Scarica Prendere vita nella stanza d'analisi e più Appunti in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! OGDEN – PRENDERE VITA NELLA STANZA D’ANALISI La tematica centrale di questo libro ruota attorno ad una domanda ben precisa: “come vorresti essere da grande?”: è una domanda che riguarda gli aspetti essenziali del proprio stato di essere e divenire. Il bisogno di crescere è una forza che muta costantemente dentro di noi e ci porta ad affrontare muri che, una volta abbattuti, ci aiutano a lavorare sulla profondità di chi siamo. Diventare grandi è un lavoro complicato, che viene facilitato se accompagnati da genitori che sostengono il nostro sviluppo psichico. L'essere umano tende ad aggrapparsi agli aspetti distruttivi di chi lo circonda, oltre che di sé stesso ed è disturbante riconoscerlo. Mentre affrontiamo questi muri sperimentiamo una serie di emozioni contrastanti, in particolar modo nell’abbandonare il ruolo di bambini e nel rivendicare il nostro posto da adulti della nostra generazione che, ad oggi, diversamente dalle precedenti, prende in considerazione anche forme d’arte mai concepite prima, nuove concezioni di giustizia, uguaglianza, democrazia ecc. Il voler crescere è vincolato dalle circostanze in cui si è nati che sono, contemporaneamente, inevitabili e casuali; il caso gioca un ruolo fondamentale nel determinare i limiti del tipo di persona che potremmo essere in grado di immaginare. Non aver vissuto una certa fase dello sviluppo, distorce o rende impossibili, le successive esperienze di crescita. I pazienti che non hanno vissuto una crescita sana, presentano, nella psiche e nel soma, elementi che vengono visti come “corpi sepolti”, cioè come parti di sé “esiliate dalla parte cosciente ed è importante che l’analista rispetti le difese del paziente, perché minarle significherebbe sminuire quei luoghi della personalità che vanno combattuti per poter “prendere vita”. Quando l’analisi va bene può capitare che il paziente provi una sorta di tristezza rendendosi conto che non tutti i “corpi sepolti” possono essere reincorporati. In casi estremi il paziente può anche non avere “corpi morti” da dissotterrare e riportare in vita perché sono già nati morti, ad esempio si riscontra in pazienti che sono stati fortemente trascurati o che hanno subito abusi. “Crescere” quando si è già adulti è molto più difficile che farlo da fanciulli, perché è più una questione interna, tanto che si è sempre più soli nel percepire il cambiamento. CAPITOLO 1 – psicoanalisi ontologica o “come vorresti essere da grande?” Winnicott è molto attaccato al concetto di crescita, di vita, tanto che una delle frasi del suo diario personale riporta “Oh Dio, possa io essere vivo quando morirò!”. Winnicott effettuava giri nei reparti dell’ospedale di Paddington Green e rivolgeva ad ogni adolescente la domanda “come vorresti essere da grande?” ed è la domanda che ognuno di noi si pone fino al minuto prima di morire. Chi vogliamo diventare? Cosa ci impedisce di essere la persona che vorremmo essere? Sono proprio queste domande a portarci a cercare di intraprendere un percorso di terapia, anche inconsapevolmente. Negli ultimi settant’anni si è verificato un passaggio importante nell’ambito della psicanalisi, cioè il passaggio dalla psicoanalisi epistemologica (relativa al conoscere e comprendere) a quella ontologica (relativa all’essere e al divenire). I precursori della prima possono considerarsi Freud e la Klein, mentre Bion e Winnicott sono più improntati per la seconda. Entrambe, è importante sapere, che non esistono in forma pura: la psicoanalisi epistemologica conduce alla comprensione del mondo inconscio e interno del paziente e delle sue relazioni con il mondo esterno e queste comprensioni permettono di organizzare la propria esperienza in modo significativo per affrontare le difficoltà che si presentano e per ottenere un cambiamento psichico; l’analista ha in compito di interpretare e comunicare al paziente. L'intervento clinico più importante, dal punto di vista epistemologico, è l’interpretazione del transfert: l’analista comunica al paziente come quest’ultimo sta proiettando aspetti della sua fanciullezza sull’altro. Al contrario, la psicoanalisi ontologica ha come obiettivo quello di facilitare gli sforzi del paziente per farlo diventare più pienamente sé stesso. Per capirlo meglio, possiamo rifarci alle parole di Winnicott, che fa una distinzione, per quanto riguarda la metodologia utilizzata dalla Klein nelle sue sedute, quindi l’uso del gioco, tra il gioco come aspetto simbolico che simbolizza il mondo interiore del bambino e l’essere coinvolti nel giocare: l’analisi epistemologica si occupa di arrivare alla comprensione del significato simbolico del gioco; l’essere coinvolti riguarda l’aspetto ontologico. In conclusione, l’aspetto epistemologico porta l’analista ad interpretare ogni aspetto doloroso del paziente, quello ontologico si concentra principalmente sull’accompagnare il paziente in un processo di autocomprensione in modo da aiutarlo a diventare più sé stesso. Winnicott, nel suo saggio sugli oggetti transizionali, utilizza una frase “noi facciamo entrare oggetti diversi-da-me nel modello personale”, intendendo che facciamo tesoro di esperienze che non ci appartengono direttamente e che ci arricchiscono, rendendoci “qualcosa di più” di ciò che eravamo prima di avere quell’esperienza. ANALISI ONTOLOGICA Il contributo più significativo di Winnicott all’analisi ontologica è il concetto di “oggetti e fenomeni transizionali” che ricordiamo essere “sostituti” alla madre, nonché paradossi che aiutano il bambino nel distacco, ma allo stesso tempo lo confortano come farebbe la madre. … Proprio come Winnicott, anche Bion sposta il focus dell’analisi dalla comprensione dei sogni all’esperienza del sognare, che per l’autore significa fare un lavoro psicologico inconscio; lui sostiene che, in quanto psicanalisti, dobbiamo liberarci dal desiderio di capire e impegnarci nel desiderio di essere, con il paziente. In breve, l’essere ha soppiantato il comprendere. Anche la concezione di Rêverie (sogno della veglia) di Bion riflette la sua inclinazione ontologica: è uno stato dell’essere che comporta il rendersi inconsciamente ricettivi all’esperienza di ciò che è così disturbante per il paziente, tanto da permettergli di non “sognare” l’esperienza. Bion parla di “stati dell’essere” anche quando parla di salute psichica e psicopatologia. Ricordiamo che Bion parla di funzione alfa come metafora di trasformazione degli elementi beta in elementi alfa che comprendono elementi dell’essere senza soggetto; gli elementi alfa sono collegati tra loro nel processo di produzione dei pensieri onirici utilizzati nel processo del sogno (cioè l’evento psichico attraverso il quale l’individuo diventa un soggetto che sperimenta il proprio essere). Quando, nelle forme gravi di psicopatologia, la funzione alfa cessa di elaborare le impressioni sensoriali, l’individuo perde la capacità di creare significati e di sperimentarsi come vivo e reale. Inoltre, Bion fa una distinzione tra essere e diventare chi si è davvero come analisti: diventare analista comporta sviluppare uno stile analitico proprio e non adottare una tecnica tramandata dalle precedenti generazioni. PSICOANALISI ONTOLOGICA E TEORIA DELLE RELAZIONI OGGETTUALI Freud, Klein e Fairbairn sono solo alcuni dei teorici delle relazioni oggettuali e per “relazione oggettuale interna inconscia” s’intende il mezzo attraverso il quale avviene il cambiamento psichico e ciò che prende la forma di relazione tra parti scisse e rimosse dell’Io, che, per Fairbairn, sono interiorizzazioni degli aspetti insoddisfacenti della relazione reale con la madre. Una forza motrice per l’individuo è quella di trasformare le relazioni oggettuali insoddisfacenti interiorizzate con la madre, in relazioni soddisfacenti caratterizzate dall’amore verso la madre e dalla sensazione che lei riconosca e accetti il nostro amore. Per la Klein le angosce del paziente derivano dai pericoli che provengono dalle relazioni oggettuali interne fantasmatiche. Le fantasie inconsce (rifacendoci al concetto di pulsione di vita e morte) riguardano ciò che accade all’interno del corpo della madre e queste angosce si manifestano nel transfert e vengono interpretate in modo da aiutare il paziente a questo gli permette di entrare in rapporto con l'oggetto e poterlo usare successivamente. Allo stesso tempo la madre è capace di sopravvivere alla distruzione in quanto persona adulta con emozioni mature e capacità psicologiche proprie e può sopravvivere all'esperienza di essere madre solo di nome (credo che si intenda questo con “distruzione”, l’essere un fallimento, concetto che viene espletato anche nel lavoro dell’analista in rapporto ad alcuni pazienti). La madre non deve soltanto sopravvivere, ma anche comunicare di essere sopravvissuta e lo fa attraverso i gesti di amore continui nei confronti del figlio. In altri termini, la distruzione della madre e la sua sopravvivenza fa sì che il bambino si senta sufficientemente sicuro in modo da sperimentare la madre come utilizzabile e non necessaria, in quanto lei sopravviverà a questa esperienza di divenire utilizzabile; la stessa cosa avviene nel setting analitico: l'analista deve sopravvivere alla distruttività del paziente resistendo alla tentazione del difendersi in modo da non mettere in moto un processo irreversibile che diventa tale se non affrontato in modo premuroso e convincente; il paziente deve essere accompagnato in questo percorso di scoperta così come il bambino viene accompagnato dalla madre. Bisogna prima capire però cosa si intende con la parola distruzione: Winnicott utilizza questo termine con un significato diverso da quello dell'uso comune ma non viene mai spiegato appieno, tanto che l'autore non lo definisce mai; è un termine che acquista sfumature continue man mano che l'opera va avanti e secondo Ogden, il termine distruzione viene utilizzato in maniera elegante per esprimere l'idea che il bambino distrugge la madre senza rabbia e senza intenzione di distruggerla. La distruzione appare nella diade madre bambino perché il bambino si è spinto all'uso dell'oggetto. CAPITOLO 5 Sognare la seduta analitica è uno dei concetti psicoanalitici più complessi. La teoria psicoanalitica e costituita da una serie di metafore che vengono utilizzate per descrivere, e non spiegare, gli eventi della seduta. Il concetto di “sognare la seduta” analitica emerge negli scritti di Bion il quale descrive la percezione del bisogno di convertire l'esperienza razionale conscia in un sogno piuttosto che il contrario. Ogden interpreta queste parole dicendo che, quando l'analista sogna gli eventi della seduta con il paziente, trasforma l'esperienza percepita consciamente in esperienza inconscia. Il concetto di sognare la seduta spesso viene soffocato dall'interpretazione del sogno dell'analista cioè dal bisogno prematuro, dell'analista, di rendere l'inconscio reale attraverso la simbolizzazione verbale. Sognare è un concetto che nel tempo si è distaccato dalla concezione freudiana e che può avvenire sia mentre siamo svegli, sia quando dormiamo: il pensiero onirico permette di vedere l'esperienza simultaneamente da più vertici; sognare contribuisce a risolvere i problemi emotivi poco alla volta senza che ci sia necessariamente una soluzione da raggiungere. La salute psichica è il riflesso del grado in cui una persona è capace di essere coinvolta autenticamente nel sognare la propria esperienza vissuta, cosa che non può avvenire completamente in quanto la persona diventerebbe non umana. Alla base di questi concetti, ancora prima di Freud, nasce il bisogno umano di comprendere sé stessi. In conclusione, sognare è un tentativo di comprendere noi stessi e, se riesce, porta alla crescita psicologica e questo dipende da due fattori: il primo - è il livello di sviluppo della capacità di un individuo di pensare la propria esperienza vissuta; il secondo - è l'aiuto che ogni individuo può ricevere a contenere i pensieri impensabili, trasformandoli in sensazioni e pensieri che egli stesso può essere in grado di pensare autonomamente. Quando un individuo non è capace di sognare un'esperienza vissuta, significa che ci sono aspetti del suo inconscio che sono stati repressi tramite forme radicali di scissione di aspetti del sé come, ad esempio, la dissociazione; reintegrare aspetti scissi del sé è disturbante per l'equilibrio psichico del paziente, può causare anche una frammentazione della mente. Il concetto del sognare da svegli nella stanza d'analisi avviene sotto forma di rêverie dell'analista e del paziente, cioè come una costruzione inconscia di paziente e analista che insieme creano un soggetto chiamato terzo analitico, che è il sognatore delle rêverie, che viene sperimentato da entrambi attraverso le lenti delle proprie soggettività distinte; può capitare che avvengano dei risvegli dal sonno in cui il paziente e l'analista erano immersi nel corso della seduta e sono dovuti al fatto che l'esperienza del sogno era diventata troppo disturbante per poter essere tollerata dalla coppia analitica. Nel caso in cui il paziente non sia completamente in grado di sognare la propria esperienza, si trova in uno stato simile a quello di un terrore notturno dal quale non può essere svegliato, vivendo l'esperienza emotiva disturbante; l'individuo diventa capace di risvegliarsi dal terrore notturno solo quando è diventa capace di sognare la sua esperienza terrorizzante nella seduta analitica. In conclusione, sognare la seduta analitica è un'esperienza creata da paziente ed analista insieme, perché da soli non hanno la capacità di sognare il sogno interrotto che il paziente porta in analisi. La capacità di sognare all'interno della seduta analitica è portata avanti dalla nascita di un terzo analitico inconscio creato dalla coppia analitica e sperimentato separatamente da entrambi. Ogni analista deve trovare il modo di sognare la seduta con il suo paziente, modo che sia unico per loro due, per questo è importante non adottare una tecnica in quanto creerebbe dei limiti impedendo che questo processo si verifichi rendendo la seduta impersonale, oltre che troppo generica: sognare la seduta è qualcosa che bisogna cercare di non ostacolare. CAPITOLO 6 Questo capitolo tratta la concezione della mente in funzione dell’evoluzione nelle ottiche sviluppate da vari autori, tra cui Freud, la Klein, Fairbairn, Winnicott e Bowlby: nello specifico Ogden indaga il passaggio da una concezione della mente come apparato mentale per elaborare l’esperienza a una concezione della mente come processo che si colloca nell’atto stesso del fare esperienza. Studiare le ipotesi dei vari autori costituisce un punto di vista da cui osservare come la mente funziona nelle varie fasi della vita che, a sua volta, dà le basi per capire cosa significa essere umani. Nel concreto, il tema di questo capitolo è il cambiamento radicale del pensiero analitico nei vari autori. FREUD Freud con il concetto di “sentimento oceanico” (termine proposto da Rolland in una lettura del 1927), descrive il primo stato psichico, spiegando che anche quando l’Io si differenzia dal mondo esterno, mantiene comunque un residuo di sentimento oceanico di fondo: “in origine l’Io include tutto e in seguito separa da sé un mondo esterno”; Freud parla di Io senza entrare nel merito del termine, ma piuttosto spiegandone le varie trasformazioni che avvengono nelle fasi dello sviluppo e sostiene che non può nascere oggetto (ciò che sta fuori) senza soggetto (ciò che sta dentro) e che l’Io, sulla base del principio di piacere e di dolore, entra in relazione con l’esterno: è attraverso le sensazioni corporee che l’Io viene alla luce. Ciò che Freud definisce come primi stati della mente serve da sfondo per la sua concezione della formazione ed elaborazione della mente conscia e inconscia: la mente è un apparato mentale che ha la funzione di elaborare l’esperienza corporea generata dalla pulsione, tramite la creazione di rappresentazioni psichiche di questa esperienza. Interno al concetto di mente inconscia in Freud c’è anche il concetto di rimozione: in quanto senza quest’ultima non può esserci l’altra e l’apparato mentale che viene creato in risposta alla pressione istintuale ci protegge da noi stessi, ma protegge anche parti bandite di noi stessi; quindi, ci protegge tendendo a ricordarci gli aspetti di noi che rinneghiamo e chi abbiamo paura di essere. In conclusione, se per Freud, l’obiettivo psicanalitico era rendere l’inconscio conscio, per Ogden è la restituzione sicura al paziente di aspetti di sé che sono stati “sepolti vivi” ma che non sono ancora morti. KLEIN Se per Freud la creazione della mente comincia lentamente, per la Klein comincia con un botto, infatti sostiene che l’Io è presente sin dalla nascita e si trova, fin da subito, a dover affrontare un pressante problema emotivo; la Klein sostiene di dissentire da Freud sul concetto di prima causa dell’angoscia, in quanto lei evidenzia che “la prima causa risiede nella paura dell’annientamento, della morte, che nasce dall’operare della pulsione di morte all’interno dell’organismo”. Il primo problema emotivo affrontato dal bambino deriva dal funzionamento dell’istinto di morte e il primo sviluppo della mente avviene quando l’Io è costretto a diventare attivo in risposta alle angosce suscitate dalla pulsione di morte. Il mondo interno del bambino è il mondo della fantasia legata agli oggetti, cioè la totalità della mente inconscia prende la forma di relazioni oggettuali interne fantasticate: ad esempio, il sentimento di invidia è il legame emotivo principale del bambino con il seno materno, che nutre e che possiede tutto ciò che il bambino desidera; quindi, questo lo rende un oggetto pericoloso da attaccare nella fantasia, perciò deve intraprendere un’azione difensiva, attraverso una scissione del seno in buono e cattivo, cosa che permette al bambino di amare il primo, ma odiare e attaccare il secondo. La Klein sostiene che fin dall’inizio della vita esiste una distinzione tra mente conscia e inconscia spiegando che quest’ultima nella totalità di struttura e contenuto, influenza lo sviluppo sia del pensiero che dei modi di relazionarsi con gli oggetti esterni. Nella concezione kleniana è fondamentale la convinzione che il modo in cui vanno le cose psichicamente quando si è neonati, è dato dalla forza innata della pulsione di morte in rapporto alla pulsione di vita, ma è vero anche il contrario, cioè che se la pulsione di morte è più forte della pulsione di vita, l’Io è più debole e più soggetto alla frammentazione della struttura mentale; inoltre, è importante sottolineare che la Klein non intende l’Io come lo intendeva Freud, ma ne parla come creatore della fantasia inconscia, ma anche come fantasia come rappresentante psichica sia della pulsione di morte, sia delle difese generate dalla paura dell’annientamento che nasce da quest’ultime. FAIRBAIRN Per Fairbairn il problema (o catastrofe) emotivo più complesso che il bambino affronta è lo sperimentare la madre come amorevole e non amorevole e la sopravvivenza psichica e fisica dipendono dalle sue capacità di farvi fronte: questa crisi emotiva è un aspetto universale della prima relazione con la madre, ma l’intensità è diversa a seconda della qualità delle cure materne che il bambino riceve; infatti, il non sentirsi amato, genera in lui sentimenti negativi quali vergogna, privazione ed impotenza. Fairbairn utilizza il termine “Io” per riferirsi sia alla menta conscia/inconscia, sia alla personalità nel suo insieme, compresi gli stati soggettivi dell’individuo. La risposta psichica del neonato al sentirsi non amato riflette l’emergere di una mente creata interiorizzando la parte insoddisfacente della relazione con la madre (l’autore per interiorizzazione intende un cambiamento strutturale della mente del bambino). Con la formazione di una mente inconscia consegue la formazione di una mente conscia e di una barriera di rimozione che regola il contenuto emotivo: Fairbairn vede la rimozione come una funzione inconscia dell’Io come espressione della rabbia del bambino verso la madre insoddisfacente per averlo ridotto ad “impotenza”; quindi, la mente inconscia rimossa si struttura sottoforma di relazioni oggettuali interne di dipendenza tra un aspetto dell’Io/Sé che desidera l’amore di un oggetto eccitante che non ricambierà mai quell’amore e un aspetto dell’Io che cerca continuamente di conquistare l’amore di un oggetto interno che lo rifiuta. Lo sforzo principale è quello di trasformare oggetti interni cattivi in buoni e la soluzione è la formazione di un mondo interno inconscio strutturato da legami di dipendenza tra aspetti scissi dell’Io/Sé. WINNICOTT