Scarica P.C. RIVOLTELLA-P.G. ROSSI (eds.), Tecnologie per l’educazione, Pearson, Milano, 2019 e più Sintesi del corso in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! P.C. RIVOLTELLA-P.G. ROSSI (eds.), Tecnologie per l’educazione, Pearson, Milano, 2019. INTRODUZIONE, CAPP. Introduzione 1-2-5-8-9-10-12-13-15-16-17 INTRODUZIONE 1) Cos'è la società informazionale e perché oggi è divenuto centrale il concetto di "onlife"? Internet nasce negli anni 80 del secolo scorso come applicazione di informatica sociale di larga diffusione (si ricorda che era già nata negli anni 60 nei laboratori dell'ARPA come tecnologia militare). È in corso uno sganciamento rispetto allo spazio e al tempo, in particolare dello spazio, perché si assiste all'emancipazione della possibilità della comunicazione dalla necessità di avvenire in un determinato luogo. Quindi Internet rappresenta il punto di arrivo di un percorso di evoluzione della tecnologia in Occidente iniziato con l'invenzione della scrittura ben espresso dalle parole: anywhere anytime (la possibilità di essere raggiunti dalla comunicazione dappertutto e in qualsiasi momento. Tutte le principali applicazioni di Internet, dall’e-learning al telelavoro sono attraversate inizialmente da questo significato utopico. Ma prima dell'arrivo della scrittura si comunicava solo condividendo lo stesso luogo nello stesso tempo, ciò non era inclusivo e limitava la comunicazione: si raggiungevano poche persone ed esse dovevano essere presenti per avere l'accesso alla comunicazione. Tuttavia, il vantaggio era quello di avere un pieno controllo della comunicazione grazie ad un feedback immediato e al controllo sull'accesso a essa. Dal punto di vista antropologico Internet sgancia la comunicazione dallo spazio verso la possibilità di una vita sullo schermo che si libera del peso del corpo: è una vita potenziata perché avviene senza il corpo. Esempio: i MUDs, gli ambienti online, la prima stagione del virtuale alla metà degli anni 90, Second Life, sono esperienze di comunicazione in cui si abbandona il corpo seduto davanti allo schermo e, attraverso lo schermo, si entra in un mondo parallelo. Tutto ciò aveva come sfondo la cultura underground di fine anni 60 di impostazione neoplatonica che trova ne Il Neuromante (1985), manifesto della cultura cyberpunk, e in Matrix (1999) il proprio riferimento. tuttavia oggi il futuro non si è aperto ad una più ampia separazione tra mondi (reale e virtuale) ma se assiste a una sempre più forte interpenetrazione delle due dimensioni: il futuro è l'internet delle cose. Infatti, secondo Floridi sono i media a essere onlife ma noi non siamo più online (oppure offline). La tecnologia digitale smette di essere uno strumento attraverso il quale si entra in un mondo-ambiente digitale separato da quello fisico e viene visto come una dimensione naturale della nostra vita. È ancora una vita potenziata, non perché basata sull’abbandono del corpo ma in quanto dimensione del corpo, un innesto, una possibilità interna. ciò costituisce un cambiamento epocale e un’inversione di tendenza: la tecnologia aumenta la nostra corporeità eri definisce il senso stesso del nostro essere uomini e lo fa in questo mondo e non in un'altra dimensione. La generazione Z non è una generazione di nativi digitali, la domotica e la presenza onlife della tecnologia per essa è la norma. Si parla, quindi, non più di una società dell'informazione, ma di una società informazionale. In questo mondo ormai mutato, il fine della posizione post-umana, dice Braidotti, e ripensare l'evoluzione in modo non determinista e al contempo post-antropocentrico, verso la realizzazione di sistemi auto-poetici che coinvolgono il sistema complesso umano-tecnologico e si fanno carico di una nuova prossimità agli animali, alla dimensione planetaria, agli alti livelli di mediazione tecnologica. La tecnologia aumenta la nostra corporeità, ovvero, non solo potenza i processi di percezione del mondo come protesizzazione, ma l'interazione con essa attiva nuove prospettive con cui vivere la realtà, con cui agire. La disponibilità di informazioni ci permette di essere ancora più connessi con la natura e i suoi ritmi e di agire in dimensioni che prima non abitavamo. Si apre quindi un nuovo rapporto tra cultura e natura legato a un nuovo umanesimo digitale che potrebbe essere visto con le lenti del post-antropocentrico. 2) Cosa si intende per information literacy? Information Literacy: Insieme di competenze che, nella società dell’informazione, indicano la capacità del soggetto di cercare, selezionare e certificare le informazioni disponibili negli spazi e attraverso i supporti della rete Internet. L'insegnante opera in un contesto di azione a elevata complessità. Tale complessità è dovuta dalla crescita veloce delle informazioni e dall'invecchiamento rapido delle conoscenze, dal protagonismo della tecnologia dalla sua capacità di ibridare oggetti organismi, da nuove pratiche e nuove modalità attraverso le quali la Generazione Z sviluppa apprendimento. Anche gli studenti si trovano in un disorientamento totale. Secondo Levy, studenti e insegnanti si trovano di fronte a un nuovo Diluvio Universale: il diluvio delle informazioni. Il problema non è più di ricercare le informazioni, ma scegliere quali selezionare. Il sapere e oggi sempre più intotalizzabile e questo comporta due importanti conseguenze: 1. Vi è un problema di fisica sociale: di ricerca e selezione delle informazioni. È necessario conoscere e saper usare in maniera esperta i motori di ricerca e gli indici digitali e sviluppare alcune competenze di uso critico. 2. Rendere ricercabili in maniera efficace le informazioni. Serres ci mostra come viviamo in un mondo di memorie estese (pendrive USB, cloud, Drive, Dropbox, ...) che permettono di archiviare informazioni e poterle ricercare all’occorrenza. Il risvolto della medaglia di questi strumenti, però, è che è difficile indicizzare i dati, unificare i criteri di ricerca, ricordare dove i file sono stati archiviati (quale strumento era stato utilizzato). Serres pone l’attenzione su quest’ultimo problema, perché il rischio è quello di arrivare a costituire delle teste ben vuote, che non hanno N.B: C’è una distinzione netta tra la didattica che non fa uso di tecnologia, e una didattica che la prevede. 3) Oggi → lo sviluppo dei media li rende indistinguibili nella nostra vita: sono ovunque e sempre presenti. N.B: Didattica e tecnologie si ridefiniscono: non esiste didattica senza tecnologia, ma nemmeno un uso delle tecnologie emancipato dalla didattica. 4) Quali competenze sono necessarie nella società dell’innovazione? L’informazione oggi è liquida e diffusa, quindi si attua un cambiamento che non vede più la semplice analisi e decodifica delle informazioni, ma un processo di interpretazione per costruire un nuovo significato. → Questo avviene anche a scuola, dove le informazioni, frammentate vengono raccolte, elaborate, confrontate, validate e aggregate, in modo che il soggetto possa operare in maniera attiva e costruire delle connessioni tra contesti formali e contesti informali. Queste trasformazioni avvengono in parallelo con la costruzione identitaria personale e professionale (molti lavori del futuro non esistono ancora e dovranno essere inventati, progettati e attuati proprio dai giovani alunni di oggi). Per questo è fondamentale insegnare a focalizzarsi non solo sugli obiettivi, ma anche sulle competenze, perché la competenza è la capacità di orchestrare valori, conoscenze e abilità che servono per costruire nuove strategie utili a risolvere problemi precedentemente non risolti. Come possono la scuola e l’università aiutare a formare cittadini capaci di affrontare le sfide future? E’ necessario un cambiamento educativo che deve modificare contenuti e metodi. La raccomandazione 9009/18 emanata dalla Comunità Europea, individua 8 competenze chiave per l’apprendimento permanente, essenziali ad ogni individuo in una società della conoscenza: competenza alfabetica funzionale, competenza multilinguistica, competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria, competenza digitale, competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare, competenza in materia di cittadinanza, competenza imprenditoriale, competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali. Ma sono altre le ricerche che hanno esposto le loro idee. “The flat world of education” parla di alcune competenze che gli studenti dovrebbero sviluppare a scuola: o Collaborare e comunicazione efficacemente in altri formati o Identificare e collocare informazioni, e trasformarle in nuove idee o Identificare i problemi e sviluppare nuove soluzioni o Operare sulla propria identità professionale per un miglioramento continuo. Simili sono le indicazioni presenti nel report “New technology-based models of postsecondary learning: conceptual frameworks and research agendas” elaborato da Computing Research Association: o Passare dal pensare l’esperienza come un bagaglio di conoscenze, ad un mix di competenze sempre in costruzione o Passare dalla conoscenze alle competenze localizzate o Passare dalla focalizzazione sulla memorizzazione a capacità concettuali e analitiche da poter utilizzare nei diversi contesti o Riconoscere che gli aspetti “non cognitivi”, ovvero gli aspetti complementari delle competenze, sono importanti fattori per il successo dell’istruzione. Infine, la ricerca JRC (Joint Research Centre), si pone l’obiettivo di sostenere la Commissione Europea e gli stati membri nella definizione di politiche basate su evidenze scientifiche in materia di gestione del potenziale delle tecnologie digitali, al fine di portare innovazione nell’istruzione e nei metodi di formazione, migliorare l’accesso alla formazione continua e far fronte all’aumento delle nuove capacità e competenze (digitali) necessarie per l’occupazione, la crescita personale e l’inclusione sociale. Si individuano 21 competenze che vengono racchiuse in 5 aree: 1. Alfabetizzazione su informazioni e dati 1.1 Navigare, ricercare e filtrare dati, informazioni e contenuti digitali 1.2 Valutare dati, informazioni e contenuti digitali 1.3 Gestire dati, informazioni e contenuti digitali 2. Comunicazione e collaborazione 2.1 Interagire attraverso le tecnologie digitali 2.2 Condividere informazioni attraverso le tecnologie digitali 2.3 Esercitare la cittadinanza attraverso le tecnologie digitali 2.4 Collaborare attraverso le tecnologie digitali 2.5 Netiquette (complesso delle regole di comportamento per favorire il reciproco rispetto tra utenti) 2.6 Gestire l’identità digitale 3. Creazione di contenuti digitali 3.1. Sviluppare contenuti digitali 3.2. Integrare e rielaborare contenuti digitali 3.3. Copyright e licenze 3.4. Programmazione 4. Sicurezza 4.1. Proteggere i dispositivi 4.2. Proteggere i dati personali e la privacy 4.3. Proteggere la salute e il benessere 4.4. Proteggere l’ambiente 5. Risolvere problemi 5.1. Risolvere problemi tecnici 5.2. Individuare fabbisogni e risposte 5.3. Utilizzare in modo creativo le tecnologie digitali 5.4. Individuare divari di competenze digitali CAPITOLO 1 5) Illustri i concetti di frammento e layout in rapporto alla didattica Ogni macchina digitale, dal cellulare al robot, più o meno complessa, è caratterizzata da più componenti e da una rete informazionale. Sono composti da frammenti auto-consistenti e da un layout che li aggrega. I frammenti sono espressione della complessità e sono tra loro non riducibili. Ogni frammento ha una sua identità e una sua specificità ed è impossibile trovare una logica unificante e una meta-narrazione che li connetta. Inoltre, ogni frammento è complesso, cioè leggibile solo attraverso alcune logiche multiple. I frammenti sono tra loro distanti e, secondo il concetto di ambiguità di Merleau-Ponty “il soggetto della percezione rimane ignorato finché non sapremo evitare l’alternativa tra il naturato e il naturante, tra la sensazione come stato di coscienza e la sensazione come coscienza di uno stato.” I distanti nella cultura sono connessi da relazioni topologiche, che danno un senso alle informazioni: se nella cultura orale il senso veniva dato dal contesto, nella cultura digitale (nell’infosfera) il senso è costruito dal lettore localmente. Il layout è l’organizzatore che supporta la conoscenza e l’azione. Il soggetto interagisce con il layout e la sua azione produce l’emergenza che aggrega il sistema a un livello superiore, in quanto la connessione non è data a priori, ma si struttura in situazione grazie all’azione. L’azione permette di semplificare la complessità del pensiero, ovvero la rende semplessa (semplessità di Berthoz). La stessa importanza dell’azione si ritrova nella multimodalità di Kress: l’autore pone al centro i modi, non i media. I modi, infatti, veicolano un “messaggio” e un’attività, suggeriscono azioni e richiedono una partecipazione attiva del soggetto. Nei media l’accento viene posto sui linguaggi e sugli artefatti, mentre con i modi si possono Sono sempre di più i programmi di progettazione che vengono utilizzati oggi, ad esempio, in ambito architettonico o ingegneristico, di project management per supportare il progettista nel suo lavoro. Invece, nell’ambito della progettazione didattica le prime esperienze digitali arrivano negli anni 90, quando, per seguire la spinta della diffusione della formazione online, era necessario costruire Learning Objects da usare per diversi sistemi di gestione dell’apprendimento. Es. SCORM (Shareble Content Reference Model), proposto da ADL (Advanced distributed learning), e il Learning Design (LD), che potevano sostenere il docente nella progettazione di percorsi didattici. I limiti di tali artefatti erano quelli di fornire/richiedere molte indicazioni tecnologiche, per cui la progettazione richiedeva molto tempo. → Questo non permetteva di applicare delle modifiche e rendeva il progetto destinato ad una sola classe e non utilizzabile nel lavoro quotidiano dell’insegnante. Solo più avanti sono state ideati dei modelli di progettazione ricorsivi e interattivi (non lineari come i precedenti), che permettevano di far dialogare diversi applicativi. Es. con le API (Application Programming Interface) e il Web 2.0 (da sistema top-down a sistema bottom-up). L’utilizzo di parole chiave e tag permette di organizzare i materiali senza le strutture rigide dei programmi precedenti. Dal nuovo millennio, emerge una nuova attenzione per la progettazione didattica con applicazioni digitali, verso la didattica nel suo complesso e non più legata alla creazione di percorsi online. Il gruppo di lavoro Learning Design Group ha supportato tutto questo. Ad esempio, migliorare l’apprendimento e l’insegnamento attraverso framework descrittivi dei processi e dell’azione didattica. → come il modello del Conversational Framework per l’interazione tra docenti e studenti. Tuttavia, i dispositivi non servono solamente per la fase della progettazione, ma possono essere utilizzati anche nell’azione e nella documentazione. Lo sviluppo di spazi web nei quali organizzare e gestire i materiali didattici ha portato allo sviluppo di ambienti nei quali aggregare i materiali per poi condividerli con la classe. → Ora l’attenzione è posta nella costruzione di tali aggregatori utilizzabili in classe. Es. Edmodo o TesTeach, web app che permettono al docente di selezionare risorse in rete e condividerle con la classe, in presenza o da remoto. Oppure Graphic Organizer, che permette la condivisione di mappe. Un artefatto ha la funzione di supportare il docente nell’elaborazione del percorso, raccogliendo e organizzando tutto ciò che egli utilizzerà a lezione e che aiuterà gli studenti fornendo loro un visione organica del percorso didattico e i materiali che verranno utilizzati. Spesso però si utilizzano app che sono nate fuori dal mondo scolastico, quindi si portano dietro delle logiche che non sono didattiche. Laurillard spiega ai docenti che va bene progettare con le tecnologie, ma bisogna evitare quelle più pericolose e fuorvianti. → in questa direzione va la sperimentazione del progetto DEPIT. L’artefatto, ha una doppia funzione: - Contenitore flessibile → non è un serbatoio dove conservare oggetti digitali, al fine di un utilizzo futuro, senza nessuna rimediazione dell’oggetto stesso o della didattica. Un artefatto (aggregatore) può essere utilizzato, infatti, per dare consegne, organizzare i materiali da sottoporre agli studenti, per raccogliere e gestire le restituzioni, per archiviare attività e documenti di valutazione. Ma è e deve essere flessibile perché può e deve essere costantemente modificato (ridotto, ampliato, composto, scomposto, ...): deve essere adeguato ai docenti e agli alunni a cui viene proposto. - Ambiente reticolare → perché è aperto verso contenuti “esterni”, cioè presenti nel contesto sociale di riferimento o in rete. L’artefatto permette una visione multiprospettica e la raccolta di contributi di ciascuno, risulta fondamentale. La possibilità di condividere i propri prodotti e conoscere altre realtà, permette il confronto e lo scambio peer to peer, in un’ottica partecipativa. Un particolare contributo delle tecnologie a supporto della didattica può essere visto nell’ottica dell’inclusione. Sebbene la “personalizzazione” sia la parola chiave della formazione, nelle classi non è una cosa attuabile (non è possibile creare un programma diverso per ogni singolo studente) e pedagogicamente parlando non sarebbe neanche corretto: l’apprendimento è un processo individuale ma prende avvio dalle interazioni che avvengono in classe. I dispositivi, per la personalizzazione, sono aperti, perché all’interno ciascuno studente può agire in modo diverso in base alle proprie abilità, alle proprie competenze e ai propri bisogni. In questa direzione, i dispositivi permettono: - Di erogare lo stesso contributo in formati diversi - Avere diverse app che permettono di lavorare e di interagire secondo le proprie abilità e caratteristiche - Costruire gruppi di lavoro strutturati - Realizzare percorsi di scrittura collaborativa (co-writing) - Interagire con altri attori del processo formativo (blog, forum, chat, Youtube,...) Infine ci sono i dispositivi BYOD (Bring Your Own Device), che da una parte permettono la condivisione di tutti i materiali, come se fossero libri, dall’altra permettono di ampliare lo spazio inserendo gli oggetti mediali realizzati nel contesto classe (disegni, scritture, quindi tutto il vissuto e la documentazione delle esperienze collegate al percorso). Grazie ai BYOD si crea un “terzo spazio” sempre più vissuto e abitato anche dagli studenti: sono dispositivi che permettono l’interazione sociale, ma anche macchine multimediali con le quali assolvere a diverse funzioni (lettura, produzione, manipolazione). CAPITOLO 5 11) Come le tecnologie modificano le pratiche di valutazione? L’uso delle tecnologie porta cambiamenti delle pratiche di valutazione, introducendo nuove attività e nuove modalità di erogazione, realizzando in questo modo una valutazione più significativa per gli studenti e per i docenti. Le tecnologie, infatti, permettono di sistematizzare e migliorare la gestione dell’intero ciclo di valutazione: dalla presentazione dei lavori alla registrazione delle valutazioni, implementando i feedback e i percorsi di autovalutazione e riflessione. La tecnologia serve per migliorare la valutazione del docente, tra pari, del soggetto e per l’inclusione. Valutazione e tecnologie La diffusione di nuove modalità di comunicazione didattica, di nuove strategie per il monitoraggio e la certificazione di competenze, e di diverse modalità di apprendimento e interazione, hanno reso necessario un ripensamento del modello valutativo tradizionale (non più informazione, studio, verifica) e dei compiti assegnati allo studente. Oggi, i compiti tradizionali assegnati risultano poco stimolanti per gli studenti, che spesso ricorrono alla tecnica del copia-incolla da internet, quindi svolti in maniera meccanica e poco significativa. → bisogna formulare consegne che presentino sfide di ricerca e richiedano rielaborazioni più motivanti e complesse. Utili possono essere le tecnologie che servono per automatizzare il processo di preparazione o per erogare e misurare prove strutturate. Molte applicazioni definiscono da sé il peso e la tipologia delle domande, inserendo stimoli testuali, audio, video, permettendo anche la raccolta dei risultati e la loro tabulazione automatica. Es. Quiz faber, Hot Potatoes, Kahoot. Questi applicativi hanno funzioni importanti: • aiutano il docente sia nella costruzione di prove che possono essere svolte in classe, ma sono anche un aiuto prezioso nella visualizzazione dei dati raccolti. In questo modo l’insegnante può ripensare il proprio lavoro ed eventualmente modificarlo e comprendere se siano necessari interventi di recupero o di potenziamento. • Per lo studente, permettono un feedback immediato alla risposta data (al contrario del cartaceo, che prevede una restituzione successiva), in modo che possa beneficiare della “correzione” in tempo reale. • Inoltre, è possibile digitalizzare le prove strutturate e trattare statisticamente i dati raccolti per evidenziare la congruità rispetto alle aspettative o valutare i risultati della classe e vedere come si collocano rispetto ad altre classi. La diffusione delle tecnologie nella didattica, nell’insegnamento e nell’apprendimento, ha permesso di far emergere alcune linee di innovazione rispetto all’agire didattico per la progettazione, la gestione e la valutazione: → Proporre l’autovalutazione e la valutazione tra pari significa creare una responsabilità rispetto al proprio operato: lo studente non è quindi passivo nell’esperienza della valutazione, ma può esporre il suo giudizio e costruire un proprio pensiero sul compito. → È necessario rendere chiari i criteri di valutazione, esplicitando i punti chiave e le dimensioni del lavoro che saranno valutate. Ci si focalizza sul “perché” e sul “come” del lavoro svolto, cioè sulle finalità e sugli obiettivi. → I feedback da parte degli altri studenti hanno una ricezione differente rispetto a quella degli insegnanti: sono visti in maniera molto più problematizzata e conducono a un ripensamento più profondo dell’intero elaborato (le valutazioni dei docenti sono spesso accolte in maniera acritica e portano alla correzione immediata). Ricapitolando, le tecnologie possono venire in aiuto perché permettono di raccogliere tutti i lavori e di sottoporli alla valutazione in maniera anonima. La tecnologia per la riflessione e l’autovalutazione Strumenti utili per l’autovalutazione sono il portfolio e ePortfolio (portfolio digitale, che permette di aggiungere anche video e audio oltre a documenti cartacei), sempre più diffusi. Descrivono il percorso personale e professionale del soggetto che man mano li costruisce. Oltre ad apprezzare la competenza oggetto di attenzione, con questo strumento è possibile vedere un’espressione personale e ricca della voce dello studente. Può essere utilizzato in vari modi: ● Verifica di come sia stata trattata e compresa una singola disciplina ● Per rilevare l’interesse e la motivazione dello studente ● Comprendere come si acquisisce nel tempo una consapevolezza della propria crescita professionale Studi recenti hanno evidenziato come la costruzione del portfolio supporti la personalizzazione dei processidi de-costruzione e ri-costruzione dell’esperienza svolta. Il senso di proprietà sviluppato dallo studente nei confronti del suo ePortfolio, conduce alla responsabilizzazione e alla consapevolezza del proprio percorso identitario. È uno strumento positivo anche per la valutazione: si mettono in luce le competenze raggiunte dallo studente e non le sue fragilità o mancanze. Valutazione e inclusione Le attività scolastiche più comuni rappresentano spesso delle barriere: circa il 10% degli studenti presenta un ’’print impairment”, ovvero una difficoltà di apprendimento attraverso il canale testuale (deficit visivi o DSA o studenti stranieri). Per questo, le tecnologie, che permettono la possibilità di utilizzare modalità differenti, sono una risorsa per personalizzare e individualizzare le attività. Sono utili per la valutazione di studenti che hanno problemi nella lettura e interpretazione del messaggio, perché consentono di andare oltre la problematica (non fermarsi alla semplice comprensione del testo ma valutare anche altre abilità e capacità dello studente, come la creazione di video,podcast, mappe, ecc). Open Badge, Blockchain e Blockcert Open Badge → distintivi virtuali che raccolgono dati sul proprio percorso, precisando chi ha assegnato il riconoscimento, in cosa consiste e i criteri utilizzati per l’assegnazione. I badge sono definiti da uno standard aperto, definito dalla Mozilla Foundation e attualmente gestiti da IMS Global. Con questi dispositivi, si introducono nell’apprendimento delle caratteristiche che non sono tipiche del contesto scolastico: 1) La Gamification, dove raccogliere badge diventa un gioco a punti, dove completare sfide e ricevere attestati di competenza. 2) La visibilità pubblica: chi guadagna una badge può mostrarlo nel suo profilo social o nel suo curriculum 3) Caratteristica più didattica: facilitano la comprensione del rapporto tra attività svolte e traguardi conseguiti. Questo perché vengono definiti i criteri e descritta l’attività che hanno permesso il rilascio del badge. Blockchain → connesso agli Open Badge. È un registro digitale che tiene traccia, in modo sicuro e anonimo, delle transazioni che avvengono tra i diversi utenti. Blockcerts → Il MIT ha proposto, in relazione a questo, il Blockcerts, che permette la verifica rapida del titolo dichiarato e dell’ente che l’ha emesso. In ambito scolastico e universitario, permetterebbe uno snellimento di pratiche burocratiche, ma il vantaggio maggiore sarebbe quelli di avere in un unico spazio, tutta la documentazione dei percorsi lavorativi e formativi del singolo individuo: questo spazio diventerebbe un quadro della propria identità personale e professionale. 12) Valutazione, equità e inclusione. Come collegare questi termini? Risposta sopra e aggiungere questo. ’’Nessuna tecnologia è di per se stessa formativa, ma quasi ogni tecnologia può essere utilizzata in modo formativo se vengono messe in atto le corrette condizioni. C’è la necessità di ripensare tipologie di compiti e formulare consegne che coinvolgano gli studenti in sfide di ricerca e richiedano rielaborazioni attive, complesse, motivanti”. Un particolare contributo delle tecnologie come supporto alla progettazione e gestione della classe può essere visto nell’ottica dell’inclusione. Sebbene personalizzazione sia una parola chiave della formazione, non va intesa come realizzazione di percorsi differenti per ogni studente, ma va connessa alla sostenibilità dell’azione didattica in classe: l’apprendimento è un processo al contempo individuale e sociale che prende avvio nella classe; perché la progettazione sia sostenibile va intesa come la predisposizione di dispositivi unici, ma aperti, nei quali ogni studenti agisca in modo diverso secondo le proprie abilità, le proprie competenze e i propri bisogni. → Personalizzare, in tale prospettiva, significa predisporre dispositivi inclusivi che riescano a far dialogare traiettorie differenti attraverso un processo complesso di progettazione. Le tecnologie sono utili perché permettono di: 1. Erogare lo stesso contributo in formati diversi (livello grafico/mediale) 2. Avere diverse app che consentono di lavorare e interagire secondo le proprie abilità e le proprie caratteristiche (Es. app per il recupero in ortografia, siti di mappe concettuali per soggetti con DSA, software per soggetti con difficoltà comunicative, ecc) 3. Costruire gruppi di lavoro strutturati su più livelli che permettono la diverse contribuzione di ciascun utente 4. Realizzare percorsi di scrittura collaborativa (co-writing) 5. Interagire con altri attori del processo formativo attraverso applicazioni online (YouTube, wiki, forum, blog, chat, fb, ecc) che permettono un grande livello di interazione. CAPITOLO 8 13) Cos’è un ambiente per l’apprendimento? Per capire cosa sia un ambiente in didattica bisogna differenziare il concetto di spazio e il concetto di ambiente. Spazio: è un'entità illimitata e indefinita in cui si trovano i corpi e i cui vincoli ne determinano le possibilità di movimento. Ambiente: un concetto più ampio e riguarda le condizioni esterne, materiali, sociali, culturali in cui un essere umano si sviluppa, vive e opera. Rispetto allo spazio, il concetto di ambiente si presta di più in ambito pedagogico e didattico perché enfatizza il ruolo delle condizioni sociali e culturali che contraddistinguono i contesti in cui avvengono le azioni didattiche. Gli “ambienti di apprendimento” sono l’approccio didattico adeguato quando si vuole promuovere un “apprendimento significativo” piuttosto che uno meccanico, quando si persegue la comprensione e non la memorizzazione, la produzione di conoscenza invece che la sua mera riproduzione, l’utilizzo dei contenuti didattici piuttosto che la loro ripetizione. L'ambiente di apprendimento rappresenta un sistema dinamico e aperto, in cui le persone che apprendono hanno la possibilità di vivere una vera e propria “esperienza di apprendimento”; esso è ricco di risorse per poter essere funzionale alle differenti situazioni reali in cui si svilupperà il processo formativo, determinato dai sistemi personali di conoscenza che caratterizzano ciascun allievo. → Gli obiettivi di apprendimento rappresentano, in questa prospettiva, più la direzione del percorso che la meta da raggiungere. I contenuti non sono pre-strutturati e sono presentati da una pluralità di prospettive; non tutti devono essere appresi ma rappresentano una “banca dati” cui attingere al bisogno. In un ambiente di apprendimento autentico il formatore è chiamato a svolgere il ruolo di allenatore (coach) e di facilitatore, ovvero, l’apprendimento è sostenuto, stimolato e supportato, ma non controllato e diretto. Gli allievi, dunque, possono determinare i propri ● One to one computing. Si tratta del setting con le tecnologie più tradizionali, che si è diffuso a inizio secolo, riprendendo la logica “one laptop per child”, cioè mantenendo l’aula con i banchi frontali e sostituendo il materiale classico (libro, penne, quaderno) con un notebook per ogni alunno; ● Small group seating. Si privilegia il lavoro di coppia, quindi due discenti che si confrontano e lavorano insieme con un solo pc, attivando forme di collaborazione e di apprendimento tra pari; ● Subject areas. Classi organizzate in aree specifiche dove singole tecnologie vengono utilizzate per specifici scopi didattici (es. sensori per esperimenti di fisica); ● Media areas. In questo caso la variante non è più la disciplina, ma la tipologia di tecnologia, differenziata a seconda degli strumenti e delle operazioni che si possono svolgere; ● Multi-screen classroom. Variante delle precedenti con la presenza di due o più grandi schermi che permettono agli studenti di lavorare in piccolo, medio e grande gruppo. Diversi studi hanno messo in evidenza alcune difficoltà nell’uso delle aule digitali e alcune carenze metodologiche nell’usare strumenti molto sofisticati. Le implementazioni classiche delle aule digitali consistenti in soluzioni one to one computing per gli studenti e nell’uso di LIM per gli insegnanti, mantenevano formati tradizionali di lezione. In effetti gli studi sull’uso delle aule digitali hanno messo in evidenza la necessità di ridimensionare la confusione che ancora oggi permane. Es. Le trasformazioni in atto producono movimenti dai contorni a volte sfumati, tra cui didattica 2.0, classi 3.0 o education 3.0. Non è ben chiaro quali caratteristiche determinino il passaggio dal 2.0 al 3.0. Le diverse promozioni di aule 3.0 sono difficili da distinguere se non per l’introduzione di tutte le tecnologie recentemente apparse nel mercato consumer. L’approccio socio-tecnologico richiede di non separare l’analisi della struttura dello spazio e delle tecnologie in esso presenti dai dispositivi didattici, dal metodo didattico e dalle strategie e relazioni educative attivate. Il setting online Il contesto attuale offre diverse soluzioni che vanno da sistemi strutturati con un ampio spettro di attività, come i LMS (learning management system), a soluzioni legate a metodologie e situazioni didattiche più specifiche e limitate. Gli LMS costituiscono gli ambienti per l’e-learning tradizionali, composti da aree dedicate alle diverse funzioni, utili per costruire online un sistema organizzato di classi con docenti, discenti e diverse figure che possono interagire che possono interagire secondo un piano didattico predisposto. Altre soluzioni, sono web application o applicativi per device mobile applicativi per device mobili, anche se oggi questi micro-ambienti sono aggregati in altri dispositivi o connessi ad altri dispositivi. Il setting online presenta sei diverse forme tipo: • Setting dedicati alla trasmissione della conoscenza per l’erogazione di materiali multimediali (es. learning object, testi e video); • Setting per il lavoro asincrono, per il lavoro di gruppo e la collaborazione online tra pari (es. strumenti wiki o cloud based); • Setting per il lavoro sincrono, come videoconferenze e webconference • Setting per l’apprendimento informale online • Setting per la formazione sul campo con device mobili (es. consultazioni just-in-time, microlearning e device AR). Lo schema ADEMA è utile per identificare le diverse tipologie di ambienti rispetto alle situazioni didattiche, attraverso le funzioni di: - Delivering, tool per strategie trasmissive più o meno interattive, dove il feed back dei discenti è legato a procedure automatizzate. - E-moderating, strumenti orientati all’attivismo basati sulla valutazione della comunicazione e sull’azione dell’insegnante che segue e modera l’agire degli studenti - Situated, strumenti per la costruzione di mondi da esplorare con diversi livelli di fedeltà, rispetto a quelle autentiche a cui si riferiscono per poter agevolare gli apprendimenti. Oltre a queste, ogni ambiente online presenta le seguenti sezioni: - Administration, strumenti per l’organizzazione e la preparazione di percorsi formativi. - Gestione degli utenti, strumenti utilizzati per definire gli accessi e i ruoli e le possibilità di azione per ciascun utente. - Monitoring, strumenti per tracciare le attività svolte e della navigazione; - Assessment, strumenti per misurare il raggiungimento degli obiettivi formativi e didattici. CAPITOLO 9 16) Cosa significa affermare che la Media Education è sia una disciplina sia un movimento? + 17) La media Education come risorsa integrale per l’intervento educativo. La ME ha una doppia anima: movimento e ricerca. Nel 2001 la Media Education viene definita come “L’ambito delle scienze dell’educazione, della comunicazione e del lavoro educativo che considera i media come risorsa integrale per l’intervento formativo”. Questa definizione è ancora valida, ma bisogna fare alcune considerazioni. La Media Education è un ambito interdisciplinare, che si colloca tra le Scienze dell'Educazione e le Scienze della Comunicazione, prendendo da entrambe dei tratti di metodo: Dalle scienze dell’educazione, prende i metodi attivi e collaborativi, le forme ed esperienze dell'animazione, l’ispirazione di fondo del problematicismo e della pedagogia critica. Dalle scienze della comunicazione prende le teorie degli effetti, i metodi di analisi di testo e del consumo proprio della semiotica e degli Audience Studies, il mediamaking. Questa appartenenza consente ai saperi e alle esperienze della ME di ottenere un controllo, di non scivolare verso la pratica irriflessa, di rispondere alla logica di accountability, che qualsiasi politica dell’istruzione deve considerare. Ma la ME è anche un ambito del lavoro educativo e la componente movimentista è molto importante. La storia della ME dice che essa è vissuta del lavoro degli insegnanti, delle associazioni professionali, delle comunità autorganizzate dal basso. → In Italia molto di questo lavoro è stato fatto da associazioni di cultura cinematografica, come cinecircoli giovanili socioculturali CGS, che molto hanno fatto per la diffusione e promozione della cultura cinematografica nella prospettiva dell’educazione (cineforum, pubblicazione, corsi di formazione). Quando nasce la Me, negli anni ‘60, evidenzia subito due vocazioni: la prima è la difesa del diritto di accesso alla cultura (Freire parla del binomio tra coscientizzazione e liberazione), la seconda è lo sviluppo di cittadinanza (Freinet afferma che la scuola può diventare uno spazio politico dove esercitare il pensiero critico e prepararsi alla vita civile). [Nel capitolo collega direttamente la risposta alla domanda successiva] La Media Education considera i media una "risorsa integrale" per l'intervento formativo, alludendo al fatto che riguarda l'educare: ● Educare con i media: servirsi di prodotti educational, usare documentari a supporto della didattica: espressione di una prospettiva strumentale, questa dimensione è la più classica e finisce per sovrapporsi alla didattica mediale; ● Educare ai media: sviluppare il pensiero critico sui contenuti mediali: espressione di una prospettiva testuale che più chiama in causa la semiotica, i metodi d'analisi e supporta il lavoro didattico su linguaggi e forme mediali. Oggi è estesa all'uso corretto e responsabile dei media digitali e sociali verso un uso responsabile di questi. ● Educare attraverso i media: rendere i media trasversali alle discipline del curricolo. Es. facendo storia con il cinema del Novecento, oppure quando si usa Google Earth per geografia. ● Educare per i media: sviluppare competenze di scrittura mediale, educare l’espressività e creare le condizioni adeguate per un uso linguisticamente corretto dei media. → legata al mediamaking a scuola oppure per formare gli studenti a diventare professionisti nella comunicazione. 18) Le applicazioni della Media Education nell’extrascuola: esempi. Tradizionalmente si pensa che la ME avviene solo nelle scuole (il termine ‘’education’’ significa "istruzione"). Ma questa collocazione trova due spiegazioni: essere ridotto ne hai dati audiometrici che lo misurano né ai contenuti comunicativi scambiati. 20) Quali sono gli obiettivi formativi dell’analisi dei consumi mediali? + 21) Perché l’analisi dei consumi può promuovere l’autoriflessività del pubblico? L’analisi dei consumi è una componente fondamentale della ricerca sui media, indipendentemente dal loro carattere. Essendo parte essenziale di questa ricerca, l’analisi dei consumi è stata assunta anche come componente teorica e metodologica sia dalla ricerca sui media, che dalla ricerca in Media Education, alle quali fornisce categorie interpretative generali e specifiche e strumenti di analisi ormai consolidati. Vi sono tre livelli relativi all’approccio media-educativo e che si possono intendere come obiettivi formativi dell’analisi stessa: ● Destinatario empirico. L’analisi dei consumi consente il passaggio dal destinatario implicito, iscritto progettualmente nella logica testuale, alla descrizione del destinatario reale (lo spettatore,/lettore/fruitore, che può essere individuale o collettivo) ● Strategie di marketing. L’analisi dei consumi costituisce una componente della decostruzione del sistema mediale: sono l’esito delle strategie di marketing capace di produrre e dare forma al pubblico di un determinato prodotto ● Autoriflessività. L’analisi dei consumi va oltre l’educazione per prendere in considerazione le abitudini, i gusti e le pratiche dei consumatori. Qui ci si focalizza sulle abitudini, sui gusti, sulle pratiche quotidiane per riconoscerle come attività sociali dotate di senso, che portano a rischi e opportunità, a risorse per l’empowerment, a omologazione o controllo sociale. I primi due livelli permettono di comprendere il funzionamento della macchina mediale nel suo complesso di offerte-domande-produzione. Il terzo livello consente ai destinatari della media education di fare un’autoriflessione come pubblico e di acquisire maggiore consapevolezza circa le proprie pratiche di consumo mediale. CAPITOLO 12 22) Perché i nuovi media sono diventati invisibili? Si dice che i nuovi media sono invisibili perché sono diventati parte integrante della vita quotidiana di ognuno: utilizziamo le tecnologie (condividiamo sui social, chattiamo, creiamo contenuti audio e video), senza accorgercene, quasi senza renderci conto delle nostre azioni. Ma come siamo arrivati a questa “invisibilità”? Per ideare e progettare percorsi di ME, è necessario saper rispondere a queste domande: Come riconoscere la ME?, Come sottolineare la specificità in un contesto dove tutto è digitale? La Media Education è assimilabile al digitale o no? È sufficiente utilizzare gli smartphone in classe per “fare” ME? Da un punto di vista storico, la ME era più facilmente riconoscibile quando anche i Media erano degli oggetti palesemente distinti dagli altri: la radio, la tv, il cinema. Durante gli anni ‘90, la RAI inaugura uno dei primi servizi a distanza: vengono creati dei canali su argomenti specifici, come Rai educational o Rai storia, che si differenziavano dai canali generalisti (Rai 1, Rai 2). Un insegnante poteva consultarli e registrarli per utilizzarli durante le proprie lezioni. Nel caso in cui, poi, si trovava interessante una particolare puntata anche di molti anni prima, si poteva scrivere alla Rai che, su richiesta, avrebbe poi trasmesso la suddetta puntata. La Rai stessa comunicava l’orario, così da poterla registrare e poi usare in classe. Qui gli aspetti di ME erano palesi: i contatti con un network, l’utilizzo di filmati, la fruizione e la lettura di immagini, i commenti, l’analisi ecc. Nel 1995 poi viene avviato il primo Piano di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche (PSTD), con piena realizzazione tra il 1997/2000. Con questo piano vengono architettati e costruiti i primi laboratori multimediali nelle scuole e la rete cominciò a entrare a scuola (la prima rete veloce) e si poteva facilmente passare dall’analogico al digitale e viceversa. Ci si accorse che i media erano dappertutto, non solo dentro la TV, iniziano a diffondersi e mischiarsi con le diverse tecnologie. Es. nel 2005 è nato YouTube che permette di visionare, creare, condividere filmati autoprodotti. Poi sono nate pian piano applicazioni che ci hanno permesso di agire quotidianamente con i media, fino a diventare quasi invisibili: ora li usiamo e basta. Creiamo in pochi secondi un video e lo condividiamo tramite social, visioniamo tanto oggetti mediali nel corso della giornata, senza accorgercene. In questa situazione di invisibilità agisce la ME odierna. Si parla di convergenza dei media = l’unione di più strumenti di comunicazione, grazie alla tecnologia digitale. Fino agli anni ‘80 i media si basavano su tecnologie diverse e non dialogavano tra loro (per vedere un film bisognava andare al cinema, per ascoltare la radio era necessaria una radiolina). Con la progressiva digitalizzazione degli strumenti tecnologici (anni 90), invece, i media parlano e dialogano con lo stesso linguaggio con la stessa tecnologia, fino a condensarsi in uno strumento che tutti conosciamo bene: lo smartphone, con il quale possiamo fare tutto (guardare un film, ascoltare la radio, condividere la nostra giornata, chattare,...). Tutti questo con vantaggi e svantaggi: Vantaggi: abbiamo la possibilità di manipolare tanti oggetti mediali in modo relativamente semplice e rapido (adesso possiamo creare un cartone animato utilizzando un app per smartphone come StopMotion). Svantaggio: rischiamo di banalizzare queste azioni, relegandole a mere attività meccaniche e automatizzate. Tuttavia, questa invisibilità può rappresentare un punto di svolta, perché le tecnologie diventano parte integrante della vita quotidiana, ma può far sì che diventino scontate, e questo porta ad una progressiva perdita delle capacità di riflessione. 23) Il continuum fra tecnologie dell’istruzione e media education: esempi. Bisogna saper riconoscere e differenziare le tecnologie dell’istruzione e quelle più vicine alla ME. Seppur simili hanno delle caratteristiche più specifiche: Tecnologie dell’istruzione: sono maggiormente orientate al ruolo che gli strumenti tecnologici hanno nei processi apprenditivi e nella loro organizzazione. Esempi: il coding, le app per valutare, il registro elettronico, le risorse informative digitali ecc. Media Education: si concentra sugli aspetti culturali, sociali e di cittadinanza. Il focus è sui linguaggi, sulle attinenze/conseguenze economiche e sociali dei media, sull’idea di società che si evolve insieme ai media, sulle culture e le percezioni fra le culture. Il documento istituzionale di riferimento per la ME è il sillabo per l’Educazione Civile Digitale, emanato dal Miur nel 2018. Le aree principali di intervento: - Internet e il cambiamento in corso - Educazione ai media - Educazione all’informazione - Quantificazione e computazione: dati e intelligenza artificiale - Cultura e creatività digitale. Questo documento è il punto di partenza per la progettazione delle attività da parte dell’insegnante. Esempi che evidenziano le prospettive delle tecnologie dell’istruzione e della ME: Es1: L’insegnante di storia utilizza numerosi articoli digitali contenuti in differenti quotidiani per affrontare questioni attuali. Se l'insegnante imposta la sua azione in funzione delle informazioni rilevanti e di come collegarle tra loro, in questo modo l’approccio è assimilabile a quello delle tecnologie dell’istruzione. Se invece l'insegnante si sofferma sulla struttura degli articoli, la forma e come vengono presentati, e chiede agli alunni di riflettere sulle diverse forme comunicative ed espressive, questo approccio è più orientato alla Media Education. Entrambi i processi sostengono e supportano aspetti prettamente cognitivi e/o culturali. È la focalizzazione del percorso educativo che cambia e sottolinea aspetti differenti. Es2: L'insegnante di scienze organizza una Flipped Classroom e crea un breve video che gli alunni devono visionare a casa per poi proseguire l'attività in classe in piccoli gruppi o in coppie. Il video rappresenta uno strumento per favorire l’apprendimento e può essere assimilato alle tecnologie dell’istruzione. In un altro momento dell’anno, lo stesso insegnante propone di analizzare le modalità di divulgazione scientifica attraverso cinque diversi media (carta stampata, libri, televisione, radio e rete) e propone loro di delineare le caratteristiche e specificità. In seguito, diversi gruppi in classe devono produrre un artefatto mediale e digitale centrato sul medesimo argomento che però viene veicolato da uno dei cinque media. Gli alunni devono scegliere il animato che ho visto. Il videogioco aggiunge una sfumatura, un pezzo, un commento che rende più significativa la storia. DIMENSIONE METODOLOGICA Un aspetto molto forte in termini di metodo è il “questioning the media”, che richiede capacità analitiche e produttive → Riflettere sugli spazi, sulla riorganizzazione della classe e sull’integrazione di proposte metodologiche integrate. Si possono insegnare i media? La risposta è probabilmente sì, ma non solo a parole. Si può fare pratica, fare media e pensare ai media. Significa entrare in classe cercando di mettere insieme il fare (tecnica) e il pensare (riflessione), con un obiettivo da raggiungere. Es. in un percorso finalizzato a discutere di bullismo e cyberbullismo, non posso affrontare il tema solo con un incontro frontale, questo darebbe solo una infarinatura generale. Ho bisogno, invece, di strumenti di intervento attivi, basati sul coinvolgimento e la partecipazione. (sessione di brainstorming, un gioco o una lezione dialogata, un video). Questa azione di gruppo prevede di: - Organizzare la classe in sottogruppi - Affidare i compiti sulla base di un criterio predefinito e condiviso con la classe - Gestire i processi necessari alla realizzazione di un prodotto coerente nei tempi stabiliti - Analizzare il risultato e tornare riflessivamente sul prodotto, sul contenuto e sullo stato d’animo della classe, in un’azione di debriefing che tocca sia il versante concettuale (cosa ho imparato), sia quello emotivo (come mi sono sentito nel corso del lavoro). Bisogna incoraggiare le attività pratiche in quanto strumento di esplorazione e rafforzamento della comprensione concettuale. Il sostegno teorico per l’apprendimento attraverso le attività pratiche è il seguente: Freinet: pone le basi per una riscoperta del valore della prassi. È indiscusso il senso del fare come mezzo per apprendere non solo concetti, ma modi di essere e di stare con gli altri. Apprendimento per scoperta: in antitesi rispetto all’apprendimento per ricezione. La scoperta da parte del soggetto rende significativa la situazione educativa e la classe diventa officina di pensiero, non più contenitore da riempire di nozioni. Produrre e lavorare insieme ai compagni, guidati dall’insegnante, implica la revisione del concetto di spazio, che svolge un ruolo decisivo nella relazione educativa e didattica. Non è semplice arredo, ma una strategia e una possibilità di lavoro. Fare in modo che sia funzionale al tipo di lavoro. Maria Montessori afferma che “gli spazi d’aula dovrebbero essere polifunzionali, consentire lo studio e il lavoro individuale e di gruppo, la comunicazione interpersonale, il momento corale ma anche l’isolamento, la sperimentazione del nuovo e l’approfondimento specializzato del già acquistato”. DIMENSIONE TECNOLOGICA Cosa serve per fare ME in casse? Possiamo immaginare almeno 3 scenari: Usare le tecnologie presenti a scuola: aspetto positivo è che non devo pensare a recuperare i dispositivi (ci pensa la scuola); aspetti negativi: talvolta i dispositivi non sono disponibili in aula (l’aula attrezzata va prenotata, non è sempre disponibile); non sempre i dispositivi sono aggiornati; non sempre ci sono dispositivi per ogni studente. È importante accompagnare i docenti con un supporto tecnico e metodologico. Il BYOD → gli studenti portano il proprio dispositivo, usandolo in chiave didattica durante le lezioni. Vantaggi: riduzione dei costi d’investimento, maggiore cura da parte dei soggetti interessati, minori costi di aggiornamento, familiarità con i dispositivi e una maggiore flessibilità organizzativa. Aspetti problematici: la definizione di policy d’uso, la compatibilità delle app, la disuguaglianza tramolti studenti con possibilità di acquisto diverse, la connettività, la resistenza di molti genitori. Bisogna ricordare anche la questione della distribuzione dei dispositivi: one to one, un dispositivo per gruppo (se l’attività è collaborativa e funziona da stimolo per la condivisione dei punti di vista), un dispositivo per “ruolo” (immaginando di organizzare la divisione dei ragazzi sulla base delle competenze e delle funzioni. La ME carta e matita. È il caso, soprattutto, di percorsi attraverso i quali si vuole promuovere consapevolezza critica sulle logiche dei social media sotto i 14 anni, età limite per l’accesso. Anche se i bambini sotto i 14 non potrebbero accedere ai social, comunque questi spesso li posseggono. Come soluzione, si possono attivare quindi percorsi di ME che toccano la questione dei media e delle relazioni incentivare alla riflessione, alla scelta, e non alimentare quella curiosità morbosa che il divieto sollecita attraverso la censura. CAPITOLO 15 26) Elementi per costruire un’idea di scuola. L’idea di scuola che si vuole realizzare, a misura della comunità scolastica (docenti, studenti, famiglia) è a metà tra tradizione e innovazione e deve tenere conto dei seguenti elementi: 1. Congruità scientifica, organizzativa e strutturale dell’idea di scuola. L’innovazione e il cambiamento vengono intesi come scelta progettuale che determina sia i legami forti (classe, aula, orario), che i legami deboli (autodeterminazione dei singoli e delle didattiche), portando la scuola a operare delle scelte che possono distinguerla dalle altre. 2. Leadership educativa. L’idea di scuola determina la trasformazione dei rapporti e delle relazioni, dei luoghi delle decisioni, nonché dei ruoli di dirigente, staff e studenti. Un passaggio determinante è la riorganizzazione per competenze, nel rispetto della norma, specificare i ruoli di ogni organismo e le interrelazioni, passare dall’idea di “commissione” (docenti che rappresentano istanze) a quella di “gruppo di lavoro” (docenti esperti che sviluppano progettualità) 3. Riorganizzazione degli ambienti fisici e dell’istituto scolastico. Un’idea di scuola deve prevedere spazi fisici diversi dalla tradizionale aula: si può pensare alla realizzazione di aule disciplinari in cui i docenti possono personalizzare lo spazio, oppure laboratori mobili. Diventa importante il Piano digitale portato avanti insieme al PTOF. 4. Riorganizzazione del tempo-scuola. Il tempo è un aspetto determinante perché coinvolge le comunità e le sue esigenze, interfacciandosi con la questione centrale nei tempi e dei modi dell'apprendimento. Significa creare un'organizzazione dei tempi di insegnamento-apprendimento coerente con l'idea di scuola. 5. Innovazione didattico-metodologica. Esercitata all'interno delle singole classi, l’innovazione didattica è un esercizio frequente ma per pochi. Si tratta di concepire e realizzare in modo strutturale attività di apprendimento laboratoriale, che permettono l'autonomia e la personalizzazione dei percorsi degli studenti, soprattutto quelli a rischio. La didattica laboratoriale, quella attiva, occupa un posto importante più nella teoria che nella pratica. 6. Innovazione curricolare. Per il cambiamento occorre costruziore percorsi curricolari di potenziamento, rinforzo e modellamento delle competenze. L'obiettivo è sperimentare quotidianamente in maniera flessibile la didattica laboratoriale che possa essere il prolungamento o l'integrazione in aula dei percorsi già attivati in laboratori specifici. Nella scuola del primo ciclo l’esistenza degli Istituti comprensivi dovrebbe essere un fattore che semplifica la realizzazione di curriculum verticali (infanzia/primaria/secondaria) e di classi aperte (verticali o orizzontali). 7. Utilizzo di contenuti didattici digitali. Diventa determinante per un'istituzione riflettere sul passaggio del sapere ai saperi, dal formato libro al formato libro digitale, in chiave di integrazione delle risorse, di autoproduzione e di selezione dei contenuti. La narrazione delle sceneggiature delle lezioni costituisce un buon esempio di autoproduzione e di rendicontazione sociale di ciò che accade in classe. Prima si chiamava documentazione, oggi è più una narrazione, che può avvenire in due fasi: preventiva (la sceneggiatura di più unità didattiche e non), e una successiva (il filmato breve degli step eseguiti e della realizzazione dell’attività). 8. Tipologia o caratteristiche generali degli strumenti. Centrale è la scelta della tipologia di adozione dei dispositivi tecnologici, finalizzati alla classe, all'individuo, agli spazi e alle attività di apprendimento. Importante è la dotazione individuale, ad esempio i BYOD, che permettono un accesso generalizzato a contenuti e servizi. 9. Strumenti di valutazione della qualità della didattica e dei suoi risultati e strumenti di analisi dei processi e di rendicontazione sociale. Nell’idea di scuola sono importanti tanti documenti, dal PTOF, al RAV, all'Invalsi, al piano di miglioramento, che devono essere tutti allineati negli obiettivi, nei processi e nelle azioni. Per farlo è necessario individuare l’idea di scuola che si vuole perseguire e le 4-5 parole chiave che ne derivano e che compongono il PTOF. Spesso, invece, nelle scuola i documenti sono slegati tra loro. 10. Strumenti e modalità di comunicazione scuola-famiglia. Gli obblighi amministrativi si confondono con l'efficacia degli strumenti. Vale il principio che tutto è pubblico per tutti. Il Computer literacy, in cui si passa da competenze tecniche specifiche a competenze critico cognitive. Si sviluppa a partire dagli anni ’60 attraverso tre fasi principali: - Mastery (’60-80), in cui il computer era visto come un mezzo potente e misterioso e l’enfasi era posta sulle conoscenze e abilità relative al funzionamento del computer. - Application (’80-90), segnata dall’evoluzione delle interfacce tecnologiche come la videoscrittura, il calcolo e l’archiviazione. Il focus era quindi l’abilità progettuale. - Reflective (’90 ad oggi), in cui si sviluppa una nozione più riflessiva e critica riguardo l’uso delle tecnologie digitali. Si sviluppa a questo proposito la “Fluency in Information Technology”, la quale necessita delle seguenti abilità: • Contemporary skills: abilità di utilizzare particolari risorse hardware o software per svolgere compiti di elaborazione dell’informazione. • Concetti fondamentali: idee basilari su computer, reti e sistemi informativi • Capacità intellettuali: integrare specifiche conoscenze nel campo delle TIC con problematiche relative agli interessi personali del soggetto; si tratta di capacità intellettuali trasversali ai contesti disciplinari. Information literacy (IL), che promuove un uso consapevole delle informazioni in rete. Si sviluppa nel 1989 quando l’American Library Association ha definito un documento in cui viene offerta una prima definizione di IL come “insieme di abilità necessarie all’individuo per riconoscere i propri bisogni informativi e per localizzare, valutare e utilizzare in modo efficace le informazioni di cui ha bisogno”. Sono stati definiti a questo proposito nuovi standard per l’IL: ● L’autorità è costruita e contestuale → le risorse informative riflettono l’expertise e la credibilità del produttore e vengono valutate in base ai bisogni informativi e ai contesti d’uso. È il risultato di una costruzione sociale (diverse comunità possono riconoscere diversi tipi di autorità) ed è contestuale nella misura in cui i bisogni informativi possono determinare il livello di autorità necessario; ● La creazione di informazioni come processo → l’informazione viene prodotta per trasmettere un messaggio ed è condivisa tramite una determinata modalità di erogazione. Il processo iterativo di ricerca, creazione, revisione e diffusione delle informazioni varia e il prodotto risultante lo evidenzia; ● L’informazione ha un valore → l’informazione ha diverse dimensioni di valore, essendo un bene scambiabile commercialmente, come mezzo educativo o mezzo per influenzare e negoziare la comprensione del mondo. Gli interessi, legali e socio economici, influenzano la produzione e diffusione delle informazioni; ● Ricerca come investigazione → la ricerca è interattiva e dipende dal porre domande sempre più complesse o nuove le cui risposte a loro volta generano nuove domande o linee di ricerca; ● Scholarship come conversazione → le comunità di studiosi/ricercatori/professionisti si impegnano in conversazioni con nuove intuizioni e scoperte risultanti nel tempo dal confronto di varie prospettive e interpretazioni; ● Ricerca come esplorazione strategica → la ricerca di informazioni è spesso non lineare e iterativa, richiedono la valutazione di una serie di fonti di informazioni e flessibilità mentale per perseguire strade alternative man mano che si sviluppa la nuova comprensione. Questi standard spiegano perché il modo di intendere l’Information Literacy si è fatto più complesso: si guarda all’informazione non più come componente valutabile singolarmente ma come elemento indivisibile dalla sua interpretazione. Il processo di decodifica dell’informazione è complesso e bisogna tenerne conto nella competenza digitale. Media literacy, che sviluppa l’abilità critica per usare e produrre i media. Si riferisce alle conoscenze e alle capacità necessarie per usare e interpretare i media, specialmente gli audiovisivi. Può essere vista come: • Funzionale: consiste nel dotare gli individui di conoscenze e abilità per rendere capace di comprendere e usare i media; • Critica: sviluppare capacità di analisi, valutazione e riflessione critica, soprattutto un linguaggio di secondo livello in grado di descrivere i linguaggi dei media, le forme e le strutture delle diverse modalità di comunicazione e comporta la comprensione dei contesti sociali/economici/istituzionali della comunicazione. In questo senso, questo standard include la capacità d’uso consapevole e l’interpretazione dei media, ma comporta anche una comprensione più profonda legata ad aspetti sociali/culturali/economici. Sviluppare queste capacità richiede un complesso processo di insegnamento e apprendimento centrato sui media. Oggi, la Media Literacy si rivolge alle nuove forme di comunicazione mediale generate dallo sviluppo dei media digitali, tanto che si è iniziato a definirla come l’abilità di accedere, analizzare, valutare e creare messaggi in una varietà di contesti. Tali abilità sono definite di: - Accesso: riguarda la loro disponibilità e la capacità degli individui di aggiornare le dotazioni hardware e software che usano. Un processo dinamico e sociale su cui incidono risorse cognitive e culturali. - Analisi: capacità di tipo analitico nel comprendere le categorie o tecnologie o linguaggi o rappresentazioni o audience dei media o uso di Internet. - Valutazione: capirne lo scopo di valutare. La Media Literacy deve promuovere un approccio democratico e plurale alle rappresentazioni online o operare una distinzione in termini tradizionali. - Creazione del contenuto: gli individui riescono ad avere una maggiore e profonda comprensione dei media, se hanno esperienza diretta di produzione di contenuti e che Internet offra sempre nuove opportunità sotto questo aspetto. Ma il concetto di digital literacy esposto dall’Unione Europea è più recente rispetto alle literacy sopra riportate. Il primo a parlarne fu Gilster che ha definito questa competenza enfatizzando le capacità di pensiero critico e di valutazione dell’informazione più che le abilità tecniche. A distanza di dieci anni, le definizioni si sono moltiplicate: Tornero: la digital literacy risulta dalla combinazione di diverse capacità: aspetti tecnici, competenze intellettuali e competenze relative alla cittadinanza responsabile. Martin: la competenza digitale è la consapevolezza, l’attitudine e l’abilità degli individui di utilizzare in modo appropriato strumenti e le loro opportunità digitali per identificare, accedere, gestire, integrare, valutare, analizzare e sintetizzare risorse digitali, costruire nuove conoscenza, creare media e comunicare con gli altri. Midoro: la competenza digitale ha un carattere multidimensionale: ha come componenti la media literacy, l’information technology literacy, la network literacy. Hobbs: parla di media ad digital literacy, definendola come un insieme di competenze cognitive, emotive e sociali che entrano in gioco nell’uso di testi, strumenti e tecnologie (capacità di pensiero, pratiche di composizione dei messaggi, abilità di riflettere e pensare in modo etico). Calvani, Ranieri e Fini→ partono da tutte le definizioni sopra: la competenza digitale consiste nel saper esplorare e affrontare in modo flessibile situazioni tecnologicamente nuove, saper analizzare, selezionare e valutare criticamente dati e informazioni, sapersi avvalere delle tecnologie per la rappresentazione e la risoluzione di problemi e per la costruzione condivisa e collaborativa della conoscenza. In questa definizione sono visibili tre fondamentali dimensioni: 1. La dimensione tecnologica: include abilità e conoscenza di base per garantire accesso e uso delle tecnologie 2. La dimensione cognitiva: comprende la capacità di leggere, selezionare, interpretare e valutare dati e informazioni 3. La dimensione etica: riguarda la capacità di tutelare se stessi e la propria privacy, di comportarsi in modo adeguato e nel rispetto degli altri. Joint Research Centre→ sviluppano il DIGCOMP, che rivede le indicazioni delle Raccomandazioni, integrandole con i contributi dei vari studiosi. Si individuano 21 competenze che vengono racchiuse in 5 aree di competenza: 1) Information literacy (conoscenze e abilità relative alla ricerca, selezione, valutazione, memorizzazione e recupero delle informazioni) 2) Comunicazione e collaborazione (capacità di interagire in modo responsabile con le tecnologie, di condividere contributi e collaborare con gli altri) La dimensione digitale accentua tale prospettiva, offrendo ulteriori spazi e risorse. I videogiochi aprono nuove prospettive all'apprendimento e alla costruzione della propria identità. Proprio riguardo alla costruzione delle identità, Gee offre una prospettiva interessante: nell'usare un videogioco, l'utente si rapporta oltre alla sua identità reale e quella virtuale, a un'identità proiettiva che media tra le prime due permettendo una riflessione dinamica su desideri e valori personali. Visto il ruolo svolto dal gioco, passare da forme informali e inconsapevoli ad apprendimenti formali e intenzionali costituisce un obiettivo da tempo condiviso e che ha portato al riconoscimento di alcune forme di gioco come mediatore didattico (Damiano). Si devono differenziare le attività ludiche e quelle ludiformi, che assomigliano al gioco ma sono concepite come strumento per l'apprendimento. Il passaggio dal gioco libero al gioco come strumento didattico non è scontato: la maggior parte dei programmi di edutainment, tende alla “ripetizione con aggiunte grafiche” oppure a “minigiochi” o “mini simulazioni” che hanno poco a che vedere con le capacità complesse e le abilità che i bambini mettono in campo con le esperienze di gioco reali. *Termini utili. Entertainment: insieme di attività piacevoli svolte da soli o in compagnia, che comprende un’ampia gamma di usi del tempo diversi per luoghi, generazioni, gruppi sociali, gusti personali. Ha tre costanti: 1) libera scelta dell’attività; 2) diversa finalità rispetto al lavoro; 3) è un completamento, un risarcimento del tempo e delle attività mentali che dedichiamo ad altri impieghi. Fanno parte dell’entertainment: cinema, radio, videogiochi, sport, parchi divertimento, ... Edutainment: si unisce entertainment ed educazione. Ne fanno parte: Digital Game-Based Learning, Serious Games (giochi e videogiochi finalizzati all’apprendimento), Exergames (uniscono videogiochi ed esercizio fisico grazie a tecnologie che rilevano i movimenti del corpo). 32) Cos’è la gamification? Glossario + 33) Quali sono i meccanismi e le strategie ludiche della gamification? Gamification: l’uso di un approccio ludico in contesti che di per sé non sono ludici. Non nasce e non ha originariamente finalità legate all’ambito educativo. Le principali applicazioni riguardano il marketing, il turismo, la salute. In relazione ai processi di insegnamento e apprendimento, la gamification riprende la differenza tra attività ludiche, legate al gioco in quanto tale, e attività ludiformi che assumono la forma del gioco rendendolo didattico. I processi di gamification implicano meccanismi (come i punteggi) e strategie (come la narrazione) che vanno attentamente calibrati per essere efficaci. SCRIVERE 33) Quali sono i meccanismi e le strategie ludiche della gamification?