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Procedura civile per esame con riforma cartabia, Dispense di Diritto Processuale Civile

Manuale di procedura civile, dispensa aggiornata con la cartaccia per sostenere l'esame in modo integrale

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 28/03/2024

Giuseppc
Giuseppc 🇮🇹

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Scarica Procedura civile per esame con riforma cartabia e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! DIRITTO PROCESSUALE CIVILE: CAP 1: Al diritto processuale spetta di prevedere quanto serve per l’accertamento giudiziario dei diritti e rapporti giuridici che si assumono violati o sottoposti a pericolo di lesione, ed anche l’attuazione degli stessi, rendendone effettiva la tutela. La norma processuale ha natura pubblicistica, in quanto disciplina l’esercizio della giurisdizione, regolando processi che si svolgono davanti ai giudici dello Stato. Tra le fonti interne, al vertice della gerarchia troviamo la costituzione del 48: le disposizioni costituzionali attengono sia a principi generali, sia alle linee fondamentali di organizzazione e di esercizio della giurisdizione: art.24 stabilisce il diritto di azione e di difesa a tutela dei diritti e interessi legittimi; art.25 dispone che nessuno può essere distolto dal giudice prima dell’inizio della controversia; art. 101 e 110 sanciscono l’autonomia e l’indipendenza della magistratura; art.111 stabilisce I principi del giusto processo. Abbiamo poi le fonti comunitarie, che prevalgono sulla legge interna ordinaria con esse contrastanti. Ultimamente il diritto comunitario ha inciso molto investendo gli aspetti anche della cooperazione giudiziaria in materia civile tra gli Stati membri dell’UE. col trattato di Amsterdam del 1997, si provvede a “comunitarizzare” alcuni settori del diritto, tra i quali proprio la cooperazione giudiziaria civile fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie, che può includere l’adozione di misure in tese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamenti degli Stati membri. Inoltre col trattato di Amsterdam si è previsto il passaggio della materia in esame sotto la giurisdizione della corte di giustizia delle comunità europee; ulteriore tappa può considerarsi la carta dei diritti fondamentali dell’UE: sancisce il diritto ad un ricorso effettivo e ad un giudice imparziale, il diritto di ogni soggetto a chi la sua causa sia esaminata equamente pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale. Così come quelle europee, lo stato italiano ha assunto anche obblighi a livello internazionale. Abbiamo poi la legge ordinaria e il decr. legislativo, lo strumento normale di produzione subordinata alla costituzione e alle fonti comunitarie del diritto processuale civile. Esempi sono gli art. 25 cost (principio del giudice naturale precostituito per legge), 108 cost (le norme sull’ordinamento giudiziario e sulla magistratura sono stabilite per legge). Il codice di procedura civile si articola in quattro libri: il primo sulle disposizioni generali del processo civile, il secondo sul processo di cognizione, ordinario e speciale, il terzo sul processo di esecuzione forzata, il quarto sui procedimenti speciali. Il codice unitario del 1865 e vedeva ridotti i poteri del giudice nella fase istruttoria, ma era assai potente nella fase di decisione; dunque il codice del 1940 dovette operare scelte compromissorie, in particolare l’introduzione della figura del giudice istruttore e l’attribuzione all’organo collegiale della funzione di decisione della causa. Il mutamento radicale diede vita ad una controriforma nel 1950 che abolì le preclusioni nel giudizio di primo grado e consentì al collegio la possibilità di controllo immediato sui provvedimenti del giudice. Successivamente il parlamento istituì il giudice unico di primo grado, sopprimendo l’ufficio del pretore e trasferendo le relative funzioni e competenze al tribunale. Negli anni poi ci furono diverse riforme, 2005, 2009, 2011 con cui si inserirono nuovi articoli nel codice, si modificarono articoli preesistenti e si assicurò al processo maggiore efficienza e celerità. Le leggi speciali invece, rappresentano lo strumento normativo per modificare o novellare le leggi dei codici, lo stesso codice civile al libro sesto della tutela dei diritti assume valore di legge ordinaria e quindi di regolazione del processo. Nel settore processuale è molto raro che una norma richiami una consuetudine, ma in alcuni casi le prassi possono esprimere e raccogliere criteri guida di carattere generale utili a favorire la razionalizzazione e il recupero di efficienza del lavoro degli uffici giudiziari. Con l’espressione “diritto vivente” si richiama il fenomeno che si verifica quando l’interpretazione giudiziaria della legge si consolida nel tempo attraverso la formulazione di regole e di principi non scritti ma largamente condivisi che diventano una vera e propria fonte autonoma che si affianca alla legge scritta (es. sono la categoria della giuridica inesistenza dell’atto processuale, il principio dell’apparenza e il principio di 1 autosufficienza del ricorso per cassazione). Il principio iura novit curia attiene all’obbligo di applicazione e di conoscenza delle norme giuridiche da parte del giudice del processo, questo proprio perché il giudice non ha nessun vincolo ai fini della decisione. Laddove ai fini della decisione della causa sorga la necessità di fare applicazione di una norma appartenente ad un ordinamento straniero, il giudice è tenuto a compiere l’ufficio all’accertamento della legge straniera potendo interpellare esperti o istituzioni specializzate. Il principio tempus regit actum impone che al singolo atto del processo si applica la norma processuale vigente nel momento in cui esso viene posto in essere e non la norma sopravvenuta. CAP 2: Ogni ordinamento deve prevedere la possibilità per il cittadino, di cui un diritto sia stato lesionato o violato, di rivolgersi al giudice dello Stato affinché sia accertata la sussistenza della lesione e si ristabilisca il diritto violato. A questo fine è necessario che l’ordinamento appresti uomini ed apparati in grado di svolgere questa fondamentale attività, la funzione di giurisdizione. Su quest’ultima ci sono diverse definizioni (quella che ne ravvisa l’essenza nell’attuazione del diritto soggettivo o quella che pone l’accento sul carattere imparziale della funzione giurisdizionale), tuttavia per definire la giurisdizione si deve tener presente che l’effetto dell’atto giurisdizionale non è mai riferibile ad un soggetto determinato, ma opera sempre come oggettivo concretarsi dell’ordinamento nella sua universalità. In sostanza l’atto giurisdizionale deve essere imputato all’ordinamento giuridico complessivamente considerato e non al giudice in persona. Le funzioni giurisdizionali si distinguono in necessarie (si identificano nella tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi e nell’accertamento e nella repressione dei reati) e non necessarie (possono o non a discrezione del legislatore essere affidate ai giudici). E’ Civile ogni funzione giurisdizionale che non sia penale (preordinata all’accertamento ed alla repressione dei reati) o amministrativa (preordinata alla tutela degli interessi legittimi nei confronti della p.a.). Inoltre il codice di procedura civile e la legge di ogni giurisdizione civile generale e la giurisdizione civile regolarmente viene esercitata da giudici onorari, ma può anche essere esercitata da giudici speciali. Il codice di procedura civile e leggi speciali conoscono diverse tipologie di tutele giurisdizionali distinte tra loro a seconda degli obiettivi che il legislatore assegna, delle forme e dei mezzi procedimentali previsti, del maggiore o minore approfondimento cognitivo o stabilità che assume il provvedimento finale di ciascuna tutela. Si distinguono così tutele cognitive, sommarie o cautelari, camerali ed esecutive. Innanzitutto la tutela giurisdizionale si può definire tutela normale generale dei diritti soggettivi che comprende l’attività di cognizione e di esecuzione forzata. Per le richieste di tutela riguardanti determinate categorie di diritti e rapporti giuridici soggettivi si parla di tutela normale speciale, mentre invece quando si adoperano strumenti diversi si provvedono le tutele sommarie, cioè quelle che apprestano accanto alla tutela normale strumenti che possono anticiparla o garantirne i risultati in via più brevi. Infine le tutele camerali costituiscono una tutela giurisdizionale autonoma, rigidamente tipizzata dalla legge con riguardo all’oggetto ed al contenuto dei relativi provvedimenti. La sovranità statale in materia di giurisdizione in certi casi può essere limitata dalla presenza di giurisdizioni esterne, basta pensare all’ordinamento comunitario o alla corte europea dei diritti dell’uomo: i citati organi incidono emanando atti e provvedimenti sulle posizioni giuridiche e sui rapporti tra cittadini soggetti alla sovranità dello Stato italiano. La funzione giurisdizionale è esercitata dai giudici, cioè da soggetti dotati di particolare qualificazione professionale: art. 102 cost. sono ordinari i giudici che compongono l’ordine giudiziario; oggi sono giudici ordinari togati il tribunale, quale unico giudice di primo grado che ha composizione monocratica ed ha sede in ogni capoluogo di provincia; la corte d’appello, organo giurisdizionale che giudica sempre in composizione collegiale con tre componenti in un ambito territoriale chiamato distretto; la corte di cassazione, che ha sede a Roma e svolge le funzioni dirette ad assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni, il regolamento dei conflitti di competenza, essa è posta al vertice della 2 profonda differenza di competenza. Con riferimento al giudice amministrativo, il limite alla giurisdizione ordinaria si ha quando una delle parti in causa è la p.a. e si chiede al giudice civile la tutela di interessi legittimi, cioè di situazioni diverse dai diritti soggettivi. Dunque è la qualificazione in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo della situazione giuridica sostanziale che si fa valere nel processo a costituire presupposto per la sussistenza o meno della giurisdizione del giudice ordinario.mentre nel codice del processo amministrativo sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie che concernono l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo e provvedimenti, atti riconducibili alla p.a. infatti la giurisdizione amministrativa si articolano in giurisdizione Generale di legittimità, esclusiva, estesa al merito. Oltre ai giudici amministrativi, vi sono la corte dei conti (a giurisdizione esclusiva in materia di pensioni, contabilità pubblica e responsabilità per danno erariale), il tribunale delle acque pubbliche, le commissioni tributarie (hanno giurisdizione generale nelle controversie sui tributi). Il terzo limite della giurisdizione è quello nei confronti della pubblica amministrazione e dei suoi poteri: né il giudice ordinario né alcun altro giudice dello Stato e fornito di giurisdizione sulle controversie promosse dal privato nei confronti dell’amministrazione attiva dello Stato, infatti non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal governo nell’esercizio del potere politico. Ciascuno dei limiti alla giurisdizione può dare luogo a questioni di giurisdizione: trattasi di questioni pregiudiziali di rito che hanno ad oggetto l’accertamento della sussistenza o meno della giurisdizione in relazione ad una determinata controversia. L’art. 37 sancisce il principio della rilevabilità anche d’ufficio delle questioni di giurisdizione nei confronti della p.a. e dei giudici speciali. La rilevabilità del difetto di giurisdizione in ogni stato e grado del processo va intesa nel senso che il potere di rilevazione può essere esercitato per la prima volta anche in sede di appello o di giudizio di cassazione, purché la questione non sia stata già oggetto di rilievo e decisione nei gradi precedenti del processo. L’ambito applicativo di questo articolo è restrittivo, con la conseguenza che il difetto di giurisdizione non può essere eccepito dalle parti fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado, la sentenza di primo grado di merito può essere impugnata per difetto di giurisdizione o se sul punto non si sia formato il giudicato interno. Il difetto di giurisdizione del giudice italiano può essere rilevato in qualunque stato e grado del processo soltanto dal convenuto costituito che non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana; mentre è rilevato dal giudice d’ufficio se il convenuto è contumace, si trattasi di azioni aventi ad oggetto beni immobili situati all’estero o se la giurisdizione italiana è esclusa per effetto di una norma internazionale. L’art. 41 cpc consente che, su richiesta di una delle parti, le questioni di giurisdizione di cui all’articolo 37 possono essere decise dalle sezioni unite della corte di cassazione, sempre che la relativa istanza sia proposta finché la causa non sia decisa nel merito in primo grado; la finalità è quella di consentire a ciascuna delle parti di richiedere alla corte di cassazione una pronuncia incontestabile e vincolante sulla giurisdizione. Il procedimento di regolamento della giurisdizione non può essere qualificato come un mezzo di impugnazione, ma deve essere considerato un procedimento incidentale diretto ad ottenere in tempi rapidi dalle sezioni unite un accertamento definitivo e vincolante. L’istanza di regolamento di giurisdizione si propone con ricorso notificato alle altre parti del processo che deve contenere l’esposizione dei fatti rilevanti per la decisione, le ragioni che secondo l’istante dovrebbero condurre alla negazione della giurisdizione del giudice adito. Al procedimento di regolamento di giurisdizione si applicano le stesse regole che governano il giudizio di cassazione: le sezioni unite decidono sull’istanza in camera di consiglio con ordinanza, determinando il giudice competente. La p.a. (che non sia parte in causa) ha il potere di chiedere in ogni stato e grado del processo alle sezioni unite di dichiarare il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla legge all’amministrazione stessa. Tale facoltà subisce l’unico limite derivante dalla presenza di un 5 giudicato formale sulla sentenza della giurisdizione del giudice ordinario, ovvero dalla presenza di un’ordinanza della cassazione che abbia già ritenuto sussistente la giurisdizione. CAP 5: La competenza è l’ampiezza o misura della sfera di potestà giurisdizionale attribuita ai singoli giudici che fanno parte della giurisdizione ordinario: l’attore è chiamato ad individuare tale giudice tra tutti quelli della Repubblica facendo applicazione di criteri definiti “statici” poiché prescindono dalla pendenza materiale del processo. Talvolta però, la legge prevede che il giudice malgrado sia incompetente secondo i criteri statici, diventi competente se nel corso del processo si verificano determinate condizioni da essa descritte, si tratta di una sorta di meccanismo di sanatoria. L’ordinamento prevede delle fattispecie idonee ad incidere sulla competenza del giudice infatti, attribuendola o negandola secondo regole che trovano la loro ratio in esigenze legate alla “dinamica” del processo, cioè al suo concreto svolgimento. I criteri statici e dinamici di competenza sono chiamati a svolgere la stessa funzione. Quando si parla di giudice competente, si fa riferimento all’ufficio giudiziario nel suo complesso all’interno del quale le controversie vengono assegnate dopo la loro instaurazione ai singoli magistrati secondo criteri di distribuzione predeterminati. Per individuare il giudice competente soccorrono diversi criteri (per le cause in primo grado) di competenza in senso statico: in relazione alla materia, in relazione al valore e in relazione al territorio. I criteri di competenza per materia hanno riguardo alla natura e dalla qualità della controversia e sono considerati i criteri forti per l’impossibilità che si possano essere derogati non che per la loro non modificabilità. Invece i criteri di competenza per valore hanno riguardo all’aspetto quantitativo della causa, cioè alla misura del valore economico del bene o del rapporto dedotto in giudizio (il valore della causa si determina dalla domanda dell’attore). Questi due criteri hanno carattere generale, ma il criterio di competenza per materia prevale sui criteri per valore che operano solo quando per legge il criterio di competenza per materia e escluso. Ricordiamo inoltre che il giudice di pace è competente per cause relative ad apposizione di termini ed osservanza delle distanze stabilite dalla legge, per controversie su abitazioni di immissioni di fumo rumori scuotimenti esalazioni; mentre invece il tribunale è esclusivamente competente per le cause in materia di imposte e tasse, per la querela di falso, per l’esecuzione forzata e per ogni causa di valore indeterminabile. Per i criteri di competenza per territorio, il codice stabilisce fori generali, fori facoltativi (che si aggiungono e concorrono a quelli generali) e fori esclusivi (che se previsti escludono quelli generali). Il foro generale è competente per le persone fisiche stabilendo il giudice per il luogo in cui il convenuto ha la residenza o il domicilio; per le persone giuridiche e competente è quello del luogo dove esse hanno sede oppure uno stabilimento. (per le obbligazioni vale il luogo in cui è sorta o deve essere eseguita quest’ultima.) L’art. 6 cpc prevede che la competenza non può essere derogata per accordo delle parti, poiché vi è l’esigenza di garantire la precostituzione per legge del giudice naturale, sottraendo alle parti il potere di scelta e di individuazione di un giudice diverso. La competenza del tribunale: il tribunale opera in composizione monocratica, nel senso che è lo stesso giudice designato ad esercitare i poteri decisori a, ed ha competenza esclusiva per alcune controversie (dette prima) non che per ogni causa di valore indeterminabile. Nel 2012 sono state soppresse tutte le sezioni distaccate dei tribunali e il numero di questi ultimi è stato ridotto e ridefinito. L’art. 38 cpc prevede che l ’incompetenza per materia, per valore e per territorio sono eccepita dalla parte nella comparsa di risposta tempestivamente depositata, inoltre queste incompetenze sono rilevate anche d’ufficio dal giudice, non oltre l’udienza di trattazione.se l’incompetenza viene rilevata oltre l’udienza di trattazione, l’ordinamento prevede delle fattispecie di competenza dinamica; altrimenti il giudice deve ritenersi comunque investito del dovere di dichiararsi incompetente d’ufficio. L’ultimo comma del 38 contiene regole concernenti l’istruttoria e la decisione sulla competenza, consentendo al giudice di decidere sulla relativa questione ai soli fini della competenza: in sostanza il giudice può decidere subito sulla questione di competenza 6 qualora ne valuti la concreta potenzialità impediente. La decisione in questione è resa ai soli fini della competenza senza pregiudizio alcuno per il merito della causa, ed è di norma emanata in base a quello che risulta dagli atti, nel senso che il giudice deve fondare l’accertamento sulla competenza tenendo conto del materiale fino a quel momento acquisito agli atti del processo. Dunque le decisioni sulla competenza pronunziata dal giudice di merito si basano su due accertamenti: il primo consiste nel riconoscimento da parte del giudice a quo, dell’assenza del suo dovere di decidere sul merito; il secondo costituito dalla designazione del giudice ad quem. Entrambi gli aspetti trovano la loro fonte nei principi di competenza dinamica. Art. 42 e ss contengono la disciplina del regolamento di competenza, mezzo di impugnazione ordinario attraverso il quale è concesso alle parti di richiedere ed ottenere dalla cassazione un accertamento definitivo e vincolante circa l’individuazione del giudice competente. Occorre però distinguere tra il regolamento di competenza ad istanza di parte (pronuncia sulla competenza su una questione preliminare di merito proveniente da una delle parti) e quello d’ufficio (quando il giudice originariamente adito si dichiara incompetente ed ha il potere dovere di designare il giudice da lui ritenuto competente a conoscere quella controversia). In caso di proposizione del regolamento di competenza, il procedimento da seguire è: si propone con ricorso rivolto alla corte di cassazione e notificato alle altre parti entro il termine di 30 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza del giudice sulla sola competenza oppure dalla notificazione dell’impugnazione ordinaria. A seguito della proposizione dell’istanza di regolamento, il processo è sospeso ex lege. Qua il giudice può autorizzare il compimento di atti urgenti e successivamente la cassazione statuisce definitivamente sulla competenza identificando un solo giudice legittimato alla trattazione e alla decisione sulla controversia. CAP 6: il diritto o potere di azione viene oggi definito come schema riassuntivo di situazioni soggettive composite, tutte orientate al raggiungimento di un effetto finale, capace di dissolvere quello stato di incertezza iniziale e di eliminare l’ipoteticità della situazione giuridica sostanziale da questi dedotta e prospettata al giudice. La nozione di azione descrive la vicenda processuale che ha inizio con la proposizione della domanda e presenta un’unità continuità nel processo e nell’esercizio dell’azione come potere di domandare la tutela finché questa non sia concessa o negata. Costituisce l’atto di esercizio del potere di azione la domanda giudiziale dalla quale avrà origine il processo. La legittimazione ad agire è intesa come la coincidenza dell’attore e del convenuto con i soggetti che sono destinatari degli effetti della tutela invocata, coincidenza che il giudice è tenuto a verificare in ogni stato e grado del processo. Ulteriore condizione necessaria dell’azione è costituita dall’interesse ad agire: al fine di conseguire la tutela, occorre dimostrare che il risultato del processo perseguito dall’attore e il mezzo necessario per ottenere un bene che sia materia del diritto soggettivo e che gli strumenti sostanziali non abbiano fornito ho mantenuto. Questo interesse deve essere personale, concreto ed attuale e consiste nell’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice. Il difetto di interesse ad agire è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. Per interessi diffusi intendiamo quegli interessi comuni a più soggetti che fanno parte di un gruppo indifferenziato di persone. Ma si può agire in giudizio a tutela di questi interessi? La legittimazione ad agire è riconosciuta ad enti o associazioni opportunamente selezionate e ad ogni soggetto appartenente al gruppo il quale agisce a tutela dei propri diritti ma anche dei diritti di tutti gli altri membri del gruppo. Anche le associazioni di consumatori sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi chiedendo al tribunale di inibire gli atti e i comportamenti lesivi dei loro interessi, di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate. Nel codice del consumo è stata introdotta la disciplina dell’azione di classe che si applica soltanto alle categorie degli utenti e dei consumatori cui fa riferimento il codice del consumo. L’azione di classe tutela i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori nei confronti di una stessa impresa, 7 processo”; il diritto vivente esclude l’operatività della deroga della competenza territoriale quando essa sia il frutto della scelta maliziosa dell’attore (che chiama in causa un convenuto fittizio per invocare la deroga del foro nei confronti degli altri convenuti). L’art. 34 cpc si occupa della connessione per pregiudizialità: distinguiamo tra questioni preliminari di merito (che inseriscono al diritto dedotto e non possono essere oggetto di autonomo processo tra le stesse parti) e questioni pregiudiziali di merito (estranee al petitum e autonomamente deducibili anche in un separato processo). Dunque in senso ampio e pregiudiziale ogni questione che si pone in un rapporto di priorità logico-giuridico, rispetto ad un’altra, la quale è detta dipendente; il termine viene impiegato il riferimento a questioni che devono essere decise in un altro processo. L’art 35 cpc tratta il fenomeno connessione che si realizza a seguito della proposizione di un’eccezione di compensazione. Ricorre nel caso in cui tra due soggetti esistano rapporti incrociati di credito e di debito per una quantità di cose fungibili, tali da comportare la reciproca estinzione per le quantità corrispondenti. Invece, il fenomeno della causa riconvenzionale si verifica quando il convenuto proponga nei confronti dell’attore, domanda riconvenzionale, cioè una domanda che viene fatta valere nello stesso giudizio già pendente, pur potendo essere proposta in un separato processo (sempre che sia legata a quella originaria da identità di titolo e sia dipendente da quest’ultimo). CAP 8: Imparzialità e terzietà del giudice: la l. costituzionale del 99 ha introdotto nell’art. 111 cost, tra le garanzie del giusto processo, quelle di: imparzialità del giudice (regola di equidistanza delle parti, che consente al giudice di trattare e decidere la causa secondo giustizia, senza essere influenzato dalla presenza di collegamenti con una delle parti) e terzietà del giudice (intesa come regola di equidistanza dall’oggetto della causa). La garanzia di imparzialità del giudice civile è assicurata dagli art. 51 ss del cpc che prevedono iniziative rimesse o all’impulso dello stesso giudice, attraverso l’astensione obbligatoria; o quella facoltativa dove le parti propongono istanza di ricusazione. Casi di astensione obbligatoria del giudice sono: interesse nella causa, rapporto di parentela, grave inimicizia, aver dato consiglio ho prestato patrocinio o consulenza tecnica, essere tutore, testimone, curatore, procuratore, amministratore o datore di lavoro di una delle parti. Accanto ai motivi di astensione obbligatoria, il cpc indica le “gravi ragioni di convenienza”, quale motivo di astensione facoltativa, sussistendo le quali il giudice può fare istanza scritta al capo dell’ufficio chiedendogli l’autorizzazione ad astenersi. Ai sensi dell’art. 52 cpc, quando ricorre un’ipotesi di astensione obbligatoria del giudice, ciascuna parte può fare istanza di ricusazione, che si propone con ricorso contenente i motivi specifici e di mezzi prova idonei a dimostrare la ricorrenza di una causa di astensione obbligatoria; deve essere depositato nella cancelleria due giorni prima dell’udienza, sei al ricusate e noto il nome dei giudici chiamati a trattare la causa. La ricusazione sospende il processo e su questa decide con sentenza non impugnabile il presidente del tribunale oppure il collegio. Resp. Civile del giudice: Il giudice è soggetto alla generale previsione dell’art. 28 cost: che sancisce l’obbligo di rispondere direttamente secondo le leggi penali, civili e amministrative, delle conseguenze degli atti compiuti in violazione dei diritti. Recentemente, nel 2015, è stata riscritta la materia della responsabilità civile del giudice per danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali (violazione manifesta della legge o del diritto Ue, travisamento del fatto o delle prove, affermazione di un fatto la cui esistenza è esclusa dagli atti del procedimento o viceversa con la negazione, l’emissione di un provvedimento cautelare senza motivazione) in quanto ha previsto un’azione risarcitoria diretta da parte del cittadino nei confronti dello Stato e una successiva azione di rivalsa dello Stato nei confronti del giudice . Non può sicuramente dar luogo a responsabilità all’attività di interpretazione o di valutazione del fatto e delle prove (salve le ipotesi di dolo o colpa grave). Il diniego di giustizia invece è individuato nel rifiuto, omissione o ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio quando, una volta decorso il termine previsto dalla legge, siano decorsi senza giustificato motivo ulteriori 30 giorni dal 10 deposito dell’istanza della parte diretta ad ottenere il provvedimento. Il cancelliere è definito come “il notaio del giudice”, in quanto è sua la funzione di documentare le attività proprie degli organi giudiziari e delle parti, di assistere il giudice in tutti gli atti dei quali deve essere formato processo verbale, di sottoscrivere assieme al giudice i provvedimenti da quest’ultimo pronunciati e di rendere pubblica la sentenza, di provvedere all’iscrizione a ruolo delle cause, al rilascio di copie, alla formazione del fascicolo d’ufficio, alla conservazione dei fascicoli delle parti e all’invio delle comunicazioni. Invece l’ufficiale giudiziario assiste il giudice in udienza e provvede all’esecuzione dei suoi ordini, alla notificazione degli atti giudiziari, deve dare esecuzione ai provvedimenti giurisdizionali, in particolare quelli di esecuzione forzata. Queste due figure incorrono in responsabilità civile quando senza giustificato motivo, ricusano di compiere gli atti che sono loro legalmente richiesti oppure quando compiono un atto nullo con dolo o colpa grave. Gli ausiliari del giudice sono quei soggetti che, sebbene estranei alla struttura organizzativa e amministrativa degli uffici giudiziari, cooperano con il giudice, previa richiesta di quest’ultimo nello svolgimento di specifici incarichi di giustizia: distinguiamo ausiliari tipici (consulente tecnico) e altri ausiliari. Il consulente tecnico pone a disposizione del giudice le proprie cognizioni specialistiche per la risoluzione di determinate controversie: distinguiamo tra consulente deducente, il quale si limita a fornire il proprio parere al giudice e, consulente percipiente, il quale accerta i fatti che richiedono particolari cognizioni tecniche e solo in tal caso la consulenza rappresenta un vero e proprio mezzo di prova su cui il giudice può fondare la decisione. Dopo il r.d. 12/1941 e l’art. 107 cost, il Pubblico Ministero è diventato organo investito di veri e propri poteri giudiziari. E la legge attribuisce in materia civile al PM il potere di promuovere i processi in cui si attuano norme di ordine pubblico, infatti non ha il potere-dovere di agire per ottenere la prevalenza di un interesse piuttosto che un altro, ma solo quello di promuovere il processo una volta constatata l’esistenza di una delle situazioni previste dalla legge e per migliorare l’attuazione delle norme nell’interesse della collettività. Il PM esercita l’azione civile con il limite derivante dall’impossibilità di compiere atti di disposizione del diritto. Inoltre il pm può intervenire anche nel corso di un processo già instaurato dalle parti private, in due modi: intervento necessario, il pm interviene in una serie di ipotesi tassativamente elencate (es. per tutti i ricorsi in cassazione) e intervento facoltativo, dove sia ravvisato un pubblico interesse attuale e concreto. I poteri processuali del pm variano a seconda delle tipologie di intervento: sono uguali a quelli delle parti negli interventi necessari, potendo impugnare la sentenza ad es. CAP 9: Le parti del processo si identificano in cui soggetti che, compiendo determinati atti processuali, acquistano la qualità di parti di quel processo, la titolarità all’esercizio di una serie di poteri e facoltà processuali finalizzati a consentire lo svolgimento della vicenda processuale E la produzione di effetti dei quali sono destinatari immediati. In ogni processo ci devono essere almeno due parti tra loro contrapposte: l’attore (che propone la domanda) e il convenuto (nei cui confronti la domanda è proposta); per entrambi le parti è garantita la tendenziale simmetria di facoltà, poteri ed oneri in base al principio di parità delle parti processuali e dal principio di eguaglianza. La capacità processuale identifica come “persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere” i soggetti capaci di stare in giudizio: si tratta dei soggetti capaci di agire con la maggiore età e che non si trovino in stato di interdizione e che quindi possono esercitare personalmente il loro diritto facendolo valere nel processo. L’accertamento di quest’ultima può essere compiuto dal giudice in ogni stato e grado del processo. Per quanto riguarda le forme della rappresentanza processuale, vediamo che per l’esercizio dei diritti dei soggetti incapaci soccorrono alcuni strumenti: la rappresentanza legale, attribuita dalla legge a determinati soggetti la legittimazione processuale, cioè il potere di stare in giudizio in nome dell’incapace; l’assistenza, riguarda i soggetti semi incapaci (inabilitati e minori emancipati), a cui la legge riserva un 11 trattamento diverso processuale e richiede la partecipazione a contemporanea al giudizio dell’assistente e dell’assistito; infine abbiamo per altri soggetti bisogno di un’autorizzazione da parte di un organo giurisdizionale per poter farli stare in giudizio. Inoltre il codice riconosce la legittimazione processuale a quei soggetti che, essendo persone giuridiche, hanno potere di agire in nome della stessa nei rapporti sostanziali. Infatti le persone giuridiche private stanno in giudizio tramite gli amministratori che ne hanno la rappresentanza; per gli enti che non hanno personalità giuridica la legittimazione processuale spetta agli associati, alla presidenza o alla direzione. La rappresentanza volontaria, esclude che il procuratore generale o speciale possa stare in giudizio per conto del proponente. E’ necessario che il rappresentante sostanziale riceva dal proponente apposita procura scritta ad agire in giudizio: si tratta di una regola di civiltà giuridica che vuole evitare che la gestione del processo sia condotta da un soggetto che non sia munito dei correlati poteri di gestione sostanziale del rapporto litigioso. Eventuali vizi di rappresentanza processuale sono rilevati d’ufficio dal giudice: il quale assegna alle parti un termine per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza per il rilascio della procura, l’osservanza del termine sana i vizi con efficacia ex tunc. Se il potere rappresentativo manca del tutto, la domanda proposta dal falsus procurator non produce alcun effetto nei confronti del rappresentato, il quale può sanare costituendosi in giudizio e ratificando tutti gli atti compiuti fino a quel momento. A in base al principio "nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui" ciascuno fa valere in giudizio in nome proprio un diritto proprio. Ma ci sono delle deroghe di legittimazione straordinaria ad agire nelle quali l'ordinamento consente eccezionalmente ad un soggetto di far valere in giudizio in nome proprio un diritto altrui senza l’autorizzazione del suo titolare. Tutte le ipotesi presuppongono però la contemporanea lesione di uno o più interessi. L’art. 110 cpc disciplina la successione a titolo universale nel processo per morte o per altra causa: la successione comporta il subingresso E in tutti i diritti di cui era titolare il de cuius e consentendo nel processo al successore di subentrare nella posizione processuale del soggetto estinto acquisendo gli stessi poteri ed oneri. L’art. 111 invece si occupa della successione a titolo particolare nel diritto controverso, cioè di trasferimento del solo diritto o rapporto o in contestazione comprendenti quello controverso, che può verificarsi sia mortis causa sia inter vivos. Per diritto controverso si intende il diritto sostanziale dedotto in giudizio. Se inter vivos, la soluzione prevista dalla legge e quella che garantisce di più la parte contrapposta all’alienante, dato che nonostante il trasferimento non si verificano mutamenti tra i soggetti della lite e il processo prosegue tra le parti originarie. Se interviene il successore a titolo particolare nel diritto controverso, questo ha il potere di svolgere tutte le attività processuali consentite al suo Dante causa; se mortis causa, il processo è proseguito dal successore a titolo universale e non dal legatario. Col termine estromissione si fa riferimento ad una serie di ipotesi al cui verificarsi, una parte viene fatta uscire dal processo; le più significative sono due: l’estromissione del garantito, che si verifica quando nel corso di un processo in cui tizio ha chiesto la condanna di Caio al pagamento di una somma in esecuzione di un contratto, compare in giudizio il garante dell’obbligo di Caio e accetta di assumere la causa in luogo del garantito: in questi casi la legge prevede che il garantito possa chiedere la propria estromissione dal processo. E l’estromissione dell’obbligato: se nel processo si contende a quale di più parti spetta una prestazione e l’obbligato si dichiara pronto ad eseguirla in favore di chi ne ha diritto, il giudice può ordinare il deposito della cosa o della somma dovuta ed estromettere l’obbligato dal processo. Di solito durante i processi, le parti non agiscono personalmente, ma con l’assistenza dei difensori, cioè di soggetti muniti di specifica capacità tecnica ed iscritti in apposito albo professionale. I difensori possono compiere e ricevere nell’interesse della parte tutti gli atti del processo e; nei processi dinanzi al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente per le cause non eccedente il valore di 1100 €, altrimenti è necessaria la presenza del difensore. Davanti al tribunale e alla corte d’appello le parti devono 12 si dà lettura salvo espressa istanza di parte. Il verbale redatto con la sua sottoscrizione segna il momento terminale dell’udienza. I termini processuali sono periodi di tempo stabiliti dalla legge o dal giudice per il compimento di singoli atti del processo. La legge prevede che nel computo dei termini aggiorni e dure si escludono quelli iniziali e si tenga conto dei giorni festivi e feriali. Abbiamo termini dilatori (che devono trascorrere prima che possa compiere un determinato atto) e acceleratori (entro i quali è possibile il compimento dell’atto): questi ultimi si divino in ordinatori (regolano lo svolgimento delle attività processuali senza che la loro inosservanza sia idonea a produrre la decadenza dal potere di compiere l’atto) e pretentori (la cui decorrenza comporta decadenza del potere di compiere l’atto e a differenza degli altri non possono essere dal giudice né abbreviati né prorogati). La rimessione in termini costituisce l’unico rimedio idoneo a superare la decadenza processuale nella quale la parte sia incorsa per causa ad essa non imputabile. È uno strumento, fondato su ragioni di equità e sul principio di conservazione, che mira a porre il contumace involontario nella stessa condizione giuridica nella quale si sarebbe trovato se si fosse costituito tempestivamente. I provvedimenti del giudice sono gli atti processuali col quale egli esercita e dà attuazione alla funzione giurisdizionale, pronunciando successivamente l’atto finale. Abbiamo tre distinti tipi di provvedimenti: 1. La sentenza, tipico provvedimento a contenuto decisorio normalmente sul merito o sul rito; 2. L’ordinanza e il decreto, provvedimenti a contenuto ordinatorio, finalizzati a consentire la trattazione del processo; 3. Atti innominati o a forma libera, che il giudice può compiere in relazione strumentale con gli altri provvedimenti. La sentenza costituisce il tipico provvedimento giurisdizionale decisorio con il quale il giudice pronuncia la decisione sulla controversia ad esso sottoposta; i requisiti formali della sentenza sono: l’indicazione del giudice che la pronunciata, l’indicazione delle parti e dei loro difensori, le conclusioni delle parti e del pm, l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione, il dispositivo la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice. La sentenza è resa pubblica mediante deposito nella cancelleria del giudice che la pronunciata. Quanto al contenuto della sentenza di merito, questo decide sul diritto o rapporto giuridico fatto valere con la domanda, attribuendo i torti e le ragioni e concedendo o negando le richieste tutele di vario tipo. Per il contenuto della sentenza di rito, si decide uno o più questioni attinenti all’idoneità o meno del processo a pervenire alla decisione di merito (es. Giurisdizione o competenza). Entrambe le tipologie però possono essere definitive o non definitive (in base al loro contenuto), a seconda che definiscano o meno il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate con l’esaurimento o meno dei relativi poteri decisori. L’ordinanza è il provvedimento al quale la legge processuale attribuisce funzione ordinatoria, può essere emessa in udienza o fuori udienza e deve essere comunicata alle parti a cura del cancelliere, costituisce la funzione di regolazione dello svolgimento del processo e di risoluzione per le questioni processuali in sorte tra le parti. Il decreto viene pronunziato d’ufficio o su istanza verbale della parte, non ha bisogno di motivazione e viene di norma pronunciato in mancanza del contraddittorio con l’altra parte (es. Decreto che definisce il procedimento camerale). Le comunicazioni e le notificazioni assolvono entrambe alla funzione di far conoscere alle parti o ai loro difensori il contenuto di atti e provvedimenti, ma con strumenti tra loro diversi. La comunicazione avviene con la consegna al destinatario di un biglietto di cancelleria o la sua trasmissione a mezzo PEC. Viene fatta dal cancelliere alle parti, al pm, al consulente, agli ausiliari del giudice ed i testimoni. La comunicazione costituisce una forma abbreviata di esternazione del provvedimento, prescritta dalla legge o dal giudice, con la quale si trasmette solo la parte dispositivo del provvedimento senza le eventuali motivazioni. La notificazione è un atto dell’ufficiale giudiziario attraverso il quale egli provvede a consegnare da parte del giudice o a far recapitare al destinatario copia integrale e conforme all’originale di un atto scritto. Scopo della notificazione è quello di far conseguire la certezza legale della conoscenza dell’atto in capo al destinatario, in presenza della quale si producono gli effetti propri dell’atto stesso. La relazione di 15 notificazione fa prova fino a querela di falso delle dichiarazioni in essa contenute e costituisce un atto autonomo rispetto all’atto che viene notificato. Una tipologia di notificazione è quella in mani proprie: viene eseguita mediante consegna della copia nelle mani proprie del destinatario in qualunque luogo esso sia reperito, altrimenti deve essere fatta nella residenza o nel domicilio. Se il destinatario non viene trovato in questi luoghi, l’ufficiale giudiziario consegna copia dell’atto ad una persona di famiglia, all’ufficio o all’azienda e in mancanza delle suddette persone al portiere dello stabile dove vi è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda. Infine se proprio non è possibile eseguire la consegna in questi modi, la copia dell’atto viene depositata presso la casa comunale del luogo dove la notificazione deve essere eseguita. Altre disposizioni regolano la notifica presso il domiciliatario, presso la persona non residente nella Repubblica, a persona di residenza sconosciuta, alle amministrazioni dello Stato, alle persone giuridiche, ai militari in attività di servizio o a mezzo PEC. Per le notificazioni richieste dal cancelliere, queste sono effettuate esclusivamente per via telematica PEC. La materia in esame costituisce oggetto di normativa comunitaria e internazionale (regolamento del consiglio UE del 2000). Inoltre, per i soli atti del processo civile e di quello amministrativo, sono previste ulteriori tre forme di notificazione, la cui particolarità è data dalla qualificazione professionale del soggetto notificante che è l’avvocato, che sia munito della procura della lite: parliamo delle notificazioni a mezzo del servizio postale, a mezzo PEC e mediante consegna diretta della copia dell’atto al destinatario: queste trattano la facoltà di notificazione per gli avvocati, validata sia con preventiva vidimazione e datazione dell’originale e della copia da parte dell’albo su cui sono iscritti i difensori sia dall’eventuale annotazione delle generalità e qualità del consegnatario quando questi sia diverso dal destinatario. Il principio di scissione degli effetti della notificazione tutela il notificante dalle eventuali conseguenze negative dovute ai ritardi imputabili all’organo notificante (ufficiali giudiziari o postali), separando gli effetti della notifica in capo a chi effettua la notifica rispetto al soggetto che riceve l’atto notificato. Inoltre è consentito che gli atti e i provvedimenti del processo possano essere trasmessi mediante foto a distanza da un avvocato ad un altro avvocato, la copia foto riprodotta si considera conforme all’atto trasmesso se hai due difensori sia stata conferita procura alle liti, se l’atto trasmesso rechi l’indicazione e la sottoscrizione dell’avvocato estensore e se la copia sottoscritta dall’avvocato ricevente. Il legislatore, al fine di migliorare la funzionalità della macchina giudiziaria, ha intrapreso un percorso volto alla digitalizzazione delle attività mediante le quali si svolge il processo civile: il cd processo civile telematico PTC. Questo consente che gli atti di parte e i provvedimenti del giudice possono essere validamente compiuti nella forma di documenti informatici sottoscritti con firma digitale e trasmessi alla cancelleria con modalità telematiche. Ma le regole non rivestono ancora carattere obbligatorio nei confronti di tutti i protagonisti del processo e in relazione a tutti gli atti e i procedimenti civili, se non per gli atti e i documenti ad opera dei difensori nei procedimenti civili contenziosi dinanzi al tribunale, alla corte d’appello e alla cassazione. Il sistema PTC opera sulla base di un insieme di risorse hardware e software detto “dominio giustizia” mediante il quale il ministero della giustizia tratta in via telematica qualsiasi tipo di attività. Il difensore è tenuto a predisporre con modalità telematiche gli atti giudiziari e provvedere allo stesso modo al loro deposito: sui documenti informatici viene apposta la firma digitale del difensore e poi il file contenente tutti gli atti del processo viene trasmesso alla PEC dell’ufficiale giudiziario; quanto alle attività del giudice, la normativa prevede che i provvedimenti vengano direttamente depositati nel fascicolo informatico, previa attestazione del deposito da parte della cancelleria o della segreteria dell’ufficiale giudiziario con data e firma digitale. CAP 12: La nullità degli atti processuali, che si distingue in formale (quella che riguarda i singoli atti del processo) ed extraformale (quella che discende da un vizio dei presupposti processuali), subiscono diverse regole. I principi generali che governano la nullità sono rinvenibili nei tre commi di cui si compone l’art. 156 cpc, il quale sviluppa la previsione di un principio generale, la norma 16 contiene un allargamento dello stesso e poi un restringimento drastico. Il criterio del raggiungimento dello scopo agisce come sanatoria della nullità: lo scopo è l’evento per il quale l’ordinamento predispone il compimento dell’atto: si deve trattare di un evento obiettivamente valutabile quale otto della serie processuale. In base al 157 cpc, la nullità non può essere pronunciata senza istanza di parte, salvo i casi in cui la legge disponga che sia pronunciata d’ufficio. Distinguiamo quindi nullità relative (possono essere pronunciate solo su istanza di parte e sono sanabili a seguito della inattività della stessa parte); nullità assolute (rilevate dal giudice nel corso del procedimento). L’art. 159 cpc sancisce la regola che la nullità non travolge mai gli atti precedenti, ma solo quelli successivi che non siano ‘indipendenti’ da quello nullo; inoltre la nullità di una parte dell’atto non colpisce le altre parti che ne sono indipendenti; se il vizio di nullità impedisce un determinato effetto, l’atto può sempre produrre gli altri effetti ai quali è idoneo. Art. 161 c1 cpc: principio di assorbimento delle nullità: se la parte vuol far valere la nullità della sentenza, deve impugnarla con appello o con ricorso per cassazione. Se non lo fa la nullità resta sanata per effetto del giudicato interno conseguente alla mancata impugnazione. Questo principio non trova applicazione quando la sentenza manchi della sottoscrizione del giudice (grave vizio). Il giudice, allorché pronuncia la nullità, deve disporre la rinnovazione degli atti ai quali la nullità si estende. I limiti alla rinnovazione sono di due tipi: l’atto nullo deve essere rinnovabile per natura intrinseca e per mancanza di impedimenti materiali; la rinnovazione non può essere disposta se sia scaduto il termine pretentorio per il compimento dell’atto. Anche la notificazione può essere nulla: nel caso di mancata osservanza della disposizione circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia dell’atto, incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta la notificazione, incertezza sulla data. Ci sono vizi che per la loro gravità, non sono suscettibili di alcuna sanatoria (esempio quando la consegna dell’atto avvenga a persona in luogo non riferibili ai destinatari), si parla di giuridica inesistenza. CAP 13 Le prove: i fatti presentati dalle parti in una causa, rappresentano affermazioni ipotetiche e necessitano di essere verificati: la prova può definirsi proprio come uno strumento di rappresentazione ed accertamento di determinati fatti che si assumono dalle parti come storicamente accaduti, in grado di influire sul convincimento del giudice. Il cpc regola l’assunzione nel processo dei mezzi di prova, il cc ne configura i tipi normativi dettando le regole dell’onere della prova tra i soggetti nel processo. L’art 115 cpc detta il principio della disponibilità della prova, in base al quale le parti sono tenute a proporre al giudice gli elementi di prova sulle quali basare il proprio convincimento, salvi i casi previsti dalla legge. Si deve distinguere tra la fonte materiale di prova, cioè il fatto storico che fuori dal processo viene allegato dalla parte e il mezzo istruttorio, cioè il procedimento che viene svolto per provare quel fatto. La ripartizione degli oneri probatori tra le parti: l’attore ha l’onere di provare i fatti costitutivi dei diritti che l’attore stesso fa valere in giudizio, mentre il convenuto ha l’onere di provare i fatti estintivi, impeditivi o modificativi di questi diritti. Secondo il principio dell’acquisizione della prova, ogni elemento istruttorio entrato regolarmente nel processo è legittimamente utilizzabile dal giudice indipendentemente dalla parte che se ne era originariamente avvalsa, e il risultato della prova deve essere valutato indipendentemente dalla posizione della parte che l’abbia dedotta. I fatti notori sono quei fatti che, rientrando nella comune esperienza (e che le parti quindi non hanno bisogno di provare in quanto veri per la loro diffusione ed oggettività), possono essere posti ugualmente dal giudice a fondamento della propria decisione. Per quanto riguarda i fatti pacifici, non vi è necessità di fornire la prova anche dei fatti oggettivi affermati da una parte, la cui esistenza sia stata ammessa esplicitamente dall’altra parte. Resta il fatto che il giudice deve porre a fondamento della decisione anche i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. I mezzi di prova sono quelli tipicamente previsti dalla legge, al di fuori di questi non esistono strumenti idonei a far acquisire al processo le stesse fonti di prova acquisibili con i mezzi tipici (es. la testimonianza accolta attraverso 17 è chiamato a rappresentare uno o più fatti da lui storicamente verificati. Per quanto riguarda la disciplina contrattuale, si esclude la prova testimoniale dei contratti quando il valore dell’oggetto eccede 2,58 € anche se il giudice può consentire la prova oltre tale limite; non è ammessa la prova di patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento per i quali si alleghi che la stipulazione sia stata anteriore o contemporanea e infine si esclude la prova quando per legge o per volontà delle parti un contratto deve essere provato per iscritto; altresì la prova testimoniale è ammessa sempre quando vi sia un principio di prova scritta che faccia apparire verosimile il fatto allegato; quando il contraente è stato nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta o quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova. Sono esclusi dalla ammissibilità di prova testimoniale i soggetti che hanno nella causa un “interesse che potrebbe legittimare la loro partecipazione al giudizio”. I testimoni sono interrogati dal giudice separatamente previo impiego di dire la verità, dopo essere stati identificati (con le loro generalità, indicando rapporti di parentela, affinità, affiliazione o dipendenza con le parti in causa) il giudice può rivolgere al teste tutte le domande ritenute utili a chiarire i fatti medesimi; se vi sono divergenze tra le deposizioni di due o più testimoni, il giudice può disporre che si siano messi a confronto. Se il testimone, presentandosi, rifiuta di giurare o di deporre senza giustificato motivo (oppure si ritiene che egli non abbia letto la verità), il giudice lo denuncia al pm. La legge non detta alcuna indicazione sull’efficacia probatoria della testimonianza, rimettendo al libero apprezzamento del giudice il giudizio sull’attendibilità del testimone. La testimonianza scritta, che consiste nella possibilità di assumere la deposizione del testimone per iscritto al di fuori dell’udienza mediante la compilazione di apposito modello, è stata approvata e introdotta nel 2009 dal ministro della giustizia. Il giudice infatti su accordo delle parti, tenuto conto di tutte le circostanze, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone di fornire per iscritto le risposte ai quesiti sui quali verte l’interrogatorio. La testimonianza viene poi sottoscritta e spedita in busta chiusa complico raccomandato alla cancelleria del giudice. Il giudice può sempre richiamare il testimone a deporre. L’ammissione della testimonianza scritta dipende sempre però dal consenso di tutte le parti in causa. L’ispezione è il mezzo di prova attraverso il quale il giudice acquisisce la percezione diretta di cose o situazioni inerenti a persone, ricavando da essa elementi valutabili ai fini della decisione; l’esecuzione dell’ispezione non deve costringere la parte o comportare danni per i terzi. Se la parte rifiuta di eseguire l’ordine di ispezione, il giudice può desumere da tale rifiuto argomenti di prova. E per quanto riguarda l’esibizione, i documenti o altre cose immobili utili alla prova, possono dalla parte essere direttamente prodotti in giudizio ed allegati al proprio fascicolo; se invece sono nella disponibilità dell’altra parte o di un terzo, l’acquisizione al processo è possibile attraverso l’ordine di esibizione che il giudice pronuncia su distanza di parte. La parte che non esegue l’ordine di esibizione esercita una legittima facoltà di difesa fornendo al giudice però argomenti di prova. La consulenza tecnica (non può essere considerata un mezzo di prova) svolge una funzione di accertamento e di ricostruzione dei fatti prospettate dalle parti, fornisce al giudice la valutazione dei fatti acquisiti al processo e può costituire fonte oggettiva di prova SOLO quando si risolve in uno strumento di accertamento di situazioni rilevabili solo con il concorso di cognizioni tecniche. A disporre di avvalersi dell’opera del consulente tecnico è il giudice, per avere chiarimenti o assumere informazioni col fine di eseguire piante, calchi e rilievi. Deve essere rispettato il principio del contraddittorio tra le parti che infatti possono nominare un proprio consulente tecnico di parte. E’ previsto inoltre l’esame contabile: cioè quando il giudice dà incarico al consulente tecnico di esaminare documenti contabili e registri, affidandogli il compito di tentare la conciliazione delle parti. CAP 15: Le tutele cognitive: la tutela cognitiva si può definire tutela normale generale dei diritti soggettivi, e comprende sia l’attività che nel processo sfocia nelle diverse tipologie di decisioni, sia 20 all’attività che nei processi di esecuzione forzata e diretta alla soddisfazione coattiva di quanto descritto nel titolo esecutivo. Invece per le richieste di tutela riguardanti determinate categorie di diritti soggettivi, ci sono apposite norme che disciplinano modelli procedimentali differenziati: si può parlare qui di tutela normale speciale: oggi i procedimenti civili di natura contenziosa regolati dalla legislazione speciale sono sottoposti a tre modelli: rito del lavoro, rito sommario di cognizione, rito ordinario di cognizione. Il processo civile è finalizzato alla tutela dei diritti: ne deriva che i doveri o soggezioni della parte risultata in causa soccombente hanno come soggetto attivo la parte risultata vittoriosa: perciò anche i doveri della parte soccombente sono da considerarsi di diritto privato. Nell’ambito del processo civile non sono consentite azioni puramente dichiarativa e, avulse da un diritto soggettivo e aventi funzione meramente preventiva: si esclude la proponibilità di azioni che non presuppongono un diritto soggettivo. Per fare ciò ci sono azioni di accertamento sia positivo che negativo; il principio generale dell’interesse ad agire conduce ad ammettere l’azione di mero accertamento (positivo) in tutti i casi in cui sussistano vanti, contestazioni o comportamenti tali da compromettere la certezza di situazioni soggettive analoghe ai diritti assoluti. Per l’accertamento negativo, esso è sicuramente possibile quando l’affermazione dell’esistenza dell’altrui diritto renda incerto il diritto di colui che agisce. Art. 2818 cc definisce la sentenza di condanna, prevedendo che ogni sentenza che porta condanna al pagamento di una somma o all’adempimento di altra obbligazione (risarcimento danni) e titolo per iscrivere ipoteca sui beni del debitore. Dunque la decisione di condanna infligge una sanzione per garantire il raggiungimento del risultato che la norma sostanziale garantisce al diritto violato . Nel processo di cognizione (nel quale si agisce al fine di ottenere una decisione di condanna) si consegue solamente un titolo esecutivo in base al quale si otterrà nel successivo processo di esecuzione la suddetta espropriazione. Dunque la tutela in esame è finalizzata a far ottenere al creditore per via giudiziaria ciò che sostanzialmente gli sarebbe spettato se fosse stata adempiuta la prestazione. La condanna in futuro: l’art. 2910 cc presuppone che il creditore può agire anche senza l’inadempimento e anche prima che il credito sia esigibile; l’esempio è dato dalla fattispecie che consente al locatore di promuovere l’azione di rilascio dell’immobile locato anche prima che il contratto sia scaduto: in effetti, prima ancora del diritto alla prestazione, il principio della responsabilità patrimoniale impone al debitore di comportarsi in modo da non diminuire le probabilità di soddisfazione del creditore. L’art. 278 cpc consente al giudice, quando sia accertata la sussistenza di un diritto ma sia ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, di limitarsi a pronunciare con sentenza la condanna generica alla prestazione, disponendo la prosecuzione del giudizio per la liquidazione. Tale fenomeno si inserisce nella tendenza normativa a munire il credito di una tutela anticipata rispetto alla condanna finale. La condanna generica accerta l’inadempimento di un’obbligazione civile contrattuale e la sua efficacia è sempre condizionata all’esito della successiva fase del giudizio in quanto non sarà possibile per il creditore iniziare il processo di esecuzione forzata. Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica ove possibile: secondo il 2058 c.c. dall’illecito nascono due diritti per il danneggiato: uno è il credito incondizionato al risarcimento per equivalente; l’altro è l’azione per ottenere il costo delle attività necessarie per la reintegrazione specifica. Le parti possono prevedere contrattualmente una sanzione pecuniaria (cd Clausola Penale) conseguente all’adempimento mancato o non è esatto o non tempestivo, sanzione in tutto o in parte sostitutiva del risarcimento del danno. Il giudice qui può infliggere sanzioni della stessa specie di quelle perseguite dalla clausola penale soltanto se consentite da disposizioni di legge: la legge 69/2009 ha introdotto le Misure di Coercizione Indiretta, prevedendo che il giudice possa fissare su richiesta di parte la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento. Oltre a tale misura, l’ordinamento aggiunge ipotesi di misure coercitive settoriali: la clausola penale prevista dallo statuto dei lavoratori, della proprietà 21 industriale sull’ inibitoria della fabbricazione, sulle associazioni dei consumatori. L’art. 2908 cc stabilisce che nei soli casi previsti dalla legge, il giudice possa costituire modificare o estinguere rapporti giuridici con effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa: le tutele costitutive che sono definite anche tutele tipiche. Occorre distinguere tra tutele costitutive necessarie (hanno per oggetto i diritti sostanziali delle parti) e tutele costitutive non necessarie (gli effetti attraverso di esse conseguibili potrebbero essere raggiunti anche al di fuori del processo indipendentemente dall’opera del giudice). Con le sentenze costitutive-sanzionatorie si esercitano alcuni di quei poteri giurisdizionali di “costituire modificare o estinguere” rapporti sostanziali. Si è attribuito ai provvedimenti in esame la funzione di emulare l’effetto dei diritti potestativi (dalla manifestazione di volontà del soggetto titolare di scinde la produzione di effetti nella sfera giuridica di un altro soggetto). C’è pur sempre bisogno di una decisione giudiziale, i cui effetti costitutivi non derivano dalla realizzazione di un diritto potestativo, del soggetto che ha agito in giudizio, ma alla base delle domande di tutela costitutiva-sanzionatoria vi sono i diritti sostanziali, che nascono dalla violazione di doveri obblighi. Le sentenze costitutive-determinative operano quando la modificazione della realtà giuridica sostanziale disposta dal giudice rappresenta l’alternativa ad un assetto stragiudiziale rimesso alla cooperazione dell’altra parte. Ad una o ad entrambe le parti l’ordinamento riconosce un interesse che rimane insoddisfatto finché l’assetto del nuovo rapporto non si sia compiutamente determinato ricorrendo proprio alla pronunzia costitutiva del giudice. Basti pensare alle numerose ipotesi in cui i rapporti nascenti da contratti hanno oggetti che non sono determinati ma vanno successivamente determinati. Dalla norma che bisogna eseguire il contratto secondo buona fede, discende che le parti hanno l’obbligo di cooperare in buona fede affinché si raggiunga una convergenza sostanziale nell’integrazione oggettiva dell’accordo che esse hanno già concluso. Dunque “se colui che è obbligato a concludere un contratto non adempie l’obbligazione, l’altra parte può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso”-> 2932 cpc. CAP 16: LA FASE INTRODUTTIVA DEL PROCESSO: la fase introduttiva del giudizio di 1 grado si articola nella notificazione dell’atto di citazione e nella costituzione in giudizio delle parti, che avviene attraverso il deposito nella cancelleria del giudice degli atti difensivi iniziali della parte che promuove il giudizio (attore), della parte che resiste (convenuto) e di eventuali terzi chiamati dalle parti. Il giudice rimane estraneo in questa fase ed entra in scena solo dopo che il contraddittorio si è instaurato. L’atto di citazione sancisce l’instaurazione del processo di ordinaria cognizione (modello generale di tutela del nostro sistema di giustizia civile), con il quale l’attore formula la domanda giudiziale chiedendo la tutela del diritto da lui posto a fondamento della stessa domanda. La citazione ha due destinatari: il giudice competente e la parte convenuta. La citazione deve contenere oltre alla vocatio in ius (chiamata in giudizio del convenuto da parte dell’attore), l’editio actionis (gli elementi oggettivi di individuazione della domanda giudiziale petitum e causa petendi), mentre i requisiti dell’atto di citazione sono: l’indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta, le generalità dell’attore e del convenuto, la determinazione della cosa oggetto della domanda e l’esposizione dei fatti, l’indicazione dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi, le generalità del procuratore e l’indicazione della procura, l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione. Nel fissare la data dell’udienza, l’attore deve rispettare il termine a comparire (lo spazio di tempo minimo stabilito dalla legge che deve intercorrere dal giorno in cui il convenuto riceve l’atto di citazione al giorno dell’udienza fissata dall’attore). L’atto di citazione, una volta sottoscritto dal difensore, deve essere notificato al convenuto a cura dell’ufficiale giudiziario. Dalla data di notificazione della citazione decorrono gli effetti sostanziali e processuali della domanda che vanno distinti in due tipologie: effetti disposti dalla legge per dare maggiore efficienza al provvedimento e alla sua forza di tutela; ed effetti disposti in ragione della volontà dell’attore di far valere il diritto contro il convenuto. La mancata, incompleta o erronea 22 dal convenuto all’atto della costituzione in giudizio (diversamente, se la necessità assurge a seguito delle difese svolte dal convenuto, l’attore ha l’onere di chiedere l’autorizzazione al giudice di poter convocare testimoni). Il giudice pronuncia i provvedimenti di riunione di cause (273 e 274 c.p.c.) nell’ipotesi di contemporanea pendenza dinanzi allo stesso giudice di più procedimenti relativi alla stessa causa e nella diversa ipotesi di contemporanea pendenza davanti allo stesso giudice di più procedimenti relativi a cause tra loro legate da un rapporto di connessione. La riunione delle cause non incide sull’autonomia sostanziale delle singole cause riunite. LA FASE DELLA DECISIONE: esaurita la trattazione della causa ed assunte le prove ammesse dal giudice, si passa alla fase della decisione: a seguito dell’introduzione del tribunale in composizione monocratica, il giudice designato si limita semplicemente a rimettere la causa in decisione davanti a se stesso. La causa può essere rimessa secondo 3 ipotesi: rimessioni immediata in decisione della causa ritenuta matura per la decisione, senza bisogno di assunzione di mezzi di prova (quando il giudice ritiene che la causa possa essere subito decisa); rimessioni della causa in decisione per la presenza di una questione di rito o di merito avente carattere assorbente (se il giudice ritiene che è una questione in particolare sia idonea a condurre alla definizione del processo); rimessioni della causa in decisione dopo l’esaurimento della fase istruttoria (segue l’assunzione dei mezzi di prova, normalmente). In tutte le ipotesi di rimessioni della causa in decisione, il giudice deve fissare apposita udienza invitando le parti a precisare le conclusioni da sottoporre all’organo decidente nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi. Al termine dell’udienza di precisazione delle conclusioni, il giudice fissa un termine di 60 giorni per il deposito delle comparse conclusionali e di ulteriori 20 giorni per il deposito delle memorie di replica (atti con i quali le parti riepilogano e discutono le questioni di fatto e di diritto sulla controversia senza poter modificare i thema). Ricordiamo che per alcune tipologie di controversie opera la riserva di collegialità (i poteri di decisione sono attribuiti ancora al tribunale in composizione collegiale): nelle cause nelle quali è obbligatorio l’intervento del pm, alcune cause in materia fallimentare, le cause devolute alle sezioni specializzate, le cause di impugnazione dei testamenti, le cause per responsabilità civile dei magistrati e le cause di classe. Una volta che la causa sia rimessa in decisione davanti al collegio, la sentenza è depositata in cancelleria nel termine di 60 giorni e le parti di norma non compaiono dinanzi all’organo decidente, a meno che il giudice non lo voglia. I giudici che deliberano la sentenza devono essere gli stessi dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni (pena la nullità della sentenza) e la decisione viene deliberata in segreto nella camera di consiglio. Le norme che regolano il procedimento di conclusione dinanzi al tribunale monocratico sono le medesime che disciplinano il procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale: qua può ricorrere una triplice modalità decisorio: decisione a seguito di trattazione scritta (prevede che il giudice dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica e con termine per il deposito della sentenza di 30 giorni); decisione a seguito di trattazione mista (quando una delle parti faccia richiesta di discussione orale della causa); decisione a seguito di trattazione orale (la scelta è operata dal giudice dopo che le parti hanno precisato le rispettive conclusioni, al termine della discussione il giudice dà lettura coinciso esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione depositando la sentenza in cancelleria). All’esito della fase di decisione il giudice può pronunciare diverse tipologie di provvedimenti: ordinanza su questioni relative all’istruzione della causa (significa che il giudice ha ritenuto mancanti i presupposti per l’emissione di qualsiasi provvedimento decisorio), sentenza non definitiva (quando ritenga già accertata la sussistenza di un diritto ma ancora controversa la quantità della prestazione dovuta, si pronuncia la condanna generica alla prestazione), sentenza definitiva (quando decide totalmente il merito accogliendo o respingendo le domande proposte dalle parti, chiude il processo). Fin dal momento della pubblicazione della sentenza di 1 grado, questa è in grado di produrre effetti esecutivi, cioè di consentire l’instaurazione di un procedimento esecutivo per la coattiva realizzazione 25 dell’accertamento contenuto nella sentenza. La cessazione della materia del contendere costituisce una fattispecie di estinzione del processo, contenuta in una sentenza dichiarativa della impossibilità di procedere alla definizione del giudizio per il venir meno dell’interesse delle parti; ne consegue l’inidoneità della sentenza ad acquisire l’efficacia di giudicato sostanziale. L’art.287 cpc consente la possibilità di correggere su istanza di parte le sentenze non revocabili, adopera dello stesso giudice che le ha pronunciate, quando esse presentino omissioni, errori materiali, errori di calcolo. Se tutte le parti concordano nella richiesta di correzione, il giudice provvede con decreto, altrimenti il giudice fissa un’udienza di comparizione e decide con ordinanza. CAP 19: LE VICENDE ANOMALE DEL PROCESSO: nel corso del processo possono verificarsi alcune vicende anomale che comportano l’impossibilità che il processo pervenga al suo risultato normale, cioè la pronuncia della decisione di merito. Il primo di questi fenomeni è la sospensione, che consiste in un arresto provvisorio del processo. Quando bisogna attendere la risoluzione di una questione che può condizionare l’ulteriore corso per via di una questione di giurisdizione che la parte ha devoluto alla cassazione, per via del regolamento di competenza da parte della cassazione, per una questione di legittimità costituzionale o per una questione riguardante la validità o l’interpretazione di una norma comunitaria, si hanno le ipotesi di sospensione impropria in quanto l’iter della causa prosegue in realtà davanti ad un altro giudice. Invece la sospensione propria al luogo in ogni caso in cui il giudice investito della decisione del merito deve risolvere tra le medesime parti una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa oppure su concorde istanza di tutte le parti ove sussistano giustificati motivi. La sospensione necessaria: per pregiudizialità civile, l’art.295 cpc impone che la controversia pregiudicata deve essere sospesa quando la definizione della controversia pregiudiziale costituisce l’indispensabile antecedente dell’altro, il cui accertamento deve avvenire con efficacia di giudicato, purché entrambi i processi pendono tra le medesime parti; tale pregiudizialità-dipendenza da luogo alla sospensione necessaria solo quando le due cause non possono essere decise unitariamente perché pendenti. Per pregiudizialità amministrativa, si discute se possa applicarsi la stessa disciplina prevista per quella civile, la risposta è positiva laddove tali giudizi vertono sui diritti soggettivi; invece si preferisce la risposta negativa allorché si decida su interessi legittimi. Quanto alla pregiudizialità penale, nell’ordinamento attuale manca una norma ad hoc: dunque i giudizi penali non sono mai giuridicamente pregiudiziali rispetto a quelli civili: la sospensione di un processo civile in ragione della pendenza di un processo penale può avere luogo solo quando le disposizioni di legge la prevedono espressamente; dunque il rapporto tra processo civile il processo penale si configura in termini di completa autonomia e separazione. Il provvedimento di sospensione del processo, assume la forma dell’ordinanza non revocabile dal giudice; se con la sospensione non viene fissata l’udienza di prosecuzione del processo, le parti ne chiedono la fissazione entro 3 mesi dalla cessazione della causa di sospensione. Anche l’interruzione del processo costituisce un’ipotesi di arresto provvisorio dell’iter del processo, che si determina quando alcuni eventi colpiscono la parte: morte della persona fisica, perdita della capacità di stare in giudizio di una delle parti, cessazione di tale rappresentanza, fallimento dell’imprenditore. Se questi eventi si verificano prima della costituzione della parte, l’effetto interruttivo è automatico; mentre invece se uno di tali eventi si verifica dopo la costituzione della parte, deve essere il difensore costituito a doverne fare apposita dichiarazione da inserire nel verbale d’udienza e solo allora si avrà l’effetto interruttivo. Gli eventi interruttivi che invece colpiscono il difensore sono: la morte, la radiazione, la cancellazione o la sospensione dall’albo professionale: in questi casi l’effetto interruttivo si verifica dal giorno dell’evento. L’estinzione determina la fine anticipata del processo ed è annoverata come la più grave tra le vicende anomale. Le cause che la determinano sono di due tipi: rinuncia agli atti del processo, quando c’è volontà delle parti ad impedire che il processo pervenga alla sua naturale conclusione; estinzione a seguito dell’inattività delle parti, se dopo la notificazione dell’atto di 26 citazione nessuna delle parti si costituisca, se il giudice abbia ordinato la cancellazione della causa dal ruolo e nessuna delle parti abbia assunto il processo davanti allo stesso giudice nel termine previsto, in caso di mancata rinnovazione dell’atto di citazione nullo entro il termine fissato. L’estinzione opera di diritto ed è dichiarata con ordinanza del giudice monocratico o con sentenza del collegio. Gli effetti : l’estinzione del processo non estingue l’azione (si possono riproporre in un altro giudizio i medesimi elementi in causa) e travolge rendendo inefficaci tutti gli atti processuali compiuti fino a quel momento (a parte se si tratti di prove raccolte nel processo estinto o sentenze di merito pronunciate che regolano la competenza). CAP 20: PROCESSO CONTUMACIALE: la contumacia consiste nella mancata costituzione in giudizio dell’attore o del convenuto entro il termine assegnato dalla legge a ciascuno di essi; si tratta del fenomeno di volontaria diserzione dal processo di una delle parti la quale decide di non partecipare allo svolgimento. La contumacia non consente di per sé al giudice di trarre valutazioni ai fini del giudizio, tuttavia essa può concorrere a formare il convincimento del giudice in sede di valutazione della condotta delle parti. In caso di contumacia dell’attore (quando dopo aver fatto eseguire la notificazione della citazione non si costituisce nel termine alla prima udienza), la prosecuzione del giudizio è subordinata alla richiesta del convenuto, che può astenersene o manifestare interesse alla prosecuzione. In caso di contumacia del convenuto, il giudice verifica se sussista un vizio che comporti la nullità della notificazione della citazione, se questo vizio è rilevato, la notificazione si ripete, mentre in caso di in ottemperanza all’ordine di rinnovazione il giudice dispone la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue. La dichiarazione di contumacia riveste carattere e funzione meramente dichiarativo e non attribuisce di per sé lo status di contumace, che si determina solo con la mancata costituzione in giudizio. La parte contumace può costituirsi in ogni momento del procedimento fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, ma subisce gli effetti delle preclusioni già maturate. Il contumace che si costituisce può chiedere al giudice di essere ammesso a compiere attività che gli sarebbero precluse, dunque può ottenere la rimessioni in termini se dimostra la nullità della citazione. La rimessioni in termini del contumace si svolge con il giudice che effettua una valutazione dei fatti, se questi sono ritenuti verosimili, il giudice ammette la prova dell’impedimento e all’esito di tale prova provvede con ordinanza sulla richiesta di rimessione. La contumacia involontaria è il fenomeno che si verifica quando la decisione di disertare il processo dipende da un vizio di conoscenza del processo che impedisce alla parte di compiere la scelta di costituirsi o meno. CAP 21: LE IMPUGNAZIONI: il termine “impugnazione” identifica sia l’atto processuale di parte, introduttivo di un giudizio di impugnazione, sia l’intera fase del procedimento che si svolge davanti al giudice, diretto a concludersi con un’altra pronuncia, i cui effetti incidono su quelli della decisione oggetto di impugnazione, sovrapponendosi ad essi. Alla base di questa nozione vi è l’esigenza di consentire il riesame della decisione, consentendo alle parti di ottenere un nuovo accertamento sullo stesso diritto fatto valere davanti al giudice di primo grado. Art. 324 cpc: i mezzi di impugnazione ordinari sono il regolamento di competenza, l’appello, il ricorso per cassazione, la revocazione; i mezzi di impugnazione straordinari sono invece la revocazione delle sentenze di merito, la revocazione delle sentenze della corte di cassazione, l’opposizione di terzo. Condizioni dell’impugnazione sono la legittimazione e l’interesse ad impugnare: la legittimazione ad impugnare spetta alle parti che hanno partecipato al precedente grado del giudizio; essa va riconosciuta anche al soggetto rimasto contumace, agli intervenuti, ai terzi chiamati in causa, agli eventuali successori universali, al pm. Inoltre la parte deve avere interesse ad impugnare: questo interesse nasce dalla decisione impugnabile e si correla al contenuto della stessa, cioè alla soccombenza di uno o più parti (soccombenza in senso stretto si fa in ogni caso di difformità tra le conclusioni di una parte e la pronuncia del giudice, in senso lato si fa soccombenza in tutti i casi in cui si lamenta un pregiudizio derivante dalla pronuncia). L’ordinamento ha previsto 2 termini per 27 deposito delle comparse stesse. La decisione può riformare totalmente la sentenza di primo grado, può farlo solo in parte o può rigettare l’appello confermando la sentenza di primo grado. Quando viene accolto l’appello vengono immediatamente meno l’efficacia esecutiva e l’efficacia degli atti dei provvedimenti di esecuzione coattiva della sentenza di primo grado. In alcuni casi il giudice d’appello è obbligato a rimettere la causa al giudice di primo grado: con l’accertamento della sussistenza della giurisdizione negata dal primo giudice, con la dichiarazione di nullità della notificazione dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, con l’accertamento della mancata integrazione del contraddittorio da parte del primo giudice, con l’accertamento dell’errata estromissione di una parte adopera del primo giudice, con la dichiarazione di nullità della sentenza di primo grado per difetto di sottoscrizione del giudice. In tutte queste ipotesi il giudice di appello si limita ad accertare la sussistenza di presupposti per la remissione. CAP 23: IL GIUDIZIO DI CASSAZIONE: la corte di cassazione è l’organo supremo posto dall’ordinamento al vertice della piramide formata funzionalmente dagli organi di giurisdizione ordinaria e speciale, cui spetta il giudizio su ogni violazione di legge e sulla sfera di ogni giurisdizione. Le spetta il compito di controllare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale e il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni . La cassazione non può sindacare direttamente la fase di ricostruzione della fattispecie concreta compiuta dal giudice di merito, ma deve limitarsi a verificare la correttezza dell’applicazione della legge. Inoltre la corte controlla che il giudice del merito non abbia omesso nella motivazione di valutare un fatto decisivo che avrebbe potuto condurre ad una diversa decisione e anche che il procedimento di merito e la sentenza impugnata non siano viziati da nullità. Alla corte è attribuita la funzione nomofilattica di “garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale”. Questa funzione della cassazione si articola in due sotto funzioni ben distinte: da un lato, quella di garantire l’attuazione della legge nel caso concreto, dall’altro quella di fornire indirizzi interpretativi uniformi per mantenere l’unità dell’ordinamento giuridico attraverso una sostanziale uniformazione della giurisprudenza. La corte ha dunque l’esigenza di garantire la certezza del diritto, di delimitare la sfera delle giurisdizioni e di giudicare su ogni violazione di legge compiuta dai giudici di merito. Ricorso straordinario in cassazione: ex art. 111 co7 sono sempre impugnabili in cassazione per violazione di legge i provvedimenti dei giudici ordinari e speciali. Oggi si ritengono idonei ad essere impugnate con tale mezzo le sentenze dichiarate per legge non impugnabili, nonché ogni altro provvedimento avente natura sostanziale di sentenza che abbia le caratteristiche di decisori età e definitività. Ricorso ordinario in cassazione viene proposto entro 30 giorni dalla notificazione della sentenza impugnata e, possono essere impugnate le sentenze definitive pronunciate in grado di appello, le sentenze pronunciate in unico grado e la sentenza pronunziata dal tribunale in primo grado se le parti sono d’accordo per omettere l’appello. Il ricorso per cassazione può essere proposto solo in alcuni casi espressamente previsti dalla legge: motivi attinenti alla giurisdizione, violazione delle norme sulla competenza, violazione o falsa applicazione di norme di diritto, nullità della sentenza o del procedimento (violazione di norme sulla formazione del giudicato, interno o esterno e di ultra petizione), omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (il vizio della motivazione può concernere esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e presuppone che il ricorrente individui il fatto controverso tra le parti in relazione al quale la motivazione si assume commessa e decisivo) . Riserva di ricorso in cassazione: contro le sentenze di condanna generica o ad una provvisionale o contro quelle che decidono una o alcune delle domande senza definire l’intero giudizio, il ricorso per cassazione può essere differito ove la parte soccombente ne faccia riserva entro il termine per la proposizione del ricorso e in ogni caso non oltre la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza. Il ricorso per cassazione deve contenere l’indicazione delle parti, della sentenza o 30 decisione impugnata, l’esposizione sommaria dei fatti della causa, i motivi per i quali si chiede la cassazione, l’indicazione della procura alle liti, l’elencazione del domicilio in Roma, la specifica indicazione degli atti processuali. Tali requisiti sono previsti a pena di inammissibilità del ricorso. A questo va aggiunto che il ricorso, deve essere sottoscritto da avvocato iscritto nell’apposito albo, munito di procura speciale. Il principio dell’autosufficienza sta ad indicare l’idoneità del motivo di ricorso a consentire di per sé alla corte il controllo di legittimità del provvedimento impugnato sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto alle cui lacune non è possibile sopperire con ricerche o indagini. La porta nei confronti di cui è proposto il ricorso si intende chiederne il rigetto, deve far notificare un controricorso al ricorrente, depositarlo nella cancelleria della corte entro 20 giorni dalla notificazione. Se il contro ricorrente intende impugnare a sua volta la sentenza deve farlo proponendo ricorso incidentale: con ricorso incidentale condizionato, la parte subordina all’esame del proprio ricorso incidentale all’accoglimento del ricorso principale mentre il ricorso incidentale ordinario è proponibile dalla parte vittoriosa nel merito la quale abbia interesse a sottoporre questioni preliminari o pregiudiziali giudicate come sfavorevoli alla corte. La corte di cassazione pronuncia a sezioni unite nei casi di un conflitto di giurisdizione e sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni semplici, a sezione semplice in tutti gli altri casi. L’art. 360 bis introduce 2 cause di inammissibilità del ricorso: quando è manifestatamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo: sono considerate ammissibili soltanto le censure che denunciano la violazione dei principi regolatori del giusto processo. Nell’attuale formulazione si prevede che tutti i ricorsi in cassazione passino al vaglio di un’ apposita sezione (sezione filtro), di nuova istituzione, la quale sarà chiamata a valutare se sussistono le condizioni per dichiararli. Il procedimento ordinario si svolge previa fissazione della pubblica udienza davanti alle sezioni unite o alla sezione semplice cui è stato assegnato il ricorso e nomina del consigliere relatore da parte del primo presidente o del presidente della sezione. All’udienza le parti svolgono le rispettive difese orali e subito dopo il p.m. espone le proprie conclusioni motivate. Dopo la discussione, la corte delibera la sentenza in camera di consiglio. La cassazione può in primis dichiarare inammissibile il ricorso per assenza di motivi di cui all’articolo 360, per le ragioni di cui all’articolo 360 bis, per mancato rispetto del principio di autosufficienza (il ricorso è stato proposto fuori termine) può dichiararlo improcedibile O inammissibile e può decidere sulla giurisdizione e sulla competenza. La traslatio iudicii consiste nel trasferimento del processo dal giudice incompetente a quello competente: la causa deve essere riassunta dinanzi al giudice competente nel termine fissato nella pronuncia dichiarativa dell’incompetenza (o sei mesi dalla comunicazione di questa). Trattandosi dello stesso processo che continua davanti al nuovo giudice, si conserveranno gli effetti processuali e sostanziali della domanda e saranno utilizzabili gli elementi probatori raccolti medio tempore. Quando la corte accoglie il ricorso per motivi diversi dalla giurisdizione o della competenza, essa deve: rinviare la causa ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, enunciare il principio di diritto al quale il giudice di rinvio deve uniformarsi, se riscontra una nullità del giudizio di primo grado deve rinviare la causa alla corte d’appello. Accade che la pronuncia della cassazione si configuri come definitiva e blocchi la prosecuzione del processo, stante l’impossibilità di giungere a una pronuncia di merito: si tratta dei casi in cui il ricorso viene accolto senza rinvio. Si parla di quei casi in cui viene verificato un difetto di giurisdizione, quando ha ritenuto che la causa non poteva essere proposta o nel caso in cui il processo non poteva essere proseguito davanti al giudice di merito. Può accadere che la cassazione rilevi d’ufficio una questione che ritiene di porre a fondamento della sua decisione: in questa ipotesi a garanzia del contraddittorio la corte deve riservare la decisione al pm. La corte, se rigetta il ricorso condanna il ricorrente alle spese. Se vi è cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, la corte provvede alle spese di tutti i precedenti giudizi. La parte può rinunciare al ricorso principale o incidentale 31 finché non ci sia cominciata relazione all’udienza o sia stata notificata la richiesta di decisione in camera di consiglio: decorsi tali termini, la cassazione si pronuncia sul ricorso proposto anche se le parti non si presentano all’udienza. Nelle sentenze della corte, possono essere corretti gli errori materiali e di calcolo. Il giudizio di rinvio è un procedimento “chiuso”, tendente ad una nuova pronuncia in sostituzione di quella cassata, non solo qui è inibito alle parti di ampliare il thema decidendum, ma operano le preclusioni che derivano dal giudicato implicito formatosi con la sentenza di cassazione, con la conseguenza che neppure le questioni esaminabili di ufficio, non rilevate dalla corte suprema, possono in sede di rinvio essere dedotte o esaminate, giacché il loro esame tende a porre nel nulla o a limitare gli effetti della stessa sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della sua intangibilità. CAP 24: REVOCAZIONE ED OPPOSIZIONE DI TERZO: dopo l’appello e la cassazione, il c.p.c. prevede altri 2 mezzi di impugnazione: la revocazione e l’opposizione di terzo. La revocazione è un mezzo di impugnazione a critica vincolata attraverso il quale l’ordinamento, in presenza di particolari motivi di censura, consente di riproporre il medesimo oggetto del giudizio davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. La revocazione può essere proposta contro le sentenze pronunciate in grado d’appello, in un unico grado e contro le sentenze passate già in giudicato. Costituiscono motivi di revocazione i cd motivi palesi (rev. ordinaria, sono già conoscibili al momento della pubblicazione della decisione, devono essere fatti valere negli stessi termini delle impugnazioni ordinarie) e i cd motivi occulti (che danno accesso alla revocazione straordinaria e possono essere fatti valere anche successivamente al passaggio in giudicato). La revocazione ordinaria è proponibile per errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa e per contrarietà della sentenza con un’altra precedente avente tra le parti autorità di giudicato. Mentre i motivi di revocazione straordinaria sono il dolo di una delle parti in danno dell’altro, la falsità delle prove, il reperimento di documenti decisivi non prodotti in giudizio, il dolo del giudice. L’opposizione di terzo è un mezzo di impugnazione che l’ordinamento mette a disposizione soltanto di taluni soggetti i quali, non avendo partecipato al giudizio all’esito del quale la sentenza è stata pronunciata, subiscono comunque un pregiudizio ad un proprio diritto. Devono sempre essere soggetti che non hanno mai acquistato la qualità di parte nel processo; abbiamo 2 tipi di opposizione di terzo: ordinaria, i terzi che sono stati pregiudicati nei loro diritti da una sentenza che può essere da essi opposta in ogni tempo; revocatoria consente agli aventi causa e i creditori di una delle parti di proporre opposizione quando la sentenza pronunciata e effetto di dolo o collusione alloro danno. Il procedimento di opposizione di terzo si propone davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e l’atto introduttivo deve contenere anche l’indicazione della sentenza impugnata, l’indicazione del giorno in cui il terzo è venuto a conoscenza del dolo e la relativa prova. La legge prevede alcune particolarissime ipotesi in cui anche la decisione della cassazione è impugnabile, ciò può avvenire: con revocazione per errore di fatto in tutti i casi in cui la cassazione pronuncia sentenza affetta da errore di fatto revocatorio fondata sull’asserita mancanza della notifica del ricorso per cassazione; con revocazione dell’art. 395 c.p.c. o con opposizione di terzo. CAP 25: I PROCESSI DAVANTI AL GIUDICE DI PACE: il procedimento davanti al giudice di pace è un rito speciale di cognizione ordinaria, in quanto è finalizzato a conseguire l’accertamento pieno all’esito di un percorso procedimentale che per caratteristiche soggettive e oggettive è più semplice rispetto al modello generale costituito dal processo dinanzi al tribunale. L’assenza di rigide preclusioni negli atti introduttivi e la maggiore elasticità e semplicità delle forme procedurali concorrono a creare un procedimento ad hoc capace di adeguarsi di volta in volta al grado di maggiore o minore complessità della causa. Nei giudizi il cui valore non eccede 1100 € le parti possono stare in giudizio personalmente, ma ciò può accadere lo stesso anche oltre quella somma, 32 parti assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell'udienza. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell'udienza, deve essere notificato al convenuto a cura dell'attore. Il convenuto si costituisce mediante deposito della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. Se il convenuto intende chiamare un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere lo spostamento dell'udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma. Procedimento: alla prima udienza il giudice se rileva che per la domanda principale o per la domanda riconvenzionale non ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell'articolo 281-de-cies, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario fissando l'udienza di cui all'articolo 183, rispetto alla quale decorrono i termini previsti dall'articolo 171-ter. Nello stesso modo procede quando, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria, ritiene che la causa debba essere trattata con il rito ordinario. Entro la stessa udienza l'attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Il giudice, se lo autorizza, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. Alla stessa udienza, a pena di decadenza, le parti possono proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti. Se non provvede ai sensi del secondo e del quarto comma e non ritiene la causa matura per la decisione il giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione. Decisione: il giudice quando rimette la causa in decisione procede a norma dell'articolo 281-sexies. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, procede a norma dell'articolo 275- bis. La sentenza è impugnabile nei modi ordinari. Anche i procedimenti di separazione personale tra coniugi e di divorzio si possono annoverare nell’ambito dei processi speciali di cognizione ordinaria: la separazione consensuale , basandosi sull’accordo tra i coniugi, non dà vita ad un giudizio di tipo contenzioso pertanto è introdotto con ricorso al tribunale, il presidente sente entrambi i coniugi nel giorno da lui stabilito e dà atto nel processo verbale del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni riguardanti ad essa. La separazione giudiziale invece, avendo ad oggetto il disaccordo, può essere accompagnata da un ulteriore accertamento che riguarda a quale dei coniugi si debba addebitare la separazione in relazione ad eventuali comportamenti contrari ai doveri del matrimonio. La domanda di separazione si propone con ricorso, che deve contenere l’esposizione dei fatti sui quali la domanda è fondata e indicare l’esistenza di figli. I coniugi devono comparire alla prima udienza personalmente davanti al presidente con l’assistenza del difensore, nel corso dell’udienza il presidente sente i coniugi prima separatamente e poi congiuntamente, tentandone la conciliazione; se non riesce il presidente da ordinanza con i provvedimenti temporanei ed urgenti, nomina il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione trattazione davanti a lui. Essa ha carattere provvisorio, opera fino a quando la sentenza che pronuncia la separazione non avrà effetto definitivo. Con la stessa ordinanza il presidente assegna al ricorrente il termine per il deposito in cancelleria di una memoria integrativa. Il presidente poi assegna un termine al coniuge convenuto per la costituzione in giudizio e per la proposizione delle eccezioni che non siano rilevabili d’ufficio. Terminata la fase istruttoria, il giudice istruttore rimette la causa alla decisione del collegio. Quando il processo continua per la decisione sulla domanda di addebito per l’affidamento dei figli o per questioni economiche, il giudice può rimettere la causa al collegio; pronunciata la separazione, le parti possono sempre chiedere la modificazione dei provvedimenti 35 riguardanti i coniugi e la prole conseguenti alla separazione. Il divorzio invece può essere chiesto anche quando è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi e la separazione si è protratta ininterrottamente da almeno tre o sei mesi. Il processo per dichiarazione di fallimento ha natura volontaria e non contenziosa, non avendo ad oggetto l’accertamento di un diritto soggettivo. La sentenza tuttavia, incide sui diritti ed è impugnabile con il reclamo, che introduce un processo a cognizione piena in unico grado. L’art. 140 bis del codice del consumo reca la disciplina dell’azione di classe, cioè uno strumento generale di tutela dei diritti dei consumatori e degli utenti che siano titolari di diritto di identico contenuto. Con questa si introduce un processo con carattere di specialità di ordinaria cognizione. Tale processo ha come oggetto l’accertamento della responsabilità dell’impresa e la condanna al risarcimento del danno ed alle restituzioni in favore degli utenti consumatori. La domanda si propone con atto di citazione notificato anche all’ufficio del pm presso il tribunale adito e la legittimazione ad agire spetta sia a ciascun consumatore sia alle assicurazioni cui il consumatore o utente può dare mandato, sia ai comitati cui egli partecipa; la legittimazione passiva è l’impresa. Il processo si articola in 3 fasi: la prima è quella della verifica dell’ammissibilità dell’azione, in caso di omissione dell’azione si passa alla seconda fase, quella della trattazione dell’istruttoria (essa è governata da quanto disposto con l’ordinanza ammissiva dell’azione, Nella quale il tribunale determina il corso della procedura), esaurita la fase dell’istruttoria, si passa alla fase della decisione. Se accoglie la domanda, il tribunale, pronuncia la sentenza di condanna con cui liquida direttamente le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione stabilendo il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione in successivi separati processi. CAP 30: IL GIUDICATO: l’efficacia della sentenza si produce quando essa passa in giudicato formale, cioè quando la sentenza non è più soggetta nel regolamento di competenza, né ad appello, né a cassazione, ne a revocazione. Prima del passaggio in giudicato formale la sentenza produce effetti provvisoriamente vincolanti. Ad acquisire la normale efficacia, cioè quella di giudicato sostanziale, sono le sentenze di merito che accolgono o respingono l’unica domanda e quelle che decidono eccezioni in senso stretto. La cosa giudicata sostanziale il farro stato ad ogni effetto dell’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato formale nei confronti delle parti, dei loro eredi o aventi causa. L’efficacia di accertamento è quella che opera dando certezza a rapporti giuridici con l’enunciare sulla loro essenza un giudizio stabilmente vincolante che si impone ai soggetti in modo da rendere giuridicamente irrilevante ogni affermazione o pretesa. Occorre distinguere: giudicato esterno (quello che si forma tra le stesse parti, all’esito di un processo diverso da quello in cui viene eccepito ho rilevato) e giudicato interno (quello che si è prodotto nello stesso processo, in conseguenza o di impugnazione parziale o di mancata o concluso impugnazione di una sentenza non definitiva; esso determina la preclusione del relativo esame in sede di impugnazione). I limiti soggettivi del giudicato sono rappresentati dal fatto che, benché la cosa giudicata vada riconosciuta da tutti, i suoi effetti si estendono unicamente alle parti del giudizio (ad ogni effetto, anche rispetto a relazioni giuridiche diverse dal rapporto su cui verte il provvedimento, le parti non possono contestare l’accertamento e debbono servirsene o subirlo così com’è.), ai loro eredi e agli aventi causa senza potersi estendere anche ai terzi (a parte le cose in cui la cosa giudicata è, nei limiti del suo oggetto, la legge del caso concreto, infatti la circostanza che un terzo si giovi del giudicato di altri soggetti non comprime le garanzie di azione e di difesa riconosciute alle parti del processo concluso con il provvedimento passato in giudicato). Vi sono tuttavia casi in cui l’attuazione della sentenza tra i soggetti, che essa investe direttamente, lede diritti di terzi sottraendo loro l’oggetto di tali diritti. Questi terzi, possono agire autonomamente in via di accertamento o di rivendica il proporre intervento principale nel processo. Vi sono inoltre terzi che possono essere lesi per il fatto che l’esecuzione della sentenza sottragga loro prestazioni a cui hanno diritto: questi potranno esprimere il rimedio dell’opposizione revocatoria che riconosce 36 agli aventi causa e i creditori di una delle parti il diritto di fare opposizione alla sentenza quando questa sia effetto di dolo o collusione alloro danno. I limiti oggettivi del giudicato sono quelli che riguardano la causa petendi e l’oggetto della sentenza. In sostanza il giudicato si forma soltanto su tale oggetto e non anche sulle questioni affrontate in via puramente incidentale. Per la determinazione dei limiti oggettivi della cosa giudicata, bisogna distinguere tra: pregiudizialità tecnica (ricorre quando vi sia un rapporto sostanziale tra il rapporto per giudicante il rapporto pregiudicato, in virtù del quale l’esistenza o l’inesistenza di un diritto o di uno Stato dipendono dall’esistenza o dell’inesistenza di un altro rapporto giuridico sostanziale) e pregiudizialità logica (quando non si tratta di rapporti diversi, ma di relazioni tra un singolo diritto ed il rapporto giuridico complessivo da cui esso trae origine). Oggi si ritiene che il giudicato esterno sia rilevabile anche d’ufficio, essendo nella cosa giudicata la norma del caso concreto che il giudice è tenuto ad applicare. L’efficacia panprocessuale delle sentenze (vincolante per tutti i futuri giudici della medesima domanda) è innegabile per le decisioni pronunciate dalla corte di cassazione sul regolamento di competenza: tutte le sentenze di cassazione conservano, in ogni processo nuovo instaurato con la riproposizione della medesima domanda, la medesima efficacia vincolante chiami quando nel processo estinto. Questo vale per tutti i processi in quanto la corte statuisce su norme ben precise quando decide e poiché l’ordinamento vuole conservare gli effetti dell’accertamento che la corte di cassazione è chiamato a pronunciare in tema di competenza di giurisdizione. L’estinzione del processo rende inefficaci le sentenze non definitive passate in giudicato formale che non decidono domande in merito, fermo restando che l’estinzione del giudizio non estingue l’azione e consente pertanto la riproposizione della medesima domanda.si può enunciare la regola che le decisioni in discorso non sono vincolanti nel nuovo processo, ma a queste vanno equiparate quelle in tema di competenza e di giurisdizione, anche se travolti dall’estinzione del processo nel corso del quale sono pronunciate. 37