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Povertà educativa e servizi per l'infanzia in Italia ed Europa, Appunti di Sociologia dell'Infanzia

Lapovertà educativa nei bambini e adolescenti, della sua origine e dei suoi effetti. Vengono presentati dati sulla situazione in Europa e in Italia, con particolare attenzione ai servizi educativi per l'infanzia. Viene inoltre descritto uno studio pilota condotto in Italia da Save the Children e il Centro per la Salute del Bambino, che ha utilizzato lo strumento IDELA per analizzare l'effetto egualizzante della frequenza al nido.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 12/01/2023

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Scarica Povertà educativa e servizi per l'infanzia in Italia ed Europa e più Appunti in PDF di Sociologia dell'Infanzia solo su Docsity! Sociologia dell’infanzia DEFINIZIONE POVERTÀ EDUCATIVA: Si riferisce alla mancata acquisizione da parte dei bambini e degli adolescenti, delle conoscenze e competenze cognitive e delle competenze cosiddette non cognitive o socio emozionali, nonché della capacità di condurre una vita autonoma ed attiva, attraverso lo sviluppo fisico e motorio. La povertà educativa, per i bambini e gli adolescenti, quindi si riferisce alla privazione del diritto allo sviluppo. QUANDO NASCE LA POVERTÀ EDUCATIVA: La prima infanzia rappresenta un periodo cruciale nella vita delle persone, le competenze necessarie per crescere e vivere si formano, in larga misura, a partire dalla nascita e prima dell'entrata nella scuola, seguendo un processo cumulativo. I bambini con genitori di livello socio economico più alto, già all'età di tre anni, hanno accumulato un sostanziale vantaggio in termini educativi e di sviluppo rispetto ai coetanei provenienti da situazioni familiari più svantaggiate. La povertà educativa è inoltre largamente influenzata dall'ambiente familiare, economico e sociale, in cui il bambino nasce e cresce. COME COMBATTERE LA POVERTÀ EDUCATIVA: Gli studi condotti soprattutto negli Stati Uniti e in Europa evidenziano gli effetti positivi della frequenza del nido o della scuola dell'infanzia per i bambini in condizioni socioeconomiche più svantaggiate. Gli effetti positivi persistono durante l'adolescenza indipendentemente dal tipo di scuola primaria e secondaria frequentata, riducendo la probabilità di ripetizione dell'anno scolastico e dell'abbandono precoce della scuola. I servizi di cura ed educativi della prima infanzia, al fine di contrastare con efficacia la povertà educativa nei primi anni di vita, devono essere complementari ad altri interventi di welfare, volti a facilitare la qualità dell'interazione tra genitori e bambini a casa. Queste politiche complementari agiscono sullo sviluppo dei bambini in diversi modi, ad esempio, garantendo un sostentamento economico alle famiglie più disagiate, aumentando anche le possibilità di investimento della famiglia stessa a favore del benessere dei bambini. SITUAZIONE IN EUROPA: I dati più recenti mostrano che circa 24 milioni di bambini sono a rischio di povertà o esclusione sociale nell'unione europea, il 25% del totale. Sono quei bambini che provengono da famiglie in condizioni di povertà economica ad avere anche un minore accesso ai servizi di protezione ed educazione della prima infanzia, in particolare dei tre mesi ai tre anni, aggravando ancor più le diseguaglianze. Anche nei casi in cui l'offerta di servizi è principalmente pubblica, la presenza di costi indiretti può rendere l'accesso agli stessi particolarmente difficile per i bambini più bisognosi. SITUAZIONE IN ITALIA: In Italia i servizi educativi per l'infanzia sono organizzati in base all'età del bambino, la gestione dei nidi e servizi integrativi è generalmente affidata ai comuni, mentre le regioni hanno la responsabilità dell'orientamento, pozione e regolamentazione, nonché della gestione dei fondi speciali statali. La gestione pubblica può essere diretta o indiretta, a questa si aggiungono i servizi privati. I bambini dei 3-6 anni sono invece accolti nella scuola dell'infanzia, sotto l'egida del ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Le scuole dell'infanzia sono in maggioranza statali, ma sono presenti anche scuole comunali o private paritarie. Dai dati più recenti, raccolti dall’Istituto degli Innocenti e dall'Istat, che fanno riferimento all'anno 2017, si evince che l'Italia è ancora molto lontana dal target stabilito dall'Unione europea di garantire ad almeno il 33% dei bambini tra zero e tre anni l'accesso al nido ai servizi integrativi. I dati indicano infatti che la disponibilità di servizi per la prima infanzia è del 23,6%; tale percentuale comprende nidi e micronidi sia pubblici che privati, incluse le sezioni primavera ed i servizi integrativi. Le differenze a livello regionale inoltre sono molto marcate, con un tasso di copertura doppio al centro-nord rispetto al sud e isole. La staticità, e in alcuni casi la riduzione della copertura dei servizi pubblici per l'infanzia è da imputarsi, in assenza di politiche pubbliche finalizzate al sostegno della conciliazione, alla contrazione della domanda di servizi, complice la crisi economica unitamente all'aumento delle rette. Situazione migliore si riscontra invece rispetto all'accessibilità alle scuole dell'infanzia. Il 92,6% dei bambini dai tre ai sei anni è accolto nella scuola dell'infanzia, l'Italia si posiziona quindi nei primi posti per accesso alla scuola dell'infanzia, in linea con l'obiettivo europeo di copertura al 90% per i bambini da tre a sei anni. L’INDAGINE IDELA IN ITALIA: Save the Children, in collaborazione con il Centro per la Salute del Bambino, ha realizzato, nel 2019, un primo studio pilota in Italia, di carattere esplorativo svolto direttamente con i bambini, con l’obiettivo di analizzare l’insorgere e il cristallizzarsi delle diseguaglianze tra gli stessi prima dell’entrata nella scuola dell’infanzia, ed il potenziale effetto egualizzante della frequenza al nido. Lo studio si è svolto in 10 città e province italiane ed ha coinvolto 653 bambini di età compresa tra i 3 anni e mezzo e i 4 anni e mezzo, che frequentano scuole dell’infanzia pubbliche o private paritarie, ed i loro genitori. Per svolgere l’indagine è stato utilizzato lo strumento IDELA rivolto ai bambini e un questionario apposito rivolto ai genitori dei bambini coinvolti, con domande relative al conteso socio-economico e culturale in cui vive la famiglia e la partecipazione del bambino ai servizi educativi per la prima infanzia, al fine di misurare i fattori dello svantaggio educativo dei bambini e gli eventuali effetti redistribuitivi della partecipazione al nido dell’infanzia. COS’È IDELA: L’international Development and Early Learning Assessment (IDELA) è uno strumento di indagine composto da 22 domande, che misura i progressi dei bambini di età compresa tra 3 e 6 anni, in quattro dimensioni di competenze e sviluppo: fisico-motorio, matematico, linguistico e socio- emozionale. La somministrazione IDELA ha una durata di circa 40 minuti per bambino. È importante sottolineare che la modalità di somministrazione dello strumento di indagine è stata concepita e presentata come un’attività ludica, un gioco che può essere interrotto dal bambino in qualsiasi momento. Questo strumento d’indagine non ha quindi come obiettivo quello di misurare lo sviluppo di un singolo bambino, ma bensì quello di osservare alcune tendenze sulla popolazione di riferimento, ed in particolare, l'emergere di disuguaglianze nello sviluppo, nonché di potenziali fattori protettivi, al fine di valorizzare questi ultimi, attraverso adeguate politiche pubbliche e conseguente sostegno finanziario. della società e che conseguentemente dà forma al flusso delle risorse diretto agli individui ed ai gruppi sociali.  Nel 1979 Giddens definisce la cittadinanza come una corrente di interventi causali, attuali o potenziali, di esseri corporei nel processo continuo di eventi nel mondo; secondo lui quindi la cittadinanza è legata oltre che alla competenza, alla facoltà di agire liberamente, che si riferisce all’effettiva capacità da parte delle persone nel fare determinate cose. DIFFERENZA TRA PRATICHE E CAPACITÀ: Mentre le pratiche coincidono con le azioni messe effettivamente in campo, le capacità rappresentano le azioni potenzialmente esperibili ossia formano un ventaglio di condotte alternative che sono alla portata del soggetto. Ciò che importa quindi non è tanto il compiere un certo atto, quanto il poterlo liberamente fare o non fare ottenendo comunque risultati concreti. I BAMBINI SECONDO L’IMPOSTAZIONE CLASSICA E PARTECIPAZIONE NEGATA: I bambini, secondo l'impostazione classica, sono nello stato del non essere ancora, sono in potenza e tutti tesi verso il modello adulto, che rappresenta lo standard cui adeguarsi. In correlazione a ciò, la società tende a riprodurre una serie di immagini sull'infanzia e sull’adolescenza, che altro non fanno che ribadire la loro posizione subalterna rispetto alla società degli adulti. La prima di queste è la rappresentazione dei bambini e degli adolescenti come cittadini di domani e come risorsa per il futuro. In questa società, caratterizzata da sempre maggiori rischi e incertezze, vi è la tendenza a osservare i minori di età come capitale umano, ossia come un mezzo per controllare il futuro della società stessa, trascurando e dimenticando l'attenzione per il loro benessere nel presente. Diffondendosi un'immagine di società come pericolosa, piena di trappole e insidie, i bambini vengono considerati in sé stessi puri, angelici ma anche vulnerabili. L'infanzia, che viene in tal modo vittimizzata, va ad ogni costo difesa e tutelata dalle minacce esterne; si finisce quindi per far prevalere il controllo sociale sul reale interesse per i particolari desideri dei bambini, gli interessi, le esigenze in senso lato, per la loro autonomia e la capacità propositiva e decisionale di cui sono portatori. Tutto appare volto alla trasmissione di capitale culturale al fine di rendere il bambino un adulto funzionale alla società, attraverso una progressiva scolarizzazione e organizzazione strutturata delle attività extra scolastiche dei minori di età. L'istituzionalizzazione coincide infatti ad una forma di marginalizzazione ed esclusione dei bambini da parte degli adulti. l'offerta di servizi per l'infanzia e la protezione, che si combinano nell’istituzionalizzazione, generano da un lato controllo sociale e dipendenza per via dell'educazione e, dall'altro marginalizzazione ed esclusione. La protezione, in particolare, è una forma di sorveglianza mascherata in cui gli adulti affermano di voler proteggere dai pericoli esterni i bambini, ma in realtà li tengono occupati, sorvegliati, pensando altresì di prevenirne i rischi, i disagi, le forme di devianza, che avrebbero conseguenze minacciose per la società. LA NUOVA SOCIOLOGIA DELL’INFANZIA PRO PARTECIPAZIONE: La nuova sociologia dell'infanzia afferma che l’infanzia deve essere considerata una componente strutturale e culturale specifica di molte società. Il concetto di sviluppo, non implica più un processo evolutivo naturale, ma si riferisce a un significato socialmente costruito di cambiamento. In particolare, si assiste al riconoscimento dei bambini in quanto persone, come soggetti attivi e attori sociali, come agenti competenti di cambiamento, partecipanti ai vari sistemi sociali, ossia in grado di trasformare creativamente e unicamente la realtà. Tra il bambino e l'adulto non vi sono differenze di valore, ma differenze di competenze, tutte ugualmente rilevanti. È importante utilizzare un approccio di tipo interpretativo-costruttivista al concetto di socializzazione, inteso come un processo riproduttivo, nel quale è cruciale il momento interpretativo e di costruzione dei significati, sia sociale sia individuale. I bambini e gli adolescenti sono parte della cultura adulta e contribuiscono alla sua riproduzione attraverso negoziazioni, ma producono anche creativamente delle culture uniche e specifiche, attraverso la partecipazione ad attività collettive, come un gruppo sociale permanente. Bambini e adolescenti, pertanto, sono co-costruttori dell'infanzia, dell'adolescenza e della società. La sociologia dell'infanzia porta avanti la concezione dei bambini e degli adolescenti come soggetti di diritto e i cittadini nel presente, in grado di poter prendere parte alle decisioni su questioni che li riguardano e alle scelte nella dimensione più vasta della società. LA VISIONE TEORICA DI TONUCCI SULLA PARTECIPAZIONE DEI BAMBINI: È l'elaborazione teorica sull'infanzia e sul ruolo dei bambini rispetto alla società degli adulti, che ha preceduto influenzato la promulgazione della legge della Convenzione ONU e assegnato le basi culturali della progettualità successivamente attivata. La visione teorica di Tonucci si fonda su tre proposte rivoluzionarie:  Progettare realizzare il cambiamento ormai necessario nelle città, assumendo il bambino come parametro ambientale come garante di sviluppo sostenibile.  Promuovere questo sviluppo sostenibile attraverso la partecipazione sociale dei bambini.  Ridare la città ai bambini e modificare la cultura adulta dell'infanzia. Propone quindi di considerare il bambino come un sensibile indicatore ambientale in vista del cambiamento, nell'idea che una città dei bambini e adatta ai bambini, sia una città sana e adatta per tutti i cittadini, in accoglimento di tutte le esigenze a garanzia di tutte le diversità, in particolare delle fasce più deboli della popolazione. I bambini possono quindi avere un ruolo di agenti attivi nel cambiamento, prendere parte ai processi decisionali della città, confrontarsi con gli adulti e vivere così un'esperienza forte di cittadinanza. LA CONVENZIONE ONU SULLA PARTECIPAZIONE DEI BAMBINI: La Convenzione ONU ha sancito il passaggio dalla tutela degli interessi economici dei minori e dei diritti dei genitori, all'impegno a riconoscere ai bambini e agli adolescenti diritti propriamente soggettivi e di cittadinanza, basandosi su tre concetti base di:  Provision: ovvero la disponibilità del diritto di accesso ai beni e servizi.  Participation: ovvero il diritto di prendere parte ad attività e decisioni che li riguardano.  Protection: ovvero la protezione dal disagio, cura e assistenza. Nella Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia dell'adolescenza la parola partecipazione è menzionata solo all'articolo 23: “gli Stati sono invitati ad agevolare l'autonomia e partecipazione alla vita sociale dei minorenni”. Eppure, la partecipazione va considerata un diritto, il diritto di espressione del minorenne va messo infatti in relazione al diritto all'ascolto delle sue opinioni che dovrebbe essere garantito da parte di chi deve prendere decisioni giudiziarie ed amministrative. Riguarda tutti i soggetti di minore età: bambini, bambine, ragazzi e ragazze, compresi quelli che abbiano un qualche grado di disabilità. Perché il diritto all'espressione e all'ascolto sia tutelato, saranno necessarie da parte degli adulti e dalle istituzioni:  La disponibilità a dialogare secondo linguaggi spesso informali e diretti, garantendo tempi, modalità e occasioni utili al bisogno e investendo su un'evoluzione inclusiva del linguaggio.  Il rigore nell’interpretare e leggere i contributi dei minorenni senza manipolarli, nell'offrire le risposte sollecitate o richieste, nel garantire continuità anziché estemporaneità. Partecipare è un modo per interagire con la realtà sociale in cui il singolo è inserito, partecipazione quindi significa anche valorizzazione del ruolo sociale di bambini e ragazzi considerati soggetti titolari di diritti con cui dialogare con costanza e impegno. Affinché avvenga la partecipazione dei ragazzi in contesti diversi è necessario far riferimento:  Ad un approccio maieutico  Ad un apprendimento esperienziale  A domande aperte: quelle cioè senza risposta “giusta”. Per far sì che la progettazione risulti partecipata, nella prospettiva di un approccio intergenerazionale, dove bambini, adolescenti e adulti partecipano insieme, si presume che decisori ed operatori sappiano adottare un atteggiamento facilitatorio e si presuppone che essi:  Presuppongano che il coinvolgimento dei cittadini nei processi decisionali è legittimo.  Mettano in gioco un progetto aperto, con scelte e decisioni che debbono ancora essere prese.  Coinvolgono i cittadini in tutte le fasi del processo, dalla costruzione di scenari condivisi alla realizzazione e gestione delle trasformazioni.  Accettino la complessità, resistendo alla tentazione di semplificare.  Sappiano sostare nell'incertezza, soprattutto nelle fasi di avvio dei processi, senza precipitare nell’affannosa ricerca delle conclusioni e della conferma dei propri punti di vista.  Non temano le esplicitazioni di opinioni, desideri, interessi divergenti e quindi il conflitto, ma lo attraversino cogliendolo come opportunità per evidenziare l'esistenza di opzioni incompatibili tra loro e proporre la costruzione negoziata di soluzioni che tengono conto delle diverse esigenze.  Considerino la partecipazione non come un fine, ma come uno strumento che consente a bambini e ragazzi oltre che alle persone adulte di esercitare attivamente il loro ruolo di cittadini, di fare esperienze di arricchire le loro competenze, di agire in prima persona per tutelare e promuovere i loro diritti e per segnalarne le violazioni. La progettazione partecipata va intesa allora come un processo di apprendimento reciproco, dove i tecnici progettisti vengono posti in condizione di integrare i dati disponibili e quelli raccolti attraverso le loro analisi preliminari con i saperi soggettivi degli abitanti, esperti della loro vita quotidiana del territorio in cui vivono, in grado di esprimere importanti e legittime esigenze. I cittadini coinvolti hanno, dal canto loro, la possibilità di riflettere su problematiche che riguardano - Quello funzionalista, attribuibile a Parson, che visualizza la società come uno svariato numero di ruoli e funzioni a cui il bambino dovrà essere preparato per permetterne il giusto funzionamento. Questo modello tiene conto di quello che ai bambini manca, non di quello che già posseggono. - Quello riproduttivo, che vede la riproduzione della società come un movimento utile a mantenere le diseguaglianze sociali sulla base di un controllo fornito da una classe dominante su una dominata. Secondo Bourdieu, infatti, la riproduzione sociale ha il fine di permettere ai figli di una classe sociale alta di riconoscere il capitale culturale, sempre strettamente legato al capitale economico e al capitale sociale, così che gli stessi saranno facilitati nell’accesso alle istituzioni sociali educative.  Quello costruttivista, che vede il bambino come un individuo attivo che si relaziona con il mondo e si costruisce una propria idea di realtà. Secondo Piaget, lo sviluppo cognitivo si forma per stadi di acquisizione di abilità intellettuali tramite un processo definito di equilibrazione; secondo lui quindi, ogni bambino riesce a sviluppare solo alcune competenze cognitive relative alla sua età. Secondo Vygotskij, nella crescita del bambino è importante l’integrazione con gli altri e con i contesti concreti di cui fa parte. Nella sua teoria vi sono due concetti fondamentali: - Quello di interiorizzazione, secondo cui i bambini le loro abilità psichiche e sociali prima a livello interpersonale, detto anche interpsichico, e solo dopo a livello individuale, detto anche intrapsichico. - Quello di sviluppo prossimale, che fa riferimento ad un'idea di sviluppo graduale attraverso la distinzione del livello di sviluppo reale da quello potenziale. Nonostante il riconoscimento di un ruolo attivo al bambino, i modelli costruttivisti adottano una visione lineare dello sviluppo che finisce però per considerare i bambini per quello che non sono ancora piuttosto che per quello che sono già. L’APPROCCIO DECOSTRUTTIVISTA O DISCORSIVO: Ha il compito di smontare le immagini costruite dell'infanzia e svelare le logiche che sottendono le politiche realizzate spesso nella pretesa di agire nell'interesse dei bambini, costruire reali contesti d'azione in cui si muovono i bambini, rilevare le capacità che essi dimostrano nel gestire le relazioni e i rapporti intergenerazionali. LA NUOVA SOCIOLOGIA DELL’INFANZIA: La nuova sociologia dell'infanzia vuole sottolineare come un bambino abbia comunque una sua visione e una sua rappresentazione del mondo, differente da quella dell'adulto ma non per questo deficitaria. Corsaro, uno dei fondatori della sociologia dell'infanzia americana, ha elaborato per spiegare i processi di socializzazione infantile un approccio teorico sulla riproduzione interpretativa. Questo approccio evidenzia il ruolo attivo del bambino che collettivamente si appropria, interpreta e riproduce la realtà sociale contribuendo anche al suo cambiamento. Il contesto culturale non è una variabile che influenza lo sviluppo, quanto piuttosto una dinamica che si costituisce continuamente in routine culturali e pratiche prodotte collettivamente ai vari livelli organizzativi. Nella tradizionale visione sociologica il bambino era considerato solo come l'oggetto della socializzazione adulta che doveva essere educato a divenire nel tempo membro competente attivo della società; la nuova sociologia dell'infanzia invece vuole considerare il bambino come un soggetto socialmente competente, in grado di partecipare attivamente all' interazione sociale e allo stesso cambiamento della società. È nuova quindi l'idea non dell'interesse per il bambino ma per il fatto che ad egli viene riconosciuta quell’Agency, intesa come capacità di agire creativamente e di apportare cambiamenti nella società, tradizionalmente attribuita esclusivamente agli adulti. Altro concetto importante della nuova sociologia dell'infanzia è il rapporto tra struttura e azione. Hengst e Zeiher, affermarono che si dovesse assumere la distinzione tra una prospettiva centrata sul soggetto, ovvero quella dell'azione, che pone al centro i bambini in quanto attori sociali, e una centrata sul contesto, ovvero quella della struttura, che si focalizza più sull'infanzia intesa come l'insieme delle condizioni sociali, economiche, culturali e simboliche di cui bambini agiscono. Sulla base di questo, vengono individuate tre diverse sociologia dell'infanzia: - Sociologia dei bambini: in cui rientrano quegli studi e quelle ricerche che si concentrano prevalentemente sull’agire autonomo dei bambini nella loro vita quotidiana. Questo approccio si basa su un'osservazione dei bambini nei loro contesti naturali, intervistandoli direttamente sul senso e sul significato che essi attribuiscono alle loro pratiche. - Sociologia decostruzionista dell'infanzia e dei bambini: in cui rientrano tutti quegli studi che considerano la definizione sull'infanzia non naturale ma un prodotto di circostanze storiche ed interessi ben precisi. Per i fondatori di questo nuovo approccio i discorsi sull'infanzia non sono slegati dalla vita quotidiana e non sono vuote rappresentazioni che restano nel mondo discorsivo in cui sono state prodotte, bensì sono legate alle pratiche sociali e alle istituzioni che li riproducono e influenzano sia il modo in cui gli adulti agiscono con i bambini, sia la stessa vita quotidiana dei bambini. - Sociologia dell'infanzia come struttura sociale: in cui rientrano gli studi che considerano l'infanzia non come una costruzione discorsiva ma come una componente strutturale della società, al pari di altre forme strutturali quali la classe sociale, l'identità sessuale o ad esempio il gruppo etnico di appartenenza. L'infanzia, nonostante sia individualmente per i bambini una fase transitoria della vita, viene comunque considerata un elemento costante della società. Queste tre definizioni definiscono gli approcci prevalenti che avvengono nello studio dei bambini, ma in realtà tutti gli studiosi di sociologia dell'infanzia sostengono una continua interazione tra le tre. Un'altra classificazione interna alla nuova sociologia dell'infanzia è del bambino sociologico, che riassume i quattro approcci attraverso cui il bambino può essere studiato sociologicamente: - Il bambino socialmente costruito: in cui si considera l'infanzia come una costruzione sociale storicamente, culturalmente, economicamente e politicamente determinata. - Il bambino tribale: in cui i bambini vengono concettualizzati come differenti dagli adulti; l'attenzione è tutta focalizzata sul bambino e sulle sue interazioni con altri bambini ignorando la relazione esistente con le figure adulte presenti nel contesto analizzato. - Il bambino del gruppo minoritario: in cui si sottolinea la politicizzazione dell'infanzia, ovvero la simmetrica relazione di potere esistente tra adulti e bambini costruita lungo la dimensione generazionale. - Il bambino socio strutturale: in cui si parte dalla considerazione che i bambini sono una costante e si trovano ovunque gli esponenti di questo approccio si concentrano principalmente sulle costanti, sugli aspetti che uniformano piuttosto questo che differenziare le infanzie del mondo. L'infanzia viene quindi considerata come una categoria universale con caratteristiche che sono intrinsecamente legate alla struttura istituzionale delle società in generale. Anche in questo caso la classificazione risulta pressoché analitica, in quanto utile ad ampliare lo sguardo sull'infanzia, coglierne le plurime sfaccettature e riconoscerne anche un carattere fortemente sociale e non solo biologico e psichico. IL MITO DELL’INFANZIA: James, Jenks e Prout hanno presentato 5 modelli di infanzia che definiscono presociologici in quanto portatori di una visione dell'infanzia che prescinde dalla sua dimensione sociale e dal contesto sociale in cui il bambino vive: - Il bambino cattivo: questa visione fa riferimento ad un bambino come un essere naturalmente portato alla malvagità, alla corruzione e alla meschinità che, proprio per via di questa sua essenza, necessita di un'educazione che reprima la sua forza demoniaca e lo costringa dai comportamenti sociali. - Il bambino innocente: Questa visione fa riferimento ad un bambino come un essere angelico, indifeso e vulnerabile Che va quindi curato, protetto e difeso. - Il bambino immanente: questa visione far riferimento ad un bambino come una tabula rasa, non caratterizzato né da uninnata innocenza né da una cattiveria, ma da delle categorie in potenza della comprensione del ragionamento che, se sostenute da un ambiente appropriato, diventeranno capacità in atto. - Il bambino che si sviluppa naturalmente: questa visione fa riferimento ad un bambino inserito nella psicologia evolutiva, quindi legato alla medicina, l'educazione e alle istituzioni. - Il bambino inconscio: Questa visione fa riferimento alle scoperte della psicoanalisi e alle idee di Freud, che vedeva l'infanzia come il passato degli adulti a cui risalire per la comprensione delle psicopatologie adulte. Questi modelli ancora oggi continuano sotto forme diverse a condizionare il modo in cui la società adulta considera i bambini e si comporta con loro. Scopo di una sociologia dell'infanzia critica e pertanto quello di individuare la rete di significati a cui i bambini sono legati, di decostruire la dimensione mitica dei discorsi sull’infanzia, anche quando in fondo sono presentati come verità scientifiche, ma più di ogni cosa riconoscere i bambini come attori sociali e culturali lasciando spazio anche alle loro narrazioni su sé stessi e sulla società in cui vivono. comuni così come delle differenze esistenti all'esterno e all'interno dell'infanzia, quelle che si muovono a livello verticale rispetto agli adulti e quelle che sono riscontrabili a livello orizzontale tra bambini; l'applicazione quindi di una prospettiva definita da Crenshaw come un'analisi intersezionale. INFANZIA E GENDER STUDIES: Un tratto comune alle biografie di diverse studiose di childhood studies e la provenienza dall'ambito politico e scientifico dei gender studies. Negli studi affrontati con una prospettiva di genere è nato infatti un percorso di riflessione intorno al concetto di cura, con cui si intendono tutte quelle attività svolte in un regime di informalità e di gratuità dalle donne: Lavori domestici, educazione e accudimento dei figli, assistenza ai familiari, rapporti con la scuola e altre istituzioni e su un altro piano le attività di cura affettiva delle relazioni familiari. Come molte ricercatrici hanno fatto emergere si tratta di attività onerose per le donne sia in termini quantitativi, per le ore di lavoro dedicate agli altri, sia in termini qualitativi, per il carico emotivo che devono sostenere e tuttavia non riconosciute socialmente ed economicamente nella sfera pubblica. È intorno alla seconda metà degli anni 70 che tali attività di cura cominciano a venire tradotte, nel mercato del lavoro formalizzato, in attività di servizio svolte dalle donne nel settore terziario dell'economia come insegnanti, infermiere e segretarie. Competenze che vengono maggiormente richieste dal mercato a partire dagli anni 90 nel passaggio da una società cosiddetta fordista a una post fordista e cioè da un'economia industriale a una definita, con un lavoro divenuto flessibile e temporaneo. Questa trasformazione è stata anche definita femminilizzazione del lavoro proprio per indicare da un lato l'ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro favorito da un sistema più flessibile di assunzioni, e dall'altro l'importanza assunta da nuove abilità lavorative, non più basate sulla forza fisica ma su competenze legate alla comunicazione, alla progettualità e alle relazioni. Studi e statistiche hanno poi evidenziato come questa espressione nasconda una differente realtà fatta di precarietà lavorativa, di ridotte garanzie e tutele, di periodi di disoccupazione tra un impiego e l'altro, di redditi esigui, a principale discapito delle lavoratrici. Uno degli aspetti che infatti discrimina maggiormente le donne nel mercato del lavoro è la maternità, reale e potenziale, poiché strumentalmente adoperata per relegarle all'interno della sfera familiare e per considerarle come lavoratrici a metà, divise tra casa e lavoro. Il legame tra le donne e i bambini è quindi sempre strettamente legato, in quanto sono considerati soggetti interdipendenti ma anche reciprocamente oppressi. Le donne e i bambini sono quindi ritenuti membri di gruppi minoritari che ricevono trattamenti differenti all'interno di una società caratterizzata da una cultura patriarcale. Esistono tuttavia delle differenze che si basano in primis sul fatto che le donne hanno intrapreso un percorso autonomo e hanno ottenuto il riconoscimento formale nel sostenere i propri diritti lottando in prima persona. mentre gli studi sociali dell'infanzia, pur essendo legato al movimento per i diritti dei bambini, hanno sempre mantenuto una matrice una gestione adultista; sono infatti gli adulti a lottare per un altro gruppo sociale. I bambini si trovano infatti, anche all'interno di questo movimento, in una posizione subordinata poiché non sono essi in prima persona a rivendicare i propri diritti. Evidenziando l'importanza che gli studi femministi e gli studi di genere hanno avuto nella genesi dei childhood studies, non si vuole però negare l'importanza di altre fonti o correnti di pensiero a sostegno di altri gruppi minoritari, ad esempio razziali, sessuali o religiosi. I BAMBINI E LE BAMBINE COME SOGGETTO: In Italia la vita quotidiana diventa oggetto specifico di riflessione sociologica intorno agli anni 70 principalmente sotto l'influsso teorico del marxismo, della traduzione delle prime opere fenomenologiche e interazioniste della sociologia americana, della nuova storia di Braudel e degli autori della scuola delle Annales e dal neofemminismo. Si inizia quindi a considerare il quotidiano come un territorio privilegiato da cui osservare la società e il suo complesso a partire dai dettagli, dai nesti che la tengono insieme, dai fenomeni ed ai soggetti tradizionalmente lasciati in ombra nelle grandi narrazioni, in particolare i bambini. Il presente dei bambini assume spesso nella prospettiva degli adulti i connotati mitici di un tempo fuori dal tempo, appartenente a un ordine di realtà diverso da quello della vita quotidiana ma non per questo meno reale. Sembra che a caratterizzare la fase della vita infantile sia più la transizione che la permanenza, il bambino o la bambina cioè sono in potenza piuttosto che in atto. Il rischio di una visione incentrato unicamente sullo sviluppo e che i bambini finiscano per scomparire e continuare a essere assorbiti virgola in posizione subordinata, all'interno dei tradizionali istituti della famiglia della scuola. La sociologia dell'infanzia nasce con una spinta disvelatrice verso tutti quei costrutti teorici che per decenni avevano definito il campo d'agire dai bambini e la loro soggettività. Si sono intrapresi studi etnografici che vanno osservare bambini nei loro mondi di vita quotidiana tradizionalmente ignorati dalle scienze sociologiche perché dati per scontati e considerati privi di valore. LA RIPRODUZIONE INTERPRETATIVA: L'approccio della nuova sociologia dell'infanzia, considerando i bambini come soggetti dotati di Agency, sposta l'attenzione al livello della ricezione analizzando come bambini e bambine collettivamente arrivino a creare e talvolta sfidare, le strutture di genere e i loro significati. I bambini nelle loro interazioni non sono meri ripetitori della cultura degli adulti, non si limitano cioè a emulare o interiorizzare la realtà circostante, ma interpretano creativamente tale cultura ed essi stessi producono culture dei pari specifiche e differenti da quelle degli adulti. Un processo di appropriazione e riproduzione che può portare cambiamenti anche alla cultura adulta, a dimostrazione che i bambini possono influenzare gli adulti, e non solo esserne influenzati, e fornire un loro autonomo contributo al cambiamento sociale. Corsaro identifica questa capacità come riproduzione interpretativa, Che implica tre tipi di azioni collettive: - L’appropriazione creativa di informazioni e conoscenze provenienti dal mondo adulto da parte dei bambini. - La produzione e la partecipazione di questi ultimi a tutta una serie di culture dei pari. - Il loro contributo alla riproduzione e all'estensione della cultura adulta. Tale ripartizione delle attività non segue un rigido andamento temporale poiché questi tre segmenti possono verificarsi contemporaneamente e dare vita a quella che potremmo definire una manifestazione temporanea di cultura dei bambini. Il termine interpretativo rimanda agli aspetti innovativi e creativi della partecipazione sociale dei bambini i quali, sin dai primi anni di vita, contribuiscono a creare le loro peculiari culture dei pari appropriandosi creativamente di informazioni provenienti dal mondo adulto in modo da rispondere alle problematiche della propria vita. Il termine riproduttivo indica che i bambini non si limitano a interiorizzare norme e valori, ma contribuiscono attivamente alla produzione e al mutamento culturale. I bambini fanno parte e partecipano attivamente alle routine di due culture tra loro intrecciate, quella degli adulti è quella dei bambini, da cui sono condizionati e che al tempo stesso concorrono a creare. LA NASCITA DALL’INFANZIA: È intorno alla fine del sedicesimo secolo che il sentimento dell'infanzia, come coscienza delle particolari caratteristiche infantili che distinguono il bambino dall’adulto, inizierebbe a definirsi in maniera più marcata. La separazione del bambino dalla sfera produttiva permane tuttora nei paesi occidentali come tratto distintivo della sua essenza e come indicatore della sua condizione di scarsa autonomia. Prima del sedicesimo secolo si diventava adulti quando non si era più dipendenti e prima di quel momento il bambino non veniva considerato. L'alta mortalità infantile era sicuramente una delle cause principali di questa indifferenza tanto che non si pensava che il bambino fosse pienamente una persona umana o potesse avere un'anima. Verso la fine del 500, con la controriforma e una conseguente e forte moralizzazione dei costumi, si comincia ad assistere a un cambiamento di sensibilità anche verso i bambini, tale da far parlare di una scoperta dell'infanzia. Fra il 500 e il 600 uomini di chiesa e di legge definiscono l'infanzia come un bene da proteggere perché indifeso ma al tempo stesso da disciplinare per la sua natura ribelle. E sul finire del diciannovesimo secolo che si apre una nuova fase in cui lo stato è responsabile per i suoi bambini, le cui sorti sono inevitabilmente legate a quelle del paese. In questo stesso periodo ha avvio la retorica sui bambini come investimento e come futuro, e da tale responsabilità deriveranno politiche di protezione, mantenimento e contenimento dell'infanzia. Un ruolo centrale verrà svolto il tal senso anche dalla famiglia che con il trasformarsi dalle sue funzioni da produttive a riproduttive diviene l'altra istituzione responsabile per la cura e l'educazione del bambino. LA NASCITA DELLE STRUTTURE EDUCATIVE, RAPPORTO DONNE E BAMBINI: Con le trasformazioni culturali e demografiche che mutano le caratteristiche strutturali ma soprattutto le funzioni della famiglia da unità produttiva a riproduttiva, è ad essa che viene assegnato il compito principale di cura educazione dell'infanzia. In questo mutamento del ruolo sociale della famiglia l'attività riproduttiva si esprime prevalentemente come attività di gestione dello spazio domestico e di cura dei figli il cui svolgimento, per una tradizionale suddivisione del lavoro tra i sessi, viene attribuito alle donne. Questa trasformazione comporta anche un mutamento delle relazioni al suo interno, non solo tra i generi, tra marito e moglie, ma anche tra le generazioni, ossia tra genitori e figli. Se da un lato viene enfatizzata la personalità dei bambini, riconosciuti come individui all'interno della famiglia, dall'altra la responsabilità per il pieno sviluppo della loro personalità viene riposta nei genitori e in particolare nelle madri. L'emergere quindi di un'attenzione sociale verso l'infanzia ha la sua matrice da una parte all'interno del A ogni periodo di vita corrispondono specifiche qualità con particolari vincoli e possibilità che sono regolati in maniera differente in ogni società. Si dovrebbe quindi decostruire questa dualistica rappresentazione e di passare a un unico modello “essere e divenire” considerando le due nozioni insieme e non separatamente perché adulti e bambini sono esseri interdipendenti in un continuo processo temporale di essere di divenire. una tale opera decostruttiva, mutando la concezione del bambino come soggetto incompleto, avrebbe ricadute sulle esperienze quotidiane dei bambini nei termini di un maggiore riconoscimento delle loro capacità e conseguentemente dei loro margini di appropriazione autonoma del tempo e dello spazio. LA DIMENSIONE SPAZIALE DELL’INFANZIA: Vedendo enfatizzata la loro preziosità, in termini sentimentali, e conseguentemente anche l'immagine di soggetti vulnerabili, si cominciano a creare spazi in cui curare i bambini e proteggerli in attesa della loro maturazione. Il dato che tra tutti contraddistingue maggiormente l'esperienza spaziale dei bambini è la progressiva separazione dallo spazio degli adulti attraverso dei confini che, giustificati da ragioni di cura, protezione, partecipazione o privacy, riducono le esplorazioni dei bambini nelle strade senza la guida e il controllo di una figura adulta. Lo spazio diventa lo strumento attraverso cui questo sistema di cura e di controllo si manifesta in maniera ambivalente, aprendo possibilità d'azione ma al contempo limitandole all'interno di confini fisici ben definiti. I posti fisici che vengono attribuiti non sono semplici contenitori di attività infantili, ma esprimono la posizione che una società attribuisce ai bambini all'interno dell'ordine sociale che regola i rapporti tra le generazioni. La casa, in quanto spazio della famiglia e della sfera intima, diviene luogo ideale dove crescere i figli cui regolare i rapporti tra le generazioni; specularmente lo spazio pubblico, quello della città e che si estende al di fuori del perimetro della casa, viene rappresentato come rischioso e precluso ai bambini senza la protezione e il controllo degli adulti. Jenks ripercorrendo la storia delle rappresentazioni dell'infanzia, si sofferma su due immagini archetipiche opposte ma complementari per spiegare le ragioni della scomparsa dei bambini dallo spazio pubblico: - Il bambino dionisiaco: visto come essere dominato da istinti animali e dalla natura selvaggia, considerato quindi un soggetto da cui proteggersi e da controllare. - Il bambino apollineo: visto come un individuo naturalmente buono e inoffensivo, considerato quindi un soggetto da proteggere attraverso l'inserimento in spazi controllati e protetti adeguati alle esigenze della loro età. In alternativa alla casa vengono costituiti luoghi che fungono da surrogati di domesticità nello spazio pubblico, offrendo quelle caratteristiche di sicurezza, protezione e cura ritenute condizioni necessarie per l'infanzia. L'idea implicita è quindi che i bambini possano nuovamente giocare fuori casa ma solo all'interno di aree designate e riconosciute come sicure dagli adulti e comunque sempre sotto il loro sguardo. All'interno di questi spazi i bambini non sono quindi completamente liberi di muoversi o di fare quello che desiderano, spesso possono occupare certi ambienti solo in determinati momenti e comunque solo quando lo decide da adulto, oppure devono svolgere insieme agli altri compagni le attività che vengono proposte. Anche il gioco che prima si svolgeva in un regime di libertà e di autonoma regolazione dei bambini è stato inserito in un protocollo educativo redatto dagli adulti per il bene degli stessi. Il senso del gioco risiede nell'incertezza dell'esito, nella possibilità di muoversi in una dimensione di senso che non per forza abbia legami con la realtà, nel suo essere uno spazio di libertà. Nel momento in cui però il gioco viene educato e inserito all'interno di luoghi finalizzati allo svolgimento di curricula formativi per l'apprendimento di specifiche abilità, esso non è più un modo per sperimentare ed esplorare liberamente se stessi nello spazio e nelle relazioni ma diventa solo un simulacro di quel gioco. LE CULTURE DEGLI ADULTI: Con il termine culture degli adulti si vuole indicare quell'insieme di significati, di valori, di pratiche e di rappresentazioni condivisi dagli adulti rispetto all'infanzia che influenza ciò che essi vedono e non vedono dei bambini. Non si tratta di qualcosa di precostituito, ma di qualcosa che viene continuamente costruito e ricostruito collettivamente dagli adulti anche insieme ai bambini. Si adotta quindi un'accezione dinamica di culture come processi in cui tuttavia esistono elementi durevoli che permangono nel tempo e diventano sapere condiviso sull'infanzia con un potere condizionante sulle stesse pratiche degli attori sociali. Si parla inoltre di cultura al plurale non tanto per indicarne l'aspetto numerico ma per evitare visioni essenzialiste, perché non esiste una categoria universale di adulti, come non ne esiste una di bambino. Il termine culture include infatti le differenze interne alla categoria adulti che si formano anche in relazione agli spazi e alle organizzazioni per l'infanzia in cui gli adulti esercitano la loro adultità. e nei luoghi per l'infanzia, infatti, che la adultità si delinea con maggiore chiarezza. Il rapporto tra differenti gruppi d'età viene costruito in maniera dicotomica: se all'infanzia vengono così ricondotte caratteristiche di immaturità, incompetenza, incompletezza e dipendenza, agli adulti si riconoscono specularmente caratteristiche e di maturità, competenza, completezza e indipendenza. Il rapporto è cioè letto all'interno del paradigma della socializzazione, secondo il quale i bambini devono essere socializzati da figure adulte, membri competenti in quanto già socializzati ai valori e alle norme di una di determinata società. LO SGUARDO DEGLI ADULTI: Lo sguardo adulto nei confronti dei bambini è spesso uno sguardo oggettivante, che prende distanza, che li osserva come oggetti di studio, in quanto ancora in trasformazione, da comprendere per poterli meglio controllare o come spesso viene detto guidare. Riconoscere il coinvolgimento dello sguardo significa riconoscere il legame esistente tra chi guarda, gli adulti, e che si trova a essere osservato, i giovani, significa comprendere che essi non sono separati dal mondo degli adulti ma sono persone su cui un discorso adultocentrico ha costruito una rappresentazione di individui incerti, instabili, immaturi, problematici e pericolosi. L'adolescenza è importante perché ha forti legami con l'infanzia poiché entrambe vengono costruite per negazione, attraverso il confronto con l'età adulta, all'interno di una visione adulto centrica della società. L'adolescenza viene spesso descritta con una fase che necessariamente si attraversa, essa è quindi inserita all'interno di una visione fasica della vita secondo la quale lo sviluppo è un processo consequenziale: si passa una fase successiva abbandonando quella precedente secondo un ordine prestabilito. Tale rappresentazione vede la crescita come una progressione, anche in termini valoriali virgola in cui l'infanzia è situata al livello più basso, seguita dall'adolescenza per poi giungere all'apice della maturazione riconosciuta nell'età adulta. Dal punto di vista sociologico l'obiettivo è quello di de naturalizzare tali concetti, ripercorrerne le origini e relativizzarne i presupposti. Un'interpretazione dello sviluppo in termini stadiali evolutivi non è infatti neutra ma è implicitamente funzionale al mantenimento di una gerarchia tra adulti e bambini all'interno dell'ordine generazionale della società. Se l'adolescenza è una fase della vita caratterizzata da incertezza, instabilità, immaturità e irresponsabilità da cui si esce una volta entrati nella fase dell'età adulta, gli adulti risultano essere in positivo quello che gli adolescenti non sono e cioè sicuri, stabili, maturi e responsabili. Attributi che in maniera così netta ed esclusiva non sono riscontrabili nelle esperienze di nessuno adulto che a momenti di instabilità, può vivere periodi di incertezza e di profonda crisi senza che per questo se ne debba parlare come di una persona regredita alla fase adolescenziale. Al contrario, una rappresentazione processuale della crescita che si riferisce a una visione sincronica, ciclica e ritmica del tempo permetterebbe di tenere più aperte e in comunicazione le fasi di passaggio da un'età all'altra. Così non si vedrebbe più l'adolescenza come una fase che si chiude quando si diventa adulti, ma un processo mai concluso che permane nella sua criticità lungo tutta la vita di ogni persona. LA SOCIETÀ DELL’INCERTEZZA E DEL RISCHIO: Pur nelle differenze esistenti tra le varie culture adulte, ciò che rimane costante e la collocazione del bambino in una posizione subalterna poiché egli è visto come dipendente e bisognoso di attenzioni. sembra prevalere nel senso comune diffuso delle istituzioni e della sfera pubblica una visione deficitaria del bambino che ha bisogni tra i più svariati, tra cui quello di accudimento, di apprendimento, di educazione e di gioco. La risposta a questi bisogni però il bambino non sembra doverla trovare in se stesso o nel gruppo dei pari, bensì in un adulto o in un gruppo di adulti formati, specializzati e preposti a rispondere a quel particolare bisogno e che sanno per lui qual è il suo bene. Nella relazione tra servizi per l'infanzia e infanzia sembra che gli uni abbiano offerto la giustificazione per l'esistenza dell'altra. Da una parte i servizi hanno costruito una loro immagine come insieme di provvedimenti tecnici e disciplinari riguardanti regolazione, sorveglianza e normalizzazione che ha contribuito alla costruzione di una rappresentazione del bambino come bisognoso; dall'altra le rappresentazioni circolanti del bambino come vulnerabile o in stato di necessità, alternativamente come minaccia per l'ordine sociale o come bene prezioso su cui investire, hanno offerto la giustificazione per una tale strutturazione dei servizi. Il concetto di bisogno stesso è un costrutto culturale che nasconde al suo interno un non esplicitato sistema valoriale che viene dato per scontato. Il passaggio a una società cosiddetta post moderna ha avuto il doppio effetto di aumentare da un lato le conoscenze, le opportunità e i margini di autonomia dei soggetti liberati dalle maglie della tradizione e dalla perdita di fiducia nelle istituzioni che avevano svolto una funzione egemonica e di guida nella società e dall'altro senso di incertezza. La diffusione di informazioni e di conoscenze accresce contestualmente al senso di libertà di scelta anche la percezione del rischio. Il rischio diventa qualcosa con cui cittadini devono fare i conti continuamente data la costante esposizione alle nuove opportunità che la trasformazione globale della società nell'ordine sociale prestabilito da altri. In questo senso le lacrime di un bambino possono rafforzare o eliminare una proibizione di un adulto, ma in entrambi i casi possono essere lette come una forma di resistenza alla volontà altrui. IL TEMPO DEI BAMBINI: Il tempo viene nelle nostre società percepito come una risorsa limitata, oggetto di contese e di accordi, rubato e donato, diviso e condiviso. In questo difficile negoziazione dei tempi, i bambini non vengono mai però interpellati, essi sono il problema che i genitori divisi tra più impegni tra sentimenti contraddittori devono risolvere. Da una parte i genitori sono vittime di un'organizzazione del tempo per i propri figli tutta a carico loro, dall'altra vengono colpevolizzati perché non sanno più passare del tempo con i loro figli e demanderebbero ad altre figure adulte la propria responsabilità educativa e di cura. Quello che però mediaticamente ha maggiore risalto è il tempo per i bambini e non il tempo dei bambini. Il tempo dei bambini e il loro tempo il tempo per sé in cui essi scelgono autonomamente cosa fare e come farlo; il tempo per i bambini invece è un tempo dedicato a loro da altri. La prima concezione mette i bambini in una condizione di autonomia e ne riconosce una piena soggettività, la seconda le colloca in una posizione subordinata e in una condizione di subalternità virgola non potendo essi partecipare alle decisioni che li riguardano. Lo studio della vita quotidiana dei bambini, incentivato dalla progressiva diffusione dei nuovi studi sociali dell'infanzia, ha fatto scoprire che non solo il tempo scolastico ma anche quello extra scolastico è fortemente strutturato e regolamentato. stessa considerazione può essere fatta per le attività non formali che coinvolgono i bambini a casa. I bambini non subiscono però sempre passivamente queste regole. Molti resoconti di ricerca rivelano che esse sono oggetto di continua negoziazione, più o meno conflittuale, con gli adulti. Non si tratta di strategie, ma di tattiche attraverso cui essi oppongono una resistenza alle richieste degli adulti. La sociologia dell'infanzia vuole far emergere come quest'organizzazione, seppur spesso creata per il bene dei bambini, sia di natura adultocentrica e basata quindi sulle esigenze e sui tempi degli adulti, i quali non sempre coincidono con quelli dei bambini. BAMBINI E SPAZIO URBANO: Vi è sempre più una passività dei bambini rispetto alla libertà di decidere come usare lo spazio e di muoversi in autonomia. Per questo aspetto si parla di scomparsa dei bambini dall'orizzonte visivo della città, in quanto non passano più il loro tempo extrascolastico per le strade da soli o in gruppo. I bambini non sono però scomparsi dalla città, semplicemente non sono più visibili come un tempo, ma continuano ad abitarla in un regime di spazialità limitata, inseriti in luoghi deputati al soddisfacimento dei loro bisogni, spesso distinti per età. Raramente essi fuoriescono liberamente da questi luoghi e virgola quando succede, non a caso viene notato con preoccupazione o con entusiasmo a seconda che si sostenga la: - Soluzione privata della difesa: In cui l'adulto, di fronte a una rappresentazione della città come ambiente sempre più rischioso per i più piccoli per l’aumentato traffico automobilistico, la riduzione di aree verdi e di spazi non edificati e il pericolo dello sconosciuto, adotta una soluzione improntata alla difesa gestita dal singolo. - Soluzione sociale della partecipazione: In cui l’adulto lavora per un cambiamento collettivo e pubblico della città improntato al raggiungimento della felicità dei cittadini e alla qualità della vita. Queste due visioni convivono all'interno del rapporto che i genitori hanno con lo spazio urbano. Se da una parte innegabile la tendenza progressiva a restringere lo spazio di un'autonoma partecipazione dei bambini in città, si deve dire però che anche i bambini assumono talvolta posizione ambivalenti. I bambini vivono insieme agli adulti e per quanto essi si impegnano a tenerli lontano dal mondo dei grandi per preservarne la supposta spensieratezza, essi vi entrano comunque in contatto. Non deve quindi stupire che i bambini possano condividere le stesse paure degli adulti; questa è semmai anzi un'espressione di partecipazione attiva al mondo che li circonda. All'interno dell'infanzia un'altra distinzione importante da fare è tra i luoghi per bambini e i luoghi dei bambini. I luoghi per i bambini sono gli ambienti creati e disegnati per loro dagli adulti. I luoghi dei bambini sono invece quelli a cui essi stessi attribuiscono un significato, anche emotivo, e talvolta anche un’identità. Sono spazi che spesso gli adulti non notano e non considerano degni di interesse, che possono essere al di fuori dei luoghi per l'infanzia o ritagliati al loro interno dai bambini. Sono spesso luoghi, inoltre, che si trovano ai margini o lontano dallo sguardo adulto, a dimostrazione che affinché le culture dei bambini possano accadere ed esprimersi liberamente l'influenza adulta deve essere minore. I luoghi dei bambini sono quindi l'espressione della loro attorialità sociale culturale ed una relazione dialettica con lo spazio che, per quanto sotterranea furtiva, va comunque riconosciuta affinché possa sempre più avere luogo. BAMBINI E TECNOLOGIA: Intorno al rapporto dei bambini con i media si sono consolidati due opposti discorsi: - Quello che ne esaspera il rischio: I messaggi principali che la cultura popolare diffonde, sostenuta dai pareri degli esperti sono quella televisione e la pubblicità ammazzano la fantasia dei bambini e che le relazioni tra pari attraverso i social network impoveriscono la qualità di questi incontri e la capacità di avere relazione attraverso il gioco e la fantasia. Per quanto riguarda i nuovi media, i discorsi allarmistici sottolineano la pericolosità della rete perché durante la navigazione, non essendo controllata, esporrebbe i bambini da una parte a contenuti illegali o dannosi e dall'altra a incontri potenzialmente non sicuri con il pericolo di adescamenti nel mondo virtuale e reale. Tutte queste preoccupazioni sembrano essere giustificate da una visione deficitaria dei bambini come vittime inermi di fronte ai messaggi subliminali delle pubblicità e al potere persuasivo dei media o come esseri incapaci di distinguere la finzione dalla realtà. - Quello che ne celebra le potenzialità e i benefici: Molto meno diffuso, è quello che evidenzia al contrario la valenza positiva delle nuove tecnologie, anche per il loro potenziale educativo e per il sostegno all'apprendimento. I suoi sostenitori propongono svariate letture ottimistiche sottolineando che si tratta di strumenti in grado di accrescere il livello di partecipazione sociale e anche politico dei bambini; essendo interattivi, tali strumenti richiedono infatti un coinvolgimento attivo e non una ricezione passiva come la maggior parte dei vecchi media, permettendo ai bambini di far sentire la loro voce e di creare comunità virtuali tra pari con minori ingerenze da parte degli adulti. Sulla base degli studi che riconoscono una competenza mediatica e tecnologica ai bambini, il continuo richiamo fatto da essi ai cartoni animati potrebbe essere interpretato non solo come il bisogno di un tempo di passività e riposo ma anche di nuove modalità espressive che comprendano tecnologie e linguaggi più stratificati di quelli che il gioco della ludoteca sembra loro proporre. Riconoscere l'esistenza di un mondo televisivo e tecnologico dei bambini con cui essi entrano in relazione attivamente e con competenza non deve far cadere nell'estremo opposto, dipingendoli come dei super utenti dotati di una sorta di saggezza mediatica impermeabili all'influenza della televisione. Il loro essere attivi partecipanti al processo di costruzione sociale dai significato non deve essere confuso con l’agency o con la convinzione che siano dotati di potere sociale o di piena autonomia. Non si deve invero perdere mai di vista il sistema di condizionamenti politici, economici, sociali e culturali in cui bambini, pur dotati di capacità e competenze, si devono muovere. I CONSUMI NEL RAPPORTO ADULTO-BAMBINO: Le relazioni adulto-bambino non sono statiche ma quotidianamente costruite e ricostruite dagli attori sociali: bambini e adulti. Esse possono quindi assumere svariate forme che oscilleranno tra situazioni più vicine alla contrapposizione o più vicina al pacifico accordo. Non tutte le situazioni sono uguali e non sempre le relazioni tra un genitore ai suoi figli saranno caratterizzate in maniera totale dall'uno o dall'altro sentimento. All'interno del panorama familiare i consumi sono un argomento che molto facilmente può generare conflitto e incomprensione tra due opposte aspirazioni, quella educativa del genitore e quella desiderante del bambino. Queste aspirazioni sono rispettivamente espresse giuridicamente dalla responsabilità genitoriale ed al migliore interesse per il minore. La riforma del diritto di famiglia dal 1975 ha sancito la decadenza della podestà maritale e paterna e affermato una paritaria e congiunta responsabilità di entrambi i coniugi anche rispetto ai figli. Tale responsabilità si esplica non solo come dovere giuridico dei genitori di rispondere per gli atti dei propri figli, ma anche come dovere/diritto di curare tutti gli aspetti legati al loro benessere, rispondendo a tutti i loro possibili bisogni materiali, cognitivi, affettivi, sociali e culturali. Il minore si vede a sua volta riconosciuto come soggetto di diritti, anche se nella cultura giuridica la natura dei diritti propri dei genitori e dei figli rimane ancora oggetto di differenti interpretazioni. Se da un lato il genitore ha il diritto di dare un proprio indirizzo all'educazione del figlio, dall'altra anche il figlio al diritto un'educazione conforme alle proprie aspirazioni e inclinazioni naturali. Le responsabilità genitoriali si costituiscono anche nelle quotidiane relazioni familiari e i figli possono avere un ruolo attivo nella definizione di tali responsabilità. Il tema dei consumi sviluppato dall'interno della sfera familiare diventa un campo particolarmente stimolante per ricostruire il concetto di responsabilità genitoriale anche a partire dalla prospettiva dei soggetti destinatari di tale responsabilità, i bambini, e per comprendere quali modelli di infanzia e di genitorialità siano prodotti e riprodotti nelle pratiche di consumo concesse, negate ottenute da parte dei bambini. Nelle scelte dei consumi si esprime da una parte la responsabilità educativa dei genitori, oltre che il loro potere economico, ma allo stesso tempo si aprono negano possibilità per il bambino di concetto di maschilità egemone fa riferimento a un modello di maschilità vincente in un contesto spazio-temporale dato, purché questo legittimi le disparità di potere tra uomini e donne. Le maschilità dominanti, infatti, non sono necessariamente egemoniche perché non è detto che giustifichino le diseguaglianze di genere. Le maschilità egemoniche possono essere plurali o ibride e le maschilità subordinate godono di agency e possono sperimentare gradi diversi di oppressione e riconoscimento anche nel medesimo contesto locale. DEFINIZIONE DI STEREOTIPI DI GENERE: Fare uso di stereotipi è categorizzare e stigmatizzare un gruppo di individui attraverso una generalizzazione delle caratteristiche che si considerano comuni a questo gruppo. Gli stereotipi sono un prodotto culturale che corrisponde all’epoca nella quale si iscrivono. Non sono fissi né immutabili, ma sono persistenti al cambiamento perché si perpetuano attraverso la pratica di attribuire a sé stesse le caratteristiche delineate nello stereotipo. Gli stereotipi si caratterizzano e svolgono una funzione in quanto sono:  Riduttori: Si basano su una semplificazione arbitraria della realtà che sfugge alla conoscenza diretta.  Cristallizzati: Costituiscono una categoria rigida raramente conforme alla realtà, essi possono anche essere mutevoli per permettere una riproduzione e far posto al cambiamento sociale.  Autosufficienti: Servono a risparmiare sulla riflessione e la messa in discussione.  Globalizzanti: Non si prestano a un pensiero rivolto alla soggettività e alla differenziazione.  Ripetitivi: Sono utilizzati e ripresi senza attenzione alle circostanze e alla pluralità del reale.  Valutativi: raramente sono neutri e i loro effetti possono essere difficilmente positivi nella negoziazione dei rapporti sociali di classe, razza e sesso. Gli stereotipi sessuali si basano sul sesso biologico delle persone per spiegare i comportamenti, i tratti di personalità, le competenze ma, anche, i differenti ruoli di donne e uomini nella società. Gli stereotipi sessuali sono resistenti agli attacchi e ai tentativi di superamento poiché essi hanno un potere reale nella costruzione delle rappresentazioni sociali dei soggetti femminili e maschili, come anche dell’idea che maschi e femmine hanno di sé stessi e delle realtà nella quale vivono. Gli stereotipi sessisti sono invece la parte più potente e violenta degli stereotipi sessuali. Generalmente veicolano una concezione negativa delle donne o hanno un intento discriminatorio. EDUCAZIONE E PEDAGOGIA DI GENERE: Con educazione di genere si intende l’insieme dei comportamenti, delle azioni, delle attenzioni messi in atto quotidianamente, in modo più o meno intenzionale, da chi ha responsabilità educativa (genitori e insegnanti) in merito al vissuto di genere, ai ruoli di genere e alle relazioni di genere dei giovani e dei giovanissimi. Laddove l’educazione di genere è pensata, organizzata, concordata, ovvero laddove è ottimale, prevede percorsi costruiti ad hoc sia finalizzati a evitare la cristallizzazione degli stereotipi legati all’identità di genere e ai ruoli di genere; sia rivolti a promuovere la costruzione individuale della persona, riconosciuta nella sua infinita processualità. Secondo la proposta di Gamberi si possono distinguere:  Un’educazione sul genere inteso come oggetto, che fornisce ai discendenti informazioni e contenuti.  Un’educazione al genere, che si concentra sul vissuto, sull’elaborazione personale, sulla decostruzione degli stereotipi.  Un’educazione di genere, che assume un’ottica sessuata, che percepisce la sessuazione dei contenuti culturali e che adotta una metodologia basata sul riconoscimento della differenza sessuale. Con pedagogia di genere si intende la riflessione sull’educazione di genere, condotta da pedagogiste, coordinatrici di servizi educativi, esperti nei processi formativi. La pedagogia di genere si occupa, in particolare, dei seguenti aspetti:  Rilevare i modelli impliciti di bambine e bambini cui fanno riferimento quotidianamente le insegnanti, le educatrici e le famiglie.  Osservare come quei modelli si traducano nella pratica (regole, rinforzi e sanzioni).  Confrontare l’educazione di genere contemporanea con le istanze della tradizione ( che permangono inavvertite sullo sfondo) e con le più recenti acquisizioni sul genere (teoriche ma anche legate a nuovi atteggiamenti sociali).  Studiare i legami tra l’educazione di genere, praticata oggi comunemente, e il mondo globale dell’educazione (le traiettorie e gli obiettivi), al fine di verificarne congruenze e lontananze. DEFINIZIONE DI SOCIALIZZAZIONE E RUOLI DI GENERE: La socializzazione è il processo mediante il quale le aspettative della società vengono insegnate e apprese. La socializzazione di genere è il processo mediante il quale gli attori sociali forniscono elementi al soggetto affinché possa negoziare e consolidare la propria appartenenza, i ruoli e le aspettative di genere. Dalla nascita si viene socializzati in modi differenti in funzione dei significati che i modelli culturali prevalenti costruiscono in funzione del proprio sesso biologico e degli stereotipi ad esso associati: si acquisiscono un genere, un’identità, dei ruoli e si apprendono i comportamenti che, agli occhi della società, corrisponderebbero al nostro sesso. Per ruoli di genere s’intende l’insieme delle aspettative di comportamento associate alla femminilità e alla maschilità. In quanto socialmente costruite, queste aspettative possono mutare nello spazio e nel tempo. Come per altre forme di socializzazione anche per quella di genere contano le molte agenzie di socializzazione come:  La famiglia: La famiglia è l’agenzia di socializzazione primaria ed è qui che si apprendono i primi comportamenti di genere rispetto ai ruoli, ai luoghi di gioco e ai giochi stessi, a fare più o meno capricci, a occuparsi degli altri o a affermare principalmente se stessi. I processi di socializzazione, tuttavia, non sono tutti uguali, e si riscontrano delle differenze tra tipi di famiglie e strati sociali. I genitori e i parenti tendono a incoraggiare le bambine e i bambini a conformarsi ai ruoli associati dalla società al loro sesso di appartenenza, e a scoraggiare ogni comportamento percepito come proprio del genere opposto.  Il gruppo dei pari: Nel momento in cui bambini e bambine iniziano a giocare in compagnia, si mette in evidenza l'esistenza dei confini di genere, per cui i genitori tenderanno a favorire gli incontri con coetanei appartenenti allo stesso sesso. Questo fenomeno si osserva più precocemente nelle bambine che nei bambini, dai 5 anni in poi però sono i maschi a mostrare più marcatamente la preferenza a giocare con appartenente al loro stesso genere. I maschi sono molto più scoraggiati a intraprendere comportamenti ritenuti femminili in quanto non lo siano le femmine rispetto ai comportamenti considerati maschili. Comportarsi “da maschiacci” è sconfinare in uno spazio già riservato ad altri, comportarsi “da femminucce” è scadere da uno status ritenuto superiore. Bambine preferiranno giochi più calmi, cooperando verbalmente e rivolgendosi agli adulti in caso di necessità, mentre i bambini si mostreranno più turbolenti, preferiranno giochi più competitivi, instaurando gerarchia all'interno del gruppo basate su forza e carisma. I rinforzi consistono nell'incoraggiare comportamenti percepiti dalla società come conformi al proprio genere di appartenenza e scoraggiare ciò che è considerato tipico dell'altro. Perciò il comportamento sarà modificato in funzione delle conseguenze: ripetuto se è stato apprezzato attraverso il rinforzo positivo o abbandonato se non ha avuto apprezzamento o è stato scoraggiato.  Altri agenti di socializzazione: Molti degli apprendimenti avvengono per via mediatizzata: televisione, cartoni animati e pubblicità, videogiochi e giochi sono territori di grandi stereotipizzazione, ma lo sono purtroppo anche i libri, i giochi interattivi del PC, i manuali scolastici. Diverse ricerche hanno infatti mostrato quanto questi materiali, molto spesso così fortemente impregnati di sessismo, influenzino i bambini e le bambine, ma soprattutto queste ultime: la mancanza dei modelli di riferimento, la conformità ai ruoli tradizionali, la scelta delle professioni sono alcune delle principali conseguenze. Anche lo sport e, in generale, le attività svolte nel tempo libero sono territori di divisione e rafforzamento delle differenze di genere.  La scuola: Lo sviluppo di cultura infantile nella scuola dell'infanzia contribuisce a rinforzare gli stereotipi veicolati dalla socializzazione di genere familiare, e partecipa alla co- costruzione delle identità di genere. I maschi creano durante la scuola dell'infanzia, gruppi di pari piuttosto netti, marcati dal contatto fisico più forte e conflittuale. Giocano più spesso a inseguirsi, a pallone o fanno la lotta, tutte attività che rafforzano e marcano lo spirito di competizione. Sul piano comunicativo i maschi spesso interrompono chi parla e anche loro si interrompono se non hanno più voglia di comunicare. Le femmine, al contrario, tendono a formare gruppi più piccoli, a prendere poco spazio fisico, a fare giochi simbolici e spesso di imitazione di ruoli di adulti, in particolare materni e familiari. Dal punto di vista comunicativo, le bambine sono in generale più rispettose della parola dell'altro e si arrestano per dare spazio di parola. Attraverso la stigmatizzazione, discriminazione e la categorizzazione che avviene tra pari si rafforza nei confini di genere, tanto che più i bambini e le bambine passano tempo con i loro pari più i loro comportamenti saranno differenziati. Spesso le insegnanti e gli insegnanti partecipano a questa riproduzione inconsciamente, attraverso gesti, parole o comportamenti di rinforzo e condizionamenti che trovano un terreno fertile nell'essere già stati percepiti in famiglia. Il trattamento differenziato delle attitudini e delle competenze dei bambini partecipa al processo di riproduzione delle diseguaglianze sociali. MOVIMENTI REVANSCISTI, ANGRY MAN E ETERONORMATIVITÀ: Con la narrazione della crisi del maschile come esito dell'avanzata femminista, sono nati, soprattutto tra le fasce più deboli della popolazione, una serie di movimenti revanscisti. Questi uomini, definiti angry man, si sentono minacciati dal politicamente corretto e provano rancore contro le donne, contro gli immigrati contro i neri, contro i gay contro le élite urbane Internet è il luogo dove trovano forza e anche in cui si nascondono. In questo contesto, si radica il racconto che tende ad assumere i toni di retoriche nostalgiche, quando non reazionari e sull’esautorazione dell'autorità paterna come una delle principali cause dei disagi sociali contemporanei. La narrazione della società sofferente per i conflitti delle relazioni tra i generi è un racconto appiattito sul presente virgola che ipotizza un passato ideale nel quale sia esistito un unico modello di famiglia: quello tradizionale o borghese. La norma familiare diventa allora la famiglia nucleare con una rigida divisione dei ruoli tra marito (Strumentale) e moglie (affettivo). Il fatto che poi l'aggettivo naturale sia spesso utilizzato come sinonimo di tradizionale, è un ulteriore dispositivo funzionale a costruire il discorso della normalità della famiglia eterosessuale monogamica in contrapposizione a tutte le altre possibili forme di affettività e di famiglia. Questo discorso in Occidente entra anche nel pensiero dei legislatori che fonderanno le norme giuridiche sulla base di modelli che si strutturano intorno ai ruoli e alle funzioni del maschio, bianco eterosessuale, borghese. Attraverso il processo di giuridificazione, il diritto non plasma semplicemente le norme giuridiche secondo assunti eteronormativi ma tende ad ammantare questi assunti di naturalità, proponendoli come normali e dando per scontato che la visione della società che essi propongono sia la sola possibile e reale. Il concetto di eteronormatività indica l'esistenza di un paradigma a fondamento di norme morali, sociali e giuridiche basato sul presupposto che vi sia un orientamento sessuale corretto, quello eterosessuale, che vi sia una coincidenza fra il sesso biologico e il genere e che sussista una naturale necessaria complementarità fra uomo e donna. STORIA DELLA GENDERIZZAZIONE NELL’INFANZIA: Già da qualche anno molti, attrezzi sportivi e della vita quotidiana, prima completamente neutri, hanno iniziato a genderizzare l’estetica. La pinkizzazione, ad esempio, è il processo per cui un prodotto o un servizio si avvale del colore rosa per attrarre il pubblico femminile. Un rinnovamento cromatico che in alcuni casi comprende anche una caratterizzazione formale con linee morbide, curvilinee e una maggiore presenza di decorazioni ed effetti luccicanti. La genderizzazione dei giocattoli segue le esigenze sociali. Secondo la ricerca di Mona Zogai condotta sulle pubblicità dei giocattoli dei grandi magazzini francesi dal 1980 al 2010:  E all'inizio degli anni 90, un periodo che coincide con il successo delle televisioni commerciali e del loro bisogno di differenziare il pubblico ai fini pubblicitari, che la divisione di genere diventa esplicita e gradualmente sempre più connotata; fino ad allora l'associazione tra gioco e genere, benché fosse sempre stata presente, si esprimeva in alcuni casi attraverso immagini che ritraevano i bambini e le bambine impegnati in giochi differenti e con scritte che richiamavano limitazione ai genitori. I primi anni 90, invece, rappresentano il periodo cerniera: inizialmente compare la distinzione di categorie in giochi da bambini e da bambine, poi vengono assegnati ambiti ben distinti che i testi sottolineano e confinano, quindi appaiono i colori, dove il rosa diventa territorio esclusivo della femminilità.  Tuttavia, l'anno che segna la svolta verso l'enfatizzazione dei ruoli di cura femminili nei giochi è il 1945. Il periodo corrisponde allo smantellamento del lavoro di fabbrica delle donne, che durante la guerra avevano sostituito gli uomini impegnati al fronte; la donna va quindi riconfinata nella sfera domestica. I giocattoli vengono quindi progettati per preparare le ragazze a una vita di casa e le attività domestiche sono sempre più raffigurate come appaganti per le donne.  Tale processo arriva alla massima espressione negli anni 60, quando la struttura sociale prevede un modello di famiglia che è funzionale se, al suo interno, presenta una netta divisione di ruoli e di funzioni e produce la figura della donna “Angelo del focolare” e dell'uomo definito breadwinner. non lo soMentre i giocattoli delle ragazze si concentrarono quindi sulla sfera domestica e di cura, i giocattoli dei ragazzi saranno orientati alla preparazione del lavoro nell'economia industriale.  Tale codificazione di genere diminuisce intorno agli anni 70, l'entrata delle donne nel mondo del lavoro, i cambiamenti demografici e la spinta della seconda ondata femminista, produrranno, una sensibilizzazione sulla generalizzazione dei giochi che infatti a metà degli anni 70 tende quasi a scomparire dai cataloghi.  Tuttavia, nel 1984 la deregolamentazione della programmazione televisiva per bambini ha improvvisamente liberato le aziende del giocattolo dei vincoli sugli annunci pubblicitari e il genere di vie non ha variabile fondamentale per la costruzione di target nel mercato dei giocattoli.  La pubblicità neutra, quindi, gradualmente scompare e nel 1995 i giocattoli generalizzati arrivano a rappresentare nuovamente la metà dell'offerta di giochi nei cataloghi. MARKETING TRA GENDERIZZAZIONE E GUSTI PERSONALI: Secondo gli studi effettuati, la categorizzazione di genere dipende sempre dall'alto, senza essere davvero il risultato della domanda dei consumatori, ma è difficile stabilire quanto puoi ciò abbia inciso sulla costruzione del gusto dei consumatori. In letteratura il dibattito intorno alla causalità tra mercato e costruzione del gusto generalizzato si sviluppa su tre punti critici:  Se il marketing dei giocattoli di genere influenza le preferenze o semplicemente riflette i gusti e gli interessi di bambini e bambine.  Se gli effetti della genderizzazione dei giocattoli siano negativi, neutrali o positivi.  Se un ritorno ad un mercato di giochi più neutro possa essere economicamente sostenibile. Da molte ricerche sembra emergere come il marketing rispecchi le preferenze di bambini e bambine, ma sovrapponendosi a categorie a interessi che in qualche modo sono stati costruiti, soprattutto per ciò che riguarda la fascia di età prescolare e per le categorizzazioni maschili. FASHION DOLLS E ACTION FIGURE, PROVE DI MASCHILITÀ: I bambini evitano le Barbie e giocano solo con la versione maschile. Più precisamente, non giocano con le bambole maschili, definite action figure, ma contro di esse, le impugnano non per rappresentare schegge di vita quotidiana, ma per inscenare lotte cruente, battaglie e scontri per ribadire che sono maschi, diversi dalle femmine e a proprio agio nella rappresentazione della violenza fisica. Nella cultura occidentale, i giochi definiti e percepiti come maschili sono associati alla competizione, al movimento, all’esplorazione e pongono spesso enfasi sulla violenza e l’aggressività come carattere di rilievo nella costruzione di una maschilità adeguata. I giochi femminili, viceversa, puntano sull’aspetto fisico, sulla bellezza e sui ruoli e doveri sociali legati alla cura. Le bambole, che ricalcano il modello della Barbie, sono chiamate fashion dolls, a sottolineare il carattere rilevante della dimensione estetica nei processi di socializzazione a una femminilità adeguata. Nelle action figure invece, il termine figure, preceduto dall’aggettivo action, rimanda a una soggettività, attiva, agita, intraprendente, protagonista, una soggettività molto diversa da quella passiva e estetizzata evocata dall’espressione fashion dolls. Come rileva lo studio di Klugman, le differenze tra le fashion dolls e le action figure:  I corpi delle action figure sono sempre più snodati e mobili di quelli delle fashion dolls, le quali, nella versione tradizionale, lo erano solo in corrispondenza delle spalle e dei fianchi. Questo dettaglio ricalca la necessità di riprodurre corpi sessuati corrispondenti alle aspettative di genere.  Le action figure sono più individualizzate, nel senso che hanno corpi, peso, nazionalità, storie e appartenenze differenti, mentre le fashion dolls appaiono tendenzialmente tutte uguali, a eccezione dei colori, dell’outfit e del nome.  Infine, gli accessori contribuiscono a sottolineare il confine simbolicamente invalicabile tra la femminilità fashion e la maschilità action: spazzole, borsette, scarpe con il tacco per la prima, tute mimetiche, spade e armi per la seconda. MASCHILITÀ, CONFINI E SCONFINAMENTI: Quando un bambino o un ragazzino esprime preferenze per accessori o attività codificate dalla società come femminili, la reazione degli adulti è di disorientamento, panico, censura. E la reazione dei coetanei, specie nell'adolescenza, può diventare violenta. L'esistenza di un ordine staticamente dualistico appare, infatti, rassicurante, e le norme implicite sottostanti vengono esplicitate solo nel momento in cui qualcuna, ma soprattutto qualcuno, minacci di romperlo. I confini, infatti, sono attualmente più permeabili per il femminile, mentre la maschilità non prevede sconfinamenti e ibridazioni. La pressione sui bambini è in questo senso precocissima e ancora più vincolante di quello delle bambine perché è in rapporto alle donne e contro le donne che gli uomini si definiscono. Il maschio vincente, quindi, deve essere in primo luogo diverso dalle femmine. Non solo dalle femmine, ma anche dai gay, dalle transessuali e da tutte le maschilità che la società considera perdenti perché non adeguate al modello. l'obbligo sociale al rifiuto del femminile da parte dei maschi nasce come strategia di mantenimento di un ordine di genere nel quale il potere maschile trova legittimazione nell’inferiorizzazione del femminile. Il sessismo non solo permea i rapporti di potere tra donne e uomini, ma contribuisce anche a plasmare implicitamente le gerarchie tra uomini e il dominio dei maschi egemoni sugli altri maschi. Gli altri maschi, gay, transessuali e maschi non aderenti al modello vincente, infatti, valgono meno dei maschi egemoni perché assimilati, nelle rappresentazioni prevalenti, alle femmine. quartiere popolare, con un’alta percentuale di migrazione e di disagio sociale, l’altra, invece, è in un quartiere misto, composto prevalentemente da persone appartenenti alla piccola borghesia e a quello che viene attualmente definito ceto medio; tale scelta è stata improntata, secondo la prospettiva intersezionale, a considerare la classe sociale come variabile rilevante nel processo di ri-genderizzazione. I FOCUS GROUP: Sono una risorsa preziosa per documentare le complesse e mutevoli dinamiche attraverso cui si formano le opinioni, si elaborano e si applicano le norme e i significati propri del gruppo. La loro peculiarità consiste nell’interazione tra i soggetti che permette di far emergere una concatenazione di opinioni e di pensieri non necessariamente consapevoli o già strutturati. Dalla dinamica di gruppo possono risultare nuovi punti di vista e prospettive non valutate a priori; il grande vantaggio dell’interazione, infatti , è quello di riprodurre in modo più realistico il processo che presiede alla formazione delle opinioni. Il primo focus è stato improntato a una modalità esplorativa e poco direttiva, e ha avuto la funzione di comprendere la percezione e la consapevolezza delle insegnanti riguardo ai loro stereotipi. In questo caso si è deciso di partire da uno stimolo scritto per diversi motivi: lo stimolo scritto ha la funzione di rompere il ghiaccio, tutti hanno la stessa possibilità di partecipare e non ci si condiziona reciprocamente. È stato quindi chiesto alle partecipanti di scrivere almeno tre associazioni associate a “maschile” e “femminile”; ognuna, poi, doveva essere scritta su un post-it diverso, in modo da poter procedere alla sistematizzazione per gruppi omogenei sulla lavagna di carta. In generale, si può affermare che, inizialmente, gli atteggiamenti e le opinioni delle partecipanti si siano riferite soprattutto alle proprie esperienze di coppia o familiari, interpretando la maschilità in termini di difetti, mancanze del partner, e accostando la femminilità ai pregi personali. In seguito, la discussione è scivolata sulle bambine e i bambini, a partire dalla loro esperienza professionale. Il secondo focus group ha avuto la funzione di valutare l’efficacia del percorso effettuato e lo sviluppo di una qualche forma di competenza di decostruzione e consapevolezza degli stereotipi di genere. In generale, si ritiene che il percorso abbia portato a un notevole accrescimento della consapevolezza da parte delle insegnanti ma, allo stesso tempo, si è registrato anche un considerevole disagio derivante dalla resistenza che produce in ognuna/o di noi la messa in discussione degli stereotipi di genere. L’ETNOGRAFIA: L’etnografia è una pratica che prevede la presenza sul campo al fine di cogliere il dato per scontato, spesso prodotto da una struttura sociale che si produce nelle pratiche e nei discorsi: per questo motivo nell’osservazione è necessario porre attenzione ai dettagli, prendere sul serio le banalità e osservare la quotidianità fatta di riti e pratiche. Per la ricerca sono state scelte due scuole e , all’interno di ognuna, due classi. Le due scuole appartengono a due quartieri molto differenti: una in una zona periferica di prevalente classe popolare, l’altra in centro con una classe sociale mista ma definibile di ceto medio. Ciascuna ricercatrice ha seguito nel corso di due anni sempre la stessa classe. L’osservazione, infatti, è una tecnica in cui chi fa ricerca si inserisce in modo diretto e per un periodo temporale relativamente lungo in un gruppo sociale perso nel suo ambiente naturale, instaurando un rapporto di interazione personale con i componenti del gruppo, con l’obiettivo di descriverne le azioni e di comprenderne le motivazioni, mediante un approccio empatico. L’osservazione prevede diversi momenti consequenziali che si possono così riassumere:  Prima fase: è l’osservazione descrittiva, una descrizione ampia del contesto che si vuole osservare, nella quale la ricchezza di particolari viene sacrificata a vantaggio di una visione d’insieme.  Seconda fase: è l’osservazione focalizzata, una descrizione più specifica e dettagliata, che si basa sulla scelta di chi conduce l’etnografia di approfondire un particolare tema.  Terza fase: è l’osservazione strutturata, realizzata quando diviene necessario rilevare la frequenza dei comportamenti, magari anche per poi analizzare i risultati ricorrendo a procedure statistiche. Per operare in questa terza fase è necessario costruire una griglia di osservazione, frutto del confronto tra i prodotti delle prime due fasi e la letteratura teorica di riferimento. Per fare una buona etnografia occorre prendere appunti in modo metodico e continuativo, generalmente gli etnografi scrivono anche un diario di ricerca, contenente appunti, promemoria e soprattutto note di campo. Nello scrivere le note etnografiche è fondamentale preservare la variazione linguistica. Per questo è necessario non ridurre la variabilità linguistica e trascrivere fedelmente le parole usate dagli attori e dalle attrici per descrivere, classificare, commentare, giustificare un evento. Inoltre, negli appunti occorre prestare attenzione alle definizioni, descrivere le pratiche sociali di base quotidiane e i microeventi. I DISEGNI E GLI ALTRI STIMOLI: Durante la fase di osservazione focalizzata, si è deciso di somministrare, alle bambine e bambini, diversi stimoli. In tutti i testi che si occupano di questi temi appare centrale la questione di tentare di conoscere le bambine e bambini a partire da loro stessi ed il loro modo di raccontare e vedere il mondo che li circonda. Il disegno è perciò stato utilizzato come strumento di co costruzione di conoscenza, una forma di risposta a input che potevano essere liberamente interpretati. Infine, è stato utilizzato il gioco per rintracciare proiezioni e visioni di genere durante le fasi consolidate delle pratiche routinarie che avvengono in classe. In sintesi, gli stimoli che sono stati utilizzati sono:  Il mio gioco preferito – in cui durante l'appello, al posto del nome i bambini dovevano dire il loro gioco preferito.  Test degli orsetti – in cui ai bambini venivano presentate diverse illustrazioni ambigue di cui dovevano riconoscere il genere.  Il mio personaggio preferito – in cui durante l'appello, al posto del loro nome i bambini dovevano dire il loro personaggio preferito.  Cosa farò da grande - in una classe, durante l'appello al posto del nome i bambini dovevano dire la professione che avrebbero voluto fare da grandi; nell'altra classe attraverso il racconto di un disegno svolto da loro sul tema.  “Le femmine hanno, i maschi hanno” - i bambini dovevano svolgere un disegno su di un foglio diviso a metà, da una parte raccontando cosa “le femmine hanno” e dall'altra cosa invece “i maschi hanno”.  Come vi vedo da grande - ai bambini è stato chiesto di disegnarsi e raccontarsi sul tema proposto. RIPRODUZIONE E HABITUS RAPPORTATI ALLA RICERCA: Alla fine degli anni 60 Bourdieu e Passeron pubblicavano “ La riproduzione”, un libro in cui i due autori utilizzavano la metafora del pellicano per alludere alla funzione riproduttiva della scuola. Come il pellicano depone un uovo tutto bianco e ne esce un pellicano che gli somiglia straordinariamente e questo secondo pellicano depone, a sua volta, un nuovo tutto bianco da cui esce un altro pellicano uguale al primo in una catena riproduttiva della specie, così la scuola conserva il patrimonio culturale assicurando la riproduzione. Secondo Bourdieu nella società occidentale moderna la violenza simbolica dei dominanti nei confronti dei dominati si esercita attraverso l'incorporazione di schemi di percezione e valutazione di sé e degli altri, ovvero con la complicità di strutture mentali inconsce, precocemente apprese attraverso ingiunzioni corporee che vengono definite col termine di habitus. Per questo tale violenza è anche definita dolce: il dominante, infatti, non ha bisogno di imporsi con forza poiché un certo ordine gerarchico e accolto come naturale anche dai dominati, attraverso appunto l'incorporazione dell' habitus virgola che si fonda sulla dialettica e descrizione-prescrizione. I sistemi simbolici più potenti sono infatti, quelli che mentre sembrano descrivere una realtà sociale in realtà prescrivono un modo di esistenza. L’habitus risulta perciò l'elemento centrale della riproduzione sociale e culturale in quanto è capace di generare comportamenti regolari e attesi, che condizionano la vita sociale degli individui in relazione alla loro classe di appartenenza. Ovviamente ciò non significa che sia impossibile disfare il genere o che le attrici e gli attori sociali siano privi di Agency ma non è affatto facile assumere un rapporto critico e trasformativo con quelle stesse enorme di cui l'Io è costruito e da cui dipende. In generale si è registrata nell'intervista una specie di frustrazione delle insegnanti rispetto al loro ruolo di educatrici che risulta essere sempre meno supportato da una generazione di genitori, descritta come confusa e poco propensa a rendere autonomi i propri figli, oltre che molto assoggettata al consumismo. Andando a vedere le informazioni raccolte con il questionario e il primo focus group, si evince una forte incorporazione di stereotipi e pregiudizi da parte delle insegnanti. Su alcuni temi le risposte delle insegnanti danno luogo, infatti, a rappresentazione almeno in parte contraddittorie, come se ci fosse una tensione tra le affermazioni di principio legate alle pari opportunità, alle quali si vuole o si ritiene opportuno aderire, e il sentire, che non riesce o non può prendere le distanze dall’etero normatività acquisita e diventata, in un certo senso, corpo. PINKIZZAZIONE RAPPORTATA ALLA RICERCA: Il dato visivo più appariscente nelle classi è la presenza di colori caratterizzanti: il blu e il rosa. Soprattutto il rosa, come colore simbolo della femminilità delle bambine di oggi. Una femminilità pacata, fragile delicata tranquilla, accogliente accudente, stanziale, giovane, capace di cura per sé e per gli altri, attenta all'aspetto esteriore, seduttiva al di là delle intenzioni. Attraente ma non Le pratiche incarnate dai bambini, invece, si sviluppano intorno alle competenze, la produzione di lavoro visibile e la valutazione dei successi individuali. Bambini e bambine costituiscono il loro rapporto con tali rivestimenti sotto l'influenza di una pluralità di agenti di socializzazione, portatori di modelli e di ingiunzioni a volte anche contrastanti. Diversi studi hanno mostrato quanto sia determinante il ruolo della madre l'acquisto di vestiti e la sorveglianza quotidiana dell'aspetto virgola e in generale dell'apparire, è infatti compito quasi esclusivo delle madri, che perciò esercitano l'influenza maggiore sull'apprendimento dei gesti di cura del corpo e sulle pratiche estetiche delle loro figlie. Per i maschi significa familiarizzare con i valori maschili tradizionali come forza, virilità, competitività; le femmine invece devono apprendere gentilezza, sensibilità, bellezza e istinto materno questa socializzazione differenziata e funzionale, dunque, a preparare ciascun individuo ai ruoli adulti. MASCHILITÀ E FEMMINILITÀ VISTE DAI BAMBINI DELLA RICERCA (COME TI VEDI DA GRANDE? CORPO-PROFESSIONE): Il corpo è ciò che lega un individuo al suo ambiente sociale e dunque agli altri. Ciò significa che un individuo cercherà di costruire e adattare caratteristiche comportamenti fisici per farli corrispondere a ruoli e modelli di genere adeguati culturalmente, ovvero relativi a un certo tempo e situati in un certo spazio. In tutte le società sono presenti distinzioni tra maschile e femminile riguardo la corporeità e queste differenze sono costruite secondo diversi schemi valoriali punto la socializzazione passa, infatti, per uno specifico rapporto con il corpo che ciascun individuo cerca di conformare a ciò che percepisce come adeguato. I bambini apprendono il proprio corpo soprattutto nel movimento nello sforzo, come energia e prova di forza. Le bambine lo apprendono allo specchio, guardandosi attraverso lo sguardo altrui e come ambito di giudizio e di valutazione del proprio valore. La società quindi non solo forma la personalità il comportamento, ma influenza anche il modo di vedere il corpo. Per rispondere alla domanda la maggior parte delle bambine ci sono raffigurate simili alle protagoniste dei film Disney, ovvero come principesse belle e magre. Queste sono modelli a sei rilevanti per veicolare il messaggio che essere attraenti e una componente necessaria dell'identità femminile. Gli ideali corporee maschili proposti dei media si costituiscono, invece, intorno ai muscoli e alla prestanza fisica, di solito, infatti, gli eroi hanno un fisico muscoloso e la vita sottile e virgola seppure in misura minore rispetto alle bambine, anche in questo caso influenzano la stima e la valutazione di sé che i bambini hanno. Il genere è anche un fare fa, un addestramento riuscito alle pratiche di genere, e quindi a ciò che la società ritiene opportuno si faccia in funzione del corpo nel quale si è nati, si tradurrà nel tempo in un sentire, che diverrà presto anche un sentirsi. La figura professionale più citata tra i maschi e quella del poliziotto, che rappresenta un modello tradizionale di maschilità action: forte, coraggioso, autorevole, armato come molti degli action figures. Inoltre, si muove all'aperto come fosse il padrone dello spazio pubblico al punto che può fermare il traffico, circondare un edificio o irrompere in un locale e guida macchine veloci, in modo spericolato e a sirene spiegate. ultimo, ma non meno importante, incute timore e può uccidere. Tra le bambine prevale invece in modo netto la figura della ballerina, che rappresenta simbolicamente una femminilità fashion coerente con quella delle dolls con le quali le bambine giocano. La ballerina, immaginata come giovane, bella, preferibilmente bionda e ammirata, è più vicina al polo delle veline che a quello dell’étoile del Teatro alla Scala. Il suo corpo è un corpo al quale aspirare non per le performance straordinarie, ma per l'aspetto esteticamente rilevante. Nel rispondere allo stimolo ” cosa farai da grande?”, inoltre, le proiezioni dei bambini rimandano a una rappresentazione più magica del loro futuro (mago, pirata, principe), mentre le bambine, con un'unica eccezione (fata), si mostrano molto più concrete (cuoca, cameriera). la capacità delle bambine e dei bambini di immaginarsi in una professione futura è fortemente influenzata dalla classe sociale di origine e dei lavori svolti da mamma e papà, ma la classe è relativo capitale sociale sembrano influenzare più lo status connesso alla professione (cameriera vs dottoressa), piuttosto che la capacità di immaginarsi i ruoli difformi dalle aspettative di genere. Il futuro immaginato è quindi un futuro rispettoso dei confini, del resto, anche il mercato del lavoro reale, poiché profondamente incorporato nella società virgola e plasmato dai processi di costruzione sociale ed è femminile del maschile. Uomini e donne possono ormai convivere in molti ambiti del mercato del lavoro purché simbolicamente diversi da riconoscimenti differenziati, quali retribuzioni, mansioni e possibilità di carriera, ma ci sono delle aree estreme, quelle appunto dei cosiddetti lavori da donne e dai lavori da uomini, che la società vorrebbe pure. Il caso o la scelta inducono alcune persone a travalicare questi limiti e la società reagisce per rimettere ordine. La reazione, tuttavia, cambia in base al genere di chi viola le regole. Quando è lui a trasgredire, magari diventando maestro in un nido o di una scuola dell'infanzia eliminazione e molto spesso solo iniziale; quando invece trasgredire e lei, la discriminazione non è solo in ingresso, ma sembra persistere a lungo o comunque rimanere in agguato, puntando su un progressivo e logorante processo di invalidazione. Le bambine e i bambini mostrano dunque di essere già molto competenti rispetto alle regole di genere vigenti nel mondo dei grandi, e le loro proiezioni tendono ad appiattirsi sul campo di possibilità che la società rende pensabile. STEREOTIPI DI GENERE E IMMAGINARI SESSISTI NEI LIBRI SCOLASTICI: Stereotipi di genere e immaginari sessisti si ritrovano ancora oggi nei libri della scuola primaria, su cui i bambini imparano a leggere, a scrivere e soprattutto a crearsi una certa idea e rappresentazione del mondo circostante sempre parziale e di parte, perché veicola certi immaginari e certi schemi di genere non neutrali. In Italia la letteratura basata su quest’ambito è pressoché nulla, importante è però il Polite, letteralmente Pari Opportunità nei LIbri di Testo): un progetto europeo che si è snodato tra il 1998 e il 2001 e che si è posto due obiettivi: - Di ricognizione, confronto e ricerca nei vari paesi partner del progetto, sulla rappresentazione di genere sui libri di testo. Si riscontrò che nonostante le differenze, vi erano delle ricorrenze in tutti i paesi di ricerca, che sono riconducibili alle disparità di genere. - L’attivazione di buone pratiche per modificare la situazione. In questo caso si decise di darsi un codice comune e condiviso, definito come Codice Polite, un codice di autoregolamentazione rivolto agli editori scolastici che conteneva una serie di linee guida elementari affinché i futuri libri di testo fossero finalmente liberi da stereotipi. Il Polite negli anni immediatamente successivi è stato però in realtà messo da parte, per poi tornare attivo circa 4 anni fa. ANALISI QUANTITATIVA: Vi sono però alcuni dati che confermano come ci sia ancora dopo il Polite una condizione sessista nei libri scolastici per l’infanzia:  La percentuale di protagonisti maschi e femmine nelle storie dei libri di testo è differente, il 59% sono uomini o bambini, mentre il 37% sono donne o bambine. Ovvero ogni 10 protagoniste femmine ci sono 16 protagonisti maschi. Vi è pochissima presenza inoltre degli anziani, un 3% di gruppo misto, ovvero di coprotagonisti maschi e femmine e un 1% non identificato, ovvero senza indizi nel testo per capire se la voce narrante fosse maschile o femminile. Quindi non esiste più una completa invisibilità femminile ma esiste comunque una forte predominanza maschile in questi libri e ci sono differenze enormi tra una casa editrice e l’altra, ma nessuna raggiunge la parità tra i due generi, tutti i produttori costruiscono i libri basandosi sul maschile. In alcune case editrici inoltre non sono mai previsti gruppi misti.  La varietà delle professioni attribuite agli uomini e alle donne, ai protagonisti maschili delle storie sono attribuite 50 diverse tipologie professionali tra le quali: re, cavaliere, maestro, ferroviere, marinaio, mago, scrittore, dottore, architetto… Mentre alle protagoniste femminili soltanto 15 tipologie professionali, tra le quali: maestra, seguita da strega, maga, fata, principessa, casalinga… Questi libri lanciano due messaggi diversi a seconda del genere, i maschi si possono costruire l’idea di poter fare tutto quello che vogliono come mestiere, mentre le femmine da quei libri traggono l’informazione che potranno fare pressoché solo la maestra.  Il modo in cui vengono utilizzati gli aggettivi per definire i maschi e le femmine nelle regole d’uso, che fanno sì che alcuni aggettivi, seppur nella grammatica declinabili al maschile e al femminile, nella pratica linguistica vengono usati soltanto o per qualificare i maschi o per qualificare le femmine. Per esempio, il termine “leggiadra” è un aggettivo prettamente femminile, che se attribuito ad un maschio la rendono ridicola. Nei libri scolastici per l’infanzia risulta che gli aggettivi riferiti solo a uomini o bambini maschi sono per esempio “sicuro, coraggioso, serio, orgoglioso…”, gli aggettivi riferiti solo a donne o bambine femmine sono per esempio “antipatica, pettegola, invidiosa, docile, deliziosa, premurosa…” ed infine gli aggettivi riferiti ad entrambi i generi ad esempio “felice, soddisfatto/a, curioso/a, contento/a…. Nell’immaginario comune quindi l’aggettivo che racchiude la categoria maschile è “forte”, mentre quello femminile è “debole”.  Le immagini che accompagnano i testi non fanno che confermare la situazione di disparità tra i sessi che emerge nelle storie, esse sembrano da un lato voler enfatizzare i contenuti stereotipati dei testi e, al tempo stesso, sminuire i contenuti più innovativi. Le incoerenze individuate tra immagine e testo determinano un effetto analogo: quello di sminuire e contrastare i contenuti anticonvenzionali proposti dai testi in merito a figure femminili. Ad esempio se nei testi si narra di una bambina che gioca in camera sua con le bambole, le illustrazioni stereotipano ulteriormente la bambina stessa vestendola di rosa, con i glitter, bionda con un bel sorriso ecc.. Al tempo stesso però ad esempio se nei testi si trova una storia che presenta una protagonista femminile con caratteristiche fuori dall’ordinario, le illustrazioni non riescono a rappresentare queste innovazioni, riportando sempre il cliché della ragazza che sogna il principe azzurro. ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- il proprio figlio come un buon cittadino della società individualizzata e neoliberale. Il buon cittadino nella società contemporanea è un consumatore competente che sa gestire a livello individuale le contraddizioni generate dal rischio e dall'incertezza e che sa mostrare la sua capacità morale attraverso doti quali l'autocontrollo e l'auto sorveglianza. Le madri di figli obesi sono oggetto di mother blame perché non riescono a mantenere il controllo sui confini corporei dei propri figli e risultano devianti sia rispetto al proseguimento delle mete culturali, cioè il corpo sano del buon cittadino, sia rispetto ai mezzi istituzionali, ovvero seguire le norme dettate dalla scienza nutrizionale e veicolate monitorate dal sapere esperto. Anche le madri che adottano uno stile alimentare vegano e vegetariano per i propri figli risultano devianti ma rispetto ai mezzi. Se il loro fine perseguito più o meno consapevolmente, è quello di difendere i confini corporei e dei propri figli, i mezzi che scelgono non sono conformi alla norma alimentare. Il mother blame, è quindi quel senso di colpa utilizzato come strumento di cui la società dispone per costruire la dicotomia tra buone e cattive madri, che usa l'istinto materno come metro analitico e di verifica per stabilire confini dell' interiorizzazione del modello. RAPPRESENTAZIONI DELLE FAMIGLIE CONSIDERATE DEVIANTI, RAPPRESENTATE IN ALCUNI MEDIA TELEVISIVI: I media televisivi, negli ultimi anni, propongono una serie di tecnologie per risanare stili di vita non conformi:  Il documentario Fast Food Baby, per esempio, mostra una serie di famiglie che risultano disfunzionali per diverse ragioni, ma che hanno in comune il fatto di alimentare i figli, già in età precocissima, con cibo spazzatura. L’introduzione alterna una carrellata delle cattive abitudini alimentari di queste famiglie, alle immagini dei capricci dei bambini con brani di interviste ai genitori che dichiarano di aver perso il controllo della situazione. La consapevolezza della loro “incompetenza” spinge i genitori a rivolgersi a un sapere esperto nella speranza di trovare aiuto e supporto per la gestione del problema, che in tutti i casi è la capacità dei genitori di “dire no” ai figli: - Nel primo caso perché la madre, secondo la narrazione messa in scena, avvenente e molto dedita alla cura del suo aspetto fisico, non presta abbastanza attenzione all’alimentazione dei suoi familiari. - Il secondo caso rappresenta la situazione contraria: a divenire disfunzionale è il “troppo amore” di entrambi i genitori, le quali sembra non riescano ancora a negare nulla al figlio. - La terza situazione invece mostra una giovane mamma, del tutto incompetente. In questo ultimo caso, l’assenza della famiglia è simboleggiata dall’assenza della tavola: il pasto, composto unicamente da cibo ordinato telefonicamente in fast food, è consumato sul divano. In tutti e tre i casi l’incompetenza genitoriale, narrata dal sapere esperto psico-divulgativo di matrice psicoanalitica come mancanza di un contenimento morale funzionale al confinamento e alla limitazione, è messa in scena con l’accesso diretto dei figli ai depositi di cibo spazzatura. Il sapere esperto interviene nella rieducazione nutrizionistica ma anche in quella relazionale. Le sessioni di educazione alimentare sono rivolte sia ai bambini che agli adulti ai quali, tuttavia, sono applicate le stesse modalità pedagogiche infantilizzanti.  La stessa modalità di rieducazione alimentare infantilizzante si trova nel programma Jamie’s Mistery of Food, in cui un noto conduttore britannico si propone di sanare le abitudini alimentari della classe operaia. Il messaggio morale veicolato anche da questa trasmissione è che nella società delle incertezze del rischio il soggetto debba farsi carico della responsabilità della sua salute attraverso le giuste scelte nei consumi. Tuttavia, alcune categorie sociali non possiedono le giuste competenze per riuscirci e per questo devono essere supportate con quelle tecniche del sé di cui protagonista del programma si fa portatore. L'azione di entrare nella famiglia, sedendosi a tavola insieme ai suoi membri e giudicando il cibo che abitualmente utilizzano, risulta un dispositivo simbolico assai potente punto il posto familiare e il tavolo da pranzo sono simboli evocativi della famiglia stessa. La mancanza della tavola, le scorrette pratiche alimentari o le errate simmetrie tra i membri che si riscontrano durante i pasti virgola di vengono perciò rappresentazioni di disfunzionalità familiare.  La trasmissione SOS tata è un format ascrivibile al sotto genere di trasformazione delle relazioni tra genitori e figli. Questi format di trasformazione, o di makeover, attraverso il risanamento di soggetti devianti, mostrano le tecnologie di disciplinamento, Offre interventi per coloro che sono fuori dalla norma o che hanno bisogno di automiglioramento. Lo schema di molti format di makeover si struttura in: - Una fase di pre-trasformazione in cui viene ispezionata la vita e la casa dei protagonisti. - Una fase di diagnosi, con la proposta di una serie di regole. - Una fase in cui vengono messe alla prova. - Una fase in cui avviene la valutazione finale della trasformazione. anche in questo format, la tavola appare uno dei simboli centrali per mettere in scena le disposizioni pedagogiche sulla famiglia. Spesso i modi in cui la famiglia dovrebbe stare e interagire a tavola, come anche le norme alimentari, diventano la base su cui si costruisce la narrazione di risanamento della salute familiare.  In Tesoro salviamo i ragazzi, il ricercatore-chef Marco bianchi entra nelle case di bambini obesi per aiutare le famiglie a risolvere il problema. Come sempre nei format makeover, l'esperto inizialmente osserva a distanza gli errori educativi, dopo di che fissa degli obiettivi che dovranno essere eseguiti e valuta i risultati raggiunti. Il richiamo alle responsabilità genitoriali avviene narrando i danni che tali condotte producono e, di conseguenza, come potrà diventare il figlio da adulto se non cambierà stile di vita; una tecnologia quindi che reifica la prospettiva dei bambini come fattore di rischio per il benessere collettivo futuro. I genitori, richiamati all'ordine, si pongono in atteggiamenti e in posture che esprimono un profondo senso di colpa. Nei format che riguardano le persone sovrappeso, l'equazione perdita di controllo= corpo strabordante risulta molto chiara e definita punto il presupposto è che il corpo magro non rappresenti solo la buona salute ma anche una serie di virtù quali il controllo e la buona cittadinanza.  La rieducazione agli stili di consumo alimentare deve riguardare anche la famiglia. Da un lato, infatti, esiste un forte legame tra stili di vita, classe sociale e famiglia: il gusto è parte del capitale culturale che si eredita dalla famiglia e contribuisce a plasmare il corpo di ogni classe. Dall'altro lato, come è stato detto, il cibo, le abitudini e rituali sulla sua condivisione rappresentano il fondamento della dimensione simbolica familiare e uno dei contesti privilegiati di pratiche attraverso le quali si fa famiglia. Nei makeover di dimagrimento incentrati sui ragazzi e le loro famiglie, come in Adolescenti XXL, compare spesso la colpevolizzazione di classe e di genere secondo la prospettiva del mother blame, la figura presa di mira da questo tipo di trasmissioni è la madre, con una continua enfasi sulla responsabilità materna per il lavoro di cura e alimentazione e sul suo ruolo simbolico di portatrice dei valori morali della nazione: I personaggi femminili principali sono solitamente definiti per il loro ruolo di madri, mentre i protagonisti maschili sono definiti sulla base delle loro occupazioni. Quasi sempre partecipanti a questi format sono a famiglie appartenenti alle classi popolari.  Anche lo specifico set di criteri di valutazione dell'adeguatezza materna è divenuto oggetto di particolare format televisivi. Nella trasmissione 4 Mamme le partecipanti gareggiano infatti per il titolo di migliore mamma. Lo svolgimento di tale competizione prevede che le partecipanti si spiino e si commentino durante l'esecuzione delle attività quotidiane orientate alla cura del figlio, con l'analisi delle modalità di attuazione di tre nuclei fondamentali del rapporto madre-bambino: la “pappa”, la “nanna” ed il gioco. Il punteggio raggiunto, tuttavia, può essere capovolto dal giudizio del sapere esperto che interviene con la votazione finale, che durante la trasmissione segue ogni azione delle mamme, sanzionando i comportamenti scorretti. LA RAPPRESENTAZIONE DELLA MASCHILITÀ NEI MEDIA: La paternità nei media è sempre rimasta un tema in secondo piano, la costruzione del maschio come protagonista della sfera pubblica lo rende invisibile nelle relazioni domestiche e intime. Almeno fino agli anni 90 l’uomo viene quindi presentato come breadwinner, come eroe e come guerriero e la donna come madre accudente. Il padre risulta sempre quindi una figura dura, anaffettivi e autoritari mentre la madre incarna l’amore e la dolcezza. I film che iniziano a rappresentare una qualche affettività paterna raffigurano dei padri tipici lavoratori molto impegnati fuori casa che improvvisamente si trova a dover gestire i figli perché la madre per un qualsiasi motivo se ne va. Raffigurano quindi una parabola di addestramento alla cura, in cui i padri con difficoltà vengono riaddestrati a prendersi cura con i figli. Dal momento in cui il padre viene raffigurato con un ruolo affettivo, si inizia ad instaurare all’interno della società la narrazione dell’assenza dei padri che rappresentano l’ordine e la disciplina. In questo stesso periodo inizia ad instaurarsi l’idea di un collegamento tra l’assenza di questa tipologia di padri con la devianza giovanile. Inoltre, però il padre è considerato realmente affettivo soltanto in mancanza della figura materna. Vi è anche un filone di film che ritraggono padri separati che fuori dalle mura domestiche ne fanno di tutti i colori, a rappresentare che l’uomo non è controllabile, al contrario della donna, rinchiusa nelle mura domestiche. RESISTENZA AL CAMBIAMENTO DEI PADRI: La resistenza al cambiamento della figura paterna dipende principalmente da tre differenti categorie di fattori:  Fattori strutturali: dovuti al tipo di welfare, ad esempio la mancanza di congedi dal lavoro per la paternità rappresentata anche dalla stigmatizzazione dell’uomo che preferisce stare