Scarica Il petrolio: fonte di energia e materia prima e più Slide in PDF di Chimica solo su Docsity! 1 PETROLCHIMICA Generalità II petrolio è una miscela liquida costituita di idrocarburi naturali quali paraffine (alcani lineari) con catene fino a 40 atomi di carbonio, nafteni (cicloalcani) con numero di atomi di carbonio fino a 20, e composti aromatici. Il petrolio viene utilizzato per due scopi: — come fonte di energia per usi industriali, domestici e di trasporto; — come fonte di materie prime per l'industria chimica. Le frazioni di petrolio destinate alla produzione di energia non sono, ovviamente, più disponibili come fonte di materie prime. Tale affermazione può sembrare banale, ma in realtà racchiude una problematica enorme, in quanto le riserve mondiali di petrolio sono destinate a esaurirsi con il tempo. Secondo stime degli ultimi mesi del 1997 entro il 2020 le attuali riserve mondiali subiranno una diminuzione dell'80%. Mentre l'energia può essere prodotta con mezzi alternativi, è molto più dispendioso e complesso produrre le materie prime che attualmente sono fornite dal petrolio in altro modo, pertanto una buona gestione del petrolio dovrebbe prevedere il suo utilizzo solo, o quantomeno principalmente come fonte di materie prime evitando di bruciarlo come combustibile o come energia per autotrazione. Le prime serie avvisaglie di allarme si presentarono negli anni '70 quando una crisi di origine politica causò una minore disponibilità di petrolio con conseguente panico dell'intero mondo occidentale. In quel periodo vi fu una forte spinta alla ricerca di energie alternative e furono avviate ricerche a tutto campo. Tuttavia, come spesso succede, il ritorno di una situazione politica più tranquilla, e quindi della disponibilità di petrolio, fece diminuire l'interesse lasciando a tutt'oggi irrisolto il problema. Dopo questa premessa di carattere generale, sarà esaminato il trattamento del petrolio dal momento della sua estrazione ai suoi impieghi finali. Lavorazione del petrolio greggio II petrolio estratto viene detto greggia e contiene, oltre agli idrocarburi: — acqua, emulsionata o sotto forma di salamoia; — gas, in esso disciolti; — particelle solide, in sospensione; — alcuni composti dello zolfo. La prima operazione consiste nella eliminazione di queste sostanze, effettuata inviando il petrolio greggio in vari serbatoi, nei quali mediante riscaldamento e l'aggiunta di sostanze demulsionanti, dopo un opportuno riposo, avviene la decantazione dell'acqua e delle sostanze solide. Contemporaneamente si liberano i gas imprigionati nel petrolio che possono essere utilizzati come combustibili per le necessità dell'impianto oppure raccolti per altri impieghi. Questa prima fase di depurazione è necessaria dato che la maggior parte delle sostanze diverse dagli idrocarburi crea problemi durante le successive lavorazioni. Essa viene effettuata direttamente nei luoghi di estrazione e il liquido ottenuto viene trasportato nell'impianto adibito a ulteriori lavorazioni, detto raffineria. Il trasporto avviene o attraverso tubazioni, dette oleodotti, che presentano diametri di 0,5-0,9 m o per mezzo di navi enormi, dette petroliere e superpetroliere, che possono trasportare fino a 4-500 Mkg di petrolio. Nella raffineria avviene, inizialmente, un trattamento primario che separa per distillazione varie frazioni di idrocarburi con punti di ebollizione vicini e, successivamente, una serie di operazioni che tendono a trasformare gli idrocarburi contenuti nelle frazioni meno pregiate in sostanze di maggior valore. 2 Frazionamento del petrolio II petrolio liquido in raffineria viene sottoposto alla prima operazione rappresentata dalla distil- lazione a pressione atmosferica, detta topping, che consente di ottenere diverse/razioni, dette anche tagli, ognuna delle quali è formata da una miscela di idrocarburi che presentano temperature di ebollizione comprese in un certo intervallo. Nella tab. 8.1 sono riportati i nomi dei prodotti di que- sta prima separazione, gli intervalli delle temperature di ebollizione e le percentuali medie riferite alle diverse frazioni. La tabella sopra riportata è da ritenersi solo indicativa sia per quanto riguarda il nome e il numero delle frazioni considerate sia per quanto riguarda le percentuali. Non esistono due raffinerie che utilizzino gli stessi criteri di suddivisione del greggio, infatti una caratteristica di questa lavorazione è la possibilità di apportare modifiche per adattarla al tipo di petrolio da trattare e al tipo di prodotti che si desidera ottenere. Tali prodotti possono essere principalmente: — le benzine; — i prodotti di base dell'industria petrolchimica; — il gasolio; — l'olio combustibile. — Tab. 8.1 Frazioni del petrolio ricavabili dal topping denominazione 7, (K) percentuale della frazione media sostanze gassose 308,15-333,15 2% (metano, etano, GPL*) benzina leggera 333,15 - 373,15 14% benzina pesante (nafta) 373,15 - 453,15 7% cherosene 453,15 - 523,15 18% gasolio leggero 523,15 - 623,15 17% gasolio pesante 623,15 - 653,15 7% residuo** >653,15 35% * Con il termine GPL (Gos di Petrolio Liquefacibili] si intende la frazione del petrolio formato da idrocarburi a tré e quattro atomi di carbonio. ** II residuo può ancora essere suddiviso in o/io combustibile semidenso, olio combustìbile denso e bitume. In questo capitolo verrà evidenziato che per privilegiare la formazione di un prodotto è deter- minante la scelta dell'operazione da effettuare e di conseguenza saranno necessarie differenze negli impianti e nella conduzione delle varie raffinerie. Inoltre le frazioni ottenute dal topping, quasi sempre, rappresentano solo una prima fase delle lavorazioni, perché i vari tagli vengono sottoposti a ulteriori lavorazioni per trasformarli in prodotti commercialmente utili. Per quanto riguarda le percentuali, invece, esse variano a seconda della provenienza del petrolio. Commercialmente i petroli si dividono in cinque categorie, provenienti da specifiche regioni della Terra: naftenici, paraffinici, asfaltici, aromatici e misti a seconda del tipo di idrocarburi predominanti. È opportuno sottolineare che nei petroli non sono presenti composti di tipo olefìnico (che presentano un doppio legame) o diolefìnico (che contengono due doppi legami) in quanto sono termodinamicamente instabili e nel corso della genesi del petrolio si sono trasformati in composti più stabili. L'operazione di topping del petrolio avviene in un'unica colonna di rettifica di 25-35 piatti distanziati circa 0,7 m l'uno dall'altro. La fig. 8.1 rappresenta una schema semplificato del processo di topping che viene illustrato di seguito. Il petrolio greggio viene preriscaldato a 423,15- 473,15 K sfruttando il calore sensibile delle varie frazioni che lasciano la colonna di distillazione e inviato in un forno nel quale viene portato alla temperatura di circa 673,15 K che rappresenta la temperatura di ingresso in colonna. La pressione in colonna si aggira su 150 000 Pa. La temperatura di 673,15 K permette l'evaporazione di circa il 55-65% del greggio, percentuale che dipende, ovviamente, dalla composizione media del petrolio utilizzato. La colonna di rettifica non prevede un ribollitore di coda e l'alimentazione viene effettuata a circa un quarto della sua altezza. Nel fondo della colonna viene inviato vapor acqueo surriscaldato che ha lo scopo di trascinare le frazioni più bassobollenti ancora presenti nel residuo. A tal proposito si rimanda al paragrafo del capitolo 3 relativo alla distillazione in corrente di vapore. Per far funzionare una colonna di topping è necessaria una quantità di calore corrispondente a circa il 2,5% del potere calorifico del petrolio lavorato. Come combustibili possono essere utilizzati sia i gas di testa della colonna o frazioni di 5 Tra le frazioni del topping, le più ricche di materie prime per le industrie petrolchimiche sono quelle a più basso punto di ebollizione, ma proprio queste sono le frazioni utilizzate anche benzina per autotrazione. Sorge allora la necessità di trasformare gli idrocarburi contenuti nei tagli altobollenti in composti a più basso peso molecolare. L’operazione che serve allo scopo si chiama cracking che in inglese significa appunto rottura. Cracking di frazioni del petrolio Il processo di cracking porta alla rottura delle lunghe catene degli idrocarburi a molti atomi di carbonio consentendo di ottenere molti prodotti sia saturi (alcani) sia insaturi (alcheni), dato che la rottura può avvenire in vari punti della molecola. A seconda del tipo di prodotti che si vogliono ottenere è necessario variare sia le condizioni di temperatura e pressione del processo sia la frazione petrolifera da inviare al cracking, rappresentata in linea di massima da gasoli pesanti e oli combustibili. La giustificazione teorica del processo di cracking risiede nella termodinamica delle rea-zioni coinvolte. L’esame delle energie libere di formazione degli alcani porta alla constatazione che quelli a minor numero di atomi di carbonio sono più stabili. Paragonando le energie libere di alcani e alcheni si arriva alla constatazione che gli alcheni, ad alte temperature, sono più stabili dei corrispondenti alcani. Inoltre tutti gli idrocarburi, a eccezione del metano, a una temperatura superiore a 523 K tendono a trasformarsi negli elementi che li costituiscono, carbonio e idrogeno. L'insieme di queste considerazioni permette di spiegare il motivo per cui, se si riscaldano gli idrocarburi ad alto numero di carboni a temperature elevate, si ottiene la loro trasformazione in alcani inferiori e alcheni. Bisogna però fare molta attenzione a controllare le condizioni operative per fermare il processo alla sola rottura delle molecole e non alla trasformazione totale degli idrocarburi in carbonio e idrogeno. Il controllo delle reazioni è possibile soprattutto controllando i tempi di permanenza degli idrocarburi alle alte temperature ed è proprio per accelerare i tempi di reazione che vengono utilizzate temperature alte, in quanto le velocità delle reazioni di cracking sono basse al di sotto di 573,15-623,15 K. Infatti allungando i tempi aumenterebbe la probabilità della reazione completa di degradazione degli idrocarburi a carbonio e idrogeno. Poiché la formazione di coke abbassa la resa del processo, forma depositi nei reattori e avvelena i catalizzatori, nei normali processi di cracking si deve operare in modo da limitare al minimo la sua formazione. Tuttavia a volte è proprio il nerofumo il prodotto che si vuole ottenere in massima parte perché viene utilizzato per la costruzione di elettrodi dei quali vi è una richiesta annua alquanto elevata. Qualora si voglia ottenere la produzione di nero fumo, gli impianti e le condizioni operative sono diversi da quelli necessari per gli altri tipi di cracking. Oltre alla temperatura, anche la pressione influisce sul tipo di prodotti ottenuti dal cracking. Alte pressioni riducono la formazione di idrocarburi gassosi e favoriscono l'isomerizzazione, mentre basse pressioni aumentano le percentuali di prodotti a basso numero di atomi di carbonio. Vengono ora elencati i vari tipi di cracking. — Il cracking termico, il più antico processo di conversione delle frazioni pesanti, ora meno usato, ma sempre valido perché permette di ottenere frazioni di distillati medi, permette anche la lavorazione dei residui sia del topping sia del vacuum e, non ultimo, presenta costi inferiori rispetto al cracking catalitico. — Il visbreacking, nome che rappresenta la contrazione dei termini inglesi viscosity breaking, è utilizzato per diminuire la viscosità degli oli combustibili, perché con questo processo una parte viene trasformata in sostanze a basso numero di atomi di carbonio. — Il coking serve per la produzione di nero fumo con rese del 15% rispetto all'alimentazione rappresentata dal residuo del topping e da quello del vacuum; dal coking si ottengono anche benzine (16-22%) e ciò che resta è costituito di gasoli. — Il cracking catalitico è oggi il più usato per trasformare idrocarburi ad alto numero di carboni in prodotti leggeri. — L''idrocracking indica un processo di cracking catalitico condotto in corrente di idrogeno che limita la formazione di coke, conserva un'alta attività e selettività dei catalizzatori ed evita la formazione di composti insaturi. Poiché i vari processi elencati presentano caratteristiche diverse al variare della frazione petrolifera che viene inviata in lavorazione, sarebbe tropppo lungo illustrare estesamente tutti i tipi di cracking. 6 Viene quindi trattato più estesamente solo il cracking catalitico, che permette l'ottenimento di una più alta percentuale di olefine a basso peso molecolare, che rappresentano le più interessanti materie prime di origine petrolifera per le industrie chimiche. Cracking catalitico II cracking catalitico serve a spezzare le catene degli idrocarburi ad alto peso molecolare per formare composti a più basso numero di atomi di carbonio. Vengono impiegate temperature più basse del cracking termico per la presenza dei catalizzatori, che servono anche ad aumentare la fra- zione di idrocarburi ramificati che si generano nel processo. Il processo di cracking catalitico viene di solito impiegato nel trattamento delle frazioni più altobollenti provenienti dal topping per trasformarle in benzine.Il cracking catalitico ha dapprima affiancato e poi superato, in quantità di prodotto lavorato, il cracking termico a partire dal 1936, anno in cui fu costruito il primo impianto per questo processo. Il suo affermarsi si deve ai vantaggi che presenta rispetto al cracking termico: — minore produzione di frazioni gassose; — minore produzione di n-paraffine; — maggiori rese in isoparaffine, cicloparaffine, olefine e composti aromatici; — maggiore quantità di benzine ad alto numero di ottano — maggiore resa in prodotti liquidi; — minore resa in residui pesanti; — mancanza di produzione di materiali più alto-bollenti di quelli alimentati. L'unico svantaggio del cracking catalitico consiste nel maggior costo degli impianti e della con- duzione degli stessi. I catalizzatori impiegati in questo processo possono essere sia naturali sia sintetici e sono a base di silicoalluminati di sodio, calcio e magnesio, nei quali gli ioni calcio e magnesio possono essere sostituiti con metalli di terre rare come lantanio, cerio e neodimio. I catalizzatori si com- portano come acidi di Lewis, cioè fungono da accettori di doppietti elettronici, o da acidi di Bronsted, cioè donatori di protoni. Il meccanismo di questo tipo di catalisi prevede la formazione di carbocationi, o per estrazione di uno ione idruro (H-) da un idrocarburo saturo, o per aggiunta di un idrogenione (H+) a un idrocarburo insaturo. È utile ricordare che i carbocationi sono ioni positivi che presentano un atomo di carbonio con solo sei elettroni; possono essere primari, secon- dari e terziari a seconda del numero di atomi di carbonio legati al carbonio che presenta la lacuna elettronica e sono indicati nell'ordine: H H R | | | H—C+ R—C+ R—C+ | | | R R R I carbocationi, una volta formatisi, essendo estremamente reattivi, innescano un meccanismo a ca- tena nel quale si determina una rottura del legame in posizione β rispetto all'atomo che porta la carica positiva con conseguente formazione di un alchene e di un nuovo carbocatione a minor nu- mero di atomi di carbonio: R – CH2 – C – RII R+ + CH2 = C - RII | | R I R I Ricordando dalla chimica organica le caratteristiche dei carbocationi che, avendo una stabilità cre- scente dal primario al terziario, tendono a isome-rizzare per raggiungere la configurazione a minor energia, si può spiegare perché il cracking catalitico porta all'ottenimento di idrocarburi ramificati. Durante il processo di cracking si produce carbone che si deposita sul catalizzatore disattivandolo. Per questo motivo gli impianti di cracking catalitico prevedono una rigenerazione continua del catalizzatore effettuata bruciando questo carbone. Nella fig. 8.3 viene presentato un tipico impianto di cracking catalitico a letto fluidizzato noto con la sigla FCC, che significa Fluid Catalyst Cracking. 7 Il catalizzatore circola continuamente fra il reattore e il rigeneratore nel quale il coke depositato sul catalizzatore durante la reazione di cracking viene bruciato con aria per ripristinare l'attività del catalizzatore. In figura 3 impianto di Cracking catalitico Reforming di frazioni del petrolio II processo di reforming, che significa riformazione, riarrangiamento, è stato messo a punto per trasformare gli idrocarburi contenuti nella benzina (Te = 313,15-413,15 K) in idrocarburi aro- matici. Negli anni '30-'40, il reforming era di tipo termico, ma in seguito è stato modificato in un processo catalitico che permette una migliore trasformazione della nafta alimentata. I catalizzatori impiegati sono di solito il platino supportato su silice-allumina, oppure una miscela di ossidi di molibdeno, cobalto e cromo supportati su allumina. Il motivo della trasformazione di alcani, ci- cloalcani, alcheni e dieni in sostanze aromatiche è ancora una volta termodinamico. A temperature intorno ai 773,15 K le reazioni di aromatizzazione, nonostante siano endotermiche, presentano un aumento di entropia, per cui l'energia libera di reazione diventa negativa e le reazioni risultano favorite. Il reforming avviene con pressioni comprese fra 1 e 4,5 MPa. Un aumento di pressione agisce favorevolmente sulla rigenerazione dei catalizzatori, ma nel contempo rende sfavorevole la reazione di aromatizzazione che è un processo che avviene con aumento di moli, in quanto vi è svi- luppo di idrogeno in grande quantità e quindi è favorito dalle basse pressioni. Uno schema di im- pianto è mostrato nella fìg. 4. 10 ottano 98 e motori con rapporti di compressione 8-9. Finora si è parlato di caratteristiche delle benzine relativamente alla loro composizione in idrocarburi, ma in realtà il numero di ottano viene anche modificato per aggiunta di additivi per benzine, fra i quali i più usati sono il piombo tetraetile e tetrametile. L'aggiunta di questi additivi migliora le benzine, ma crea qualche problema di ordine tecnico e desta preoccupazioni per l'inquinamento che ne deriva. Il problema tecnico deriva dal fatto che la combustione del composto con il piombo porta alla formazione di ossido di piombo corrosivo. L'aggiunta di bromuro e cloruro di etile elimina il problema in quanto, al posto dell'ossido, si formano il bromuro e il cloruro di piombo che essendo volatili vengono scaricati. L'immissione di piombo nell'atmosfera causa inquinamento per cui il suo impiego è regolato da leggi che fissano il valore massimo in 0,6 %o in volume nei supercarburanti. La tossicità del piombo ha spinto i ricercatori a studiare come ottenere una benzina ad alto numero di ottano senza questo additivo. Attualmente in Italia è in vendita una benzina senza piombo detta benzina verde che contiene una maggiore percentuale (fino al 30%) di sostanze aromatiche e eteri come antidetonanti. L'uso di benzina verde, se da una parte risolve il problema dell'inquinamento da piombo, dall'altra crea inquinamento da composti aromatici incombusti. Per prevenire questo inquinamento, gli autoveicoli che impiegano benzina verde sono provvisti di reattori catalitici che favoriscono la totale combustione dei composti aromatici e nel contempo convertono tutto il carbone in CO2 e riducono gli ossidi di azoto a N2. Tali filtri sono noti con il nome di marmitte catalitiche. Da quanto esposto deriva che per ottenere benzine con caratteristiche adatte è necessario che la loro composizione preveda molecole con 4-12 atomi di carbonio, che contengano un'alta percentuale di prodotti aromatici e catene ramificate. Con i processi di cracking e reforming si ottengono molecole piccole, aromatiche e ramificate, ma nelle raffinerie si impiegano anche altri processi da cui si ottengono prodotti utili per le benzine. Essi sono: — l'isomerizzazione; — l'alchilazione; — la blanda polimerizzazione. L'isomerizzazione consiste nella trasformazione di idrocarburi lineari, di solito a 4, 5 o 6 atomi di carbonio, in idrocarburi ramificati e questo è possibile con l'aiuto di catalizzatori che inducono la formazione di carbocationi i quali, potendo isomerizzare, portano alla formazione di idrocarburi ramificati. La reazione viene fatta avvenire a temperature comprese fra 383,15 e 413,15 K. L'alchilazione consiste nell'addizione di una isoparaffina a un alchene per formare un alcano ramificato. Le reazioni sono esotermiche, ma poiché avvengono con diminuzione di numero di moli, sfavorite dal punto di vista entropico, è necessario che siano condotte a temperature non troppo elevate. Il meccanismo prevede la formazione di carbocationi per somma di un idrogenione a un doppio legame e quindi la somma del carbocatione formato a un nuovo alchene. Il nuovo carbocatione formato strappa un idruro all'alcano formando un nuovo carbocatione e la reazione procede a catena. La blanda polimerizzazione consiste nell'unione di due o al massimo tré molecole di alcheni formatisi dalle reazioni di cracking. È un processo attualmente poco usato. Dai vari processi sopra visti si preparano diversi tipi di benzine destinate a usi differenti e precisamente: — benzine primarie ottenute dal topping del petrolio utilizzate soprattutto come base per la vorazioni successive che portano alla formazione delle benzine per autotrazione e alla produzione di materie prime per le industrie petrolchimiche; — benzina auto formata da composti contenenti 4-8 atomi di carbonio con punto di ebollizione fra 298,15 e 483,15 K e numero di ottano 84-86 per la normale e 98 per la super; — benzina avio usata per gli aeroplani, nella quale vi è un'alta percentuale di idrocarburi ramificati, caratterizzata da un numero di ottano superiore a 100; — benzina solvente utilizzata per estrazioni, lavaggi a secco, diluenti per vernici e altro. Può essere classificata in base alla temperatura di ebollizione in etere di petrolio (T, 333,15-353,15 K), ligroina (T 353,15-393,15 K), acqua ragia minerale (T 393,15-453,15 K). 11 Cheroseni I cheroseni rappresentano la frazione del petrolio che distilla fra 453,15 e 523,15 K, formata so- prattutto da idrocarburi paraffinici e naftenici a 12-17 atomi di carbonio e vengono impiegati come combustibile per illuminazione (noto con il nome di petrolio), per riscaldamento, come carburante per trattori agricoli e carburante per turboreattori d'aviazione. Per quest'ultimo impiego vengono usati cheroseni con caratteristiche ben precise ottenute sia agendo sulla composizione in idrocar- buri, sia mediante aggiunta di additivi. I migliori cheroseni per aviazione vengono impiegati nei jet militari. Gasoli I gasoli rappresentano la frazione percentualmente più alta del topping del petrolio e contengono idrocarburi a 16-30 atomi di carbonio. La temperatura di ebollizione varia fra 523,15 e 623,15 K. Essi vengono principalmente impiegati in motori diesel o come combustibili per riscaldamento do- mestico. I gasoli che servono per alimentare i motori diesel devono presentare la caratteristica di bruciare spontaneamente quando vengono iniettati in aria sufficientemente calda. Questa caratteristica viene misurata attraverso un parametro detto numero di cetano analogo al numero di ottano visto per le benzine. Al n-esadecano (C 16H 34), detto cetano, è stato attribuito il numero di cetano 100; all’α-metil- naftalene è stato assegnato il numero di cetano 0. Miscele dei due composti presentano numeri di cetano intermedi. Se si vuole stabilire il numero di cetano di un gasolio, si paragona il suo com- portamento all'accensione con quello di una miscela di cetano e di α -metilnaftalene che si com- porti allo stesso modo. I gasoli impiegati per i cosiddetti diesel veloci, rappresentati da quelli montati sulle moderne autovetture, devono avere un numero di cetano minimo pari a 50. Devono inoltre presentare le seguenti caratteristiche: — viscosità ne troppo elevata ne troppo bassa per garantire una sufficiente lubrificazione e una adatta polverizzazione nel cilindro; — punto di scorrimento, rappresentato dalla minima temperatura alla quale il gasolio scorre, non troppo basso per permetterne il suo impiego anche a temperature relativamente basse; —punto di infiammabilità alto (> 328,15 K) per problemi legati alla sicurezza di utilizzo; — residuo di zolfo minimo; — residuo carbonioso minimo. Le caratteristiche sopra elencate possono essere ottenute anche con aggiunta di additivi; per esempio il numero di cetano viene aumentato aggiungendo al gasolio nitrati e nitriti alchilici o perossidi organici. Oli combustibili Gli oli combustibili rappresentano i combustibili liquidi derivanti dal petrolio di minor pregio, es- sendo formati dalla mescolanza di frazioni pesanti che rappresentano gli scarti di altre lavorazioni. Gli oli si classificano in base: — alla loro viscosità; — al punto di solidificazione; — al residuo che lasciano bruciando; — al contenuto di zolfo. Commercialmente si dividono in densi, semifluidi e fluidi e vengono impiegati principalmente nelle industrie per alimentare caldaie, forni industriali per la produzione di vetri, ceramiche, laterizi, cementi, generatori di vapor acqueo in genere. Gli oli più densi devono essere preriscaldati per ottenere un migliore scorrimento nelle tubazioni e una buona nebulizzazione nei bruciatori. 12 Lubrificanti minerali Per lubrificante si intende una sostanza che, posta fra due corpi che si muovono reciprocamente, diminuisce l'attrito fra essi. I lubrificanti possono essere solidi, semisolidi, liquidi e gassosi e sono di origine animale, vegetale, minerale e sintetica. In questo paragrafo verranno considerati solo i lubrificanti liquidi derivanti dal petrolio. Un lubrificante liquido deve aderire perfettamente alle superfici che scorrono e deve presentare un'alta coesione fra le sue molecole in modo da formare pellicole continue sulle superfici. Queste caratteristiche sono presenti in liquidi molto viscosi. Infatti la viscosità è il parametro utilizzato come indice per la classificazione dei lubrificanti impiegati per i motori. La viscosità, come si ricorda, è funzione della temperatura e poiché i lubrificanti sono sottoposti a riscaldamento dovuto all'attrito, risulta importante non un valore di viscosità assoluto, ma un parametro che indichi le modificazioni della viscosità all'aumentare della temperatura. Tale parametro, detto indice di viscosità, può assumere valori fra 0 e 100 e si ricava confrontando il lubrificante di cui si vuole conoscere l'indice con due lubrificanti campioni ai quali sono stati assegnati valori di 0 e 100. Più è alto il valore dell'indice, minore è la variazione della viscosità del lubrificante al variare della temperatura. Altra caratteristica determinante per l'impie- go del lubrificante è il punto di scorrimento che rappresenta la temperatura, maggiorata di 3 K, alla quale il liquido cessa di scorrere. I lubrificanti derivanti dal petrolio si ricavano ridistillando sotto vuoto o in corrente di vapore il residuo a punto di ebollizione superiore a 653,15 K del topping proveniente da particolari tipi di greggio. I lubrificanti ottenuti da tale processo hanno composizioni estremamente variabili che dipendono appunto dal greggio di partenza. Viene ri- portata una composizione che è puramente indicativa: — 18-26% di paraffine lineari e ramificate; — 43-51% di nafteni alchilati; — 23% di nafteno-aromatici alchilati; — 8% di sostanze asfaltiche di natura aromatica. I lubrificanti provenienti dalla distillazione, per essere impiegati devono essere raffinati al fine di eliminare da essi le sostanze indesiderate rappresentate soprattutto dalle sostanze asfalti-che, dai composti aromatici e da paraffine a catena lineare con 30-40 atomi di carbonio, dette cere. Materie prime derivate dal petrolio Dopo aver esaminato i processi ai quali è sottoposto il petrolio, si può passare all'esame dei com- posti che da esso vengono isolati o preparati e che rappresentano materie prime di importanza fondamentale per parecchie industrie. I principali sono: — etilene; — acetilene; — propilene; — gas di sintesi; — idrocarburi a quattro atomi di carbonio; — idrocarburi aromatici. Etilene L’etilene è forse la più importante materia prima ricavata dal petrolio. Poiché l'etilene che si ottiene dai normali processi di cracking non è sufficiente a soddisfare le richieste del mercato, un'altra quota viene prodotta con il procedimento detto steam cracking, un processo di riduzione degli idrocarburi a maggior numero di atomi di carbonio mediante vapor acqueo. Le cariche di alimentazione per lo steam cracking possono essere sia i gasoli sia frazioni leggere. Nel primo caso oltre all'etilene e ad altre ole-fine leggere si ottiene anche benzina, che in questo processo è da considerare prodotto secondario. Nel caso invece in cui si alimentano frazioni leggere, queste sono composte principalmente da alcani a basso numero di atomi di carbonio che ad alte temperature si trasformano in olefine perdendo idrogeno; in questo caso le rese di etilene sono maggiori.