Scarica PEDAGOGIA - RIASSUNTO MANUALE SIMONE - CONCORSO STRAORDINARIO 2023 -2024 e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Pedagogia solo su Docsity! PEDAGOGIA Il termine pedagogia deriva dal greco παιδαγογια (generare bambini, procreazione), da παιδος (paidos: bambino) e αγω (ago: guidare, condurre, accompagnare). Con il termine si intende la disciplina che studia i processi dell’educazione e della formazione umana. FONDAMENTI DI PEDAGOGIA GENERALE E STORIA DEI PROCESSI FORMATIVI 1. DALLE ORIGINI ALL’ETA’ MEDIEVALE: Linee fondamentali della storia dell’educazione e della pedagogia occidentale dalla nascita della scrittura ai sistemi formativi contemporanei. Principali autori e tematiche della pedagogia classica, cristiana, moderna e contemporanea. Principali modelli educativi e delle istituzioni più coinvolte (famiglia, società, chiese, scuole, collegi e università, movimenti). La pedagogia come riflessione scientifica sul problema dell’educazione o della formazione dell’uomo, si afferma in Grecia con i sofisti, che vogliono promuovere una cultura utile, fatta di conoscenze di vario genere (polymathia) e di quelle abilità dialettiche e retoriche di immediata efficacia pratica nella vita pubblica. Con la nascita della polis, trapassa a riflessione interna alla politica e dunque si occupa della formazione del cittadino. Platone inizia la propria riflessione filosofica (e pedagogica) a partire dalla constatazione che la polis ateniese è in crisi e occorre formare uomini nuovi per una polis rinnovata secondo un modello ideale. Aristotele fa pedagogia riflettendo sulle forme di governo possibili o auspicabili; Isocrate costruisce un progetto educativo che affida ai nuovi orizzonti dell'ellenismo. Roma non conta nessun pensatore che abbia fatto oggetto di indagine la sua intuizione educativa. Quando con Cicerone, e poi sotto l’Impero con Quintiliano, si prendono a dibattere i problemi dell’educazione, lo si fa alla luce di un pensiero che non affonda le sue radici nella tradizione indigena. L’unica opera organica sui problemi tecnici dell’educazione e dell’istruzione della letteratura romana sono le Institutiones oratoriae di Quintiliano, che si propone di tracciare le linee di una sistematica educazione del futuro oratore, vir dicendi peritus, che incarna l’ideale civico-retorico dell’età imperiale. Con il cristianesimo il problema dell’educazione veniva posto su basi nuove. L’amore e la dedizione diventano le virtù capitali della nuova comunità e l’imitazione del Cristo, che per amore ha affrontato il supremo sacrificio, diventa il caposaldo di ogni educazione cristiana. L’uomo ha il dovere di impegnarsi a fondo nel dramma dell’esistenza. Nel De Magistro, Agostino afferma che “C'è un unico vero maestro, il Christus docens; egli non è però un estrinseco modello da imitare, ma una fonte interna di perenne rivelazione. Gli altri maestri possono unicamente stimolare e aiutare chi è disposto ad ascoltare questa profonda voce interiore”. Con l'avvento del Cristianesimo la pedagogia, pur non trascurando la riflessione politica, trasferisce il proprio interesse sulla dimensione religiosa dell'educazione, e giunge ad ancorarsi alla teologia. Al tramonto del primo millennio dell'era cristiana, possiamo ricondurre la caratterizzazione della società medievale a due immagini per così dire esemplari: l'immagine dell'incastellamento, e l'immagine della disseminazione di monasteri e abbazie in tutta l'Europa. MONACHESIMO, testimonianza di una diffusa tensione ascetica che interpreta l'anima profonda delle prime comunità cristiane e attraversa ampiamente cultura e società. La revisione critica dell'agostinismo (dominante per tutto il medioevo) adempie, per così dire, alla stessa funzione di cambiamento prodotto dagli eventi della storia. Dopo il pensiero di san Tommaso, il mondo della cultura non ha più l'ordinamento piramidale dei secoli precedenti, apre spazi di autonomia alla filosofia, alla teologia, alla politica e alla stessa pedagogia. In particolare: Viene meno il rapporto di dipendenza della politica dalla religione, dello Stato dalla Chiesa, teorizzato da Agostino, con la posizione del «bene comune» a oggetto proprio della politica. 2. DALL’UMANESIMO AL POSITIVISMO: II Rinascimento, preparato dalla speculazione umanistica (secondo l'interpretazione tradizionale, infatti, l'Umanesimo precede il Rinascimento e consiste nel rifiorire delle humanae litterae) ha segnato il passaggio dell'età medievale all'età moderna, ponendo al centro dell'universo l'uomo: al regnum Dei, cui è unicamente rivolta l'ansia del Medioevo, subentra la concezione rinascimentale del regnum hominis. Le humanae litterae e gli studia humanitatis sono considerati strumenti che formano l'uomo completo; le arti libere sono considerate esse stesse «liberatorie». L'Umanesimo ha posto, infatti, a fondamento della propria concezione il primato della volontà e della dignità. La centralità dell'individuo, la consapevolezza della sua unicità, hanno determinato l'affermarsi di criteri dell'educazione che possiamo già definire moderni: aderenza alla psicologia dell'alunno, gradualità, stimolo positivo. È stata, inoltre, riconosciuta la «specificità» del bambino, non più considerato come un «piccolo adulto»; si è cominciato, così, a creare materiali didattici, giochi e abiti adatti all'infanzia. si sono modificati anche le strutture scolastiche, i rapporti tra le discipline e i programmi: il latino si studiava come «lingua viva», con riferimento a opere precise; la disciplina si fondava (non più solo sulle punizioni corporali) sulla comprensione maestro scolaro e si adeguava alla personalità dell'allievo; accanto all'élite, si cominciavano ad accogliere, nelle «scuole libere» (che venivano aperte nelle varie regioni) anche gli appartenenti alle classi meno agiate; l'importanza degli studia humanitatis ai fini formativi; la rivalutazione della fisicità. Francesco Petrarca (1304-1374) ha inaugurato, con le sue opere, la stagione dell'Umanesimo letterario. è stato il primo a sintetizzare il pensiero educativo dell'Umanesimo, affermando che l'uomo diviene tale attraverso la costruzione morale di sé che realizza nella cultura. si è occupato soprattutto dell'educazione degli adulti, intesa come autoformazione che si realizza attraverso lo studio delle opere letterarie degli antichi che diventano il metro di paragone per confrontarsi con se stessi. ha inteso ha cultura come cura animi, ossia come strumento mediante il quale l'uomo, penetrando nella sua interiorità, costruisce la propria moralità. Pier Paolo Vergerio (1370-1444) è stato uno dei maggiori teorici dell'insegnamento umanistico. Nel libretto De ingenuis moribus ac liberalibus studiis adulescentiae libellus, composto per il principe Ubertino da Carrara, la formazione del principe, è basata sull'impegno educativo dei genitori (essi hanno tre compiti: dare ai figli un nome nobile e conveniente, insegnare loro le buone arti e, infine, educarli in città illustri) e su un'educazione liberale. Rappresentativa dello spirito umanistico è stata anche la scuola giocosa o la «Zoiosa», creata a Mantova da Vittorino da Feltre (1373-1446); essa era fondata su tre presupposti: ingenium, doctrina, exercitatio. I giovani dovevano, apprendere le arti in forma ludica. Vittorio è stato tra i primi educatori dell'Umanesimo a considerare il gioco come libera manifestazione delle attitudini del fanciullo e del giovane. La sua concezione pedagogica si fondava su una chiara sintesi del messaggio cristiano e del pensiero educativo classico. Dunque gli alunni della «Casa giocosa» erano educati con una pratica severa e amorosa, animata da un profondo senso religioso della vita; lo studio era alternato al gioco e a esercizi fisici. Il corso era diviso in grammatica, dialettica e retorica. Guarino Guarini (1374-1460) fondò un Collegio a Ferrara, che ottenne il riconoscimento imperiale come università, ove egli operò sino alla morte. L'educazione ha, il solo scopo di «rendere l'uomo partecipe di umanità». per Guarini l'essere partecipe di umanità consiste in un «tutto armonico» da perseguire attraverso gli esercizi ginnici e quelli per la mente. Spetta ai genitori e poi al maestro il compito di guidare i bambini verso questo percorso. Il pedagogista ha sottolineato l'importanza della preparazione dei maestri. La Scuola di Ferrara comprende tre corsi: corso elementare (lettura, scrittura e approccio alla grammatica latina); corso grammaticale (con due sezioni: metodica e storica); corso retorico (filosofia e retorica). abecedaria, dando importanza, invece, agli studi superiori, in quanto educatori della classe aristocratica. Il corso umanistico era costituito da cinque classi: tre di grammatica, la quarta di humanitas, la quinta di retorica. La cultura umanistica veniva, però, purificata dai contenuti non propriamente religiosi. Nonostante la scuota gesuitica avesse attribuito un ruolo centrale all'emulazione e al possesso personale delle nozioni, si riteneva altrettanto fondamentale lo sviluppo dell'iniziativa e della capacità personale, sollecitando attività di confronto fra gli studenti. L'organizzazione dei collegi presentava caratteristiche, sulle quali si sarebbe istituita la scuola moderna; tra queste, ricordiamo la divisione del lavoro nella direzione scolastica (un Provinciale, un Rettore, un Prefetto agli studi). Le scuole gesuitiche sono state chiuse nel 1773, a causa dell'abolizione della Compagnia; solo successivamente all'età napoleonica, tornando in auge presso i troni, i Gesuiti hanno istituito, nel 1832, una nuova Ratio, che ha dato lustro alla loro tradizione scolastica. Padri Somaschi (ordine istituito da S. Girolamo Emiliani) e i Barnabiti (istituiti da S. Antonio Zaccaria), due ordini fondati tra il 1532 e il 1533 in Lombardia, si sono dedicati all'educazione popolare e all'assistenza ai poveri. Sono state fondate, nel clima della Controriforma, numerose istituzioni per l'educazione femminile, tra le quali ricordiamo quella delle Orsoline (Confederazione fondata a Brescia da Sant'Angela Merici, nel 1535) con il compito di «consolare le verginelle afflitte, istruire le ignoranti, visitare le malate». Carlo Borromeo (1538-1584) ha realizzato numerose iniziative per l'istruzione superiore (ha dato vita a numerosi collegi, creato scuole dedicate all'istruzione dei noveri, istituito la Congregazione degli Oblati, con una precisa missione educativa, fondato il seminario di Milano, ecc.). Le sue convinzioni pedagogiche sono espresse con chiarezza nei tre libri Dell'educazione cristiana e politica dei figlioli (1584), opera scritta da Silvio Antoniano (1540-1603), su richiesta del prelato. ln queste pagine, emblematiche del pensiero rinascimentale in chiave cristiana, vengono ripresi i precetti pedagogici dei Borromeo: il dovere educativo dei genitori, l'importanza della continuità fra famiglia e scuola, la subordinazione fra educazione privata ed educazione pubblica e l'importanza sociale di una ortodossa formazione religiosa. Gli Oratoriani, istituiti da S. Filippo Neri (1515-1595), hanno proposto, invece, una «scuola serena», fondata su un'educazione da attuarsi soprattutto attraverso il gioco, la religione e il canto, con la realizzazione di drammi sacri, detti «oratori». Molto vicina all'esperienza degli Oratoriani è quella degli Scolopi, cioè, la Congregazione dei Padri delle Scuole Pie, nata nel 1597 ad opera di Giuseppe Calasanzio. METODOLOGIA EDUCATIVA DEL 600 La concezione della conoscenza, esposta dal filosofo Francesco Bacone (1561- 1626) nel Novum Organum (1620), ha profondamente inciso sul pensiero pedagogico del mondo protestante. Il filosofo inglese ha sostenuto che la costruzione di un sapere, fondato sull'esperienza e la testimonianza dei sensi, ha il suo presupposto fondamentale nella liberazione della mente dal pregiudizio (gli idolo). Solo mediante un metodo induttivo e sperimentale, da sostituire a quello aristotelico deduttivo, è possibile una conoscenza profonda della natura, tanto da permettere all'uomo di dominarla. La concezione baconiana, sintetizzata nell'espressione «sapere è potere», più rispondente alle esigenze della nuova società borghese, ha avuto profondi riflessi sul piano pedagogico: i curricoli e l'organizzazione scolastica si sono posti come obiettivo la formazione di uomini capaci di agire efficacemente nella propria società. Viene superata la concezione di una formazione religiosa o astrattamente formativa. Nel clima culturale del Puritanesimo inglese, il poeta John Milton (1608-1674), nell'epistola Dell'educazione, ha proposto una riforma dell'istruzione, ossia la fondazione di scuole-convitto (per ragazzi dai dodici ai ventun'anni), che devono fornire un'«educazione completa»: studio delle lingue, dei testi classici, formazione tecnico-scientifica, all'educazione fisica. Secondo Milton, i contenuti devono adeguarsi alle motivazioni degli alunni; devono essere costanti i riferimenti all'esperienza e all'applicazione pratica; l'educazione religiosa, pietas litterata, come riflessione serale. Nella Germania travagliata dalle lotte politico-religiose, Wolfgang Ratke (1571-1635) nel Memoriale (presentato al suo ritorno dall'Inghilterra alla Dieta di Francoforte nel 1612) ha proposto una nuova concezione della scuola e dell'insegnamento, capace di garantire «il benessere di tutta la cristianità»: l'insegnamento deve essere per tutti. COMENIO L'ultimo erede dello spirito religioso della Riforma protestante Jan Amos Komenski (1592-1670), detto latinamente Comenius. è stato il vero innovatore della pedagogia del XVII secolo. Esponente di un naturalismo pedagogico ha ideato un piano organico delle istituzioni scolastiche e della didattica . Ha individuato nella diffusione universale del sapere, «pansofia», una palingenesi dell'umanità: «insegnare è avvezzare tutti a vivere, senza che nessuno dimentichi mai più la dignità e l'eccellenza umana». ha individuato un'arte dell'insegnamento, «arte delle arti», capace di insegnare tutto a tutti. Per Comenio, infatti, dal momento che tutto trae origine da un unico creatore (Dio), è naturale l'unitarietà del sapere che trova in Dio una radice comune (Pansofia). Se è unitario e comune il sapere, anche il metodo di insegnamento deve essere tale. ha affermato, dunque, che tutti, anche le donne, devono avere accesso alle scuole primarie, e che queste devono essere presenti in ogni villaggio o borgata; l'insegnamento deve essere impartito nella lingua madre, in quanto il latino può essere appreso solo da chi conosce bene la propria lingua. Il ginnasio deve, invece, essere presente in ogni città e le accademie nelle maggiori province; a queste ultime è collegato il progetto comeniano di una «scuola delle scuole», cui riserva il compito della ricerca e della divulgazione del sapere scientifico e tecnico. Nella Consultatio cattolica, Comenio ha ampliato il numero delle scuole a otto in base alla necessità di «fare di tutta la vita una scuola». Nelle sue opere ha espresso una profonda meditazione sul problema educativo del suo tempo. Consapevole della generale impreparazione degli insegnanti, ha sottolineato più volte che, affinché sia possibile educare tutti, è necessario migliorare i procedimenti didattici, e la preparazione dei maestri. Il metodo che gli insegnanti devono utilizzare, secondo Comenio, è quello intuitivo: la percezione sensibile è, infatti, non solo il fondamento, ma anche la causa della conoscenza. Il metodo didattico, proposto da Comenio, è ciclico e si sviluppa in quattro momenti (potremmo dire gradi di scuola): 1) Scuola materna (fino a sei anni), dove il bambino deve apprendere, utilizzando libri con figure, gli elementi che saranno ripresi in modo più approfondito nelle fasi successive. 2) Scuola vernacula (dai sette ai dodici anni), dove il bambino impara a leggere, a scrivere, a fare i conti, a misurare, a cantare e ad apprendere la lingua materna, 3) Scuola latina (dai tredici ai diciotto anni) dedicata all'apprendimento delle arti del trivio e del quadrivio. 4) Accademia (dai diciannove ai ventiquattro anni) corrispondente agli studi universitari. Il progetto riformatore, esposto da Comenio nella Didactica, è stato ulteriormente ampliato nella successiva Consultatio catholica, ove lo studioso ha inserito una «scuola del grembo materno», la quale deve precedere la scuola materna, in quanto i bambini, per una positiva accoglienza nel mondo, devono essere educati già nel grembo della madre, creando appropriate condizioni ambientali e igieniche. LE TEORIE EDUCATIVE IN FRANCIA Il filosofo René Descartes (1596-1650), latinizzato Cartesio, nel Discorso sul Metodo (1637), ha compiuto una scelta filosofico-pedagogica molto importante: utilizzando il francese scientifico e non il latino, l'autore si rivolge, potenzialmente, a tutti. Con quest'opera, Cartesio ha fornito a tutti un metodo per guidare la ragione nella ricerca delta verità. Il discorso si apre con un 'aspra critica del curricolo formativo umanistico dei collegi gesuitici: egli ha scritto d'aver tanto studiato (in un grande collegio di Gesuiti) ma di essere riuscito solo a sapere «tante cose», risultato la consapevolezza della propria ignoranza. La filosofia cartesiana poggia sul principio del «dubbio metodico» (rifiuto di ogni verità precostituita). II metodo cartesiano (fondato su quattro regole: l'evidenza, l'analisi, la sintesi, l'enumerazione e la revisione dei passaggi), ha avuto, sul piano pedagogico, conseguenze rilevanti: il primato della ragione deduttiva rispetto all'esperienza (l'evidenza deriva da idee innate, non dai sensi); la centralità, sul piano educativo, della matematica e della fisica, i cui contenuti sono più direttamente collegati con la ragione matematizzante (l'unica che garantisca un retto uso della capacità di giudizio). L'educazione, secondo Cartesio, ha solo il compito di insegnare agli uomini il giusto uso della ragione; ciascuno, poi, in se stesso troverà la verità. Sono, però, in tal modo svalutati l'aspetto fantastico ed emozionale dell'infanzia. Blaise Pascal (1623-1662), autore di molti trattati di matematica e fisica e inventore della prima macchina calcolatrice, nella Prefazione al Trattato sul vuoto distingue Verità di Ragione da una Verità di Fede. Le Verità della Ragione non sono eterne, come lo sono le verità che dipendono dalla Rivelazione, ma sono destinate al progresso. Solo grazie all'educazione, ai libri e alla cultura è possibile, ricapitolare l'esperienza fatta da coloro che ci hanno preceduto e compiere a propria volta dei progressi. il suo è un metodo geometrizzante: l'esprit de géométrie, che conduce l'uomo alla consapevolezza della propria miseria; per accostarsi a Dio è necessario, invece, l'esprit de finesse (il sentimento al posto delta ragione). Ciascuno può tendere a Dio (senza mai conquistarlo) nel proprio cuore, solo attraverso un percorso di autoeducazione. Gran parte della pedagogia del secolo, in Francia, è profondamente influenzata dal richiamo giansenista all'interiorità dell'io e dal razionalismo cartesiano, che avevano in comune la reazione al pedantismo dei Gesuiti. Jacques-Bénigne Bossuet (1627-1704), vescovo e precettore ha proposto un modello educativo incentrato su un piano di studi enciclopedico, con richiami sia all'educazione politica (nell'opera Politica tratta dalle Sacre Scritture ha sottolineato l'importanza di educare il principe anche alle responsabilità morali e cristiane che gli derivano dal suo potere assoluto), sia alle discipline a carattere moderno. François Fénelon (1651-1715), nel Traité de l'èducation des filles, ha parlato dell'educazione che si svolge in famiglia nella prima infanzia, più adeguata, a suo parere, di quella impartita nei collegi. Fénelon ha sottolineato la necessità dell'educazione femminile, orientata alla formazione morale e religiosa. IL SECOLO DEI LUMI E L’EDUCAZIONE Nel XVIII secolo, la grande fiducia nella capacità razionale dell'uomo ha dato vita a una nuova concezione dell'educazione, nata da un'aspra critica delle istituzioni tradizionali. I collegi e i curricoli sono attaccati, in quanto giudicati inefficaci, in nome di una nuova pedagogia razionale, scientifica e laica. John Locke (1632-1704), nei Pensieri sull'educazione (1693), ha sollecitato proposte orientate alla formazione di un membro di una determinata classe sociale, quella dei gentlemen inglesi, consapevole dell'importanza di educare la classe dirigente. ha sostenuto che l'educazione debba fondarsi su un'indagine psicologica, che permetta di riconoscere la specifica individualità dell'allievo: adattare il programma alle caratteristiche psicologiche e al ritmo evolutivo dell'allievo. L'educazione del gentleman avviene nell'ambito della famiglia e ne sono responsabili il padre e un precettore. Scopo fondamentale dell'educazione è la formazione del carattere (virtù, autocontrollo e capacità direttiva). Nella formazione del gentleman, ha grande importanza anche l'educazione fisica, la formazione morale e religiosa. All'ultimo posto del percorso formativo, il filosofo ha collocato l'acquisizione della cultura, considerata «un di più». Locke ha espresso il principio dell'educazione liberale e aperta, open education, capace di valorizzare la creatività e la libertà dell'allievo. ha proposto, nei Pensieri, un metodo educativo incentrato sull'interiorizzazione dei principi, possibile solo esercitando le potenzialità del giovane sin dalla prima infanzia. Solo l'esercizio costante produce, infatti, l'abitudine, che ha un ruolo fondamentale nel sistema educativo di Locke: il carattere si forma attraverso l'esperienza, l'esercizio continuo dell'esteriorità sviluppa l'interiorità. Il filosofo inglese, anticipando un principio fondamentale delta pedagogia contemporanea (a partire da Frôbel), ha sostenuto 1816), ha scritto un Compendio del metodo nel 1786 per Le Scuole Normali, delle quali è stato direttore. Maestro di Alessandro Manzoni, Soave ha scritto molte opere di carattere educativo e scolastico: l'Abbecedario 807), le Novelle morali ad uso de' fanciulli (1786), con le quali ha voluto insegnare a fanciulli precetti morali in forma dilettevole, anticipando le due grandi opere per fanciulli dell'Ottocento: Pinocchio e Cuore. Gaetano Filangieri (1752-1788), nella sua Scienza della legislazione (1780), circa il problema dell'educazione pubblica e privata già affrontato da Locke, ha sostenuto la necessità di un'educazione pubblica, in quanto, anche se meno approfondita di quella privata, garantisce la formazione del cittadino, sviluppando quelle virtù civiche che hanno fatto grandi Roma e la Grecia. Filangieri ha concepito un piano educativo fondato sull'educazione fisica, intellettuale e morale, dividendo i curricoli in base all'appartenenza a due classi sociali. Giambattista Vico (1668-1744), nell'opera Sul metodo degli studi del nostro tempo (1709), ha criticato la diffusione del matematismo razionalista di Cartesio nell'insegnamento; il curricolo formativo deve fondarsi, sulle discipline umanistiche (retorica, arte e storia), in quanto, secondo il principio del verum factum, l'uomo può avere conoscenza certa solo di ciò che produce. Vico ha affermato che «lo sviluppo dell'individuo ripete lo sviluppo storico» attraverso tre età «ideali ed eterne» (degli dei, degli eroi e degli uomini), per cui l'educazione deve seguire lo sviluppo della personalità. Prima ancora di Rousseau, Vico ha sostenuto la «diversità» della mente infantile e la capacità del bambino di conoscere in modo proprio e alternativo al sapere adulto. PEDAGOGIA E 700 TEDESCO Nel 1717 Federico Guglielmo Honzollern ha introdotto in Prussia un moderno obbligo scolastico, poi diffuso in tutto il Regno con un «Regolamento scolastico generale» da Federico il Grande (1763), consapevole dell'importanza di una riforma dell'educazione per rafforzare il proprio potere: lo scopo era quello di formare sudditi con abilità lavorative utili agli interessi statali e soprattutto più obbedienti. Nel 1787 Federico Guglielmo Il ha affidato il controllo dell'istruzione a un ministro dell'Educazione, sottraendolo, così, definitivamente al clero. Per raggiungere il suo obiettivo, il sovrano si è servito anche di iniziative private, tra cui quella delle scuole rurali del pedagogista Friedrich von Rochow (1734- 1805), il quale ha organizzato nella sua tenuta una scuola con l'obiettivo di educare i figli dei contadini alla razionalità. Johann Basedow (1723-1790), nella Relazione ai filantropi e ai potenti sulle scuole, gli studi e la loro influenza sul pubblico benessere (1768), si è fatto promotore della proposta di un'educazione che superi le differenze di classe, sulle quali è fondato il sistema scolastico prussiano. Nel 1774 ha fondato il suo Philantropinum per «futuri maestri e giovani dai sei ai diciotto anni», ove sono confluiti l'ottimismo rousseauiano sull'uomo naturel, che ne garantisce il cosmopolitismopolitico, e la fiducia lockiana nell'intelletto, come garanzia di progresso. Nello stesso anno ha pubblicato un Manuale elementare e un libro di metodo, dove ha illustrato la sua teoria educativa: l'obiettivo della scuola è quello di impartire un'istruzione che non riempia la memoria, ma che produca una vera conoscenza; l'istruzione (civile, cristiana e politica) deve essere libera da dogmatismi. Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781), poeta e scrittore di drammi e di critica d'arte (Laocoonte) e figlio di un pastore protestante, nell'opera Educazione del genere umano, ha sostenuto il ruolo educativo della religione. La centralità del problema educativo non è risolta, dal filosofo, nella prospettiva eminentemente pratica, che aveva caratterizzato gran parte dell'illuminismo, ma in quella morale. L'educazione ha, secondo Lessing, lo scopo di preparare l'umanità alla verità divina, attraverso una rivelazione progressiva di Dio, la quale si compie nell'attività stessa degli uomini: attraverso la rivelazione il genere umano giunge alla piena maturazione della propria ragione e della propria moralità. Nel Journal, Johann Gottfried Herder (1744-1803) ha criticato la condizione frazionata dell'educazione tedesca e ha proposto di orientarla tutta verso l'ideale dell'«umanità», intesa come perfezione etico- religiosa ed estetica dell'uomo; di qui l'importanza attribuita dal filosofo alla cultura greca antica, sulla quale fa fondare l'intero percorso educativo. Immanuel Kant (1724-1804), autore delle Critiche della ragion pura (1781), della ragion pratica (1788) e del giudizio (1790), dell'Antropologia pragmatica (1798) e di numerose altre opere, ha espresso la sua concezione pedagogica, più che nelle pagine dedicate all'educazione o nell'opera Pedagogia (1803), nei quarant'anni di insegnamento universitario. Nel Programma del corso universitario del 1765-1766, ha scritto: «Non bisogna insegnare pensieri ma insegnare a pensare, non portare l'allievo ma guidarlo». L'educazione è, secondo il filosofo di Kônigsberg, un'esigenza primaria dell'uomo: «egli diviene ciò che l'educazione lo fa»; essa consiste in un processo che, attraverso l'allevamento, la disciplina degli istinti (per impedire il sopravvento), l'istruzione (per insegnare a pensare) e la formazione pratica (per lo sviluppo della moralità), porta al raggiungimento della perfezione da parte della specie. Fine ultimo dell'educazione, ma anche suo fondamento, è la libertà: alla condizione naturale di anomia (assenza di regole) del bambino, deve subentrare l'eteronomia (recepire le leggi che vengono dall'esterno), mediante la guida esterna dell'insegnante; l'allievo abituato alla disciplina giungerà, in seguito all'autonomia-Kant ha sostenuto la validità del modello educativo basato sulla «formazione europea», affermando che «il disegno di un piano educativo deve diventare cosmopolita». Kant ha sottolineato, inoltre, l'importanza dell'esercizio fisico attraverso giochi e attività, individuati dal maestro per lo sviluppo di abilità. Il fanciullo possiede una Ragione concreta non speculativa, per cui «il miglior mezzo per comprendere — ha scritto Kant — è fare». 800 La Rivoluzione industriale, che ha modificato i rapporti politicosociali, e la Rivoluzione francese hanno aperto nuovi scenari pedagogici. Il ruolo della cultura, dello Stato e dei «dotti» è stato ridefinito alla luce dei nuovi rapporti che legavano l'individuo allo Stato e alla nazione: la formazione morale dell'individuo si confondeva con la formazione etica della collettività. L'educatore, dunque, doveva inserire il proprio operato in uno sviluppo storico collettivo. Il rinnovamento pedagogico del Romanticismo è incentrato su una nuova concezione della cultura, considerata come la realizzazione delle potenzialità dello spirito umano, attraverso un percorso educativo che ne rispetta la naturalità (Bildung). Johann Wolfgang Goethe (17491832), autore de I dolori del giova- ne Werthere del Faust (scritti tra il 1774 e il 1775), ha affermato «l'uomo conosce se stesso solo in quanto conosce il mondo, di cui acquista coscienza dentro di sé come l'acquista di sé nel mondo» (Dei vantaggi di una parola densa di significato, 1823). Friedrich Schiller (1759-1805), nelle ventisette Lettere sull'educazione estetica dell'uomo pubblicate nel 1793-94, ha affermato che il compito dell'educazione è quello di realizzare un'armonica concordanza tra la dimensione sensibile e quella razionale che, secondo Schiller, coesisterebbero nell'uomo. L'uomo, infatti, non si realizza nello stato di natura ma solo attraverso l'educazione. L'intellettuale tedesco ha affermato che «l'uomo è veramente e integralmente se stesso quando gioca»; l'arte e il gioco hanno in comune, infatti, l'assenza di costrizione e di casualità. Johann Paul Richter (1763-1825) in “Levano” ha trattato il problema dell'educazione attraverso sottili analisi psicologiche e un'evidente ispirazione rousseauiana: l'educazione, non unilaterale, deve formare prima l'uomo e poi il cittadino, attraverso un approccio indiretto e il fondamentale ruolo educativo della famiglia. PEDAGOGIA IDEALISTA – TEDESCA L'idealismo tedesco ha posto al centro della responsabilità educativa lo Stato etico. La formazione individuale è stata più strettamente legata al compito storico e all'inserimento della persona nello Stato e nella nazione di cui fa parte. La pedagogia idealistica ha, dunque, sottomesso al superiore destino collettivo, il valore individuale. Johann Gottlielb Fichte (1762-1814), autore della Dottrina della scienza e delle Lezioni sulla missione del dotto net 1794, nei Discorsi alla nazione tedesca (pronunciati nell'inverno 1807-1808) ha presentato un progetto pedagogico oltre che politico per il riscatto nazionale. attribuisce all'educazione un ruolo centrale per il risorgimento germanico. L'educazione dovrà avere come carattere primario la totalità: affinché tutti possano raggiungere un perfezionamento morale, sui quale fondare un riscatto e un'identità nazionale, l'educazione deve formare «tutto l'uomo e tutti gli uomini». L'educazione si risolve, dunque, in un'autoeducazione morale, che possiede in se stessa il senso del dovere e la piena adesione agli ideali che deve perseguire. Per formare i giovani è necessario, però, interrompere la spirale che porta le nuove generazioni a formarsi attraverso l'imitazione degli adulti. A tal fine, Fichte ha ideato la nascita di collegi sociali, nei quali sia possibile ai giovani apprendere «l'ordine sociale e umano e l'amore per esso». Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831), nelle sue opere (Fenomenologia dello Spirito, Scienze della Logica), ha sostenuto che l'educazione svolge la fondamentale funzione di conservare l'identità nazionale attraverso la cultura. La formazione dell'individuo, secondo il filosofo, consiste in un percorso che si attua nella realtà storico-sociale: l'educazione del singolo, passando attraverso ka famiglia, la scuola, la società civile e lo Stato, gli assicura l'identità e l'appartenenza al proprio popolo e quindi la possibilità di raggiungere l'universale. Il problema dell'unità del sapere, nell'organizzazione degli studi accademici occupa un posto centrale nel pensiero di Friedrich Wilhelm Schelling (1775 1854). ha attribuito grande valore alle scienze naturali, oltre che a quelle umanistiche. Nelle sue Lezioni sul metodo dello studio accademico (tenute nel 1802), il filosofo ha, però, affermato che la didattica deve essere fondata sul presupposto che ciascuna disciplina elabora un aspetto particolare del sapere, che trova nella filosofia (in quanto scienza del sapere assoluto) la sintesi finale. Partendo dalle problematiche interdisciplinari bisogna, dunque, ricostruire l'unità del sapere. LA SCOPERTA DELL’INFANZIA Friedrich Frôbel (1782-1852) è stato il realizzatore di istituzioni per la prima infanzia, nelle quali i rapporti educativi e lo stesso modo di concepire questa particolare età della vita risultano rivoluzionati. La teoria pedagogica frôbeliana è espressione della concezione romantica della natura, considerata come attività vitale e unitaria della divinità. Il divino è, perciò, come essenza, nell'uomo stesso. L'educazione, pertanto, deve essere naturale e spontanea. Il processo educativo, affinché possa realizzarsi, deve svolgersi in un luogo adatto, che Frôbel chiama Giardino d'infanzia, sia per indicare l'ambiente in cui dovrebbe realizzarsi l'educazione (il giardino), sia per trasmettere ai maestri la metafora che i bambini sono come «le piante», che nascono dai semi, e che l'educazione, come la cultura delle piante, deve favorire la crescita spontanea degli alunni. Diventa fondamentale, il gioco, considerato non solo come divertimento, ma come vita e pedagogia. L'attività ludica, secondo Frôbel, l'attività divina si è affermata con la creazione, l'uomo attraverso dove tutto nasce dal fare, le abitudini sociali, i sentimenti, i pensieri del bambino devono nascere dal gioco. Frôbel, nel suo Giardino, utilizza particolari strumenti didattici, adatti alla psicologia infantile, che sono in grado di stimolare le forze nascoste del bambino, educandole: i doni. Il primo dono è rappresentato dalla palla, la cui sfericità simboleggia il senso dell'unità e della semplicità, che si presta a tutti gli esercizi; il secondo dono consiste nella sfera (senso del movimento); nel cubo (senso della Etabilità); e nel cilindro (sintesi del senso di movimento e di stabilità); il terzo dono è il cubo diviso in otto cubetti, raccolti in una scatola (capovolgendo la scatola, si un cubo intero, che, però, si divide, secondo le linee mediane, in otto parti e il bambino comprenderà l'idea dell'unità e della pluralità). Il materiale didattico frôbeliano non è, in conclusione, solo adatto a far intuire a tutti le forme geometriche della realtà , ma è anche uno strumento prezioso per la formazione delle idee pedagogiche nelle società contemporanee. Affinché l'azione educativa possa assecondare e sviluppare le potenzialità inespresse e le modalità vitali dell'educando, è necessario, Nell'opera Del principio fondamentale della metodica, ha delineato il metodo con il quale perseguire i fini dell'educazione. Il principio a fondamento della metodica, secondo l'autore, è la legge della gradualità. Rosmini ha affrontato un altro problema pedagogico, quello della libertà d'insegnamento, polemizzando contro il tentativo dello Stato di controllare il pensiero, la cultura e l'educazione. EDUCAZIONE POPOLARE Giuseppe Mazzini (1805-1872) ha inserito il problema dell'educazione popolare e nazionale in un discorso più ampio di educazione dell'umanità: «Senza educazione nazionale non esiste moralmente la nazione» (concezione etico-religiosa). Solo con l'elevazione morale e politica del popolo, mediante il perfezionamento dell'intelletto pubblico, è possibile il Risorgimento italiano. Mazzini ha concepito il suo ideale di nazione come prodotto di un processo educativo. mediante il ricorso alla fede è possibile parlare a un popolo non ancora «educato». L'educazione non deve creare, ma «tirar fuori» (ex-ducere) ciò che già esiste nell'alunno. SALESIANI Giovanni Bosco ha fondato l'Oratorio o Congregazione salesiana nel 1847, dove ha accolto giovani emarginati e disagiati Don Bosco ha scritto, tra il 1847 e il 1877, numerose opere (Il sistema metrico decimale ridotto a semplicità; La Storia Sacra per uso delle scuole; Sistema preventivo per l'educazione della gioventù), nelle quali il problema dell'educazione popolare è affrontato con spirito caritatevole. L'educazione deve formare «utili cittadini e buoni cristiani». Imp è il gioco. Raffaello Lambruschini (1788-1873), è stato uno dei più rappresentativi esponenti del cattolicesimo liberale durante il Risorgimento italiano. La religione rappresenta, secondo Lambruschini, la condizione fondamentale dell'educazione: bisogna educare religiosamente, in quanto solo così viene salvaguardata la libertà del credente e la spontaneità della coscienza religiosa del fanciullo. Affinché la legge morale venga applicata nella società è, però, necessaria l'autorità della Chiesa; la famiglia e la comunità devono concorrere a educare il fanciullo a ricevere questo aiuto da parte della Chiesa. L'Istituto di San Cerbone, fondato da Lambruschini, sarebbe dovuto essere anche un centro propulsore di educazione per i contadini (obiettivo del liberalismo toscano). li metodo seguito dal pedagogista è stato quello dell'educazione familiare, ritenuta l'unica che non fosse contraria alla natura dell'uomo. Le sue opere pedagogiche più importanti sono: Della e Della istruzione. Nella prima opera Lambruschini ha sviluppato il tema dell'educazione morale, ha delineato il rapporto tra autorità e libertà, sostenendo che bisogna rispettare la libertà dell'educando pur nel riconoscimento dell'autorità dell'educatore. Il principio di autorità (eteronomia) considera l'educatore come un modello rigidamente autorevole; il principio di libertà (autonomia) esclude, al contrario, l'autorità dell'educatore. L'educazione, secondo LambruSchini, può essere indiretta e diretta. La prima consiste nel preparare e predisporre un ambiente favorevole all'educando, eliminando ogni forma di ostacolo. La seconda è rappresentata dall'influsso personale dell'educatore. L'opera Dell'educazione contiene le idee fondamentali di Lambruschini sul metodo, che deve essere globale e graduale. Ferrante Aporti (1791-1858) è una delle figure più importanti della pedagogia italiana dell'Ottocento. Nel campo pedagogico ha posto una netta distinzione tra l'educazione, che è «arte di sviluppare e perfezionare le facoltà naturali», e l'istruzione, che è «arte di comunicare cognizioni ed abilità tecniche», due momenti che devono essere tra loro articolati. l'istruzione è in funzione dell'educazione, in quanto senza il possesso di cognizioni e abilità non è possibile sviluppare e perfezionare alcuna facoltà. II pedagogista italiano ha classificato l'educazione e l'istruzione in fisica, morale, religiosa e intellettuale. Il bambino deve dormire molto, avere molta libertà di movimento e cure igieniche elementari (educazione fisica). L'educazione intellettuale, che deve essere adeguata allo sviluppo psichico dei fanciulli, forma il loro giudizio e comprende l'insegnamento della lingua (attraverso la conversazione, per far avere un contatto diretto con la lingua) e della nomenclatura, mediante il metodo dimostrativo (che si articola in tre momenti: presentazione, osservazione, denominazione dell'oggetto; cosi che modo, parola e cosa risultino strettamente uniti). 3. DAL POSITIVISMO ALL’ATTIVISMO IN EUROPA IL POSITIVISMO E L’EDUCAZIONE L'età del Positivismo, con la sua fede indiscussa nelle scienze, il primato sociale della borghesia e dei suoi valori, è stata portatrice di nuovi problemi educativi. La richiesta di un aumento della cultura di base, per la formazione del cittadino, si è imposta con maggiore consapevolezza, ponendo il problema urgente di una scolarizzazione di massa. La fiducia in un'educazione capace di diventare, attraverso la scuola, motore del progresso sociale, ha posto l'urgenza di rifondare tutto l'apparato teorico e pratico della pedagogia, ancorandola al fatto e al dato scientifico. La rivoluzione darwiniana, ad esempio, ha dato un importante contributo allo sviluppo della psicologia dell'età evolutiva, ponendo l'attenzione sulla componente biologica dello sviluppo, sullo studio etologico delle emozioni, dei comportamenti e dell'intelligenza. Esponente del Positivismo francese, Claude-Henri de Rouvroy conte di Saint-Simon (1760-1825) nei suoi scritti (Catechismo degli industriali, 1823; Il nuovo Cristianesimo, 1825), ha criticato la discriminazione sociale del sistema educativo ed ha sottolineato l'inefficacia intellettuale. ha rivendicato il diritto di tutti all'educazione, intesa come uno strumento politico fondamentale per la trasformazione della società. l'educazione deve rendere partecipe il popolo e deve essere potenziata da un punto di vista scientifico, per contribuire al progresso della società industriale. Auguste Comte (1798-1857), autore del famoso Corso di filosofia positiva, del Catechismo positivista, del Sistema di politica positiva, delle Lettere, nei suoi scritti ha auspicato l'affermazione di un'educazione «positiva», caratterizzata dall'insegnamento delle scienze «rispondenti alle esigenze della società moderna», sostituendo finalmente quella tradizionale, essenzialmente teologica. Questa nuova educazione «positiva» dovrà favorire la solidarietà fra gli esseri umani e formare al raziocinio. Comte, reagendo alla scuola del suo tempo, orientata alla formazione professionale, ha affermato che un'educazione di tipo umanistico-letterario deve bilanciare la cultura scientifica. Il curricolo scolastico proposto dal pensatore francese è il seguente: 1) da 0 a 7 anni, l'educazione dei bambini spetta alla madre; 2) dai 7 ai 14 anni, con laprésentation inizia la prima fase dell'istruzione pubblica; 3) dai 14 ai 21 anni, con l'initiation inizia lo studio di carattere enciclopedico; 4) dai 21 ai 28 anni, con l'ammission iniziano gli studi universitari, e un apprentissage pratique orienta al mondo professionale; 5) a 28 anni, con la destination, c'è l'inserimento nel mondo produttivo. Comte ha prospettato l'idea di una «educazione permanente», cioè di un processo educativo che non termina con l'inserimento dell'individuo nella società adulta, ma dura tutta la vita. ln Inghilterra, Robert Owen (1771-1858), autore dei Nuovi punti di vista delta società sopra la formazione del carattere umano (1822), ha dato vita negli Stati Uniti alla comunità di New Harmony («Comunità di eguaglianza e proprietà comune»), primo nucleo di una nuova società. Nell'opera Il nuovo mondo morale, ha esposto la sua concezione pedagogica fondata sull'idea dell'educazione come condizionamento. Secondo cui, il contesto socio-culturale in cui il soggetto vive condizionano la formazione della sua personalità. La nuova scuola, ipotizzata da Owen, sarà organizzata in edifici funzionali, sarà aperta a tutti, gli allievi potranno usufruire di utili servizi e alterneranno lo studio al lavoro. Owen ha realizzato questa sua idea nella creazione della New Lanark, un sistema scolastico orientato alla formazione del carattere e all'offerta di un'adeguata istruzione di base. UTOPIA PEDAGOGICA Roberto Ardigò (1828-1920) è una delle figure più rappresentative della pedagogia positivistica in Italia. La qualità dell'educazione, è l'acquisizione di sane abitudini sociali, utili a sé e alla società. È tramite l'educazione che le nuove generazioni si inseriscono e diventano parte integrante della società. L'educazione scaturisce soprattutto dalla famiglia e dalla scuola. Ardigò ha affermato che conosciamo attraverso l'intuizione. Il termine «intuitivo» deriva dal latino intueri e significa «vedere». Il metodo intuitivo è quello attraverso il quale s'insegna facendo vedere. Abbiamo due tipi di intuizioni:1 diretta e naturale: noi conosciamo le cose del mondo, senza avvalerci di alcun aiuto o supporto e utilizzando solamente i nostri sensi. La conoscenza avviene, perciò, in tre momenti: intuizione, sensazione ed esperienza. Chi è istruito per mezzo del vecchio metodo ha imparato paroloni senza sapere come collegarli, mentre adesso s'insegna per mezzo delle cose. L'ambiente, in cui un individuo nasce, forma l'oggetto della sua prima intuizione, per cui il modo di pensare di un italiano sarà diverso da quello di un giapponese e via dicendo. Per questo l'intuizione segna profondamente ognuno di noi, facendolo essere diverso dagli altri . 2 diretta e artificiale: ci consente di conoscere attraverso l'esperienza compiuta dagli altri. Ad esempio, tutti sanno che cos'è un fiore, ma solo attraverso la guida dell'insegnante e, grazie allo studio svolto dai botanici, si potrà coglierne le particolarità. Anche Ardigò, come già aveva sostenuto Pestalozzi, ha affermato che bisogna partire dal semplice per arrivare al complesso, dal noto all'ignoto e dal vicino al lontano. Educare significa, poi, far acquisire sane abitudini morali, civili, sociali e altruistiche. Tali abitudini possono essere acquisite mediante l'esercizio, anche se questo metodo sarà in seguito criticato in quanto, attraverso l'esercizio s'imparano le cose «mnemonicamente». Aristide Gabelli (1830-1891), Pur applicando i criteri delle scienze positive, egli non aderisce completamente al sistema filosofico del Positivismo. Di tale corrente ha respinto, infatti, il materialismo e ne ha criticato l'atteggiamento anticlericale, mentre ne ha sposato la scientificità nell'affrontare i problemi educativi, visti alla luce della realtà sociale in evoluzione e dei fatti concreti. il Positivismo di Gabelli coincide, dunque, con una vera e propria metodologia d'indagine e con l'interesse volto alla formazione della mente e del carattere, non al numero delle nozioni apprese. La regola è, secondo Gabelli, partire dal particolare, dal noto; Il compito primario della scuola è di insegnare a pensare, partendo dall'osservazione dei fatti; ciò comporta la necessità di un metodo intuitivo, che è più importante del programma, perché quel che conta è come si impara, non cosa. Gabelli ha parlato di «curriculum implicito», intendendo tutto ciò che il bambino ha ricevuto dall'ambiente, dal quale la scuola deve trarre profitto nella sua opera educativa. Scopo primario dell'insegnamento è la formazione di abitudini e il fine più alto è quello morale (vigore al corpo, penetrazione all'intelligenza, rettitudine all'animo). ATTIVISMO PEDAGOFICO E LE «SCUOLE NUOVE» Già nella seconda metà dell'Ottocento i modelli educativi tradizionali erano apparsi in netto ritardo rispetto alle esigenze di una società che, sotto la spinta del Positivismo, si avviava a una profonda trasformazione in senso industriale. Alla fine del secolo, il basso livello del grado di istruzione generate nei paesi sviluppati apparve insostenibile poiché la didattica tradizionale era ormai incapace di assecondare i nuovi bisogni (alfabetizzazione di massa, specializzazione del lavoro, crescita complessiva del sapere tecnico-scientifico). Si diffusero allora in Europa una serie di nuove proposte, scaturite da quello che viene definito comunemente movimento delle «scuole nuove». scuole sono accomunate dal bisogno di rispondere ai nuovi problemi sociali e dalla necessità di un'impostazione scientifica del lavoro, superando il tradizionale dualismo tra formazione umanistica e addestramento tecnico-professionale. Alle scuole nuove viene generalmente associato il concetto di attivismo pedagogico: una concezione (anticipata da Rousseau e da buona parte della romantica) dell'educazione non più come semplice trasmissione di un sapere oggettivo e statico, ma come un processo dinamico di formazione della personalità. Le molteplici forme che l'attivismo pedagogico assunse e le numerose esperienze promosse da educatori e studiosi ebbero un fondamentale punto di convergenza: il concetto di puerocentrismo, cioè una riscoperta dell'infanzia come età qualitativamente diversa rispetto alle altre fasi della vita di un individuo, dotata di caratteristiche specifiche e autonome verso le quali si deve procedere avvalendosi delle nuove scoperte psicopedagogiche, al fine di far «ruotare» l'intero processo educativo sul bambino, sulla sua natura e, soprattutto, sui suoi bisogni. Il movimento attivista, nel suo complesso, recupera dunque aspetti formativi tradizionalmente trascurati cosa interessa coloro che furono definite le «donne d'azione» nello scenario della scuola infantile italiana nei primi anni del Novecento, fondatrici nel 1895 dell'asilo di Mompiano (Brescia), una scuola organizzata in base a modalità didattiche ed educative ai tempi inedite, che diventeranno modello per la scuola dell'infanzia istituita dallo Stato italiano nel 1968. Tra le più importanti esperienze didattiche delle sorelle Agazzi vanno ricordati il Corso di lavoro manuale e il Corso fröbeliano, frequentato sotto la direzione didattica di Pietro Pasquali, da loro considerato il maestro innovatore. Quello che la storia della pedagogia ha ribattezzato «metodo Agazzi» parte dal contatto diretto con i bambini e con le loro famiglie, individuando alcuni temi e orientamenti teorico-pratici adottati negli asili infantili. il concetto ricorrente dei «contrassegni» caratterizza il fine dell'educatore di agevolare le operazioni quotidiane che richiedono lo spostamento degli oggetti esistenti. Le sorelle Agazzi spingono i bambini a raccogliere qualsiasi oggetto risulti per loro emotivamente importante: si tratta il più delle volte di oggetti di estrema semplicità (cosiddette «cianfrusaglie»); stimolano poi i bambini a deporre spontaneamente tali oggetti in un luogo di ideale raccolta: il cosiddetto «museo didattico», che ha la funzione duplice di arricchire le conoscenze dei bambini facendo perno sulla loro iniziativa spontanea e di stimolarli all'osservazione, alla discussione, alla ricerca. L'attenzione delle sorelle Agazzi è incentrata pertanto sul bambino come essere attivo, come «germe vitale che aspira al suo completo sviluppo». Il ritrovo educativo per l'infanzia — espressione con cui amavano definire il loro spazio di lavoro — rispecchia il contesto di una grande famiglia, che si apre alla dimensione della socievolezza, della tolleranza e della solidarietà. Con l'opera di Maria Montessori(1870-1952), l'Italia si colloca a pieno titolo nella grande linea del movimento attivista europeo: la risonanza e il successo, soprattutto a livello internazionale, degli studi, delle sperimentazioni e del «metodo Montessori», fanno sì che l'opera complessiva della studiosa italiana venga considerata come uno dei capisaldi dell'attivismo novecentesco. Va detto subito che la particolarità dell'approccio della Montessori è dovuta in primo luogo alla sua netta impronta scientifica. iniziò a occuparsi concretamente di problemi didattici, cognitivi, educativi e scolastici sulla base dei suoi studi di Medicina. Assistente alla clinica psichiatrica dell'Università di Roma, rivolse i suoi primi interessi all'educazione e al recupero dei bambini con problemi di handicap. Nel 1905 organizzò alcuni asili infantili nel quartiere di S. Lorenzo di Roma, uno dei più popolari, e due anni dopo aprì la Prima Casa dei Bambini. Il successo di questa iniziativa fu all'origine di un vero e proprio movimento pedagogico nuovo: gli istituti si estesero in breve sino al punto che nel -1924 si diede vita all'Opera nazionale Montessori e alta Scuola magistrale Montessori. Le teorie montessoriane sono esposte in una serie di opere fondamentali per la psico-pedagogia, tra cui: Il metodo della pedagogia scientifica (1909); l'Antropologia pedagogica (1910); L'autoeducazione nelle scuole elementari (1916); Manuale di pedagogia scientifica (1921); La pace e l'educazione (1933); Il segreto dell'Infanzia (1938); Educazione e pace (1949); formazione dell'uomo (1949); La mente assorbente (1952). La formazione culturale della Montessori è chiaramente positivistica: centrale fu ad esempio l'influenza dell'antropologo Giuseppe Sergi (1841-1936) che aveva introdotto nella ricerca pedagogica l'uso di tecniche antropometriche e psicometriche (misurazione del cranio, della statura, valutazione degli aspetti morfo-volumetrici: tutti dati riportati in quella che veniva definita «carta biologica» dell'alunno). La Montessori, pur riconoscendo sempre al maestro il merito di aver cercato di dare alla pedagogia una veste scientifica, ne contestò tuttavia la «confusione» tra studio sperimentale astratto e concreta pratica educativa. secondo la Montessori l'intervento pedagogico deve essere modificato e migliorato attraverso l'uso di metodi e mezzi ricavati dalla sperimentazione condotta sui bambini in condizioni di vita reale. I bambini hanno diritto a essere studiati, nel senso di comprendere veramente quali siano i meccanismi di apprendimento e socializzazione che li caratterizzano, esplorandone i processi di maturazione della personalità fin dai primi anni di vita. Su questa linea, la Montessori trae ispirazione per la metodologia didattica da due medici francesi, Jean Marc Gaspard Itard (1775-1838) e Eduard Seguin (1812- 1880) che si erano occupati di fanciulli selvaggi, allevati da animali, trovati in zone isolate (celebre è rimasto il tentativo di Itard di rieducare — secondo le modalità del comportamento civilizzato — un ragazzo «selvaggio», dodicenne, ritrovato nel 1799 nelle foreste dell'Aveyron). Studiando i casi dei bambini selvaggi e ritardati, la Montessori scopre la grande serie di distorsioni, errori e pregiudizi che gravavano sull'educazione infantile. L'approfondimento scientifico di questo campo è stato, per lungo tempo limitato dal presupposto che l'infanzia vada studiata partendo dal punto di vista dell'adulto, il quale rappresenterebbe lo stadio di sviluppo finale da raggiungere. Rifacendosi da un lato a Pestalozzi, che aveva intuito le potenzialità interiori del bambino, e dall'altro alla psicologia sperimentale di Wundt, la Montessori rivaluta, in maniera assai innovativa, «l'energia latente in ogni individuo» che si sviluppa secondo modalità autonome e che può essere stimolata ma non generata da interventi didattici (posizione che per certi versi ricorda Piaget). Bisogna dunque ripensare il senso stesso del processo formativo: autentica educazione è soltanto l'autoeducazione: la pedagogia, la metodologia, il ruolo del personale insegnante, le istituzioni scolastiche nel loro complesso vanno considerati come mezzi preparatori e ausiliari per la realizzazione di un autentico «io» interiore. EDUCAZIONE MARXISTA Maturate nell'ambito di un complesso quadro politico come quello che la Rivoluzione d'Ottobre nel contesto sovietico, le iniziative di Anton Semenovic Makarenko (1888-1939) si presentano come le più ortodosse nello scenario della pedagogia marxista. La finalità che egli si propone è quella di formare un uomo, nuovo per costruire la società socialista. I temi ricorrenti dselle idee di Makarenko, trattati nella sua opera più celebre: il Poema pedagogico, sono il lavoro e il collettivo. Il lavoro non è visto come attività in sé, bensì come dimensione di produttività, elemento necessario alla sopravvivenza di tutti i membri della società. Secondo l'idea di Makarenko, infatti, non è importante educare la singola persona, bensì l'intero collettivo, lavorando anche per scongiurare il rischio di annullamento dell'individuo: l'assunzione dei compiti e delle responsabilità che derivano dalla partecipazione della vita comune guida l'allievo ad un processo di formazione personale e alla conquista dell'autonomia di giudizio. SCUOLA ATTIVA Questo frequente passaggio dall'area medica a quella pedagogica conferì alle teorie attiviste un'impronta inedita nella storia delle pratiche educative: tutto il complesso profilo della «scuola attiva» costruisce i propri presupposti e le proprie metodologie innovative su una conoscenza avanzata e scientificamente attestata della vita psichica dell'educando. ln questo contesto, un posto di rilievo è occupato dal belga Ovide Decroly (1871-1932), anch'egli medico e neuropsichiatria di formazione, a cui si deve la fondazione nel 1907 della Scuola dell'Ermitage, divenuta nel tempo una delle più importanti istituzioni della nuova didattica. Tra le sue opere più note ricordiamo Verso la scuola rinnovata (1921) e, soprattutto, La funzione di globalizzazione e l'insegnamento (1929). Analogamente a Ferrière, Decroly intende la scuola come strumento per favorire l'adattamento del maggior numero di individui alla società. Tale fine potrà essere raggiunto però soltanto attraverso un programma didattico profondamente alternativo, così articolato: — necessità di osservazione diretta; studio dei bisogni primari e dell'ambiente del fanciullo; rispetto delle inclinazioni personali e della provenienza sociale . Su questa base, Decroly giunge ad ipotizzare un orientamento formativo complessivo che tenga conto del sistema dei «bisogni» fondamentali degli esseri umani: Tali bisogni, da interpretarsi come pulsioni bio- psicologiche, come retaggi evolutivi e al contempo come codici simbolici in grado di «strutturare» a livello profondo il nostro rapporto con il mondo circostante, sono riducibili a quattro bisogni: di nutrirsi; di lottare (ripararsi, coprirsi, proteggersi) contro le intemperie; di difendersi dai nemici e dai pericoli; di lavorare e agire interattivamente. A questi bisogni corrispondono, secondo Decroly, altrettanti interessi specifici. II centro teorico di partenza è che il fanciullo possa esperire dimensioni autenticamente educative soltanto se queste si riferiscono alla dimensione dei suoi bisogni fondamentali. Decroly rifiuta nettamente le modalità della didattica tradizionale che distingue troppo nettamente tra le diverse materie e si schiera decisamente in favore di un approccio formativo che si orienti sugli interessi, sui bisogni, sui sistemi simbolici dell'alunno stesso. La scuola prevedrà dunque: un ambiente in cui l'alunno possa accostarsi gradatamente alle attività pratiche e sociale; una strutturazione delle attività scolastiche in cui la chiave educativa centrale sia l'orientamento attorno ai «centri di interesse». Su queste basi, la proposta «operativa» di Decroly è la seguente: sceglie un argomento relativo a uno degli interessi fondamentali; se ne fa il «centro» di tutta l'attività scolastica (ad esempio di un intero anno scolastico); si evita la frammentarietà nozionistica. La concentrazione verso i «centri di interesse» implica ovviamente una didattica attiva, orientata sui seguenti aspetti: osservazione ed esplorazione dell'ambiente (funzionale allo sviluppo della curiosità scientifica); associazione dei fenomeni e degli oggetti a livello spaziale e temporale (stimolo attivo delle nozioni geografiche e storiche); cura dell'espressione linguistica (composizione scritta, attività grafiche); intensificazione del lavoro manuale. Strettamente legata alla costruzione di una didattica fondata sui «centri di interesse», è l'altra proposta innovativa di Decroly: l'ipotesi del cosiddetto «metodo globale» (o più semplicemente: «globalismo»), una metodologia basata su una inedita interpretazione delle modalità di apprendimento del bambino. Secondo Decroly il bambino possiede capacità percettivo-cognitive del tutto specifiche, sa cogliere l'insieme indistinto delle cose e dei fenomeni e non le singole parti di esso. Si tratta di una tesi in forte contrasto con il «metodo analitico» della Montessori, che rimase sempre legata ad un concetto di educazione «sensoriale» il cui scopo è il costante affinamento dei sensi. Questa percezione globale-sincretica, secondo Decroly, precede sempre l'analisi degli elementi che costituiscono il tutto (in questa ipotesi è chiaramente presente l'influsso di una delle leggi fondamentali scoperte dalla psicologia della Gestalt). La globalizzazione cognitiva non assorbe soltanto la dimensione percettiva, ma la totalità delle attività razionali e affettive del bambino. Il metodo globale ha avuto enorme influenza sulle modalità educative del Novecento: impiegato principalmente per l'apprendimento della lettura e della scrittura, esso è stato utilizzato successivamente in qualsiasi tipologia di insegnamento. ATTIVISMO SVIZZERA – BELGIO Adolphe Ferrière (1879-1960), uno dei più illustri rappresentanti della pedagogia svizzera, subì l'influenza della filosofia di Bergson, dalla pedagogia pragmatista di Dewey e dagli studi di Decroly. L'ideale della sua scuola deve essere, in linea con i cardini delle scuole nuove, l'attività spontanea, personale e creativa. La nuova pedagogia, avvalendosi delle ricerche sulla psicologia del bambino, dovrebbe secondo Ferrière «rendere finalmente giustizia all'infanzia». La scuola deve dare importanza al lavoro, inteso non solo come lavoro manuale, ma come attività di progettazione e realizzazione anche intellettuale. Piuttosto che la lezione tradizionale, basata sulla passività dell'alunno e il protagonismo dell'insegnante, la scuola attiva prevede che la lezione si strutturi in tre tempi: raccolta dei documenti: gli alunni compiono ricerche su svariati argomenti di loro interesse utilizzando non solo i libri ma anche visite nei luoghi di lavoro o in altre organizzazioni della società; classificazione: le notizie vengono raccolte in schede e raggruppate per argomenti secondo modalità che consentano la facile consultazione agli altri; elaborazione: i materiali raccolti vengono infine confrontati, analizzati e discussi in gruppo. A livello di teoria dello sviluppo cognitivo, Ferrière sostiene che gli interessi sono gerarchicamente organizzati in base alle specificità psicologiche e genetiche di ogni periodo della vita: — fase degli interessi sensoriati (0-3 anni): la scuola attiva non interviene; — fase degli interessi sparsi (4-6 anni): compaiono attività tipiche delle culture primitive, non finalizzate ad uno scopo preordinato e fortemente legate al gioco; — fase degli interessi immediati (7-10 anni): si sviluppa la curiosità di cui la scuola deve tener conto avviando attività di esplorazione e ricerca; — fase degli interessi concreti (10-12 anni): cominciano interessi settoriali su argomenti specifici con possibile passione per lo studio delle singole discipline; — fase degli interessi semplici (13-15 anni): si studiano tutte le materie secondo i metodi tradizionali; — fase degli interessi astratti-complessi (15-18 anni): è l'epoca adatta ad intra- prendere studi di filosofia, psicologia, sociologia, diritto ed economia. L'insegnante organizzerà dunque le ricerche in base ad argomenti che tengano conto degli interessi specifici delle singole età, anche sulla base del principio della legge biogenetica secondo cui diffusione della cultura anche negli strati sociali più disagiati. I cardini di questa rivoluzione socio-educativa sono i seguenti: utilizzo massiccio del testo libero: in contrapposizione al tradizionale componimento in cui l'allievo è costretto a scrivere su un tema deciso dall'insegnante; introduzione del giornale scolastico (o «libro di vita»): si tratta di una naturale evoluzione del testo libero, una raccolta di contributi dei singoli, rielaborati collettivamente, stampato dalla «tipografia scolastica», con l'obbiettivo di fondere apprendimento, lavoro, creatività, attività manuale e intellettuale; definizione del cosiddetto «calcolo vivente»: strategia che stimola l'esercizio matematico e aritmetico partendo dalla necessità di risolvere problemi concreti legati, ad esempio, alla tipografia scolastica, invece che proporre «problemi» con pochi legami con la realtà degli studenti. Alexandre Sutherland Neill (1883-1973) e l'educazione non direttiva. Fondatore e animatore della comunità educativa di Summerhill a partire dal 1921, accoglie nel suo istituto raagazzi dai cinque ai sedici anni secondo le più tipiche modalità dell'attivismo (presenza di laboratori e officine, di spazi autonomi di lavoro, di autodisciplina, di auto-apprendimento ecc.). Neill teorizza espressamente la «non direttività» dell'azione educativa, ritenendo che il compito fondamentale dell'educazione sia quello di sviluppare la soggettività umana nella sua massima integralità. Tale compito implica una serie di azioni dirompenti: coeducazione e apprendimento libero; classi formate sulla base dell'età e degli interessi; lezioni quasi esclusivamente in laboratorio; abolizione dell'obbligo della frequenza. Tutto ciò deve mettere infine capo ad una profonda riconfigurazione del tempo della formazione: lezioni teoriche di mattina; libertà nel primo pomeriggio; attività pratiche di officina e di artigianato nel tardo pomeriggio; pasti in comune; co-gestione della dimensione ludico-ricreativa; assemblea periodica della scuola secondo uno spirito di apertura, libertà, democrazia diffusa. ATTIVISMO NEGLI STATI UNITI All'inizio del Novecento negli Stati Uniti, l'attivismo ricevette un impulso grazie all'opera rilevante e multiforme di John Dewey 1859-1952. La psicologia di Kant (1884) e, in ambito pedagogico, Il mio credo pedagogico (1897), Studi sulla teoria logica (1903). Alla fine degli anni Venti elabora la dottrina dello «sperimentalismo» e raggiunge una matura concezione etico-politica. Le opere principali del periodo sono: Come pensiamo (1910), Democrazia e educazione (1916), Intelligenza creativa (1917), Natura e condotta dell'uomo (1922), Esperienza e natura (1925), La ricerca della certezza (1929). Appartengono all’ultima fase della lunga riflessione deweyana Logica: la teoria dell'indagine (1938), Esperienza e educazione, per l'estetica L'arte come esperienza (1938), Una fede comune (1934), la Teoria della valutazione (1939), Problemi dell'uomo (1946) e l'ultimo lavoro Il conoscente e il conosciuto (1946). Morì a New York nel 1952. Elemento costante della filosofia di Dewey è la centralità dell'esperienza, considerata l'unica dimensione reale in cui tutto, la storia, la vita, la cultura, si costituisce in modo processuale . La prospettiva deweyana inizialmente assume una concezione idealista della realtà come un insieme organico. Strettamente connesso a questa eclettica concezione è il riconoscimento della relazione dinamica che si stabilisce tra i diversi aspetti della realtà. Nella prima fase della riflessione di Dewey, caratterizzata dagli studi di psicologia (La nuova psicologia), emerge il primato della coscienza immanente, con la conseguente critica del materialismo, del sensismo, e della loro impossibilità di prescindere dal presupposto di una «mente» che trascende i fenomeni materiali e le sensazioni. Un'altra tesi peculiare della teoria di Dewey è quella secondo cui «l'esperienza è un metodo, non un contenuto oggettivo particolare». Alla dimensione metodologica è strettamente connessa, nel senso che è ad essa complementare, quella sperimentale. Lo sperimentalismo deweyano si profila in questi termini: la risoluzione dei problemi posti dall'esperienza è possibile soltanto mediante una continua e attiva «sperimentazione» di molteplici, diverse, soluzioni da parte dell'uomo. sulla scorta di una tesi già espressa da William James, Dewey sostiene che l'esperienza «ha due facciate»: «Come le sue realtà congeneri, cioè la vita e la storia, l'esperienza comprende ciò che gli uomini fanno e soffrono, ciò che ricercano, amano, credono e sopportano e anche il modo in cui agiscono e subiscono l'azione esterna cioè i processi dell'esperire». Il punto importante è che l'esperienza, nella sua originaria integrità, non riconosce divisioni tra soggetto e oggetto, in quanto li comprende nel suo essere appunto una «totalità non analizzata». Ciò non significa però che la realtà — o la natura — si risolva in una totalità immobile, astratta; essa consiste infatti nella relazione dinamica tra l'uomo (l'organismo) e l'ambiente, in una relazione dinamica tra questi fattori, nella quale nessuno dei due possiede una radicale autonomia rispetto all'altro. Soggetto e oggetto, spirito e materia, uomo e natura, non sono dati immediati dell'esperienza bensì «costruzioni» del materiale originario che essa offre e sono quindi continuamente formati e riformati all'interno di un processo di interazione. La conoscenza non possiede dunque uno statuto privilegiato tra le attività umane, ma è lo strumento più potente di cui l'uomo dispone per raggiungere nel mondo un ordine, una sicurezza, una stabilità sempre maggiore: «La razionalità è cosa che concerne la relazione tra mezzi e risultati e non principî primi fissati come premesse fondamentali». il valore della teoria della conoscenza consiste nel risolvere problemi o, in altre parole, nel fornire «metodi di azione». Coerentemente alle basi filosofiche che pongono l'esperienza al centro del processo conoscitivo, Dewey attribuisce grande valore alle discipline educative. A suo giudizio, l'insegnamento non deve immettere «dogmi» ma definire un metodo di apprendimento incentrato sulla ricerca e sullo sviluppo delle capacità critiche, dei valori etici e sociali dei giovani. La scuola deve diventare una scuola-comunità e una scuola-laboratorio in cui si possano sviluppare democraticamente i rapporti intersoggettivi: essa deve essere una «società embrionale». Il carattere attivistico della pedagogia deweyana mira alla difesa dei diritti del fanciullo e dà importanza alla attività sociale e pratica, anche in termini di lavoro manuale, all'interno degli istituti scolastici ed educativi. Esperienza ed educazione è un saggio del 1938, appartenente quindi all'ultima fase della produzione di Dewey, costituisce in un certo senso la sintesi più esaustiva del pensiero dell'autore sui temi generali dell'educazione e delle «scuole nuove», di cui era stato uno degli interpreti e dei più attivi sostenitori nei decenni precedenti. Si tratta di un testo che nasce dalla necessità di fornire una risposta alle critiche che in America venivano indirizzate contro le Scuole nuove, e, più in generale, contro il sostrato filosofico-politico che le sorreggeva: anzitutto l'idea di una democrazia da realizzare attraverso una scuola e un'educazione nuova diretta a tutte te classi sociali. «Una democrazia è qualcosa di più di una forma di governo. È prima di tutto un tipo di vita associata, di esperienza continuamente comunicata.» (Dewey, Democrazia e educazione, 1916). Questa relazione si trova nella scuola, come il luogo che «diventa una forma di vita sociale, una comunità in miniatura, una comunità che ha un'interazione continua con altre occasioni di esperienza al di fuori delle mura della scuola» (ivi). L'ambiente scolastico viene definito come un «ambiente speciale» caratterizzato da compiti e funzioni ben precisi. Innanzi tutto, la scuola ha il compito di «sezionare» le culture più complesse, frazionandole, così da renderle più facilmente accessibili, perché la loro assimilazione è in questo modo graduale. In secondo luogo, essa ha il compito di « eliminare il più possibile i caratteri dell'ambiente esterno che non sono degni di influenzare le abitudini mentali, purificando così l'ambiente dell'azione», cercando di scegliere gli strumenti e i metodi migliori per il suo intervento educativo. Infine, «è compito dell'ambiente scolastico equilibrare i diversi elementi nell'ambiente sociale, e provvedere a che ogni individuo abbia la possibilità di sfuggire alle limitazioni del gruppo sociale nel quale è nato, e di venire in contatto vivo con un ambiente più largo» (ibidem). È necessario compensare eventuali disagi ambientali offrendo ad ogni bambino un'ampia gamma di occasioni d'incontro, di scambio, di partecipazione. D'altra parte, l'ambiente sociale «è veramente educativo nei suoi effetti solo fin dove l'individuo partecipa e condivide un'attività comune. Dando il suo contributo nell'attività associata, l'individuo fa suo lo scopo che la promuove, familiarizza con i metodi e il contenuto di questa attività, acquista l'abilità necessaria ed è pervaso dalla sua carica emotiva». L'apertura della scuola al mondo al di fuori di essa determina la necessità di una sua diversa strutturazione; su questa base, egli la disegna come il luogo della sperimentazione, dei laboratori, dell'apprendere facendo: una scuola fatta di attività che siano ad un tempo intellettuali e pratiche, lontana dal metodo trasmissivo che vede l'alunno come un «vaso» da riempire, come un ricettore passivo di nozioni, ma che è, invece, un soggetto attivamente partecipe al suo processo di crescita e di apprendimento. In questo modo, cambia anche il perno della relazione di insegnamento apprendimento: non più il maestro, ma l'alunno, con i suoi interessi e i suoi bisogni. Naturalmente, tali modifiche nel processo di apprendimento determinano un cambiamento radicale nella figura del maestro: non è più colui che trasmette conoscenze intellettualistiche e nozionistiche; egli «non è nella scuola per imporre certe idee al fanciullo o per formare in lui certi abiti, ma è lì come membro della comunità per selezionare le influenze che agiranno sul fanciullo e per assisterlo convenientemente a reagire a queste influenze» (Dewey, 1954). Gli sviluppi della rivoluzione deweyana Le complesse basi filosofiche e soprattutto l'assenza di un'attestata teoria dell'apprendimento (che invece in Europa, come abbiamo visto, costituiva il cuore delle nuove tendenze attiviste) rischiavano di rendere difficilmente applicabili in concreto i numerosi spunti innovativi e talora rivoluzionari dell'approccio didattico e formativo di Dewey. A questi deficit tentò di rispondere un allievo e collaboratore di Dewey, William Heard Kilpatrick (1871- 1965), autore di opere molto rilevanti come Il metodo dei progetti (1918), I fondamenti del metodo (1925), Filosofia dell'educazione (1951). Kilpatrick cercò infatti, di tradurre operativamente questi principi pedagogici nella concreta prassi didattica sperimentando a Chicago una struttura scolastica fortemente indirizzata al superamento dei tradizionali schemi didattici centrati su programmi e orari fissi. Egli propose così il suo celebre metodo dei progetti», che possono essere: progetti di produzione (ideazione e ipotesi di costruzione di qualcosa mediante tecniche specifiche); - progetti di consumo (elaborazione di modalità specifiche di fruizione dell'esperienza); progetti di problemi (elaborazione di procedure volte alla soluzione delle difficoltà) progetti di apprendimento (legati alle tecniche di esercizio per acquisire competenze e abilità). Ciascuna tipologia di progetto funziona come strumento di crescita pragmatico-cognitiva, in base al principio secondo il quale l'attività intenzionale e progettuale rappresenta la modalità più efficace di apprendimento generale. Scuola «attiva» e «pragmatica» significa in questo senso che l'allievo diventa l'autentico protagonista del proprio iter formativo. Kilpatrick arriva ad abolire il curricolo, smembrandolo in partizioni costituite da «attività» scelte, progettate ed eseguite dagli studenti sotto la guida degli insegnanti (ciò che oggi definiamo «unità didattiche»). Il loro potenziale formativo risiede nel fatto che esse sono propriamente delle azioni rivolte a un fine e non operazioni puramente astratte. Più nello specifico, affinché si abbia concreto apprendimento, ciascun progetto deve rispettare una serie stringente di momenti: piano dell'ideazione (selezione di un «fine» specifico dell'apprendimento); il piano dell'attuazione (strategie e modalità per il raggiungimento del fine); — piano dell'esecuzione (concreta realizzazione del fine); piano della valutazione (analisi critica dei risultati raggiunti). Il senso delta trasmissione del sapere delle diverse discipline viene in questo senso del tutto riconfigurato: esse diventano esclusivamente lo strumento finalizzato a raggiungere un certo tipo di scopi. Su questa stessa linea di radicale trasformazione delta pratica didattica, oltre che dell'approccio teorico, si situa anche l'opera e l'attività di Helen Parkhurst (1887-1973). Giovane assistente della Montessori, responsabile di una scuola superiore legata alla Columbia University di New York, nel 1920 avvia a Dalton (nello stato del Massachusetts) una innovativa esperienza didattica, nota come Dalton Laboratory Plan. I principi-base rispondono naturalmente alle linee-guida dell'attivismo internazionale: rispetto dell'autonomia personale dell'educando; — ruolo centrale dell'individualizzazione; elaborazione di curricoli formativi personali; libertà del fanciullo; sviluppo delle sue potenzialità innate (ciò che la Montessori aveva teorizzato con il concetto di «embrione spirituale»). La strutturazione dei programmi è profondamente innovativa: articolazione didattica mensile; libertà di scelta disciplinare (stipula di un vero e proprio «contratto» tra allievo e docente); non solo lezioni collettive ma anche e soprattutto libertà di gestione del tempo libero dedicato ai laboratori; registrazione grafica delle performance e costanti verifiche formative; flessibilità nella gestione di spazi e tempi educativi e abolizione radicale della classe tradizionale; insegnanti intesi esclusivamente come ausilio degli studenti. Infine un altro allievo di Dewey, Carleton W. Washburne (1889-1968), fu promotore nel 1919 di un'altra celebre sperimentazione pedagogica a Winnetka, un sobborgo di Chicago, la cui storia viene raccontata in dal soprannome dato a Giovanni Battista Perasso, un giovane che nel 1746 diede inizio alla rivolta dei Genovesi contro gli Austriaci); con il termine avanguardisti si indicavano i giovani dai quattordici ai diciotto. Anche le cariche politiche avevano nomi precisi; la parola gerarca, per esempio, che in Passato indicava una carica religiosa, il capo delle sacre funzioni, sotto il fascismo designava le massime autorità del Partito; infine il podestà, capo delle amministrazioni comunali, era nominato direttamente dal governo. Il regime affidò inoltre alla Gioventù Italiana del Littorio la preparazione sportiva e spirituale delle nuove generazioni, in particolare i ragazzi ricevevano: una formazione che li preparava alla vita militare, mentre la gioventù femminile frequentava i corsi di preparazione alta vita domestica. Il regime si occupò anche di problemi legati al controllo della cultura nazionale e degli intellettuali: Mussolini stesso decise di fondare l'Istituto nazionale fascista di cultura, sotto la presidenza di Giovani Gentile. L'Ente, basato sulle teorie di Gentile e mirante alla formazione di una coscienza nazionale, fu il primo programma sistematico di propaganda di massa avviato dal governo fascista. La teoria pedagogica di Mussolini e degli intellettuali fascisti si basava sulla necessità di «appropriarsi» del cittadino già all'età di sei anni e restituirlo alla famiglia a sedici: così lo Stato totalitario, attraverso le associazioni giovanili e la scuola, esercitava un severo controllo e, al tempo stesso, effettuava una colossale opera di inquadramento e di persuasione delle masse. Il controllo dei gruppi giovanili venne affidato a un dirigente del Partito con l'aiuto dell'Opera nazionale balilla, dei gruppi universitari fascisti e dei fasci di combattimento, la cui funzione era esclusivamente di natura morale e spirituale. Una delle azioni più importanti si registrò nel 1925, quando il regime avviò il programma di nazionalizzazione del tempo libero, dal divertimento allo sport, il cui primo passo fu la creazione dell'Opera Nazionale Dopolavoro. L'idea del regime era di allevare dei campioni per accrescere il prestigio dell'Italia, per cui la cultura dello sport fu finalizzata a scopi totalitari e non patriottici. Gli sport fondamentali che venivano praticati erano: l'atletica leggera; gli sport invernali; il ciclismo; il nuoto; la boxe; il tiro a segno. ln tutta Italia vennero costruiti stadi, piscine e palestre. Lo sport divenne una vera e propria attività educativa, seguendo i valori della "nazione guerriera" propagandati dal fascismo. L'attività sportiva stabiliva una nuova gerarchia di valori e divenne espressione di uno stile di vita basato sulla supremazia del più forte. La genesi ideologica del processo di «fascistizzazione» della nazione da parte di Mussolini si deve in buona parte all'opera di Giovanni Gentile, filosofo e ministro delta pubblica istruzione, al cui nome resta legata una delle più importanti e controverse riforme scolastiche dell'intera storia italiana: si tratta di un ampio progetto di riorganizzazione dei contenuti e della struttura scolastica voluto dal regime fascista nel 1922, non appena giunto al potere (Mussolini stesso la definì «la più fascista delle riforme»). Giovanni Gentile, 1875-1944. Nei primi anni del Novecento collaborò con Benedetto Croce, impostando una battaglia contro il positivismo sulla rivista «La Critica». divenne Ministro delle Pubblica Istruzione (1922-24) e avviò un vasto progetto di riforma della scuola. Dopo la caduta del regime aderì alla Repubblica Sociale Italiana e, a causa della sua posizione politica, venne ucciso a Firenze nel 1944. Tra le sue opere: L'atto del pensiero come atto puro (1912), la Teoria generale dello spirito come atto puro (1916), il Sistema di logica come teoria del conoscere (l vol. 1917, Il vol. 1923), il Sommario di pedagogia come scienza filosofica (1912), i Fondamenti della filosofia del diritto (1916) e la Filosofia dell'arte (1931). La «riforma» di Gentile era stata preceduta da un disegno di legge del grande intellettuale liberale e antifascista Benedetto Croce (1866-1952) che nel 1920 era diventato ministro della pubblica istruzione del governo Giolitti. Croce — che sul piano politico intendeva puntellare l'alleanza tra laici e cattolici per la ripresa del Paese si propose di inserire l'educazione religiosa nella scuola pubblica. Tuttavia la caduta del governo Giolitti, il biennio rosso, la progressiva crisi economica e sociale italiana aprirono drammaticamente la strada all'instaurazione del regime fascista e Gentile, considerato in un certo senso il filosofo stesso del regime, trovò modo di far approvare come legge definitiva le opzioni programmatiche del disegno di legge di Croce. Lo scopo della Riforma era quello di conferire nuovo valore al ruolo del docente e allo studio in genere, assegnando alla scuola pubblica una specifica funzione di controllo su tutto l'insegnamento, con la decisiva funzione di «formare» le generazioni emergenti. Assunse dunque gradualmente consistenza il carattere centralistico, elitario e gerarchizzante dell'organizzazione scolastica. ln particolare: venne limitata la funzione del collegio degli insegnanti; vennero intensificati i poteri dei presidi con lo scopo di vigilare sulla preparazione, sulla competenza e sull'affidabilità etica, morale, ideologico-politica; il Consiglio superiore della pubblica istruzione, composto in parte di membri: elettivi, venne privato di ogni potere di decisione. Sotto il profilo amministrativo e organizzativo la riforma Gentile imponeva: l'obbligo scolastico fino ai quattordici anni; la conseguente riqualificazione del settore medio dell'istruzione; un durissimo esame di Stato, ufficialmente per equiparare le possibilità degli studenti delle scuole statali e quelle degli studenti provenienti dal settore privato; in realtà per selezionare l'élite culturale che avrebbe dovuto costituire futura classe dirigente del Paese. Proprio infatti sul piano della trasmissione del sapere e della strutturazione dei contenuti, la riforma risulta del tutto in linea con la sua ispirazione filosofica idealistica e anti-scientifica: vennero contestati in toto sia il concetto stesso di una didattica basata su metodologie attestate scientificamente, sia qualsiasi tipo di impostazione interdisciplinare, cioè proprio i cardini teorici della rivoluzione attivista. La diretta conseguenza fu la subordinazione dell'insieme delle discipline alla filosofia intesa come centro unificante del sapere umano. Ne derivò: una netta svalutazione delle discipline non filosofiche o non umanistiche (lingue straniere, materie scientifiche, attività pratico-sportive); l'eliminazione delle aree fisico-matematiche dei vari istituti tecnici; l'abolizione del Liceo moderno, un'istituzione scolastica fondata nei primi del Novecento dal ministro Credaro e apertamente ispirata a principi scientifici e positivisti; la sua sostituzione con il Liceo Scientifico, che, assieme agli Istituti Tecnici, venne considerato inferiore al Liceo classico: non permetteva, ad esempio, l'accesso a tutte le facoltà universitarie, ma solo a quelle scientifiche. Sul piano più squisitamente pedagogico, la novità più rilevante fu l'inserimento della religione cattolica come «fondamento e coronamento» di tutta l'istruzione elementare, formula che verrà poi estesa, con i Patti Lateranensi del 1929, a tutte le tipologie di scuola. Si tratta in realtà non tanto di una scelta didattica, quanto politico-ideologica generale: era finalizzata alla sempre più netta saldatura tra cultura fascista e tradizione clericale. Altra novità di spicco fu l'istituzione dell'Istituto magistrale. Gentile ne stabilì il corso di studi a quattro anni (il che, naturalmente, poneva questo tipo di scuola in condizioni di netta inferiorità rispetto a tutte le altre scuole secondarie) ed espunse del tutto le esercitazioni di tirocinio, in base ad una delle sue formulazioni teoriche più note e anti-attiviste: «il metodo è il maestro». Impose invece una densa preparazione culturale (nel programma era compreso il latino, la pedagogia e la teoria didattica vennero assorbite dalla filosofia) sul base di un altro assunto profondamente anti-metodologico: «chi sa, sa anche insegnare». Una lunga serie di provvedimenti specifici intesero introdurre modifiche strutturali finalizzate all'allineamento ideologico dei docenti al pensiero e alla dittatura del regime. Assieme all'idea di scuola d'élite che Gentile aveva prospettato ma non del tutto trasformato in senso fascista, il regime intraprese una serie di attività in senso decisamente autoritario, come l'istituzione nel 1926 dell'Opera Nazionale Balilla (divenuta nel '37 Gioventù Italiana del Littorio), in cui era prevista, per i giovani appartenenti a tutte le classi sociali, l'iscrizione obbligatoria all'età di sei anni; l'allestimento di tipiche adunate (il «sabato fascista», di cui abbiamo già parlato) volte all'arruolamento, all'addestramento militare e all'indottrinamento politico. L'Opera Nazionale Balilla si fece carico anche di altri aspetti del profilo formativo nell'epoca fascista: formazione di istruttori e insegnanti di educazione fisica nelle scuole secondarie; strutturazione della dimensione ricreativa; gestione e creazione di palestre e laboratori; diffusione di corsi di addestramento professionale; creazione di patronati scolastici e colonie di vacanza. Tutto ciò permise una infiltrazione capillare delle regole, delle pratiche, degli stili di vita e del sostrato ideologico del regime in tutti gli strati della società: la costruzione di uno Stato integralmente etico e dittatoriale passava anche necessariamente per una progressiva «fascistizzazione» della società italiana nel suo complesso. Infine, nel 1928, venne imposto il giuramento obbligatorio al regime per tutti i maestri elementari e nel 1929 fu definito il testo unico di Stato. Nel 1933, a coronamento di questo progetto totalitario, fu imposto anche l'obbligo di iscrizione al partito per tutti gli insegnanti. Fu affidato dunque a Giuseppe Bottai (1895-1959) il compito di rivoluzionare l'approccio fascista ai problemi della scuola e della formazione. Questi — che già nel 1927 aveva redatto la «Carta del lavoro», l'importante documento attraverso lt quale il fascismo elaborò una propria dottrina economica nota come «corporativismo», in cui si raccolgono le ipotesi di «terza via» tra liberismo e comunismo — nel 1939 presentò in Parlamento un'innovativa Carta della scuola, orientata alla progettazione di una scuola autenticamente popolare, adeguata alle necessità di tutti e chiaramente «ispirata agli eterni valori della razza italiana e della sua civiltà». Sostanzialmente si trattava di un riordino del profilo strutturale e disciplinare del scolastico italiano che prevedeva: istruzione elementare per tutti; scuola media unica (fusione dei corsi inferiori del ginnasio, dell'istituto tecnico e dell'istituto magistrale); istruzione secondaria (sostanzialmente immutata) A livello metodologico immetteva importanti novità, tra cui: l'incremento dell'uso dei mezzi di comunicazione di massa (cinema e radio nell'insegnamento; apertura ai test psicologici di personalità); l'associazione tra dimensione dello studio e esperienza del lavoro come centro del processo educativo. Si tratta di un principio ancora profondamente interno ad una ideologia totalitaria dello Stato, ma certo costituiva un'apertura importante alle suggestioni attiviste provenienti da tutta Europa; Con la diffusione del neo-idealismo in Italia, a quella di Giovanni Gentile si affianca la figura emblematica di Giuseppe Lombardo Radice (1879-1938). Negli anni del fascismo, alle dirette dipendenze di Gentile (che allora era titolare del ministro della Pubblica Istruzione) provvide alla stesura dei programmi ministeriali per le scuole elementari o primarie. La sua opera non è tuttavia direttamente associabile all'ideologia fascista: quando ad esempio il fascismo rivelò apertamente la sua natura totalitaria (a seguito del delitto Matteotti nel 1924) egli passò a insegnare pedagogia presso l'istituto superiore di magistero di Roma fino al 1928. Per aver abbandonato la collaborazione con il governo subì un periodo di emarginazione che lo indusse a ritirarsi dalla politica attiva. la pedagogia idealistica di Lombardo Radice è più attenta ai problemi scolastici e più aperta verso le nuove metodologie. Il pedagogista espone le finalità della sua metodologia educativa: a partire da un'elaborazione di matrice filosofica del processo educativo, si deve poi tendere alla concretezza dell'esperienza in campo pedagogico. ln questo senso egli accoglie l'eredità delle Scuole nuove per attuarla in Italia con l'esperienza della Scuola serena. Tale prospettiva prevedeva: un ideale di continuità tra la famiglia e l'istituzione educativa; la valorizzazione dell'attività e dell'esperienza artistica in cui possa esprimersi la spontaneità del bambino; Dai suoi scritti emerge come esigenza pedagogica centrale la risoluzione del problema delle antinomie maestro/scolaro e autorità/libertà. Radice non smette mai di dare importanza al contatto diretto con gli allievi durante il loro percorso didattico. secondo il suo pensiero, il dovere professionale e morale di ogni pedagogista è la continua messa in discussione delle proprie idee. scuola, da lui stesso definita come una «rivoluzione in cammino». Il compito delle istituzioni scolastiche è anzitutto quello di conoscere i propri allievi: non è possibile raggiungere tale conoscenza se prima non si è conosciuto il mondo dell'alunno, inteso come contesto familiare, sociale e culturale. Jacques Maritain (1882-1973) è il principale rappresentante del movimento neotomista o neoscolastico, centrato sul progetto di recupero dell'ontologia di Tommaso d'Aquino. Il suo pensiero pedagogico si nutre dell'idea secondo cui l'educazione è un'arte particolarmente complessa, perché ha il compito di guidare l'allievo nel percorso della conoscenza di se stesso. Essa dunque non può, secondo Maritain, sfuggire ai problemi di filosofia e non può quindi ignorare l'esigenza di rispondere alla fondamentale: «Che cosa è l'uomo?». Gli elementi centrali della sua riflessione, espressi in opere come Umanesimo integrale (1936), Da Bergson a Tommaso d'Aquino (1944), Cristianesimo e democrazia (1948), La chiesa cieli Cristo (1973), sono da un lato una netta e costante polemica contro il soggettivismo e antropocentrismo moderni e dall'altro il duplice tentativo, etico e teoretico, di mettere capo ad un «umanesimo integrale». Il punto di partenza per la costruzione delle idee sull'educazione è dunque questa sua concezione antropologica della filosofia come studio sul «concetto di uomo», che va a condizionare l'approccio alla teoria pedagogica. L'uomo non esiste solo come essere fisico, ma è presente in lui qualcosa che oltrepassa la sua natura puramente animale. L'uomo costituisce una sorta di «microcosmo» dotato di intelligenza e volontà, che grazie alla sua «sovraesistenza spirituale», propria dell'amore, può donarsi liberamente agli altri. Per tali ragioni l'educatore deve avere rispetto per l'anima del fanciullo, delle sue dimensioni di risorsa interiore e della profondità della sua essenza. I cardini dell'educazione integrale della persona sono pertanto la libertà