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patologie sistema muscolo scheletrico, Schemi e mappe concettuali di Anatomia

appunti delle principali patologie

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

Caricato il 12/06/2023

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maria-rosaria-bovi-1 🇮🇹

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Scarica patologie sistema muscolo scheletrico e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Anatomia solo su Docsity! PATOLGIE Altra componente del rachide sono i legamenti che lo stabilizzano e si posizionano dietro di esso. Le vertebre sono in rapporto tra di loro tramite le articolazioni come abbiamo visto, e questi rapporti vengono mantenuti dai legamenti. Oltre a stabilizzare le articolazioni e a mantenere i rapporti che esistono a livello delle varie. Vertebre, i legamenti sono anche fondamentali per dare stabilità e resistenza al rachide contro le forze che agiscono dall’esterno. Limitano i movimenti e pertanto proteggono anche da un “eccesso” di movimento, insieme alla forma e all’orientamento delle articolazioni. Dunque a livello del rachide possiamo trovare un’unità di movimento data da 2 vertebre contigue, in cui possiamo distinguere la parte anteriore data dal corpo di due vertebre contigue, il disco, che ha la funzione di ammortizzatore, e una porzione posteriore, dove sono presenti le articolazioni, i legamenti, e insieme hanno una funzione dinamica per indirizzare i movimenti a livello della colonna. Queste due parti dell’unità di movimento non sono solo anatomicamente collegate, ma anche funzionalmente. Vedremo che esistono delle patologie in cui, quando viene compromessa la funzionalità di un pilastro, vanno a ripercuotersi anche sull’altro pilastro. Infatti il concetto fondamentale della interazione della stessa connessione tra questi due pilastri è nel concetto di stabilità vertebrale. Stabilità vertebrale: la capacità di mantenere i propri rapporti fisiologici durante la statica e durante il movimento. L’integrità di tutte le strutture garantisce la stabilità del rachide. Le due colonne sono connesse sia anteriormente che posteriormente. Quando vi è un danno, ossia una perdita di integrità, ad uno dei componenti delle due colonne abbiamo l’instabilità vertebrale, vale a dire che o nella statica o nel movimento le vertebre, non riuscendo più a mantenere i corretti rapporti si muovono eccessivamente tra di loro. Questa è una causa di dolore, che può essere soprattutto lombare: molte delle lombalgie, nel giovane e nell’anziano, sono legate a instabilità vertebrale. La degenerazione degli elementi delle due colonne ne determinano l’instabilità nei movimenti, e in particolare la microinstabilità (lievi movimenti anomali), causando il cosiddetto “colpo della strega”. L’eccessivo movimento, magari sollevando un peso, dà un’infiammazione delle strutture nervose e di riflesso abbiamo una contrattura muscolare. L’instabilità non è solo causa di dolore cintale, non irradiato, localizzato, ma può essere anche causa di irradiazioni periferiche. Se invece della microinstabilità vi è un uno scivolamento maggiore delle vertebre, possiamo anche dare uno spezzamento delle radici nervose e quindi un’irradiazione periferica: la classica sciatalgia. In clinica si è visto che tra le due colonne le strutture maggiormente responsabili del mantenimento delle stabilità, e la cui compromissione può determinare instabilità , sono quelle della colonna posteriore. Perché si verifichi un’instabilità si deve verificare una perdita dell’integrità dei complessi articolari e legamentosi della colonna posteriore e la compressione di almeno uno dei componenti della colonna anteriore. In traumatologia, per individuare e trattare nel modo più giusto le fratture, si distinguono fratture stabili e instabili.  Frattura stabile: i due frammenti dell’osso tendono a mantenere i propri rapporti, che si sono determinati al momento della frattura o che vengono stabiliti durante il trattamento.  Frattura instabile: anche dopo l’eventuale riduzione non mantiene i rapporti e tende a spostarsi. In traumatologia viene utilizzata la teoria di Denis delle tre colonne in cui la colonna anteriore viene suddivisa in due parti. In questo caso quando vi è compromissione di due delle tre colonne, la frattura è instabile, quindi richiede un trattamento con mezzi esterni per stabilizzarla, quindi un intervento chirurgico. Le vertebre devono mantenere i loro rapporti per mantenere la stabilità e l’integrità morfologica e strutturale del rachide. In una visione antero-posteriore il rachide è retto. Tutti le porzioni devono essere lungo un asse verticale, allineati, non esistono normalmente delle curve. Quasi sempre un’alterazione delle curve in una visione antero-posteriore è patologica. È il caso della scoliosi che si classifica sulla base dell’orientamento della curva, quindi può essere destro-convessa o sinistro-convessa. Si guarda dunque da che lato si trova la convessità della curva. Se però vi è una differenza di lunghezza tra i due arti vi è anche una curvatura della colonna che è dovuta ad uno squilibrio nell’appoggio e dunque facilmente correggibile con un rialzo per l’arto più corto. La situazione è ben diversa se si osserva il rachide sul piano sagittale, poiché abbiamo delle curve che vengono definite di cifosi e di lordosi. Per cifosi si intendono le curve con una concavità rivolta anteriormente. Per lordosi si intendono le curve con una concavità rivolta posteriormente. Sul piano sagittale vi sono 4 curve: 2 di lordosi e 2 di cifosi. A livello cervicale abbiamo una lordosi, segue una cifosi toracica, poi la lordosi lombare e infine una cifosi formata dall’unione di sacro e coccige. Le curve sono importanti perché consentono l’adattamento alle varie posture, soprattutto a quella eretta. Se non vi fossero queste curve, in caso di alterazione si formerebbe uno squilibrio: il vettore delle forze infatti cadrebbe al di fuori dell’appoggio podalico. Le curve inoltre aumentano la resistenza del rachide alle sollecitazioni. Se noi quindi non intercettiamo precocemente un bambino la cui colonna inizia a curvarsi (sindrome del dorso curvo) i corpi vertebrali spingeranno anteriormente su questi nuclei di accrescimento secondari non permettendone la crescita in altezza e andando a strutturare quel dorso curvo poiché la vertebra stessa diventerà curva. Altra caratteristica importante è l’orientamento delle faccette articolari, che varia nei vari tratti della colonna:  A livello del tratto cervicale le faccette articolari si trovano su un piano pressoché trasverso nelle prime due vertebre; dalla terza vertebra in poi queste faccette vanno gradualmente ad obliquarsi andando a formare un angolo di circa 45° rispetto al piano sagittale.  Questa inclinazione aumenterà sempre di più fino ad arrivare al tratto dorsale, dove il piano della faccetta articolare non sarà più trasverso ma sarà diventato quasi frontale lungo tutto il tratto toracico.  Proseguendo verso il tratto lombare la faccetta articolare tende a ruotare e a posizionarsi sul piano sagittale.  A livello lombare il piano articolare guarda verso il piano sagittale. Riassunto: prime due vertebre cervicali su un piano trasverso netto, poi inizia a formarsi un’obliquità nelle restanti vertebre cervicali che aumenta fino al tratto toracico dove quest’obliquità si è completata e le faccette articolari sono quasi su un piano frontale, proseguendo si ha una rotazione delle faccette articolari che fa sì che a livello lombare queste si orientino sul piano sagittale. Le vertebre sono ossa brevi, questa classificazione deriva dal rapporto pressoché uguale dei piani. Osteoporosi Fisiologicamente con il progredire dell’età (più precocemente nel sesso femminile e più tardivamente nel sesso maschile) andiamo incontro a una perdita della massa ossea sia dal punto di vista minerario (sali di calcio e sali di fosforo) sia dal punto di vista organico (fibre collagene) a livello della vertebra. Avremo quindi una riduzione sia dell’osso corticale (astuccio periferico) sia dello spessore delle trabecole, tutto accompagnato ad alterazione di quella normale struttura delle trabecole che consentiva la resistenza del soma della vertebra. L’osteoporosi da molti non è considerata una patologia ma più un fenomeno para-fisiologico, diventa una malattia nel caso in cui insorga molto precocemente per delle carenze, ad esempio nella donna per una menopausa iatrogena, chirurgica o farmacologica. L’OMS definisce l’osteoporosi come una condizione in cui c’è una riduzione della massa ossea accompagnata da un’alterazione strutturale tale per cui l’osso diventa meno resistente alle forze esterne. In un osso osteoporotico, quindi, si possono verificare fratture anche per traumi che non dovrebbero arrecare alcun danno, come un semplice starnuto o una caduta non particolarmente rovinosa (non come quella di Cinzia il giorno prima), quindi per un trauma che in condizione fisiologica non arrecherebbe danno all’osso. Da questa visione della struttura interna della colonna, seguendo la teoria delle tre colonne, si nota che quella anteriore e quella posteriore sono le parti più deboli. Riassunto: nell’osteoporosi la vertebra ha una riduzione della corticale e un’alterazione della struttura interna e delle trabecole ossee, la vertebra non è quindi più in grado di resistere neanche al vettore di forza che agisce perpendicolarmente su di essa. La frattura osteoporotica più classica è chiamata “frattura a lente biconcava”, avviene quando i due piatti delle vertebre si infossano per azione dei dischi, questa è una frattura spontanea che non ha nemmeno bisogno di una sollecitazione esterna. In caso di un trauma, l’uomo dispone già di una porzione, quella anteriore, che risulta più fragile (sia nel giovane che nell’anziano) e sarà perciò la sede principale di fratture, questa frattura non può essere sottovalutata in quanto se non curata, le dimensioni del corpo vertebrale vanno incontro a riduzione ulteriore, la vertebra assume una forma a cuneo variando quindi l’ampiezza della curvatura della colonna e creando uno squilibrio e un’alterazione di tutte le altre curve, portando patologie dolorose croniche e alterazioni dell’equilibrio. In questo caso si parla quindi di dismorfismi (alterazioni strutturate delle curve) e perciò bisogna prevenire questa deformità. Una delle tecniche più recenti in caso di frattura con integrità del muro posteriore è la cifoplastica. Requisiti: frattura dei centri, integrità muro posteriore. Procedura: passando attraverso i peduncoli delle vertebre si gonfia un palloncino, creando un innalzamento della vertebra (intervento possibile quando la frattura è recente) s’inietta del cemento e si arriva a una stabilizzazione della frattura (come se avessimo messo una vite ma all’interno dell’osso), la frattura è quindi stabile, poiché il cemento riempie e lega i due frammenti. In questo modo si previene la deformità della vertebra e quindi della colonna ed evitiamo la scomposizione. Grazie a questa procedura, già dal giorno seguente è possibile rimettere in piedi il paziente. L’alternativa sarebbe una degenza di un mese a letto e due mesi con il busto. In un anziano questa tempistica, successivamente a una frattura osteoporotica della vertebra, può portare a morte per complicanze tra le quali polmonite e trombosi. TRATTO CERVICALE RACHIDE  Composto da 7 vertebre (da C1 a C7).  Presenta una lordosi.  L’orientamento delle faccette articolari sul piano trasverso è leggermente obliquo.  Tratto più mobile della colonna vertebrale, sia in torsione sia in estensione e nelle inclinazioni laterali, quindi sia sul piano frontale che sagittale. Le prime due vertebre (C1 e C2) hanno delle peculiarità e devono essere descritte a sè stanti. Mobilità rachide cervicale (grazie all’orientamento delle faccette articolari):  Flessione 40  Estensione 45  Inclinazioni laterali 40 Flessione ed estensione comprendono anche i gradi di movimento che avvengono a livello dell’articolazione dell’atlante con i condili occipitali. A livello cervicale sono più limitai i movimenti di rotazione poiché fra le prime due vertebre (atlante e epistrofeo) e con i condili occipitali, sono presenti numerosi legamenti che limitano il movimento di rotazione. L’asse dell’articolazione varia a seconda del livello. E’ un asse aperto e forma angoli diversi rispetto al piano sagittale e al piano orizzontale. Ciò determina l’ampiezza dei movimenti durante l’inspirazione nella gabbia toracica. Per cui grazie a questa angolazione le coste quando si sollevano aumentano il loro diametro sagittale; grazie ad altri livelli per il diverso orientamento delle faccette articolari le coste quando si sollevano nell’ispirazione aumentano il diametro trasverso della gabbia toracica. ARTICOLAZIONI STERNALI VERE E PROPRIE  Articolazione manubrio-sternale: Sono quelle che si formano tra il manubrio dello sterno e il corpo dello sterno.  Articolazione xifosternale: Sono quelle che si formano tra il corpo dello sterno e il processo xifoideo. Queste possono essere:  sinfisi quando è presente un vero e proprio disco intervertebrale formato da tessuto cartilagineo  sincondrosi  quando è presente solo tessuto cartilagineo. Questo può evolversi, non costantemente, in tessuto fibroso e con l’invecchiamento può subire anche un processo di ossificazione (quasi sempre si verifica nell’articolazione tra il corpo dello sterno e il processo xifoideo). LEGAMENTI STERNO-COSTALI Legamenti sterno-costale intrarticolare  sono presenti solo a livello della seconda articolazione che si forma tra la seconda cartilagine costale e la seconda incisura costale a livello del manubrio;  Legamenti sterno-costali raggiati sono molto simili al legamento raggiato dalla testa e dalla costola, sono fasci legamentosi fibrosi che rinforzano esternamente l’articolazione sterno-condrale  Legamenti costo-xifoidei  sono dei fasci fibrosi che vanno a unire l’estremità di quelle cartilagini costali dalla 8° alla 10° che non si articolano allo sterno, ma si articolano tra di loro e al processo xifoideo tramite questo tipo di legamenti. MEMBRANA STERNALE A livello del torace sono presenti due membrane:  endotoracica (o membrana intercostale interna): avvolge internamente lo scheletro della gabbia toracica;  esotoracica (o membrana intercostale esterna): avvolge esternamente lo scheletro della gabbia toracica; Il punto di passaggio dietro la faccia dello sterno diventa membrana sternale. Si forma un’intercapedine tra la membrana intercostale esterna e quella interna all’interno del quale decorrono i muscoli intercostali interni ed esterni. Tali muscoli, oltre ad un rapporto topografico per piani, hanno anche una diversa estensione in senso postero-mediale, ovvero variano per l’obliquità dei loro fasci. In pratica i fasci sono opposti, alcuni sono tesi tra il margine inferiore di una costola e il margine superiore della costola sottostante con una direzione dall'alto in basso e da mediale a laterale e, sempre dall’alto in basso, da laterale a mediale, quindi si intrecciano fra loro. All’interno della cavità toracica, partendo dal margine sternale vi è il muscolo trasverso del torace, che si estende dal margine laterale di tutto lo sterno e si dirige lateralmente fino all’estremità costale delle cartilagini costali. MECCANISMO D’INSPIRAZIONE L’inspirazione è un processo attivo, ovvero devono attivarsi i muscoli affinché la gabbia toracica aumenti il proprio diametro, determinando un’espansione del torace e dei polmoni con un aumento del flusso di aria che entra nei polmoni stessi. Tra i muscoli che abbiamo analizzato, quelli inspiratori sono i muscoli intercostali esterni che si contraggono attivamente nell’inspirazione; anche quelli intercostali interni sono muscoli inspiratori però sono inspiratori solo nella loro porzione anteriore (quella tesa tra le cartilagini costali). Invece, l’altra porzione dei muscoli intercostali interni (quella tesa nello spazio tra la parte ossea e alle costole) ha una funzione espiratoria. Tali muscoli, contraendosi, riducono i diametri della gabbia toracica, perchè hanno un vettore di forza che si dirige verso il basso. Nella respirazione normale l’espirazione è un processo passivo che si verifica per il ritorno elastico del polmone e per l’azione del surfactante, cioè di una forza che si crea a livello dello strato liquido che si forma a livello della cavità pleurica tra la pleura parietale e quella viscerale nel polmone (si tratta di un concetto di fisiologia); Per l’inspirazione forzata (attiva) devono contrarsi i muscoli intercostali interni Nei processi di segmentazione delle vertebre di passaggio, possiamo trovare residui di coste. Non sono, quindi, delle vere e proprie coste così come le abbiamo descritte precedentemente e come le troviamo a livello del tratto toracico, ma sono solo degli abbozzi. Questo è molto frequente nei punti di passaggio delle vertebre: prevalentemente a livello della 7° vertebra cervicale in cui il processo spinoso non è più bifido, ma è particolarmente sviluppato e più simile a quello delle vertebre toraciche; oppure a livello della prima vertebra lombare. Si tratta di un’anomalia di sviluppo non così frequente nelle lombari ma più frequente a livello della 7° vertebra cervicale. SINDROME DELLO STRETTO TORACICO SUPERIORE Il quadro clinico dovuto a questa condizione particolare prende il nome di “sindrome dello stretto toracico superiore”. Nel collo troviamo le radici plesso brachiali ovvero dei nervi che vanno ad innervare la muscolatura della spalla e quella dell’arto superiore. Queste radici nervose passano attraverso uno spazio che non è in grado di espandersi perché circondato dai muscoli dello scaleno (anteriore e medio) che formano un vero e proprio triangolo. Nonostante sia uno spazio piccolo, in condizioni normali riesce a consentire dei movimenti del collo senza che vengano stirate o compresse nè le radici del plesso brachiale nè l’arteria succlavia. Quest’ultima, proseguendo verso il braccio dell’arteria ascellare, diventa arteria brachiale e dà l’irrorazione arteriosa a tutto l’arto superiore, con dei rami alla spalla. La presenza di una costa cervicale sovrannumeraria che a volte si fonde con il processo trasverso della settima vertebra cervicale fa sì che nei movimenti di rotazione del capo non abbiamo più spazio sufficiente per poter consentire lo scorrimento dell’arteria e dei nervi senza che questi siano compressi. Quindi, si determina una compressione a livello dell’arteria succlavia o a livello delle radici del plesso brachiale. Questo provoca un dolore che deve essere differenziato, perché molto simile sia a livello centrale che periferico, come irradiazione periferica, a una compressione delle radici del plesso brachiale centrale magari derivante da un’ernia del disco cervicale. Si tratta di una sintomatologia che può essere evocata andando a fare manovre tali per cui si restringe quello spazio, come la manovra di Adson. Si prende il braccio superiore, lo si iper-estende, si prende il collo, lo si ruota dal lato opposto. Di solito, in questa posizione, l’arteria brachiale scorre e non viene compressa. Mentre, se c’è un processo trasverso ipertrofico o se c’è una costa cervicale in più, si attua una compressione sulle strutture. Quindi, a distanza di tempo e a seconda della tempestività con cui compare il sintomo, si capisce quanto quella compressione può incidere sulla sintomatologia: comparirà prima un formicolio e poi un dolore periferico a secondo delle radici che vengono compresse. TRATTO LOMBARE ; è un tratto discretamente mobile perché non sono presenti tutti i legamenti che sono presenti nel tratto toracico, non sono presenti i vincoli dati dalle costole e anche l’orientamento delle faccette è particolarmente favorevole almeno sul piano sagittale, molto più in flessione di circa 60°. Il tratto lombare, di fatto, presenta la maggiore flessione a livello di tutto il rachide e tale movimento contribuisce a circa a 160° all’arco di movimento complessivo di tutto il rachide. È da notare il fatto che l’estensione mobile è ridotta a questo segmento del rachide (30°), che però risulta essere lo stesso maggiore rispetto alla ridotta possibilità di estensione a livello del rachide toracico (circa 15°). Tornando al rachide lombare, il particolare orientamento delle faccette sul piano sagittale determina una ridotta possibilità di movimento di inclinazione laterale: il rachide lombare contribuisce in misura limitata all’inclinazione di circa 80°per lato consentita sommando tutti i tratti del rachide. DIFETTI DI SEGMENTAZIONE DEL TRATTO LOMBARE Anche in questo caso possono esserci dei difetti di segmentazione. Nel neonato ci può essere una schisi fisiologia, ovvero due arti laterali, due nuclei di ossificazione neurali laterali che tra i 2 e i 5 anni si completano posteriormente andando a formare il nucleo di ossificazione dell’arto vertebrale posteriore che si dirige dal tratto cervicale distalmente verso quello sacrale. In questo processo di formazione progressiva dei nuclei di ossificazione di tutto l’arco vertebrale posteriore ci possono essere dei difetti sia nella segmentazione sia nella chiusura dell’arco posteriore e, in particolare, i difetti si segmentazione riguardano la fusione dei metameri sacrali. Come detto precedentemente, i metameri sacrali nascono come dei segmenti che possono essere autonomi e fra le vertebre sacrali si interpone un abbozzo di disco che all’età di 15-16 anni si ossifica dando la fusione. Questa segmentazione può essere incompleta o andare incontro ad anomalie tanto che si creano dei vizi di differenziazione in termini di segmentazione. Possiamo avere dei casi in cui la 5° vertebra lombare assume l’aspetto, soprattutto a livello dei processi trasversi, di una vertebra sacrale, quindi va a fondersi con il sacro o ad articolarsi come fa il sacro con l’ala iliaca. Si creeranno, quindi, delle articolazioni tra L-5 e l’ileo, e quindi non con le faccette articolari posteriori del sacro. Ci sono delle situazioni in cui ci può essere una fusione completa o parziale (come in questo caso della 5° lombare con la 1° vertebra sacrale), che rende molto meno mobile la cerniera lombo-sacrale perchè si instaura una sinostosi oppure, infine, un difetto di segmentazione che riguarda i primi due segmenti sacrali. In questo caso, non si ossifica il tessuto fibroso cartilagineo presente tra la 1° e la 2° e tra la 2° e la 3° vertebra sacrale, ma resta un abbozzo di disco e, pertanto, la 1° vertebra sacrale assume un aspetto molto simile alla vertebra lombare. Dal punto di vista clinico e radiografico parliamo di sacralizzazione di L-5 nel caso in cui si creino dei mega processi costiformi a livello della 5° vertebra lombare che vanno ad articolarsi non più con le faccette articolare del sacro ma con l’osso iliaco. Parliamo di lombarizzazione di S-2 nel caso in cui si abbia una sinostosi tra una parte di L5 con il sacro e, quindi, una emi-sacralizzazione di L5. Il primo metamero sacrale mantiene uno spazio rispetto ad S-2 e assume un aspetto molto simile ad una vertebra lombare. [Non si tratta di difetti così infrequenti. Se un giovane presentasse una lombalgia cronica sarebbe il caso di fare un esame radiografico.] Potrebbe anche verificarsi un difetto di chiusura dei nuclei di ossificazione dell’arco vertebrale posteriore. 6) All’esterno, nello strato più profondo della parte posteriore del tronco, in particolare nella regione del dorso troviamo i muscoli elevatori delle coste. Questi sono tesi tra i processi trasversi delle vertebre e la faccia posteriore delle costole, la loro estensione va dal processo trasverso della settima vertebra cervicale e delle prime undici vertebre toraciche. Hanno un decorso obliquo verso l’alto, raggiungono la prima costola e si estendono progressivamente fino all’undicesima costola. La loro inserzione sulle costole è nello spazio compreso tra il tubercolo e l’angolo costale quindi nella porzione più posteriore dell’arco costale. Sollevano le costole e sono muscoli inspiratori. Ricapitolando: abbiamo muscoli respiratori, l’inspirazione è un processo attivo, l’espirazione un processo passivo tranne nell’espirazione forzata quando interviene anche l’azione dei muscoli. Il principale muscolo inspiratorio è il diaframma che con la sua contrazione abbassa la cupola diaframmatica verso la cavità addominale. I muscoli inspiratori sono dunque gli intercostali esterni e la porzione intercondrale di quelli intercostali interni, i muscoli intercostali intimi, i muscoli sottocostali e il muscolo trasverso del torace. Per quanto riguarda l’espirazione attiva è data dalla contrazione della porzione più laterale del muscolo intercostale interno. ARTICOLAZIONI DELLA CINTURA PELVICA 1) Per quanto riguarda l’articolazione lombosacrale abbiamo un’articolazione anteriore e due posteriori; quella anteriore si forma tra il piatto vertebrale inferiore di L5 e la base del promontorio sacrale rivestita da cartilagine articolare; le due articolazioni posteriori invece si formano tra le faccette articolari posteriori dei processi articolari di L5 e le due faccette articolari superiori a livello dell’osso sacro. Abbiamo detto che il passaggio lombosacrale è un punto in cui frequentemente si possono verificare delle malformazioni dovute allo sviluppo o altre cause; una malformazione causa di una sintomatologia e di un’alterazione morfologica è la spondilolisi (lett. Interruzione della vertebra); vi sarà una porzione della vertebra che sarà svincolata dall’arco vertebrale, di solito la lisi avviene nell’istmo tanto che viene chiamata generalmente lisi istmica. Ricordiamo che i processi articolari delle vertebre derivano da dei nuclei di ossificazione accessori che iniziano a comparire intorno all’età di dieci-dodici anni, quindi inizialmente sono cartilaginei, poi si forma il nucleo di ossificazione ma ci possono essere dei difetti ontogenetici di sviluppo tali per cui a livello dell’istmo permane ancora tessuto cartilagineo o tessuto fibroso. Questa parte della vertebra può anche essere sede di processi acquisiti, vale a dire per traumi ripetuti o microtraumi ripetuti si possono formare delle fratture da durata, quindi un’interruzione della continuità ossea tale per cui si forma una linea di frattura e una separazione tra la parte anteriore e quella posteriore della vertebra. Dal momento che soma, peduncoli e articolari superiori sono in questo caso svincolati dalle articolari posteriori, dalle lamine e dalla restante parte dell’arco vertebrale non esiste più questo vincolo anatomico; abbiamo detto che colonna posteriore e anteriore sono anatomicamente e funzionalmente collegate tra di loro, ma dal momento in cui si interrompe tale vincolo non sono più funzionalmente vincolate pertanto può accadere proprio a livello dell’articolazione lombosacrale in cui il promontorio del sacro normalmente è arcuato in avanti il soma di L5 tende a scivolare anteriormente provocando la spondilolistesi. Quindi la spondilolistesi è lo scivolamento in genere anteriore del corpo vertebrale di una vertebra sulla vertebra sottostante, le sedi più frequenti sono le ultime vertebre lombari prima L5-S1 e poi L4-L5; in genere la causa è quasi sempre una spondilolisi, un’interruzione, che può essere ontogenetica quindi per mancata ossificazione a livello dell’istmo pertanto il tessuto fibroso che sul carico del corpo non riesce più a mantenere il vincolo e abbiamo uno scivolamento della vertebra o acquisite per microfratture. Quindi il soma della vertebra scivola sul promontorio dell’osso sacro che lo favorisce in quanto è obliquato in avanti quando viene a mancare il vincolo con l’arco posteriore, questo è interrotto a livello dell’istmo, abbiamo le articolari superiori, inferiori, nella visione anteroposteriore vediamo che manca tutta la parte centrale. LEGAMENTI DEL BACINO Tutte le articolazioni del bacino sono rinforzate da legamenti capsulari e quindi strettamente aderenti alle capsule articolari. A livello della sinfisi pubica abbiamo il legamento superiore del pube e il legamento inferiore del pube. A livello dell’articolazione lombosacrale abbiamo un legamento molto importante per collegare il rachide alla cintura pelvica, il legamento ileolombare che è formato da tre fasci che hanno delle fibre in tre assi diversi. Il primo fascio, il legamento ileolombare propriamente detto, collega il processo trasverso della quinta vertebra lombare con il processo costiforme della quarta vertebra lombare, dall’apice del processo costiforme della quinta vertebra lombare decorrono dei fasci che si dirigono orizzontalmente verso la faccia anteriore della fossa iliaca e quindi dell’osso iliaco, infine abbiamo dei fasci discendenti che sempre dall’apice del processo costiforme della quinta si dirigono verso il basso andando a rinforzare anteriormente l’articolazione sacroiliaca. Tale legamento è molto importante per la stabilità del bacino, in particolare verso il basso. Quando ci capita di vedere una frattura a livello dei processi trasversi di L4 e L5 (le fratture delle vertebre vengono chiamate in genere fratture vertebrali minori), queste non richiedono un particolare trattamento perché non sono importanti per la stabilità del rachide però devono essere un motivo per prestare attenzione sul fatto che non ci possono essere state concomitanti lesioni al livello del bacino. Questo perché essendo questi fasci legamentosi molto robusti, in genere i traumi che interessano il bacino possono portare a meccanismi di strappamento, quindi non si rompe il legamento ma si rompe la lamina ossea dei processi costiformi. Quindi mai sottovalutare una frattura dei processi costiformi di L4 e L5 perché può essere un segno indiretto di lesione a livello del bacino e instabilità del bacino in senso inferiore, tanto che la manovra da fare in questi casi è avvicinare tra loro le ali iliache e spingere le ali iliache verso il basso per vedere se c’è una iper mobilità di questi segmenti, che sta a significare che si è verificata una lesione anche al bacino. Le articolazioni sacroiliache sono rinforzate da tre legamenti, uno che rinforza l’articolazione anteriormente che è il legamento sacroiliaco anteriore e due legamenti che rinforzano tutta l’articolazione posteriormente, il legamento sacroiliaco posteriore e interosseo. Questi sono i legamenti capsulari dell’ala iliaca, ci sono anche legamenti extracapsulari che non sono strettamente aderenti alla capsula ma che forniscono comunque stabilità all’articolazione pur essendo non a diretto contatto con la capsula ma a distanza e questi sono il legamento sacrotuberoso e il legamento sacrospinoso. Entrambi i legamenti vanno dal sacro all’osso dell’anca, in particolare dalla faccia posteriore del sacro e dal margine laterale del sacro e del coccige si dirigono sull’osso dell’anca in due punti diversi. Il legamento sacrotuberoso andrà a inserirsi sulla tuberosità ischiatica, il legamento sacrospinoso dalla faccia posteriore della parte più inferiore del sacro e del coccige si dirige inferiormente e si va a inserire sulla spina ischiatica. Si formano due canali osteofibrosi tra la grande incisura ischiatica e la piccola incisura ischiatica chiusi posteriormente dal legamento sacrospinoso e sacrotuberoso. In particolare notiamo che il legamento sacrotuberoso teso tra sacro e coccige e grande tuberosità ischiatica crea un grande canale che è delimitato anteriormente dalla grande incisura ischiatica, dalla spina ischiatica e dalla piccola incisura ischiatica; questo canale è suddiviso dal legamento sacrospinoso che lo divide in una parte superiore, il grande forame ischiatico, e una parte inferiore che è il piccolo forame ischiatico. Attraverso questi canali fuoriusciranno dal bacino per dirigersi all’arto inferiore muscoli, vasi e nervi. L’ultima articolazione è quella che abbiamo tra l’apice del sacro e il primo metamero del coccige che è l’articolazione sacrococcigea ed è una sinartrosi perché c’è un’interposizione in genere o di un disco rudimentale o di tessuto fibroso. In alcuni casi può essere una vera e propria sinostosi con ossificazione di questi tessuti e diventa un’articolazione poco mobile. Quindi generalmente è una sinartrosi e forma posteriormente i limiti inferiori dello iatus sacrale che è l’ingresso inferiore per il canale sacrale e quindi tutto il canale spinale. Lo iatus sacrale è ricoperto da una membrana attraverso cui noi con manovre esterne possiamo pungere e iniettare medicamenti nel canale spinale. Per il fatto che esiste normalmente del tessuto fibroso o fibrocartilagineo a livello di questa articolazione può succedere che nei traumi diretti sull’apice del sacro si può creare una lussazione; è un trauma comune soprattutto nella caduta sulle due tuberosità ischiatiche, è molto molto dolorosa e il dolore è particolarmente forte nella posizione seduta, tanto che spesso in questo tipo di traumi, per risolvere il dolore, quando non è necessario riposizionare il coccige, basta semplicemente invitare a sedere con un cuscino o meglio ancora con una ciambella, in modo tale che vi sia un foro centrale tale per cui la punta del coccige non entra in contatto con il piano della seduta. Questa articolazione è rinforzata da legamenti: il legamento sacrococcigeo anteriore, laterale, posteriore profondo e posteriore superficiale. Tra il ramo superiore del pube e il ramo inferiore del pube si forma un forame, che è il forame otturatorio, che nel vivente è chiuso quasi completamente da una membrana eccetto che nella sua porzione postero superiore. Qui si forma un canale osteofibroso chiamato canale otturatorio, attraverso cui fuoriesce dal bacino il nervo otturatorio e i vasi otturatori, l’arteria otturatoria esce dal bacino e la vena otturatoria entra dall’arto inferiore all’interno del bacino. A livello delle articolazioni sacroiliache individuiamo un punto, che è il punto centrale a livello della faccetta articolare del sacro che è l’asse di rotazione dell’articolazione sacroiliaca; normalmente il peso del corpo spinge il promontorio del sacro a ruotare in avanti quindi di conseguenza l’apice del sacro e del coccige ruoterebbero indietro se non fossero presenti i forti fasci fibrosi dei legamenti che abbiamo menzionato che sono numerosi, in particolare questo movimento è contrastato dal legamento sacrospinoso e dal legamento sacrotuberoso; questo avviene sia nella posizione eretta che nella posizione seduta, quindi il peso del corpo si trasmette alle due articolazioni sacroiliache e poi si trasmette agli arti inferiori, il legamento sacrotuberoso e il legamento sacrospinoso entrano in tensione o si detendono a seconda delle forze che agiscono a livello del promontorio del sacro e quindi dei movimenti che avvengono intorno all’asse di rotazione dell’articolazione sacroiliaca. A livello dell’articolazione sacroiliaca possono esserci movimenti di inclinazione laterale, rotazione e traslazione in avanti, indietro o laterale, questo dipende dal fatto che c’è una cavità articolare, sono delle artrodie e questi movimenti avvengono su tutti gli assi presenti a livello della faccetta articolare del piano articolare dell’articolazione. MOVIMENTI DI NUTAZIONE E CONTRONUTAZIONE A livello dell’articolazione sacroiliaca sono particolarmente importanti anche per la dinamica dei movimenti durante il parto il movimento di nutazione e il movimento di contronutazione. Nel movimento di nutazione, il cui fulcro è il punto centrale rispetto alla faccetta articolare del sacro, il promontorio del sacro si dirige in avanti, l’apice del sacro e del coccige si dirigono indietro, è un movimento combinato perché contemporaneamente le ali iliache si avvicinano tra loro e quindi la parte più distale dell’osso iliaco quindi le tuberosità ischiatiche si allontanano tra di loro. In questo movimento si aumentano i diametri inferiori della pelvi e diminuisce il diametro superiore del bacino della pelvi. Nel movimento di contro nutazione, che ha come fulcro sempre lo stesso punto dell’articolazione sacroiliaca, il promontorio del sacro si dirige posteriormente. Di conseguenza, l’apice del sacro e del coccige si dirigono anteriormente. faccia endocranica del processo basilare, chiamata clivus. Dal clivus si diparte una lamina fibrosa che si dirige inferiormente e che copre l’articolazione atloassiale mediana in una posizione più superficiale rispetto alla sua parte più posteriore, che è il legamento trasverso dell’atlante. La membrana tectoria si continua a livello di C3 nel legamento longitudinale posteriore che decorre lungo tutto il rachide, strettamente aderente alla faccia posteriore dei corpi vertebrali e dei dischi intervertebrali. La membrana tectoria è formata da due lamine: una più superficiale e più espansa e una più profonda formata da due fascetti che collegano le masse laterali dell’atlante con l’epistrofeo e vanno poi a fondersi con lo strato più superficiale di questa lamina, formando nel suo insieme la lamina tectoria. Nel momento in cui questi due fascetti si uniscono alla lamina più superficiale, origina il legamento longitudinale posteriore. In una sezione topografica, da posteriore ad anteriore, troviamo la membrana atloccipitale posteriore, poi il canale spinale e poi la membrana tectoria. Rimuovendo la membrana tectoria, troveremo il legamento trasverso dell’atlante, i due fasci longitudinali del legamento crociato dell’atlante, poi il fascio longitudinale superiore copre il legamento dell’apice del dente e sullo stesso piano dei margini laterali dell’epistrofeo, dirigendosi verso l’osso occipitale, abbiamo i due legamenti alari. Procedendo anteriormente, abbiamo la membrana atloccipitale anteriore; rimuovendola, ci troviamo direttamente a livello dell’articolazione atlo-assiale mediana dove troveremo il legamento dell’apice del dente e i due legamenti alari, poi i fasci superiori del legamento crociato dell’atlante, la membrana tectoria e legamenti crociati dell’atlante. I movimenti della colonna vertebrale avvengono su sei gradi di movimento che sono la somma dei tre gradi di movimento sul piano sagittale (movimenti di flesso-estensione), sul piano frontale (movimenti di inclinazione laterale) e sul piano trasverso (movimenti di rotazione); a questi si aggiungono i tre assi di movimento che avvengono a livello dell’articolazione disco-somatica. Nel complesso il rachide ha un ? per una somma dei due movimenti di circa 230° (250 per gli individui elastici) in cui la flessione prevale sull’estensione, perché la flessione avviene per circa 140°, l’estensione per circa 80- 90°; invece l’ampiezza del movimento nell’inclinazione laterale è di 80° a dx e 80° a sn (il tratto più mobile è quello cervicale che contribuisce per 40°, quello torcacio per 25° e quello lombare per 15°) . I gradi di movimento sono scomposti così: per quanto riguarda la flessione, il tratto lombare che contribuisce per 60°, mentre il tratto cervicale e toracico per 40° ciascuno; per quanto riguarda l’estensione, il tratto più mobile è quello cervicale che contribuisce per 45° ( come somma però del movimento che avviene a livello cervicale e a livello dell’articolazione atlo-occipitale), quello meno mobile è il tratto toracico, sia per le coste sia per l’orientamento delle faccette sia per i lunghi processi spinosi che, nel movimento di estensione, entrano in conflitto tra loro limitando il movimento di estensione. A livello delle articolazioni atlo-occipitale e atlo-assiale abbiamo movimenti di flessione, estensione, rotazione e inclinazione laterale; sono movimenti molto limitati rispetto alla restante parte del tratto cervicale. I legamenti tipi della struttura posteriore della vertebra sono: i legamenti gialli, lamine fibrose che uniscono fra di loro le lamine di due vertebre contigue; il legamento interspinoso, più interno che collega i processi spinosi, e un legamento più esterno che collega gli apici dei processi spinosi, cioè il legamento sovraspinoso. Infine abbiamo i legamenti che collegano gli apici dei processi spinosi di due vertebre contigue, cioè il legamento intratrasversario. Triangoli Un’ulteriore suddivisione è quella basata sui triangoli. Triangoli anteriori del collo: la linea mediana del collo divide la regione cervicale anteriore in due regioni, è una linea virtuale che collega il centro del corpo della mandibola al centro dell’incisura giugulare. Le due regioni sono pari e simmetriche. I limiti corrispondono ai limiti della regione, tranne che per il limite mediale che è descritto dalla linea mediana del collo. Triangoli posteriori del collo: coincidono con la regione laterale del collo (un triangolo per ciascun lato). Avranno come limite anteriore il margine posteriore del muscolo sternocleidomastoideo; come limite inferiore il margine della faccia superiore della clavicola, fino all’articolazione con l’acromion. Il limite posteriore è il margine anteriore del muscolo trapezio, In questo triangolo, fra il margine posteriore del muscolo sternocleidomastoideo e il margine anteriore del muscolo trapezio troviamo in successione:  Primo foglietto fasciale detto lamina superficiale della fascia cervicale o fascia cervicale superficiale  Un secondo piano detto foglietto profondo della fascia cervicale o fascia cervicale profonda oppure lamina prevertebrale, una fascia fibrosa. Posteriormente alla fascia cervicale profonda troviamo i muscoli laterali del collo, in sequenza da anteriore a posteriore: lo scaleno anteriore, medio e posteriore, il muscolo elevatore della scapola e il muscolo splenio della testa (ha la sua estensione prevalentemente nella regione nucale ma ha una propaggine che si estende lateralmente nel collo). Possiamo inoltre suddividere questi triangoli maggiori in triangoli minori: Il triangolo anteriore può essere scomposto in ulteriori regioni di estensioni più piccole: Triangoli minori sopraioidei  triangolo digastrico sottomandibolare  triangolo supplementare sottomentoniero Triangoli minori sottoioidei  triangolo carotideo  triangolo muscolare omotracheale Questi sono triangoli pari, così come sono pari i due triangoli anteriori del collo, quindi avremo le stesse regioni sia a destra che a sinistra della linea mediana. MUSCOLO OMOIOIDEO Inoltre, a livello della regione cervicale laterale, quindi del triangolo posteriore, troviamo un repere, il muscolo omoioideo, che è un muscolo digastrico, che quindi ha due ventri, uno inferiore e uno superiore. Il ventre inferiore suddivide il triangolo posteriore in una regione posta al di sopra del margine superiore del muscolo omoioideo che sarà il triangolo occipitale e una regione posta inferiormente rispetto al margine inferiore del muscolo che è il triangolo sopra clavicolare o succlavio. TRIANGOLO DIGASTRICO SOTTOMANDIBOLARE:  limite anteriore è il margine posteriore del ventre anteriore del muscolo digastrico  limite posteriore è il margine anteriore del ventre posteriore  limite superiore comprende tutto il margine inferiore del corpo, dell’angolo e del lato della mandibola  limite inferiore è l’inserzione del muscolo sull’osso ioide TRIANGOLO SUPPLEMENTARE SOTTOMENTONIERO:  limite posteriore è il margine anteriore del muscolo digastrico  limite superiore è il margine inferiore della sinfisi del corpo della mandibola  margine mediale è convenzionale e dato dalla linea mediana del collo TRIANGOLO CAROTIDEO:  limite anterosuperiore corrisponde al margine inferiore di un piccolo muscolo sopraioideo, il muscolo stiloioideo  limite anteroinferiore è il margine posteriore del ventre superiore del muscolo omoioideo  limite posteriore è il margine anteriore del muscolo sternocleidomastoideo TRIANGOLO MUSCOLARE OMOTRACHEALE:  limite superiore è il margine inferiore dell’osso ioide  limite laterale è il margine anteriore del ventre superiore del muscolo omoioideo  limite anteriore sul muscolo sternocleidomastoideo TRIANGOLO OCCIPITALE:  limite anteriore è il margine posteriore del muscolo sternocleidomastoideo  limite posteriore corrisponde al margine anteriore del muscolo trapezio  limite inferiore è il margine superiore del ventre inferiore del muscolo omoioideo TRIANGOLO SOPRACLAVICOLARE:  limite anteriore è il margine posteriore del capo inferiore del muscolo sternocleidomastoideo.  limite superiore è il margine inferiore del ventre inferiore del muscolo omoioideo  limite inferiore è la clavicola Torcicollo congenito miogeno: durante il parto si verifica un trauma a livello del muscolo sternocleidomastoideo, un trauma unilaterale, questo determina un’infiammazione del muscolo e una sostituzione delle fibre muscolari con tessuto fibroso; pertanto, il muscolo sternocleidomastoideo da un lato non si svilupperà e il bambino, fin da subito, presenterà questa inclinazione laterale del capo verso il lato del muscolo colpito e con la faccia ruotata. Il muscolo sternocleidomastoideo ne determina un’elevazione e quindi è un muscolo inspiratorio accessorio. Lo strato superficiale comprende trapezio e muscolo grande dorsale. Questi due muscoli, inserendosi a livello della scapola, esercitano la loro azione sulla scapola, e quindi sul cingolo scapolomerale. L’azione di questi muscoli ha delle ripercussioni, quindi contribuiscono ai movimenti della scapola e i movimenti dell’articolazione della spalla. Vediamo quali sono i movimenti che si possono verificare a livello della scapola.  La scapola può:  Dirigersi verso l’alto, e questo movimento è “l’elevazione della scapola”  Essere trazionata verso il basso, movimento di “depressione della scapola” ascellare, disposto inferiormente, si rivolge verso il basso verso l’ascella; e il recesso bicipitale, che avvolge il tendine del muscolo bicipite nel momento in cui, passando sotto il legamento trasverso, entra nell’articolazione; si inserisce nel solco bicipitale e nel momento in cui inizia ad essere avvolto dalla membrana, diventa intra-articolare. L’infiammazione di questo recesso è una delle cause più frequenti di spalla dolorosa, il termine clinico per indicare questa infiammazione è tendovaginite. La capsula articolare circonda tutta l’articolazione ed è lo strato più esterno, essa presenta gli stessi punti di inserzione della membrana sinoviale. Il recesso ascellare, invece, è importante perché ci consente, durante il movimento di abduzione, di non essere limitati, perché, se inferiormente la capsula articolare e i legamenti fossero molto tesi tra di loro, ad un certo punto bloccherebbero il movimento di abduzione della spalla. Per quanto riguarda i legamenti capsulari di questa articolazione abbiamo il legamento coraco- omerale, che collega il processo coracoideo al piccolo trocantere dell’omero. È un legamento a V perché ha un vertice nel processo coracoideo e da qui si divide in due branchie e si inseriscono, una sulla grande tuberosità e l’altra sulla piccola tuberosità. Quindi si crea una breccia tra queste due branchie, e all’interno di questa breccia passa il tendine del bicipite avvolto dal recesso per entrare all’interno della cavità articolare. Per quanto riguarda invece i legamenti extracapsulari, per questa articolazione sono gli stessi che stabilizzano l’articolazione acromio-claveare. Quindi abbiamo sia i due fasci del legamento coraco- clavicolare, sia il legamento coraco-acromiale. In particolare, quest’ultimo legamento va a chiudere anteriormente lo spazio tra le due ossa che collega, in questo modo si viene a formare un arco posteriormente osseo e anteriormente fibroso (arco coraco-acromiale). Al di sotto di questo arco troviamo delle strutture, delle borse e dei tendini. Le borse sono generalmente posizionate dove deve avvenire lo scorrimento di un tendine su un osso. Sono costituite da una piccola lamina fibrosa rivestita da un endotelio, che è responsabile della secrezione del liquido. Possiamo immagine una borsa come un palloncino che, in condizioni normali, presenta del liquido al suo interno e ciò permette alle pareti del palloncino di scorrere l’una sull’altra. Nel caso di infiammazione però, il palloncino/borsa si gonfia il che comporta un alterato scorrimento delle pareti e ciò comporta dolore. SPAZIO SUBACROMIALE Abbiamo quindi detto che il pavimento di questo spazio subacromiale è dato dai tendini e dai muscoli della cuffia dei rotatori. Quindi tutte le volte che si riduce questo spazio, qualsiasi sia la causa, c’è la sindrome da impingement subacromiale, ossia succede che la testa dell’omero, e quindi la borsa, per riduzione dello spazio, vanno a confliggere contro l’arco conaco-acromiale, in particolare sulla parete ossea. Ma quando si verifica ciò? Ci possono essere cause meccaniche e cause dinamiche. Tra le cause meccaniche troviamo, ad esempio, possibili varianti nell’orientamento dell’acromion: esso infatti può presentarsi piatto, curvo o a uncino. Queste alterazioni determinano una riduzione dello spazio subacromiale, che può generare infiammazione a livello della borsa (borsite), e questa infiammazione, se non risolta per tempo, va a toccare anche il tendine e si andranno a formare a mano a mano sempre più aree di necrosi non vascolarizzate che porteranno a delle calcificazioni, i tendini perderanno elasticità e quindi saranno molto più vulnerabili. Tutto ciò si conclude con la rottura della cuffia dei rotatori. Naturalmente è possibile che la cuffia dei rotatori si rompa anche per altre cause. Riassumendo: gli stabilizzatori dell’articolazione glenomerale sono: il labbro glenoideo, la capsula articolare, i legamenti che stabilizzano il rapporto tra le due superfici articolari, i tendini e i muscoli della cuffia dei rotatori che consentono all’articolazione di mantenere l’equilibrio e quindi di mantenere sempre la testa dell’acromion all’interno della glena durante il movimento. MOVIMENTI DELLA SPALLA I movimenti che noi possiamo compiere grazie all’articolazione glenomerale sono:  Flessione/Estensione  sul piano sagittale; la flessione allontana il braccio, mentre l’estensione lo avvicina. Se abbiamo una flessione oltre i 90° parliamo di elevazione anteriore. L’estensione, invece, è limitata a 45-50°, a causa dello spesso strato di legamenti presenti anteriormente.  Abduzione/Adduzione  sul piano frontale; l’abduzione allontana il braccio, mentre l’adduzione lo avvicina. Se abbiamo un’abduzione oltre i 90° parliamo di elevazione naturale in quanto la vera abduzione si fermerebbe a 90° perché la testa andrebbe a configgere con l’acromion, mentre a partire dai 90° entrano in azione dei muscoli che orientano la glena verso l’alto. L’adduzione, invece, arriva fino a 30-45°.  Intra-/Extra-rotazione  sul piano trasverso. Circonduzione  movimento complesso reso possibile dalla somma dei movimenti sopracitati MSOCA 7 1. MUSCOLI DELLO STRATO SUPRFICIALE: SOLO MUSCOLO DELTOIDE 2. MUSCOLI DELLO STRATO PROFONDO: in particolare 4 muscoli (SOVRASPINATO, SOTTOSPINATO, PICCOLO ROTONDO, SOTTOSCAPOLARE) sono strettamente aderenti alla capsula articolare, andandola a rinforzare. Sono come degli stabilizzatori, dei mezzi di rinforzo dell’articolazione stessa. Questa cuffia che si forma è anche definita dei rotatori poiché aiuta i movimenti rotatori della spalla.I muscoli dello strato profondo sono a loro volta divisibili in: a. muscoli anteriori rispetto alla scapola (siti nella fossa sottoscapolare): il muscolo SOTTOSCAPOLARE, meglio visibile dopo aver rimosso il deltoide e la fascia che lo ricopre, la fascia sottoscapolare. b. muscoli posteriori rispetto alla scapola (nella fossa sottospinata), a loro volta divisi in: i. uno strato più superficiale: muscolo SOTTOSPINATO, GRANDE ROTONDO ii. uno strato più profondo: muscolo PICCOLO ROTONDO, che in realtà ha l’origine coperta dal muscolo sottospinato (e quindi sta in uno strato più profondo), ma poi emerge, fra il margine superiore del muscolo grande rotondo e il margine inferiore del muscolo sottospinato, e si pone sullo stesso piano. AZIONE DEL DELTOIDE: - contrazione sincrona di tutte e tre le porzioni: abduzione della scapola - quando prende punto fisso sull’omero si solleva il tronco. - contrazione della porzione anteriore: flessione e rotazione interna della spalla + si solleva la testa dell’omero. - contrazione solo dei fasci acromiali: il muscolo funge da abduttore. - contrazione dei fasci spinosi: estensione e rotazione esterna della spalla. Il muscolo deltoide è innervato dal nervo ascellare, che è un ramo terminale del plesso brachiale. Il nervo ascellare decorre medialmente rispetto al collo chirurgico dell’omero e può essere interessato anche da paralisi in caso di traumi, eg. lussazioni della spalla. Per intenderci meglio,il collo chirurgico dell’omero è la regione di confine, che separa i tubercoli (situati superiormente) dal corpo dell'omero (inferiormente). Frattura dell’Omero Prossimale Nell'estremità prossimale dell'omero, sono presenti almeno 6 regioni di una certa rilevanza anatomica: la testa, il collo anatomico, il tubercolo maggiore, il tubercolo minore, il solco intertubercolare e il collo chirurgico. In genere, le fratture dell'omero prossimale interessano uno tra: il tubercolo maggiore, il tubercolo minore, il collo chirurgico e il collo anatomico. In caso di fratture pluriframmentarie e scomposte, l’apporto vascolare che normalmente giunge alla testa omerale tramite le arterie circonflesse, che decorrono a livello del collo chirurgico dell’omero, può essere compromesso e la testa dell’omero può andare incontro a necrosi. Ha delle fibre motorie, che raggiungono il muscolo determinandone la contrazione, e delle fibre sensitive, che raccolgono la sensitività di una determinata area cutanea, in questo caso di tutta la porzione laterale della spalla (la porzione che sta sopra il muscolo deltoide). in caso di lesione del nervo ascellare il muscolo si ipotrofizza si perde sensibilità alla spalla e non si può muoverla liberamente (30/40° di abduzione max). si perde l’equilibrio nella biomeccanica di tutta la spalla. Anteriormente al deltoide si forma un solco in cui scorre una delle vene superficiali del braccio. Questo solco è la via di accesso per la capsula articolare anteriore: la via chirurgica di Larghi (La via di Larghi è una VIA DI ACCESSO CHIRURGICA (anche detta via deltoido-pettorale) e serve quando, durante un intervento di chirurgia delle spalle, si rende necessario effettuare una sintesi stabile, in caso di fratture complesse mal riducibili e nelle dislocazioni in varo della testa omerale. Attraverso la via di Regione Scapolare: il triangolo dei muscoli rotondi (Anatomia Topografica Anastasi: pag 540) A livello della loggia posteriore del braccio, nella zona più prossimale, si trovano degli spazi attraversati da vasi e nervi che, attraversano tali spazi per raggiungere la loggia posteriore del braccio, appunto. Si ha in particolare il triangolo dei muscoli rotondi che può essere suddiviso in: spazio omotricipitale, quadrilatero del velpeau (o spazio omerotricipitale) e spazio triangolare. A livello dello spazio omotricipitale, passa l’arteria circonflessa della scapola che in qualche modo origina a livello del capo ascellare e per portarsi posteriormente passa attraverso questo spazio. Il quadrilatero del velpeau o spazio omerotricipitale passa dal cavo ascellare posteriormente. Il quadrilatero è uno spazio quadrangolare i cui limiti sono: superiormente il margine inferiore del muscolo piccolo rotondo, inferiormente il margine superiore del tendine del muscolo grande rotondo; il limite mediale è il margine laterale del tendine del capo lungo del tricipite brachiale; il margine mediale del quadrilatero del velpeau è il margine mediale del collo chirurgico dell’omero. Si crea questo spazio quadrangolare attraversato dal nervo ascellare e dall’arteria circonflessa posteriore della scapola. Infine, attraverso lo spazio triangolare, passano posteriormente alcuni rami muscolari del nervo radiale che abbandonano il nervo radiale nel cavo ascellare per andare a dirigersi posteriormente, nella loggia posteriore, tramite i rami muscolari, per innervare i due capi più superficiali del muscolo tricipite brachiale. ARTICOLAZIONE DEL GOMITO Per quanto riguarda l’articolazione del gomito, si hanno tre compartimenti articolari: uno fra omero e ulna, uno fra omero e radio e un’articolazione che si forma radio ed ulna, cioè la radio- ulnare prossimale. Si ha una cavità articolare che è rivestita da una membrana sinoviale che prende inserzione sull’omero sia anteriormente che posteriormente e l’inserzione posteriore è molto più superiore, cioè estesa, rispetto a quella anteriore, creando due recessi articolari. Un terzo recesso articolare dell’articolazione del gomito è quello posteriore perché la membrana sinoviale si inserisce a livello del collo del radio ad un livello inferiore rispetto al limite inferiore del legamento anulare del radio. Al di sotto di quest’ultimo si trova un ulteriore recesso articolare dell’articolazione del gomito. Tale articolazione è molto stabile perché presenta una capsula articolare e molti legamenti. L’articolazione omero-ulnare è un ginglimo angolare che consente solo movimenti sul piano sagittale ed in particolare permette movimenti di flesso-estensione del gomito; è percorsa longitudinalmente da una cresta che divide la superficie articolare in due parti dove si trova l’incisura trocleare il comparto più esterno che si forma tra il condilo del radio e la superficie superiore della testa del capitello radiale è l’articolazione omero-radiale, una condiloartrosi che permette più movimenti e partecipa sia al movimento di flesso-estensione sia a quello di pronazione e supinazione dell’articolazione del gomito. Quest’ultimo movimento è quasi completamente favorito dall’articolazione radio-ulnare prossimale, che è un ginglimo laterale perché gli assi che passano per le due articolazioni sono paralleli fra loro. I movimenti che sono consentiti a livello di tale articolazione sono: un movimento sul piano sagittale che è la flesso- estensione del gomito, un movimento sul piano trasverso che è la prono-supinazione del gomito. Tra i legamenti del gomito si trovano: il legamento anulare, che completa l’articolazione radio- ulnare prossimale; dei legamenti che si pongono ai lati dell’articolazione andando a rinforzare la capsula articolare: il legamento collaterale del radio, che si pone esternamente sull’articolazione del gomito e il legamento collaterale dell’ulna, che si pone medialmente rispetto all’articolazione del gomito. Quest’ultima è chiusa inferiormente da una lamina, cioè il legamento quadrato, che è teso fra il collo del radio e l’ulna, chiudendo inferiormente l’articolazione dell’ulna, ed è un legamento intrarticolare. A livello sempre dell’articolazione del gomito, subito sotto l’olecrano, questo ed il sottocute, è presente una borsa di scorrimento tendinea, che consente lo scorrimento dei capi del tricipite brachiale; è una borsa sottocutanea superficiale e una sua infiammazione potrebbe portare ad una patologia, la cosiddetta borsite. OSSA DELLA MANO Le ossa della mano sono divise in: carpo, metacarpo e falangi. Le ossa del carpo sono disposte in due filiere, una prossimale e una distale. Per quanto riguarda quella prossimale, partendo da laterale a mediale abbiamo: lo scafoide, il semilunare, il piramidale, il pisiforme. Per quanto riguarda quella distale sempre da laterale a mediale: trapezio, trapezoide, capitato, uncinato. La prima filiera del carpo partecipa insieme al radio, e in minima parte all’ulna, all’articolazione del polso. La seconda filiera, invece, si articola con le ossa metacarpali con la loro porzione prossimale che è definita base del metacarpo. Le ossa del carpo fra di loro formano comunque delle articolazioni e sono tutte artrodie perché le faccette articolari sono tutte piane. Il primo osso metacarpale si articola con il trapezio dando l’articolazione trapezio-metacarpale (articolazione a sella). L’artrosi di questa articolazione si chiama rizoartrosi. Mentre tutte le altre articolazioni tra metacarpo e carpo sono delle artrodie. ossa del metacarpo: Nel metacarpo (ossa lunghe) troviamo una diafisi e due estremità (prossimale e distale). Quella prossimale è definita base, quella distale testa del metacarpo. Le teste si articolano con le ossa che troviamo distalmente che sono le falangi. ossa delle falangi: Le falangi sono due al livello del pollice, nelle restanti dita ce ne sono tre (prossimale, media, distale o ungueale). La falange chiama ungueale si chiama così perché termina con una lamina fibrosa che è il processo ungueale. Nelle articolazioni che si formano tra le teste metacarpali e le basi delle falangi prossimali sono delle condiloartrosi. L’articolazione del polso consente il movimento di flesso-estensione, adduzione (o inclinazione ulnare della mano), abduzione (o inclinazione radiale della mano). È possibile anche un movimento rotatorio o di circonduzione. Questa articolazione può essere paragonata ad una condiloartrosi (funzionalmente). Le superfici articolari della filiera prossimale in relazione con le ossa della filiera distale sono rivestite da cartilagine articolare. Si forma una cavità articolare all’interno della quale è presente un menisco la cui lesione può essere causa, spesso, di dolore al polso. È una patologia che ormai si tratta in artroscopia. MORBO DI DUPUTREYN Il morbo di Duputreyn è dato da un arretramento dell’aponeurosi palmare, che di solito è molto aderente alla cute e al sottocutaneo della mano. Il suo arretramento provoca una detrazione della fascia, che provoca una progressiva flessione rigida non correggibile a livello delle dita. Questa patologia è progressiva quindi si manifesta in vari gradi, nell’ultimo stadio le dita sono completamente flesse. Di solito inizia a livello del quarto dito, a volte interessa anche il quinto, più raramente anche il secondo e il terzo dito. L’aspetto tipico della sindrome è l’insorgenza di noduli a livello della fascia dell’aponeurosi palmare, i noduli determinano una fibrosi, che determina una adesione dei piani superficiali e profondi. Inoltre, compaiono delle corde tendinee fibrose che tendono ad arretrare, quindi comportano un progressivo avvicinamento delle dita al palmo della mano, la flessione delle dita è stabile, rigida e non correggibile. Nell’immagine vediamo la presenza i noduli e della corda tendinea. L’intervento chirurgico comporta un’incisione lungo le dita e una a forma di zeta per consentire lo scorrimento. Si crea un piano di clivaggio con la cute, a livello della fascia palmare, poi si fa l’incisione a zeta, si corregge la flessione, infine si sutura. Nei casi in cui si interviene precocemente, la patologia è correggibile senza intervento chirurgico: si cerca di allungare l’aponeurosi palmare per contrastarne l’arretramento, una specie di stretching della mano. Inoltre, è possibile intervenire per via percutanea con delle iniezioni di collagenasi, un enzima litico che rende il collagene più elastico, rompendo i ponti fibrosi. Il trattamento della collagenasi, unito allo stretching dell’aponeurosi palmare può portare a dei buoni risultati. Senza un intervento è una patologia che tende ad aggravarsi, passando per i vari stadi: noduli, corde, contrazione, deformità in flessione del dito. Tuttavia, anche dopo l’intervento chirurgico è frequente la recidiva. SINDROME DEL CANALE CUBITALE A livello del solco del nervo ulnare si può verificare una patologia, la sindrome del Canale Cubitale o del tunnel ulnare. Questa patologia deriva da traumi ripetuti e dall’ossificazione del legamento di Osborne, che comprime il nervo; ci possono essere casi di sublussazione, che si verificano quando il nervo esce dal suo solco, in seguito a movimenti errati. Avvertiamo la sublussazione se, facendo estensione o flessione del gomito, sentiamo uno scatto posteriore che è il nervo che esce dal suo solco. CRAMPO DELLO SCRIVANO Distonia crampiforme dei muscoli dell’avambraccio e/o della mano. È un disordine del movimento caratterizzato da contrazioni muscolari involontarie prolungate che causano frequentemente torsioni, movimenti ripetitivi o posture anomale. I soggetti affetti compiono azioni motorie ripetitive che “affaticano” i circuiti nervosi coinvolti nel controllo di tale movimento. La sindrome è giustificata da una condizione anatomica ben precisa; il nervo mediano passa al di sotto dell’arcata tendinea che si forma tra il carpo omerale e il carpo radiale del flessore superficiale delle dita, c’è un’alternativa anatomica che prevede l’avvolgimento posteriore del nervo, quindi nei movimenti ripetuti della mano esso è compresso e dà un forte dolore e dei crampi. SINDROME DI KILO-NEVIN sindrome di Kiloh-Nevin, è una compressione del ramo più profondo del nervo mediano, data da un fascetto accessorio che comprime il nervo interosseo, quindi abbiamo un quadro clinico di deficit di sforzo dei muscoli innervati da questo nervo. FRATTURA DI COLLES: Nell’alloggio posteriore della coscia sono contenuti sia il gruppo di muscoli mediali che il gruppo di muscoli posteriori. In alcuni testi possiamo trovare un terzo compartimento della coscia che è definito compartimento adduttorio, nel quale si individuano alcuni dei muscoli mediali della coscia, in particolare il muscolo pettineo, il muscolo adduttore lungo e il muscolo grande adduttore; nonostante questo, la situazione più comune è che nella loggia posteriore della coscia siano contenuti dei muscoli con funzione adduttoria o con funzione estensoria dell’anca e flessoria del ginocchio, senza una compartimentalizzazione e senza una netta separazione tra di loro. Muscolo tensore della fascia lata Azione L’azione varia a seconda che il muscolo abbia punto fisso sulla pelvi o sul condilo del femore.  Quando ha punto fisso sulla pelvi la sua azione principale è quella di tendere la fascia lata. Decorrendo lateralmente rispetto all’articolazione dell’anca viene compreso tra i muscoli esterni dell’anca perché contribuisce ai movimenti dell’anca.  Quando prende punto fisso sul condilo del femore nel punto in cui il tratto ileotibiale aderisce alla faccia laterale dell’epicondilo laterale del femore ha azione sul ginocchio. Contribuisce in particolare agendo dopo i primi 20° di flessione e negli ultimi 20 ° di estensione Muscolo grande gluteo Azione Varia a seconda del punto fisso e a seconda che le due parti del muscolo si contraggano in modo sincrono o asincrono.  Nel caso di punto fisso sulla pelvi, la contrazione sincrona delle due parti determina l’estensione dell’anca (il grande gluteo è il più potente estensore dell’anca)  La contrazione solo dei fasci superiori (che passano lateralmente rispetto al centro di rotazione dell’anca) determina il movimento di abduzione dell’anca  La contrazione dei soli fasci inferiori (che passano inferiormente rispetto al centro di rotazione) dà un contributo solo all’adduzione dell’anca  Quando prende punto fisso sul femore il muscolo dà un contributo nel sollevamento del busto dalla posizione flessa e nel mantenimento della postura eretta Muscolo medio gluteo Azione Si tratta di un muscolo che ha un’azione sinergica con un muscolo dello strato più profondo (muscolo piccolo gluteo). L’azione varia a seconda della contrazione delle fibre.  Le fibre più anteriori contraendosi determinano la flessione e l’introrotazione dell’anca  Le fibre posteriori contraendosi determinano l’estensione dell’anca, l’extrarotazione e l’abduzione dell’anca  Nella contrazione sincrona (durante la deambulazione) stabilizza il bacino STRATO PROFONDO Lo strato profondo della regione glutea è formato da 6 muscoli e, come già accennato, la loro caratteristica è di essere tutti sullo stesso piano. Organizzati dal più prossimale al più distale, i muscoli dello strato profondo sono il muscolo piccolo gluteo (completamente coperto dal muscolo grande gluteo e pertanto visibile solo dopo rimozione di quest’ultimo), il muscolo piriforme, il gemello superiore, l’otturatore interno, il gemello inferiore e il quadrato del femore. Tutti questi muscoli vengono anche definiti extrarotatori brevi, richiamando alla loro principale azione extrarotatoria dell’articolazione dell’anca. AZIONE MUSCOLO ILEOPSOAS Questi ultimi due muscoli possono essere considerati dal punto di vista funzionale un unico muscolo (ILEOPSOAS), perché hanno un’azione sinergica sull’articolazione dell’anca. Con punto fisso sulla colonna (per le fibre dello psoas) e sul bacino (muscolo iliaco), determinano una flessione dell’anca, con un contributo nell’adduzione ed extrarotazione dell’anca. Con punto fisso sul femore si ha, in caso di contrazione sincrona, una flessione anteriore del tronco. Con una contrazione unilaterale invece si avrà un’inclinazione del tronco ipsilaterale. LACUNA DEI MUSCOLI E DEI VASI Il punto in cui il muscolo iliaco e grande psoas fuoriescono dal bacino è chiamato lacuna dei muscoli. Lo spazio subito posteriore rispetto al legamento inguinale è diviso in due parti dalla banderella ileo pettinea (l’espansione della fascia iliaca tesa fra il legamento inguinale e l’eminenza ileopettinea) si vengono a formare due canali, quello laterale è detto lacuna dei muscoli, quello mediale lacuna dei vasi. Quest’ultimo è chiuso medialmente dal legamento lacunare. Il canale laterale è occupato, in posizione più laterale, prima dal nervo cutaneo della coscia (ramo collaterale del plesso lombare, solo sensitivo, che da innervazione alla faccia laterale della coscia ed è strettamente aderente spina iliaca anterosuperiore; può essere infatti facilmente comprimibile dopo traumi al bacino o per indumenti troppo stretti), dal muscolo iliaco, dal muscolo grande psoas e infine, più medialmente, il nervo femorale. Nella lacuna dei vasi troviamo l’arteria femorale e più medialmente la vena femorale, che fuoriuscendo dal bacino passano sotto al legamento inguinale e sono avvolti nella guaina femorale. MUSCOLI DELLA COSCIA LOGGIA ANTERIORE I muscoli di questa loggia sono essenzialmente estensori. LEGAMENTO ALARE INTERNO La porzione del tendine del vasto mediale obliquo che si inserisce a livello del margine mediale della rotula è chiamata legamento alare interno. Esiste una patologia dell’articolazione femore-rotulea definita iperpressione rotulea esterna. È una condizione tale per cui la rotula non scorre al centro della sua faccetta articolare nel femore, ma tende ad essere spostata lateralmente durante il movimento. Questa condizione può derivare sia da uno squilibrio muscolare sia da una diversa tensione delle due porzioni del tendine quadricipitale. Per riportare la rotula in asse, ovvero all’interno della faccetta del femore per la rotula, si potenziano esclusivamente le fibre del vasto mediale e del vasto mediale obliquo, in modo tale da aumentare la trazione mediale della rotula e quindi da contrastare la sublussazione esterna della rotula durante i movimenti del ginocchio. TENDINE ROTULEO Il tendine rotuleo alla porzione che va dal polo inferiore della rotula fino alla tuberosità tibiale anteriore. In alcuni testi è chiamato anche legamento patellare. La tuberosità tibiale anteriore si trova subito distalmente e anteriormente rispetto alla metafisi della tibia. Precedente si è parlato di borse sinoviali a scorrimento tendineo, paragonandole a dei palloncini sgonfi con due pareti che si continuano tra loro e che delimitano una cavità virtuale all’interno della quale i tendini scorrono sul piano osseo circostante. A livello del tendine rotuleo non abbiamo una borsa sinoviale ma sono presenti una membrana sinioviale esterna ed una lamina fibrosa interna che avvolgono il tendine, definite peritononio e paratenonio. Muscolo articolare del ginocchio L’ultimo muscolo che occupa la loggia anteriore della coscia è il muscolo articolare del ginocchio. Esso è teso dalla faccia anteriore della diafisi del femore, originando a livello del quarto distale della coscia, e prende inserzione a livello del margine superiore della membrana sinoviale che delimita la cavità articolare del ginocchio, in particolare in un recesso della membrana sinoviale (recesso sottoquadricipitale o sovrapatellare della cavità articolare del ginocchio). Il muscolo articolare del ginocchio ha un’origine più distale degli altri muscoli e si pone sullo stesso piano del vasto intermedio. La sua azione, tramite contrazione, determina la tensione della borsa sinoviale, la quale in questo modo si espande e favorisce lo scorrimento del tendine quadricipitale sul piano osseo sottostante della diafisi. In questa immagine si vede la cavità articolare del ginocchio con i suoi recessi, in particolare il recesso sovrapatellare della cavità articolare del ginocchio, delimitato dalla membrana sinoviale. Si vede anche come il muscolo articolare del ginocchio sia teso dalla diafisi del femore al limite superiore del recesso sovrapatellare. Azione: I muscoli mediali sono adduttori dell’anca, possono anche contribuire alla flessione e all’extrarotazione dell’anca, anche se l’azione principale rimane comunque l’adduzione dell’anca. La zampa d’oca Nel suo complesso è formata da tre tendini che si inseriscono nella stessa area (la faccia anteromediale della metafisi della tibia). Il tendine più anteriore e più superficiale è il tendine del muscolo sartorio, il tendine intermedio, leggermente più profondo rispetto al muscolo sartorio, è il tendine del muscolo gracile e, infine, il tendine più posteriore, sullo stesso piano del tendine del m. gracile, è il muscolo semitendinoso. Fra questi tendini si inserisce una borsa che prende il nome di borsa anserina, una borsa sinoviale tendinea per favorire lo scorrimento dei tendini sul piano osseo. La sua infiammazione è responsabile di una patologia abbastanza comune a livello del ginocchio, una delle cause di gonalgia mediale, che viene definita borsite della zampa d’oca o tendinite della zampa d’oca. Si ricordi quindi che quando si parla di tendinite della zampa d’oca non ci si riferisce ad un’infiammazione che riguarda i tendini della zampa d’oca, ma ad un’infiammazione che riguarda la borsa di scorrimento. I due tendini più posteriori, che quindi hanno maggiore consistenza, vengono utilizzati per ricostruire il legamento crociato anteriore. Una delle tecniche in uso per la ricostruzione del legamento crociato anteriore è quella di prelevare dei tendini del muscolo gracile e del muscolo semitendinoso e, in artroscopia, rimuovere il legamento crociato anteriore lesionato e, con un apposito strumentario, creare due tunnel nella tibia e nel femore, preparare il tendine del muscolo gracile e del muscolo semitendinoso, preventivamente prelevati, e a questo punto far passare i due tendini attraverso i tunnel ossei e fissarli nell’osso tramite delle viti riassorbibili. Triangolo femorale Il triangolo femorale, già accennato nel parlare delle regioni topografiche superficiali della coscia, corrisponde a un’area di forma triangolare presente anteriormente, prossimalmente e medialmente nella coscia. I suoi i limiti sono:  Superiore: legamento inguinale; Azione: è un muscolo monoarticolare, agisce solo sull’articolazione della caviglia e la sua azione è una flessione plantare del piede ed inoltre abduce il piede e lo porta in supinazione e sostiene anche la volta longitudinale del piede (muscolo cavista). TENDINE CALCANEARE Il tendine calcaneare, un largo nastrotendineo fibroso, si inserisce a livello della tuberosità calcaneare posteriore. Il tendine calcaneare, oltre ad essere molto spesso e largo, è con ogni probabilità il tendine più robusto del corpo umano. Ciononostante questo tendine tende spesso ad andare incontro a degenerazione ed a rottura spontanea, poiché si tratta di un tendine poco vascolarizzato. L’area di minor vascolarizzazione del tendine calcaneare è l’area terminale che comprende gli ultimi 2/3 cm del tendine prima dell’inserzione sulla tuberosità calcaneare. Questa poca vascolarizzazione fa sì che, essendo un tendine soggetto ad un enorme carico di lavoro a causa dei suoi capi muscolari molto sviluppati, possa andare incontro a dei processi degenerativi inserzionali. Questo tipo di lesioni, dapprima infiammatorie, si evolvono non con una degenerazione del tendine, e analogamente a quello che abbiamo visto a livello del tendine del muscolo sovraspinoso inserzionato sul grande trocantere, vanno incontro ad una riparazione con un tessuto meno elastico rispetto al tessuto tendineo originale. Questo fa sì che il tendine diventi meno resistente alle sollecitazioni da parte dei ventri muscolari, andando facilmente incontro ad una rottura spontanea. Esiste una borsa di scorrimento tendineo sia tra il tendine calcaneare ed il piano osseo, che fra la faccia superficiale del tendine ed il piano sottocutaneo. Fra tendine, la superficie superiore del calcagno e posteriore della tibia e dell’astragalo, esiste uno spazio triangolare, il triangolo di Kager, occupato da tessuto adiposo. Queste strutture servono a facilitare lo scorrimento del tendine sul piano osseo. MOVIMENTI DEL PIEDE Inversione: adduzione + supinazione + flessione plantare I muscoli che determinano e partecipano sono elencati da quello con ruolo maggiore a quello con ruolo minore: - Tricipite sura - Tibiale posteriore - Flessore dell’alluce - Flessore lungo dita - Tibiale anteriore - Plantare Eversione: abduzione + pronazione + flessione dorsale I muscoli che determinano e partecipano sono elencati da quello con ruolo maggiore a quello con ruolo minore: - Peroneo lungo - Perineo breve - Estensore lungo delle dita - Perineo terzo (anteriore) ARTICOLAZIONE DEL GINOCCHIO: cavità articolare La capsula articolare passa posteriormente rispetto alla fossa intercondiloidea. Invece la membrana sinoviale, che si inserisce lungo i margini dei condili femorali rivestiti da cartilagine articolare, passa anteriormente rispetto alla fossa intercondiloidea. La fossa intercondiloidea è occupata dai legamenti crociati anteriore e posteriore, motivo per cui sono intracapsulari ma extrasinoviali, poiché la membrana sinoviale li esclude dato che passa davanti a questa. DOMANDA L’articolazione del ginocchio comprende anche l’articolazione tra femore e patella, di che articolazione si tratta? Si chiama articolazione femororotulea ed è compresa perchè la membrana sinoviale si inserisce lungo tutto il bordo della cartilagine articolare della rotula. La faccia profonda, o articolare, è divisa da un rilievo in due porzioni: una faccetta articolare mediale e una laterale. Sul femore la faccetta articolare patellare (per la rotula) si forma perchè i due condili si incontrano anteriormente formando un angolo diedro, un solco in cui la cresta della rotula è centrata. I due legamenti crociati sono compresi nella fossa intercondiloidea: - Anteriore : da area intercondilare anteriore della tibia a faccia mediale di condilo laterale del femore - Posteriore : da area intercondilare posteriore della tibia a faccia laterale di condilo mediale del femore Guardando l’estremità articolare del femore, viene indicato con la linea rossa, la linea di inserzione della membrana sinoviale, quindi ciò che è contenuto all’interno è intrarticolare. Anteriormente si inserisce lungo il bordo della cartilagine articolare e posteriormente segue i margini dei due condili creando una sorta di rientranza, poiché esclude la fossa intercondiloidea, proprio dove si trovano i legamenti crociati che sono quindi intracapsulari, ma extrarticolari. Nell’immagine di destra possiamo vedere anche l’inserzione della membrana sinoviale sulla rotula. Abbiamo quindi l’articolazione femororotulea (patellofemorale) e l’articolazione tibiofemorale, che fromano la’rticolazione del ginocchio. DOMANDA L’articolazione del ginocchio come può essere classificata? L’articolazione tra femore e tibia è una diartrosi: alcuni dicono doppia condiloidea, altri ginglimo angolare (troclea). L’articolazione tra femore e rotula è un’artrodia. Importante: perone non partecipa all’articolazione del ginocchio. DOMANDA Esempio di legamento intrarticolare. Il legamento rotondo (della testa del femore), che dalla fossetta della testa del femore si porta all’interno della fossa dell’acetabolo, ovvero la porzione all’interno della C della faccia semilunare. All’interno di questo legamento troviamo l’arteriola del legamento rotondo, un ramo dell’arteria otturatoria che vascolarizza il terzo superiore della testa del femore, senza anastomizzarsi con le arterie che vascolarizzano i due terzi inferiori, i queli sono vascolarizzati dall’arco anastomotico tra le arterie circonflesse del femore, derivanti dall’arteria femorale, dalle quali si dipartono vasi terminali chiamati arterie rette (o retinacolari) che decorrono tra membrana sinoviale e collo del femore, perforando la capsula di questa articolazione. Il collo del femore è intracapsulare ma extraarticolare, infatti la capsula si inserisce anteriormente sulla linea intertrocanterica e posterioremmete alla base del collo del femore (più prossimalmente che quella anteriore). Sull’osso del anca si inserisce su tutto il bordo dell’acetabolo.