Scarica Pedagogia speciale per l'inclusione - Luigi d'Alonzo e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! PEDAGOGIA SPECIALE PER L’INCLUSIONE. INTRODUZIONE. L’uomo contemporaneo versa in una condizione di problematicità esistenziale, che tocca il senso stesso dell’esistere. La disperazione rischia di divenire una costante nella vita delle persone. La famiglia come istituzione fondamentale, come primo pilastro, è fortemente in crisi e le conseguenze sono evidenti nei ragazzi, soprattutto a scuola dove aumenta il numero di ragazzi difficili. Le persona con disabilità invece vivono un momento di oblio, raramente si parla della loro vita e dei loro diritti, ma la crisi economica non deve essere un alibi per arretrare culturalmente. La pedagogia speciale rientra fra quelle discipline che nutrono l’esigenza di dialogare con altre scienze e merita di essere assunta alla base di ogni percorso formativo dei formatori. Essa ha come obiettivo quello di favorire l’inclusione delle persone con bisogni educativi specifici e particolari e di prepararle alla vita. CAPITOLO 1: necessità della pedagogia speciale . 1. Il ruolo della pedagogia speciale. La pedagogia speciale è una scienza che studia l'educazione, è per questo molto legata alla pedagogia generale, infatti, come essa, trae origine dal bisogno di rispondere ai bisogni dell'educabilità nella consapevolezza che i protagonisti, i contesti, i fini, i metodi e gli orizzonti di senso dell'educazione possono consentire ad ogni individuo di arrivare ai traguardi prefissati all'inizio dell'azione educativa. La pedagogia speciale, in particolare, si occupa di quelle persone che la società ha escluso. La paura del diverso è purtroppo radicata nella storia dell'uomo in quanto in tutte le epoche il "difforme" suscita, in coloro che si considerano uguali e normali, una reazione di difesa che porta ad escludere tutto quello che è diverso. Per questo la pedagogia speciale è chiamata a risolvere le difficoltà del soggetto escluso: • offrendo risposte di qualità ai mille quesiti che si presentano in questa situazione particolarmente difficile; • Proponendo percorsi educativi innovativi; • Sperimentare nuove metodologie didattiche inclusive. Fra le scienze pedagogiche, quindi, è quella che è più di tutte chiamata a interagire e collaborare con le altre discipline come la psicologia o la sociologia, in quanto questo dialogo consente di poter agire con una competenza specializzata e adeguata. I grandi personaggi fondatori della pedagogia speciale, Itard, Montessori, Decroly erano infatti medici che capirono l’importanza di “educare”, divennero grandi pedagogisti e seppero lottare, sperimentare nuovi metodi innovativi, per offrire risposte educative in grado di dare dignità umana ai loro allievi. ITARD 1800: si occupa dell’educazione del “selvaggio” un ragazzo trovato nelle foreste francesi MONTESSORI capì che il problema dei ragazzi con disabilità non era solo medico, ma anche pedagogico DECROLY 1900: importanza di individualizzare il percorso educativo per i soggetti con disabilità Ogni società sviluppata è tale in quanto riconosce la centralità del bisogno che hanno le persone con disabilità e perchè investe economicamente energie per dare ai cittadini un’educazione e un’istruzione adeguata. Quello che però rende un paese civile è riconoscere la dignità di tutti i suoi cittadini rispettandone i diritti, come afferma la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948. I risultati raggiunti dai diversi pedagosti nel corso dei secoli ha convinto la società ad interessarsi delle persone “con problemi” (prima venivano chiamati “diversi”, “svantaggiati”) e le conseguenze furono positive, ma comunque incomplete. Lo stato si prendeva cura di loro, ma li voleva in istituzioni chiuse, questa scelta formativa sarà adottata dallo Stato italiano per molti anni, agli inizi degli anni ’70 esistevano 1400 scuole speciali con oltre 40mila persone ricoverate. La pedagogia speciale capì che i ragazzi dovevano poter vivere con gli altri e “nel mondo”, operare in esso e questo fu riconosciuto grazie all’emanazione di alcune leggi: Legge 118 del 1971 apre le porte all’integrazione Legge 517 del 1977 integrazione dei soggetti disabili nella scuola italiana 2. Le tappe fondamentali. Tappe che hanno portato all’evoluzione della pedagogia speciale: 1600-1700: in tutta Europa non si pone minimamente il problema di coloro i quali hanno bisogno di aiuto a causa del proprio svantaggio fisico e mentale, ma questi ultimi vengono spesso scacciati dalle città e internati nelle carceri. 1770: l’abate Charles-Michel de l’Epèe apre la prima scuola per sordomuti riconosciuta, a Parigi. 1784: Valentin Hauy apre la prima scuola per ciechi a Parigi. 1793: P. Pinel libera dalle catene i folli e tenta un primo intervento riabilitativo. 1795: S. Tuke istituisce in Inghilterra la prima casa di cura in campagna per persone con disabilità intellettiva. 1799: dopo il ritrovamento in una foresta il “ragazzo selvaggio” viene portato da Itard che inizia un’esperienza educativa. 1818: J.E. Esquirol conia il termine “idiozia” per definire un determinato gruppo di individui con caratteristiche proprie 1836: J. Guggenbuehl fonda in Svizzera la prima scuola per cretini, i cui metodi, basati sul contatto con la natura, riscuotono successo. 1846: E. Seguin, padre della pedagogia speciale, pubblica il primo trattato sui bisogni dei soggetti disabili. Vero fondatore della pedagogia scientifica speciale. 1880: Giulo Tarra fu eletto presidente della conferenza internazionale sull’educazione dei sordi. Si sancì l’adozione definitiva del metodo orale e di abbondare quello gestuale , poichè emarginalizzante. Fine dell’800: l’obbligo scolastico porta ad una spinta decisiva nello studio e nell’interesse per le persone disabili. In Italia ricordiamo la legge Coppino del 1877. 1898: S. De Sanctis apre a Roma il primo asilo-scuola per la cura dei soggetti con disabilità intellettiva. Inizi del ‘900: in tutta Europa aprono le scuole speciali, riservate ad alunni con disabilità. Troviamo inoltre molti apporti da medici e pedagogisti, è un secolo di grande innovazione e attenzione alla disabilità. 1900: G. Montesano fonda Roma la prima scuola magistrale ortofrenica per anormali. 1907: M. Montessori apre la prima scuola sperimentale “Casa dei Bambini”, mentre O. Decroly la “Scuola dell’Ermitage”. 1912: Montessori pubblica il suo metodo 1926: Augusto Romagnoli organizza la scuola di metodo per gli educatori dei ciechi. Dr. John Langdon Down (1828-1896): J.L. Down fu il medico che scoprì e studiò la sindrome di Down. o Nel 1866 pubblica le “Osservazioni su una classificazione etnica degli idioti” in cui afferma di poter classificare gli idioti secondo criteri etnici (es. tipi etiopici, tipi caucasici e tipi mongoli). Egli ritiene che le problematiche delle persone con sindrome di Down siano dovute ad una appartenenza etnica, che ha portato i mongoli a seguire tappe di sviluppo differenti da quelle del primitivo perfetto, il bianco europeo (legge della ricapitolazione ortogenetica di F. Müllere e ipotesi del degenerazionismo di A. Morel). In ogni caso i suoi studi non sortirono particolari interessi nel mondo della società scientifica. o Per Down le caratteristiche del tipo mongolo (trisomia 21) sono: idiozia congenita, dovuta alla tubercolosi dei genitori; necessità di un’alimentazione particolare; grande capacità mimica e imitativa, senso dell’umorismo e buon carattere; pastosità nella fonazione; coordinamento motorio discreto; sensibili alle stagioni, regrediscono con il freddo. N.B. Solo nel 1959 si scopre la causa genetica alla base della patologia. Sono fattori di rischio l’età elevata della madre e la presenza di altri casi in famiglia. Le osservazioni di Down sono interessanti perché dimostrano come il pregiudizio, un approccio poco scientifico e osservazioni non supportate da basi scientifiche possono indurre a creare delle subculture che ghettizzano e non includono. La legislazione italiana: Legge 517/1977: integrazione dei ragazzi disabili nelle scuole, in seguito alla legge 118 del 1971 che apre le porte all’integrazione. Sentenza 215/1987: sentenza della Corte Costituzionale. Dichiara il diritto di integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole, i contenuti richiamano i principi costituzionali di uguaglianza ed apertura a tutti gli alunni, poichè l’interruzione al primo ciclo di studi potrebbe risultare dannosa. Legge 381/1991:inserimento lavorativo dei disabili tramite la costruzione di cooperative sociali. Legge 104/1992: amplia la sfera dei diritti della persona con deficit e richiama il dovere delle istituzioni ad operare con principi e norme. Legge 17/1999: attività degli atenei per integrare gli studenti con disabilità. Legge 68/1999: riguarda il miglioramente dell’inserimento lavorativo Legge 4/2004: diritto ai servizi informatici Legge 170/2010: viene riconosciuta la dislessia, la disortografia, la disgrafia e la discalculia quali DSA (disturbi specifici dell’apprendimento) Direttiva MIUR 2012: indicazioni per l’inclusione anche di alunni non certificati, con svantaggi economici, familiari. Con alunni BES si intendono con disabilità, con DSA e svantaggi linguistici, culturali, personali. Circolare MIUR 2013: estende a tutti gli studenti il diritto alla personalizzazione dell’apprendimento Nota 2013: chiarimenti sugli strumenti di intervento per alunni con BES, soprattutto in relazione al PDP (piano didattico personalizzato). 3. La pedagogia speciale e l’inclusione. Nel corso degli anni la scuola italiana si è resa più competente al fine di integrare e accogliere i ragazzi con disabilità in maniera adeguata. L’integrazione ha portato vantaggi anche alle strutture stesse permettendo ad esempio: collaborazione tra insegnati, classi aperte, dialogo col territorio e con figure professionali esterne alla scuola. L’integrazione inoltre si è estesa a tutti i contesti sociali di vita delle persone, non solo alle aule scolastiche (queste è uno dei contributi che l’impegno della pedagogia speciale ha portato). La vita del disabile non termina con l’esperienza scolastica, ma ha bisogno di essere valorizzata in ogni contesto civile e professionale. L’intergazione diventa un valore da salvaguardare e promuovere a scuola, nel mondo del lavoro, nella società e ha come compimento l’inclusione, cioè la capacità di un contesto sociale di essere preparato, predisposto ad accogliere la persona “diversa”. Alcuni dati sulle persone con disabilità: Sono circa 4 milioni e 360 mila, il 7,2% della popolazione italiana. Vivono prevalentemente al Sud e superano i 65 anni. • Condizioni di vita: un terzo delle persone vive solo, un quarto con un coniuge ma senza figli; • Lavoro: per le donne 20% (su 46), uomini 25% (su 62); in particolare le persone con deficit intellettivi spesso non hanno neppure un vero e proprio contratto e non vengono retribuiti regolarmente; • Partecipazione sociale: l'85% dei giovani con disabilità vede i suoi coetanei almeno una volta a settimana • Condizioni economiche: le famiglie con un membro con disabilità hanno un reddito inferiore di circa 1000 euro; la percentuale di famiglie con persone disabili in gravi difficoltà materiali è alta, essa si aggrava quando si tiene conto della quantità di reddito che viene spesa a fini del benessere (medicine, assistenza, protesi…); • Ignoranza sociale: 1 italiano su 4 non ha avuto a che fare con queste persone, la disabilità e percepita da 2 persone su 3 come limitazione dei movimenti • Sistema di protezione sociale: : l'Italia nel 2015 ha speso 1,7% del PIL per spese destinate alla disabilità. Mentre l'impatto economico in Europa è pari al 2% del PIL Europeo; • Scuola: fino alla minore età le famiglie possono appoggiarsi alla scuola dell'obbligo la quale rappresenta la più forte esperienza per l'inclusione. Purtroppo però la percentuale di ragazzi con disabilità che frequenta la scuola scende dai 14 ai 20 anni. Dopo la scuola: dopo la scuola hanno pochissime opportunità e vengono rinchiusi in casa. Nel mondo del lavoro l’inclusione è inesistente, al massimo lavorano in cooperative sociali senza un vero e proprio contratto e non retribuiti. • Università: il numero di studenti che accedono ai corsi universitari è in crescita soprattutto nei corsi umanistici e di formazione, ma anche nell'area scientifica. Questi dati ci confermano che l’impegno della pedagogia speciale è quello di riuscire a far consuetudine quello che prima era speciale, quindi che sia normali vedere questi ragazzi nei diversi contesti di vita sociale, dalle scuole, alle università e al mondo del lavoro . • Nel mondo: secondo un rapporto dell’ONU si evince che nei paesi a reddito basso: le persone con disabilità non godono di un’assistenza sanitaria adeguata e lo stesso vale per i servizi di riabilitazione; l’istruzione è lasciata da parte infatti la maggior parte non termina il percorso di studi, dati che si riflettono anche nel mondo del lavoro. Le persone con disabilità certamente rappresentano un costo per la società, ma lavorare con loro significa andare a intervenire sull’uomo, valorizzare la sua umanità e la sua dignità, per fare in modo che si realizzi una società dove tutti possano trovare il loro cammino. 4. La pedagogia speciale come impegno di giustizia. Ogni diritto violato si impone come ingiustizia e richiama l’uomo a risolvere tale iniquità. Chiunque operi con le realtà umane speciali è sollecitato da un amore incondizionato che lo porta ad una scelta precisa: lavorare per il bene dell’educando. Però questo nasce da una precisa istanza di giustizia che la presenza della persona con disabilità ci comunica e questo sollecita ad un impegno particolare, in quanto, nonostante qualsiasi educatore lavora secondo un’intenzionalità, l’educatore che opera con le persone con disabilità deve impegnarsi in modo radicale ed esistenziale perché l’ingiustizia che caratterizza l’esistenza di una persona con problematiche obbliga l’educatore al superamento della professionalità. 5. L’ampliamento delle competenze della pedagogia speciale. La pedagogia sociale nel corso della storia si è ricava una certa autonomia epistemologica staccandosi dalla pedagogia generale pur conservandone i principi cardine. L’educabilità dell’uomo, la teorizzazione sistematica, la prospettiva unificante dei vari rapporti scientifici culturali, la consapevolezza che l’obiettivo fondamentale è la più completa umanizzazione dell’educando rimangono pilastri fondanti della pedagogia speciale, ma quest’ultima si contraddistingue dalle altre scienze pedagogiche nel suo compito di dare risposte ai bisogni educativi speciali delle persone che vivono ai margini della “normalità” che altrimenti verrebbero dimenticati. Questo impone: o La sensibilità di un intervento che deve continuamente mediare le esigenze della società e i bisogni della persona; o La responsabilità educativa di decidere ciò che è bene e ciò che è male per la persona che si affida completamente all’educatore; o La consapevolezza di un lavoro che incide in modo indelebile sulla vita dell’educando È necessario che l’educatore capisca l’importanza di approfondire e conoscere in modo esaustivo le situazioni che l’educando con disabilità vive perché esse sono delicate e difficili, per questo richiedono un intervento competente e mirato. La pedagogia speciale nasce quando l’educatore nota l’umanità singolare dell’educando speciale, notare come presa di coscienza che è altro da me, ma che mi coinvolge, con sospensione di giudizio. Si fa riferimento poi al fatto che la pedagogia speciale si rivolga non solo a ragazzi con disabilità, ma anche a coloro che sono privi di deficit, ma vivono con sofferenza la vita, non riuscendo spesso a manifestare il proprio disagio. Dai ragazzi con disturbi di apprendimento, a ragazzi che vivono male e si fanno notare con azioni devianti. 3. Le cause? Le cause che possono concorrere a determinare una situazione di disabilità generalmente sono: Genetiche Legate alla gravidanza Legate al parto Post-natali ✓ Genetica: alcuni geni bloccano il corretto sviluppo fisico e mentale - FIBROSI CISTICA: non influisce sulle capacità intellettive del soggetto, ma colpisce molti organi causando dei problemi soprattutto ai polmoni e al fegato; - DISTROFIA MUSCOLARE di DUCHENNE: il problema sta nell’assenza della proteina chiamata Distrofina, e colpisce prevalentemente i maschi. Le conseguenze sono che già dall’infanzia i muscoli cominciano a non funzionare in maniera corretta costringendo la persona alla carrozzina. Da inoltre problemi cardio-respiratori o un sbagliato sviluppo biologico; - SINDROME DI DOWN (1 ogni 750): si verifica perché la persona ha 47 cromosomi invece che 46. I caratteri fisici delle persone con la sindrome di Down sono ad esempio gli occhi a mandarla, bocca piccola e lingua tozza. Il ritardo mentale è presente in svariate forme; - SINDROME DI PRADER-WILLI (1 ogni 15000): è una sindrome complessa che porta ad un ritardo mentale medio grave, ipotonia infantile, problemi nutrizionali, bassa statura e difetti nel linguaggio; - SINDROME DI WILLIAMS (1 ogni 10000): le caratteristiche fisiche delle persone affette da questa sindrome sono dette “ad elfo” (testa e naso piccoli, labbra grandi); Ci sono alcune sindromi che non ci permettono ancora di indicare concretamente quali siano le cause del problema, è il caso dei disturbi del neurosviluppo: - DISABILITÀ INTELLETTIVA (1% della popolazione): è caratterizzata da deficit delle capacità mentali generali, come il ragionamento, la pianificazione o il pensiero astratto. Tale deficit fa si che l’individuo sia incapace si soddisfare gli standard di autonomia e responsabilità sociale in uno o più aspetti della quotidianità. + - DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE/IPERATTIVITÀ: è caratterizzato da livelli invalidanti di distrazione e iperattività che comportano un livello di attività eccessivo, agitazione, incapacità di mantenere l’attenzione, incapacità di rispettare le regole condivise di convivenza civile. Nei contesti educativi come la scuola risulta difficile la gestione di questi comportamenti ed effetti negativi anche nel gruppo classe. I loro comportamenti sono speso scambiati per maleducazione, devianza e delinquenza. - DISTURBO DELLO SPETTRO AUTISTICO: I bambini autistici non sono stati riconosciuti subito come portatori di una disabilità, questo anche perché è diagnosticabile solo dopo i 2 anni. I bambini con la sindrome dello spettro autistico vennero chiamati con dei nomignoli • Bambini fata • Bambini addormentati • Fortezze vuote Cenni storici: autismo precoce infantile (sindrome di Kanner) Caratteristiche: • Uso non comunicativo del linguaggio • Ritardo linguistico • Ecolalia ritardata (ripetizione suoni e parole) • Giochi ripetitivi stereotipati • Avversione ai cambiamenti • Scarsa/assenza immaginazione • Ripetizione rituale condotte • Tendenza all'isolamento • Assenza segni somatici e neurologici --> mamme frigorifero: colpa delle madri dei bambini con lo spettro autistico per mancanza di relazione affettiva con il bambino Occore quindi una programmazione educativa individualizzata che parta da una effettiva conoscenza dell’allievo e si costruisca nel tempo con frequenti incontri di sintesi fr ai vari attori implicati. Esistono inoltre altri tipi di disabilità, tra le quali troviamo quelle legate ai sensi: 1. Disabilità uditiva: essa comporta un vocabolario limitato, non parlare correttamente, mostrare difficoltà nella socializzazione 2. Disabilità visiva : distinguiamo la cecità dall’ipovisione ovvero una problematica che riduce gravemente la vista, ma non la toglie del tutto. Le problematiche di questa disabilità sono molteplici fino dalla tenera età in quanto troviamo compromesso ad esempio l’apprendimento per imitazione, oppure l’elaborazione cognitiva dello spazio. La qualità della vita del soggetto con disabilità visiva dipende enormemente dall’efficacia degli interventi educativi a casa e a scuola. ✓ Gravidanze: i fattori che possono compromettere lo sviluppo normale del feto sono legati sia ad agenti esterni che interni nel periodo della gravidanza e sono svariati. Le malattie infettive della madre rappresentano una delle cause più comuni, tra queste: toxoplasmosi (gatti - lesioni occhi e cervello) e la rosolia (Rubeovirus - aborto spontaneo, soprattutto se contratta nei primi 3 mesi). Altri fattori compromettenti per il feto sono sicuramente l’alcol, il fumo, i farmaci e le droghe. Infine bisogna porre attenzione anche nell’alimentazione della mamma nel periodo della gravidanza. ✓ Parto: l’asfissia è una delle cause più comuni e comporta lesioni vascolari, disabilità fisiche e psichiche. ✓ Post-natali: i traumi cranici dovuti ad incidenti sono una delle cause principali in questo ambito, in quanto comporta una lesione celebrale che ha svariate conseguenze gravi sul soggetto. In questa categoria vanno inseriti anche i processi di tipo infiammatorio delle meningi o dell’encefalo che potrebbero dare problemi a lungo termine. 4. La conoscenza dell’allievo con disabilità. Le cause che hanno determinato le problematiche del soggetto sono una questione a carico dell’educatore in quanto conoscerle significa poterla aiutare nei migliori dei modi. Ma quello che è più importante per la pedagogia speciale è capire come “funziona” il soggetto per programmare un’azione pedagogica capace di sviluppare a pieno le sue potenzialità. Ciò che interessa all’educatore è quali sono le sue abilità, la sua personalità, le competenze acquisite e i vissuti che hanno inciso sulla sua personalità. Interessarsi all’allievo con disabilità nel qui ed ora significa dare un peso molto relativo alle notizie circa le cause del deficit. Ai fini di conoscere il soggetto è indubbiamente importate la collaborazione con la famiglia, essa può offrire informazioni esplicite (la storia, il ruolo delle varie figure che lo circondano.) Le informazioni devono essere ricavate anche dal contatto con altre figure: medici, specialisti della riabilitazione, assistenti sociali, ma anche il sacerdote può avere un ruolo importante. Queste figure possono offrire dunque informazioni importanti all’educatore e permettono anche di conoscere le loro idee sull’allievo, i progetti formativi, gli obiettivi che intendono perseguire. 5. Le potenzialità e le scelte educative. L’educando si presenta al mondo come progetto aperto. Un uomo per essere tale, per maturare a massimo la propria umanità ha bisogno degli altri, dei genitori, di una famiglia, di un ambiente sociale e culturale, di educatori validi, di valori su cui fondare la propria vita. L’avventura dell’uomo è complessa e condizionata da molti fattori, non può essere preliminarmente definita. Tuttavia, pur consapevoli di questo, non possiamo permetterci di trascurare i risultati delle ricerche scientifiche. L’operatore pedagogico dei soggetti difficili deve ampliare le proprie conoscenze aggiornando continuamente il bagaglio professionale. L’educatore infatti è un catalizzatore in grado di riflettere sui risultati delle altre scienze per scegliere, accettare, rielaborare e metabolizzare quei nuovi dati utili a fecondare la propria azione educativa. La direttiva più importante è credere nelle potenzialità del cervello umano. I neurologi parlano apertamente di neuroeducazione e neuropedagogia rilanciando la necessità che i risultati accertati delle neuroscienze possano trovare terreno fertile nella pedagogia, scienza che ha in sè la capacità di permettere all’uomo di espandersi in tutte le sue potenzialità. Le ricerche sul cervello hanno messo in evidenza 5 caratteristiche: a) Grande capacità plastica cerebrale : gli permette di sopperire a possibili sue insufficienze b) Equipotenzialità funzionale della struttura : agisce in maniera olistica, come un tutto, non agisce in modo settoriale, ma unitario c) Ruolo delle esperienze attive nello sviluppo cerebrale : “senza uso non c’è crescita”, una funzione cerebrale se non viene esercitata, non matura il cervello si sviluppa attraverso l’esercizio d) Localizzazioni cerebrali : Hebb ipotizzò che le localizzazioni fossero prerogativa iniziale del cervello che in seguito alla sua maturazione arriva a funzionare in modo globale con attività sempre più complesse e) Innatismo funzionale :l’uomo è in possesso di abilità innate In campo pedagogico occorre sempre tener presente che si ottengono risultati migliori quanto più l’educando è giovane, in quanto la grande qualità plastica del cervello di supplire ad eventuali sue carenze. L’intervento precoce deve essere accettato come un pilastro a sostegno della professionalità dell’operatore pedagogico. Riconoscere quanto prima i problemi di un bambino significa avere a disposizione più tempo per intervenire con una corretta azione educativa: ma significa soprattutto essere coscienti che l’intervento avverrà su un terreno molto fertile in quanto il sistema nervoso centrale, è disponibile ad accettare sollecitazioni esterne in grado di superare i problemi di ordine strutturale. L’istituzione scolastica primaria riesce ad evidenziare le difficoltà cognitive, relazionali e sociali degli allievi. Purtroppo però la maggior parte delle problematiche si un soggetto con disabilità vengono evidenziate solo durante i primi anni dell’esperienza scolastica grazie all’esperienza attiva, infatti molto spesso i genitori dei bambini con deficit tendono ad eliminare qualsiasi tipo di ostacolo, proteggendolo da ogni esperienza che possa far nascere un malessere. Anche gli educatori spesso di fronte alle gravi difficoltà che riscontrano in un bambino hanno un atteggiamento remissivo, rinunciatario, ritenendo di non avere le competenze per affrontare certe situazioni. Bisogna invece avere il coraggio di assumersi le responsabilità della propria professione. Come dimostrano numerosi studi sul cervello, è importante che i bambini facciano esperienze attive per crescere. Molti genitori tendono, per timore, ad eliminare ostacoli e aiutare i propri figli senza permettere loro di fare esperienze. Anche diverse agenzie stanno adottando sempre più i medesimi atteggiamenti protettivi nell’organizzazione dei servizi: trasporti esclusivi, orari elastici. È estremamente utile invece che il soggetto con disabilità possa effettuare le sue attività direttamente in situazioni reali, concrete. Naturalmente non si parla di catapultarlo in situazioni stressanti, ma solo di metterlo a confronto gradualmente con le problematiche quotidiane della vita così da imparare le abilità fondamentali come il saper rispettare gli altri e le regole; sviluppare un pensiero proprio; acquisire le abilità motorie di base. Tutto questo percorso deve essere programmato attentamente da un’azione educativa graduale. Le esperienze attive diventano esperienze inclusive gli studi sul cervello sottolineano come sia grande il ruolo che le esperienze attive giocano nello sviluppo dell’uomo che sente il bisogno di vivere esperienze quotidiane. A questo riguardo sono sempre più frequenti terapie innovative che rispondono a queste esigenze, come: arteterapia, idroterapia, musicoterapia. È fondato infine che ogni abilità che il soggetto con disabilità acquisisce può avere un riscontro positivo anche sullo sviluppo di altre non ancora espresse. Questo viene confermato da numerosi studi neurologici: es: il ragazzo che opera in piedi per lungo tempo porta benefici alla tenura mentale e fisica. 10. Il ruolo della scuola. Molte ricerche evidenziano che molti soggetti con disabilità, dopo gli anni scolastici, non acquisiscono importanti competenze ed autonomie indispensabili per il loro inserimento sociale e lavorativo, questo perché un evidente limite del nostro sistema scolastico è la massima concentrazione nel teorico a discapito della preparazione alla vita Rousseau nell’Emilio affermava che “vivere è il mestiere che gli voglio insegnare”. È ovvio che pensare ad un piano che coinvolga entrambe le cose in modo egualitario sia difficile, i soggetti con disabilità hanno bisogno di una programmazione differenziata che dia loro sostegno e competenze. È possibile realizzare una programmazione educativo-didattica in grado di soddisfare queste esigenze e un aiuto ci viene offerto da uno schema, dove si sono messe in relaizone aree culturali coinvolte nell’insegnamento scolastico e aree utili nella preparazione alla vita. Schema (p.65): si nota come la lettura (area culturale) sia indispensabile nell’area mobilità (preparazione alla vita) in quanto serve saper leggere per spostarsi con i mezzi di trasporto. Oppure emerge come il comportamento (area culturale) sia presente in tutte le aree di prepazione alla vita. 11. L’autonomia. L’autonomia occupa un posto fondamentale nella programmazione educativa, poiché molto spesso l’inserimento e l’inclusione in un gruppo di pari vengono pesantemente condizionati dal grado di autonomia personale, comportamentale e di movimento che la persona possiede. È importante precisare che l’inclusione richiede il concorso positivo di tutti, dell’educatore, dei compagni, dell’istituzione, delle famiglie, ma anche del ragazzo con disabilità. Ciò è possibile solo se egli possiede le abilità su tre piani dell’autonomia: 1) AUTONOMIA PERSONALE: tutte quelle abilità legate alla realtà più individuale, propria dell’individuo: Igiene personale; Abbigliamento: la dignità della persona passano anche attraverso la scelta di un abbigliamento idoneo all’ambiente; Vita domestica: vivere nello spazio domestico in maniera dignitosa; Alimentazione: ad esempio il sapersi comportare in modo consono: molte amicizie nascono nei momenti conviviali (usare le posate, mangiare a bocca chiusa); Consumi: l’indipendenza nell’utilizzare il denaro: viviamo in una società consumistica quindi è importante saper utilizzare il denaro per acquistare ciò che ci serve; Tempo libero: avere degli interessi che possano arricchirlo, come lo sport o volontariato; 2) INDIPENDENZA DI MOVIMENTO: si tratta dell’autonomia di sapersi spostare autonomamente, di riuscire a decifrare strade e posti, di riuscire ad orientarsi. Molto spesso i genitori dei soggetti con disabilità sono spaventati da questo tipo di autonomia, occorre però essere consapevoli che noi uomini maturiamo anche affrontando i pericoli, imparandoci a difendere; 3) AUTONOMIA COMPORTAMENTALE O SOCIALE: l’atteggiamento personale di fronte agli avvenimenti, capire come comportarsi in gruppo o comprendere il linguaggio adeguato in certi contesti, in questo consiste l’autonomia comportamentale. Proprio per maturare questo tipo di autonomia sono stati ideati dei programmi per le persone con disabilità volte ad incrementare le abilità sociali. Uno dei più noti è l’Accepts Program ovvero un programma volto agli studenti della scuola dell’obbligo con disabilità intellettive, che definisce le abilità sociali come capacità che permettono di iniziare e mantenere relazioni positive con gli altri, sono 28 ne vengono presentate con una metodologia di insegnamento diretto; sono suddivise in 5 aree: Abilità di classe: ascoltare l’insegnate; Abilità di intersezione di base: utilizzo corretto della voce; Abilità che promuovono una relazione positiva: rispettare le regole; Abilità che promuovono un rapporto d’amicizia: sorridere, complimentarsi; Abilità di riuscita: agire in modo controllato e positivo. Il programma inoltre predispone una guida per gli insegnanti per aiutarli a superare le varie questioni. È importante sottolineare che lo scopo del programma non è solo acquisire le abilità fini a sé stesse, ma presuppone l’idea che il soggetto possa maturare un’autodeterminazione personale significativa. 12. Il bisogno di autodeterminazione. L’autodeterminazione è definibile come il bisogno innato dei soggetti di assumere certi comportamenti sulla base delle proprie libere scelte piuttosto che su imposizioni esterne. L’autodeterminazione più che una capacità, è un bisogno. Esso è presente lungo l’intero sviluppo maturativo della persona. In quest’ottica dobbiamo necessariamente fare riferimento alle ricerche di Michael L. Wehmeyer che ha condotto molti progetti sul bisogno di self-determination delle persone con deficit. Egli ritiene che sia meglio concettualizzare l’autodeterminazione come un esito, un set di attitudini e abilità apprese lungo la vita e associate alla maturazione di istanze personali che portano l’individuo verso l’età adulta. Purtroppo, raramente tali opportunità vengono offerte alle persone con disabilità, per questo essi, divenuti adulti, non sono in grado di assumersi le proprie responsabilità e raramente sanno presentare le proprie opinioni o preferenze. 13. Che cosa fare. Wehmeyer sostiene la necessità di una collaborazione fra le varie figure implicate nell’educazione e nella formazione del soggetto con disabilità. L’educatore deve offrire all’educando la possibilità di esprimere le proprie preferenze, di effettuare scelte. Fra le tecniche ritenute più efficaci troviamo: il role playing, l’istruzione metacognitiva o il brainstorming indicati per promuovere nell’allievo le giuste motivazioni personali nell’impegno scolastico. Tutto ciò può essere realizzato, secondo Wehmeyer, tenendo sempre presente: - La necessità dell’allievo con disabilità di sperimentare il successo; - L’importanza di offrire feedback continui; - Il bisogno di comprendere l’azione educativa che gli viene proposta; - Occorre pianificare bene le opportunità che permettono al soggetto di effettuare delle scelte; - Sollecitare il soggetto a diventare persona attiva, di autogovernare la propria vita. 14. Diventare lavoratori. La crescita personale e la maturazione non possono concludersi con la scuola, ma devono trovare un loro posto anche nella vita sociale e lavorativa. L’importanza del lavoro è evidente in quanto consente sia di provvedere alla vita economica del soggetto, sia perché dà al soggetto la sensazione di autodeterminare la propria vita, arricchire la sua identità. Tramite il lavoro l’uomo diventa “più uomo”. (Giovanni Paolo II). Per le persone con deficit l’ inserimento lavorativo consente loro di mostrare al mondo e a loro stessi che non sono diversi, di non avere sempre bisogno di qualcuno. Purtroppo però ancora oggi molte persone con disabilità, dopo la scuola, non riescono a trovare ambienti sociali e lavorativi in grado di accogliere le loro legittime esigenze. La diffusione di centri occupazionali rappresenta un grande passo avanti in questo senso, ma la convivenza, al suo interno, di persone con deficit vari e di varie età rischia di vanificare molti sforzi educativi profusi durante l’esperienza scolastica. Molti disabili che riescono a trovare lavoro per conto proprio, con l’aiuto della famiglia o dei servizi sociali, purtroppo non proseguono spesso in maniera positiva la loro esperienza perchè si trovano in difficoltà a relazionarsi con gli altri o il loro deficit rappresenta una barriera insormontabile. Le cooperative sociali sono un valido sbocco per queste persone a differenza delle cooperative di tipo A (a scopo di lucro), quelle di tipo B hanno come fine la produzione di beni e servizi di interesse collettivo. Legge n.381, 8 novembre 1991: prevede che la cooperativa di tipo B possa svolgere attività agricole, industriali, commerciali finalizzate all’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati. Per “svantaggiati” si intende: disabili psichici, fisici, sensoriali, ex degenti di istituti psichiatrici, tossicodipendenti, alcolisti, minori in difficoltà, condannati ammessi a misure alternative. La competenza del lavoro volontario è ammessa e differenzia le cooperative sociali da quelle di altro tipo, dal punto di vista giuridico. Se si parla dunque di formazione in campo scolastico non si può non considerare il fatto che il soggetto con problematiche ha la necessità di essere educato a comportarsi in modo socialmente accettabile nella nostra comunità civile. Ci sono diverse abilità da prendere in considerazione nella formazione dei soggetti: - Manualità fine e grossolana - Coordinamento motorio - Capacità di tenuta fisica e mentale - Responsabilità Gainer aggiunge altre abilità lavorative da inserire nel percorso formativo della persona con disabilità: - abilità individuali: capacità comunicative, comprensione, cultura -abilità personali credibili: capacità di gestione delle difficoltà, valori personali, maturità, moralità -abilità di adattamento aziendale: risoluzione problemi -abilità di operare in gruppo: capacità organizzative, interpresonali, di leadership, di negoziazione. Bishop e Lankard suggeriscono di seguire delle strategie: 1. richiedere comportamenti adeguati in classe : puntualità-rispetto delle regole 2. esprimere il valore del lavoro attraverso l’insegnamento in classe : serietà-responsabilità 3. incoraggiare l’autostima nell’allievo : apprezzarlo-lodare i risultati-sostenerlo 4. promuovere e pretendere un atteggiamento positivo in classe: partecipazione-gioia per le cose da fare 5. parlare spesso dell’importanza del lavoro nella società CAPITOLO 4: Il soggetto problematico e la sua educazione. La pedagogia speciale deve occuparsi non solo delle persone con disabilità, ma anche di coloro che non riescono ad adattarsi ai canoni di convivenza sociale. Si tratta di giovani che trovano difficoltà ad acquisire le norme e le regole dei vari ambienti in cui vivono le loro esperienze socio-relazionali. Le condizioni di disagio nascosto, se non superate da un’azione educativa significativga, rischiano di tramutarsi in percorsi di vita sempre più difficli che hanno come conseguenza disadattamento e devianza. 1. Il malessere giovanile. Il malessere dei giovani è avvertibile immediatamente anche da coloro che non operano direttamente nei vari settori educativi. Si ha davanti una situazione oggettivamente molto difficile: la tendenza al ridimensionamento delle capacità progettuali, la rinuncia a fissare obiettivi a lungo termine, il ripiego su scelte brevi. La deprivazione culturale evidente, la mancanza di lavoro, la scarsa fiducia in un futuro migliore in questo Paese, un clima civile tutt’altro che positivo, provocano poi delle reazioni sul piano sociale e identitaria molto accentuate. Il disagio e il malessere delle nuove generazioni preoccupano anche per le loro conseguenze, prima fra tutte il totale disimpegno nei confronti della realtà: l’alcol, le sostanze stupefacenti, i rintronamenti delle nottate in discoteca, i riti del sabato sera ne rappresentano gli effetti forse più diffusi, ma anche il suicidio e la delinquenza meritano di essere considerati come sbocchi preoccupanti di un disagio personale e sociale assai esteso. A. IL SUICIDIO: I dati sono molto elevati, la maggior parte dei suicidi riguarda i giovani, specialmente in America. In Italia questo fenomeno è presente in minor quantità rispetto al resto dei paesi ad economia avanzata, ma rimane comunque un dato elevato, si parla di 1000-1500 tentativi di suicidio all’anno, ma il dato è probabilmente sottostimato in quanto in molti casi vengono “occultati” dalle famiglie. Secondo i dati Istat, dagli anni ’70 i casi di suicidio dei giovani in Italia è aumentato, possiamo trovare più casi al Nord. B. CONSUMO DI DROGA: Dalla relazione annuale del parlamento del 2017 sullo stato delle tossicodipendenze in Italia, si evince che l’uso sperimentale di sostanze psicoattive sembra coinvolgere circa un terzo degli studenti minorenni frequentati le scuole superiori. In ambito di richiesta di aiuto e trattamento, la gran parte delle utenti risulta essere in carico presso i Servizi per le Dipendenze per uso di oppiacei. È inoltre da rilevare come sembri emergere una tendenza delle donne a chiedere aiuto in età sempre più avanzata, con le complicazioni cliniche che ne possono derivare. In questo senso, pur a fronte di una positiva diminuzione complessiva dei docenti droga-correlati, è preoccupante notare l’aumento dei nuovi casi di HIV registrato fra le donne. Rispetto agli altri paesi europei siamo secondi in Europa per consumo di cannabis tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni. Ma nel confronto con i coetanei americani, gli studenti italiani di 15 e 16 anni prediligono alcool e tabacco. C. CONSUMO DI ALCOL: secondo dati dell’Istat scende il consumo di alcol sia giornaliero che occasionale; i giovani assumono alcool in maggiore quantità in momenti di occasione sociale. D. LA DELINQUENZA: Ci sono diverse strutture che entrano in gioco con ragazzi minori con problemi di delinquenza: USSM (Uffici di servizio sociale per i minorenni): intervengono in ogni stato e grado del procedimento penale. A seguito di una denuncia il minore entra nel circuito penale fino alla conclusione del suoi percorso giudiziario. CPA (Centri di prima accogleinza): accolgono temporaneamente i minori fermati, accompagnati o arrestati fino all’udienza (max 96 ore). Il GIP (giudice) valuta e decide sull’eventuale aaplicazione delle 4 possibili misure cautelari (prescrizioni, permanenza in casa, collocamento in comunità, custodia cautelare). Comunità: minori sottoposti a misure cautelari IPM (Istituti penali per i minorenni): in essi sono eseguite le misure di custodia cautelare e la pena detentiva. In essi sono presenti diverse figure in grado di rapportarsi con l’utenza giovane e preparare attività adeguate. CDP (centri diurni polifunzionali): offrono attività educative, di studio, di formazione- lavoro, sportive. 2. I sentieri della vita problematica. Ci si chiede perchè tanti giovani facciano fatica ad adattarsi ai normali canoni di convivenza civile. Bisogna capire inanzittutto il fenomeno partendo dalle cause della vita problematica. Ci sono diversi fattori che condizionano una vita problematica e sono fattori: personali, familiari, sioco-ambientali e scolastici. 1. fattori personali: comprendono i fattori psicologici legati ad una situazione emotiva particolarmente fragile. I soggetti ansiosi o iperattivi o ancora particolarmente aggressivi, ad esempio, sono i più predisposti a vivere la propria esistenza con malessere. Iperattività/problemi di concetrazione Hawkins ha condotto uno studio in Svezia dove risulta che il 15% di ragazzi di 13 anni con problemi di concentrazione fu arrestato per aver commesso azioni delinquenziali ai 26. AggressivitàFarringotn deduce da un suo studio al riguardo che quasi la metà dei bambini giudicati violenti per atti di aggressione, fra i dieci e i 16 anni, ha poi commesso azioni di crimine efferato entro i ventiquattro anni. Tra i fattori più studiati e che possono portare ad un effettivo coinvolgimento del singolo in azioni delinquenziali, possiamo citare: il furto, lo spaccio di sostanze stupefacenti. 2. fattori familiari: ❖ GENITORI: la crisi dell’istituzione famiglia è un dato di fatto: il sociologo Ulrich Beck parla della famiglia come “categoria zombie”, non ritendola più in grado di rappresentare il collante della società civile. La vita frenetica dei nostri giorni, porta i genitori a lasciare sempre meno spazio alla cura educativa dei propri figli. La vita dei bambini e degli adolescenti, è sempre più riempita di impegni culturali, formativi e sportivi, e lo spazio a disposizione per il gioco libero è sempre più ridotto. Spesso questi incarichi di lavoro extrascolastico non sono dovuti a ragioni di tipo egoistico, ma: - A motivi legati al timore di non poter offrire ai propri bambini tutte le opportunità indispensabili per poter aver successo nella vita - Alla sensazione diffusa che la scuola non rappresenti più l’unica depositaria del sapere. Inoltre la particolare situazione sociale e culturale odierna provoca innegabili difficoltà sul piano educativo, non facilmente gestibili anche dai genitori più consapevoli della propria azione e responsabili di fronte al futuro delle nuove generazioni. I genitori, infatti, non sanno che cosa fare con i figli, non riescono più a capire i limiti della loro azione, quando è bene fermare il ragazzo, o quando, è corretto lasciarlo libero di decidere di propria iniziativa. Le regole e le norme che ogni famiglia adotta spesso sono così variabili da lasciare sconcertati i ragazzi, i quali giungono a concludere che una norma non ha valore in sé, si basti pensare al fatto che molto spesso quello che dice il padre è tranquillamente contraddetto dalla madre, o viceversa. Patterson, conferma che la poca sincerità, la propensione al trasgredire la poca chiarezza che si riscontra nei ragazzi è spesso causata dall’incapacità educativa dei genitori, giungendo ad enucleare gli atteggiamenti che sollecitano nei ragazzi i comportamenti sociali inadeguati, ad esempio: l’utilizzo di una disciplina rigida, la mancanza di attenzioni educative o la mancanza di rinforzi positivi. La famiglia, al giorno d’oggi, è in crisi : i problemi nascono quando la famiglia vive una lacerazione interna fra genitori che si riflette inesorabilmente sul piano qualitativo della proposta educativa e sulla presenza affettiva degli adulti sui minori. I figli subiscono inevitabilmente le conseguenze dei divorzi, e non è corretto affermare che questo evento non porti a ricadute sul piano della vita affettiva, e quindi, sullo sviluppo psicologico e sociale dei minori. È, infatti, possibile affermare che i bambini che vivono in casa con solo un genitore o che hanno subito la separazione o il divorzio dei genitori, sono più predisposti a mostrare una serie di problematiche emozionali e comportamentali, comprese quelle di tipo delinquenziale , rispetto a coloro che provengono da famiglie con entrambi i genitori. Genitori delinquienti= fattore familiare che compromette lo sviluppo educativo del bambino: Farrigton sostiene che i ragazzi con un genitore che subisce un arresto entro il decimo anno dalla nascita, sono più predisposti a compiere azioni delinquienziali di coloro che non hanno genitori criminali. MALTRATTAMENTI FAMILIARI : In particolare si fa riferimento a tutte quelle forme di violenza fisica o di trascuratezza educativa che marchiano in modo indelebile la vita delle persone in via di sviluppo. I genitori adottano quasi sempre una disciplina basata su minacce e sulla violenza fisica: vince chi grida di più, chi si impone con la forza fisica, chi usa la prepotenza per farsi rispettare piuttosto che usare la ragione. I ragazzi acquisiscono così le medesime modalità relazionali. Chi subisce l’abuso spesso crede che l’esperienza che vive fra le mura domestiche sia “normale”. In Italia ogni anno quasi 1000 bambini sono vittime di abusi sessuali, nel 2016 sono stati 5383 i minori vittima di violenza, non solo sessuale. Come sostiene Frederick Rivara “noi abbiamo imparato moltissimo circa gli effetti degli abusi su bambini ed adolescenti” e questo postula il nostro intervento. Esiste una correlazione evidente fra maltrattamento fisico o sessuale e rischio di depressione, di cadere nella spirale delle sostanze stupefacenti e precarietà di salute. disabilità. Importante perchè essi rischiano di essere emarginati, esclusi dalla società,e relegati ai confini di un mondo che non riescono a capire. L’importanza dell’esperienza scolastica è quindi lampante, anche perché tutte le ricerche evidenziano una forte correlazione fra comportamenti problematici, devianti e malessere scolastico.A stento però, la scuola riesce a proporre ai ragazzi difficili dei percorsi formativi in grado di fronteggiare le loro inadeguatezze. 3. Le ragioni dei problemi scolastici. Il motivo principale è che il comportamento problematico è difficilmente comprensibile. È necessario comprendere per intervenire è fondamentale interpretare correttamente il linguaggio verbale e non verbale degli allievi, oltre che mettersi in un atteggiamento di apertura alla realtà dello studente. La relazione è il nodo principale attorno al quale si giocano i destini delle persone anche dei ragazzi problematici. I ragazzi difficli hanno bisogno di sperimentare una relazione educativa forte ed intensa sul piano umano. Il soggetto problematico cerca di sondare il terreno educativo, per capire se l’insegnante che ha di fronte è in grado di interessarlo o meno, ed una volta capito come agisce l'insegnante, attua dei comportamenti conseguenti. I fallimenti scolastici con questi allievi avvengono soprattutto per l’incapacità degli insegnanti di farsi rispettare sul piano umano, per la loro inadeguatezza nel gestire un gruppo classe. Occore una preparazione adeguata ed una marcata esperienza educativa per poter fronteggiare determinate situazioni a rischio. È quindi facile dedurre che l’arte dell’insegnamento deve fondarsi su una solida preparazione pedagogica basata inevitabilmente sulle questioni concernenti la diversità ed il disagio minorile e giovanile. 4. Le componenti negative da evitare. Gli aspetti che condizionano in modo negativo le esperienze scolastiche sono: a) La relazione distante con lo studente problematico : non può pretendere rispetto se il suo unico obiettivo è quello di istruire, le barriere che erige non gli consentono di capire le situazioni complesse e i bisogni degli allievi. b) La mancanza di successo : l’allievo problematico sperimenta spesso il fallimento in classe e questo gli conferma di essere una persona poco capace. Di conseguenza rifiuta l’esperienza scolastica. c) La valutazione punitiva : questo è la conseguenza di un metodo scolastico basato su premi e punizioni, teso a scoraggiare i comportamenti negativi su basi repressive. d) Modello didattico tradizionale : non sollecita, ma obbliga lo studente ad ascoltare e fare compiti. Serve invece costruire insieme l’apprendimento. e) Aspettative basse : significa non dare fiducia agli allievi, non credere in loro e nelle loro potenzialità. E’ importante possedere delle attese elevate per le esperienze che si intendono proporre perchè: Esiste un effetto pigmalione”profezia che si autoavvera”: aspettative che attivano le risposte pronosticate, anche su basi falsate Avere attese significa riporre fiducia nei soggetti ed esprimere la nostra volontà a lavorare con il ragazzo problematico f) Atteggiamento indulgente : colui che ha aspettative alte nei confronti dei propri allievi vive con serietà il proprio lavoro e comunica così all’allievo difficile l’importanza del processo formativo intrapreso. L’insegnate che risulta poco esigente e tollera atteggiamenti inadeguati, che non fornisce feedback educativi, quando instaura un clima educativo troppo permissivo, fa sì che il soggetto problematico percepisca che l’interesse nei suoi confronti è scarso e ciò lo demotiva e porta ad assumere atteggiamenti scorretti. g) Pratiche marginalizzanti : l’allievo problematico rifiuta di essere trattato diversamente, non accetta percorsi individualizzati. La disparità viene vissuta in modo sfavorevole e porta ad assumere atteggiamenti di rifiuto e l’indisciplina come fonte di malessere. Serve che si adotti in classe la differenziazione scolastica come metodologia di insegnamento abituale. h) Pratiche coercitive disciplinari : mantenere la disciplina, per molti inseganti, rappresenta un vero problema. Il soggetto difficile è scarsamente gestibile nelle sue provocazioni. Le azioni disciplinari più utilizzate in questi casi sono quelle di tipo repressivo: richiamo verbale, note, espulsione. Le azioni coercitive (limitano la libertà personale) rompono il legame educativo, ma l’allievo necessità l’educazione, la scuola, quindi - “dobbiamo trovare i modi di tenere i ragazzi a scuola” –McEvoy. i) Team docenti non collaborativo : è difficile che l’allievo difficile possa trovare un ambiente formativo adatto se non esiste una collaborazione educativa fra gli insegnanti, ma anche tra i dirigenti scolastici. Se gli insegnanti non riescono a dialogare sul programma, se non si confrontano sul lavoro svolto e sulle prospettive, le conseguenze inevitabilmente sono negative. In educazione speciale è importante che gli insegnanti instaurino forti legami con i colleghi e non vivano il loro lavoro in modo distaccato e privo di calore umano. 5. La questione demotivazionale nel soggetto problematico. La motivazione rappresenta un aspetto determinante tanto da condizionarne la sua maturazione. Come motivare i ragazzi? Le ricerche hanno delineato dei percorsi la riflessione formativa su cui appoggiarsi: Il primo è improntato nel ruolo dei bisogni : l’uomo è un animale pieno di esigenze e raramente raggiunge uno stato di completa soddisfazione. L’essere umano desidera sempre qualcosa. I bisogni primari di mancanza (fisiologici, di sicurezza, di amore) condizionano le scelte personali e non è possibile pensare di soddisfare i bisogni secondari di crescita, di autorealizzazione, di conoscenza senza aver prima esaudito i bisogni primari di mancanza. Ogni insegnante deve proporre attività formative che l’allievo possa svolgere perché pronto e maturo per soddisfare bisogni più elevati. Ne deriva l’orientamento metodologico di capire se il soggetto è pronto ad accogliere la proposta formativa. Un altro bisogno dell’uomo è quello di avere successo sono necessari compiti alla portata degli alunni, non semplici, perchè possono demotivare, ma sfidanti. Le proposte formative devono essere presentate in modo da entusiasmare il soggetto con indizi, anticipazioni per fargli percepire che l’esito finale è alla sua portata. Raggiungere il risultato significa non perdere la reputazione: ogni persona agisce per gestire un apropria immagine da presentare al mondo, molti comportamenti demotivati sono riconducibili al problema della reputazione. Come si comporta? - Aggredisce con atti indisciplinati - Compie atti disonesti: copia, mente, costringe i compagni a passargli i compiti - Guardare negli occhi l’insegante - Annuire frequentemente - Offrirsi volontario (comunica interesse anche senon c’è in realtà). Spesso il soggetto difficile possiede un locus of control esterno : ritiene che le conseguenze di alcune azioni siano dovute a circostanze esterne, è molto difficile quindi fargli capire le proprie responsabilità. È necessario perciò, impostare un’azione formativa attenta e paziente. Importante invitarlo ad effettuare frequenti autovalutazioni, le verifiche sono un ottimo mezzo per educare il ragazzo difficile a comprendere le ragioni della vita ed il fatto che ogni uomo dirige sé stesso ed è in prima persona responsabile degli accadimenti sociali vissuti. Anche il risultato negativo in sé, è uno strumento per indurre il soggetto, ma per indurlo a ripercorrere le fasi ed i fatti che lo hanno sviato dal raggiungimento dell’obiettivo. motivazione intrinseca :gli allievi possono essere sollecitati anche predisponendo premi esterni (il motorino a fine anno, il cellulare per la pagella, i soldi per un bel voto). Con gli allievi problematci questo non funziona. È necessario iniziare un’attivazione intrinseca e favorire la motivazione che nasca dal soggetto stesso e non dal fatto che poi riceverà qualcosa in cambio per il suo impegno. Per Edward Deci, grande studioso a riguardo, l’educatore deve aver presente 3 bisogni che possono favorire un corretto sviluppo della motivazione intrinseca: autodeterminazione, relazione e competenza. 6.3. Gestire la classe significa proporre attività didattiche affascinanti. L’allievo difficile ha bisogno di essere catturato dall’esperienza scolastica. Egli si attiva solamente se incontra un docente veramente appassionato per il proprio lavoro. Il fascino dell’impostazione didattica pone le sue basi sulle capacità dell’insegnante di catturare l’attenzione del soggetto, ma si fonda anche sulla consapevolezza che la proposta formativa deve coinvolgerlo pienamente con attività rispetto a cui la previsione di efficacia sia viva. L’allievo deve essere consapevole di avere le basi per poter affrontare l’attività proposta. Essenziale riuscire a variare le tecniche di insegnamento: - coinvolgere più canali: udito, vista, pensiero - alternare lezioni frontali a spiegazioni con supporti tecnologici, a disegni, a visite guidate che precedano la lezione teorica: la scuola non è una realtà a sè, deve integrarsi con la società, adottando nuovi metodi e stando al passo con il progresso L’insegnante deve poi sollecitare la collaborazione con gli altri, richiedere spesso l’opinione per coinvolgere i soggetti. Es esempio innovativo che aiuta anche i ragazzi difficili a partecipare e crescere è la simulimpresa: riproduzione della situazione lavorativa reale attraverso la simulazione. Nasce in Germania negli anni ’90. L’allievo in prima persona si trova ad affrontare problemi che grazie alla guida dell’insegnante riesce a gestire e risolvere per far funzionare il complesso organico. La mansione cambia e a rotazione si affrontano più situazioni Le caratteristiche sono: lasciar fare, senso di responsabilità, lavoro di equipe, autoformazione. Gli allievi si rendono conto da soli dei risultati positivi o negativi, perchè il collegamento con altri settori obbliga tutti a funzionare correttamente. Anche il soggetto debole riesce a trovare spazi e opportunità per mettere in evidenza le proprie potenzialità Lo scopo finale è il possesso di competenze agite all’interno di un contesto lavorativo. 6.4. Gestire la classe significa prevenire i problemi. Diverse ricerche sulla gestione della classe ci offrono orientamenti metodologici interessanti, a riguardo importante è lo studio sulla prevenzione. ❖ La prevenzione (Kounin): un insegnante capace è colui che ha sempre la situazione sotto controllo, ovvero che è in grado di prevedere in anticipo le dinamiche che possono scatenare un comportamento inadeguato. Inoltre deve trasmettere sicurezza, ma non terrore: quando riesce ad intervenire con giustizia e tempestivamente, si verifica negli studenti la consapevolezza della presenza educativa dell’insegnante che ha autorità. Per prevenire i problemi si possono adottare delle strategie: ➢ Mantenere i ragazzi impegnati : bisogna evitare una routine troppo sistematica ove si ripetono sempre le stesse cose quotidianamente; ➢ allievi siano in grado di lavorare in più compiti parallelamente; ➢ ogni allievo abbia una sua differenziazione delle attività ❖ La fiducia (Canter): che il ragazzo problematico deve riporre nell’insegnate. Molto utili sono ad esempio: le telefonate a casa quando lo studente è malato, gli auguri personali, momenti di dialogo informale durante la ricreazione. L’ultimo punto dove pone l’accento C. è quello dell’importanza di programmare un piano di rinforzi positivi da adottare nei confronti dei ragazzi, non solo valutazioni positive, ma anche giudizi scritti, telefonate o premi. ❖ Linguaggio non verbale (Jones): sottolinea il ruolo fondamentale della comunicazione non verbale. Molti dei problemi disciplinari come non voler ascoltare in classe o alzarsi senza permesso possono essere risolti tramite il linguaggio del corpo: uno sguardo o anche un respiro più marcato. Questo metodo è agevole anche per trattare con le persone con disabilità in quanto evita l’umiliazione di essere ripresi davanti agli altri, paura molto comune nei soggetti con deficit. Inoltre, sono molto importanti i movimenti in classe, se il docente si muove all’interno della classe esso può già prevenire un comportamento inadeguato. Quindi, un docente che sa come condurre la classe è un docente che con i movimenti dimostra sicurezza, anche solo con la sua postura (eretta e fiera). 6.5. Gestire la classe significa risolvere i conflitti. ❖ Risolvere i conflitti (Long): senza conflitti non c'è crescita, soprattutto per il soggetto problematico.Long ha individuato i fattori capaci di provocare stati emotivi difficilmente gestibili dall'allievo, alcuni esempi sono: • l'esclusione da un gioco di gruppo; • le derisioni subite da parte dei suoi coetanei; • la consapevolezza di essere svantaggiato rispetto ai suoi coetanei; • il fallimento in una verifica; • la fatica a capire le direttive dell'insegnante. Egli parla infatti di Conflict Cycle Paradigm (ciclo conflittuale), dove l’evento tensione non è di per sè la causa che provoca il conflitto, ma la scintilla che scatena un circolo vizioso di tensione relazionale, in cui l'educando difficile libera le sue inquietudini e le sue sofferenze represse, con comportamenti indisciplinati. L 'insegnante deve prendere provvedimenti, ma il problema più evidente traspare nel momento in cui è lo stesso docente che, con l’intervento per calmare la classe, scatena un conflitto comportandosi in modo impulsivo, aggressivo e prendendo una posizione di comando assoluto senza mettersi in discussione. Il docente in alcuni casi assume atteggiamenti che provocano il conflitto: - Instaura un clima autoritario dove l’allievo deve adattarsi alle regole - Spesso ha reazioni inadeguate a causa di problemi personali o di momenti brutti che sta vivendo - Giudica con preconcetti il comportamento dell’allievo. Il docente dovrebbe sempre tener presente che l'atteggiamento inadeguato del soggetto difficile sono frutto di un apprendimento fallito; occorre quindi assumere i medesimi parametri di giudizio che comunemente gli insegnanti adottano quando si trovano a confronto con un apprendimento scolastico insufficiente. Vernon e Jones indicano come causa principale dell’errore educativo proprio il pregiudizio che porta gli insegnanti a considerare il comportamento inappropriato come disposizione caratteriale e non come semplice risposta che l’allievo deve imparare a modificare. L’insegnante convinto che il comportamento problematico meriti attenzione adotta uno stile relazionale dove calma e positività fanno da pilastri della conduzione di calsse. Per apprendere le giuste modalità comportamentali il soggetto difficile deve sperimentare come si possa reagire in modo consono ai problemi, questo avviene soprattutto osservando ed imitando le reazioni e le modalità di approccio utilizzate dagli insegnanti. Vernon e Jones consigliano i seguenti metodi da adottare per rispondere ai comportamenti fortemente inadeguati degli allievi: 1) Disporre l'ambiente fisico della classe in modo da poter vedere facilmente tutti gli studenti 2) Esaminare spesso la classe per notare eventuali problemi 3) La forza dell’intervento non dovrebbe essere maggiore di quella che si vuole limitare nel ragazzo indisciplinato: bisogna essere accorti nel dosare gli interventi 4) Una risposta inappropriata può creare tensione ed incrementare disobbedienza: la fermezza non deve essere veicolata da modi bruschi e poco rispettosi della dignità dei ragazzi 5) Riferirsi al ragazzo responsabile di un comportamento errato con serenità: muovendosi verso di lui. Toccandogli una spalla, distraendolo 6) Ricordare agli studenti regole e procedure che non stanno dimostrando di attuare 7) Quando le intemperanze di uno o due studenti sono state gravi, è bene che il docente si rivolga alla classe facendola proseguire nel compito programmato e con calma riprenda individualmente i ragazzi che hanno assunto i comportamenti inadeguati 8) Offrire sempre delle scelte 9) Ricordare all’allievo le conseguenze positive delle scelte comportamentali idonee 10)Sottolineare comportamenti adeguati a chi sta violando le norme di classe: ad esempio lodando il ragazzo che si sta comportando bene nel momento in cui invece quello difficile si comporta in modo scorretto 11)Vedere se il soggetto desidera assistenza ed offrirgliela con anticipo 12) Ignorare l’atteggiamento indisciplinato: i continui interventi sono spesso inefficaci e producono malessere in tutta la classe 13)L'allievo che sta adottando un comportamento indisciplinato o irregolare può essere invitato a cambiare atteggiamento: può utilizzare un seganle preciso (cnv) evitando toni minacciosi 14)Usare il controllo prossimale: muovendosi verso lo studente 15)Piazzare sul banco un appunto scritto: recapitando all’alunno un foglietto per invitarlo a fine lezione a conferire insieme 16)Coinvolgere direttamente l’allievo: l'insegnante può chiamare per nome l'allievo ed invitarlo a proseguire nella discussione ad esempio. 17) Incrementare l'interesse usando l'ironia o collegandosi per la lezione ad un argomento a cui il soggetto sia molto interessato.