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Pedagogia dell'inclusione, Sbobinature di Pedagogia

Riassunto completo dei libri: Alunni Speciali - non solo dislessia, Gestire il disagio a scuola e Dal disagio alla rinascita del sé

Tipologia: Sbobinature

2023/2024

Caricato il 06/02/2024

Maria_Elena_Oddo
Maria_Elena_Oddo 🇮🇹

4.6

(16)

50 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Pedagogia dell'inclusione e più Sbobinature in PDF di Pedagogia solo su Docsity! 1 ALUNNI SPECIALI – NON SOLO DISLESSIA CAPITOLO 1: I DISTRUBI EVOLUTIVI SPECIFICI DI APPRENDIMENTO (DSA) 1.1 Che cosa sono i DSA La dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia costituiscono il gruppo dei Disturbi evolutivi Specifici di Apprendimento di origine neuro evolutiva (DSA). Questi disturbi non possono essere attribuiti né a un ritardo cognitivo, né a un deficit sensoriale, né a condizioni proveniente dall’ambiente esterno (criterio di esclusione). Vi deve essere una discrepanza tra le prestazioni delle prove di lettura, scrittura e calcolo rispetto alle prestazioni attese per il livello di scolarità e a livello intellettivo (criterio di discrepanza). Tali disturbi non sono dipendenti da fattori interni ed esterni, piuttosto sono inattese e tengono conto degli aspetti dello sviluppo. Quindi un ragazzo con un DSA potrebbe essere definito un ragazzo con uno “sviluppo non armonico”. Ai due criteri si aggiunge un altro criterio basato sulla resistenza a un trattamento specifico. Infatti, la denominazione “DSA” è riservata ai bambini o ragazzi i cui disturbi resistono anche in seguito ad un trattamento specifico (logopedia e psicomotricità). Compito della didattica è capire il bambino e potenziare l’apprendimento in ogni situazione. 1.2 Che cosa è cambiato negli ultimi 20 anni Nei primi anni ’90 in Italia viene data la prima definizione di dislessia, come disturbo specifico di lettura. Prima i bambini venivano etichettati come “ritardati” o “caratteriali”, infatti venivano bocciati più volte e abbandonati a sé stessi. Nel 2004 il MIUR emana la prima nota ministeriale, a cui fanno seguito altre note a tutela degli studenti con DSA. L’8 ottobre 2010, viene approvata la legge n. 170 “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” in cui vengono riconosciuti i quattro DSA. Il 12 luglio 2011 viene emanato il decreto attuativo con le “Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con disturbi specifici di apprendimento”. 1.3 Quali sono i DSA 1.3.1 La Dislessia (Disturbo Specifico della Lettura) La Dislessia (Disturbo Specifico della Lettura) riguarda la capacità di decodificare un testo scritto e si manifesta attraverso una minore correttezza e rapidità della lettura rispetto a quanto atteso per età anagrafica, classe frequentata, istruzione ricevuta. Nel caso di studenti con dislessia, la scuola secondaria deve mirare a promuovere la capacità di comprensione del testo. A questo proposito possono risultare utili alcune strategie: • Insistere sulla lettura silente, poiché risulta più efficiente, per poi passare alla lettura a voce alta. • Insegnare allo studente a cogliere il significato del testo per poi passare ad una lettura più analitica. 2 La dislessia può essere: • Acquisita: quando la dislessia subentra a seguito di lesioni. • Evolutiva: si manifesta in età evolutiva. Il deficit riguarda lo sviluppo di abilità mai acquisite e non perse a causa di eventi traumatici. 1.3.2 La Disortografia (Disturbo Specifico della Compitazione) È il disturbo della scrittura che riguarda l’ortografia: vengono commessi: • Errori fonologici (vengono confuse lettere con suoni simili: v/f, s/z, t/d ecc.) • Errori visuo – spaziali (vengono confuse lettere con segno grafico simile: b/d, p/q, q/g ecc.) Nel testo di un disortografico, spesso la stessa parola all’interno di un testo, può essere scritta in più modi. Le maiuscole vengono dimenticate e gli accenti, apostrofi e punteggiatura vengono omessi. 1.3.3 La Disgrafia (Disturbo Specifico della Scrittura) È il disturbo che colpisce la capacità di eseguire correttamente la scrittura. Il bambino avrà una minore fluenza riguardo la scrittura e una minore qualità dell’aspetto grafico. Inoltre, tenderà ad affaticarsi velocemente. 1.3.4 La Discalculia (Disturbo Specifico della Abilità Aritmetiche) È un deficit che può riguardare: − Il sistema della cognizione numerica: il bambino avrà difficoltà nel riconoscimento delle piccole quantità, la quantificazione, la seriazione, la comparazione, le strategie di composizione e scomposizione di quantità. − Le procedure esecutive del calcolo: il bambino avrà difficoltà nella lettura e scrittura dei numeri, nell’incolonnamento, nelle tabelline e nel calcolo scritto vero e proprio. 1.4 Esiste il disturbo specifico di comprensione del testo? A riguardo, ancora oggi, ci sono dibattiti, poiché non si sa per certo se inserire o no il Disturbo di Comprensione del Testo (DCT) all’interno dei DSA. 1.5 I disturbi dell’apprendimento vanno trattati dove si apprende: la scuola Gli insegnanti giocano un ruolo importante, in quanto, osservando eventuali prestazioni atipiche e diversi stili cognitivi, devono individualizzare e personalizzare la didattica. Nel profilo professionale del docente sono comprese, oltre alle competenze disciplinari, anche competenze psicopedagogiche, al fine di avere tutti quegli strumenti adatti alla risoluzione del problema dell’alunno. 1.6 Che cos’è l’apprendimento? Secondo le neuroscienze l’apprendimento è un processo che va ad incrementare l’efficienza grazie all’ambiente e all’esperienza. Tale apprendimento, detto implicito, non dipende dalla nostra volontà ma dall’allenamento. Questa definizione riguarda i processi che possono essere automatizzati e riguarda abilità quali parlare, camminare ecc. 5 1.7.3 Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI o ADHD) Il Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (DDAI o ADHD) è un disturbo evolutivo dell’autocontrollo. Include difficoltà di attenzione e concentrazione, di controllo degli impulsi e del livello di attività. Questi problemi derivano dall’incapacità del ragazzo di regolare il proprio comportamento in funzione del trascorrere del tempo, degli obiettivi da raggiungere e delle richieste dell’ambiente. 1.8 Il sistema attentivo Il sistema attentivo, detto anche Sistema Attentivo Supervisore (SAS), è il sistema che ha il compito di fornire le risorse necessarie per lo svolgimento dei compiti quotidiani. Ha la funzione di supervisionare il flusso delle operazioni automatizzate e di attuare la soluzione più appropriata al contesto del momento. L’attenzione non è una semplice funzione ma riguarda tutti i processi di controllo dell’acquisizione delle informazioni, della loro elaborazione e della produzione. Quando l’insegnante dice al suo allievo: ‹Non stai attento!›, potrebbe commettere un errore. In realtà l’allievo in quel momento potrebbe essere attento a troppe cose contemporaneamente (sta pasticciando la gomma, controllando cosa sta succedendo fuori dalla finestra). Il suo problema, in questo caso, dipenderebbe dalla sua incapacità di selezionare le informazioni rilevanti. Il fatto che molti ragazzi con DSA abbiano a scuola un rendimento altalenante è causato da un deficit nel controllo dell’energia mentale. Infatti, non è che non siano capaci di leggere, scrivere o contare, ma quando lo devono fare, non avendo automatizzato tali compiti, devono utilizzare al massimo le loro abilità di controllo dell’energia mentale ma tale richiesta di energia non è possibile per la durata di tutto il tempo scolastico. 1.8.1 L’impulsività L’impulsività si manifesta nella difficoltà a dilazionare una risposta, a inibire un comportamento inappropriato, ad attendere una gratificazione. I bambini impulsivi rispondono troppo velocemente (a scapito dell’accuratezza delle loro risposte), interrompono frequentemente gli altri quando stanno parlando, non riescono a stare in fila e attendere il proprio turno. Oltre a una persistente impazienza, l’impulsività si manifesta anche nell’intraprendere azioni pericolose senza considerare le possibili conseguenze negative. L’impulsività è una caratteristica che rimane abbastanza stabile durante lo sviluppo (sebbene conosca diverse forme a seconda dell’età) ed è presente anche nei soggetti con ADHD (DDAI). La capacità di selezionare le varie opzioni porta a controllare l’impulsività. Il paradosso è che la scuola forza i ragazzi a fare le cose con la maggiore rapidità possibile. Se un bambino impara presto, è veloce nelle consegne, tiene un ritmo elevato di apprendimento è identificato come “studente modello”. In realtà, la lentezza è una virtù, poiché questo porta i ragazzi a pensare sulle azioni e a non prendere decisioni affrettate. Per questo motivo, la scuola dovrebbe aiutare gli studenti ad essere più riflessivi e meno impulsivi. 6 1.9 La memoria Esistono diversi tipi di memoria: 1. Memoria a lungo termine: è il sistema implicato nella ritenzione duratura dell’informazione. Conserva, quindi, ricordi ed esperienze, immagazzinati non come copia esatta della realtà, ma come rielaborazioni e interpretazioni della stessa. Essa può essere: − Semantica: è una memoria necessaria al linguaggio. La memoria semantica può essere considerata come un lessico mentale che organizza le conoscenze che una persona possiede circa le parole e gli altri simboli verbali, i loro significati e referenti, le relazioni esistenti tra essi, le leggi, le formule e gli algoritmi relativi alla manipolazione di questi simboli, concetti e relazioni. Essa non registra le proprietà percettibili degli stimoli, ma piuttosto i loro referenti cognitivi. − Episodica: permette la rievocazione consapevole di fatti personali, eventi datati nel passato e le loro relazioni. − Procedurale: può essere definita come il ricordo del “saper come fare”, si riferisce alle operazioni necessarie per portare a termine compiti percettivo – motori, come per esempio scrivere senza cercare i tasti, poi salvare e in seguito stampare. 2. Memoria prospettica: detta anche “intenzionale”, è il ricordo di qualcosa da compiere nel futuro. La sua caratteristica fondamentale è di continuare a mantenere il piano d’azione a livello di consapevolezza per svolgerlo al momento opportuno. 3. Memoria a breve termine: consente il mantenimento temporaneo delle informazioni: è come una scatola che contiene due scomparti la memoria a breve termine verbale (o memoria fonologica) e la memoria a breve termine visuo – spaziale. La MBT verbale è quella che ci permette di ricordare per qualche secondo il numero di telefono (informazione di tipo verbale) che ci hanno suggerito per comporre il numero. 1.9.1 L’importanza della memoria di lavoro negli apprendimenti La memoria di lavoro è un sistema per il mantenimento temporaneo e per la manipolazione dell’informazione durante l’esecuzione di differenti compiti cognitivi, come la comprensione, l’apprendimento e il ragionamento. Quindi recupera le informazioni dalla memoria a breve termine e contemporaneamente ne elabora il contenuto. Ha una capacità limitata. Tipico compito della memoria di lavoro è quello di recuperare dalla memoria a lungo termine, una formula/regola, mantenerla per un breve periodo in una delle memorie a breve termine e applicarla al caso in questione. 1.9.2 Perché questi ragazzi hanno difficoltà ad apprendere? L’apprendimento è un processo step – by – step. I ragazzi con danni alla memoria di lavoro spesso falliscono in classe perché il carico sulla memoria di lavoro è eccessivo per loro. Ciò porta alla disattenzione, semplicemente perché il ragazzo dimentica quello che deve fare. Le difficoltà che i ragazzi con scarsa memoria di lavoro possono incontrare nel loro percorso scolastico sono: • Lentezza in tutte le prime fasi degli apprendimenti (lettura, scrittura e calcolo). • Scarsi progressi accademici. 7 • Nel ricordare ed eseguire istruzioni lunghe. Per esempio, se a Francesco (6 anni) viene assegnato questo compito: ‹Metti i tuoi fogli sul tavolo verde, le carte in tasca, metti la tua matita nell’astuccio e vieni a sederti sul tappeto›, Francesco sposta i suoi fogli come richiesto, ma sbaglia nel fare le altre cose. Quindi le consegne vanno date: − Brevi e semplici − Ripetute più volte nel corso di un compito scolastico − Scritte alla lavagna o su un foglio − Frammentare in blocchi di informazioni più piccoli e quindi più gestibili • Nell’immagazzinare informazioni nel caso di dettati e copia dalla lavagna, perdono spesso il segno e commettono errori causati da dimenticanze di parti di parole o di parole intere. Di fronte a queste difficoltà occorre: − Evitare di far copiare lunghi testi − Dettare poche parole per volta − Ripetere più volte la frase • Nell’elaborare e immagazzinare informazioni simultaneamente (per esempio il calcolo mentale). Se, ad esempio, il bambino deve compiere più calcoli a mente, i risultati del calcolo intermedio, potrebbe essere scritto su un foglio. • Nell’imparare le lingue straniere. • Nel recuperare e utilizzare informazioni simultaneamente (per esempio formule, regole grammaticali). Se, ad esempio, il bambino non ricorda le regole grammaticali, dobbiamo permettergli di recuperare l’informazione dal libro. • Nella risoluzione dei problemi, per aiutare lo studente è possibile: − Dividere compiti complessi in compiti più semplici − Suggerire al ragazzo di scrivere i vari passi (scaletta) che lo portano alla soluzione del problema − Se il problema richiede la soluzione di un calcolo complesso (divisione lunga) è necessario annotare ogni passo, inclusi i numeri di riporto • Nella scrittura di testi. • Nella comprensione del testo. • Nell’esposizione orale. • I ragazzi possono essere timidi quando sono in gruppo, quindi bisogna privilegiare piccoli gruppi di lavoro. • Avere attenzione ridotta, quindi è opportuno farli sedere in prima fila, richiamando la loro attenzione con lo sguardo, oppure coinvolgendolo in attività. 10 2.2 FAQ Le domande che più frequentemente vengono poste durante i corsi di formazione sono: 1. Il mio studente con dislessia è veloce a leggere mentalmente, ma, rileggendo un suo tema, non trova gli errori: perché? Per trovare gli errori si usa la via fonologica, proprio quella che l’allievo con dislessia compensata non riesce a utilizzare. 2. Ho due allievi con DSA: uno vuole sempre essere al centro dell’attenzione, l’altro non si nota mai…potrebbe confondersi con la tappezzeria. Perché? Entrambi i comportamenti sono una manifestazione di disagio che dipendono dalla non adeguata accettazione da parte degli allievi stessi, ma anche dalla non comprensione del problema da parte di chi sta loro vicino. 3. Perché il mio studente ha un rendimento altalenante? Avendo questi ragazzi problemi di non automatizzazione degli apprendimenti di base sono in grado di svolgere correttamente i loro compiti solo quando possono utilizzare al massimo le loro risorse attentive. 4. Il mio alunno al posto di ascoltare e prendere appunti scarabocchia o pasticcia qualcosa. Che cosa devo fare? Quasi sicuramente l’allievo anche se sembra distratto, sta seguendo la lezione; infatti, se viene interpellato è in grado di rispondere. È importante sapere che gli scarabocchi aiutano a concentrarsi. 5. Può succedere che i compagni interpretino gli strumenti compensativi e le misure dispensative concesse al ragazzo con DSA come incomprensibili facilitazioni. In questo caso, come si deve intervenire? È necessario creare un clima accogliente in classe e praticare una gestione inclusiva della stessa. Il coordinatore può avviare adeguate iniziative per condividere con i compagni le ragioni dell’applicazione degli strumenti e delle misure citate anche per evitare la stigmatizzazione e le ricadute psicologiche negative. 6. Che cosa fare se il mio alunno non vuole far sapere ai compagni di avere problemi di dislessia? Se l’alunno non vuole far sapere le proprie difficoltà ai compagni, nonostante il lavoro di accoglienza è bene cercare di parlare con lui privatamente, insistendo sul concetto della peculiarità di ognuno. È importante offrire tempo per riflettere e per parlarne in casa. 7. Come si fa se la famiglia nega il problema e finge che non esista? Dopo aver verificato il rischio di DSA è utile informare la famiglia che deve intraprendere un percorso diagnostico e ottenere una diagnosi. Con i genitori occorre essere il più possibile rassicuranti, creare con loro un’alleanza. È importante far capire loro che per risolvere un problema, non è bene nasconderlo, ma è fondamentale capire l’origine delle difficoltà scolastiche del ragazzo. 2.3 L’importanza della diagnosi precoce di DSA e della prevenzione Per capire quanto sia importante la diagnosi precoce di DSA, presentiamo il caso di Paola, ragazza di 16 anni che da sempre ha un conflitto con la scuola. Già da piccola, Paola aveva difficoltà a studiare, a leggere, a fare i calcoli; di conseguenza veniva etichettata come la solita bambina pigra, senza voglia di studiare e frequentare la scuola. 11 Durante gli anni del liceo, le sue problematiche persistevano, ma nessuno la capiva. Dopo l’ennesima sconfitta, decide di bere mezza bottiglia di Amuchina, viene in seguito trasportata in ospedale e, a condizioni stabilizzate, viene chiesta una consulenza con il Servizio di Neuropsichiatria Infantile e Adolescenza. Da qui emerge la presenza di dislessia, disgrafia, disortografia, disturbo della comprensione del testo e una forma di discalculia. È importante, quindi, intervenire già in età infantile, affinché non si presentino conseguenze del genere. 2.4 L’autostima Spesso i ragazzi con DSA hanno una bassa autostima, causata dal gruppo classe o dagli insegnanti che spesso non sanno come gestire la situazione. È fondamentale, quindi, creare un clima della classe accogliente, praticare una didattica inclusiva tenendo conto dei singoli bisogni dei bambini con DSA. L’insegnante è colei che deve aiutare il bambino a fargli capire che si tratta di un problema che va affrontato quotidianamente, col quale bisogna convivere. Inoltre, piuttosto che evidenziare le difficoltà dell’alunno, sarebbe opportuno evidenziare e valorizzare le sue capacità, facendo partire il compito dai punti di forza del bambino, aiutandolo quindi a non abbattersi e a non avere una scarsa autostima. 2.5 L’importanza della consapevolezza Il compito dei docenti della scuola secondaria è quello di rendere i ragazzi consapevoli dei loro processi mentali, delle loro difficoltà, ma soprattutto dei loro punti di forza. Solo dopo aver acquisito la giusta consapevolezza i ragazzi potranno affrontare le situazioni, suggerendo e creando nuove strategie utili allo svolgimento dei compiti. Strumento indispensabile per raggiungere questo traguardo è sicuramente la diagnosi che aiuta a: • riconoscere le criticità e valorizzare le qualità del ragazzo • assecondare il suo stile di apprendimento • comprendere quanto i suoi risultati scolastici non dipendano dal suo impegno 12 CAPITOLO 3: CHI FA CHE COSA 3.1 Gli interventi di identificazione precoce È compito della scuola attivare interventi tempestivi idonei a individuare i casi sospetti di DSA, comunicando alla famiglia l’intervento che si andrà a fare. 3.2 Che cosa sono gli screening Lo screening è l’applicazione di strumenti di valutazione mirati a rilevare fattori di rischio e segni critici della presenza dei DSA. Dovrebbero essere condotti dagli insegnanti con la consulenza di professionisti della salute. Gli screening possono essere effettuati attraverso test specifici rivolti direttamente agli studenti, oppure attraverso la somministrazione a genitori e insegnanti di questionari osservativi. 3.2.1 Osservare che cosa? Per individuare un alunno con un potenziale Disturbo Specifico di Apprendimento si deve far riferimento all’osservazione delle prestazioni nei vari ambiti di apprendimento interessati dal disturbo: lettura, scrittura, calcolo. Inoltre, è importante capire quali sono i campanelli d’allarme. Ad esempio per la scrittura: • presenza di errori ricorrenti • errori che sembrano di “distrazione” • difficoltà a controllare le regole ortografiche • punteggiatura scarsa o inesistente Per la lettura: • perdere frequentemente il segno • inventare alcune parole • rallentare in modo esagerato di fronte a una parola a bassa frequenza d’uso Per il calcolo: • non capire gli ordini di grandezza • non ricordare le procedure dei calcoli • non ricordare le tabelline e gli altri fatti aritmetici • incolonnare in modo scorretto 15 3.4.3 Se la famiglia collabora Qualcosa la famiglia decida di collaborare, si può predisporre una relazione insieme alla Dirigente da consegnare agli specialisti tramite la famiglia stessa. (FACSIMILE – APPENDICE A) APPENDICE A Modulo per la segnalazione di difficoltà d’apprendimento Prot. Ai Genitori di……………………. OGGETTO: Segnalazione di difficoltà di apprendimento In seguito alla tabulazione del questionario compilato da Voi e dalle insegnanti, sono emersi alcuni dati che necessitano di un approfondimento diagnostico, per condividere i percorsi didattici già intrapresi e per suggerire ulteriori interventi possibili. In particolare, il/la ragazzo/a presenta le seguenti difficoltà: • Di lettura……………………………………………………………………………. ……………………………………………………………………………………… • Di scrittura………………………………………………………………………….. ……………………………………………………………………………………… • Di calcolo…………………………………………………………………………... ……………………………………………………………………………………… • Altro........................................................................................................................... .................................................................................................................................... Si rileva anche un conseguente comportamento che si manifesta con le seguenti modalità: ……………………………………………………………………………………………… ……………………………………………………………………………………………… Inoltre, vista la discrepanza tra la vivacità intellettiva e il rendimento scolastico e altri indicatori, si sospetta che le difficoltà di apprendimento, che gli insegnanti saranno disponibili a illustrare più nel dettaglio, possano essere riconducibili a specifiche difficoltà di apprendimento che meritano di essere approfondite. Per questo invitiamo la famiglia a recarsi ai servizi specialistici* territoriali per una valutazione diagnostica. La scuola resta comunque a disposizione qualora nel percorso si evidenziassero problematiche e necessità, contando naturalmente sulla vostra collaborazione. Cordiali saluti Il Dirigente Scolastico *Si ricorda che la legge 170 (8/10/2010) rinvia a ogni singola regione la normativa specifica per la certificazione della diagnosi di DSA. 16 3.5 L’iter diagnostico Le abilità necessarie per l’apprendimento di lettura, scrittura e calcolo coinvolgono i nove sistemi neuroevolutivi, quindi occorre indagarli tutti per effettuare un quadro completo delle reali capacità e/o debolezze. Sistemi neuroevolutivi: Sistema percettivo, Sistema di controllo dell’attenzione, Sistema mnemonico, Sistema linguistico, Sistema di ordinamento spaziale, Sistema di ordinamento sequenziale, Sistema motorio, Sistema del pensiero superiore, Sistema del pensiero sociale. Nel percorso diagnostico vengono indicati i parametri che danno una risposta alle seguenti domande: − Esiste un reale problema? − Qual è l’esatta natura del problema? − Qual è l’esatta entità del problema? La risposta a queste domande viene data da una diagnosi di primo livello. Solo attraverso la diagnosi di secondo livello sarà possibile non solo evidenziare le debolezze ma anche i punti di forza dello studente. Queste sono informazioni utili per gli insegnanti affinché possano aiutare i ragazzi con DSA a compensare e a trovare le giuste strategie. 3.5.1 A chi si devono rivolgere i genitori per avere una diagnosi? La diagnosi coinvolge il neuropsichiatra o il neuropsicologo che valuterà l’intelligenza, per escludere un ritardo mentale anche lieve ed eventuali danni neurologici. Poiché molti ragazzi hanno problemi di linguaggio, potrebbe essere coinvolto un altro medico: il foniatra. Verranno poi indicate altre figure specialistiche: • Il logopedista che analizzerà la velocità, l’accuratezza e la comprensione della lettura e della scrittura, le abilità numeriche e tutti gli eventuali automatismi ancora non stabilizzati. • L’ortottico che farà un controllo approfondito dei movimenti oculari. • L’optometrista che esaminerà le capacità visuopercettive. • Il neuropsicomotricista dell’età evolutiva che farà un bilancio della motricità fine della scrittura e di tutta la coordinazione motoria. • Lo psicologo che osserverà il ragazzo nella sua globalità. • Lo psicopedagogista che indicherà i percorsi didattici più funzionali. Al termine di tutte le prove, il medico può stilare la diagnosi. 3.6 È importante la diagnosi? La diagnosi è importante perché aiuta a: − Raggiungere la consapevolezza delle proprie difficoltà, ma soprattutto della propria intelligenza e delle proprie abilità − Capire che può riuscire a superare ogni ostacolo − Scegliere il percorso scolastico che desidera senza ripiegare su indirizzi scolastici che richiedono prestazione inferiori alle proprie possibilità. 17 Una buona diagnosi aiuta i genitori e gli insegnanti a: − Riconoscere e valorizzare i punti di forza del ragazzo − Individuare la modalità di apprendimento propria del ragazzo − Saper tracciare un confine tra ciò che dipende o non dipende dal suo impegno 3.7 La consegna della diagnosi alla scuola La famiglia consegnerà la diagnosi al Dirigente scolastico, accompagnata da una liberatoria per consentire l’utilizzo della stessa da parte di tutti i componenti del consiglio di classe e del referente per i DSA, per la realizzazione del Piano Didattico Personalizzato progettato in base alle caratteristiche del figlio. Sia la diagnosi sia la liberatoria devono essere protocollate (FACSIMILE – APPENDICE B) APPENDICE B Facsimile per la consegna della documentazione (da far usare ai genitori) Prot. N. … Al Dirigente Scolastico della Scuola………………………………………………………………... in Via……………………………………………………………………….. OGGETTO: Consegna documenti e liberatoria per la comunicazione dei dati relativi alla diagnosi di DSA e altre EES al Referente e ai componenti del Consiglio di classe Il sottoscritto………………………………………………………………………………... e la sottoscritta……………………………………………………………………………... genitori dell’alunno/a…………………………………classe………………..sez…………. con la presente consegnano copia della diagnosi di Disturbi evolutivi Specifici di Apprendimento (DSA) p di altra Esigenza Educativa Speciale (EES) e autorizzano, ai sensi del “Codice in materia di protezione dei dati personali” (Dgls. 196/2003), l’utilizzo di tale documentazione per l’organizzazione e la stesura del Piano Didattico Personalizzato da parte del Referenze, dei componenti del Consiglio di classe e di eventuali supplenti. Sicuri che si opererà al fine di rendere il percorso scolastico di nostro/a figlio/a adeguato alle sue esigenze di apprendimento, rispettando la sua sensibilità e aiutandolo/a a costruire un’immagine positiva di se stesso/a e delle sue opportunità di vita futura. Restiamo a disposizione per la condivisione delle iniziative intraprese e per comunicare alla Scuola eventuali osservazioni su esperienze sviluppate da nostro figlio/a autonomamente o attraverso percorsi extra – scolastici. Cordiali saluti Data……………………………Firma/e…………………………………………………… 20 CAPITOLO 4: I PROTAGONISTI 4.1 Il ruolo della scuola come istituzione La problematica dei DSA rappresenta una sfida per la scuola, per questo bisogna agire a livello di sistema, proporre una diversa organizzazione scolastica e formare i singoli docenti. La scuola dovrà, dunque, superare le difficoltà che derivano da una visione individualistica, pensarsi come una comunità professionale di pratiche; lavorare in rete tra le scuole del territorio, con gli specialisti del servizio riabilitativo e con le famiglie. Il contesto assume un ruolo fondamentale, infatti grazie anche ad esso (scuola, terapisti, famiglia), gli studenti dislessici riescono a compensare le difficoltà raggiungendo una buona autonomia e il pieno successo formativo. Necessaria è la diagnosi precoce di DSA come sottolinea la legge 170/2010 art.3 comma 3. Quindi, ogni istituzione scolastica deve inserire nel POF (Piano dell’Offerta Formativa) le procedure necessarie: dall’accoglienza dell’alunno con DSA alla progettazione di un percorso che garantisca il raggiungimento del suo successo formativo. 4.2 Il dirigente scolastico: che cosa deve fare Il dirigente scolastico è il garante delle opportunità formative offerte e dei servizi erogati ed è colui che attiva ogni possibile iniziativa affinché il diritto allo studio di tutti e di ciascuno si realizzi. Potrà, quindi, valutare l’opportunità di assegnare docenti curriculari con competenza nei DSA in classi dove sono presenti alunni con tale tipologia di disturbi. Egli è il garante del raggiungimento del successo formativo, come indicato dal Dlgs 165/2001. I compiti del dirigente scolastico: • Verifica che nel POF sia presente un progetto sui DSA con linee guida su: − Accoglienza − Presa in carico degli alunni − Compilazione del PDP • Stimola e promuove iniziative per rendere operative le procedure, condivise con Organi collegiali e famiglie) e controlla che siano attuate • Predispone, con il referente, su delibera del Collegio docenti, screening per individuare eventuali casi di DSA • Predispone la trasmissione dei risultati dello screening con apposita comunicazione alle famiglie • Predispone le modalità per la consegna e la conservazione della documentazione della diagnosi, anche in base alla normativa sulla privacy • Monitora gli alunni con DSA presenti nell’istituto • Controlla che la documentazione acquisita sia condivisa da tutti i docenti del Consiglio di classe • Garantisce che il PDP sia condiviso con i docenti, la famiglia, lo studente ed i servizi sanitari • Verifica, insieme al referente, i tempi di compilazione del PDP e controlla la sua attuazione • Promuove progetti mirati • Attiva il monitoraggio delle azioni messi in atto, per riproporle o apportare eventuali modifiche • Promuove azioni di formazione e aggiornamento per insegnanti e genitori 21 4.3 Il referente: chi è e che cosa deve fare Le funzioni del “referente” sono riferibili all’ambito della sensibilizzazione ed approfondimento delle tematiche, supporto ai colleghi coinvolti nell’applicazione didattica delle proposte. Una volta acquisito una formazione adeguata, diventa il punto di riferimento all’interno della scuola e nei confronti del Collegio dei docenti. I compiti del referente: • Approfondisce le tematiche sui DSA • Realizza il modello di PDP d’istituto • Sensibilizza di colleghi e divulga le norme vigenti • Fornisce indicazioni operative al fine di sostenere la “presa in carico” dell’allievo con una didattica inclusiva • Supporta i colleghi con indicazioni su materiali, strategie didattiche e valutazione • È punto di riferimento, rispetto ai DSA e fornisce informazioni su associazioni, enti di ricerca, istituzioni, università, agenzie formative accreditate, siti web ecc. • Cura i primi colloqui con genitori, specialisti e fa da mediatore tra docenti, genitori, allievi, operatori servizi sanitari • Collabora con colleghi nella ricerca di modalità di verifica e di valutazione • Informa su nuove tecnologie e software • Ricorda ai colleghi di inserire in tutti i verbali, la relazione finale di presentazione della classe, tutte le misure e gli strumenti adottati durante l’anno in base al PDP • Avvisa i colleghi che occorre utilizzare strategie, misure dispensative e strumenti compensativi idonei anche quando l’alunno è in via di diagnosi • Crea raccordi tra i diversi ordini di scuola per garantire la continuità • Promuove azioni di formazione e aggiornamento per insegnanti e genitori • Avvisa la segreteria di indicare, per le prove INVALSI, la presenza di alunni con DSA e gli strumenti compensativi e le misure dispensative necessari a ognuno • Prepara, per il Presidente di Commissione d’esame, l’elenco degli alunni con DSA, con riferimento al PDP e alla relazione finale di classe • Consiglia ai genitori un aggiornamento della diagnosi, se redatta nei primi anni della scuola primaria, prima del passaggio alla scuola secondaria di secondo grado • Predispone un archivio dei materiali creati in itinere per/da alunni con DSA 4.4 I docenti: che cosa devono fare I docenti devono conoscere i DSA in quanto sono i “disturbi” con maggiore prevalenza epidemiologica in età evolutiva. I DSA non hanno un’identità ben identificata e non sono mai identici nelle loro manifestazioni. Per questo è essenziale la formazione e soprattutto cambiare atteggiamento culturale su questa tematica. Il cambiamento si manifesta mediante la disponibilità del docente di mettersi in discussione e, se necessario, di cambiare il modo di vedere le cose, cambiare strategie e diventare acuti osservatori del funzionamento cognitivo dei propri alunni. Non è pensabile delegare ai servizi sanitari o al referente la presa in carico e la gestione degli studenti con DSA. Bisogna essere, di volta in volta, un regista che elabora e struttura la proposta didattica; un allenatore; un animatore; un motivatore. 22 Essere bravi insegnanti non vuol dire avere una vasta conoscenza, ma essere capaci di trasmetterla in modi differenti adattandosi flessibilmente agli stili di apprendimento degli studenti. Quindi, saper valorizzare le attitudini di ciascuno. Per evitare “l’appiattamento” degli studenti, è indispensabile usare strategie didattiche capaci di potenziare le loro diverse abilità. I compiti del docente: • Approfondisce le tematiche relative ai DSA e conosce la normativa vigente • Osserva le prestazioni e gli stili di apprendimento di tutti i suoi alunni • Sa cogliere i “campanelli d’allarme” e mettere in atto strategie di recupero • Applica le procedure per l’individuazione di eventuali DSA • Concorda con il referente come comunicare alla famiglia l’approfondimento diagnostico • Inizia, in attesa di diagnosi, ad attuare una didattica personalizzata • Inizia un percorso di consapevolezza con l’allievo • Prende visione della diagnosi e si confronta con il referente, i colleghi e la famiglia • Opera nei confronti dello studente rispettando la sua sensibilità e aiutandolo a crearsi un’immagine positiva di sé e delle sue prospettive future • Inserisce in tutti i verbali le misure e gli strumenti adottati durante l’anno in base al PDP • Predispone, nelle proprie discipline, attività di accoglienza mirate alla creazione di un clima consapevole dei vari stili di apprendimento • Collabora collegialmente alla compilazione annuale del modello di PDP d’Istituto; ne verifica, in itinere, la validità ed eventualmente suggerisce modifiche • Attua strategie educativo/didattiche di potenziamento, di aiuto compensativo e di misure dispensative • Collabora con i colleghi nella ricerca di modalità di verifica e valutazione adeguate e specifiche • Si aggiorna sulle nuove tecnologie e le utilizza • Usa strategie compensative e misure dispensative diverse tra i vari alunni a parità di disturbo specifico 4.5 La famiglia Le famiglie, poste di fronte a difficoltà inattese, necessitano di essere guidate alla conoscenza del problema e informate, in incontri periodici, su ciò che la scuola progetta per i loro figli. È importante che si crei tra scuola e famiglia un dialogo costruttivo e una reciproca collaborazione per poter supportare il ragazzo. Solo con un’azione sinergica si potrà ottenere il successo formativo. 4.6 Gli allievi Le Linee Guida sostengono che gli studenti hanno il dovere di porre adeguato impegno nel loro “lavoro”, sia a casa che a scuola. Hanno diritto a una chiara informazione riguardo alla diversa modalità di apprendimento; alle strategie che possono aiutarli a ottenere il massimo dalle loro potenzialità; a ricevere una didattica individualizzata/personalizzata. Inoltre, possono suggerire ai docenti le strategie di apprendimento che hanno maturato autonomamente. È importante, già nella scuola secondaria di primo grado, fare partecipi gli studenti del loro PDP (Piano Didattico Personalizzato), illustrandoglielo, ed eventualmente apportando modifiche da loro suggerite. Il consiglio è quello di far apporre anche a loro la firma sul PDP, questo aumenterà la consapevolezza e la responsabilità. Molti ragazzini con DSA pensano che la scuola non sia fatta per loro e preferiscono non pensarci. 25 Nel periodo antecedente la diagnosi Francesco ha: 1. Acquisito scarsa autostima; 2. Sviluppato un senso di disagio; 3. Compensato in parte e autonomamente le proprie difficoltà strumentali sfruttando le capacità cognitive. La famiglia, di conseguenza: 1. Ha accumulato preoccupazione ed ansia; 2. Si è colpevolizzata; 3. Ha vissuto un forte senso di inadeguatezza e impotenza. Per quanto riguarda la compensazione alla problematica, sempre a causa della tardiva segnalazione, Francesco ha cercato di bypassare le difficoltà strumentali, attingendo alle sue notevoli capacità logiche, ma l’ingresso nel nuovo ordine di scuola, con il conseguente aumento del carico didattico, ha fatto esplodere la situazione. Dalle relazioni cliniche si evince che: 1. Il Quoziente Intellettivo è di 120 (la norma è 100) e non si evidenziano differenze significative tra le capacità verbali e quelle di performance. 2. La velocità di lettura è deficitaria (pari a 2,5 sillabe/secondo, mentre la media per l’età, 2° anno della scuola secondaria di primo grado, è di 4,56 sillabe/secondo). La sua velocità corrisponde circa a quella di un bambino che frequenta il terzo anno della scuola primaria. Francesco, quindi, impiega circa il 1,8 volte di più dei suoi coetanei a leggere una pagina. 3. La comprensione del testo è in parte compromessa (richiesta di attenzione) a causa delle difficoltà di decifrazione e dalle difficoltà nell’effettuare inferenze sia lessicali che sintattiche. 4. La scrittura spontanea è spesso deficitaria a causa delle difficoltà morfosintattiche pregresse, anche causate dalla scarsa abitudine a leggere viste le sue oggettive difficoltà nella decodifica. Francesco tende a “scrivere come parla”. 5. La scrittura presenta alcuni errori di tipo fonologico e di inversione di grafemi. 6. Le abilità di calcolo mentali sono adeguate per l’accuratezza, ma i tempi sono risultati deficitari. 7. Le abilità di calcolo scritto sono deficitarie a causa di errori di tipo sintattico. Sono frequenti errori di trascrizione di numeri nei passaggi delle espressioni. 8. Nelle lingue seconde (Inglese e Francese) Francesco commette numerosi errori a causa delle sue difficoltà fonologiche e meta – fonologiche, difficoltà maggiore nella lingua inglese a causa della fonetica non trasparente. 9. La velocità di scrittura risulta essere deficitaria rispetto alla media per l’età. La non automatizzazione dei processi di lettura, scrittura e calcolo ha una ricaduta sul maggiore affaticamento rispetto ai suoi coetanei con un conseguente calo attentivo. Inoltre, una caratteristica sottostante molti DSA, è il deficit a carico della memoria di lavoro. Tale memoria, regolata dal sistema supervisore attentivo, viene utilizzata non solo nelle prime fasi di tutti gli apprendimenti, ma anche quando si devono recuperare informazioni dalla memoria a lungo termine o dalle memorie a breve termine ed elaborarne i contenuti (per esempio recuperare una formula dalla memoria a lungo termine e applicarla). Inoltre, in merito all’ansia da prestazione, questa ha le sue radici sia nel percorso difficoltoso e travagliato che ha caratterizzato il suo percorso didattico, sia nello scarso riconoscimento delle sue problematiche da parte di alcuni insegnanti. 26 b) La famiglia, collaborando con gli insegnanti, ha segnalato il problema del DSA di Francesco e ha fornito la documentazione acclusa. Osserva che negli anni il ragazzo ha compensato questo disturbo in modo autonomo. I problemi sono diventati più rilevanti con la scuola secondaria conseguentemente ai maggiori carichi di lavoro. c) Il Consiglio di Classe nota che l’allievo in classe non utilizza il computer, che pure la scuola ha messo a disposizione: preferisce sia per prendere appunti sia per svolgere compiti in classe servirsi di carta e penna. Durante le lezioni a tratti si distrae, rivelando una certa difficoltà a lavorare in modo continuo. Gli insegnanti propongono a Francesco di collaborare per la realizzazione di formulari, mappe concettuali, schemi personalizzati e creati dall’alunno stesso. Questi sussidi, costruiti nel tempo, potranno accompagnare Francesco anche all’Esame di Stato il prossimo anno. d) indicazioni didattiche generali valide per tutte le materie In modo commisurato alle necessità di Francesco è necessario garantire, sia a casa che in classe l’utilizzo di strumenti compensativi e l’applicazione di misure dispensative. Tali strumenti e misure vanno utilizzati costantemente senza farsi trarre in inganno dall’alternanza dei risultati prodotti perché gli alunni con DSA tendono oggi a far bene ciò che ieri hanno sbagliato per poi sbagliare di nuovo! Infatti, non dobbiamo dimenticare che in questi ragazzi tutti quei processi, già menzionati nelle conoscenze di base, non diventando mai automatici richiedono uno sforzo cognitivo volontario permanente anche quando l’alunno ha ben compensato il disturbo. Le problematiche maggiori di Francesco risultano quindi essere legate alla lentezza, non solo per la decodifica e la scrittura ma anche nel recupero delle informazioni dalla memoria a lungo termine (fatti aritmetici, formule ecc.) e l’utilizzo delle stesse nella memoria di lavoro. Per questo motivo, i parametri calcolati per la lettura dovrebbero essere estesi a tutte le altre abilità. Quindi Francesco necessita di un tempo maggiore di 1,8 per portare a termine le verifiche (se ai compagni vengono assegnati 60 minuti a lui almeno 49 minuti in più). È necessario, quindi, ridurre del 45% la quantità degli esercizi proposti nelle verifiche garantendo però lo stesso grado di complessità della prova pur con quantità inferiori, oppure dilatare i tempi (1,8) di svolgimento delle verifiche. La riduzione di quantità di compiti deve essere anche prevista per i compiti a casa. La valutazione dei risultati non deve essere falsata, rispetto agli obiettivi di classe, dalla riduzione degli esercizi, purché la riduzione riguardi la quantità e non la qualità. Anche relativamente alla rendicontazione vera e propria (voto) si deve partire dal massimo della scala di valutazione, infatti, ogni abilità valutata va letta mediante livelli che, con descrittori appositi, ci dicono se è stata raggiunta e come è stata raggiunta per cui se il risultato corrisponde al descrittore massimo tale sarà anche il voto. Non abbassare la votazione se la verifica è disordinata. Non richiedere regole o formule in modo mnemonico, ma richiedere la loro applicazione (abilità “intelligente” che vale più della pura memorizzazione). Per le lingue straniere (Inglese e Francese) Francesco e la famiglia chiedono (anche se sulla diagnosi vi è la richiesta della dispensa della lingua scritta) di farle anche in forma scritta, ma che non vengano valutate. 27 Il testo delle prove deve essere più possibile accessibile, non scritto a mano ma a computer, utilizzando caratteri senza grazie (sans serif) come il verdana o l’arial, comic sans ecc. (da concordare con Francesco) di dimensione 12/14 pt, interlinea 1,5, testo giustificato. In caso di esercitazioni, fornire sempre strumenti compensativi (calcolatrice, regole e formule, linee per le unità di misura, vocabolari digitali ecc.) e consentire l’uso del computer (anche in vista dell’esame del prossimo anno Francesco deve abituarsi ad usarlo!). Nelle verifiche/interrogazioni Francesco deve usufruire di tutti gli strumenti compensativi e delle misure dispensative che sono riportati nella parte seconda di questo documento. Le verifiche/interrogazioni devono sempre essere programmate e si deve evitare che Francesco nella stessa giornata debba affrontare più di una verifica/interrogazione. Per il resto è necessario cercare di portare Francesco a usare il computer per le verifiche (anche in previsione dell’esame di stato), ma gradualmente a partire dalle materie a lui più congeniali (concordato tra l’allievo e il singolo docente). Per la valutazione finale si deve tenere conto di tutto quanto detto fin ora in modo tale che il risultato non venga condizionato dalla problematica specifica. Alcuni criteri e considerazioni conclusive: 1. Non tener conto degli errori ortografici nelle prove scritte 2. Valorizzare la comprensione nelle lingue straniere senza considerare gli errori ortografici e sintattici 3. Compensare i risultati delle prove scritte nelle lingue straniere con quelli della prova orale 4. Non considerare l’insieme degli strumenti e delle modalità di verifica espressione di favoritismo rispetto agli altri alunni, ma condizione di pari opportunità di successo scolastico in quanto questi hanno la funzione di annullare, o per lo meno ridurre, il gap fra le possibilità personali e le attese del contesto di riferimento Per quanto riguarda il metodo di studio Francesco non utilizzava schemi e mappe concettuali come strumento per la gestione dei compiti il che comportava tempi di studio molto più lunghi e grande affaticamento (la memoria di lavoro si affatica molto e risulta meno efficiente del previsto). Ultimamente Francesco, insieme alla mamma, ha iniziato a imparare a produrre mappe che utilizza e utilizzerà per lo studio a casa e per le verifiche/interrogazioni. Nella parte seconda (in allegato) sono riportate materia per materia: metodologia, strumenti compensativi, misure dispensative, criteri e modalità di verifica e valutazione e rapporti con la famiglia. La scuola si impegna a individuare e a mettere in atto le condizioni che meglio possono far emergere la competenza dell’allievo in collaborazione con l’allievo stesso e con la sua famiglia. Si impegna inoltre a promuovere e a mantenere aperto il dialogo con la famiglia. L’allievo si impegna ad affrontare la scuola con impegno e serietà. La famiglia si impegna a sostenere lo sforzo dell’allievo e della scuola per raggiungere il successo formativo. Si impegna, inoltre, a mantenere vivo il dialogo con la scuola. …………………………, 23 novembre 2011 Il Consiglio di Classe:…………………………….. (firma di tutti i professori) La famiglia………………………………………………………………………. Lo studente………………………………………………………………………. 30 MATERIA: ITALIANO DOCENTE: Prof. Italiano ALUNNO: Francesco CLASSE: 2 G OBIETTIVI E CONTENUTI DI APPRENDIMENTO PER L’ANNO SCOLASTICO METODOLOGIE ➢ Tempi di elaborazione e produzione più lunghi di quelli previsti per la classe ➢ Spiegazioni supportate con mappe concettuali, schemi, grafici, tabelle ecc. consegnati anche allo studente ➢ Appunti del docente consegnati all’alunno in fotocopie o sottoforma di file ➢ Possibilità di registrare la lezione come alternativa alla stesura degli appunti in classe ➢ Testo delle prove di verifica presentate con un carattere di stampa concordato con lo studente ➢ Utilizzo durante le prove di verifica degli strumenti compensativi e dispensativi concordati ➢ Programmazione di tempi più lunghi per prove scritte e per lo studio a casa STRUMENTI COMPENSATIVI (N.B. validi anche in sede d’esame e verifiche) Gli strumenti compensativi ammissibili sono tutti quelli che permettono di evitare il condizionamento dovuto al disturbo ➢ Mappe di ogni tipo ➢ Audio registratore o lettore MP3 o smart pen per la registrazione delle lezioni svolte in classe ➢ Macchina fotografica per fotografare gli esercizi alla lavagna ➢ Computer con programmi di videoscrittura con correttore ortografico e/o sintesi vocale ➢ Dizionari di lingua straniera computerizzati/elettronici MISURE DISPENSATIVE (N.B. validi anche in sede d’esame e verifiche) Gli strumenti dispensativi sono tutti quelli che permettono di evitare attività che agiscano esclusivamente sul punto debole dell’alunno (= disturbo specifico) ➢ Dispensa dalla lettura ad alta voce ➢ Dispensa dalla scrittura veloce sotto dettatura ➢ Dispensa dall’uso del dizionario (in formato cartaceo) ➢ Dispensa dallo studio mnemonico ➢ Dispensa dalla ricopiatura di tesi CRITERI E MODALITÀ DI VERIFICA E VALUTAZIONE (N.B. validi anche in sede d’esame e verifiche) Si concordano: ➢ L’organizzazione di interrogazioni programmate, evitando la sovrapposizione con altre interrogazioni ➢ La compensazione di compiti scritti non ritenuti adeguati con prove orali programmate ➢ L’uso di mediatori didattici durante le verifiche ➢ Valutazione delle prove scritte e orali con modalità che tengano conto del contenuto e non della forma ➢ Riduzione (45%) della quantità degli esercizi proposti nelle verifiche garantendo, però lo stesso grado di complessità della prova pur con quantità inferiori oppure dilatare i tempi (di 1,8 volte) di svolgimento delle verifiche RAPPORTI CON LA FAMIGLIA ➢ Compiti comunicati con le stesse consegne previste per la classe ➢ Riduzione (45% della quantità dei compiti a casa) 31 CAPITOLO 6: GLI INTERVENTI IN CLASSE 6.1 L’applicazione del PDP Una volta compilato e sottoscritto il PDP bisogna applicarlo. Dobbiamo tenere a mente che il bambino è dinamicamente complesso; quindi, se necessario il PDP può essere modificato nel corso dell’anno, anche se è stato sottoscritto. 6.2 Il valore dell’accoglienza Il successo scolastico di tutto il gruppo classe, compreso l’alunno con Esigenze Educative Speciali (EES), è dovuto dalla creazione del giusto clima. Ciò farà stare bene sia gli allievi che i docenti e, a questi ultimi, permette di operare una didattica flessibile e personalizzata senza dover inventare difficoltose strategie al fine di nascondere alla classe il diverso stile di apprendimento di ognuno di loro. Nel primo anno della scuola secondaria di primo grado, è importante l’attività di accoglienza, in quanto essa crea un ambiente idoneo alla personalizzazione in previsione di allievi che ancora non hanno diagnosi e che il team di insegnanti attento ai segnali potrà individuare con facilità. Ogni insegnante, inoltre, utilizzando la propria esperienza e seguendo la propria creatività, potrà proporre il percorso più idoneo. In quasi tutte le istituzioni scolastiche esistono protocolli di “accoglienza”. Tutto ciò permette di conoscere i nuovi alunni, di individuare i punti di forza e le difficoltà, le loro aspettative, il loro stile cognitivo, e di permettere agli allievi di presentarsi e conoscersi. EES −> Esigenze Educative Speciali. Rientrano i DSA, il DDAI (ADHD), il funzionamento intellettivo limite ecc. cioè tutti quei disturbi o patologie che non rientrano nella legge 104 sull’handicap. I soggetti con EES non hanno diritto al sostegno, ma necessitano di strumenti compensativi, misure dispensative, strategie e metodologie didattiche consone al proprio funzionamento cognitivo. Legge 104 sull’handicap −> Legge – quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate. Pubblicata in G. U. 17 febbraio 1992. 6.2.1 Il percorso di accoglienza È possibile iniziare il percorso di accoglienza introducendo il tema della “diversità”, partendo da una discussione, oppure si possono utilizzare brani di letteratura che affrontano il tema della diversità. Dopo aver introdotto l’’argomento diversità: • Chiedere agli studenti cosa sembra più utile al fine del loro successo scolastico, anche pensando alle esperienze pregresse. • Fare constatare agli allievi che ognuno ha delle diverse esigenze, al fine di rendere di più e meglio a livello scolastico e che per ognuno è necessario individuare la metodologia vincente. • Sottolineare che, proprio per le diversità emerse, per ognuno di loro si attueranno strategie differenti. 32 6.3 Come introdurre la tematica dei DSA Ognuno di noi funziona in modo diverso e apprende in modo diverso, per questo è possibile introdurre la tematica dei DSA utilizzando un libro o un filmato. La visione di un film (Stelle sulla terra) o la lettura di un testo (Le aquile sono nate per volare) possono essere lo spunto per: • Sottolineare che si tratta di soggetti dal quoziente intellettivo pari e, per questo, superiore alla norma, ma che hanno un diverso funzionamento nell’apprendimento rispetto ai compagni. • Illustrare cosa può servire a un allievo con DSA al fine di poter funzionare al meglio. • Spiegare chiaramente il perché dell’utilizzo degli strumenti compensativi e delle misure dispensative a lui/lei necessari. • Chiedere l’aiuto del gruppo classe per favorire l’apprendimento dei compagni con DSA (lettura testi, rinforzo orale, aiuti nella scrittura, ecc.). 6.4 Come accompagnare lo studente alla consapevolezza Come si evince dalle Linee Guida, tutti gli attori che gravitano intorno all’alunno con DSA devono acquisire consapevolezza rispetto ai disturbi specifici, al fine di poterlo accompagnare al raggiungimento del successo formativo, scolastico e soprattutto personale. Spesso questi allievi, prima di avere una diagnosi, hanno avuto trascorsi scolastici nefasti, sono stati accusati di pigrizia, di poco impegno, di disattenzione, ecc. Il compito del docente è quello di prendere gli studenti consapevoli del funzionamento dei loro processi mentali, è importante evidenziare non solo le loro difficoltà, ma soprattutto i loro punti di forza; facendo leva su questi ultimi, è possibile riuscire a recuperare la loro autostima. In questo modo gli allievi potranno abbandonare la paura di essere incapaci e inadeguati, e grazie all’acquisizione della consapevolezza del proprio” specifico funzionamento”, potranno affrontare con maggior sicurezza l’ingresso alla scuola superiore, suggerendo loro stessi strategie vincenti già collaudate. Come procedere? • Chiedere il suo consenso e quello della famiglia per parlare in classe. • Invogliarlo a raccontare senza timore le sue difficoltà ai compagni e a non vergognarsi di chiedere aiuto. • Tranquillizzarlo, spiegandogli che, se precedentemente aveva ottenuto risultati poco soddisfacenti o altalenanti, non è dipeso dal suo impegno. • Stimolarlo ad adottare un atteggiamento di fiducia verso insegnanti, genitori e compagni, tenendo sempre aperto il dialogo e cercando di stipulare un patto dove siano chiari i reciprochi impegni. • Esplicare, attraverso le indicazioni riportate sul PDP, le sue caratteristiche, le sue abilità e le sue difficoltà e fategli comprendere che, grazie alla sua intelligenza, all’aiuto di chi gli sta vicino e alle strategie mirate, riuscirà a raggiungere gli stessi obiettivi dei suoi compagni. • Fare capire che c’è sempre una strategia per superare le difficoltà. • Chiedere l’aiuto del gruppo classe per favorire l’apprendimento dei compagni con DSA. • Insegnargli a credere di più in sé stesso e spronarlo a non arrendersi, per evitare di fargli perdere la motivazione allo studio, con la conseguenza di impegnarsi sempre meno. • Aiutarlo a trovare il suo stile di apprendimento e le strategie personali che compenseranno le sue difficoltà. • Fargli sapere quali sono i suoi diritti, ma ricordargli anche i suoi doveri. 35 6.7 Le misure dispensative Sono misure che non violano l’imparzialità, ma al contrario mettono il dislessico sullo stesso piano dei suoi compagni. Sono interventi che consentono allo studente di non svolgere alcune prestazioni che, a causa del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano l’apprendimento. Per esempio, non è utile far leggere a un alunno con dislessia un lungo brano, in quanto l’esercizio, per via del disturbo, non migliora la sua prestazione nella lettura. Consentire allo studente con DSA di usufruire di maggior tempo per lo svolgimento di una prova, o di poter svolgere la stessa su un contenuto, comunque, disciplinarmente significativo ma ridotto, trova la sua ragion d’essere nel fatto che il disturbo lo impegna per più tempo dei propri compagni nella fase di decodifica degli items della prova. L’adozione delle misure dispensative, al fine di non creare immotivatamente facilitati, che non mirano al successo formativo degli alunni con DSA, dovrà essere sempre valutata sulla base dell’effettiva incidenza del disturbo sulle prestazioni richieste, in modo tale, comunque, da non differenziare, in ordine agli obiettivi, il percorso di apprendimento dell’alunno o dello studente in questione. Le misure dispensative: • Esonerano da alcune prestazioni (copiatura alla lavagna, lettura ad alta voce, ecc.). • Personalizzano il tempo delle attività. • Rendono personalizzabile la valutazione. Tali misure e strumenti non hanno lo scopo di “guarire” il ragazzo dal disturbo (perché non è una malattia), ma di aiutarlo a ridurre gli effetti, predisponendo una modalità di apprendimento più adatta alle sue specifiche caratteristiche. Gli permetteranno di raggiungere gli obiettivi disciplinari curriculari e di superare le difficoltà. La loro funzione è di facilitare l’esecuzione dei compiti cosiddetti automatici (“non intelligenti”, ma per gli allievi con DSA faticosi), proprio come un paio di occhiali permette al miope di leggere ciò che è scritto sulla lavagna. 36 CAPITOLO 7: LA VALUTAZIONE E LE VERIFICHE Le norme ministeriali, dichiarano che la “valutazione” dello studente con DSA dovrà essere “adeguata”, centrata sul singolo alunno e sui suoi progressi. 7.1 Che cosa significa “valutazione”? Quali idee e quali modelli di valutazione? Valutare è un processo complesso che coinvolge insegnanti e allievi, ma anche le famiglie e gli altri gruppi sociali. Quando siamo valutati o dobbiamo valutare, formuliamo o accettiamo un giudizio che può essere specifico o globale e che attiva delle reazioni a catena che possono influire positivamente sul rendimento scolastico oppure influire negativamente portando anche ad un rifiuto scolastico in casi estremi. Non esiste una sola idea di valutazione, non esiste una sola idea di apprendimento, ed è importante ricordare che valutare significa dare valore. L’azione valutativa deve essere autentica e significativa, non può essere relegata a singoli momenti specifici, come ad esempio i momenti delle verifiche, ma deve realizzarsi in un “continuum” che comprende le 4 aree del sapere: sapere, saper fare, saper essere e sapere di sapere (parliamo dunque del concetto di competenza). Vengono usati dei modelli: • I modelli basati sulla valutazione dell’apprendimento sono focalizzati sul prodotto. • I modelli basati sulla valutazione per l’apprendimento sono focalizzati sul processo. Questo modello risulta essere più il più funzionale ed efficace sia per i ragazzi con DSA che per gli altri, ma non viene molto praticato. Per favorire il passaggio da una valutazione dell’apprendimento a una valutazione per l’apprendimento è necessario rimettere in discussione i nostri modelli impliciti di riferimento. Quindi, è fondamentale chiedersi cosa intendiamo per “osservare” e per “valutare”, quali criteri e quali metodi utilizziamo e, soprattutto, con quale finalità. 7.2 Che cosa dicono la legge 170 e le Linee Guida? La legge 170/2010 assicura che “sono garantite, durante il percorso di istruzione e di formazione scolastica e universitaria, adeguate forme di verifica e di valutazione, anche per quanto concerne gli esami di Stato..”. L’articolo 6 del Decreto attuativo ci dà ulteriori spiegazioni: Già il Regolamento della valutazione (D.P.R. 122/2009, art. 10) affermava che la valutazione deve essere personalizzata, vale a dire che deve tener conto sia delle caratteristiche personali del disturbo del ragazzo, sia del punto di partenza e dei risultati conseguiti, premiando i progressi e gli sforzi. 37 7.3 Le verifiche Le Linee Guida sottolineano che devono essere personalizzate non solo la valutazione ma anche le forme di verifica. Le Linee Guida del decreto ministeriale specificano che, oltre a dare tempi aggiuntivi per le prove, è possibile dare verifiche con minori richieste (riduzione quantitativa, ma non qualitativa), rimanendo nell’ambito degli obiettivi disciplinari previsti per la classe. Per le prove orali: − “Nella valutazione delle prove orali e in ordine alle modalità di interrogazione si dovrà tenere conto delle capacità lessicali ed espressive proprie dello studente”. Per le prove scritte: − “Gli alunni con disgrafia e disortografia sono dispensati dalla valutazione della correttezza della scrittura e, anche sulla base della gravità del disturbo, possono accompagnare o integrare la prova scritta con una prova orale attinente ai medesimi contenuti. Privilegiare verifiche orali piuttosto che scritte, tenendo conto anche del profilo individuale di abilità”. La verifica non dovrebbe essere l’unica fonte di valutazione (alcuni studenti sono molto emotivi). Bisognerebbe valutare anche le domande e gli interventi fatti dagli allievi in classe, l’impegno dimostrato, ecc.. È bene pianificare con anticipo tempi e modalità delle verifiche: (non più di una al giorno e non più di tre alla settimana), scrivendole sul registro di classe in modo tale che gli insegnanti possano coordinarsi e gli studenti possano consultarlo. 40 CAPITOLO 8: FARE ATTENZIONE A… 8.1 I libri di testo La scelta dei libri di testo deve tener conto anche dei ragazzi con DSA. Essi normalmente hanno una buona memoria visiva: per questo motivo hanno bisogno di poter studiare su testi contenenti molte immagini, ma coerenti con i contenuti. L’ideale sarebbe un libro scritto solo con immagini e didascalie e leggibile a più livelli; nella parte centrale ci dovrebbe essere il nucleo dell’argomento e vari box con approfondimenti, collegamenti, sintesi, domande. Un esempio è l’e – book. 8.1.1 I libri di testo digitali I libri di testo digitali possono essere di due tipi: 1. Copia su file (in genere PDF) del libro cartaceo. 2. Un vero e proprio libro interattivo. Entrambi possono essere letti da una sintesi vocale. Ultimamente viene avanzata l’ipotesi di utilizzare internet e usufruire dei libri in formato digitale, riducendo così il peso e i costi. La Circolare Ministeriale n.18 Prot. N. 1308 del 25 febbraio 2011 per l’anno scolastico 2011/2012 annuncia la progressiva transizione dai libri di testo on line o in versione mista, tenendo presente che a partire dall’anno scolastico 2012/2013 non potranno essere più utilizzati testi esclusivamente a stampa. 8.2 Le caratteristiche di impaginazione Ogni individuo percepisce in modo diverso e questo vale anche per il sistema percettivo visivo. Per questo, anche se la forma e le dimensioni delle parole nella realtà sono uguali, esse vengono percepite in modo differente da ogni lettore. Per i dislessici, ci possono essere degli ostacoli creati dalla scrittura, che con piccoli accorgimenti possono essere ridotti. Ogni testo per essere letto deve essere percepito e messo a fuoco, per poter essere in un secondo momento decodificato. Il carattere (font) è la forma grafica delle lettere. Sbagliare carattere può affaticare la lettura o rendere illeggibile un testo. Fino a non molti anni fa la problematica della dislessia era poco conosciuta e non vi era alcun carattere tipografico progettato appositamente e nemmeno ci si era posti il problema di come migliorare l’impaginazione per aumentare la leggibilità di un testo, rendendo la lettura più semplice. IMPAGINAZIONE: • Usare caratteri senza grazie (sans serif) per esempio Verdiana, Trebuchet, ecc. • Usare caratteri con dimensione 12/14 pt. • Non usare il maiuscolo per più di 5 righe (ma usarlo per scrivere alla lavagna). • La larghezza della riga non deve essere superiore ai 13 cm (60-70 caratteri). • Lasciare uno dei due margini più ampi. • Giustificare solo a sinistra. • Non andare mai a capo spezzando una parola. • Per evidenziare un concetto usare il grassetto e non sottolineato. • Dividere in paragrafi. • Fare elenchi puntati o numerati. • Usare carta non troppo bianca e di una grammatura di almeno 80-90 g/m. 41 8.3 Lo stile della scrittura Anche il modo nel quale è scritto un testo può influire molto sulla sua leggibilità e comprensione. Alcune indicazioni a riguardo: • Il linguaggio dovrebbe essere il più possibile semplice e chiaro. • Le frasi dovrebbero essere piuttosto corte. Mantenete la lunghezza di una frase a una media di 15- 20 parole. • Usare il più possibile verbi attivi. • Non iniziare una nuova frase alla fine della riga, in quanto è più difficile seguirla. • Evitare le frasi al negativo, che non sono altro che tranelli linguistici. Per migliorare la leggibilità è consigliato: • Essere il più possibili concisi. • Inserire dove è possibile diagrammi di flusso. Sono molto utili per spiegare le procedure. • Evitare di inserire abbreviazioni. • Includere, ove è possibile, sia un indice analitico sia il sommario. 8.4 Sbagliando si impara? Gli errori possono essere usati per imparare o per continuare a sbagliare. Quindi alla domanda se sbagliando si impara, rispondiamo: 1. Si, se si è già in grado di conoscere l’errore, e ancor più se si capisce l’origine Nella maggioranza dei casi per arrivare a questo è necessaria la mediazione di un adulto capace di cogliere la natura di quell’errore e spiegarla senza colpevolizzare (evitare frasi come “non sei stato attento!”, “guarda meglio!”, ecc.). 2. No. In tutti gli altri casi perché l’errore può ripetersi e fissarsi. Infatti, la memorizzazione si rafforza ogni volta che il soggetto produce una determinata risposta per il quesito dato, e ciò avviene anche se la risposta è errata. 8.4.1 Gli errori vanno sottolineati? La maggioranza dei ragazzi, e in particolare quelli con DSA, hanno una buona memoria visiva. Pertanto, come facciamo quasi tutti noi, quando vogliono ricordare le parti importanti di un testo, le sottolineano. Quindi, se gli errori vengono sottolineati, non si farà che fissare nella loro memoria la parola scritta in modo errato. Gli errori, pertanto, andrebbero cancellati… e non evidenziati! Se vogliamo portare il nostro allievo ad autocorreggersi, è consigliato procedere in questo modo: 1. In un primo tempo mettere un puntino sopra o sotto (concordato con lo studente) la parola errata. 2. Quando il ragazzo sarà in grado di trovare l’errore, spostare il puntino al fondo della riga dove si trova la parola. 3. E così via (frase, pagina, fine brano) … fino a segnare il numero di errori presenti in fondo al brano. 42 8.5 I compiti Uno studente con DSA affronta il suo lavoro scolastico con lentezza e affaticamento, per questo motivo è bene ricordare di adeguare la quantità dei compiti da assegnare a casa in base alle sue caratteristiche, e questo dovrà essere concordato e scritto nel Patto formativo con la famiglia e nel PDP. Bisogna pensare a delle vere e proprie strategie, come ad esempio: • Controllare sul diario che siano stati riportati i compiti e che abbia il materiale necessario allo studio, cercando di renderlo autonomo. • Aiutarlo a organizzare il materiale scolastico. • Ridurre la quantità dei compiti a casa: per esempio assegnare un numero minore di esercizi per ognuna delle varie materie. • Ricordare che allo studente vengono assegnati compiti anche dagli altri insegnanti. • Condividere non solo le modalità su come assegnare i compiti, ma anche le modalità di esercitazione e gli strumenti con cui tale lavoro può essere realizzato. • Calendarizzare i tempi di studio e programmare le interrogazioni e le verifiche: stabilire delle scadenze, evitare sovrapposizioni e sovraccarichi. • Aiutarlo a preparare riassunti, mappe concettuali e/o materiali, schemi, per ridurre il carico del materiale da leggere e per memorizzare meglio. • Lasciare la possibilità di poter controllare i compiti sul registro di classe o, ancora meglio nel sito web della scuola, sarebbe una grossa opportunità per tutti: così le spiegazioni e i lavori che abbiamo assegnato possono essere controllati agevolmente in caso ci si dimentichi di scriverli tutti. • Favorire la peer education: educazione tra pari, è un metodo educativo che si avvale del rapporto di educazione e influenza reciproca che, a livello formale e/o informale, si instaura tra persone appartenenti a un medesimo gruppo. Tale strategia educativa attiva un processo naturale di passaggio “di conoscenze, d’emozioni e d’esperienze” da parte di alcuni membri del gruppo agli altri membri di pari status. Gli allievi diventano così soggetti attivi della propria formazione, non più solo recettori di contenuti, valori, esperienze trasferiti dall’educatore. • Analizzare ogni strategia di studio proposta da parte dello studente e verificarne l’efficacia. In mancanza di testi digitalizzati, potrebbe essere utile affiancare al ragazzo un tutor che possa leggergli i libri di testo. 8.6 Le regole grammaticali Per un ragazzo con DSA imparare le regole grammaticali è un’impresa molto complicata perché sono troppo astratte, e quindi risulta molto più semplice impararle nell’uso quotidiano della lingua e ciò vale sia per l’italiano che per le lingue straniere. Per questo motivo i libri di grammatica devono poter essere manuali da consultare quotidianamente, anche in fase di verifica; ancora meglio sarebbe stimolare lo studente a creare i suoi schemi o le sue mappe da consultare. 45 5. Evidenziare la risposta 6. Scrivere a lato della pagina la parola o le parole che gli permettono di ricordare l’intera frase 7. Rispondere a tutte le domande del paragrafo/capitolo, in tal modo sarà in grado di crearsi la mappa cognitiva (mentale o concettuale). Lo studente sta, in questo modo, diventando un lettore attivo. Mappe mentali e mappe concettuali Le mappe mentali e le mappe concettuali sono forme di rappresentazione grafica del pensiero e si differenziano sia per la strutturazione, sia per il modello realizzativo, sia per gli ambiti di utilizzo. Una mappa mentale ha una struttura gerarchico – associativa: • I rami collegano ciascun elemento con quello che lo precede (gerarchia) • Le associazioni collegano elementi gerarchicamente disposti in punti diversi della mappa Essendo gerarchica, la mappa mentale ha necessariamente anche una geometria radiale: all’elemento centrale troviamo collegati degli elementi di primo livello, ciascuno dei quali può essere collegato con elementi di secondo livello e così via. In genere la disposizione grafica degli elementi è a raggiera. Una mappa mentale può costituire il punto di partenza di un processo creativo e descrive meglio un pensiero di tipo associativo non lineare. La mappa concettuale ha una struttura di tipo reticolare: • È costituita da nodi concettuali, ciascuno dei quali rappresenta un concetto elementare • I nodi concettuali sono collegati mediante frecce orientate e dotate di un’etichetta descrittiva Le mappe concettuali sono più adatta a descrivere un concetto di tipo lineare (ad esempio una lezione di storia in cui è importante ricordarsi la successione temporale) 9.4 L’ambiente di studio 9.4.1 L’ambiente reale Ad alcune persone piace studiare in silenzio, altre hanno bisogno di rumore di sottofondo. Un sottofondo musicale può aiutare alcuni ragazzi. Ogni individuo può avere una preferenza: alcuni trovano fastidiosa un’illuminazione eccessiva e che illumina tutta la stanza, altri si addormentano con una luce che illumina solo la scrivania. Molti ragazzi con DSA e con deficit attentivo preferiscono studiare con una luce concentrata solo sul lavoro, perché così non vengono distratti dagli oggetti della stanza. 9.4.2 L’ambiente virtuale È importante che il desktop sia in ordine, perché è facile che, nella fretta, il ragazzo salvi tutto disordinatamente sullo schermo, facendolo diventare presto sovraffollato: deve, dunque, imparare a creare varie cartelle su argomenti differenti. Per velocizzare la ricerca è necessario che ogni file abbia un nome appropriato. 9.5 La gestione del tempo Spesso i ragazzi con DSA hanno bisogno di aiuto anche nella gestione del tempo. Occorre aiutarli a crearsi un crono – programma della giornata: oltre agli elenchi di compiti da eseguire, può essere importante usare un timer. 46 9.6 Non solo libri L’apprendimento può avvenire anche attraverso altri canali, per esempio i documentari sono per i ragazzi con dislessia un’ottima fonte. Possono cercare l’argomento di studio su archivi web. 9.7 Le banche dati e i siti web 9.7.1 I software didattici Vi è una banca dati realizzata dall’Istituto Tecnologie Didattiche del Consiglio Nazionale delle Ricerche, resa disponibile attraverso il Servizio di documentazione sul software didattico, attivo dal 1999 grazie a una convenzione con il MIUR. Oltre 4000 software didattici sono stati catalogati in schede documentali consultabili che spiegano le loro caratteristiche didattiche, raccontano in un sommario quello che fanno, mostrano come si presentano attraverso due immagini. Cliccando su ricerca avanzata e selezionando il disturbo specifico di apprendimento, si ottiene un elenco di circa 140 titoli di software indicati da autori/editori/distributori come strumenti utili agli alunni con DSA. Cliccando su ciascun titolo, si accede alla relativa scheda. Nelle schede sono presenti i riferimenti dei siti di autori/editori/distributori che si possono consultare per vedere se esistono novità. Per trovare rapidamente le schede, cliccare su ricerca avanzata. Disturbo specifico di linguaggio −> è una condizione in cui l’acquisizione delle normali abilità linguistiche risulta disturbata sin dai primi stadi dello sviluppo. Il disturbo non è direttamente attribuibile ad alterazioni neurologiche o ad anomalie di meccanismi fisiologici dell’eloquio, a compromissioni del sensorio, a ritardo mentale o a fattori ambientali. È spesso seguito da problemi associati quali le difficoltà nella lettura (dislessia) e nella scrittura (disgrafia). Span di memoria −> numero di cifre o parole che un soggetto può ricordare immediatamente a seguito di un apprendimento. La norma è generalmente 7, più o meno 2 elementi ricordati. 47 GESTIRE IL DISAGIO A SCUOLA INTRODUZIONE È fondamentale individuare le relazioni e le dinamiche distruttive in ambiti educativi. Le ricerche condotte in ambito clinico e educativo documentano l’inefficacia dei comuni interventi educativi, evidenziando la necessità di cogliere il disagio alla radice. Spesso il disagio è collegato all’assenza di valori, di validi modelli genitoriali e educativi, alla riduzione dell’autorità paterna e alla sua carente presenza. Nonostante questo sia inconfutabile, bisogna estendere il campo di studio. Con i minori a disagio, gli operatori delle comunità tendono a sfruttare eccessivamente la sensibilità che, in certi casi, risulta paradossale. Si rischia di voler modificare il comportamento esteriore rifacendosi ai principi cari al comportamentismo (rinforzo negativo e positivo). Inoltre, sorprende come molte guide educative parlino di “insegnamento delle regole”, come se i bambini non le trasgredissero ma semplicemente non le conoscessero. Il disagio è qualcosa di più complesso della occasionale frustrazione dei bisogni, e viene alimentato dalla difficoltà cronica, percepita e vissuta dal bambino, di non poter soddisfare i propri bisogni. È l’esito del senso di fallimento derivante dall’aver ripetutamente preso atto che i mezzi e gli strumenti di cui si dispone non sono adeguati di fronte alle situazioni e per trovare un adattamento inteso come integrazione. CAPITOLO 1: IL DISAGIO NEI CONTESTI EDUCATIVI Il termine “disagio” si è affermato alla fine degli anni ’70, come chiave di lettura delle categorie «forti» di devianza e marginalità allora dominanti. Il concetto, povero di contenuti, esprime la perdita di rilevanza delle problematiche giovanili e la consapevolezza del fallimento del disegno sociale e politico, proprio delle generazioni del ’68 e post. Durante il fallimento delle varie devianze, il disagio viene favorito perché è meno connotato ideologicamente e applicabile a più individui. Dall’esame della letteratura psicopedagogica e psicosociologica sul disagio si constata che la maggior parte dei contributi si focalizza sulla fascia giovanile e in pochi casi su quelle adolescenziali e preadolescenziali. Pochi sono gli studi riguardo il disagio giovanile, una grave carenza. Se da una parte ha senso riferirsi ai modelli evolutivi che suddividono lo sviluppo in più fasi, dall’altra parte molti disagi sono «trasversali» ed altri, individuabili in età giovanile, scaturiscono da percorsi avviati molti anni prima e gettano le radici in momenti antecedenti. Molti disagi, infatti, che si manifestano dall’entrata nel mondo della scuola dell’infanzia accompagnano i soggetti fino all’età adulta, con differenze notevoli e assai gravi. 1. Definizioni di disagio Il disagio è inteso come un’esperienza soggettiva e personale da cui possono derivare dei segni osservabili e rilevabili dall’osservatore e dall’interlocutore. L’etimologia è formata da «dis» che indica negazione e «agio» che significa «giacere presso». Quindi, il disagio designa coloro che vivono ai margini, esclusi dal contesto sociale, lontani dagli altri e da sé stessi. Nei dizionari di area sociologica, psicologica e pedagogica, il termine è usato come sinonimo di disadattamento e di devianza, e nelle scienze psicologiche indica uno stato soggettivo e generico di sofferenza psichica. 50 • La «controllabilità» concerne la possibilità percepita di poter determinare il proprio destino. La convinzione personale di possedere dentro di sé il potere di autodeterminarsi piuttosto che dipendere dalle circostanze esterne e implica delle letture attributive secondo più una internalizzata del locus of control. Sinteticamente, i fattori responsabili di quello che accade al soggetto sono dentro di sé. Riferendoci al locus of control, individuiamo due stili: a) Disfattista: ogni tentativo di fronteggiare il proprio disagio è inutile («non c’è nulla da fare»). b) Proattivo: gli sforzi personali sono utili. L’intervento educativo dovrebbe promuovere l’internalità del locus of control dinanzi alle situazioni di disagio. La percezione è influenzata dalla situazione passata, che può diventare patologica se impedisce la distinzione tra presente e passato. È un pericolo degli educatori, che possono trattare gli educandi sulla base di esperienze conflittuali passate irrisolte. Come? a) Proiettando sugli allievi esperienze personali inconsce. b) Reagendo al comportamento dell’allievo in maniera difensiva. È fondamentale che l’educatore sappia che egli stesso può divenire oggetto di proiezione analoga a quella di figure genitoriali. Quando ha il senso di esserlo diventato, deve evitare di assumere atteggiamenti difensivi. 2.3 Disagio sintomatico e asintomatico L'ambiguità è l'aspetto fondamentale che caratterizza molti dei disagi attuali. Si possono distinguere un disagio sintomatico, caratterizzato da sintomi evidenti ed espliciti, da uno «sommerso», ovvero asintomatico, meno studiato ed analizzato. I soggetti che soffrono di disagio conducono una vita difficile a causa delle carenti competenze richieste dalla società. Per capire meglio, le scienze mediche e psichiatriche ci hanno impartito il forte impatto dei sintomi nella diagnosi, ignorando che molti disagi, invece, si configurano come situazioni di apparente normalità. Nell’ambito della letteratura scientifica sull’adolescenza, si rilevano delle differenze tra la condizione attuale e quella risalente al ’68: l’adolescenza è stata vista come uno stadio di conflittualità, di atteggiamenti e sentimenti di ribellione e di rivolta verso il mondo adulto, verso la ricerca di spazi personali al di fuori della famiglia. Le ricerche attuali, invece, ci indicano una condizione dell’adolescenza caratterizzata da maggiore armonia tra generazioni e da una ricerca di spazi di realizzazione all’interno della famiglia stessa. Sembrerebbe essere avvenuta una sorta di riappacificazione rispetto al clima conflittuale del ’68. Però, si registra l’aumento di fenomeni delinquenziali e violenza, caratterizzati da età più precoci dei soggetti coinvolti. Questi sono i «disagi asintomatici», di difficile individuazione. Infatti, proprio da questo derivano i numerosi errori educativi: mancata risposta dovuta alla disattenzione, incapacità di riconoscere un problema. 51 È necessario superare l’analfabetismo educativo! La pedagogia speciale, la cui prerogativa fondamentale è quella di cogliere il problema e interpretarlo, ci avverte di questi rischi. 3. Supposizioni e proposte interpretative La singola causa non è riconducibile al disagio: si possono individuare cause diverse ed una stessa causa può determinare effetti differenti e non sempre prevedibili, poiché i fattori correlati sono molteplici e talvolta aspecifici e ignoti. Lo studio usufruisce di modelli multifattoriali – sistematici, fondati su approcci causali di tipo statistico – probabilistico, anziché lineari e deterministico. 3.1 Premesse, antecedenti e luoghi del disagio È necessario seguire la storia del soggetto per individuare problematiche ricorrenti e incidenti a livello di ambienti di vita e di relazione (es. in famiglia, a scuola ecc.). Inoltre, si considerano quelle situazioni viste come vere premesse del disagio: limiti psicofisici, socioeconomici. Ruolo delle difficoltà e degli svantaggi Il disagio obiettivo è caratterizzato da svantaggi in vari ambiti della vita: si parla di handicap, deficit e menomazioni che gravano sulla salute del soggetto. Anche se la nostra legislazione sull’handicap risulta qualificata, nella pratica, le resistenze e i pregiudizi attivano nei soggetti cosiddetti «normali» processi di esclusione e discriminazione. Il disagio si fa risalire anche alla condizione socioeconomica e culturale, del soggetto e della famiglia d’appartenenza: la marginalità sociale e la povertà. Quindi, le dimensioni da cui deriva il disagio sono: appartenenza di classe sociale, collocazione nel sistema produttivo, livello di consumo e stili di vita, opportunità di istruzione e di accesso ai servizi, capacità di resistere all’emarginazione. Incidenti nella carriera scolastica La scuola ha un alto tasso di problematicità, quali l’irregolarità, l’abbandono precoce o anticipatario, che sfociano nel disagio, del quale si distinguono tre forme: • La selezione palese coinvolge coloro ai quali si preclude il passaggio alla classe successiva, mediante la bocciatura. • La selezione occulta è il contrario, quindi non c’è alcuna preclusione, ma la scuola non badando alle difficoltà induce gli allievi ad incontrare ostacoli che possono fare cadere nella selezione palese. È perciò intesa come selezione differita e indiretta, perché l’istituto non boccia direttamente, ma nemmeno aiuta l’alunno. • L’abbandono scolastico è il ritiro dalla scuola da parte dell’allievo. Sottolineiamo che tali fenomeni sono accompagnati dalla difficoltà relazionale tra alunno e scuola, e si manifestano prevalentemente nel passaggio tra la scuola secondaria di primo grado e la seconda di secondo grado. Fenomeno come il drop out, l’insuccesso scolastico, il disadattamento… sono di complessa interpretazione: gli educatori sono carenti nella cognizione articolata e analitica delle funzioni, delle 52 dinamiche di scarso rendimento. Quindi, la scuola ha bisogno di attrezzi adeguati alle necessità degli alunni, che rischiano spesso di venire ulteriormente frustrati dal confronto con i soggetti fortunati. Le reazioni vanno dal più passivo e accondiscendente conformismo alla massa alla più manifesta opposizione alle attese della scuola e degli adulti, che può sfociare in carriere devianti e delinquenziali. I docenti devono cogliere ogni sintomo, esplicito e implicito, anche riguardo alle sconfitte nella classe «implicita», «segreta», fatta di drammi affettivi ed esclusioni dal gruppo classe. Bisogna intervenire per evitare che l’alunno, pur di essere accettato, diventi il buffone della classe, il terribile, scocciante e noioso eroe negativo. Quando le agenzie negative falliscono nell’accogliere il disagio del soggetto, alcuni si rivolgono alla strada, l’ultima spiaggia, luogo a cui ci si rivolge per avere risposta al proprio disagio, luogo meno esigente della scuola o della famiglia, in cui non vigono leggi o regole. Le frustrazioni nella vita di relazione Molti antecedenti del disagio originano da difficoltà relazionali: a livello familiare (conflitti persistenti, separazioni, divorzi), famiglie incomplete o in cui i genitori sono assenti, abbandono, abuso, trascuratezze fisiche e affettive e danno ai minori. Gli psicologi hanno dimostrato come le diverse forme di rifiuto e il sentimento di abbandono, che si manifestano in gravi forme di disadattamento, possono sfociare in: suicidio, fughe, alcool, esplosioni improvvise di violenza immotivata e gratuita. 3.2 Il disagio fra disadattamento e iperadattamento I soggetti portatori del disagio sintomatico sommerso sono caratterizzati dalla difficoltà di integrazione, a causa delle competenze richieste dalla società, avviando così percorsi che conducono al disagio. Il disagio nasce dalla carenza nella capacità adattativa alle logiche e ai criteri che caratterizzano i vari sottosistemi. Le dinamiche sono state approfondite nella psicopedagogia, i cui studi vanno dal deficit del soggetto ai processi transazionali tra l'individuo e le strutture sociali. Dagli anni ‘50 ad oggi si è passati a diversi approcci, riassumibili con le seguenti formule: • C = f (P) −> il comportamento in funzione della personalità. • C = f (P × A) −> il comportamento in funzione dell'interazione tra personalità e ambiente. Piaget (biologo ed epistemologo) intende l'adattamento come equilibrio dinamico tra assimilazione ed accomodamento: applicando il modello all'interazione individuo – ambiente, individua un processo di accomodamento passivo del soggetto alle pressioni ambientali e un processo di assimilazione volto a adattare l'ambiente a sé, per soddisfare i bisogni. Ci sono diverse forme di adattamento in relazione ai sistemi sociali: conformità, innovazione, ritualismo, rinuncia, ribellione. Nonostante il disadattamento sia concepito come la scarsa capacità di inserimento attivo e creativo nella società e nelle istituzioni, l'ideale educativo è l'integrazione vista come possibilità di entrare in accordo con la realtà e di trasformarla in modo attivo e creativo. Essa è complicata e ostacolata dal sistema economico del calcolo e dei costi. È un apparato che porta il singolo ad interessarsi a guardarsi dagli altri per timore di essere ingannato o danneggiato, e crescendo si vanno a instaurare dei processi di difesa da alcune dimensioni fondamentali come l'affettività, l'interdipendenza. 55 Sul campo educativo possono essere identificati diversi tipi di bisogno: 1. Bisogno come scostamento verso il basso rispetto ad una norma in cui il soggetto manifesta in una qualche dimensione della sua realtà personale in una deficienza rispetto a un livello standard definito come normale o standards con cui confrontarsi. 2. Bisogno come desiderio presente nell'animo di una persona che si rileva chiedendole di cosa sente il bisogno. 3. Bisogna inteso come domanda che si basa sull'assunto che se uno sente un desiderio facilmente lo manifesterà il prossimo, magari in forma in diretta. 4. Bisogno come esito del confronto con altre persone o con altre situazioni simili ma che possiedono qualcosa in più. Il bisogno nasce dalla discrepanza tra come le cose dovrebbero essere o come si vorrebbe che fossero e come di fatto sono, deriva da uno squilibrio che origina dal raffronto tra la situazione reale e quella ideale. Un modello di riferimento per comprendere il rapporto tra frustrazione dei bisogni e disagio è quello proposto da Weiss. L'assunto di base è che dietro il disagio si può individuare qualche bisogno frustrato, e il modello illustra l'espressione sana del bisogno e delle emozioni, che diventa problematica fino a sfociare nel disagio. Secondo questo, l'espressione naturale del bisogno è il passo iniziale per ogni individuo, e una volta raggiunta la consapevolezza, il bisogno può essere appagato oppure no: • Se il bisogno è appagato, la persona rimane sana e libera di occuparsi del bisogno successivo. • Se hai bisogno non è appagato, il soggetto manifesta reazioni differenti come paura o tristezza. La persona può assumere delle strategie straordinarie a volte distruttive, usare qualche comportamento non sano e problematico per appagare parzialmente i bisogni insoddisfatti. Il modello integrativo prevede che quando un soggetto ha un bisogno può soddisfarlo per passare al bisogno successivo. Nella gestione del disagio, il primo passo è quello di individuare ed accogliere i bisogni dell'educando: questi non devono mai essere svalutati, poiché la reazione del bambino potrebbe essere negativa come rabbia oppure rassegnazione. Se il bisogno non venisse soddisfatto, il bambino potrebbe attuare delle strategie per soddisfarlo parzialmente. Le interazioni distruttive conseguenti si chiudono con un tornaconto negativo per l'allievo per l'educatore. Solitamente il soggetto reagisce svalutando il bisogno sotteso e l'espressione del disagio, quindi non promuovere l'espressione sana del bisogno. Il soggetto ricorre ad una situazione complessa: disturba, non studia, usa parolacce, picchi i compagni, è il suo modo per esternare il disagio. Questo non è altro che la stessa reazione che i bambini hanno quando nascono: non potendo comunicare, per far sapere le proprie esigenze piangono. L'educatore deve avere la capacità di decodificare in modo adeguato il messaggio del bambino, e per farlo deve essere empatico. Il fatto di rispecchiare adeguatamente il figlio nei suoi bisogni da’, al genitore, un senso di benessere che costituisce la premessa per l'acquisizione della fiducia di base, ed è la premessa della costituzione adeguata del sé. 56 La conseguenza è che l'educatore debba affinare la sua capacità di comprensione empatica per capire cosa c'è dietro il disagio; se non fosse in grado, si rischierebbe di entrare nel meccanismo di svalutazione e mettere i nostri interventi banali e poco efficaci. 3.5 Quali i bisogni e i permessi negati Facciamo una distinzione tra processo e contenuto: • Se si pone l'accento sul contenuto, diventano centrali questioni relative a quali sono i bisogni e le necessità che risultano inascoltati. • Se si pone l'accento sul processo, si presterà maggiore attenzione ai dinamismi psicologici coinvolti. Quali sono i bisogni e i permessi che l’educatore può supporre e scoprire al di là dei sintomi del disagio? Prendiamo come quadro di riferimento il modello dei permessi e delle ingiunzioni proposto dall'Analisi Transazionale. Si preferisce trattare di permessi e di ingiunzioni per evidenziare il ruolo che riveste la risposta dell'ambiente ai bisogni del soggetto, e si possono individuare livelli diversi nei percorsi che portano alla soddisfazione o alla frustrazione dei bisogni. I bisogni inascoltati sono parecchi, ma insistiamo su alcuni: quello di esistere, quello di intimità, quello di vivere secondo la propria età. a) Permesso di esistere La nascita di un bambino travolge l'organizzazione familiare, che deve essere rifatta sulla base del nascituro, al quale deve essere trasmesso il permesso di esistere. I genitori possono dare questo permesso comunicando la gioia della nascita, trattandolo il figlio con amore e prestandogli attenzioni. I messaggi possibili delle figure significative possono oscillare tra il va bene che tu ci sia – non va bene che tu ci sia. La decisione del bambino è l'esito della transazione tra la percezione dei messaggi esterni e le sue opzioni. Quando il soggetto prova ad entrare in un nuovo sistema, si riattiva la dinamica del permesso di esistere, di appartenere, e va ribadito al bambino in tali occasioni la modalità transazionale appresa: se nel copione è presente l'ingiunzione non esistere, quando cerca di entrare in un gruppo si sente come se fosse un peso. La reazione, perciò, è mettere in atto comportamenti scenici per verificare inconsapevolmente che gli altri lo rifiutano e lo respingono. b) Non essere intimo Il permesso di essere emotivamente – fisicamente intimi viene appreso nell'interazione con le figure significative. Quando il genitore si mostra distaccato, distanze, indaffarato, emotivamente o fisicamente assente, inconsapevolmente invia un messaggio del tipo non essere intimo. La manifestazione oggettuale sta nelle frasi come non disturbarmi o lasciami in pace. La capacità di integrarsi e la scelta di appartenere al sistema familiare prima, ad altri sistemi poi, è ampiamente influenzata dalla presenza di questo permesso e del permesso precedente, nel copione del soggetto. 57 Dopo che al soggetto sono stati cronicamente negati tali permessi, egli può decidere di isolarsi e di farsi emarginare. c) Non essere piccolo I bambini sono invitati ad assumere molto precocemente ruoli tipici degli adulti e a smettere di essere bambini. Viene negato al bambino di vivere secondo la sua età e lo si comunica con ingiunzioni come non essere un bambino o non essere piccolo. 4. Osservazioni conclusive Gli studi sul disagio dicono che il disagio è un fenomeno complesso su cui intervengono alcuni fattori socioeconomici e socioculturali, fattori intrinseci alle istituzioni scolastiche, fattori legati alle dinamiche familiari, fattori individuali. il disagio viene interpretato come una risposta del soggetto dinanzi al non ascolto e occorre considerare tutti i possibili fattori presenti volti in volta nel disagio di ciascun soggetto, perciò avvalersi di modelli causali di tipo probabilistico 60 2.1 Ignorare, sopportare il silenzio Dinanzi ad una manifestazione di disagio comune in classe, ad esempio la risata dei compagni, l'educatore dovrebbe ignorare quanto sta avvenendo, ponendo attenzione che esclusivamente sulla prosecuzione del lavoro. A volte gli educatori ignorano per evitare di rinforzare il comportamento problematico, così da sottovalutare l'episodio e di non dargli troppo valore. Molto spesso, l'espressione di disagio dell'educando produce effetti sull’educatore, dal punto di vista emotivo, e la scelta di ignorare non è indifferente. Dal punto di vista dell’efficacia educativa, anche se l'educatore ignora, non è sicura la ricezione di risultati soddisfacenti. A volte, il silenzio dinanzi al comportamento disturbante può essere mal interpretato come autorizzazione a continuare: ciò che non è esplicitamente vietato rischia di essere autorizzato. Nel caso in cui il vero bisogno dell'allievo fosse quello di ricevere attenzioni, ignorarlo andrebbe a produrre effetti paradossali: l'educandato peggiorerebbe i propri atteggiamenti fino al raggiungimento del proprio obiettivo. 2.2 La predica La predica è un intervento genitoriale volto a rimettere ordine e impartire istruzioni. È molto diffuso a causa della facile applicazione. Rispetto ad un'intera classe, la predica non è solamente inutile, ma diventa rischiosa se ci si rivolge ad un interlocutore unitario, ad un gruppo di singoli non più differenziati. La predica passerebbe, quindi, per una sorta di sfogo personale dell'educatore, facendo riscoprire un'appartenenza agli allievi, che confermerebbero più e più volte i propri atteggiamenti disturbanti. La predica è efficace se effettuata sul singolo, mentre è inefficace per un gruppo, perché sollecita più un adattamento che un cambiamento. 2.3 Critica e rimprovero La critica, il rimprovero, il richiamo diretto non sono interventi efficaci, poiché fanno appello all'addestramento dell'allievo. Il fatto che un intervento produca cambiamenti rapidi va ponderato con cautela. Se i cambiamenti sono dovuti alla compiacenza dell’alunno, non costituiscono un successo per l'educatore. Un secondo rischio è che l'allievo possa programmare le mosse successive per qualche vendetta. La critica, accompagnata da preoccupazione e rabbia dell'educatore, e da messaggi che vorrebbero essere educativi, facilmente veicola messaggi distruttivi e attacchi alla persona in errore. Se ci si limita alla considerazione del comportamento criticabile, la critica non è così svalutante. Però può accadere che provochi un sentimento spiacevole nell’educando, oppure può essere che egli cerchi di evitarla, piuttosto che modificare il proprio comportamento. 61 2.4 La punizione La punizione è un tipo di intervento ormai raro in ambito educativo: comunemente, non necessariamente sotto forma fisica, essa è un intervento diffuso. Il fine è la cancellazione del disturbo, e può presentare come vantaggio l'ottenimento rapido dei risultati tangibili. Tuttavia, siccome interviene sulla manifestazione estrema del problema e richiama l'educando affinché egli lo controlli, svaluta l'importanza della personalità dell'allievo, perché non si focalizza sulla comprensione della situazione che porta al problema, ma sulla sua eliminazione. La punizione è un intervento banale e poco efficace dal punto di vista educativo. 2.5 La sospensione La sospensione è una strategia che consiste nel dimettere, allontanare, sospendere gli educandi: può essere di durata variabile ed è adottata solitamente per motivi di condotta o di scarso rendimento. La sospensione non è né efficace, né sofisticata come strategia di intervento: è poco produttiva, se non per nulla, perché non risolve il problema, ma interviene sulla manifestazione esterna del disagio e invita l'allievo ad autocontrollarsi. Inoltre, questo tipo di intervento ha anche la valenza di rinuncia a gestire la situazione da parte dell'educatore: equivale a gettare la spugna e a rinunciare a lavorare sul problema. Dimettere significa liberarsi di, fuggire dal problema, che non corrisponde all'educare o al gestire la situazione. È un intervento inutile al punto di vista educativo e il problema reale non viene minimamente ridotto, perché potrebbe indurre l'allievo alla rinuncia agli studi. 3. Alcune proprietà degli interventi improduttivi 3.1 La ripetitività Tempo fa chi scrive è stato invitato a tenere una conferenza ad un gruppo di docenti. Nel luogo dell'incontro, i destinatari, circa 150, erano seduti in un grande corridoio e di fronte a loro c'erano due tavoli, dietro i quali erano seduti il preside e un docente. Il capo d’istituto assumeva il ruolo di moderatore e passava la parola al docente che gli stava a fianco, perché relazionasse sul lavoro svolto dal suo gruppo il giorno precedente. Durante l'attesa, da una parte uno comunicava sul lavoro svolto il giorno precedente al suo gruppo, accanto c'era il preside, dall'altra parte i colleghi seduti ad ascoltare. Rimanda alla situazione tipo scolastica, di insegnante e allievo. Man mano che il docente relazionava, i colleghi creavano un brusio di fondo, che aumentava di volume e intensità, fino a quando il preside interveniva richiamandoli, ma il chiacchierio era diventato troppo disturbante e non permetteva la continuazione della relazione. Il preside cominciava a rimproverare duramente i docenti, con tono acceso, autoritario e genitoriale, e il suo intervento fu seguito da un rispettoso silenzio, permetteva al docente di lato di riprendere il discorso. Cosa avrebbe seguito il rimprovero del preside? Dopo pochi minuti, qualche docente riprendeva a parlare col proprio vicino, fino alla ristabilizzazione del primo precedente. L'episodio rappresenta bene ciò che succede solitamente in classe: l’insegnante spiega e i ragazzi, non interessati, disturbano. Presentano un andamento ciclico: l'effetto desiderato si ottiene ma solo per poco, perché dopo tutto torna come prima. Le critiche adottate dal preside, richiamo e predica, non sortiscono l'effetto sperato con un uditorio adulto, che dovrebbe aver maturato una buona capacità di autocontrollo. Questo ci fa riflettere quando tali modalità vengono sistematicamente impiegate con gli alunni. 62 3.2 L’autoperpetuazione Alcune forme di intervento per gestire il disagio risultano svalutanti e maltrattanti: gli educatori potrebbero diventare particolarmente pressanti e accanirsi nei confronti dell'allievo. L'aspetto più preoccupante è l'autoperpetuazione. Le pressioni eccessive di tipo genitoriale, le critiche degli educatori tendono ad aggravare le reazioni e le caratteristiche comportamentali che si voleva modificare: l'alunno criticato per la sua ansia, facilmente diventerà sempre più apprensivo; il ragazzo aggressivo, obbligato ad eliminare e cambiare i suoi comportamenti scorretti attraverso l'abolizione, tenderà a diventare sempre più violento. L'uso di interventi duri potrebbe avere un effetto boomerang. Il meccanismo descrive molto bene l'effetto legato all'uso di atteggiamenti esageratamente intransigenti, che producono effetti paradossali: ribellione piuttosto compiacenza, inibizione piuttosto che superamento la paura. Una certa quantità di controllo nelle situazioni educative può recare il beneficio, e aumentare la direttività può rivelarsi utile, sempre se non viene superata una certa soglia oltre alla quale gli effetti divengono distruttivi. Inoltre, l'aumento dei comportamenti giudicati scorretti rischia di indurre nell'educatore una sorta di accanimento terapeutico a spirale crescente, caratterizzato da atteggiamenti più rigidi e intolleranti. 3.3 La focalizzazione sui sintomi del disagio Le strategie improduttive (predica, critica diretta, rimprovero, sospensione) si focalizzano sull’aspetto esterno del disagio, sperando che sparisca immediatamente. Per non cadere nella banalità, bisogna tenere distinti il sintomo e il problema. Un rischio è di trattare la manifestazione del disagio come se fosse il disagio stesso, ed intervenire per eliminarlo, così da considerare la questione risolta, illudendosi di aver rimosso il sintomo. Perciò, consideriamo due tipi di approcci nei contesti educativi e scolastici, in cui uno è incentrato sul sintomo e l’altro sul disagio. Molti degli interventi comunemente adottati tendono ad alleviare il segno esterno e a cancellare la manifestazione del disagio. 3.4 L’appello al controllo volontario Un’altra caratteristica comune alle strategie improduttive è l’aspettativa che l’educando comprenda il proprio errore. L’intolleranza dell’educatore cresce insieme all’allievo: ci si aspetta che il ragazzo più grande sia più giudizioso. Chi ha vissuto il contesto scolastico con disagio, l’intenzione di cambiare e controllarsi, se non si conoscono le cause dietro al comportamento disfunzionale, risulta totalmente inutile. Inoltre, l’atteggiamento dell’insegnante scostante e duro darà all’alunno l’idea di essere costantemente giudicato e umiliato. Come resistere e mettersi a contrastare ribellandosi o opponendosi? Ma questi atteggiamenti confermeranno solo l’idea che l’allievo non sia “giusto”; abbia qualcosa fuori dalla norma, che è immaturo e maleducato. 65 Un intervento focalizzato sul livello interno indurrebbe il docente a domandarsi il perché di un tale comportamento. La collega aveva dichiarato di avere bisogno di un aiuto per capire cosa potesse fare con gli allievi e come adattarsi al suo programma. Quindi, a livello nascosto si manifesta preoccupazione, paura di fare male e di fallire. Tuttavia, così si passa più sulla rassicurazione che sul confronto. Nella realtà, il docente ha chiesto cosa avesse e ha provato a tranquillizzarla, dando consigli, fino a quando la collega non stava visibilmente meglio. 4.2 Livello superficiale, livello nascosto e vita affettiva Da alcuni studi, risulta che l’intelligenza non esista allo stato puro o disgiunto dagli altri processi psichici, motivo per cui l’educando deve essere educato a partire dalla promozione dell’alfabetizzazione affettiva. Preso in esame un evento che coinvolge una mamma single che parla al proprio psicologo del proprio aborto in maniera disinvolta, interessa sottolineare che la lettura dei sentimenti, secondo un doppio livello, consente la comprensione delle reazioni diversamente inspiegabili e la individuazione delle ipotesi di intervento. Gli studi da Berne (sull’Analisi Transazionale) in poi hanno evidenziato l’esistenza di sentimenti naturali e sentimenti di ricatto. Questi ultimi sono sentimenti che sostituiscono quelli naturali, a causa di una predisposizione imposta, sin dalla giovane età, dai propri genitori. In alcuni famigli si punisce il pianto, si blocca lo sfogo di rabbia… il bambino è scoraggiato, perché non può esprimere i propri sentimenti, e decide di sostituirli: ad esempio, se la rabbia viene sostituita dalla paura, quando dovrò essere arrabbiato sentirò, in realtà, paura. I criteri per comprendere i sentimenti di ricatto sono tre: 1. Se il sentimento espresso è incongruente con la situazione (es. ridere a un funerale). 2. Cambiamento di direzione dell’azione pertinente, sostituendo radicalmente il sentimento rispondente alla situazione (es. mamma che, a causa del pianto incessante, lancia il figlio di pochi mesi dalla finestra, picchiare il figlio se cade e si fa male). 3. Manifestazione esagerata e sproporzionata. Lo scopo dell’educazione e dell’alfabetizzazione affettiva è quello di consentire all’educando di riappropriarsi della sua vita affettiva. Il bambino necessita di sapere che va bene essere felice o arrabbiato in una certa misura, da cui trarre la spinta sufficiente per gestire le situazioni di vita. 4.3 Pregiudizi, manipolazioni, transfert e controtransfert Numerosi comportamenti in contesto educativo sono di tipo reattivo e molti educatori, seguiti da psicologi, hanno compreso la dinamica alle spalle di essi: gli allievi sono consapevoli dei loro effetti, tanto da manipolare le situazioni per ottenere dei risultati familiari. L’interazione educatore – educando in cui appare una qualche modalità conflittuale storica, è di tipo scenico o copionico, cioè segue il copione del soggetto. Per comprendere meglio, parliamo di transfert e controtransfert: • Transfert − In psicoanalisi −> atteggiamento emotivo del paziente nei confronti del terapeuta. 66 − Poi usato per indicare il processo proiettivo di affetti e pensieri del paziente sulla figura del terapeuta. − Può essere positivo (positivi) o negativo (negativi) in base ai vissuti vero il terapeuta. • Controtransfert −> Reazione, spesso inconscia, del terapeuta nei riguardi del transfert del paziente. In terapia entrambi sono molto importanti per una maggior comprensione delle dinamiche e dei processi della situazione terapeutica e per progettare interventi efficaci volti al cambiamento. I fenomeni che ne derivano si realizzano in qualsiasi relazione interpersonale, in particolare in quella educativa docente – allievo, educatore – educando. Ad esempio, Giulio è un ragazzo di 16 anni che è stato cresciuto con l’idea di essere una persona irrecuperabile, a partire dai genitori. Si può anche ipotizzare che lui stesso voglia apparire così. il primo passo dell’educatore, con l’aiuto di colleghi o del counseling, è quello di verificare se la sua reazione automatica o intuitiva somiglia a quella che hanno realizzato quanti lo hanno preceduto. Il secondo passo è osservare cosa fa Giulio per convincere l’educatore della sua immagine e per attivare delle reazioni a lui familiari. 4.4 Efficacia, ascolto del sé, empatia Alla base della gestione del disagio c’è l’empatia, senza la quale si incorre in propositi impossibili da soddisfare, ad esempio, addomesticare intenzionalmente un sentimento negativo. Ne derivano della controindicazione: • Data la difficoltà che è il proposito risulti congruente, ad un livello ci si propone una cosa e poi se ne fa un'altra. • Accettando incondizionatamente ogni bambino, si rischia di coprire il problema e congelare la dinamica, anziché bloccarla. Dal fallimento professionale deriva l'avversione verso gli allievi, ed è uno dei motivi per i quali i docenti reprimono i sentimenti negativi verso gli studenti pur di non sentirsi così. La scelta più comune è l'adozione del distacco professionale, cioè accettare tutti e non rispondere alle provocazioni, alla stregua delle helping professions, cercando di realizzare il detached concern: interessamento distaccato, visto come ideale di equilibrio e di maturità professionale, al fine di tutelare sé stessi e gli altri dati reazioni emotive intense e rischiose. Tuttavia, e data la difficile applicazione, si realizza la disumanizzazione come mezzo di autodifesa da sensazioni intense. Anche in psicoanalisi è stato rivisitato il controtransfert: inizialmente Freud lo definiva un processo inconscio derivante dai conflitti irrisolti dell'analista, ed era visto come un ostacolo al processo terapeutico, un buco nero da eliminare. Successivamente il costrutto è stato riconsiderato e ampliato, comprendendo i sentimenti del terapeuta, infine concepito come strumento privilegiato per amplificare l’empatia. L'istanza per l'educatore è quella di imparare a riconoscere i propri vissuti, che fungono da strumento per comprendere meglio la situazione. Cosa si può fare di diverso? Invece di eliminare i sentimenti negativi, il docente dovrebbe ascoltarli, studiarli e trarne un intervento educativo. 67 CAPITOLO 3: OPPOSIZIONE, RIFIUTO E CONFLITTO EDUCATIVO Le dinamiche che si attuano in diversi contesti sono le medesime: l’educando si rifiuta, procrastina, mostra interesse a fare altro. Gli insegnanti, così come i genitori, richiedono un aiuto nell’intervento sulla demotivazione e sperano che, pronunciando le loro richieste, i ragazzi siano condiscendenti e disponibili, ma ottengono solo opposizione. Perciò, si offre un invito agli educatori a riflettere su cosa fanno dinanzi ai comportamenti oppositivi e su cosa possono fare di diverso, senza dimenticare che il comportamento dell’educando non dipende linearmente dall’azione educativa. 1. Modalità comuni per gestire la «resistenza» dell’educando Due sono le modalità più usate: • Modalità vessatorie. • Modalità manipolatorie. 1.1 Modalità vessatorie Lo stile vessatorio, persecutorio, perentorio, alimenta con facilità dinamiche distruttive a spirale crescente: i toni iniziali sono delicati, ma divengono via via ostili e, a volte, violenti. Questo è causato dall’intervento educativo dell’insegnante che, di fronte a un ragazzo demotivato, non fa altro che a adottare modi bruschi, aumentando la frustrazione del minore. Esempi ne sono le pressioni eccessive di tipo genitoriale da parte degli educatori: il ragazzo timido viene pressato affinché esca dalla timidezza, ma si chiude di più in sé stesso. 1.2 Modalità manipolatorie Lo stile manipolatorio implica il ricorso al sotterfugio, tipico di manager, politici… che quando presentano un progetto, per paura di essere rifiutato, dicono una cosa per un’altra, ricorrono ad interventi strategici non sempre autentici. Tuttavia, ha dei costi: le buone intenzioni passano da una piattaforma relazionale non pulita, che si fonda sulla disconferma dell’interlocutore (“io ne so più di te”, “non mi importa di te”). 2. Il conflitto educativo Da K. Lewin in poi sono stati individuati vari tipi di definizioni di conflitto: a. Conflitto intrapsichico La personalità è intesa come insieme di forze e polarità, che spesso di scontrano. • Psicoanalisi classica: Es, Io, Super – io. • Analisi Transazionale: l’Io, Genitore, Adulto, Bambino. • Psicoterapia della Gestalt: la personalità è un conglomerato di tendenze polari che si combinano, però nella consapevolezza di ognuno ci sono dei vuoti. Per poter gestire il conflitto intrapsichico bisogna individuare le polarità e renderne il soggetto consapevole. Tanto più il soggetto è consapevole, tanto meglio gestiste sé e gli altri. Tanto meno è consapevole, tanto più di proteggerà con dinamiche conflittuali. 70 3.3 Unilateralità e bilateralità nell’esperienza educativa La situazione delineata precedentemente, l’educatore che pretende compiacimento dall’educando, implica delle conseguenze relazionali rilevanti. L’educando ha il diritto di riappropriarsi delle sue opzioni e di esercitare la sua facoltà di scelta, il suo diritto di esistere. Sebbene sembri scontato, certi genitori limitano il diritto di scelta dei figli, ad esempio nella scelta della scuola superiore. Uno dei paradossi più insidiosi riguarda l’educatore ha il compito di educare, ma non riesce a causa della mancanza di collaborazione da parte dell’educando. Secondo il principio della bilateralità, non possiamo prescindere dal considerare l’educando e l’educatore due persone distinte. Berne lo compensa in un racconto che narra dell’esperienza di uno psichiatra che, di fronte a un alcolizzato non disposto a lavorare su sé stesso, decide di non seguirlo inizialmente. Anche nei contesti educativi succede: se il docente comprende che un alunno non vuole collaborare, ne prende atto e continua la lezione, allora perché fa l’insegnante? Prima di tutto, l’educando è una persona libera di prendere le proprie scelte. Lo psicoanalista e l’alcolista non si lasciano subito dopo la fine del colloquio, perché viene appurato che manca il desiderio di cambiare; quindi, l’interlocutore è invitato ad “attivare il desiderio” con quanto ha da offrire, e una volta fatto si potrà proseguire. In mancanza della possibilità di rifiuto non è possibile accettare una richiesta, perché l’individuo verrebbe privatizzato del diritto di scelta. Riassuntivamente: • Il docente capisce che l’alunno non ha “desiderio” di fare una determinata cosa. • Non può obbligarlo perché si attiverebbe un paradosso, che porterebbe a situazioni degenerate. • Prova ad alimentare il desiderio con quanto ha da offrire. • Se ci sono segni evidenti di volontà di cambiare, si passa all’intervento educativo. 3.4 Soppressione e integrazione Gli interventi non sempre tengono conto di una polarità della personalità. Soppressione di una parte sull’altra nelle dinamiche intrapsichiche Il conflitto interno, intrapsichico si manifesta nel tentativo di autoimposizione volontaria. Ad esempio, coloro che soffrono di insonnia commettono l’errore di volersi forzare a dormire ma, visto il tempo scorrere e le ore arretrate di sonno, potrebbero proporsi di addormentarsi al più presto. Imporsi intenzionalmente un obiettivo porta lontano dall’obiettivo stesso. Inoltre, imporsi il sonno è un processo che ammutolisce il flusso di pensieri, che è fondamentale per il giorno successivo. Prescindere dalla considerazione dei propri bisogni e delle proprie preoccupazioni causa un conflitto interno e risulta molto dispendioso. Le opzioni efficaci sono il prestare attenzione, ascoltare ogni parte di sé: liberare il flusso di idee, sentimenti… 71 Resistenza e integrazione L’educatore che gestisce l’educando indisposto sta allo psicoterapeuta che interpreta e tratta le resistenze del cliente. Quando si parla di comportamento oppositivo, di resistenza, si suppone la presenza di obiettivi educativi, o di obiettivi del cambiamento psicoterapeutico, in cui ogni ostacolo viene concepito come resistenza. Secondo l’ottica degli interventi improduttivi, di una certa pedagogia e psicologia di stampo non umanista, la barriera va abbattuta per perseguire l’obiettivo. La resistenza è una forza sabotatrice interna alla dinamica motivazionale e alla personalità dell’alunno. Secondo l’ottica dei modelli umanistici, c’è una considerazione rispettosa per ogni parte del soggetto, anche se in disaccordo con l’obiettivo promosso dall’educatore. Tra i modelli di riferimento, la psicoterapia della Gestalt intende la resistenza come parte del soggetto, quindi è una forza con lo stesso diritto di esistere. La personalità è un miscuglio di forze e polarità. Essa non vuole attaccare le forze ma ricondurle al loro ruolo adattivo, valorizzandole. Da quando detto precedentemente, l’educatore è invitato ad accantonare le modalità autocratiche e svalutanti dei vissuti dell’educando, e ad accoglierlo nella sua totalità, così da favorire gli interventi educativi efficaci. Anche nella coppia non dovrebbe mancare la conditio sine qua non, cioè il permesso di arrabbiarsi con il/la partner. 4. Indicazioni e proposte operative Ecco alcune linee guida per gestire correttamente, pedagogicamente e psicologicamente parlando, il conflitto di resistenza con l’allievo. 4.1 L’ascolto aperto: tra amorevolezza, rispetto e delicatezza Nella teologia, alcuni studiosi prevedono dei rischi, conseguenti all’uso di modi bruschi. La pericope della lettera agli Efesini, riguardo la relazione genitori – figli, ne è un esempio: “Figli, obbedite ai vostri genitori…”. La relazione genitori – figli deve basarsi sull’amorevolezza, che a parere di Groppo è il mezzo più efficace per aiutare i propri figli a “obbedire”. L’invito agli educatori è di evitare di scadere in atteggiamenti provocatori, poiché alimentano la ribellione dell’educando. Se un bambino si rifiuta di fare qualcosa, bisogna dargli la possibilità di esprimersi e mostrare le proprie perplessità, mettersi in atteggiamento d’ascolto interessato. Dopo, l’educatore potrà dare la sua opinione in modo rispettoso e trasmettere il messaggio di “aver capito”, che è legittimo sentirsi in un determinato modo. Si tratta di assumere un atteggiamento empatico. Empatia significa “mettersi nei panni dell’altro”, e si compone di due dimensioni: 1. I numerosi modi per poterla realizzare (attenzione ai vari comportamenti, linguaggio comprensibile, tono adatto…). 2. Avere rispetto, ossia credere nell’altro, avere fiducia nelle sue capacità. 72 4.2 Promuovere la motivazione e gestire l’opposizione in classe: tra paradosso e controparadosso Cosa fare se gli allievi non sono attratti dalla lezione del docente? Dal momento in cui non esiste una lista stilata di regole per catturare e mantenere l'attenzione degli interlocutori, i docenti spesso cadono in errore, o assumendo un comportamento eccessivamente violento, o ignorando totalmente il problema. Dinanzi ad allievi demotivati, l’educatore può ricorrere a messaggi strutturati secondo la logica dell’«opposto» e del «più di prima»: ci si aspetta che l’educatore incoraggi il cambiamento, stimoli l’interesse invitando l’allievo ad impegnarsi di più esortandolo. Una prima alternativa consiste nel ribaltare la relazione: secondo la scuola di Palo Alto, le situazioni paradossali devono essere gestite in maniera ancora più paradossale. Quindi, bisogna accogliere le istanze proposte e maturate nell’ambito degli approcci strategici, in particolare la resistenza va incoraggiata, perché rappresenta un importante fonte di cambiamento. Per comprendere la dinamica dell’«opposto» e del «più di prima», insita del paradosso, gli studiosi propongono una metafora: due marinai si sporgono all’indietro sul lato opposto di una barca per restare in equilibrio. L’istanza che ne deriva è quella di evitare i paradossi con interventi apparentemente assurdi e illogici. Dinanzi a un gruppo di studenti demotivati, si può considerare controparadossale esplicitare loro una sorta di indifferenza nei confronti della lezione, l'idea secondo cui ci sia “meglio da fare”. Questo li porrebbe di fronte a un bivio: a) Rimanere tali e quali, dando ragione all’educatore. b) Dimostrare il contrario per cominciare il percorso del cambiamento. 5. Osservazioni conclusive Gli educatori, di fronte a ragazzi disinteressati, devono tener conto dei loro vissuti e assumere un atteggiamento empatico, non adottare maniere forti e disfunzionali. Tuttavia, con i bambini piccoli si deve avere maggiore accortezza e trattarli amorevolmente. 75 Questo, talvolta, diventa paralizzante fino a determinare l’inazione: non far nulla, pur di non sbagliare. Tuttavia, errare è umano quindi il problema non si risolve insegnando ai bambini ad evitare di commettere errori, ma insegnando loro come cresce sui propri errori. È necessario il passaggio da una didattica che penalizza l’errore ad una nuova didattica dell’errore che lo consideri come spunto da cui trarre insegnamento. L’efficacia delle parole non è paragonabile a quella del comportamento; quindi, l’insegnante deve costituire il modello e mostrare come porsi di fronte all’errore, evitando di giustificarsi. 2.3 Sfide e svalutazioni in classe: occasioni privilegiate per educare La paura che accomuna i docenti alle prime armi è quella di non riuscire a tenere la classe. Se la paura dell’inesperienza viene usata come motivo di autosvalutazione, è facile che il docente possa sentirsi inadeguato. Questa sensazione nasce da una conversazione che parte dall’interno, ed è frutto di un percorso personale e soggettivo. Però, se questo viene esplicitato, potrebbe essere sfruttato dagli allievi per rendere impossibile il lavoro al docente. L’insegnante non ha bisogno di accettare le sfide, perché questo comprenderebbe in sé l’approvazione di una sorta di duello controindicato. Anche in ambito politico alcuni comportamenti, specialmente della seconda repubblica, somigliano a quelli descritti: la competizione parallela e simmetrica, tuttavia, non consente di ottenere alcun beneficio. Il gioco dei polli, ossia il conflitto esasperato, è anche realizzato nei contesti educativi. L’educatore fa il modeling sugli educandi: esercita bene il suo ruolo se gli allievi vedono un uomo con tutti i pregi e i limiti che la natura gli ha dato, senza essere onnipotente. Il caso di Loredana fa capire alcuni effetti del perfezionismo eccessivo, come la paura di sbagliare, la frustrazione… 3. La rabbia e l’irritazione intollerante Giuseppe è un bambino sempre arrabbiato, scontroso con i compagni e ingestibile. L’insegnante, Mara, chiede aiuto e attua laissez – faire (ignorare), ma è poco efficace. Un giorno, arriva alle 9:30 in classe, fa quasi a botte con un compagno per un banco e viene ampiamente rimproverato da Mara, che lo butta fuori dalla classe. L’insegnante ha gestito il disagio di Giuseppe rifacendosi all’autocontrollo e al condizionamento, ma sono risultati inutili, così come il laissez – faire. È un intervento banale e ripetitivo, anche perché Mara accetta tutti incondizionatamente, quindi anche Giuseppe e il suo disagio. Cosa si poteva fare? 1. Ascoltare i sentimenti del docente quando interagisce con gli allievi. Mara ammette di non provare nulla, se non pietà, quando parla a Giuseppe. Lo vede come una persona da salvare, questo perché è emarginato e ha difficoltà a integrarsi. 2. Perché Giuseppe è emarginato? Giuseppe ascolta le sue emozioni in modo distruttivo, manca di alfabetizzazione affettiva, perché i genitori non accolgono la sua richiesta di arrivare in orario a scuola, né tanto meno la sua rabbia, che viene punita con ceffoni. Se l’insegnante punisce Giuseppe, rischia di riprodurre l’atteggiamento dei genitori e di svalutare ciò che sente. 76 L’insegnante deve essere empatico e approfittare delle scenate per capire che motivi sottendono. Deve insegnare al bambino di cogliere e usare il feed-back da parte degli altri. 4. Il tormento inutile Una bambina durante una recita inizia a piangere e l’insegnante, che si sentiva in colpa, pensava che non l’avrebbe dovuta mettere in quella situazione perché tutti si sentivano a disagio per colpa sua. È un caso interessante, in quanto l’insegnante si sente eccessivamente responsabile di quanto accaduto: l’obiettivo era lodevole, perché voleva dimostrare la bravura della bambina. Tuttavia, ha gestito male la situazione: avrebbe potuto fermare la scena, così da dare un nuovo insegnamento, ossia che errare è umano. L’insegnante attribuisce a sé responsabilità che le appartengono soltanto in parte e la sua reazione risulta sproporzionata, eccessiva. 4.1 L’atteggiamento iperprotettivo e le sue incognite Un atteggiamento simile si assume con persone disabili o con difficoltà di apprendimento. Si manifesta un’eccesiva protezione, nonché un atteggiamento iperprotettivo: 1. Tentativo di organizzare le condizioni di vita generali dei portatori di handicap. 2. Tendenza di chi si attiva oltre misura, per aiutare chi soffre. Canevaro, riferendosi all’handicap motorio, dice che dinanzi ad un qualsiasi ostacolo, il bambino deve applicare tutto sé stesso, e quello sforzo è essenziale affinché possa formarsi nella sua totalità. Quando un educatore o un genitore interviene, pensando di stare aiutando, non fa altro che aumentare gli impedimenti. Il rischio è quello di agire al posto di un altro e per un altro. Questo atteggiamento alimenta la passività e la conseguente dipendenza. L’attivismo iperprotettivo dinanzi all’handicap, alla disabilità… produce effetti paradossali. Ad esempio, i bambini con basso livello di competenze linguistiche hanno comunemente con la madre una relazione asincrona a causa dell’eccessivo attivismo, che degenera della direttività. Infatti, non rispettando tempi e ritmi del bambino, tale atteggiamento tende a stancarlo e a passivizzarlo. Ovviamente si tratta di reazioni dettate dall’emotività, e rischia di essere automatico e, a volte, inconsapevole. 4.2 Il salvatore Karpman, nel Triangolo drammatico, presenta tre personaggi: • Salvatore → colui che si prodiga più del dovuto, che si crede superiore tanto da vedere i discenti come bisognosi di aiuto. Tipico è il docente iperprotettivo, largo di voti, che fa domande semplici e non mette mai in difficoltà: enfatizza il positivo oltremisura rendendo inutile la valutazione e la sua essenza, che è quella di promuovere un’immagine di sé nell’allievo realistica e rispondente alla realtà. Dinanzi all’indulgenza eccessiva l’allievo ipotizza che l’insegnante pensi che egli abbia scarse capacità. • Vittima → è complementare al salvatore, ed è chi svaluta le proprie potenzialità e chiede di essere salvato e che l’altro faccia le cose al posto suo. • Persecutore → chi nelle interazioni sminuisce il partner. 77 Cosa fare? L’aiuto deve giungere sia all’educando, che all’interlocutore, e il docente non deve impedire all’educando di fare quanto può o che sa fare da sé: l’aiuto deve essere libero da contaminazioni, cioè non deve soddisfare bisogni personali. 5. Quando la rabbia dell’insegnante lievita a dismisura Luca è un bambino irrequieto e sempre arrabbiato. L’episodio che ci interessa è il seguente: un giorno arriva alle 9:30 e fa quasi a botte con un compagno per un posto. L’insegnante lo butta fuori dalla classe e minaccia di non farlo rientrare se prima non bussa, ma la reazione la confonde. Alla fine, il ragazzo viene riammesso. Qui viene descritta la rabbia solo interna, che non appare violenta all’esterno. L’insegnante è particolarmente preoccupata che il fare di Luca crei una situazione incontrollabile: ha paura di sembrare incompetente. È della fantasia del giudizio negativo da parte dei genitori e dall’attribuzione della difficoltà alla scarsa competenza che deriva il controllo. 5.1 Il controllo da parte del docente Gli educatori sbagliano ad assumere atteggiamenti autoritari, cioè dedicano più tempo al controllo della situazione che all’insegnamento stesso. Coloro che si sono preoccupati dell’interazione educativa, da Lewin a Roger e ai neogersiani del mondo angloamericano, a Franta hanno documentato l’utilità dei metodi non coercitivi per ottenere la disciplina. Franta parla della dimensione emozionale e della dimensione controllo, in particolare quest’ultima può variare lungo il continuum che oscilla da un massimo a un minimo. La premessa fondamentale per realizzare interventi efficaci è quella di comprendere cosa è presente dietro l’aumento smisurato della rabbia. 5.2 Percorsi interni e ruolo della simbiosi I percorsi interni spiegano il perché un educatore senta una forte rabbia: 1. È una sorta di causalità lineare tra comportamento dell’allievo e reazione dell’insegnante. Il docente pensa che il comportamento dell’allievo rispecchi il suo, i suoi sforzi, e da qui deriva il legame simbiotico tra l’insegnante e la situazione. Tuttavia, nessuno causa un’emozione nell’altro, ma al massimo l’emozione è causata dalla situazione. 2. Dal momento in cui l’insegnante nega a sé stesso il proprio potere ha il senso che l’unica possibilità per risolvere la situazione passi attraverso l’altro, attraverso il cambiamento dell’altro. È una trappola piuttosto insidiosa e rischiosa, soprattutto se l’altro continua a non ascoltare e non accenna a cambiare. La ragione è che il giudizio su di sé si fa dipendere pedissequamente dal successo – insuccesso. Il successo o l’insuccesso non dipendono però solo dall’agire del docente, ma così facendo è normale che le emozioni lievitino in dismisura. Il clima della classe caotico, a causa del legame simbiotico, diventa una prova del proprio fallimento. È come se il docente dicesse a sé stesso di “Non essere capace”. Ne deriva una forma di frustrazione, che sfocia nell’insopportabilità, ossia un’emozione “violenta”. L’insopportabilità è qualcosa che appartiene all’altro, ai bambini. 80 Secondo un’interpretazione alternativa di tipo situazionista, ambientalista il sé può essere concepito come un insieme di costellazioni di risposte apprese, ovvero come una serie di sistemi di reazioni specifiche agli stimoli ambientali quantificabili, osservabili, misurabili. Secondo una terza concezione, il sé scaturisce dall’interazione tra persona e situazione, ovvero costituiscono l’esito dell’interazione tra due sottosistemi. La propensione verso lo sviluppo e l’attualizzazione del sé si possono concepire come predisposizioni naturali verso la crescita, il cambiamento, la progressiva maturazione. In particolare, secondo Adler e i fautori della Psicologia individuale, alla base del bisogno di autorealizzazione si può scorgere la necessità di affermazione di sé, che comporterebbe la predisposizione verso il superamento delle mancanze e il raggiungimento di uno stato di armonia ottimale. Maslow sostiene che ciascun individuo tenda verso l’autorealizzazione ovvero verso lo sviluppo pieno, l’espressione e l’affermazione integrale del sé. Si tratterebbe di una predisposizione propria della persona umana, che si concreterebbe nel divenire ciò che è e ciò che è capace di diventare. Si tratterebbe di una sorta di sviluppo di ciò che già esiste nell’organismo, realizzabile identificando, rispettando e appagando i bisogni fondamentali. Nell’ottica considerata la personalità e le sue manifestazioni non derivano da singoli tratti o da strutture separate, ma dall’interdipendenza delle diverse “parti” costitutive del sé e dall’interazione tra esse e gli stimoli situazionali. 3. La crescita del sé, tra egocentrismo e alienazione Al fine di comprendere al meglio alcuni processi che contrassegnano l’attualizzazione del sé riteniamo opportuno rifletter sull’adattamento. È utile evidenziare che il termine adattamento deriva da latino adaptare, composto dalla particella ad, che indica fine, scopo e dal verbo aptare, che designa l’atto di accomodare e di aggiustare. La voce adattamento è solitamente utilizzata per significare l’atto di adattare qualcosa o di adattarsi, ad esempio alle necessità della vita. 3.1 L’adattamento del sé Al fine di cogliere il processo di adattamento è utile richiamare il contributo di Piaget che lo interpreta come l’esito della ricerca di equilibrio dinamico tra assimilazione e accomodamento. A suo parere, in seguito all’interazione con l’ambiente, le strutture e gli schemi si modificano e si sviluppano passando da uno stadio di squilibrio a uno di equilibrio. Il processo si avvia quando in seguito al contatto con una nuova esperienza, il sistema cognitivo registra qualche perturbazione. Al fine di ristabilire l’equilibrio, in modo più o meno consapevole, avvia il processo di equilibrazione secondo due direzioni completamente contrapposte: • Adattando le esperienze nuove alle strutture possedute • Modificando queste ultime in modo da adeguarle alle nuove esperienze. I due processi non sono autonomi. È possibile identificare diversi livelli e differenti tipologie di adattamento, a seconda che prevalga l’assimilazione o l’accomodamento. L’eccesso di accomodamento si può individuare nell’agire tipico del soggetto che, nel tentativo di risolvere il conflitto tra esigenze personali e sociali, determina di conformarsi alle aspettative e alle prescrizioni esterne fino al punto da far coincidere il sé con l’identità sociale. L’eccesso di assimilazione si può identificare nel comportamento tipico dell’individuo che, nel tentativo di risolvere il medesimo conflitto, assume come principio regolatore le esigenze individuali, le tendenze private e personali. 81 Nel primo caso il soggetto determina di rinunciare alla propria identità accomodandosi, assume le aspettative derivanti dall’esterno a spese del sé, rinunciando al sé. Al contrario nel caso in cui l’educando determinasse di rifiutare o di respingere le aspettative degli altri, il conflitto verrebbe gestito tenendo conto delle proprietà individuali e personali. 3.2 Adattamento, disadattamento e ribellione Il concetto di disadattamento è ordinariamente impiegato per designare la scarsa capacità di adattamento, di inserimento attivo e creativo, ovvero la difficoltà di assumere e di osservare le norme e le regole tipiche di una data cultura di appartenenza. Il rapporto tra individuo e società risulterà variamente conflittuale, disfunzionale e distruttivo. Considerando il binomio adattamento disadattamento, si potrebbe assumere che il primo rappresenti l’ideale da promuovere e da realizzare in educazione. Di conseguenza, si potrebbe esigere che gli educandi apprendano ad agire in maniera diligente, controllata, compiacente e docile, si tratta di condotte che si caratterizzano variamente per l’incapacità di dire no, di lasciarsi andare in maniera ottimistica nelle relazioni. Un contributo utile per cogliere alcune peculiarità e relative differenze tra iperadattamento e ribellione, adattamento e disadattamento, è rintracciabile nell’Analisi Transazionale che distingue un comportamento Libero e un comportamento Adattato. Per intenderci, il comportamento tipico di chi si commuove o di chi ride di cuore, in maniera spontanea e naturale, si considera “libero”. Al contrario si giudica “adattato” il comportamento proprio di chi agisce come se fosse presente un genitore che lo scruta, lo osserva. 4. Restrizioni e limitazioni nello sviluppo del sé Sebbene la predisposizione verso la crescita, lo sviluppo e l’attualizzazione del sé contraddistingua la condizione umana, non sempre si realizza compiutamente e nelle direzioni naturali e proprie di ciascun individuo. Non è raro che alcuni giungano perfino a smarrirsi e a tradire sé stessi, fino al punto che alcune “persone non solo non sanno quello che vogliono, ma non hanno la più pallida idea di quello che sentono” e di ciò che sono. Numerosi sono i fattori che possono interferire. Prendendo in prestito il contributo di Stone – Stone, si può concepire il sé come un insieme dinamico di sub – sistemi che concorrono per il diritto di esistere, si possono identificare due categorie di subsistemi: quella dei sé primari, quelle parti del sé con cui ciascuno si è potuto identificare fin dall’inizio della sua esistenza, atteggiamenti, sentimenti, emozioni; quella dei sé rinnegati, comprenderebbe quelle parti del sé disconosciute e rifiutate, a seguito delle prescrizioni sul “come non bisogna essere” derivanti dall’esterno, si tratterebbe di sé giudicati in maniera poco favorevole dalla famiglia, dal gruppo di riferimento. La dimensione che oscilla lungo il continuum “autorizzazione – proibizione”, “permesso – diniego”, può risultare in parte utile per cogliere alcune forme di autolimitazione, nonché di alterazione e di distorsione del processo di autorealizzazione. Un modello alternativo, valido per comprendere al meglio i blocchi che possono influire sul processo di crescita naturale dell’essere umano, si può desumere dall’Analisi Transazionale. Secondo Berne, fondatore e fautore della teoria richiamata, ogni persona nasce con un bagaglio di potenzialità per diventare un “principe” o una “principessa” ma, a causa di determinati eventi traumatizzanti si riduce a vivere come una “rana”. Se si assume tale modello scaturisce la necessità di aiutare ciascun educando a identificare i meccanismi ingannevoli che possono pregiudicare il processo di crescita, nonché a riappropriarsi delle opzioni utili per riprendere i percorsi per divenire “principi” o “principesse”. 82 4.1 Genesi dell’alienazione del sé Una seconda immagine utile per rappresentare il rifiuto di sé può essere quella dell’innesto, impiegato in agricoltura per ottenere un nuovo essere, secondo i casi, più pregevole, più fecondo, più giovane. In particolare, si può considerare come un tentativo di “innesto”, l’invito rivolto al bambino adottato di tagliare con suo passato, impedendogli di vivere secondo la cultura di appartenenza, di risalire ai parenti naturali. Rappresenta un analogo tentativo di “innesto” esterno la sostituzione del suo nome originale con uno nuovo, più consono alla lingua, agli usi e ai costumi dei genitori adottivi. Il proposito di trasformarsi può provenire da una qualche prescrizione interna e pervasiva del tipo “non essere te stesso”. Può scaturirne un programma parziale, come nel caso in cui la propensione trasformista interessi alcune parti, ad esempio l’identità di genere, le proprie caratteristiche fisiche. Il senso di essere intrinsecamente difettosi, indegni, si correla facilmente alla vergogna, alla paura di essere umiliati e rifiutati dagli altri. Il soggetto che teme di essere inadeguato può fantasticare che soltanto chi è superiore agli altri possa essere accettato, sviluppa un ideale di sé fittizio a cui cerca di conformarsi senza sosta. In alcuni casi, quando il senso di non possedere nemmeno le risorse necessarie per costruire una reputazione positiva, può prodigarsi per crearne una negativa; numerosi atti vandalici e di violenza inaudita e gratuita sono alimentati dal bisogno di emergere da un abisso di impotenza, di disperazione, dai graffiti metropolitani alla violenza dei tifosi, si tratta di condotte che celano pur sempre il bisogno legittimo di sentirsi importanti, considerati e riconosciuti. 4.2 Alienazione e integrazione Nella trasformazione dei blocchi esterni in autoeliminazioni interne, determinante risulta il ruolo della compiacenza e della determinazione di assumere le aspettative, le idee, le risorse di qualcun altro. Ciascuno di volta in volta sceglie come rispondere alle specifiche situazioni, in particolare dopo averle interpretate e decodificate in maniera personale, ciascuno determina se e in che misura compiacere o ribellarsi alle aspettative. Qualora tale atteggiamento venisse assunto in maniera costante e pervasiva, potrebbero derivarne importanti manifestazioni dell’agire iperadattato e ipermaturo. Interessa evidenziare che, a livello intrapsichico, l’iperadattamento e l’atteggiamento ipermaturo muovono pur sempre dal considerare inadeguato il proprio sé o alcune importanti componenti. Il proposito di effettuare delle “sostituzioni” o delle “trasformazioni”, si può scorgere con una certa evidenza nel caso di seguito proposto. Arturo, ventiseienne chiede aiuto per via della confusione e dell’ansia da cui si sente divorato quando deve effettuare delle scelte. Rileva di non riuscire nemmeno a comprare degli abiti senza l’assistenza di qualcuno. Arturo sembra rivelare di non potersi fidare di sé e del proprio giudizio. Al contrario, ritiene di dover assumere quello di qualcun altro. Si tratta di un atteggiamento che si può interpretare come l’esito di alcuni processi che affondano le radici nella paura di sbagliare e di deludere le persone significative. Lo stile di vita che si fonda sulla svalutazione del sé difficilmente risulterà vincente o soddisfacente. L’individuo autentico vive nella realtà, prende atto di ciò che è, dei propri limiti, delle proprie potenzialità e delle proprie risorse. Invece di trasformarsi, di apparire pur di guadagnare amore, semplicemente accetta di essere sé stesso. Di conseguenza raramente avrà paura di pensare, sentire e agire, l’autenticità rappresenta un presupposto fondamentale alla base della spontaneità e della naturalezza. 85 1.2 Considerazioni sulle descrizioni di copione Le descrizioni di copione offerte da Berne sono stata rivisitate, integrate e variamente criticate. Tra le proposte volte ad apportare integrazioni si può citare quella di Novellino che concepisce il copione come: quel piano di vita che è basato sulle decisioni che un individuo può prendere a ogni tappa del suo processo evolutivo, le quali, limitando la sua consapevolezza, inibiscono la spontaneità e che sono basate a loro volta su convinzioni rigide e distorte. Tra le posizioni critiche si può innanzitutto indicare quella di Cornell: la teoria del copione è diventata più limitante. L’incorporazione della teoria evolutiva dentro la teoria del copione è stata troppo spesso semplicistica e inaccurata, ponendo l’accento primariamente sulla psicopatologia piuttosto che sullo sviluppo psicologico. Si può richiamare il contributo di English che afferma: io applaudo il coraggio di Cornell che ha messo in discussione i principi restrittivi su cui è costruita l’attuale teoria del copione. Anch’io ho notato con preoccupazione quanti terapeuti determinano copioni angusti e dal ridotto margine d’azione. Una prima istanza che si può desumere dalle riflessioni offerte da Cornell e da English è di evitare di assumere in maniera sconsiderata sia la supposizione secondo cui il copione risulterebbe determinato dagli stimoli esterni, il piano di vita diventerebbe una specie di pilota automatico che tende a sostituirsi al soggetto. Al contrario è preferibile assumere che la descrizione delle situazioni oggettive costituisce pur sempre l’esito dei processi di costruzione realizzati da ciascun individuo. Dal contributo di English si può derivare inoltre l’invito a non dimenticare che le riflessioni sul copione non possono contrastare con alcuni dei presupposti assunti dall’Analisi Transazionale, secondo cui l’uomo sarebbe un essere ricco di qualità e di risorse e quindi capacità uniche per fronteggiare le avversità della vita, per superarle. Secondo la proposta iniziale di Berne il piano di vita sembrerebbe costituire per lo più un fenomeno di corruzione dell’originario progetto di sé, basato su credenze distorte, tra i tentativi volti ad arginare tale propensione si può segnalare il contributo di Romanini che suggerisce di interpretare il copione come un piano fisiologico che implica pur sempre degli adattamenti creativi all’ambiente. Il copione e le ingiunzioni e le spinte che lo contrassegnano si possono interpretare come piani e costellazioni di schemi difensivi più o meno efficaci. 2. Ripetitività, distruttività e piano di vita Il copione rappresenta un programma variamente articolato e precostituito, in certi casi si rileva una specie di tendenza ad avviarlo e ad attualizzarlo fino al suo epilogo, in maniera automatica e ripetitiva. Si tratta di proprietà che meritano di essere esaminate anche perché sembrerebbero contrastare con alcuni presupposti alla base dell’Analisi Transazionale l’essere umano sia ricco di potenzialità, abbia molteplici opzioni e sia capace di responsabilità e di autodeterminazione. Alcuni elementi contenuti nelle descrizioni di copione proposte in prima istanza da Berne sembrano sottendere una concezione sostanzialmente passiva e reattiva dell’uomo, in particolare quando afferma che l’individuo realizzerà il suo copione perché gli è stato inculcato a forza dai genitori, agisce come il nastro di un computer. 2.1 Copione e comportamenti scenici nei contesti educativi A proposito della ripetizione, Berne afferma: il copione appartiene al regno dei fenomeni di trasfert, più propriamente un adattamento di reazioni ed esperienze infantili: esso però non si occupa semplicemente di una reazione, è un tentativo di ripetere in forma derivata un intero dramma. È un fatto che non sempre i bisogni degli allievi ottengano le risposte auspicate, nonostante permangono per anni. Educatori ed educandi si impelagano spesso in una serie di dinamiche sterili, meccaniche e riduttive, che lasciano inalterate le situazioni complesse. 86 Al fine di comprendere al meglio la distruttività e la ripetitività si ritiene utile chiamare un caso di un bambino di nome Andrea. Il percorso di avvia quando quest’ultimo ritornando a casa, riferisce ai genitori che il compagno Giorgio lo avrebbe picchiato di santa ragione. La madre di Giorgio si reca a scuola per capire come siano effettivamente andate le cose. La conclusione generale è che quanto riferito da Andrea non sia mai successo e costituisca un’invenzione. A dire il vero Giorgio lo aveva preso in giro, ma di certo non lo aveva sfiorato. Andrea viene severamente punito dai genitori, i compagni reagiscono evitandolo, escludendolo ed emarginandolo. Andrea sembra perseguire proprio quanto vorrebbe evitare, ovvero essere emarginato e ripudiato. Desidererebbe essere accolto e accettato ma teme che, prima o poi verrà respinto. Senza accorgersene Andrea inizia a ridefinire e ad alterare la descrizione delle situazioni, contrassegnato dal dramma dell’abbandono subito dai genitori naturali, più precisamente nell’intento di guadagnare accettazione e sostegno. Quando un evento sconvolgente, caratterizzante la storia passata, non è stato adeguatamente elaborato, è possibile che riappaia nelle relazioni. Andrea tende a rimettere in scena pattern relazionali difensivi che, paradossalmente determinano ancora una volta il trauma avversato. Il comportamento di Andrea si può considerare scenico, i comportamenti scenici rappresentano una sorta di riedizione di dinamiche automatizzate tipiche del passato e realizzate nel presente, determinando relazioni analoghe a quelle originaria vissuti con gli adulti significativi. Possiamo classificare tre tipici comportamenti scenici: 1. Il primo è di tipo “Id” e caratterizza un rapporto in cui l’allievo proietta sull’educatore i suoi bisogni infantili insoddisfatti. 2. La seconda forma è di tipo “Super – Io” e si realizza quando gli allievi proiettano sull’interlocutore talune esperienze irrisolte legate alle figure significative. 3. Il terzo è di tipo “Io” e si realizza quando viene attribuita alle figure significative una specie di funzione di Io ausiliare. In particolare, gli allievi si possono identificare con l’educatore, che diventa una specie di riferimento di importanza basilare. Riscontrando ripetutamente di non essere accettato, l’educando potrebbe consolidare ulteriormente l’idea di essere spregevole, cattivo e continuare a regolarsi di conseguenza. Il sé è paurosamente vulnerabile, nel caso di Andrea, costituisce una specie di occhiale che lo porta a interpretare, a sperimentare e a narrare la realtà in un modo anomale, rispetto a quello comunemente condiviso dalle persone con cui interagisce. Per quanto concerne l’intervento educativo è necessario, in casi del genere, fornire risposte efficaci alla necessità di recuperare il proprio sé, evitando accuratamente interventi che potrebbero ulteriormente disconfermarlo o evitando percorsi che potrebbero alienarlo. Risultano particolarmente appropriati i messaggi di stima incondizionata, ovvero quelli rivolti all’essere, più che al fare, al saper fare e all’essere competenti. Si tratta di riconoscimenti gratuiti, di interventi comunicativi indipendenti dall’agire dell’educando, che vengono somministrati semplicemente perché egli esiste e non per quello che fa. 2.2 Distruttività, ripetitività e valenza difensiva del copione Taluni studiosi assumono che, quando più le esperienze infantili siano state traumatiche e penose, tanto più è facile che abbiano il potere di riaffiorare, di riemergere. Secondo una prima interpretazione la distruttività e la coazione a ripetere rappresenterebbero la diretta manifestazione dell’istinto di morte. È utile ricordare che Freud fu costretto a riesaminare le sue supposizioni in tema di distruttività in seguito allo scoppio della Prima guerra mondiale. 87 L’aggressività e la violenza che la contraddistinsero contrastavano tremendamente con principio del piacere, in precedenza da lui identificato e concepito come il nucleo regolatore dell’agire umano. La dissonanza riscontrata indusse lo studioso a rivedere radicalmente le sue considerazioni, fino a pervenire alla drammatica conclusione che la stessa vita sia al servizio della morte. Le supposizioni cui perviene Freud risultano coerenti con la concezione antropologica pessimistica assunta, che considera l’uomo vittima degli impulsi e delle tendenze autodistruttive. È opportuno richiamare brevemente la distinzione tra conoscenza dichiarativa e conoscenza procedurale, la prima dichiarativa riguarda il sapere “cosa” e comprende fatti, eventi, teorie. È conservata nella memoria a lungo termine; la conoscenza procedurale riguarda il sapere “come” fare qualcosa, rappresenta una forma di conoscenza più dinamica e più prossima alla realtà, rispetto a quella dichiarativa quando viene attivata ne deriva un riconoscimento di forme, una sequenza di azioni, che implica una trasformazione una modifica della realtà. Ne consegue la tendenza a evocare tali esperienze non tanto raccontandole, quanto rimettendole in scena, le esperienze che tendono a essere rimesse in scena sono quelle rimaste aperte e irrisolte. Il bambino vittima di un’esperienza negativa, traumatica come Hitler potrebbe ripromettersi di diventare forte potente rinnegando le proprietà tipiche del bambino, ovvero la vulnerabilità, la fragilità, l’ingenuità. Da decisioni del tipo indicato, che hanno contrassegnato il copione dei dittatori menzionati, consegue con facilità il proposito di mantenere il controllo ad ogni costo, anche eliminando fisicamente quanti potrebbero rappresentare qualche minaccia. La speranza è che nessuno potrà torcere loro nemmeno un capello. Diventa chiaro che il copione costituisce piani d’azione cronicizzati volti a prevenire o ad affrontare al meglio le difficoltà attese. Il fatto di ripetere e di rimettere in scena risulta funzionale all’intento di appagare i bisogni disattesi. Costituisce un modo di prepararsi, di addestrarsi al punto di rassicurare sé stessi di poter avere successo nei tentativi volti a fronteggiare le questioni originarie e future. 2.3 Percorsi di copione tra fuga e attacco Le decisioni volte a fronteggiare una determinata esperienza traumatica sembrano variare lungo il continuum “fuga vs. aggressione – attacco”. L’emozione primaria che dà vita all’attivazione delle condotte aggressive è la rabbia, che raramente si presenta allo stato puro, è accompagnata da altri sentimenti. Al riguardo Johns osserva che la rabbia costituisce pur sempre un sentimento di copertura della paura. A suo parere i sentimenti essenziali che costituiscono la matrice degli affetti umani sono due: paura e speranza, la prima riduce le possibilità decisionali, la seconda aumenta le opportunità di trovare ulteriori spazi per pensare, agire, sentire. Per quanto attiene alla relazione tra rabbia e paura, alcuni studiosi affermano che una persona giunge ad odiare chi teme; infatti, secondo alcune ricerche condotte sugli animali dimostrano che un soggetto in gabbia, di fronte a un pericolo, solitamente tende a fuggire, ma quando questo non è possibile e non può liberarsi dalla minaccia è portato ad assalire prontamente e spietatamente l’avversario. In tal senso l’attacco, la distruttività si verifica quando l’animale non possa fuggire, e allora combatte. È intuitivo scorgere la paura abnorme dietro alla distruttività che caratterizza taluni copioni come Hitler. Ora sebbene paura e rabbia, fuga e attacco, risultino inestricabilmente connessi, la reazione difensiva manifesta risulta abnorme rispetto alla situazione oggettiva da fronteggiare. Per comprendere l’amplificazione è necessario incentrarsi sulla minaccia interna, ovvero su quella percepita, interpretata e vissuta dal protagonista, più che su quella osservabile. 90 Dopo averle comprensione, chi scrive le fa presente che se l’avesse comunicato in tempo utile, l’università le avrebbe affiancato un tutor per assisterla durante l’esame. Prontamente Simona controbatte “non, non voglio fare pubblicità”, tutta la vita non ha fatto altro che combattere per riuscire a fare quello che fanno gli altri. Ho fatto di tutto per compensare il mio disturbo e ci sono riuscita! Lei non ha idea di cosa vive un DSA. Per comprendere e intervenire sui disturbi specifici dell’apprendimento i docenti possono trovare utili riferimenti a partire dalla Legge 170, del 2010, possono richiedere un approfondimento specialistico, una diagnosi articolata in modo da potere redigere al meglio il piano didattico personalizzato. È necessario agire sul pregiudizio che consiste nel considerare il DSA come una malattia da asportare. Da tale visione può derivare la determinazione di prodigarsi per diventare come gli altri o meglio degli altri. Al contrario occorre educare ciascuno a restituirsi il permesso di essere sé stesso e di prendere atto di quel che è, godendo delle proprie risorse e accettando i propri limiti. Si può concludere ribadendo che, occorre tener conto della persona dell’educando nella sua totalità e rispondere a tutti i bisogni educativi. 91 CAPITOLO 3: PAURE E DISAGIO NEI RAGAZZI OLTREMODO ADATTATI L’agire smisuratamente adattato è generalmente volto a scongiurare che ricorrano o che si ripetano determinate situazioni traumatiche che hanno variamente contrassegnato la storia passata. L’educatore è tenuto a rispondere a tutti i bisogni educativi a prescindere dai segnali esterni. 1. Espressioni che designano talune peculiarità dell’agire iperadattato È utile esaminare alcune espressioni utili per definire determinati aspetti dello stile iperadattato. In italiano l’espressione compiacente è ordinariamente utilizzata per esprimere la tendenza ad adempiere le aspettative e i bisogni altrui, ovvero la condotta legata alla volontà di assecondare qualcuno, di piacere e di essere graditi. In determinati contesti si rileva l’utilizzo offensivo del termine lecchino, come il comportamento viscido e servizievole tipicamente assunto per ottenere approvazione o particolari favori. Una seconda espressione utile è quella di “desiderabilità sociale”, è usata per descrivere la condotta tipica di chi intende fare buona impressione o di costruire un’immagine positiva di sé: fornisce risposte non autentiche in sede di esame pur di fare bella figura, pur di apparire migliori rispetto a come si ritiene di essere. Taluni reagiscono come se fossero costantemente sotto esame, accentuando la propensione a esibire le qualità positive di sé. È possibile identificare due percorsi comportamentali tipici nell’agire degli educandi che si prodigano per costruire un’immagine positiva di sé. Il primo stile si caratterizza per il tentativo di eludere le eventuali reazioni negative dell’interlocutore, impressionandolo tramite qualità e successi personali. Nel secondo caso si può scorgere il tentativo di tutelarsi evitando le situazioni poco protettive, analizzando attentamente le reazioni dell’interlocutore, intercettando le sue aspettative e conformandosi ad esse. L’educando tende costantemente a sintonizzarsi sugli altri, li osserva, li scruta, li ascolta nell’intento di cogliere la pur minima reazione critica nei suoi confronti. Secondo Winnicott il sé origina da una condizione iniziale di frammentazione, e per fronteggiarla al meglio, il bambino avrebbe necessità di ottenere determinate risposte positive, rassicuranti e non frustranti. Il supporto attento, autentico e rispettoso incoraggerebbe lo sviluppo del vero sé. Il falso sé sarebbe correlato a una particolare alterazione dell’interazione madre-bambino fondata sulla richiesta di diventare accondiscendente e compiacente come condizione per essere accettato. 2. Manifestazioni e forme dell’agire iperadattato Ci si propone di focalizzare l’attenzione sui diversi modi di assecondare e ci compiacere le aspettative altrui e delle persone significative, assumendo come quadro di riferimento il modello proposto nell’ambito dell’Analisi Transazionale, si possono identificare cinque modi tipici di compiacere in maniera smisurata: sbrigati, compiaci, sii forte, sforzati, sii perfetto. 2.1 Ritrosia, inibizione e perfezionismo Uno dei modi in cui si manifesta l’iperadattamento è rintracciabile nell’agire tipico di chi assume un atteggiamento esageratamente educato, attento, controllato che può tradursi nella ritrosia, nell’inibizione, nel blocco. Alcuni allievi preferiscono rimanere in disparte mentre i compagni parlano, discutono, urlano, altri evitano di alzarsi dal posto, altri evitano di esprimere le proprie opinioni o di manifestare i loro vissuti. 92 Cominciando a integrarsi nel gruppo via via gli educandi iniziano a comportarsi in maniera più spontanea, mentre altri continuano a mantenere gli atteggiamenti tipici delle fasi iniziali. Un esempio dello stile inibito e controllato: Luca 9 anni, frequenta la quinta classe della scuola primaria, presenta rendimento scolastico medio – alto e risulta relativamente integrato nel gruppo classe. Il suo stile si caratterizza per lo smisurato atteggiamento di bravo bambino, in particolare sta attento a evitare di disturbare, di parlare con i compagni e cerca più che può di rimanere seduto composto. Una delle maestre decide di liberarsi di alcuni alunni della sua classe, che presentano difficoltà di apprendimento. Pertanto, dopo aver fatto quanto dovuto dal punto di vista burocratico ed essersi accordata con il dirigente con i colleghi, convoca i genitori per proporre loro di scrivere i figli in altre classi. Uno dei bambini che la maestra intende mandare via è Giorgio, amico e compagno di banco di Luca. Per Luca la vicenda si rivela angosciante, sia per la perdita del compagno cui è particolarmente legato, sia perché teme che la medesima sorte possa toccare anche a lui. Pertanto, chiede alla maestra: manderai via anche me? Sorpresa l’insegnante risponde: non stai tranquillo, tu mi servi. Luca ritorna a sedere sollevato. In realtà però da quel momento comincia ad avere problemi di concentrazione che pregiudicano il rendimento scolastico. Le parole della maestra vengono decodificate come inviti diretti a potenziare lo stile iperadattato. Un atteggiamento del tipo descritto presenta delle controindicazioni. La prima è che possa essere considerato appropriato e quindi da sostenere. La seconda è che possa essere con facilità notato e strumentalizzato dagli adulti significativi, analogamente a quando accaduto nel caso riportato. È importante cogliere che dietro l’inibizione e il perfezionismo è ordinariamente presente la paura delle conseguenze che potrebbero derivare dal comportarsi in modo difforme rispetto a quanto immaginato dalle persone significative. A prima vista sembrerebbe trattarsi di persone più educate, più diligenti, in realtà hanno soltanto più paura. Anche da adulti alcuni persistono nel mantenere atteggiamenti incongrui ed esageratamente adattati, le esagerazioni e le amplificazioni sono legate all’esperienza passata. Pur di evitare di sbagliare alcuni stabiliscono di non fare nulla e quindi trasformano l’inibizione in inazione: blocco di opzioni. Ad esempio: Guido 25 anni single lavora in proprio occupandosi di una piccola attività commerciale. Dichiara di essere insoddisfatto del lavoro che svolge e di sentirsi scontento per non aver potuto realizzare la professione che avrebbe gradito. Precisa che fin da bambino si dilettava a disegnare e a dipingere. Dopo la scuola media il padre lo iscrive in un istituto tecnico industriale anziché al liceo artistico. Il ragazzo sembra accondiscendere. Ma in realtà inizia a ribellarsi evitando di studiare, di farsi interrogare e quindi facendosi respingere. Viene respinto per ben due anni, e dopo averlo punito nuovamente il genitore lo iscrive in una scuola parificata pur di fargli conseguire il diploma di perito industriale. Il ragazzo persiste nell’atteggiamento ribelle continuando a non studiare fino al punto di abbandonare definitivamente la scuola. Attualmente Guido non ha una famiglia, non ha amici, non ha una relazione. Ritiene che uno dei suoi incubi sia l’indecisione cronica, rileva di sentirsi spesso agitato, di trascorrere le notti a pensare e ripensare, alzandosi rimettendosi a letto in maniera automatica. Com’è possibile ridursi come Guido? Guido ha subito per anni l’atteggiamento intollerante del padre. In lacrime racconta che, quando frequentava la prima classe della scuola primaria, il papà si arrabbiava in maniera spropositata in occasione di errori da lui commessi. Concretamente occorre prodigarsi per attenuare la pressione al rendimento, promuovendo climi relazionali costruttivi, meno formali e meno ansiogeni e insegnando che sbagliare è umano. Un intervento utile può essere di invitare gli allievi a riflettere su come utilizzare gli sbagli in maniera produttiva, ad esempio scorgendovi i risvolti positivi. Un secondo intervento valido consiste nel suggerire agli allievi di riflettere sulle importanti scoperte fatte grazie a degli errori. 95 Sentendosi in colpa lui decide di tornare a casa e da quel momento cede completamente sotto il controllo insostenibile della moglie. Non meraviglia che una persona come Alessandra supponga che l’unico modo di mettere confini consiste nell’evitare radicalmente le situazioni pericolose. Chi si illude di risolvere le questioni relazionali cambiando ripetutamente il partner, si giudica immutabile e pensa che il suo benessere dipenda unicamente dall’altro, dimenticando di esaminare cosa faccia di solito e cosa possa fare di diverso per costruire una relazione soddisfacente. Dinanzi a comportamenti contrassegnati dall’ambivalenza tra il dover fare e il non voler fare, che si traduce lo sforzo di tentare e di ritentare, l’educatore può intervenire facendo sì che vengano terminati. L’educatore può intervenire semplicemente invitando l’alunno a terminare quando ha iniziato. Ad esempio, può invitarlo a completare le frasi lasciate incomplete. Può attivarsi per evitare che l’allievo inizi malvolentieri attività che non desidera pensando di compiacere qualche figura significativa. Alcuni comportamenti a rischio che caratterizzano lo stile docile – ribelle: • Accoglie le richieste altrui, pur non avendo voglia. • Si conforma alle aspettative altrui. • Assume compiti e impegni non richiesti. • Tende a caricarsi di impegni e poi parla male degli altri. • Si isola ed evita di stare con gli altri. • Lascia incomplete delle frasi quando parla e comunica. • Arriva in ritardo. • Evita di portare a termine quanto richiesto e quanto previsto. 2.4 L’esibizione di forza energia e vigore Un altro modo di conformarsi alle aspettative delle figure significative consiste nel mostrarsi forti, vigorosi, energici, nonostante il dolore, la sofferenza, la malattia, si adempia ai propri impegni. Ovviamente in determinati momenti la capacità di essere forti risulta vantaggiosa, funzionale, utile. Può perfino costituire una virtù. Al contrario, viene esibita questa forza nell’intento di compiacere talune aspettative degli altri, pur di ottenere elogi e riconoscimenti, pur di essere accettati ed evitare rifiuti. Si tratta di un atteggiamento che rappresenta una maschera per nascondere alcune parti di sé, da taluni ritenute improprie o poco gradite. Alcuni si negano il permesso di vivere e di esprimere la paura, anche nei casi in cui sia appropriata. Altri non si danno il permesso di provare la tenerezza, altri non possono permettersi di star male e di ricevere cure, perché ciò contrasterebbe col proposito di dover essere forti sempre e comunque. Dal punto di vista educativo è necessario effettuare degli interventi volti alla promozione e alla riappropriazione di quelle parti di sé attenuate. Al di là dell’allievo che esibisce forza si può ipotizzare una storia passata contrassegnata da vulnerabilità, fragilità, malattia e paura. Il docente potrebbe intervenire proponendo e inventando degli esercizi in cui dopo aver invitato gli alunni a sedere in coppie, potrebbe proporre loro di rispondere a turno a questioni del tipo: • Mi faccio male cadendo. Cosa penso, cosa sento, cosa faccio? • Ricevo una critica tagliente. Cosa faccio, cosa sento, cosa penso? L’insegnante potrebbe aiutarli a identificare i sentimenti più comuni manifesti e nascosti. 96 In particolare, quanti presentano delle difficoltà con un sentimento potrebbero essere invitati ad assumere ruoli di personaggi che si permettono di sentirlo, di usarlo, di esprimerlo, vengono così facilitati nel riappropriarsi di taluni sentimenti negati e questo può stimolare opportunatamente la promozione della alfabetizzazione affettiva. Alcuni comportamenti tipici della tendenza ad esibire forza e vigore in maniera persistente, possono essere: • Nasconde alcuni tratti come tenerezza, paura, tristezza. • Evita di chiedere aiuto. • Si mostra forte ed energico. • Evita di lamentarsi di piangere. • Appare determinato e sicuro di sé. • Si sforza di sorridere anche quando soffre. 2.5 Fretta e sollecitudine Un’altra modalità per conformarsi alle aspettative delle persone significative consiste nel mostrarsi agili, veloci, celeri. Ora in alcuni casi risulta opportuno sbrigarsi, il dramma si realizza quando la fretta diventa una specie di obbligo. In particolare, vi sono alcuni che parlano in fretta, mangiano in fretta, si impongono di fare le cose con rapidità. Ad esempio, una signora preoccupata per il figlio che impiegherebbe troppo tempo per fare i compiti. Il problema nasce dal fatto che, essendosi prefissa di aiutarlo, lei rimarrebbe intrappolata accanto a lui pomeriggi interi. Il rendimento scolastico del bambino non sarebbe male. È evidente la pretesa che il bambino si trasformi diventando veloce, rapido, svelto. Si sente sempre più angosciato fino al punto di chiedere: mamma se non riesco a diventare veloce tu mi vorrai bene?, e continua: la mia compagna mi ha detto che, se accendiamo una candelina, esprimiamo insieme il desiderio e poi la spegniamo, dopo guarisco!. Alla base è presente l’idea di essere difettosi e di doversi in qualche modo trasformare conformandosi a un modello ideale di bambino, di studente. Dal punto di vista educativo è necessario controllare se il linguaggio utilizzato, l’atteggiamento assunto, le espressioni usate tendono a incoraggiare la fretta. In secondo luogo, si può agire sulla capacità degli alunni di organizzare il proprio tempo. Alcuni indicatori della fretta, di cui si può tener conto in classe, possono essere: • Interrompe l’interlocutore per completare le frasi al posto suo. • Mangia velocemente e in fretta. • Parla e comunica in fretta. • Invita gli altri a sbrigarsi. • Si mostra agitato, per paura di non arrivare a fare in tempo le cose. • Si mostra agitato e continua a muoversi quando sta seduto. 3. Osservazioni conclusive Il fine dell’educazione è di aiutare ciascuno a liberarsi dai condizionamenti a conquistare la capacità di scegliere in maniera consapevole, libera, responsabile. L’atteggiamento smisuratamente adattato implica una serie di pattern comportamentali apparentemente utili, appropriati socialmente accettabili. Invero se interiorizzati e realizzati in maniera esagerata, oltre a risultare avvilenti, tali percorsi si rivelano illusori, distruttivi. 97 CAPITOLO 4: RIFLESSIONI SULLA TENDENZA A UBBIDIRE IN MANIERA CRONICA E INVETERATA 1. La docilità nei crimini contro l’umanità Eichmann, tenente – colonnello, ha svolto un ruolo determinante nel Terzo Reich, occupandosi dei trasferimenti degli ebrei nei lager e nei campi di sterminio. Dopo quindici anni di latitanza viene arrestato e condotto a Gerusalemme per essere processato e condannato. Viene giustiziato per impiccagione. Durante il processo Eichmann tenta di difendersi affermando di essersi unicamente limitato a obbedire agli ordini che gli erano stati impartiti. Spiega che non si sarebbe sentito a posto se non avesse fatto quanto gli era stato ordinato. Il profilo che affiora è quello di un uomo comune, piccolo piccolo, che realizza atrocità come se nulla fosse, trasformandosi in un docile strumento di morte. Eichmann e altri personaggi hanno avuto un ruolo determinante nel compimento dell’olocausto: la tendenza a ubbidire senza riserve. 2. L’ubbidienza cieca in un celebre suicidio di massa Uno degli esempi più drammatici di obbedienza cieca si può intravedere in quando accaduto il 18 novembre 1978, nella giungla della Guyana in cui Jim Jones, leader di una setta religiosa americana ordinò ai fedeli di suicidarsi. Il proposito era di costruire una specie di paradiso terrestre realizzando un progetto comunitario basato su un mix di principi desunti dal cristianesimo e dallo stalinismo. Tuttavia, quando Jones istituisce il corpo armato di polizia, introduce i lavori forzati e la tortura per le più banali violazioni delle innumerevoli prescrizioni, il sogno di molti fedeli si frantuma irrimediabilmente. 913 Fedeli muoiono assumendo una bevanda a base di cianuro o vengono uccisi dalle guardie di Jones. 276 sono bambini e minori. Il fatto drammatico è che alcune mamme secondo alcune testimonianze abbiano avvelenato i loro figli. Un ruolo importante nel determinare il suicidio di massa, l’hanno avuto l’iperadattamento e l’abitudine all’obbedienza radicata, cronica da parte dei fedeli. 3. L’ubbidienza in alcuni esperimenti classici Milgram psicologo sociale intende verificare se e fino a che punto fosse possibile che Eichmann e i nazisti si fossero limitati a eseguire gli ordini. Il campione usato per la ricerca era costituito da individui di età compresa tra i 20 e 50 anni, maschi, di appartenenza socioculturale varia. L’avviso usato per reclutarli, pubblicato su un giornale locale, riferiva della partecipazione a uno studio sulla memoria e sull’apprendimento, a fronte di un compenso. Tramite un’estrazione a sorte venivano attribuiti i ruoli di allievo e di insegnante a ciascun partecipante. Di fatto, il soggetto ignaro del trucco veniva ogni volta sorteggiato come docente e il complice dello sperimentatore come studente. Il soggetto che fungeva da insegnante era invitato a disporsi davanti al quadro di controllo di un generatore di corrente elettrica, comprendente trenta interruttori. Sotto ciascuna levetta era indicato il voltaggio, che variava da 15 a 450 volt. Al soggetto che assumeva il ruolo di insegnante veniva fatta provare una scossa elettrica di 45 volt, in modo che si convincesse che non vi erano trucchi. Gli venivano indicati i suoi compiti: leggere all’allievo delle coppie di parole; ripetere la seconda parola di ogni coppia e accompagnarla con quattro associazioni possibili; stabilire se la risposta dell’allievo fosse corretta; nel caso in cui non lo era, infliggere una punizione aumentando l’intensità della scossa. Il soggetto che assumeva il ruolo di allievo veniva legato a una specie di sedia elettrica.