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Perchè la Chiesa (di Luigi Giussani), Sintesi del corso di Teologia

Riassunto del libro "Perchè la Chiesa" di Luigi Giussani

Tipologia: Sintesi del corso

2016/2017
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Caricato il 06/02/2017

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Scarica Perchè la Chiesa (di Luigi Giussani) e più Sintesi del corso in PDF di Teologia solo su Docsity! PERCHE’ LA CHIESA Sezione prima - La pretesa permane Parte prima – Al cuore del problema della chiesa Capitolo primo - Come introdursi all’intelligenza della chiesa 1. Un presupposto fondamentale: La Chiesa non solo è espressione di vita, qualcosa che nasce della vita, ma è una vita. Una vita che ci raggiunge da molti secoli a noi precedenti e con cui bisogna convivere. 2. Una sintonia con il fenomeno: La Chiesa è una realtà catalogabile tra i fenomeni religiosi. La Chiesa è “vita” religiosa. L’assenza di educazione al senso religioso naturale ci porta troppo facilmente a sentir lontane da noi realtà che sono invece radicate dentro la nostra carne e il nostro spirito. Al contrario, la vivacità di presenza dello spirito religioso rende più facile capire i termini di una realtà come la Chiesa. In questa situazione, la prima difficoltà nell’affrontare la Chiesa è una difficoltà di intelligenza, causata da una situazione non evoluta del senso religioso. 3. Mettere a fuoco l’originalità del cristianesimo : Il cristianesimo è una soluzione al problema religioso, e di questo la Chiesa è strumento. 4. Il cuore del problema-Chiesa: Come può arrivare uno a comprendere se veramente Gesù di Nazareth è l’avvenimento che incarna quella ipotesi della rivelazione in senso stretto? Questo problema è il cuore di ciò che storicamente si chiama “Chiesa”. La parola Chiesa indica un fenomeno storico il cui unico significato consiste nell’essere per l’uomo la possibilità di raggiungere la certezza su Cristo. Di fatto la storia è attraversata dall’annuncio del Dio che si è fatto uomo. Capitolo secondo – Prima premessa: come raggiungere oggi la certezza sul fatto di Cristo Com’è possibile oggi raggiungere una valutazione su Cristo oggettiva e adeguata all’importanza dell’adesione che pretende? Tre sono gli atteggiamenti culturali da cui emergono risposte diverse. 1. Un fatto nel passato: Il primo atteggiamento può essere riassunto così: Gesù Cristo è un fatto del passato. Per esaminare fatti del passato l’uomo tende ad analizzare le fonti (ragion storica). Questo atteggiamento è chiamato razionalistico. Il razionalismo, come posizione mentale, nasce dal concetto di ragione per cui essa è la misura delle cose. Questa posizione contraddice la legge del realismo, per cui è l’oggetto a dettare il metodo di conoscenza. Allora, se la ragione è coscienza del reale, esiste la possibilità della novità, cioè della scoperta dell’esistenza di qualcosa che non sia già contenuto nella nostra misura. Il razionalismo è l’abolizione della categoria della possibilità. In realtà l’atteggiamento razionalistico riduce il contenuto del messaggio cristiano prima di averlo preso in considerazione. Se l’annuncio cristiano dice “dio si è reso presenza”, l’atteggiamento razionalistico lavora sull’ipotesi dell’assenza. Ributtando l’avvenimento di Cristo in una lontananza si impedisce di prendere in considerazione in che cosa consista l’essenza di tale pretesa: Dio come presenza umana nel cammino dell’uomo. La posizione razionalistica vuole sì considerare Cristo come un fatto storico, ma chiama storico ciò che essa stessa intende come storico. Dunque l’affermazione da verificare è : Dio reso presenza, compagnia per gli uomini, che non lascerà più. 2. Un’illuminazione interiore: Il secondo atteggiamento è la posizione protestante, che è profondamente religiosa e come tale percepisce con chiarezza la distanza sterminata che c’è fra l’uomo e Dio: Dio, il diverso, l’Altro, il Mistero. In questo caso l’uomo religioso vive intensamente la categoria della possibilità. Se a Dio tutto è possibile allora sarà anche possibile il contenuto del grande annuncio: Dio reso presenza. Dio però si è reso presenza nell’umanità solo in un punto: Cristo. Ma come può l’uomo raggiungere la certezza di questa presenza? L’uomo è impotente, trattandosi fatalmente di un mistero. È lo Spirito di Dio che illumina il cuore e fa “sentire” la verità della persona di Gesù. Si tratta di un riconoscimento attraverso un’esperienza interiore. Il metodo protestante per raggiungere il fatto di Cristo lontano lo risolve con l’incontro interiore e diretto con lo Spirito (che infondo era l’esperienza dei profeti). 3. Lo sguardo ortodosso-cattolico: Il terzo atteggiamento è quello della tradizione cristiana come tale. È detto ortodosso-cattolico perché essi vivono la medesima concezione. L’atteggiamento ha come caratteristica la coerenza con la struttura dell’avvenimento cristiano così come si è presentato nella storia. Si è presentato nella storia come la notizia, l’annuncio di Dio, del Mistero che si è fatto “carne”, presenza integralmente umana. Una presenza integralmente umana implica il metodo dell’incontro, dell’imbattersi con una realtà esterna a sé. La presenza di Cristo nella storia perdura come forma incontrabile nell’unità dei credenti. Storicamente questa realtà si chiama “Chiesa”, sociologicamente “popolo di Dio” e ontologicamente “Corpo misterioso di Cristo”. È incontrando l’unità dei credenti, la Chiesa, che ci si imbatte in Cristo. E per incontrare la Chiesa bisogna incontrare gli uomini. 4. Uno sguardo valorizzatore: I due primi atteggiamenti (razionalismo e protestantesimo) sottolineano valori che sono riconosciuti e recuperati nel terzo atteggiamento (ortodosso-cattolico). 1. Esso non elimina e non censura la verità storica, ma colloca la persona nella possibilità di utilizzare tale indagine in un modo più adeguato. L’obiettività della conoscenza storica (valore del razionalismo) è salvata solo se si partecipa all’esperienza presente che è la Chiesa, unità dei credenti (ortodosso-cattolico). 2. Il protestantesimo sottolineava che l’assoluto si può palesare direttamente alla sua creatura: è l’esperienza mistica. Ciò impedisce il nascere di quella familiarità più intima e quella razionalità ben fondata che invece sono presenti nell’atteggiamento ortodosso-cattolico. Capitolo terzo – Seconda premessa: difficoltà odierna nel capire il significato delle parole cristiane 1. Accorgersi di una difficoltà: L’uomo di oggi è poco facilitato a rendersi conto del significato di parole collegate all’esperienza cristiana e ciò genera la difficoltà a capire l’espressione stessa del messaggio cristiano. 2. Il Medioevo dal punto di vista della diffusione di una mentalità: La cultura medievale favoriva la formazione di una mentalità contrassegnata da una religiosità autentica, fonte di un’unitaria mentalità. Nel Medioevo era diffusa una mentalità religiosa, una facilità per gli uomini a rendersi conto del fatto che la religiosità coincide con l’interesse che l’uomo ha per il significato di tutta la sua vita, a rendersi conto della realtà di Dio come originante la propria umana personalità e come determinante il suo evolversi. L’esistenza di una diffusa mentalità religiosa dava agli individui l’educazione necessaria per possedere un criterio, il quale poteva essere applicato bene o male (ad esempio le guerre). Nel Medioevo Dio era trattato e concepito per quello che è veramente: la sorgente di ogni cosa, perciò la presenza suprema in qualunque aspetto della vita. 3. L’Umanesimo dal punto di vista della disarticolazione di una mentalità a. L’adeguata posizione di un problema: L’atteggiamento moderno di fronte al fatto religioso manca di problematicità. La vita infatti è una trama di avvenimenti e di incontri che provocano in varia misura dei problemi. Il problema è l’espressione dinamica di una reazione di fronte agli incontri provocati. L’insorgere del problema implica la nascita di un interesse. b. L’avvio di un processo di disarticolazione: I fattori che concorsero a tale disarticolazione furono molti e di varia natura. c. L’uomo frammentato in una molteplicità di ideali: L’uomo, non riuscendo più a vivere un riferimento a qualcosa che sia più grande di sé, comincia a recidere dei nessi, a separare e a distinguere. L’ideale unico si frammenta in una molteplicità di ideali (estetici, politici, culturali, ecc…) ognuno dei quali cattura l’energia umana. È nell’Umanesimo infatti che cambia l’interesse per cui vale la pena vivere, non ha più a che fare con Dio poiché non è più da Dio che sono unificati desideri e giudizi. Così è l’uomo stesso il nuovo riferimento ideale: l’uomo impegnato con le sue energie dentro il mondo. d. L’esaltazione dell’uomo nella tradizione cristiana: La tradizione della Chiesa ha sempre affermato il valore della persona, dell’uomo nella sua singolarità. La valorizzazione della conduce alla stabilità) è stata usata per identificare il divino, per chiarire che cosa fosse il divino per l’uomo.: ciò su cui l’uomo può appoggiarsi, può costruire, può avere un senso. Questa tradizione biblica dell’immagine della roccia come metafora della verità indica anche una modalità adeguata con cui la verità viene comunicata, scoperta e accolta. c. Il termine usato: ecclesia Dei: Quel gruppo che si radunava chiamava la propria realtà che si radunava ekklesia. Il termine in greco significa letteralmente assemblea, riunione di persone. La definizione dell’assemblea cristiana è determinata e completata con il genitivo Dei: ecclesia Dei, la comunità di Dio. Quel “di Dio” significa che l’assemblea ha Dio come contenuto di interesse, ma anche che Dio stesso raccoglie la comunità, è Dio a riunire coloro che sono “suoi”. Così ecclesia Dei vuol dire “i raccolti da Dio”. d. La Chiesa e le “chiese”: Il termine ecclesia viene usato nei primi documenti cristiani molte volte al singolare. Lo stesso termine però viene usato anche al plurale. L’espressione ecclesia Dei rappresenta il popolo di Dio nella sua totalità. Non è per un’addizione di comunità che si forma la Chiesa totale, ma ogni comunità, per quanto piccola possa essere, traendo il suo valore dalla Chiesa totale la rappresenta tutta. 2. La comunità investita da una “Forza dall’alto”: Dal punto di vista della coscienza che di sé aveva la gente che si riuniva, l’idea dominante era che la loro vita era stata mossa e trasformata da un’azione suprema, indicata come “dono dello Spirito”. a. La consapevolezza di un fatto che ha il potere di cambiare la personalità: I primi cristiani erano ben consapevoli che tutto ciò che accadeva in loro e tra di loro di nuovo, di eccezionale rispetto alla vita di prima, non era un frutto della loro adesione, della loro intelligenza o della loro volontà, ma era un dono dello Spirito, un dono dall’alto, una forza misteriosa da cui erano stati investiti. b. Un inizio di cambiamento sperimentale: I cristiani con il dono dello Spirito hanno la possibilità di incominciare a sperimentare la realtà in modo nuovo, ricco di verità e carico di amore. Il dono dello Spirito ha come esito di rendere palese il fatto che si è immessi in quel nuovo flusso d’energia provocato da Gesù, manifesta che is è parte di quel fenomeno nuovo. Perché il dono dello Spirito è una forza che investe gli uomini che Cristo ha chiamato nella sua ecclesia. c. La capacità di pronunciarsi di fronte al mondo, forza di una testimonianza e di missione: il dono dello Spirito comunica a queste nuove personalità un impeto, che rende la loro vita capacità comunicativa feconda, comunicativa della novità che nel mondo Gesù ha portato. Nel linguaggio religioso l’espressione più adeguata di questa capacità di manifestazione è racchiusa nella parola “profezia”. Profeta è colui che annuncia il senso del mondo e il valore della vita. La forza della profezia è la forza di una conoscenza del reale che non è dell’uomo ma che viene dall’alto. Questa capacità di adesione e confessione di una nuova realtà in atto avviene nel giorno della Pentecoste. d. Il documentarsi della presenza dell’energia con cui Cristo attesta il suo dominio sulla storia: il miracolo: La storia di Cristo tra di noi ha dovuto come imporsi con un’eccezionalità di esito, una straordinaria capacità che nel Vangelo si chiama “miracolo” o “segno”. Segno della novità che era entrata nel mondo. Si rende così sperimentabile all’uomo l’alba di quel mondo nuovo che l’energia con cui Cristo investe la storia sta costruendo. L’inizio di tale esperienza è il miracolo per cui l’uomo chiede il dono dello Spirito, lo invoca, lo mendica. Invocare lo spirito significa chiedere quella luce e quella forza capaci di rendere sperimentabile il Mistero. È l’umile e grato riconoscimento del dono dello Spirito e della Forza dall’alto l’albore della vittoria di Cristo, il segno del continuo miracolo. 3. Un nuovo tipo di vita: C’è una parola con cui veniva definito il tipo di vita alla quale quella comunità animata dallo Spirito si destava. La parola che indica quel determinato modo è in greco la parola koinonia, in latino la parola communuio. Essa definisce la struttura di rapporti che qualifica il gruppo, rappresenta il termine che specifica un modo di essere e agire, un modo di rapportarsi con Dio e con gli uomini. Tali espressioni, traducibili in italiano con il termine “comunione”, racchiudevano l’allusione a qualcosa di inusuale nella vita degli uomini. La parola koinonia indica una realtà esistente (Cristo), posseduta in comune dagli uomini che la riconoscono. a. Un ideale etico: I primi cristiani sentono come legge della loro convivenza la tendenza a mettere in comune, e a concepire in comune le risorse materiali e spirituali. La parola importante qui è “tendenza” o “tensione”. b. Una connotazione istituzionale: La parola communio o koinonia assume anche una connotazione istituzionale. Tale parola indica anche l’insieme dei fattori che via via strutturano i cristiani come gruppo sociale. Sono dunque termini sinonimi della parola ecclesia. Altri sinonimi erano: eirene (che significa pace e viene usata per indicare il vincolo che unisce tutti i cristiani) e agape (che voleva dire Chiesa e amore). c. Un’espressione rituale: Importante era anche il gesto eucaristico. L’Eucarestia era infatti il segno di tutta la vita della comunità. Il gesto veniva chiamato “sacramento” in latino, “mistero” in greco. Nel linguaggio cristiano la parola mistero indica l’inagibile e l’inafferrabile, in quanto però in qualche modo si rivela nella nostra finitezza e si rende parte della nostra esperienza. d. Un fattore gerarchico: La Chiesa, in base ad un preciso insegnamento di Gesù, è fondata sugli apostoli e sul particolare primato di Pietro. Importante era anche la figura del vescovo, cui spettava riconoscere un uomo come aderente alla fede o no. e. Un fervore di comunicazione, un ideale missionario: Non esiste un momento della storia della Chiesa primitiva in cui la comunità non si sentisse determinata e giudicata dalla dimensione missionaria. Accanto agli apostoli dovettero quindi esistere dei missionari. Ma anche i cristiani operarono alla diffusione del Vangelo e di Gesù. f. La moralità come dinamismo di un cammino: Le comunità dei primi cristiani si definivano comunità di “santi”. Il senso era biblico, Santo indicava infatti qualcuno che apparteneva all’Alleanza di Dio con l’uomo e per questo si protendeva in un cammino secondo il volere di Dio. Esso perciò come principio e come urgenza, deve camminare verso l’immedesimazione con il Dio fatto uomo, deve correre verso l’imitazione dell’umanità vera che si è realizzata con Gesù, con tutte le sue energie. Allora la moralità cristiana prende il volto adeguato: un dinamismo di tensione sorgente dall’appartenenza a Cristo. CONCLUSIONE: ci siamo trovati ad affrontare parole in uso nell’esperienza dei primi secoli del cristianesimo che noi usiamo svuotandole (Chiesa, comunione, mistero, santo, verità). Alcune parole sono state il mezzo per accostarsi a quei fattori fondamentali che hanno radicato il fenomeno della Chiesa nel terreno della storia. Sezione seconda – Il segno efficace del divino nella storia Ciò che la Chiesa dice di essere, la coscienza che la Chiesa ha di se stessa. La Chiesa si è posta come un fatto sociale, come una realtà formulata da uomini. Si presentava però anche come la comunità della salvezza, come il luogo dove l’uomo avrebbe potuto salvarsi. La Chiesa è il metodo con cui Cristo si comunica nel tempo e nello spazio analogamente al fatto che Cristo è il metodo con cui Dio ha ritenuto opportuno comunicarsi agli uomini per determinare la modalità di salvezza. Cristo è il metodo che Dio ha scelto per salvare l’uomo, la Chiesa è il prolungamento nella storia, nel tempo e nello spazio di Cristo. Parte terza – Come la Chiesa ha definito se stessa Capitolo primo – Il fattore umano Ciò che caratterizza il metodo cristiano, cioè il veicolo della comunicazione di Dio, è il fattore umano. La pretesa specifica della Chiesa è infatti quella di essere veicolo del divino attraverso l’umano. È questa la stessa pretesa di Cristo: scandalo suscitato presso i capi religiosi e le persone evolute del suo tempo. 1. Attraverso l’umano: I personaggi attraverso cui Dio si comunica appaiono umani, ma nella vita stessa delle prime comunità cristiane ci viene ricordato che l’incontro dell’uomo con Dio e la partecipazione al suo essere si realizzano in circostanze volgari: una normale cena, un semplice pasto comune era l’ambito in cui si realizzava il coinvolgimento più profondo e misterioso con il Signore. Il comunicarsi della vita divina con i suoi doni passava attraverso l’assunzione del pane e del vino. Anche la parola che perdona il peccato è la parola d’uomo, passa attraverso una miserevole voce umana. Il problema della Chiesa è proprio questo: Dio vuole passare attraverso l’umanità di coloro che ha afferrato nel Battesimo. Occorre accettare che l’umano faccia parte imprescindibilmente della definizione di Chiesa. 2. Implicazioni: Queste implicazioni contestano la mentalità dei giorni odierni. a. Inevitabilità dei particolari temperamenti e mentalità: Se il divino sceglie l’umano come modo di comunicazione di sé, l’uomo che accoglie tale metodo (il cristiano), diventa e rimane tale, cioè strumento del divino, mantenendo il proprio temperamento particolare. Se la Chiesa si definisce come il divino che si comunica attraverso l’umano, tale aspetto umano nella singola persona si esprimerà attraverso il temperamento e la mentalità della persona stessa. b. Attraverso la libertà: L’uomo è cristiano con tutta la sua particolare libertà. Il che vuol dire che l’ideale cristiano sarà attuato nella misura in cui la libertà del cristiano lo vuole. Il messaggio cristiano è legato alla serietà e alla capacità morale dell’uomo. Qui è il risvolto drammatico del metodo di Dio: gioca tutto sulla libertà. La libertà delle persone è ciò attraverso cui definitivamente passa il comunicarsi del divino. 1. Analisi di un’obiezione: Dal punto di vista dell’atteggiamento morale il dovere della persona di fronte ai difetti degli uomini di Chiesa non è di ritirarsi ma è quello di intervenire con il proprio sforzo, per ridurre con il più intenso impegno il proprio difetto e per limitare con la propria saggezza e bontà il difetto altrui. 2. Lo svelamento della ricerca del vero: Nessun male potrà sviare la nostra ricerca del vero e del bene, se essa è veramente così orientata, mentre con molta difficoltà qualcosa di vero e di buono riuscirà a superare l’ostacolo del nostro animo, se questo non è a esso decisamente volto. c. Attraverso l’ambiente e il momento storico-culturale: l’uomo è condizionato dal momento storico-culturale in cui si snoda la sua vicenda terrena e dall’ambiente in cui è inscritto. La struttura della Chiesa mostra sempre il tipo mentale e culturale dell’epoca in cui opera. Capitolo secondo – Una missione della Chiesa verso l’uomo terreno funzionalità della Chiesa sulla scena del mondo è già implicita nella sua consapevolezza di essere prolungamento di Cristo: è cioè la funzionalità stessa di Gesù. La funzione di Gesù nella storia è l’educazione al senso religioso dell’uomo e dell’umanità, dove per religiosità si intende la posizione esatta come coscienza e tentativamente come atteggiamento pratico dell’uomo di fronte al suo destino. È qui che si situa il problema della liberazione che Gesù è venuto a portare. La salvezza si genera da una verità di posizione dell’uomo di fronte a se stesso e al suo destino ultimo. 1. L’ultima parola sull’uomo e la storia: Questa parola definitiva può essere ricondotta a due espressioni: “persona” e “Regno di Dio”. La prima espressione sottolinea l’irriducibilità dell’io a qualunque schema o categoria: la persona è sorgente di valori, e non è soggetta ad alcuna dipendenza se non quella originale, costituita da Dio. E l’espressione “Regno di Dio” coincide con l’affermazione di un significato cui tutto tende, cui tendono tutti i frammenti di vita che ci abbagliano. È un significato che comprende anche il senso di tutti quei segmenti di cui non comprendiamo l’orientamento, un significato per cui tutto fluisce in un disegno di cui conosciamo già il nome, il volto: è il nome e il volto di Gesù, che ricapitolerà in sé ogni cosa . questa parola definitiva salva l’uomo e lo indirizza a una giusta posizione di fronte a se stesso e al mondo. La Chiesa pretende di dare all’uomo questa parola: la persona in funzione del Regno di Dio. di libertà, tuttavia egli non è estraibile dall’unità in cui nasce e di cui è parte. Ed è proprio quella dimensione comunitaria in cui viene al mondo che permette come prospettiva educativa lo sviluppo della sua capacità di libertà. e. Il sacramento come preghiera: Il sacramento è la forma più semplice di preghiera. Attraverso ogni sacramento, l’uomo riconosce quello che Cristo è, afferma la sua gloria e la testimonia al mondo. La Chiesa ci richiede nel sacramento l’affermazione della completezza del gesto della fede, che l’unità con Cristo implica. Parte quarta – La verifica della presenza del divino nella vita della Chiesa Capitolo primo – Il luogo della verifica: l’esperienza umana Popolo di Dio da un punto di vista sociale, corpo di Cristo da un punto di vista ontologico (=profondo): è questo il volto del fenomeno storico della Chiesa. È così che emerge come fenomeno nella storia la Chiesa: comunità con la coscienza di un’origine eccezionale, che si inserisce e inerisce alla carne dell’esistenza; è dono dall’alto che è lo Spirito e novità di vita che è la comunione. 1. Ciò che la Chiesa reclama come fattore giudicante: La sfida della Chiesa è quella di scommettere sull’uomo, ipotizzando che il messaggio di cui essa è strumento rivelerà la presenza prodigiosa. La Chiesa puntualizza che è all’esperienza stessa dell’uomo che si rivolge; uomo completo, dotato di senso critico e capace di un giudizio morale. È dunque con questo supremo senso critico, continuamente da conquistare, che la Chiesa si vuole misurare. 2. Un criterio di giudizio utilizzato al culmine della sua espressione: Dio da dei segni e domanda che questi siano letti, interpretati e compresi. Dio non comanda al popolo di credere a qualunque profeta. Al contrario fornisce una regola di discernimento per distinguere il falso dal vero profeta: colui le cui parole si compiono nella storia, costui è il vero profeta. 3. La disponibilità del cuore: La Chiesa è vita e deve offrire vita, accogliendo l’esperienza degli uomini nel seno della sua pretesa. L’uomo però non può accingersi a una verifica di questa portata senza un impegno che coinvolga la vita. Egli non potrà portare a termine il cammino che lo assicura dell’attendibilità di ciò che la Chiesa proclama senza essere disponibile ad un impegno. È un vero cammino che gli si pone davanti. Ciò che occorre per iniziare questo cammino è quel tipo di disponibilità che la tradizione cristiana chiama “povertà dello spirito”. Capitolo secondo – “Dal frutto si conosce l’albero” Sono presenti quattro categorie della presenza della vita di Cristo nella vita della Chiesa. Queste categorie sono i “segni del riconoscimento” del valore divino della Chiesa. Essa li ricorda ad ogni celebrazione eucaristica, quando viene recitato il credo, nella frase “Credo la Chiesa una, santa, cattolica, apostolica”. 1. Unità: L’unità è la caratteristica prima di ciò che vive, e il dogma del Dio uno e trino introduce a quanto una vita consapevolmente vissuta non può che evocare. a. Unità della coscienza: L’unità della coscienza, una caratteristica dell’unità in senso generale, riguarda una semplicità unificante nel percepire, sentire e giudicare l’esistenza. b. Unità come spiegazione della realtà: L’unità di coscienza, venendo a contatto con le cose, gli avvenimenti e gli uomini organicamente tende a comprenderli, in modo aperto e adeguato a tutte le possibilità. c. Unità come impostazione di vita: Il lavoro è una strada punteggiata dalla documentazione della presenza di Dio, che la tradizione della Chiesa chiama miracoli. Il miracolo è il paradigma ideale per la fatica dell’uomo nel lavoro: è profezia dell’esito finale. Per miracolo si intende la quotidianità che provoca l’ambiguità della natura a tornare con chiarezza al suo fine. Miracolo è un avvenimento, una mossa della realtà che di fatto richiama l’uomo creato al suo destino, a Cristo, al Dio vivente. 2. Santità: La santità cristiana riguarda il fatto secondo cui nulla è profano e tutto è “sacro”, perché tutto è funzione di Cristo. Essa non è nient’altro che la realtà umana che si realizza secondo il disegno che l’ha creata. Il santo è l’uomo vero, un uomo vero perché aderisce a Dio e quindi all’ideale per cui è stato costruito il suo cuore, di cui è costituito il suo destino. Santo è l’uomo che realizza più integralmente la propria personalità, ciò che deve essere. Il peccato è ciò che ostacola la realizzazione della personalità del singolo uomo. La santità, questo segno della vita divina donata alla Chiesa, si può sorprendere attraverso tre caratteristiche che la qualificano: il miracolo, l’equilibrio, l’intensità. a. Il miracolo: Il miracolo è un avvenimento, quindi un fatto sperimentabile, attraverso cui Dio costringe l’uomo a badare a Lui, ai valori di cui vuole renderlo partecipe, attraverso cui Dio richiama l’uomo perché questi si accorga della sua realtà. È dunque un modo con cui Egli impone sensibilmente la sua presenza, è il metodo quotidiano di Dio con l’uomo. 1. Da questo punto di vista tutte le cose sono miracolo. Quanto più un uomo è consapevole e vivido nella sensibilità del suo nesso con l’Altro che continuamente lo crea, tanto più tutto tende a diventare miracolo per lui. 2. Vi sono poi momenti particolari in cui Dio straordinariamente richiama il singolo ad attendere alla sua presenza, a togliersi dalla distrazione. È questo un miracolo in un senso più determinato: come un accento particolare degli avvenimenti che richiama inesorabilmente a Dio. Condizione per cogliere il miracolo è l’avvicinarsi al fatto non per curiosità ma con spirito religioso. Il miracolo infatti è un confronto della libertà col Dio che la crea. 3. Questa simpatia è necessaria anche per cogliere il miracolo nel suo senso più ristretto e proprio, là dove Dio interviene sulla sua creazione con un fatto oggettivamente inspiegabile a qualunque procedimento indagativo della ragione. È il caso in cui Dio vuole richiamare non solo il singolo, ma la collettività alla sua presenza. b. L’equilibrio: L’equilibrio che può essere assunto come tratto distintivo della presenza della santità della chiesa è una ricchezza, è quella sovrabbondanza cui Gesù dice riferendosi a ciò che viene dato da Dio a colui che assume la misericordia del Padre come criterio di vita. L’origine di tale ricchezza è una coscienza decisamente orientata a Dio. c. L’intensità: Nella storia della Chiesa è giunta la testimonianza della santità. La Chiesa cattolica infatti si è dimostrata il terreno più ferace e produttivo di santi. 3. Cattolicità: La cattolicità non è questione di geografia o di cifre, essa è prima di tutto qualcosa di intrinseco alla Chiesa. La cattolicità è dunque una dimensione essenziale della Chiesa, ed esprime fondamentalmente la sua pertinenza all’umano in tutte le variabili delle sue espressioni. Che la Chiesa sia cattolica significa perciò che la verità e lo spirito della Chiesa, ciò che essa proclama e l’esperienza cui introduce, possono essere veicolati e assimilati da qualsiasi cultura e mentalità. La cattolicità, come qualità intrinseca della Chiesa, deve essere dimensione personale di ogni cristiano, anche non chiamato a una specifica vocazione missionaria. 4. Apostolicità: L’apostolicità è la caratteristica della Chiesa che indica la sua capacità di affrontare in modo organicamente unitario il tempo. È la dimensione storica: la Chiesa afferma la sua autorità unica a essere depositaria di una tradizione di valori e di realtà che deriva dagli apostoli. Capitolo terzo – Sé di speranza fontana vivace Il cristianesimo è l’annuncio dell’avvenimento di Cristo, di Dio che è entrato nel mondo come umo. Il mistero non è più l’inconoscibile. In senso cristiano “mistero” è la sorgente dell’essere, Dio, in quanto si comunica e si rende sperimentabile attraverso una realtà umana. La Chiesa è la continuità dell’avvenimento dell’Incarnazione nella storia, ciò che permette all’uomo di oggi di essere in rapporto con Cristo. Ma non si può parlare della Chiesa senza guardare alla donna da cui essa è nata e continuamente nasce, Maria, Madre di Cristo. La Madonna è stata eletta perché fosse e creasse la prima dimora, il primo tempio di Dio nel mondo, del Dio vero e vivo. È stata scelta perché fosse la prima casa di Dio, il primo contesto, il primo ambito, il primo luogo in cui tutto era di Dio, del Dio che veniva a vivere tra noi.