegliante ma invisibile per i sorvegliati. - Quest’ultimi di conseguenza sarebbero indotti a comportarsi rettamente non tanto dall’effettiva sorveglianza esercitata su di loro, quando dalla presunzione di poter essere, in ogni momento sorvegliati; - Questa struttura è applicata alle “Industry houses”, luoghi di contenimento degli indigenti che, se non lavorassero, graverebbero sui bilanci pubblici: non si tratta solo di garantirgli un sussidio per le loro necessità ma di instillare negli individui quell’etica del lavoro necessaria alla produzione. Per quanto riguarda costituzione e democrazia: - Nel 1788, Bentham redige il testo noto come “Essai sur la Represéntation”, nel quale prende in esame la possibilità e le conseguenze di un’estensione del suffragio in un contesto nel quale la maggior parte degli individui è costituita da poveri. Se qui egli inclina a favore della sicurezza della proprietà in luogo dell’uguaglianza, il “Project of a Constitutional code for France” del 1789 prevede l’estensione del suffragio anche alle donne, con la sola esclusione dei folli e degli analfabeti. La convinzione che l’uguaglianza politica non costituisca una minaccia per la proprietà e per l’ordine familiare è però presto superata dai fatti del 1792-93, ed in particolare dai massacri di Settembree dalla dichiarazione francese di guerra contro la Gran Bretagna, che spingono Bentham ad assumere una posizione antidemocratica e di difesa della costituzione britannica come modello di stabilità. Dopo tale periodo, nel 1809, in seguito ad un fondamentale incontro con James Mill, Bentham capisce che solo un’estensione del suffragio può garantire che il governo sia esercitato secondo il principio della maggior felicità per il maggior numero  La sovranità appartiene al popolo, che però non sa governare direttamente, quindi la forma di governo per Bentham deve essere la democrazia rappresentativa. ➢ “Constitutional Code” (anni ’20 dell’800) Data la tendenza di ciascun individuo a perseguire il proprio interesse privato, il che vale anche per i governanti, per realizzare il principio gli interessi devono essere fatti convergere in modo artificiale  necessità di una forma di governo repubblicana (no privilegi) + sistema di controllo istituzionale basato su una specifica disposizione dei poteri, monocameralismo e la libertà di stampa. Egli quindi propone una teoria utilitaristica della politica, in cui il criterio di valutazione deve essere sensibile alle conseguenze delle scelte, valutate in termini di utilità o disutilità  governi = massimizzatori dell’utilità collettiva.  La società è organizzata in modo appropriato quando le sue istituzioni sono in grado di raggiungere il più alto grado di utilità possibile, sommando l’utilità di tutti gli individui che ne fanno parte. Ovviamente è un approccio che genera problemi e domande soprattutto relative alla giustizia, per esempio, come non autorizzare il sacrificio e la sofferenza di alcuni, se ciò genera un saldo di soddisfazione maggiore (per il maggior numero)? James Mill Egli segue i principi di Bentham e li vuole applicare soprattutto all’ambito del governo (Bentham al campo giuridico); Il suo obiettivo è quello di ampliare la rappresentanza nella Camera dei Comuni, ma senza fare appello a concezioni astratte come quella della dichiarazione dei diritti o generali come la separazione dei poteri; ma questa riforma è necessaria per equilibrare interesse individuale e interesse collettivo. La migliore forma di governo per questo scopo è la democrazia rappresentativa, espressione di una società in cui ognuno vuole massimizzare la soddisfazione personale e in cui il popolo sia strumento di controllo sui Parlamenti e sul Governo. Il rapporto rappresentanti-rappresentati è migliore tanto più breve è il mandato poiché tanto più breve è il periodo di tempo in cui conserva la propia carica rispetto al tempo in cui è un semplice cittadino, tanto più è difficile compensare la rinuncia agli interessi del periodo più lungo con gli eventuali profitti del malgoverno del periodo più breve. Il suo obiettivo è ampliare il suffragio, anche per ampliare l’educazione politica dei cittadini (comunque no donne, no meno 40 anni e certo reddito). Mill non è sensibile alle garanzie costituzionali per la libertà, poiché anche per lui la libertà è garantita dalla proprietà privata. Le riforme auspicate da Bentham e Mill verranno applicate cn il “Reform Bill” del 1832 che allarga il diritto di voto al 5% e consacra l’emancipazione dei ceti medi, sbloccando la cristallizzazione degli istituti costituzionali inglesi e inaugurando un periodo di riforme. Tale riforma del 1832 è considerata come una “seconda Magna Charta”. CAPITOLO XII – SOCIETA’ E NAZIONE La Questione Sociale Dal 1830 al 1848 (barricate a parigi) emerge una nuova questione sociale: quella del proletariato, irriducibile alla tradizionale figura della povertà e non risolvibile con il solito mix di carità, repressione e assistenza pubblica. Il termine “Proletariato” è usato per la prima volta da Louise Auguste Banqui , agitatore rivoluzionario, per indicare “i 30 milioni di francesi che vivono del loro lavoro, ma non godono di diritti politici” in contrapposizione ai borghesi privilegiati. Vi è nella società l’emergere della paura che il Terzo stato, classe operaia laboriosa minacci l’ordine costituito o addirittura che emerga il Quarto stato, che è quello della criminalità e delle classi pericolose. Le conseguenze immediate furono: 1) Vengono avanzate le prime proposte di riforma economico-sociale: ✓ Sismonde de Sismondi: nega che il sistema industriale tenda naturalmente all’equilibrio e accusa i sostenitori del “laisser faire” et “laisser passer” di limitarsi a proporre ricette di politica economica che tendono a far arrichire i ricchi e impoverire i poveri  il legislatore e il “potere sociale” devono intervenire per temperare le disuguaglianze (comunque necessarie come stimolo individuale) e assicurare agli uomini di tutte le condizioni di partecipare ai benefici della società industriale. 2) Vengono avanzate le prime proposte del socialismo utopistico basate su: - Critica dele disuguaglianze sociali prodotte dal capitalismo; - Fiducia nell’organizzazione razionale della società e dell’economia che consentirà di realizzare ideali di giustizia. ✓ INGHILTERRA: sviluppo del Cartismo (migliori condizioni lavoro + suffragio universale) - esponente: Robert Owen: “Il libro della nuova morale” (Owen – 1836) : il carattere dell’uomo è il prodotto dell’ambiente sociale e si deve creare un’organizzazione sociale alternativa dove l’interesse della comunità viene prima di quello individuale del profitto. ✓ FRANCIA: il socialismo origina con i sanculotti e procede con Saint Simon e poi Charles Fourier, che critica il capitalismo e le sue attività parassitarie di speculazione a danno dei lavoratori che sono sostanzialmente schiavi; ma comunque vede la società a lui contemporanea solo come uno stadio intermedio tra l’eden e la futura armonia dove gli uomini vivono in piccole comunità e vivono in base al principio del libero amore. Meno visionario fu Proudhon ( “Che cos’è la proprietà? la proprietà è un furto) che oscilla tra anarchismo e federalismo; egli critica il capitalismo in nome di un diritto naturale dell’operaio alla proprietà di ciò che egli produce, ha fiducia in un’organizzazione scientifica e razionale della società contro l’”abitudine” dell’economia politica e le “utopie” dei teorici socialisti rivoluzionari; egli del capitalismo critica in particolare il sistema finanziario e creditizio, perciò propone di creare una “Banca popolare” che emette senza interessi buoni convertibili in merci, rendendo superflua la moneta. Poi vi è la contrapposizione tra: Louis Blanc: indirizzo riformistico verso un’ organizzazione del lavoro che prevede di introdurre degli opifici sociali (atelier sociaux) e che lo stato intervenga per limitare i devastanti effetti della concorrenza capitalistica. E Louis Auguste Blanqui: che sottolinea le componenti insurrezionali e necessariamente dittatoriali della rivoluzione comunista. (Blanc e Blanqui = primi deputati socialisti dopo i moti del ’48 in Francia) ✓ GERMANIA nel 1830 ci sono 2 filoni di pensiero: - Tedesco settentrionale: Dahlman afferma che il centro e il fondamento della politica è la classe media; - Tedesco meridionale: Karl Rotteck con un accentuato individualismo sostiene che la società è data dalla somma degli spazi di libertà dei singoli. Comunque per entrambi la proposta di civilizzazione e liberalizzazione dello stato deve avvenire nel rispetto della monarchia e nell’esclusione della plebe. Un inizio di superamento di questi limiti avviene quando la scuola hegeliana si divide soprattutto in relazione alla critica alla religione. Quando Hegel dice “il razionale è reale”, secondo i filosofi giovani della sinistra hegeliana, egli intendeva dire in senso progressista che “il reale deve diventare razionale” e quindi deve cambiare. Ma bisogna precisare che Engels affermerà: “Il fattore che in ultima istanza è determinante nella storia è la produzione e la riproduzione della vita reale. Di più non fu affermato né da Marx né da me. Se ora qualcuno travisa le cose, affermando che il fattore economico sarebbe l’unico fattore determinante, si trasforma quella proposizione in una formula vuota, astratta, assurda”. 2.3 “Il manifesto” - Ribadisce la distinzione già fatta nell’”Ideologia tedesca” tra a) Classe in sé: oggettiva posizione sociale degli individui; b) Classe per sé: capace, per acquisizione di una consapevolezza della propria posizione, di porsi come soggetto politico. - Questo testo contiene una critica alle immagini del socialismo prevalenti all’interno dei movimenti rivoluzionari dell’epoca: 1) Concezione “passatista” del socialismo, costruita sulla nostalgia e sulla rappresentazione idilliaca della condizioni dei lavoratori in epoca pre capitalistica; 2) Critica del socialismo utopico: hanno il merito di aver per primi scorto l’antagonismo delle classi ma si sono solo ispirati nella loro critica ad astratti principi morali di giustizia anziché all’analisi dell’azione storica del proletariato. Marx mantiene inalterata la sua concezione di comunismo per tutta la sua opera ma si modifica radicalmente l’arco temporale all’interno del quale Marx pensava la rivoluzione comunista: - “Il Manifesto” è pervaso dalla convinzione di un’imminente crisi generale del capitalismo  repentina presa del potere proletario; - Dopo il massacro parigino del giugno 1848 torna alla realtà e capisce che il percoso di affermazione sarebbe stato molto più lungo e complesso; 2.4 La critica dell’economia politca Marx critica in molti testi l’economia politica, elaborando molti punti fondamentali. a) Critica il rapporto tra forze produttive e i rapporti di produzione (vedi sopra). b) Poi critica il feticismo della merce: la merce, come il denaro, è un’astrazione reale che, nella sua apparente semplicità, ricapitola in sé tutto l’insieme dei rapporti sociali, contribuendo al tempo stesso a determinare la forma concreta che essi poi assumono. La merce è prodotta generalmente dal lavoro umano che ha un valore d’uso, ovvero una sua utilità per il compratore, sul quale in genere prevale il valore di scambio, cioè il prezzo, che deriva dal fatto che la merce è una cristallizzazione di una determinata quantità di lavoro astrattamente umano. Il suo carattere di feticcio (oggetto inanimato al quale viene assegnato un valore) sta nel fatto che più costa una merce, più viene attribuita importanza al produttore di tale merce (quindi è un’ulteriore dimostrazione che l’economia è alla base di tutto). c) Critica il capitalismo perché è fondato sullo sfruttamento: quando il lavoratore lavora, in realtà produce di più di quanto semplicemente è rappresentato nell’oggetto materiale che realizza, ovvero vende lavoro al singolo capitalista in misura molto maggiore a quanto previsto dal contratto di lavoro  egli quindi produce pluslavoro: “parte di giornata lavorativa in cui l’operaio sgobba oltre i limiti del lavoro necessario senza produrre alcun valore per se”. Nel vendere la sua merce (il lavoro), però, il lavoratore non riceve un salario che tiene conto di questo plus lavoro, del quale si appropria gratuitamente il capitalista, generando plusvalore e quindi profitto. Intorno al processo di regolazione della giornata lavorativa si instaura, quindi, una guerra tra: il capitalista che vuol far valere il suo diritto di acquirente della forza-lavoro e il lavoratore che vuol far valere il suo diritto di venditore  tra diritti uguali in genere decide la forza e l’esito di questa guerra è dato da quanto viene fatta durare, alla fine, la giornata lavorativa. Marx inoltra distingue tra: ▪ Sussunzione formale: quando il capitale sottomette alle proprie norme un modo di lavoro sviluppatosi prima che il rapporto capitalistico insorga, quindi il plusvalore può essere prodotto solo prolungando la durata della giornata lavorativa, generando un plusvalore assoluto. (ma non si sa come va a finire perché c’è una guerra che può portare o a una sua riduzione o alla sua regolamentazione per legge da parte dello stato). ▪ Sussunzione reale: il capitale organizza direttamente i rapporti di lavoro, applicando la scienza alla produzione, riducendo il tempo necessario per produrre, e quindi, attraverso l’innovazione, aumentando la produttività e generando plusvalore relativo. 2.5 La politica La progressiva socializzazione del lavoro (viene livellato il livello di retribuzione = tutti uguali) crea le condizioni oggettive per la transizione al comunismo, in cui la massa operaia diviene in grado di appropriarsi del suo pluslavoro. Nel “Manifesto” Marx afferma che il Comunismo è “un’associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”. Essendo però egli contrario alle utopie, non è interessato a creare una ricetta teorica precisa per la realizzazione del comunismo, perché è più concentrato ad analizzare i problemi reali (nessun programma sulla futura società comunista). Un tentativo di confronto con le sue idee Marx lo avrà nel momento in cui a Parigi si forma la Comune Parigina nel 1871 ed egli realizzerà quindi delle riflessioni su di essa, in quanto essa era una sfida alla possibilità di concreta attuazione delle due idee. Nonostante la Comune seguisse la fine della guerra franco-prussiana, si fosse svilupata in Francia e non in Inghilterra (come avrebbe voluto Marx) e si avvalesse più delle passioni nazionali che della lotta di classe, Marx la celebrò come “primo governo della classe operaia” e “forma politica che consente di realizzare l’emancipazione economica del lavoro”. Essa però aveva mostrato che la classe operaia non deve accontentarsi di appropriarsi della gestione dello Stato, ma deve abolirla! Mediante la dittatura rivoluzionaria del proletariato (fase di transizione fra capitalismo e comunismo) si deve realizzare un deperimento dello stato, dove dopo una iniziale fase in cui vigono ancora alcuni elementi del capitalismo, si passa a una fase di superamento della divisione del lavoro. Tocqueville Contesto: ormai sono chiare (dopo i moti del ’48 a Parigi) sia la questione sociale che il progressivo insorgere del movimento operaio della seconda metà 800. Toqueville rappresenta un primo elemento di trasformazione del movimento liberale, che sposta il proprio bersaglio polemico dall’antico regime ai pericoli provenienti dagli strati inferiori. Gli elementi di moderazione del liberalismo, storicamenteprecisatisi nella polemica contro il Terrore Giacobino, sono ora rivolti contro il comunismo e il socialismo e infatti è proprio da tali forze politiche (liberali) che emergeranno le resistenze più tenaci all’allargamento del suffragio, in difesa della “cultura e proprietà” che garantiscono la “razionalita” dei cittadini. Toqueville presenta un tentativo molto articolato per garantire le libertà in un contesto diverso da quello di antico regime diretto inarrestabilmente verso l’uguaglianza democratica. L’Uguaglianza Tocqueville compie un viaggio di studio in America e scrive “Democrazia in America”: - Prima di tutto sfata il luogo comune che la Democrazia sia possibile solo in Repubbliche di piccole dimensioni. - Poi afferma che essa si realizza in concomitanza con l’affermarsi di un nuovo stato (condizione, assetto) sociale: frutto di un fatto o delle leggi, e più spesso è il frutto di queste due cose insieme, esso è la causa prima della maggior parte delle successive leggi, consuetudini e idee delle nazioni. - Lo stato sociale nuovo su cui si fonda la democrazia è caratterizzato dall’uguaglianza delle condizioni, che non implica un livellamento della ricchezza, bensì garantisca la mobilità sociale, andando inevitabilmente a distruggere il sistema di ceti privilegiati esistente in Europa. - Si afferma quindi l’individualismo e quindi ognuno può aspirare ad uno stato sociale diverso da quello di nascita + rifiuto del privilegio, senso di indipendenza, insofferenza per le distinzioni fra individui. - Essa trova la sua realizzazione più compiuta in America ma in realtà è il destino degli uomini moderni e arriverà anche in Europa. - Si instaura un nuovo tipo umano parallelamente all’affermarsi della Democrazia e dell’uguaglianza e poiché non si può più ripristinare l’aristocrazia, serve una scienza politica nuova, per un mondo ormai completamente rinnovato. Le Minacce alla libertà Il progredire dell’uguaglianza comporta delle minacce alla libertà: 1) Il processo di livellamento porta alla mediocrità, all’uniformità, al conformismo e ai pregiudizi sociali (come è ben visibile in America, presa come modello per capire i vizi e i pregi della democrazia); 2) Ma soprattutto, poiché si diffonde l’individualismo, ognuno è impegnato a raggiungere i propri obiettivi privati e si realizza una progressiva spoliticizzazione della società,