Scarica Nozioni generali sulle fonti del diritto del lavoro e più Dispense in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! Diritto del Lavoro Capitolo primo: Le Fonti 1. Le fonti del diritto del lavoro in generale: la interrelazione tra legge e contrattazione collettiva Per il diritto del lavoro, una volta abrogato l’ordinamento corporativo, l’unica particolarità è l’art. 2078 c.c secondo il quale gli usi prevalgono sulle norme dispositive di legge, se più favorevoli al prestatore di lavoro, e ciò è un’integrazione e non una modifica. La storia del diritto del lavoro non deriva solo dalla volontà del legislatore ma anche dalla volontà politica dei soggetti costituenti l’autonomia collettiva. L’autonomia collettiva è il potere di autoregolamentazione degli interessi dei gruppi o collettività professionali, produttiva di effetti diretti e perciò rilevanti sul piano della autonomia negoziale, ed indiretti sul piano della formazione dell’ordinamento. Le tecniche della recezione, della consolidazione, e dell’estensione dei contenuti della contrattazione collettiva sono tipiche della legislazione del lavoro che sotto questo aspetto riveste una funzione ausiliaria della contrattazione collettiva. Il rapporto tra legislazione e contrattazione collettiva si può sviluppare secondo il modello della c.d. “legislazione di sostegno” dell’attività sindacale e dell’autonomia collettiva, nel quale, è lo sviluppo della seconda ad essere promosso per mezzo dell’intervento della prima. La legislazione del lavoro ha quindi una funzione promozionale della contrattazione collettiva. 2. L’evoluzione storica del diritto del lavoro: la fase della legislazione sociale Nell’evoluzione storica del diritto del lavoro italiano si possono distinguere tre fasi: 1. La fase della prima legislazione sociale, in cui la legge in materia di lavoro si presentava come una norma eccezionale rispetto al diritto privato comune; 2. La fase dell’incorporazione del diritto del lavoro nel sistema del diritto privato; 3. La fase della costituzionalizzazione del diritto del lavoro, i cui principi fondamentali vengono garantiti dalla carta costituzionale. Già in epoca precedente al codice civile è possibile rinvenire ad alcuni richiami alla disciplina del diritto del lavoro. Si tratta però di un riferimento ben delimitato. Da un lato si collocava il diritto civile emanato nel 1865 e dall’altro si ponevano le diverse leggi di tutela del lavoratore. La legislazione sociale si presentava in posizione eccezionale rispetto al sistema del diritto comune, come risposta dell’ordinamento alla questione sociale sorta per effetto della industrializzazione. Il codice civile del 1865 non prevedeva nella sua disciplina il contratto di lavoro ma bensì solo la locazione di opere e servizi agli articoli 1570 e seguenti. Gli art. 1627 e 1628 sancivano poi che si dovesse trattare di rapporti a tempo o a compimento dell’opera per evitare il ritorno alla schiavitù. La regolamentazione del lavoro industriale non era prevista dalla legge, poiché si riteneva che in questo campo l’autonomia privata dovesse restare sovrana. Questa era una conseguenza della ideologia liberale secondo cui doveva essere il mercato a fissare i salari e le condizioni di lavoro. Già nel corso del XIX secolo lo stato incominciò ad intervenire dappertutto, introducendo una speciale legislazione che inizialmente si limitò a disciplinare alcuni aspetti in tema di lavoro. Contestualmente cadevano i divieti di organizzazione sindacale ed il sindacato scopriva la sua funzione economica. In tal modo alla fine del XIX secolo si veniva a creare una legislazione che derogava ai principi del codice civile e portava verso una prima forma di legislazione sociale. Salvo eccezioni queste norme venivano applicate esclusivamente agli operai in quanto prestatori di attività manuali ed industriali. Al metodo legislativo per la tutela degli interessi di classe dei lavoratori, il metodo contrattuale o dell’autotutela collettiva. Allo sviluppo dei contratti collettivi a livello locale ed aziendale faceva riscontro l’affermazione di una serie di regole che via via assumeva particolari caratteristiche normative. Trae origine da ciò il diritto del lavoro delle consuetudini. In Italia lo sviluppo della prassi sindacale portò la giurisprudenza all’elaborazione delle norme concernenti all’elaborazione della disciplina del contratto di lavoro operaio; e ciò soprattutto in seguito alla istituzione dei collegi probiviri ad opera della legge 15 giugno 1893, n295. In ciascuno di tali collegi erano costituiti un ufficio di conciliazione ed una giuria alla quale era demandata , una funzione giurisdizionale di decisione nelle controversie di lavoro tra operai ed industriali, qualora non si giungesse ad un accordo. La magistratura dei probiviri tendeva, più a conciliare che a dirimere le controversie, anche perché, in assenza di norme di legge applicabili al contratto di lavoro, i giudizi dovevano essere decisi secondo equità sulla base delle regole collettive ricavate dalla prassi (formazione extralegislativa del diritto del lavoro). 3. La fase della incorporazione del diritto del lavoro nel diritto privato e la codificazione del 1942 Successivamente è proprio l’intervento del legislatore determinante per il passaggio alla seconda fase del diritto del lavoro. Dal punto di vista formale ciò avvenne attraverso il ridimensionamento dello strumento della legge speciale, e l’inserimento nel diritto privato della disciplina del diritto del lavoro. Infatti il codice civile emanato il 21 aprile del 1942 ha inserito nel proprio corpo anche la disciplina del diritto del lavoro. Il codice del 42 ha rappresentato il punto di arrivo di una lunga evoluzione il cui momento cruciale è l’emanazione della prima legge sull’impiego privato. Un fenomeno riconducibile alla incorporazione del diritto del lavoro nel diritto privato è stato quello della giuridificazione del contratto del collettivo. Pertanto tale fenomeno si è presentato dapprima nella forma privatistica del concordato di tariffa e successivamente nella forma pubblicistica della contrattazione collettiva corporativa. Il contratto collettivo corporativo era espressione non della autonomia collettiva, ma della competenza attribuita dalla legislazione alla potestà normativa dei sindacati nell’ambito della categoria professionale. Sotto il profilo istituzionale il corporativismo era una componente del regime fascista che abolì la libertà sindacale trasformando il contratto collettivo in un atto normativo di stampo eteronomo proveniente dal sindacato unico fascista, a sua volta basato sulla rappresentanza legale della categoria professionale. Le corporazioni riunivano poi tutte le rappresentanze sindacali delle parti contrapposte ed aveva il compito di stabilire le norme relative alla disciplina della produzione, sotto il controllo del Ministero delle Corporazioni. Le eventuali controversie giuridico-economiche avrebbero dovuto essere decise in sede giurisdizionale con sentenze della magistratura del Lavoro. I sindacati così divenivano organi privi di spinta contrattuale ed il contratto di lavoro diveniva un atto con funzione paralegislativa assumendo funzione di leggi speciali. Sono da ricordare gli importanti interventi miranti al rafforzamento ed alla protezione della persona del lavoratore e dei suoi diritti fondamentali. Tra tali interventi vanno ricordati la tutela del posto di lavoro, le pari opportunità per le donne, la tutela dei minori, ecc. Va poi segnalata, la riforma del pubblico impiego incentrata sulla contrattualizzazione dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni . Ciò ha comportato una modificazione dello status giuridico dei pubblici dipendenti i quali sono passati dall’area del diritto pubblico la quale risultava più rigida e severa, a quella del diritto privato che lasciava spazio anche alla negoziazione privata. Inoltre va segnalato che l’attività legislativa è stata notevolmente influenzata dall’obbligo di adeguare le norme interne ai vincoli derivanti dalla partecipazione all’Unione Europea. Merita di essere ricordata infine la riforma del titolo V della costituzione la quale introduce una forma di federalismo legislativo e per quanto riguarda il diritto del lavoro, attribuisce gran parte della disciplina nella competenza esclusiva dello stato tranne tre punti importanti da esercitare in concorrenza Stato-Regioni quali: • Istruzione e formazione del personale; • Tutela e sicurezza del lavoro; • Previdenza complementare ed integrativa. La riforma però ha suscitato dubbi e perplessità soprattutto in ragione dell’espressione <<tutela e sicurezza lavoro>>, questa si sarebbe potuta interpretare riconoscendo alle Regioni una competenza concorrente, a la Corte costituzionale ha chiarito che resta allo Stato la regolamentazione dei contratti e rapporti del lavoro, mentre sono affidate alle competenza concorrente la disciplina dei servizi per l’impiego e del collocamento. 8. Gli sviluppi in tema di lavoro 1) Il governo nominato nel 2001 ha aperto la legislatura con la pubblicazione del Libro bianco sul mercato del lavoro in Italia, nel quale sono state tratteggiate le strategie di intervento relative alla liberalizzazione del mercato del lavoro. La riforma ha trovato atto attraverso l’attuazione del contratto di lavoro a tempo determinato e di quella in materia di tempo di lavoro, entrambe collegate a due direttive comunitarie. La più significativa delle manifestazioni del nuovo corso si ebbe nel 2003 quando furono introdotte nuove figure contrattuali di lavoro e facilitando l’esternalizzazione di alcuni processi produttivi, il tutto nella prospettiva di conferire maggiore flessibilità ad un mercato troppo ingessato dai vincoli legislativi. Altri importanti interventi sono stati effettuati nell’area del lavoro pubblico, in cui il legislatore ha mirato a promuovere una maggiore capacità manageriale dei dirigenti pubblici cui viene garantito un esercizio dei poteri di organizzazione degli uffici e del lavoro scevro dai vincoli della contrattazione collettiva, alla quale è precluso di svilupparsi in tali ambiti. E poi l’altro importante intervento si è avuto con il c.d. Collegato Lavoro 2010 il quale è un provvedimento contenente previsioni relative a varie materie quali pensioni, lavoro pubblico e mercato del lavoro ma anche modifiche al rapporto di lavoro, e ciò incide sulla tutela dei diritti del lavoro. Va poi come le parti sociali si sono impegnate in una lunga e complessa trattazione al fine di fronteggiare una crisi del modello contrattuale posto dal Protocollo 1993, in cui il processo negoziale si è rivelato conflittuale non solo tra le parti sociali contrapposte, ma anche tra stesse confederazioni sindacali e si sono divise: mentre CSIL E UIL hanno siglato insieme ad altre confederazioni minori e il Governo un nuovo Accordo quadro, la CGIL si è rifiutata di firmare l’accordo. 2) Nel periodo 2011 2013 vi sono stati nuovi interventi causati dall’impatto della crisi economica e perciò si possono sottolineare 3 punti: 1. La ridefinizione del sistema della contrattazione collettiva: l’Accordo interconfederale 2011 ha sostituito il Protocollo 1993 confermando l’esistenza di due livelli di contrattazione tra loro coordinati: il primo di livello nazionale di categoria che conserva la funzione di garantire i trattamenti minimi di base, il secondo livello aziendale oppure territoriale di cui è competente di tutte le materie delegate dal contratto collettivo nazionale o dalla legge. All’accordo 2011 seguiranno il Protocollo 2013 e il Testo Unico sulla rappresentanza 2014 in cui si prevede la certificazione della rappresentatività delle O.S. e i criteri per determinare i soggetti legittimati a partecipare alla contrattazione collettiva nazionale. 2. La norma dell’art. 8 d.l. 2011: attribuisce ai contratti collettivi aziendali e territoriali, che siano stipulati da sindacati più rappresentativi sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro r.s.a il potere di stabilire specifiche intese aventi efficacia generale finalizzate al miglioramento delle condizioni di lavoro; ma vi è di più, attribuisce ai soggetti sindacali la forza di derogare non solo ai contratti collettivi nazionali ma anche alle disposizioni di legge sia pure nei limiti stabiliti dalle norme costituzionali. Inoltre viene introdotta una vistosa eccezione alla regola secondo cui i contratti collettivi non possono derogare in sfavore del lavoratore le norme di legge, e meno che siano autorizzate da uno specifico rinvio della stessa legge. 3. Disegno di legge di Riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, attuato l. n92 2012: caduto il governo Berlusconi, in nuovo governo guidato da Mario Monti deve fronteggiare la crisi finanziaria e nell’ottica di ridurre la spesa pubblica e risolvere il gravissimo problema di disoccupazione presenta questo disegno di legge tramutato in legge, in cui si prefigge l’obiettivo di contenere le forme contrattuali di lavoro subordinato precario e inoltre procede a una revisione della disciplina dei licenziamenti riducendo la reintegrazione ad alcuni casi di licenziamento illegittimo ed estendendo la tutela di tipo indennitario. 3) Nel 2014 viene nominato Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi il quale presenta un programma di legislatura assai ambizioso come le riforme costituzionali, elettorale, dell’istruzione e della pubblica amministrazione. Il Governo ha agito in due tempi con una serie di provvedimenti che prendono il nome di Jobs Act. In una prima fase emana un decreto legge sul contratto a termine che viene liberalizzato attraverso la generale soppressione del principio di giustificazione causale, e l’apprendistato che si semplifica riducendo la condizione per l’assunzione di nuovi apprendistati e si contiene il costo della retribuzione. In un secondo momento il governo presenta un disegno di legge delega che intende affrontare il tema dell’occupazione con i diversi interventi su vari punti cruciali del diritto del lavoro. Gli obiettivi indicati sono ad esempio: assicurare tutele uniformi contro la disoccupazione involontaria, garantire mediante la creazione di un agenzia nazionale per l’occupazione la fruizione dei servizi essenziali su tutto il territorio in materia di politiche attive del lavoro, introdurre per le nuove assunzioni a tempo indeterminato un regime sanzionatorio contro i licenziamenti illegittimi, estendere le ipotesi di lavoro accessorio per le attività discontinue e elevando i limiti di reddito previsti ecc. 4) Il governo Renzi si dimette dopo l’esito negativo del referendum 2016, e ne prende la guida del governo Paolo Gentiloni che si pone in linea di continuità con il precedente governo, il quale ha abrogato la discussa figura del lavoro accessorio compensato mediante voucher e reintrodotto la piena responsabilità solidale tra appaltatore e appaltante come era previsto nel testo originario d.lgs 2003. La nuova manovra correttiva del 20017 ha ridisegnando il lavoro accessorio denominandolo prestazioni occasionali e prevedendo due strumenti: libretto famiglia e il contratto di prestazione occasionali per le imprese che non abbiano più di 5 dipendenti. Vi sono due importanti interventi legislativi: 1. L. 33 2017, istitutiva del reddito di inclusione (REI) quale sostegno alla povertà 2. L. 81 2017, contenente misure a tutela del lavoro autonomo rivolte a correggere le distorsioni causate dalla eventuale posizione dominante dal committente del prestatore e ad estendere le provvidenze in materia di malattia, maternità, disoccupazione. 9. Il diritto comunitario ed i suoi rapporti con il diritto interno. Per quanto riguarda il sistema delle fonti derivante dal Trattato istitutivo della Comunità Europea le istituzioni comunitarie possono emanare regolamenti e direttive per regolamentare le materie di competenza attribuite dal trattato. Mentre il regolamento ha portata generale ed è obbligatorio in tutti i suoi punti, la direttiva tende a fissare i risultati lasciando discrezionalità riguardo ai mezzi per raggiungere tali risultati. Quindi mentre il primo è espressione del potere di sostituirsi agli ordinamenti nazionali conferito dal trattato alle autorità, il secondo invece è espressione del potere diverso riconosciuto alle autorità europee di indicare agli stati membri il modo in cui regolamentare alcune materie. Toccherà poi a questi ultimi darne atto entro un determinato lasso di tempo scaduto il quale, in caso di omessa o difettosa applicazione della stessa, le norme di questa possono acquisire effetti diretti negli stati a cui sono rivolte ma solo in determinate condizioni o entro determinati limiti. Ovvero se una direttiva ha contenuto dettagliato, i singoli interessati al loro adempimento possono farli valere d’avanti ai giudici nazionali. Si ha cioè quello che la corte di giustizia indica come “effetto diretto” (od anche diretta applicabilità) della disposizione comunitaria. La corte ha precisato che tale effetto si può avere nei soli rapporti c.d. verticali, ma non nei rapporti c.d orizzontali (intercorrenti tra privati), dal momento che la direttiva è un atto che a differenza del regolamento ha come destinatari diretti soltanto gli Stati ai quali impone di emanare o abrogare determinate norme e non i privati. Il giudice nazionale deve decidere la controversia sulla base delle norme comunitarie disapplicando le norme intere incompatibili. Sulla base di tutto ciò vige un principio generale secondo cui il diritto comunitario prevale sul diritto interno degli Stati membri (c.d. primato del diritto comunitario sul diritto nazionale). 10. L’evoluzione delle politiche sociali comunitarie Come già detto l’Unione Europea è in grado di condizionare in misura rilevante l’evoluzione della legislazione interna del nostro paese. a) le originarie previsioni contenute nel Trattato di Roma 1957 istitutivo della Comunità Economica Europea attribuivano un ruolo marginale alla dimensione sociale rispetto a quella economica, a finire degli anni 60 si registrò un primo impulso nelle politiche sociali comunitarie con il Programma d’azione in materia sociale del Consiglio nel 1974, in cui si affermava che la crescita economica non era un fine in sé, ma doveva determinare il miglioramento di vita. Negli anni 80 si cominciarono a del principio il debitore esonerato dall’obbligo di eseguire la prestazione divenuta impossibile, ma perde il diritto alla controprestazione. Il rischio dell’utilità della prestazione è invece collegato alla variabilità ed all’incertezza del valore del risultato produttivo delle energie stesse. 4. La distinzione tra attività e risultato del lavoro subordinato e l’emersione della subordinazione contrattuale La distinzione tra lavoro subordinato ed autonomo emerge dunque da un processo di elaborazione concettuale che distingue l’attività del lavoro ed il risultato del lavoro. La distinzione tra attività e risultato del lavoro è ambigua: infatti se da un lato mette in rilievo la sostanziale identità dell’oggetto della prestazione (che è sempre il bene economico della forza-lavoro) dovuta dal lavoratore, dall’altro ne differenzia la natura secondo la diversa imputazione dell’rischio (utilità o produttività) del lavoro. 5. la subordinazione come sottoposizione del lavoratore alla direzione ed al controllo del datore di lavoro nell’impresa industriale Il legislatore tende a far coincidere la figura del contratto di lavoro con la nozione di lavoro manuale salariato o dipendente, così, demandava alla competenza dei collegi probivirali tutte le controversie relative al contatto di lavoro tra industriali. Secondo le leggi sociali dell’epoca, il fenomeno della subordinazione del lavoratore da un padrone o sorvegliante, veniva, individuato in chiave prevalentemente descrittiva sulla base del collegamento tra prestazione e l’azienda industriale: si parla, così, di operai addetti agli opifici industriali nei quali si fa uso di macchine, oppure in genere di lavoranti negli opifici industriali. Il riferimento alla figura economico sociale dell’operaio è dunque evidente, così come lo è la tendenza progressiva alla sostituzione della nozione di locatio operarum con quella di lavoro subordinato. Va notato che è stata la giurisprudenza ad utilizzare praticamente la nozione del rapporto di servizio come criterio distintivo dell’obbligazione del lavoratore. 6. La legge sull’impiego privato ed il codice del 1942 Il legislatore del codice del 1942 ha ravvisato nell’attività professionale e nell’esercizio delle mansioni di collaborazione, intesa cioè come svolgimento di funzioni continuative di amministrazione e di fiducia nell’azienda, il connotato specifico della subordinazione dell’impiegato. Nel codice civile il legislatore, ha ripreso il concetto della collaborazione per precisare quello della subordinazione: l’art 2094 c.c. identifica la collaborazione con lo scopo o, meglio, con il risultato tecnico-funzionale della prestazione di lavoro alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore, resa dal lavoratore in cambio della retribuzione. Tuttavia se l’art.2094 c.c viene trasferito nel sistema normativo nato dalla Costituzione, l’elemento della collaborazione si può ritenere tuttora attuale, in quanto genericamente indicativo dell’istituzionalizzazione del vincolo tra il datore e il prestatore di lavoro nella loro qualità di parti di un rapporto obbligatorio. In questo senso può dirsi che la collaborazione è espressione storicamente datata della funzione organizzativa assegnata dal legislatore al contratto collettivo. Sez. B: Contratto e rapporto di lavoro. Qualificazione del contratto ed individuazione della fattispecie tipica. 7. La distinzione tra il contratto di lavoro subordinato ed il contratto di lavoro autonomo L’evoluzione storica sottolinea la continuità esistente tra la nozione moderna di contratto di lavoro e quella tradizionale di locatio operarum, ma dimostra come l’alternativa tra risultato ed attività del lavoro sia stata progressivamente sostituita da quella tra autonomia e subordinazione della prestazione resa dal lavoratore. Il concetto di subordinazione si ricava direttamente dall’art 2094 c.c. il quale fornisce la definizione di prestatore di lavoro subordinato come colui che si obbliga a collaborare all’impresa prestando il proprio lavoro manuale o intellettuale alle dipendenze dell’imprenditore. Da tale definizione legislativa è desumibile la nozione di subordinazione come dipendenza del prestatore dalla direzione. La subordinazione è stata identificata come la dipendenza o sottoposizione del debitore al potere del creditore del lavoro e all’autorità dell’imprenditore. Infatti essa si presenta come il contenuto tipico dell’obbligazione di lavoro. Non sembra possibile ritenere la struttura dell’obbligazione di lavoro autonomo diversa da quella di lavoro subordinato: in entrambi i casi oggetto dell’obbligazione è il lavoro come prestazione di facere e quindi attività personale ed economicamente utile. 8. I contratti di lavoro autonomo; il contratto d’opera La finalizzazione al risultato dell’opera finita è il connotato tipico che contraddistingue la categoria dei contratti di lavoro autonomo, nella misura in cui ne accomuna i diversi tipi. Tale categoria comprende quattro figure fondamentali accanto a ciò che è previsto nell’art. 2222 nel quale si ha la prestazione d’opera o servizio mediante il lavoro personale del debitore ma a suo rischio e quindi senza vincolo di subordinazione. 1) l’appalto la cui causa è nello scambio di un opera o di un servizio da eseguirsi con organizzazione propria dell’appaltatore con un corrispettivo; 2) il trasporto, che assolve alla funzione di trasferire persone o cose da un luogo all’altro; 3) il deposito generico, che assolve alla funzione di custodia dei beni; 4) il mandato, con le due sottospecie, di spedizione e di agenzia. In tutte le ipotesi di lavoro autonomo la prestazione tende al risultato dell’opera finita o, più in generale, al risultato economico dell’attività organizzata dal debitore, mentre nel lavoro subordinato il risultato è costituito dalla attività del debitore in se stessa e quindi di quella messa a disposizione dell’organizzazione del creditore. Diversamente dal lavoratore subordinato il lavoratore autonomo può essere vincolato dalla direzione ma non può essere alle dipendenze del committente. 9.La causa del contratto: la collaborazione e la sua relazione di scambio con la retribuzione Nel contratto di lavoro subordinato la funzione o causa è individuata in astratto dal legislatore il quale la identifica nello scambio tra le obbligazioni del prestatore e del datore e quindi tra collaborazione e retribuzione. La subordinazione può essere giudicato come l’elemento giuridico essenziale del contratto. Nella struttura dell’obbligazione di lavoro, l’elemento oggettivo è rappresentato non dalla subordinazione ma dalla collaborazione. Questa sottolinea l’importanza dell’aspettativa del creditore al risultato della prestazione. Si tratta del risultato dell’attività prestata dal lavoratore in adempimento della propria obbligazione. La collaborazione si identifica quindi con lo scopo tipico della prestazione e quindi con la stessa causa individuatrice del tipo negoziale del contratto di lavoro subordinato. 10. La continuità o disponibilità nel tempo della prestazione di lavoro come aspetto essenziale della collaborazione Da quanto precede si evidenzia l’identificazione della subordinazione con l’inserzione del prestatore di lavoro nell’organizzazione dell’impresa e con la continuità o disponibilità nel tempo della prestazione di lavoro verso il datore. In effetti la continuità caratterizza l’attività promossa dal lavoratore in relazione allo scambio tra retribuzione e disponibilità della prestazione nel tempo, essa qualifica la subordinazione come dipendenza al controllo dell’imprenditore. 11. Collaborazione e subordinazione nella giurisprudenza Tradizionalmente la giurisprudenza è solita indicare nei quattro requisiti dell’onerosità, continuità, collaborazione e subordinazione, gli elementi essenziali costitutivi del rapporto di lavoro. • L’oggetto della prestazione è identificato non come il risultato prodotto dal lavoratore ma con l’applicazione delle energie lavorative e quindi con la stessa attività da lui messa a disposizione del creditore; • la collaborazione è intesa come inserzione del lavoratore nell’organizzazione produttiva dell’impresa; • la continuità è il vincolo di collaborazione nel tempo del lavoratore; • l’incidenza del rischio dell’attività lavorativa. Questi criteri di classificazione vengono integrati dalla giurisprudenza mediante l’utilizzo di indici empirici per la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato. Ai fini di tale distinzione si può dire che fondamentale è l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare dell’imprenditore. 12. La dottrina della subordinazione come situazione di soggezione socio- economica: critica Quanto si è detto conferma come la subordinazione vada ricostruita quale situazione soggettiva tipica del contratto individuale di lavoro ed emergente dal suo interno. Non si può quindi condividere la dottrina che configura la subordinazione non come vincolo obbligatorio nascente dal contratto di lavoro ma come un presupposto economico sociale, derivante dalla situazione di debolezza contrattuale del lavoratore. Non vi è coincidenza tra subordinazione e condizione di alienazione rispetto alla proprietà o controllo dei mezzi di produzione, ciò è confermato dalla constatazione che una simile situazione di inferiorità o di c.d dipendenza economica può essere assente nel rapporto di lavoro tutte le volte che il prestatore sia fornito di adeguata forza contrattuale. In conclusione si può ammettere che la posizione d’inferiorità economica del lavoratore ne condizioni l’autonomia contrattuale e ne caratterizzi la posizione sociale tale effetto condizionante non è sempre generatore di disuguaglianza effettiva, e non è sufficiente a privare il contratto della sua funzione genetica e regolamentare del rapporto, né può essere confuso con la subordinazione del prestatore di lavoro. 13.La collaborazione come inserzione del lavoratore subordinato nell’azienda e come connotato del lavoro autonomo coordinato e continuativo (c.d parasubordinazione) Per qualificare il rapporto di lavoro come subordinato, oppure autonomo, occorre verificare se sia o meno sussistente in concreto il requisito della continuità come situazione di dipendenza funzionale alla collaborazione nell’impresa. In effetti per qualificare il rapporto occorre prima interpretare il contratto che lo ha istaurato e lo regola. Si può convenire che l’inserzione del prestatore nell’organizzazione aziendale sia un sicuro indice di collaborazione (ad es. osservanza degli orari di lavoro) ma non che abbia valore assoluto: l’inserzione si può avere anche sotto forma di collaborazione coordinata e continuativa anche nel lavoro autonomo; si tratta di un elemento di atipicità riconosciuta all’autonomia delle parti nei contratti. L’art. 409 n 3, c.p.c ha previsto l’equiparazione al rapporto di lavoro subordinato di talune categorie di rapporto di lavoro autonomo, limitate alla disciplina processuale e di risoluzione delle autonomo. (La stessa disciplina è applicata al contratto d’opera previsto art 2222 c.c e agli altri rapporti di lavoro di cui titolo III del libro V c.c, con esclusione degli imprenditori, ivi compresi i piccoli imprenditori art 2083 c.c.). La disciplina si divide in tre piani: 1. Sul piano tutela nel rapporto, il lavoratore autonomo riceve tutela nel caso di clausole e condotte abusiva, cioè in caso di modifica unilaterale delle condizioni contrattuali o di contratto avente ad oggetto una prestazione continuativa, di recesso senza congruo preavviso, e anche nell’ipotesi di clausole relative a termini di pagamento superiori a 60 giorni dalla data del ricevimento da parte del committente della fattura o della richiesta di pagamento. La l. n 81 prevede il risarcimento dei danni anche promuovendo un tentativo di conciliazione mediante gli organi abilitati. 2. Nel mercato, vi è il rafforzamento della formazione permanente prevedendosi, entro determinati limiti, la deducibilità delle spese di formazione. Inoltre, si fornisce l’accesso alle informazioni e ai servizi personalizzati di orientamento riqualificazione e ricollocazione con la costruzione di uno sportello dedicato ai lavoratori autonomi presso i centri per l’impiego. 3. A livello previdenziale, tra le quali vi è la stabilizzazione e l’estensione dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa- DIS-COLL, e l’equiparazione a degenza ospedaliera dei periodi di malattia. In caso di malattia, gravidanza, infortuni del lavoratore autonomo la sua attività non è estinta, ma sospesa nel caso di richiesta del lavoratore per un periodo di 150 giorni per anno solare, fatto salvo il venir meno dell’interesse del committente. 16. Le prestazioni di lavoro accessorio Al fine di portare alla luce una serie di attività quasi sommerse (si pensi alle attività di giardinaggio o di supporto didattico o ad attività di assistenza familiare) il legislatore del 2003 ha ideato nel 2003 l’istituto delle prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti. In una prima sede risultò difficile la sua collocazione sotto il profilo sistematico poiché non vi erano indici per inquadrarlo né nel lavoro subordinato e né in quello autonomo. L’unico indice ricavabile è quello relativo alla contribuzione ricompresa nel voucher, prelevata all’atto della riscossione dello stesso dal concessionario e versata alla gestione separata dell’INPS, perciò andava ricondotta nell’area del lavoro autonomo. La sua evoluzione è stata travagliata, infatti dopo una lunga serie di interventi legislativi, la ratio è stata riscritta e sostituita dagli artt. 48-50 d.lgs n 81/2015 (emanato in attuazione c.d Jobs act2) anch’essi abrogati da un intervento legislativo del d.l n 25 2017, con il quale il Governo intendeva evitare la consultazione referendaria promossa dalla CGIL e mirare a cancellare l’istituto, in ragione del considerevole incremento e utilizzo spesso elusivo, poiché le effettive prestazioni rese e remunerate mediante voucher ne aveva fatto un perfetto sostituto di forme di occupazione di lavoro subordinato, privando in tal modo i lavoratori delle tutele della fattispecie ex art. 2094 c.c. e ciò ha indotto il legislatore a distanza di un solo mese dall’adozione del decreto legge abrogativo, a intervenire nuovamente con il d.l n 50/2017 conv. L. n 96/2017. La nuova disciplina contiene alcuni principi di carattere generale a cui si aggiunge la normativa specifica distinta secondo l’utilizzatore sia una persona fisica non nell’esercizio di attività di impresa o professionale e che potrà acquistare le prestazioni mediante c.d Libretto Famiglia (soggetto riconducibile a imprenditori e professionisti); oppure enti, associazioni, fondazioni e pubblica amministrazione che potranno ricorrere al lavoro occasionale mediante il c.d Contratto di prestazione occasionale (art 54 bis, definisce il contratto di prestazione occasionale come quello mediante il quale un utilizzatore professionale acquisisce, con modalità semplificate, prestazioni di lavoro occasionali o saltuarie di ridotta entità. Al fine di arginare gli abusi verificatisi nel vigore del previgente sistema, sono stati introdotti alcuni divieti al ricorso a tale contratto, le imprese del settore agricolo, le imprese del settore edile e affini. Il compenso orario netto spettante al lavoratore è pari a 9 euro con l’obbligo, tuttavia, per il destinatario della prestazione di remunerarlo per almeno 4 ore lavorativi. La disciplina definisce le prestazioni di lavoro occasionali sulla base di tetti di compenso rapportati all’anno e distinti per prestatore e utilizzatore, in particolare sono qualificate occasionali quelle attività che danno luogo: • A compensi netti non superiori per ciascun prestatore a 5.000 euro nei confronti della totalità degli utilizzatori e a 2.500 euro e/o a 280 ore annuali nei confronti di ogni singolo utilizzatore. • Comune alle due modalità è la previsione del diritto del prestatore all’assicurazione per l’invalidità e vecchiaia. • Il reddito da lavoro occasionale è esente da prelievo fiscale, non incide sullo stato di disoccupazione. • Inoltre, comuni sono sia il divieto di ricorrere a prestazioni occasionali con soggetti con i quali l’’utilizzatore abbia in corso ovvero abbia cessato da meno di sei mesi un rapporto di lavoro subordinato, oppure di collaborazione coordinata e continuativa, sia l’obbligo di preventiva registrazione sulla piattaforma informatica predisposta dall’INPS, entro il giorno 15 del mese successivo a quello nel corso del quale è stata effettuata l’attività lavorativa. È stato introdotto anche un articolato sistema di comunicazioni incrociate, finalizzato a rendere tracciabile l’effettivo utilizzo di questa forma di impiego. 17. L’utilità e l’attuale significato della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo Ormai non si tratta più di distinguere due sottotipi nell’ambito unitario del contratto di locazione (d’opera o delle opere) ma di delimitare l’ambito della disciplina di due contratti la cui funzione economica e sociale è diversa e che, hanno una regolamentazione molto differenziata, nonostante i tentativi di avvicinamento della fattispecie autonoma a quella subordinata. Un rapporto di lavoro subordinato produce effetti diretti ed indiretti. • Sono diretti gli effetti che incidono sul contenuto del rapporto e perciò sul regolamento contrattuale, ad es. le condizioni della prestazione e della remunerazione del lavoro; • Sono invece indiretti gli effetti che incidono sui presupposti e sulle conseguenze della costituzione del rapporto di lavoro, e che danno luogo ad una serie di situazioni soggettive esterne di rilevanza previdenziale, amministrativa e penale (come avviene per la sicurezza del lavoro). 18. Il rapporto di previdenza sociale. L’attuale sistema Tra i più importanti effetti indiretti va annoverata la costituzione obbligatoria del c.d. rapporto di previdenza sociale, intercorrente tra i due soggetti del rapporto di lavoro e gli enti previdenziali. Inizialmente, traendo spunto dalla norma del c.c. del 1865 che stabiliva la presunzione assoluta di colpa dell’imprenditore nei confronti dei terzi per il fatto dei propri dipendenti, la dottrina aveva elaborato una costruzione teorica in base alla quale anche il rischio degli infortuni sul lavoro doveva gravare necessariamente sull’imprenditore a titolo di responsabilità oggettiva. Tenuto conto della scarsa efficacia pratica dello strumento della responsabilità oggettiva si è fatto ricorso all’istituto dell’assicurazione obbligatoria, che ha realizzato di fatto la traslazione del rischio professionale in capo ad un istituto assicurativo (dapprima privato, poi di diritto pubblico): in virtù di tale meccanismo l’imprenditore viene dunque esonerato dalla responsabilità civile in cambio del versamento di un premio assicurativo che si aggiunge alla retribuzione (salario previdenziale). Il medesimo sistema assicurativo è stato in seguito utilizzato per far fronte ad altre situazioni di bisogno collegabili alla posizione di sottoprotezione del lavoratore nella società (rischio sociale), con contribuzione posta anche a carico dei lavoratori, benché in misura minore. I contributi sono dunque posti a carico sia dell’imprenditore che dei lavoratori, secondo la regola generale contenuta nell’art. 21151 c.c.; tuttavia la loro ripartizione è stabilita oggi in misura prevalente o esclusiva a carico del datore di lavoro. Inoltre, secondo l’art.2116 vige il principio dell’automaticità delle prestazioni, ossia le prestazioni sono dovute dall’istituto assicuratore in tutti i casi in cui l’evento assicurato si verifichi, indipendentemente dal concreto versamento dei contributi da parte dell’imprenditore. Fanno eccezione le pensioni di vecchiaia, per le quali tale principio opera entro i limiti della prescrizione dell’obbligazione contributiva: per cui qualora, a causa del mancato versamento dei contributi da parte del datore di lavoro, gli stessi siano prescritti ed il lavoratore non consegua il diritto al trattamento previdenziale o ottenga un trattamento inferiore, questi ha diritto al risarcimento del danno da parte del datore di lavoro. 16. Le pensioni di anzianità e vecchiaia. La tendenza espansiva del diritto del lavoro. Per quanto riguarda le pensioni di anzianità e vecchiaia, vige un sistema c.d. a ripartizione, in base al quale la copertura finanziaria per l’erogazione delle pensioni è assicurata dai contributi dei lavoratori in servizio. Nel 1968 era stata introdotta la c.d. pensione retributiva, la cui misura era calcolata in percentuale alle retribuzioni corrisposte negli ultimi 5anni del periodo lavorativo, poi esteso a 10: tale sistema tuttavia è entrato in crisi nel corso degli anni soprattutto a causa dell’invecchiamento della popolazione. Ciò ha condotto alla revisione dell’intera materia avvenuta nel 1995 (L. 335/95), sostituendo il sistema retributivo di calcolo dei trattamenti pensionistici con un sistema cd. Contributivo a ripartizione: tale sistema assicura un trattamento pensionistico calcolato sull’ammontare dei contributi versati nel corso della vita lavorativa, salvi alcuni correttivi che tendono ad assicurare una maggiore equità sociale. Tale principio di solidarietà sociale tende ad attribuire un trattamento previdenziale anche ai lavoratori autonomi e ai piccoli imprenditori: e a tale proposito si parla di tendenza espansiva del diritto del lavoro, intendendo con ciò una tendenza sempre più ampia verso la protezione del lavoratore in generale, indipendentemente dall’esistenza o meno di un rapporto di lavoro subordinato. Il sistema pensionistico è stato da ultimo riformato ad opera del D.L. 201/2011 convertito nella L. 214/2011. Il provvedimento è finalizzato a garantire il rispetto degli impegni con l’UE e la stabilità economico-finanziaria. Tali finalità sono perseguite attraverso l’estensione a tutti i lavoratori del sistema del calcolo contributivo (con riferimento alle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1/01/2012) e attraverso la revisione dei requisiti di accesso alle pensioni, incentrata sull’inasprimento del requisito anagrafico minimo di accesso alla pensione di vecchiaia e del requisito di anzianità contributiva per la pensione anticipata, entrambi agganciati agli incrementi della speranza di vita. contrastare la concorrenza al ribasso dei salari, è stabilito che in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di tali contratti devono applicare ai propri dipendenti trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali, più rappresentative a livello nazionale di categoria. Infine le controversie tra socio e cooperativa vengono sottratte alla competenza del giudice del lavoro, e affidate a quella del tribunale ordinario, da trattarsi con il rito societario, tuttavia la giurisprudenza tende ad attrarre nella competenza del giudice del lavoro tutte le controversie relative all’estinzione del rapporto di lavoro quand’anche collegate a quella del rapporto associativo. Alle cooperative di lavoro si avvicinano le cooperative sociali che hanno il fine di perseguire l’interesse generale della comunità “all’integrazione sociale dei cittadini”. Infine per quanto riguarda i rapporti associativi in agricoltura (mezzadria, colonìa parziaria), essi hanno perso la loro importanza, infatti sono frequentemente sostituiti dallo strumento dell’affitto dei fondi rustici. Capitolo Terzo: Autonomia privata e rapporto di lavoro La formazione del contratto di lavoro Sez. A: Autonomia Privata e rapporto di lavoro 1. Contratto e rapporto di lavoro Come già osservato la disciplina del rapporto prevale su quella del contratto di lavoro. In effetti l’articolo 2094 c.c. definisce il rapporto di lavoro come l’unione di due obbligazioni reciproche. Esaminando meglio il contratto si capisce come le obbligazioni derivanti da esso non sono a discrezione dell’autonomia privata ma bensì scaturiscono dalla legge e dalle norme dei contratti collettivi i quali direttamente o indirettamente agiscono in tale materi limitandone il contenuto del contratto. In tal senso la legge e la contrattazione collettiva intervengono per stabilire il contenuto necessario di non poche clausole negoziali relative al rapporto tra datore e prestatore di lavoro. Lo stesso vale per la retribuzione la cui determinazione è rimessa all’autonomia contrattuale e quindi all’iniziativa del lavoratore soltanto entro i limiti fissati dai contratti collettivi. In definitiva la legge disciplina il rapporto di lavoro nel suo svolgimento effettuale mentre l’accordo delle parti, viene compresso da una serie di limiti sia legali sia convenzionali (provenienti dall’autonomia collettiva). 2. La fonte contrattuale del rapporto di lavoro L’articolo 1321 c.c. definisce il contratto come un accordo fra due o più parti per mezzo del quale si costituisce un rapporto giuridico patrimoniale, se ne disciplina la struttura e se ne regolano gli effetti, potrebbero sorgere dubbi in merito alla natura contrattuale del rapporto di lavoro, il cui contenuto è determinato in grandissima misura dalla legge dei contratti collettivi. La disciplina del rapporto è una disciplina inderogabile che non ha natura imperativa (=di ordine pubblico) potendo essere in ogni momento derogata dall’autonomia privata. Nel caso del rapporto di lavoro la fonte rimane pertanto il contratto, anche se si deve tener conto dell’esistenza di rapporti di lavoro costituiti coattivamente. Anche in questi casi anomali non si può dire che manchi il titolo contrattuale. La nuova disciplina delle assunzioni obbligatorie non prevede l’eliminazione del contratto ma l’imposizione a carico dell’imprenditore di un obbligo di stipulare un contratto con il prestatore di lavoro. 3. L’inderogabilità del regolamento contrattuale imposto dalla legge I limiti imposti dall’autonomia negoziale nel rapporto di lavoro, sono sanciti pena di nullità dei patti contrari e mirano a realizzare l’effetto dell’inderogabilità del regolamento contrattuale, in virtù della quale le clausole volute dai contraenti in difformità dai precetti normativi sono sostituite di diritto ai sensi dell’art. 1149 c.c. Quindi all’effetto eliminativo della nullità si accompagna quello ulteriore della sostituzione legale. A tale meccanismo va inoltre accomunato quello dell’inserzione automatica nel contratto. Tutto ciò avviene in considerazione della tutela inderogabile degli interessi del lavoratore. Si può comunque affermare che la compressione dell’autonomia contrattuale non esclude la legittimità di condizioni più favorevoli al lavoratore. Merita di essere ricordata la Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle organizzazioni contrattuali. L’art. 6 della Convenzione prevede che in caso di mancata scelta da parte delle parti contraenti esso sia regolato: a. Dalla legge del paese in cui il lavoratore compie abitualmente il suo lavoro; b. Dalla legge del paese in cui si trova la sede che ha proceduto all’assunzione del lavoratore. Le parti sono inoltre libere di decidere liberamente la legge che dovrà regolare il contratto a condizione che tale scelta non valga “a privare il lavoratore della protezione assicuratagli dalle norme imperative della legge”. 4. Autonomia privata e tipo contrattuale Per qualificare il rapporto occorre interpretare il contratto che lo regola secondo la volontà delle parti. In pratica sarà necessario accertare se dall’intenzione comune dei contraenti risulti o meno la volontà di stabilire un rapporto di lavoro subordinato oppure autonomo. Di qui l’esigenza di orientare l’indagine rivolta all’interpretazione e alla successiva qualificazione del rapporto di lavoro al comportamento tenuto dai contraenti anche posteriore alla chiusura del contratto. Sul piano dell’interpretazione e della qualificazione del contratto, ciò implica che, la qualificazione attribuita dall’accordo delle parti (la c.d. volontà cartolare) non ha valore determinante rispetto al contenuto effettivo del rapporto. La sottoposizione del lavoratore al potere organizzativo e di controllo viene in rilievo non soltanto come comportamento esecutivo del vincolo obbligatorio, ma altresì come accertamento della volontà contrattuale ai fini dell’individuazione della causa e cioè dell’interesse concretamente perseguito dalle parti nel contratto di lavoro. La prevalenza del momento attuativo del rapporto sul momento dichiarativo non è soltanto un’operazione interpretativa della volontà delle parti. In realtà tale prevalenza è la conseguenza della compressione dell’autonomia individuale quale fonte regolatrice del rapporto rispetto ad altre ad essa sovraordinate. Di qui il collegamento tra il tipo legale del contratto e la disciplina del rapporto di lavoro o statuto protettivo del lavoratore come persona e contraente debole. D’altra parte, come ha confermato la Corte costituzionale, i principi dell’inderogabilità e della eteronomia della tutela del lavoro subordinato hanno rango costituzionale e dunque non può essere consentito all’autonomia contrattuale di autorizzare le parti ad escludere direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, l’applicabilità della disciplina inderogabile. Quindi il contratto di lavoro sembra distaccarsi dal modello civilistico del contratto come regolamento di interessi dominato dalla libertà contrattuale e quindi dalla volontà delle parti. Nel contratto di lavoro, alla volontà delle parti è inibita la possibilità di separare la subordinazione dallo statuto protettivo. Proprio perché essa non può essere separata dal tipo legale del contratto di lavoro subordinato si parla di indisponibilità del tipo legale. 5. Il principio del favor Quanto detto spiega perché le norme inderogabili poste a tutela dell’interesse del lavoratore hanno una funzione protettiva dell’interesse del lavoratore. Sotto questo profilo, la compressione dell’autonomia negoziale opera secondo un congegno relativo all’integrazione del contratto art. 1374 c.c.: tale congegno obbligando le parti non solo a quanto dichiarato ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi, serve all’integrazione degli effetti del contratto di lavoro attraverso il richiamo dei precetti inderogabili del contratto collettivo e della legge. In tal modo il principio dell’inderogabilità del regolamento contrattuale si unisce al principio della prevalenza del trattamento più favorevole al lavoratore (c.d.favor) lasciando all’autonomia privata solo la possibilità di stabilire patti o clausole definiti usi aziendali. 6. L’articolo 2126 e la c.d. inefficacia dell’invalidità del contratto Alla relazione tra autonomia privata e disciplina del rapporto sono riconducibili anche gli effetti derivanti dall’invalidità del contratto. Tale invalidità è sancita nella specie della nullità ed è l’effetto necessario dell’inosservanza dei limiti legali imposti dall’autonomia negoziale dei privati nella determinazione del contenuto del contratto. Per quanto riguarda il contratto di lavoro la disciplina deve essere integrata dall’articolo 2126 c.c. La norma dispone (co. 1) che la nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. Sul presupposto dell’irripetibilità delle prestazioni di lavoro già eseguite, la norma sancisce l’irretroattività delle vicende tendenti all’eliminazione del negozio invalido. Tale irretroattività, estesa alla nullità comporta l’efficacia del regolamento di interessi determinato dal contratto invalido limitatamente al periodo di esecuzione del rapporto; e ciò in analogia con la regola dell’irretroattività degli effetti della risoluzione dei contratti. Proprio dalla norma 2126 diretta a salvaguardare la posizione del soggetto che nonostante l’invalidità del contratto abbia prestato la propria attività di lavoro, è dato da ricavare il fondamento di un rapporto contrattuale alla base del rapporto di lavoro. L’art. 2126 c.c. poiché riconosce determinati effetti del contratto nullo o annullabile, riconosce il contratto stesso come fattispecie produttiva degli effetti. Pertanto, data l’inidoneità del contratto a costituire rapporto, la norma viene a disciplinare gli effetti soltanto nella misura e nel tempo in cui il rapporto invalido ha avuto esecuzione (prestazione di fatto). Non appare riconducibile all’articolo 2126 c.c. la c.d. prestazione di fatto di natura extracontrattuale. Si tratta di casi in cui la prestazione viene eseguita invito domino o addirittura proibente domino (cioè con volontà contraria del lavoratore). In una situazione di questo tipo, il titolo costitutivo del rapporto non può essere ritenuto invalido perché è addirittura inesistente: di modo che si può concludere che l’articolo 2126 è inapplicabile alla fattispecie della semplice prestazione di fatto. Nella formazione del contratto di lavoro, oggetto del consenso non è tanto il contenuto quanto la stipulazione stessa del contratto; pur se non mancano ipotesi in cui il prestatore ha la possibilità effettiva di richiedere ed ottenere modificazioni anche cospicue dell’offerta del datore di lavoro. 10. gli adempimenti formali del datore di lavoro Dal procedimento di formazione del contratto devono essere tenute distinte le formalità che procedono l’assunzione del lavoratore. In proposito è da segnalare che le esigenze di tutela del lavoratore sotto il profilo della trasparenza delle condizioni di lavoro prevedono che il datore di lavoro ha l’obbligo di informare per iscritto il lavoratore circa le principali condizioni applicabili al contratto o al rapporto di lavoro, in particolare per ciò che concerne identità delle parti, luogo di lavoro, data di inizio del rapporto, durata dell’eventuale prova, qualifica ed inquadramento del lavoratore, trattamento economico e normativo. Quest’obbligo d’informazione può essere adempiuto attraverso la lettera di assunzione o altro eventuale documento comprovante la sottoscrizione del contratto. Inoltre, prima dell’inizio dell’attività di lavoro, i datori di lavoro pubblico o privato, con la sola esclusione del datore di lavoro domestico, devono effettuare la comunicazione obbligatoria di assunzione entro il termine 24 ore del giorno precedente l’inizio del rapporto di lavoro. In precedenza, il datore di lavoro era obbligato a tenere una serie di documenti tra cui il libro paga e il libro di matricola in cui era tenuto ad annottare i dati personali dei dipendenti. L’art 39 d.l. n 112/2008 ha abolito e sostituito i predetti documenti aziendali con il Libro Unico Del Lavoro, il quale fornisce la “fotografia” dei rapporti di lavoro in corso, in modo da consentire agli organi ispettivi di verificarne la regolarità sotto il profilo retributivo, previdenziale, assicurativo e fiscale. 11. Il patto di prova Tra gli elementi accidentali del contratto acquista notevole importanza il patto di prova, per cui la cui validità sono previsti precisi requisiti formali. L’art. 2096 prevede che salvo diversa disposizione delle norme corporative, l’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare per atto scritto. La giurisprudenza sembra ormai ritenere che la forma scritta sia richiesta ad substantiam, con la conseguenza che, in mancanza di essa, il patto di prova deve considerarsi nullo e l’assunzione del lavoratore va considerata definitiva. Dal punto di vista formale la prova serve al datore di lavoro per verificare attraverso l’esecuzione della prestazione le attitudini fisiche e professionali del lavoratore e, al contempo, al lavoratore per misurare la convenienza all’occupazione del posto di lavoro. La legge dispone che ciascuna delle parti possa risolvere il rapporto facendo uso del diritto di recesso senza l’obbligo del preavviso o dell’indennità sostitutiva. Per questa ragione il legislatore è intervenuto a limitare a sei mesi la durata massima de periodo di prova, di regola fissata dai contratti collettivi. 12.I vizi della volontà nella conclusione del contratto. Per quanto attiene alla formazione del consenso la problematica si sofferma sulle possibili estrinsecazioni di vizi della volontà. I vizi sono errore motivo od ostativo, il dolo o la violenza. Hanno rilievo pratico indubbiamente ridotto le ipotesi della violenza morale e del dolo che sia, al pari dell’errore, determinante del consenso e quindi essenziale per la conclusione del contratto: questi ultimi vizi differiscono dall’errore in quanto agiscono sulla formazione della volontà, influenzandola non sul piano dei motivi ma sul piano delle divergenze tra volontà ipotetica e dichiarazione. Essendo difficile configurare in concreto ipotesi di errore essenziale sull’oggetto o sul contenuto del contratto di lavoro l’ipotesi principale resta quella che si verifichi un errore essenziale e riconoscibile dall’altro contraente sulla persona di quest’ultimo. Nel rapporto di lavoro una simile rilevanza è strettamente connessa alla considerazione soggettiva della persona dell’obbligato, in relazione alle caratteristiche della prestazione dovuta. Una simile situazione è ipotizzabile quando le attitudini professionali o personali del lavoratore abbiano specifico rilievo ai fini della prestazione e quindi dell’assunzione al lavoro ed il datore abbia il potere di valutarle ai fini della conclusione del contratto. In conclusione si può dire che la considerazione soggettiva della persona del lavoratore è elemento essenziale del contratto di lavoro. Le qualità personali e professionali del lavoratore vengono normalmente in rilievo attraverso l’esecuzione del contratto e solo eccezionalmente, la loro considerazione può essere motivo d’impugnativa per errore. 13. Il divieto di indagine su fatti non rilevanti ai fini dell’attuazione professionale Particolare significato, dal punto di vista della considerazione soggettiva della persona del lavoratore è riconosciuto dall’articolo 8 dello Statuto dei Lavoratori, il quale prevede il divieto per il datore di lavoro di assumere, sia personalmente, che a mezzo terzi, informazioni non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore (c.d. indagini personali), non soltanto ai fini dell’assunzione, ma anche durante lo svolgimento del rapporto. La norma ha l’evidente scopo di tutelare la riservatezza del lavoratore. 14. Il trattamento dei dati personali Un significativo ampliamento del diritto alla riservatezza si è realizzato per la prima volta con l’emanazione in termini di tutela delle persone fisiche del codice in materia di protezione di dati personali. Nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali. Accanto all’istruzione di una apposita autorità indipendente (garante per la protezione dei dati personali) con compiti di controllo e poteri sanzionatori, sono stati riconosciuti a tutte le persone interessate, i c.d. diritti informatici . Mediante la c.d. informativa prevista dall’art.13, cioè una comunicazione circa l’esistenza, la natura e le finalità della raccolta dei propri dati personali e nel diritto di accesso: in ogni momento l’interessato ha diritto di ottenere la conferma dell’esistenza o meno di dati personali che lo riguardano e di conoscere l’origine. Un ruolo marginale è assegnato al consenso dell’interessato, che è richiesto solo in talune ipotesi, tra le quali spicca quella relativa al trattamento dei dati c.d. sensibili, si tratta di dati idonei a rilevare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati; e possono essere oggetto di trattamento solo con consenso dell’interessato e sulla base preventiva autorizzazione del Garante. 14. La simulazione nel contratto di lavoro Nel caso dell’errore, come degli altri vizi del consenso, si pone il problema della divergenza tra l’intenzione e la volontà concretamente manifestata. Il diverso problema della divergenza tra la volontà e la dichiarazione si presenta invece a proposito della simulazione art 1414 c.c. nella quale, la volontà dichiarata verso l’esito si contrappone alla volontà dichiarata verso l’interno dagli stessi contraenti. Quest’ultima è l’unica manifestazione di volontà efficace tra le parti in virtù dell’accordo simulatorio che vincola, ove sussistono i requisiti di sostanza e di forma prescritti per la validità esistenza del negozio effettivamente voluto e fatti salvi i diritti dei terzi. In tal modo, se il contratto simulato è quello di lavoro, il rapporto non si costituisce tra i contraenti fittizi ma, produrrà i propri effetti il diverso contratto d’opera o di altro tipo effettivamente voluto dai contraenti. Opposto è se il contratto simulato è quello d’opera o autonomo, sarà il contratto di lavoro subordinato ad emergere sul piano della realtà negoziale. La verità e che la simulazione, pur non identificandosi necessariamente con la frode alla legge, è da ritenere preordinata al mascheramento si un contratto illecito, anche fraudolento. Di qui l’invalidità del contratto simulato come del contratto dissimulato, con l’applicazione dell’art. 2126 c.c. E ove possibile, la sostituzione automatica della disciplina imperativa del rapporto. Capitolo 4: La prestazione di lavoro Sez A: Potere direttivo e potere disciplinare 1. Il contenuto della subordinazione: la diligenza La collaborazione è il connotato fondamentale della causa del contratto di lavoro subordinato e dunque il risultato tipico che lo caratterizza rispetto agli altri contratti. Al contratto di lavoro subordinato è attribuita la funzione di garantire la soddisfazione dell’interesse del datore di lavoro alla collaborazione. L’obbligazione di lavoro vincola il debitore a sottoporsi alle direttive del creditore il quale è titolare di una pretesa alla prestazione e di un potere direttivo sulla sua esecuzione. La norma fondamentale in materia è l’art. 2104 c.c. che sotto la rubrica “diligenza del prestatore di lavoro” fissa i due requisiti della diligenza ed obbedienza, e prevede che il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta. Si tratta di una specificazione, fissato dall’art 1176 c.c. evidenzia che nell’adempiere all’obbligazione, il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia e nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata. Questo non significa che esista un obbligo autonomo di diligenza, ma esiste semplicemente un obbligo relativo all’esecuzione della prestazione di lavoro intellettuale e manuale di cui la diligenza non è altro che la misura. La diligenza può differenziarsi secondo il tipo di lavoro e quindi di mansioni ma il legislatore si è richiamato alle modalità di attuazione della stessa. La natura della prestazione dovuta è solo uno dei criteri posti dal legislatore per la valutazione della diligenza dovuta al prestatore, in quanto, sempre nel primo comma dell’art.2104 c.c. ne sono previsti contestualmente altri due: l’interesse superiore della produzione nazionale e l’interesse dell’impresa. • Al primo parametro, la formula adoperata dal legislatore rinvia all’ideologia corporativa dello statalismo economico, secondo cui tutte le attività economiche dovevano tendere verso un fine comune. Tale riferimento è stato abrogato per effetto della caduta dell’ordinamento corporativo. • Al secondo parametro, è possibile intenderlo in senso oggettivo: interesse dell’impresa in sé; oppure soggettivo: interesse concreto dell’imprenditore. In La norma vieta al datore di lavoro di adibire le guardie giurate a compiti di vigilanza sull’attività lavorativa e ne interdice l’accesso ai locali dove si svolge tale attività durante l’orario di lavoro. La giurisprudenza non esclude la possibilità per il datore di lavoro di adibire ai propri dipendenti mansioni di vigilanza, per controllare l’attività lavorativa di altri dipendenti, al solo fine di accertare il comportamento fraudolento di quest’ultimo che esuli dalla prestazione lavorativa e che incida sull’integrità del patrimonio aziendale. Alla tutela del patrimonio aziendale sono finalizzate anche le visite personali di controllo. Esse sono consentite solo se indispensabili. Esse potranno essere effettuate soltanto a condizione che siano eseguite all’uscita dei luoghi di lavoro, che siano salvaguardate, la dignità e la riservatezza dei lavoratori. Le modalità della loro attuazione devono essere concordate con le rappresentanze sindacali; in caso di mancanza di accordo è previsto l’intervento della Direzione provinciale del Lavoro. 7. I controlli sull’attività lavorativa Lo statuto ha disciplinato restrittivamente anche le diverse forme di controllo funzionale sull’attività lavorativa. L’art. 3 dispone che i nominativi e le specifiche mansioni di personale addetto alla vigilanza sull’attività lavorativa siano preventivamente comunicate ai lavoratori interessati. La norma va intesa con riferimento agli addetti a mansioni di vigilanza specifica. la norma volta a tutelare la privacy del lavoratore dall’esercizio invasivo del potere aziendale, è andata incontro a non poche difficoltà interpretative a seguito dell’evoluzione del contesto produttivo e dell’introduzione delle nuove tecnologie informatiche e degli strumenti digitali con cui sempre più spesso viene resa la prestazione lavorativa tanto nell’industria quanto nei servizi. L’articolo 4 è stato applicato in organizzazioni aziendali in cui il controllo a distanza del prestatore non opera più soltanto tramite i tradizionali impianti di videosorveglianza, ma soprattutto attraverso gli strumenti tecnologici con cui viene prestato il lavoro: (controllo delle e-mail, profilazione dei siti navigati). Nonostante l’amia formulazione della norma abbia consentito alla giurisprudenza di adeguarne il convenuto precettivo all’evoluzione tecnologica, non ha potuto eliminare i molti elementi di incertezza. Di qui l’opportunità di una riscrittura del testo normativo, operata dal legislatore attraverso il c.d. Jobs Act. Il nuovo art. 4 riafferma la regola secondo cui l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature finalizzate alla vigilanza a distanza sull’attività lavorativa è consentito soltanto a condizione che vi siano obiettive esigenze organizzative e produttive di sicurezza del lavoro. Art. 6 consente l’impiego di siffatti impianti a condizione di sicurezza sul lavoro e la loro installazione deve essere accordata con i rappresentanti sindacali dell’azienda. La vera innovazione adoperata dal d.lgs n 151/2015 è nel co.2 art 4. In cui l’intervento dell’autonomia collettiva, non è necessario nei casi in cui il controllo viene svolto sulle apparecchiature con cui viene resa la prestazione lavorativa (tablet, smart-phone); ed è quindi evidente l’intento del legislatore di liberalizzare la disciplina dei controlli: viene infatti meno qualsiasi mediazione ad opera del soggetto sindacale che si formalizzi in un contratto collettivo. Il nuovo testo art 4 fissa pur sempre dei limiti all’esercizio del potere datoriale ai controlli: • Co. 3 prevede che i dati raccolti sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che il datore abbia dato adeguata informazione della modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli, e nel rispetto del diritto del lavoratore alla riservatezza. • Il secondo limite è rappresentato dalle prescrizioni del codice della privacy: i dati devono essere raccolti secondo i principi generali di liceità, correttezza, necessità e non eccedenza. In caso di mancanza osservanza ai limiti tutte le informazioni raccolte dal datore saranno inutilizzabili e le prove raccolte non rileveranno ai fini del procedimento disciplinare istaurato. 8. Gli accertamenti sanitari L’art 5 disciplina gli accertamenti sanitari ed in primo luogo quelli diretti a controllare la giustificazione dell’assenza del lavoratore in caso di infermità. La norma ha vietato la prassi di far controllare da un medico di fiducia del datore di lavoro lo stato di malattia giustificativo dell’assenza dal lavoro ai sensi dell’art 2110 c.c. Il divieto ha lo scopo di conciliare il diritto alla salute del lavoratore costituzionalmente garantito, art 32 Cost., con quello del datore ad avvalersi della prestazione dovuta quale proiezione della libera iniziativa economica privata prevista art 41 Cost. Il controllo quindi può avvenire soltanto attraverso accertamenti medici effettuati da membri degli istituti previdenziali, su richiesta del datore di lavoro. Si è previsto che i controlli sullo stato di malattia del lavoratore siano effettuati entro lo stesso giorno dalla richiesta del datore di lavoro in fasce orarie prestabilite. Il lavoratore assente dal proprio domicilio senza giustificato motivo decade dall’intero trattamento economico per i primi dieci giorni e dalla metà di esso per i giorni successivi (la corte ha dichiarato l’incostituzionalità di questa seconda parte). Lo statuto prevede poi di far controllare l’idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico, ribadendo il divieto del ricorso ai medici fiduciari dell’imprenditore. Questo obbliga il datore a nominare un medico competente per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori addetti a determinare lavorazioni particolarmente rischiose. A tale soggetto spetta il compito di effettuare gli accertamenti preventivi e periodici al fine di valutare l’idoneità del lavoratore alla mansione assegnatagli. 9. La procedimentalizzazione dei poteri del datore di lavoro Le norme del 1970 hanno inteso ridefinire la situazione soggettiva del lavoratore subordinato, perseguendo l’obiettivo di realizzare un equilibrio, tra le esigenze produttive e quelle della libertà e della personalità del lavoratore. La connessione tra la persona ed il lavoro che forma oggetto della prestazione dovuta, è inscindibile: non esiste il lavoro ma esistono, in concreto, i lavoratori. Per questo lo Statuto dei lavoratori ha inteso impedire che la subordinazione divenga subordinazione della persona ed a tal fine ha introdotto alcuni elementi di procedimentalizzazione del potere imprenditoriale. Così l’esercizio del potere direttivo è stato sottoposto all’adempimento di vincoli procedimentali la cui osservanza si configura come requisito di legittimità e addirittura di validità dell’atto finale del datore di lavoro, più che quale semplice onere. Sez B: Mansioni e Qualifica 10.Le mansioni e la qualifica La prestazione di lavoro consiste nello svolgimento di una attività (facere). Per individuare l’oggetto del contratto si fa riferimento alle mansioni, termine che indica i vari compiti per lo svolgimento dei quali il lavoratore viene assunto e nei quali è scomponibile l’organizzazione del lavoro di un’impresa. Le mansioni costituiscono il criterio di determinazione qualitativa della prestazione. Esse si identificano dal punto di vista dell’organizzazione del lavoro, con la posizione di lavoro e dal punto di vista della struttura dall’obbligazione di lavoro con l’oggetto della prestazione di lavoro. Le stesse mansioni possono essere individuate senza considerare l’attività complessiva che deve essere svolta, bensì indicando quest’ultima per mezzo di una qualifica riferita al lavoratore addetto alle mansioni. La regola fondamentale della moderna organizzazione produttiva è la divisione del lavoro tra gli addetti alla produzione. In virtù di tale regola la divisione delle mansioni si identifica con l’articolazione delle funzioni e dei ruoli all’interno dell’organizzazione del lavoro. Le mansioni possono essere di vario tipo e non consistono necessariamente in compiti materiali di produzione poiché esse possono essere di programmazione, di progettazione, di controllo, di sorveglianza e di coordinamento. Si può dire che la divisione delle mansioni rispecchia la divisione del lavoro. La diffusione ed accelerazione dei processi di innovazione tecnologica ed il crescente sviluppo dei servizi hanno reso l’organizzazione del lavoro più diversificata e complessa, modificando, tra l’altro, anche i contenuti delle mansioni in relazione all’evoluzione dei sistemi produttivi. 11. La differenziazione retributiva in relazione alle mansioni Un altro aspetto della divisione del lavoro è la differenziazione delle retribuzioni in relazione alle mansione nelle quali è scomponibile un’organizzazione. Le diverse mansioni danno luogo a diversi compiti e possono presentare un diverso grado di complessità. I compiti non sono di eguale valore e di qui nasce l’esigenza di una differenziazione delle condizioni della prestazione e della retribuzione del lavoro, e perciò un trattamento salariale e normativo che il datore di lavoro è tenuto ad osservare. Questa valutazione dipende dal mercato del lavoro che è appunto il mercato delle qualifiche, e la valutazione del lavoro viene determinata dalla contrattazione collettiva, la quale a tal fine opera una vera e propria tipizzazione delle mansioni ed una loro classificazione su una scala che le pone in ordine di valore in base al tipo di capacità professionale richiesto per il loro svolgimento. 12. L’inquadramento del prestatore di lavoro. Le categorie contrattuali. Il secondo comma dell’art 96 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile stabilisce che l’imprenditore deve far conoscere al prestatore di lavoro, al momento dell’assunzione, la categoria e la qualifica che gli sono assegnate in relazione alle mansioni per cui è stato assunto. L’assegnazione delle mansioni è il presupposto per il c.d. inquadramento individuale del prestatore di lavoro nel sistema di classificazione professionale. Tale sistema si articola nelle categorie previste dal 1°comma dell’art 2095 che rinvia all’autonomia collettiva, e in sua mancanza alla legge (leggi speciali) per la definizione dei requisiti di appartenenza dei prestatori di lavoro alle diverse categorie e alle diverse qualifiche. Per qualifica si deve intendere l’indicazione di un soggetto identificato dall’attività che svolge nella organizzazione produttiva. Esso è peraltro definibile anche come l’insieme delle mansioni che individuano una figura professionale per categorie. Anche il termine categoria ha due significati non contrastanti, ma complementari. Vi sono le c.d. categorie legali come i dirigenti, i quadri intermedi, impiegati ed operai; e le categorie contrattuali così definite per distinguer leda quelle legali. Con l’inquadramento unico il termine categoria si riferisce solo ai c.d. livelli di inquadramento. 18.c. In caso di sopravvenuta inabilità allo svolgimento delle mansioni originarie, per infortunio o malattia; 18.d. Quando un accordo sindacale preveda il riassorbimento totale o parziale dei lavoratori esuberanti. Lo stesso art. 2103 stabilisce nell’ultimo comma che ogni patto contrario è nullo. Nel caso d’illegittima adibizione a mansioni inferiori (dequalificazione) la giurisprudenza riconosce al lavoratore il diritto al risarcimento del danno sia patrimoniale che non patrimoniale. 19. La mobilità orizzontale La c.d. mobilità orizzontale, consente al datore di lavoro di assegnare al lavoratore mansioni diverse ma equivalenti alle ultime effettivamente svolte. L’articolo 2103 stabilisce che l’equivalenza non derivi necessariamente dalla parità di trattamento economico, ma si tratta di un’affinità tra le vecchie mansioni e le nuove e tale criterio può includere anche un riferimento alle capacità professionali del lavoratore. Il nuovo sistema di inquadramento per aree professionali pone alcuni problemi proprio in relazione alla mobilità del lavoratore su mansioni equivalenti. Infatti in ciascuna area vi sono posizioni organizzative con trattamento retributivo differenziato; e tuttavia i contratti prevedono normalmente che il lavoratore possa essere adibito a tutte le mansioni relative alle posizioni ricomprese nell’area professionale di appartenenza, talora specificando che esse sono considerate come contrattualmente equivalenti. 20. La mobilità verso l’alto La c.d. mobilità verso l’alto permette l’assegnazione a mansioni superiori, stabilendo che in questo caso il prestatore ha diritto al trattamento economico corrispondente all’attività svolta e che l’assegnazione stessa diviene definitiva dopo un periodo fissato dai contratti collettivi e, comunque, non superiore a tre mesi, sempre che la medesima non abbia avuto luogo per la sostituzione di un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto. Il diritto alla qualifica superiore,nell’ipotesi di assegnazione a quadro intermedio o dirigente matura dopo un periodo di almeno tre mesi di svolgimento delle mansioni superiori oppure dopo quello superiore eventualmente fissato dai contratti collettivi. Il nuovo art 2103 c.c. riconosce quindi al lavoratore il diritto alla promozione. Si ha la promozione automatica quando i contratti collettivi stabiliscono che il lavoratore debba essere promosso dopo un periodo di tempo adibito a mansioni inferiori. 21. La disciplina del trasferimento del lavoratore In mancanza di eventuali patti, la determinazione del luogo, appartiene all’esercizio del potere direttivo del datore di lavoro. L’art. 2103 così come novellato dallo Statuto dei Lavoratori, disciplina anche il trasferimento del lavoratore ad altra unità produttiva. La norma riconosce il potere unilaterale di modificare in via definitiva il luogo della prestazione. Il trasferimento può essere disposto dal datore solo per comprovate ragioni tecniche ed organizzative. Il potere di trasferimento è vincolato quindi da tali esigenze organizzative che l’imprenditore dovrà dimostrare e comunicare al lavoratore. Naturalmente è vietato il trasferimento determinato da motivi di discriminazione della persona per qualsiasi sia il motivo. L’ultimo comma stabilisce anche che in tale situazione vige la nullità dei patti contrari alla norma. Sez: C La tutela della persona del lavoratore nell’organizzazione del lavoro 22. L’inserimento del prestatore di lavoro La rilevanza degli interessi collettivi dei lavoratori e la tutela della persona del lavoratore, sono all’origine della contrattazione collettiva e della legge, inteso a disciplinare le condizioni ambientali e a determinare la durata della prestazione lavorativa. Nello svolgimento della prestazione il lavoratore viene inserito all’interno di un’organizzazione, da intendere come coordinamento di fattori naturali ed artificiali (ambiente di lavoro), all’interno del quale si pone il problema della tutela della persona fisica e della personalità. L’obiettivo della tutela dell’integrità anzitutto fisica del lavoratore è stato presente fin dall’origine nel nostro ordinamento e tale tutela si è venuta perfezionando nel tempo. In questa prospettiva si è introdotto e sviluppato un organico sistema di assicurazioni sociali contro gli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali. Alla base dell’istituto è il principio del rischio professionale. In virtù di tale principio si spiega come alla base di tali forme assicurative vi sial’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile in capo al lavoratore degli eventi dannosi assicurati: tenuto a risarcire il lavoratore è l’ente assicurativo. 23. La disciplina contenuta nell’art 2087 c.c. Il c.d. danno biologico. Il mobbing. L’art 9 S.d.L. L’art 2087 stabilisce che l’imprenditore è tenuto ad adottare le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro, pone a carico del datore di lavoro uno speciale obbligo di protezione della persona . La norma sottolinea l’implicazione della persona nella prestazione e reca una previsione ampia ed elastica comprensiva non solo del rispetto delle condizioni imposte dalla legge, ma anche all’introduzione e manutenzione di tutte le misure che siano idonee a prevenire infortuni ed eventuali situazioni di pericolo per il lavoratore. L’imprenditore è vincolato a svolgere un’attività generale di prevenzione dei rischi. Si tratta di un facere tendente a limitare il potere direttivo imprenditoriale nell’organizzazione del lavoro dei dipendenti. Nel rapporto di lavoro, la protezione dell’interesse alla salute del prestatore si aggiunge ai tanti obblighi di protezione integrativi. La Corte costituzionale ha affermato la rilevanza anche nel rapporto di lavoro del danno biologico. Si tratta della menomazione dell’integrità psicofisica della persona la cui tutela va oltre la mera capacità lavorativa e si riferisce all’insieme di funzioni naturali della persona. Ciò ha comportato anche l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per i casi di danno biologico derivante da infortunio o da malattia professionale. Detta responsabilità, rimane a carico dei datori di lavoro, al di fuori dell’area coperta dall’assicurazione obbligatoria. La giurisprudenza ha poi riconosciuto il c.d. danno esistenziale causato dalla violazione dell’art 2087. Si è sviluppato di recente un dibattito intorno ad una nuova fattispecie produttiva di danni, il c.d. mobbing che si manifesta allorché un soggetto tende a mettere un’altra persona in condizione di inferiorità tale da lederne la dignità. La giurisprudenza è sempre più orientata a considerare illeciti i comportamenti che si concretizzano in una persecuzione della persona del lavoratore. La dottrina e la giurisprudenza riconoscono il c.d. danno morale, connesso a lesioni della dignità o integrità morale del lavoratore, senza che venga necessariamente compromessa la sua salute psico-fisica. Naturalmente è anche possibile che il danno psico-fisico si aggiunga al danno morale. L’art 9 dello statuto dei lavoratori ha attribuito ai lavoratori il diritto di esercitare, a mezzo di proprie rappresentanze, il controllo sull’applicazione delle norme per la prevenzione e di promuovere la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica. 24. La tutela della salute nel D. lgs. N. 262/1994 La normativa per la tutela della salute sin qui descritta è stata arricchita con il D.Lgs. 19 settembre 1994 n 26235. Con questo provvedimento viene ribadito il nesso tra obblighi di sicurezza ed acquisizioni tecnologiche ed vengono individuate specificazioni dell’obbligo di protezione, infatti è prevista la valutazione ed eliminazione dei rischi e la programmazione della prevenzione. Inoltre è imposto un uso ridotto di agenti chimici, fisici e biologici ed è resa obbligatoria l’informazione, formazione, consultazione e partecipazione dei lavoratori ovvero dei loro rappresentanti sulle questioni riguardanti la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro. Tale decreto rafforza il diritto all’informazione citato dallo statuto dei lavoratori e rende obbligatoria l’elezione o designazione in tutte le aziende di uno o più rappresentanti per la sicurezza i quali hanno diritto alle informazioni relative all’ambiente di lavoro e vengono consultati in ordine alla valutazione dei rischi, alla individuazione, programmazione, realizzazione e verifica della prevenzione nell’azienda o nelle unità produttive. Al rafforzamento della partecipazione dei lavoratori è rivolta anche la disposizione relativa alla costituzione di organismi paritetici tra i sindacati e le organizzazioni imprenditoriali. Tali organismi svolgono iniziative formative e prima istanza di riferimento nelle controversie, informazione e formazione. Le due maggiori innovazioni possono essere l’obbligo a carico dei lavoratori di effettuare una valutazione dei rischi per la sicurezza e di conseguenza di elaborare un piano di sicurezza ambientale. Altra innovazione è l’istituzione di un servizio di prevenzione e protezione, solitamente interno all’azienda. a questo obbligo si affianca quello di sottoporre alla sorveglianza sanitaria del medico competente i lavoratori esposti a particolari agenti. 25. I divieti di discriminazione Sempre in relazione alla tutela della persona del lavoratore, di notevole interesse è la normativa introdotta per salvaguardare la dignità e la libertà morale della persona del lavoratore. I primi divieti di discriminazione politica, religiosa e sindacale,risalgono alla disciplina del licenziamento ed all’art 15 dello Statuto dei Lavoratori che vietava le discriminazioni sia nell’assunzione sia nello svolgimento del rapporto di lavoro. Successivamente il testo unico sulle norme sulla condizione dello straniero ha vietato ogni forma di discriminazione con riferimento al datore di lavoro, che mette in atto un qualunque atteggiamento pregiudizievole del lavoratore in ragione dell’appartenenza ad una razza, ad un gruppo etnico o linguistico, ad una confessione religiosa o ad una cittadinanza. Un decisivo contributo, è venuto dall’UE la quale con una direttiva vieta le discriminazioni fondate sulla razza o sull’origine etnica ed ha un ambito che travalica i rapporti di lavoro fino a comprendere l’alloggio. A questa direttiva se ne affianca un’altra la quale vieta discriminazioni fondate sulla religione o sulle convinzioni personali, sugli handicaps, sell’età o sulle tendenze sessuali. Le disposizioni di tali direttive sono state messe in atto vietando ogni trattamento che crei una situazione di svantaggio in considerazione della razza o dell’origine etnica comprendendo tra i comportamenti vietati anche le molestie.