Scarica Psicologia generale - Anolli; Legrenzi e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! Psicologia Generale - L.Anolli e P. Legrenzi Origini e sviluppi della psicologia scientifica La psicologia ingenua è quella forma di psicologia che utilizziamo tutti i giorni per risolvere in maniera più o meno veloce ed efficace i problemi e le situazioni che ci troviamo dinanzi. Da essa si fonda di conseguenza una psicologia scientifica, basata su di una ricerca approfondita e sulla sperimentazione. Si ha quindi che entrambe le psicologie affrontano le opportunità e i vincoli della vita cui andiamo incontro, ma le trattano in maniera differente a seconda specialmente della nostra esperienza, sia filogenetica sia ontogenetica. PSICOLOGIA INGENUA E PSICOLOGIA SCIENTIFICA Presupposti evolutivi della psicologia: Si inizia ad usare il simbolo, inteso come un’entità che ne rappresenta altre a livello mentale. Questa capacità simbolica e l’inizio della linguistica (che si innestano su capacità non verbali) consentono all’uomo di divenire una specie psicologica, in grado di riflettere in termini mentali. Con l’avvento dell’agricoltura l’uomo si stanzia nei luoghi, smette di essere nomade. Si creano di conseguenza le prime forme di civiltà. Si è creata dunque una sorta di cassetta degli attrezzi mentali (pensiero, coscienza, comunicazione, elevata socialità, valori ecc..) tuttora validi ed in uso. È la configurazione base della psicologia e rappresenta la nascita della cultura. Esperienza, psicologia del senso comune e scienze psicologiche: L’esperienza è intesa come la totalità delle singole esperienze, cioè quel raggruppamento di conoscenze esplicite ed implicite, accumulate nel corso del tempo tramite il coinvolgimento personale nelle azioni o l’imitazione dei comportamenti altrui. L’esperienza è essenziale, utile per prendere decisioni o agire in maniera efficace in una data situazione. Dall’esperienza nasce di conseguenza la psicologia del senso comune o psicologia ingenua, che ci permette di utilizzare l’esperienza stessa per cercare di comprendere e interpretare i comportamenti nostri e altrui in base al ragionamento pratico. Si evince però che la psicologia ingenua è inattendibile dal punto di vista scientifico, poiché priva di metodo sperimentale e/o spiegazioni plausibili e dimostrate. Dunque è la mancanza di controllo che dimostra la differenza tra psicologia ingenua e scientifica. La psicologia scientifica, come ogni altra scienza, presenta un carattere di contingenza, cioè un proseguo delle conoscenze della psicologia ingenua. I criteri scientifici da essa ammessi valgono per tutti gli studiosi di tale materia: è necessario dare la possibilità a qualunque scienziato di verificare i dati raccolti da altri scienziati, in modo che le teorie precedenti possano essere confutate o meno. Questa divulgazione scientifica è il vero distacco tra i due tipi di psicologie. Presupposti moderni per la comparsa della psicologia scientifica: Nel 1700 Christian Wolff distinse la psicologia razionale da quella empirica. La prima di natura filosofica, basata su riflessioni teoriche, la seconda naturalistica, fondata sul metodo dell’osservazione, la base per l’attuale psicologia scientifica. Si passa poi dal razionalismo, inteso come quel primato della ragione sul corpo, all’empirismo, che consente di studiare la mente come un insieme di facoltà. Si arrivò alla teoria dell’arco riflesso (connessione fra sensazioni e movimenti) e in seguito alla frenologia, secondo cui le varie funzioni mentali dipendono da aree ben definite del cervello. Ma taluni, come Kant, mossero critiche su questi metodi di ricerca, poiché la mente rimaneva qualcosa non misurabile con la matematica, quindi non poteva rientrare nella categoria di “studi scientifici”. Si iniziarono dunque a fare misurazioni temporali di tempi di reazione del cervello sotto vari stimoli; nasce la cronometria mentale, che portò alla psicofisica odierna, grazie al quale si studiano le corrispondenze tra stimoli fisici e risposte psichiche. NASCITA DELLA PSICOLOGIA SCIENTIFICA Si fa coincidere la data di esordio della psicologia scientifica con la fondazione del laboratorio sperimentale a Lipsia da parte di Wilhelm Wundt nel 1879. Wilhelm Wundt e lo strutturalismo: Per Wundt oggetto della psicologia è l’esperienza immediata che differisce dall’esperienza mediata dalle altre scienze naturali, che ricorrono a strumenti di mediazione per lo studio della stessa. Per contro la psicologia non ha necessità di ricorrere a questi strumenti, poiché lo studio può essere effettuato direttamente dal soggetto tramite l’introspezione, cioè quella capacità di accertare l’avvenimento di una data esperienza, sia essa interna che esterna. Questo metodo non è esente da difficoltà: a causa dello spostamento di attenzione dall’avvenimento accaduto all’introspezione stessa è possibile che alcuni dati vengano distorti o persi. Wundt dunque comprende che la chiave è la variazione tra un atto di introspezione e un altro comparabile e non il contenuto stesso dell’introspezione. Grazie a questo elaborò una teoria complessa in cui distinse: la percezione: sensazioni immediate così come si presentano in coscienza; la appercezione: organizzazione delle sensazioni così come si presentano in coscienza; la volontà di reazione: intervento della volontà per produrre azioni congrue con gli stimoli. La scuola di Lipsia fallì miserabilmente; negli annali verrà chiamato Strutturalismo questo metodo di ricerca di Wundt, atto a rilevare le strutture della mente umana. Evoluzionismo e Funzionalismo: Secondo il Funzionalismo, coniato da Titchner (allievo di Wundt), la psicologia è lo studio dell’attività mentale tutta (percezione, memoria, apprendimento, emozioni, ecc.) come via per adattarsi all’ambiente in modo adattivo. Il funzionalismo si occupa di verificare come opera un processo mentale e non che struttura presenta. Con esso si comprese che non è possibile comprendere la struttura della coscienza con il solo atto dell’introspezione. Con Evoluzionismo intendiamo il proseguo del lavoro di Darwin e il suo darwinismo. Secondo la sua teoria dell’evoluzione vi è una discendenza comune di tutti gli organismi e una selezione naturale secondo cui solo gli individui capaci a evolversi in determinati ambienti sopravvivono. Con la Sintesi moderna o Neodarwinismo si arriva ad una concezione di sopravvivenza (fitness) più elaborata. A parità di condizioni si riproduce di più (fitness assoluta) e sopravvive più a lungo (fitness relativa) una popolazione con un grado di fitness superiore alle altre. Gould elaborò il modello degli equilibri punteggiati, confutando la precedente teoria che l’evoluzione avvenisse tramite lenti e graduali cambiamenti; per la nuova teoria invece l’evoluzione avviene in balzi improvvisi derivanti da cambiamenti bruschi di condizioni esterne varie. Questi salti evolutivi implicano l’exaptation: una struttura biologica destinata ad una certa funzione inizia a svolgerne un’altra mantenendo la principale. Nei primi anni del Duemila venne proposta la Sintesi estesa; questa introduce tra i vari concetti, tre idee madri. Il modello evo-devo (evolutionary developmental biology) studia la relazione tra lo sviluppo embrionale e fetale di un organismo (ontogenesi) e l’evoluzione della sua popolazione di appartenenza (filogenesi). Con la costruzione di una nicchia si vuole dimostrare quanto la selezione naturale venga influenzata a seconda dei cambiamenti del proprio habitat che un organismo compie consciamente per aumentare le probabilità di sopravvivenza. Infine con l’evolvibilità si vuole dimostrare non solo che siamo il frutto delle specie più adatte alla sopravvivenza, ma anche quelle specie che si sono dimostrate più disponibili ad evolvere. REAZIONI ALLO STRUTTURALISMO IN EUROPA E NEGLI USA Brentano costituisce in antitesi allo strutturalismo la psicologia dell’atto, constatando che la mente è costituita da atti dotati di intenzionalità. Dicendo ad esempio “vedo un cerchio rosso” non è importante il contenuto (cerchio) bensì l’atto di vedere. Da qui si arriva alla in-esistenza intenzionale, cioè il fatto che il contenuto sia necessariamente posto in funzione dell’atto. Le idee di Brentano trovano evoluzione nella scuola di Graz. La scuola della Gestalt, fondata da Wertheimer a Berlino nel 1912, si occupa principalmente ai processi cognitivi, specialmente alla percezione e al pensiero. Uno dei principi è “il tutto è più della somma delle singole parti”, poiché percepiamo molto di più di quanto gli stimoli ci presentano. Da qui gli studi psicologici sulla percezione delle figure geometriche. Ciò che contraddistinse la Gestalt fu l’utilizzo del metodo fenomenologico, che consiste nel definire il campo percettivo in cui il soggetto si trova e nel rilevare ciò che in esso gli appare (fenomeno). Per PERCEZIONE Attraverso quello che definiamo realismo ingenuo, si crede che ciò che noi percepiamo sia esattamente ciò che esiste nella realtà che ci circonda; è vero invece il contrario, cioè che noi conosciamo la realtà fenomenica, quella che appare a noi. 1. Assenza dell’oggetto fenomenico: in alcune situazione non vediamo ciò che esiste nella realtà. 2. Assenza dell’oggetto fisico: in alcune situazioni vediamo ciò che non esiste nella realtà. 3. Presenza di stimoli ambigui o reversibili: vediamo in un unico oggetto più figure. 4. Presenza di figure paradossali: vediamo ciò che non può esistere nella realtà. 5. Illusioni ottico-geometriche: vediamo cose differenti da quelle che esistono. Il passaggio dunque dalle sensazioni ai percetti è il risultato di una sequenza di mediazioni fisiche, fisiologiche e psicologiche, nota come catena psicofisica. Questa catena è dunque costituita dalle stimolazioni distali (le radiazioni che vengono percepite dagli organi di senso) che scatenano reazioni negli apparati percettivi, causando stimolazioni prossimali. L’elaborazione di questi dati, per via appunto psico-fisico-fisiologica costituisce una serie di mappe topografiche, cioè quella disposizione neuronale nel cervello. La percezione può essere intesa come l’organizzazione immediata, dinamica e significativa delle informazioni sensoriali. I flussi di processi che portano alla percezione sono due e vengono detti dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. 1. I processi dal basso verso l’alto sono niente meno che le informazioni sensoriali che recepiamo, necessarie per lo sviluppo di una percezione ma non esaustive, poiché per loro natura sono disperse e caotiche. 2. I processi dall’alto verso il basso sviluppano le informazioni sensoriali tramite le conoscenze della memoria, le credenze, le aspettative e gli scopi della nostra condotta. Si evince che la conoscenza influenzi i processi di percezione. Una prova empirica di questi processi è l’attività di riconoscimento degli oggetti, poiché grazie alla memoria possiamo: 1. Confrontare le singole parti di un oggetto con quello standard (prototipo immagazzinato a memoria), considerando l’oggetto nella sua totalità; 2. Individuare esclusivamente le caratteristiche salienti e discriminanti di un oggetto, assegnando una funzione selettiva in base alla nostra conoscenza (se ad esempio percepisco un oggetto provvisto di lama, a prescindere dalla forma, saprò che la sua funzione è quella di tagliare). Teoria empiristica: secondo Helmholtz (1876) i dati sensoriali costituiscono un mosaico di sensazioni elementari che vengono integrate e sintetizzate grazie ai processi di associazione e dell’esperienza. Nell’adulto il procedimento è pressoché automatico, poiché agisce sotto forma di inferenza inconscia. Scuola della Gestalt: si oppose al principio empiristico constatando che l’esperienza ha un valore secondario. Secondo i gestaltisti la percezione non è preceduta da sensazioni, ma è un processo primario e immediato. Il campo percettivo di organizza attraverso la distribuzione dinamica delle forze generate dai vari aspetti dell’oggetto. Di seguito, queste forze vengono unificate tramite i principi di unificazione, costituendo una totalità coerente e strutturata. Movimento del New Look: è una prospettiva funzionalista, poiché pone in evidenza le funzioni della percezione. Secondo questo movimento la percezione dipende anche da fattori mentali come bisogni, aspettative, emozioni ecc. quando il soggetto percepisce uno stimolo dunque compie un’operazione di categorizzazione: a partire da certi indizi provvede all’identificazione dello stimolo stesso. Secondo la teoria ecologica di Gisbon invece la percezione non è una rielaborazione di informazioni percettive attraverso processi cognitivi né un’integrazione con l’apporto di altre fonti, bensì un semplice insieme di informazioni ecologiche collocato in determinati spazi-temporali che deve essere colto dall’individuo. PRINCIPALI FENOMENI PERCETTIVI DELLA VISIONE La percezione visiva è possibile grazie alla presenza di radiazioni luminose sia dell’informazione ottica proveniente dall’ambiente (insieme delle disomogeneità e dislivelli presenti nell’ambiente della distribuzione della luce). Con l’articolazione figura-sfondo Rubin (1915) ha posto in evidenza che non esiste figura se non c’è sfondo, poiché il rapporto figura-sfondo implica un’interdipendenza intrinseca fra stimolo e contesto. Percepiamo dunque gli oggetti non in assoluto, ma sempre in quanto immersi in un contesto immediato. Diversi sono i fattori che contribuiscono all’articolazione percezione figura-sfondo: 1. Inclusione: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione inclusa nel contesto; 2. Convessità: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione convessa rispetto a quella concava; 3. Area relativa: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione di area minore; 4. Orientamento: a parità delle altre condizioni, diventa figura la regione i cui assi sono orientati secondo le direzioni principali dello spazio percettivo. Quando questi fattori non intervengono, si creano le condizioni per ottenere le cosiddette figure reversibili, figure in cui si ha un’inversione tra sfondo e figura. Un altro esempio di articolazione figura-sfondo è il già citato effetto Kanizsa; le figure da lui ideate hanno contorni anomali, “quasi percettivi” e si basano sulla composizione dello sfondo. Se tale composizione viene cambiata e distorta otterremo un esito diverso. Tendiamo inoltre, secondo la segmentazione del campo visivo, a organizzare gli elementi singoli e/o discreti in un’unica unità. A tal proposito Wertheimer pose in evidenza alcuni principi fondamentali: 1. Vicinanza: a parità delle altre condizioni, si unificano gli elementi vicini; 2. Somiglianza: a parità delle altre condizioni si unificano gli elementi simili; 3. Destino comune: a parità delle altre condizioni si unificano gli elementi che condividono lo stesso tipo e la stessa direzione di movimento; 4. Buona direzione: a parità delle altre condizioni si unificano gli elementi che presentano continuità di direzione; 5. Chiusura: a parità delle altre condizioni vengono percepiti come unità gli elementi che tendono a chiudersi fra loro; 6. Pregnanza: sono preferite le configurazioni più semplici, regolari, simmetriche. Si evince che l’articolazione degli elementi in unità percettive non dipende dalla qualità possedute dai singoli elementi, bensì dall’organizzazione totale della configurazione degli elementi (seguendo la proprietà del tutto, secondo cui il tutto è maggiore della somma dei singoli elementi). Per quanto riguarda la percezione della profondità i procedimenti sono molteplici e ne facciamo uso in maniera più o meno istintiva. Uno di questi è la disparazione binoculare, mediante la quale, secondo meccanismi puramente fisiologici (come la funzione degli emicampi o l’accomodamento del cristallino) la profondità viene percepita in maniera coerente. Anche importanti indizi monoculari possono farci comprendere come avvenga la percezione delle profondità, come il gradiente di densità delle microstrutture sulla retina, che varia in funzione del tipo di superficie che osserviamo. Vi sono anche indizi pittorici di profondità, utilizzati dagli artisti per incrementare il senso di profondità in un’opera essenzialmente 2d, come il chiaroscuro o la sovrapposizione di un oggetto rispetto ad un altro. La parallasse del movimento ci fa comprendere la distanza e profondità: quando muoviamo la testa in una direzione gli oggetti percepiti si muovono in direzione opposta sulla retina e ci accorgiamo della profondità perché più l’oggetto è vicino più si muove velocemente. Le costanze percettive sono processi in base ai quali gli individui percepiscono gli oggetti nel mondo circostante come dotati di invarianza e stabilità pur al continuo variare delle stimolazioni prossimali. Secondo la legge di Euclide, la grandezza dell’immagine retinica è inversamente proporzionale alla distanza dell’oggetto dall’occhio; seppur vera questa legge, continuiamo a percepire gli oggetti lontani come dotati di una grandezza relativamente simile a quella con cui li percepiamo quando sono vicini. È il fenomeno della costanza di grandezza e avviene perché gli oggetti sono posti in un contesto che genera schemi di riferimento e in una scala costante della distanza. La costanza di grandezza è una proprietà del campo percettivo ed è generata dalla relazione fra l’oggetto e il contesto immediato. La costanza di forma è una proprietà di campo più che una proprietà degli stimoli in sé. La costanza di forma è la tendenza ad attribuire agli oggetti la medesima forma, nonostante la varietà di forme che essi proiettano nel tempo sulla retina. Grazie alla prospettiva lineare e al gradiente di densità microstrutturale è possibile spiegare questa costanza: pur con inclinazioni diverse, l’oggetto contiene il medesimo numero di elementi nelle diverse posizioni. La costanza cromatica, secondo cui gli oggetti dell’ambiente hanno un colore stabile, per quanto grandi possano essere le variazioni dell’illuminazione. Percezione di movimento: la percezione del movimento reale consiste nella capacità di cogliere nel tempo gli spostamenti reali di un oggetto lungo una specifica traiettoria rispetto ad altri oggetti che restano immobili nello spazio percepito. Il movimento indotto confuta la teoria del movimento reale perché se prendiamo un rettangolo, all’interno del quale si trova un punto luminoso, e lo stesso è spostato in una determinata traiettoria, sarà invece il puntino ad essere percepito in movimento nella direzione opposta. Il movimento apparente consiste nella percezione di oggetti in movimento a partire da stimoli statici presenti a intervalli regolari nel tempo. Questa percezione di movimento è data dall’organizzazione temporale nella successione di stimoli statici; se questo ritmo è abbastanza rapido, emerge il fenomeno del movimento apparente (se ad esempio proietto una serie di punti vicini l’uno all’altro in una determinata direzione, a seconda della velocità percepirò o diversi punti in movimento o una linea retta in movimento). Col movimento autocinetico sappiamo invece che, privi di ogni sistema di riferimento, siamo incapaci di mantenere a lungo la traccia dell’esatta direzione verso cui si guarda. Se osserviamo ad esempio un punto luminoso in una stanza totalmente buia, il movimento oculare e quindi lo spostamento della percezione del punto luminoso sulla retina ci ingannerà, facendoci credere che sia il punto luminoso stesso a muoversi. Per neutralizzare questo effetto è sufficiente introdurre un altro punto luminoso o alternare la sua comparsa/scomparsa (come nei fari marittimi). ATTENZIONE, COSCIENZA, AZIONE Attenzione . L’attenzione è l’insieme dei dispositivi che consentono di: a- Orientare le risorse mentali disponibili verso gli oggetti e gli eventi; b- Ricercare e individuare in modo selettivo le informazioni per focalizzare e dirigere la nostra condotta; c- Mantenere in modo vigile una condizione di controllo su ciò che stiamo facendo. Attenzione endogena: è avviata dalle nostre esigenze personali, governata dai processi mentali dall’alto verso il basso; implica un orientamento volontario. Attenzione esogena: attivata da uno stimolo esterno e regolata da processi mentali dal basso verso l’alto; implica un orientamento automatico dell’attenzione caratterizzato dal fatto che: a- Non può essere interrotto; b- Distrae l’attenzione dal compito in corso; c- Non è soggetto a interferenze da parte di un compito accessorio (secondario). Attenzione spaziale: implica l’esplorazione e volontà di conoscere l’ambiente; di solito vi è coincidenza con la direzione dello sguardo, ma non sempre, come nel caso del fenomeno della vista periferica oppure l’attenzione riposta esclusivamente in altri organi di senso. Attenzione basata sugli oggetti: essa si può concentrare solo su di un oggetto ignorando parzialmente l’ambiente. Ciò che mettiamo dunque a fuoco è il bersaglio della nostra attenzione. Il fuoco dell’attenzione consente dunque di concentrare le risorse attentive su uno specifico stimolo ambientale. Esso ha dimensioni variabili, presenta una relazione inversa con l’efficienza di rilevazione degli stimoli; si muove nello spazio a velocità costante lungo la traiettoria prescelta per raggiungere il bersaglio. La velocità e l’accuratezza della rilevazione di un bersaglio sono indici di efficacia mentale. In questa attività assume importanza la validità o meno degli stimoli ricercati, ove per validità intendiamo l’effettiva individuazione del bersaglio ricercato. Siamo dunque più precisi e veloci a individuare lo stimolo che ci interessa rispetto ad un altro. Questo avviene perché entrano in gioco fattori individuali come conoscenza, esperienza, memoria, volontà ecc. in particolare sono gli stimoli dotati di rilevanza emotiva ad essere catturati più velocemente dalla nostra attenzione e impiegano nel tempo maggiori risorse attentive. Cecità al cambiamento: la forza degli stimoli salienti conduce a trascurare e/o ignorare stimoli ambientali ben visibili, in alcuni casi macroscopici. Questo procedimento si basa sull’economia delle risorse, secondo cui ci interessa individuare bersagli salienti e trascurare ciò che è superfluo. Effetto Simon: siamo più rapidi e i tempi di reazione sono inferiori quando la posizione dello stimolo coincide con la risposta che dobbiamo dare. Nella rilevazione degli stimoli entrano in funzione due processi di elaborazione: 1. Elaborazione controllata: è lenta e consapevole, richiede un notevole impegno e una rilevante partecipazione delle risorse attentive, è accompagnata da errori, non consente di svolgere altri compiti nello stesso tempo, implica un controllo diretto e costante; 2. Elaborazione automatica: rapida, non coinvolge la memoria a breve termine, non richiede risorse attentive, è sostanzialmente inconsapevole, difficile da modificare, permette di svolgere più compiti nello stesso tempo. Qualsiasi elaborazione automatica può tornare ad essere controllata secondo la propria volontà; qualsiasi elaborazione controllata può divenire automatica con il tempo e l’esperienza. In una condizione di vigilanza siamo in grado, tramite il fenomeno della selezione, di discriminare e scegliere ciò che è rilevante da ciò che non lo è. Uno dei primi a ipotizzare il funzionamento della selezione fu Donald Broadbent (1958), secondo cui l’attenzione è un filtro per selezionare le informazioni rilevanti per l’organismo. È questa l’ipotesi della selezione precoce: gli coscienza. Nell’induzione ipnotica, quando il paziente è consenziente e quindi esercita meno controllo della propria mente, esso accetta le indicazioni (suggestioni) dettate dall’ipnotizzatore, che possono condurre ad uno stato alterato di coscienza. In passato venivano utilizzate strategie imperative, come comandi autoritari, pendoli, occhi puntati magneticamente ecc. oggi invece la tecnica è molto meno “invasiva”: l’induzione ipnotica consiste nel raccontare una “storia” in cui si inseriscono frasi ricorrenti che conducono ad un profondo rilassamento e portano l’attenzione su un determinato pensiero. I fenomeni più ricorrenti nell’ipnosi sono: 1. Allucinazioni positive e negative: percepire qualcosa che non c’è o non percepire qualcosa che esiste; 2. Reazioni ideomotorie: rispondere con comportamenti automatici alle idee proposte dall’ipnotizzatore; 3. Regressione d’età; 4. Inibizione al dolore; 5. Incremento del recupero dei ricordi. Nella fase terminale si prepara suggestivamente il paziente al ritorno repentino alla realtà e all’ambiente, cercando di creare una amnesia postipnotica. I soggetti ipnotizzabili sono caratterizzati da qualità distintive: 1. Dissociazione: sono capaci più di altri di fare ricorso a meccanismi dissociativi (vivere una situazione non in prima persona ecc…) 2. Immaginazione: hanno un’immaginazione ricca, sono portati a fare sogni ad occhi aperti e riescono a concentrarsi così tanto sulle proprie fantasie da sentirsi totalmente coinvolti in esse come fossero reali; 3. Disposizione al contesto ipnotico: riescono a rispondere all’ipnosi in maniera favorevole. L’analgesia ipnotica è quel fenomeno che può avverarsi durante l’ipnosi, grazie al quale l’ipnotizzato percepisce in maniera molto minore il dolore. Questo fenomeno si fonda sulla modificazione dell’attività nervosa della corteccia celebrale. Correlata all’analgesia ipnotica è il fenomeno dell’autoipnosi, attraverso cui ci convinciamo che la parte dolorante non fa parte del corpo e quindi è impossibile percepire dolore da essa. La meditazione costituisce uno stato modificato di coscienza attraverso l’esecuzione ripetitiva e sequenziale di alcuni esercizi mentali, di solito realizzati in un ambiente tranquillo. Essa crea una piacevole sensazione di benessere psico-fisico e di armonia tra sé e l’ambiente. Genera un’espansione di coscienza, simile a quella che si ottiene con l’autoipnosi. Alcuni soggetti dopo una lunga pratica di meditazione possono avere esperienze mistiche, nelle quali perdono la consapevolezza di sé e assumono forme di conoscenza più ampie. V’è lo yoga, pratica induista, lo zen, pratica buddhista cinese e giapponese. Tra queste forme tradizionali troviamo: 1. La meditazione di apertura: il soggetto si concentra e non pensa a niente, facendo si che la mente sia aperta a nuove idee e sentimenti; 2. Meditazione di concentrazione: il soggetto si concentra totalmente su un unico oggetto, idea o parola, escludendo ogni altra cosa. 3. Meditazione trascendentale: consiste nella ripetizione mentale di suoni speciali (mantra), che porta all’attenzione estrema su un singolo stimolo interno. Da qui il principio zen: essere totalmente presente per essere totalmente assente. A livello psicologico la meditazione trascendentale risulta opportuna per combattere lo stress negativo e gli stati di ansia cronica. Inoltre è efficace per aumentare l’efficienza mentale e la memoria, nonché per migliorare l’autostima. Anche nelle attività sportive è utile, perché favorisce il raggiungimento del massimo delle proprie potenzialità fisiche attraverso un grado ottimale di concentrazione. AZIONE L’azione è una sequenza consapevole e deliberata di movimenti finalizzati al raggiungimento di uno scopo, svolta in base ad un piano e controllata dall’attenzione esecutiva, idonea a generare specifici effetti sull’ambiente. L’insieme di azioni diverse ma coordinate tra loro per raggiungere un solo scopo è detta attività. Come individui siamo in grado di far accadere delle cose nel corso degli avvenimenti; è il concetto di agentività, cioè quella capacità di esercitare un potere causale sugli accadimenti e di influenzare il loro andamento. Un piano è la simulazione mentale che, in base a un modello, riproduce e prefigura in modo dinamico quanto avverrà nel corso dell’azione. Ogni nostra azione è contingente, poiché è l’insieme di tutti gli esiti delle nostre attività personali congiunte agli aspetti casuali. L’attenzione esecutiva dirige e governa le operazioni implicate nello svolgimento dell’azione; funge da regia nel governo della complessa rete delle connessioni interdipendenti fra l’individuo e l’ambiente. L’alternanza del fuoco di attenzione ci permette di essere tempestivi, efficaci e dinamici nell’affrontare, svolgere e monitorare la realizzazione di attività diverse entro la stessa situazione (multitasking). Questa alternanza ha dei costi energetici e attentivi da pagare, per passare da un’azione all’altra. L’accuratezza, la velocità e l’agilità nell’esecuzione di un’azione sono strettamente associate all’esercizio; da ciò si evince inoltre che l’azione è una fonte intrinseca di apprendimento e che per lo svolgimento della stessa può e deve in alcuni casi intervenire la memoria lavoro, quel tipo di memoria che ci consente di produrre ciò che intendiamo fare. Dall’azione deriva infine il sentimento dell’autoefficacia, quella credenza e verifica di riuscire a controllare un’attività e di svolgerla con una buona riuscita. APPRENDIMENTO ED ESPERIENZA Esperienza come fonte di apprendimento L’apprendimento è inteso come una modificazione relativamente duratura e stabile del comportamento a seguito di un’esperienza di solito ripetuta nel tempo. La radice di qualsiasi tipo di apprendimento è l’esperienza, ergo, ogni apprendimento è esperienziale, ci mette nella condizione di imparare sempre. L’apprendimento quindi è un vincolo, non possiamo non imparare, poiché l’alternativa sarebbe, vista la mancanza di stimoli per il cervello, il coma vegetativo. In quanto connesso con l’esperienza l’apprendimento è situato, legato al contesto immediato e radicato nell’organismo. In taluni casi procediamo con un apprendimento intenzionale, orientato a raggiungere uno scopo, in altri casi abbiamo un apprendimento accidentale, dovuto a fattori imprevedibili; la maggior parte delle volte però abbiamo un apprendimento contingente, che implica la combinazione tra elementi incidentali che provengono dall’ambiente e opzioni operate dagli individui in base ai loro interessi ed esigenze. L’apprendimento latente invece è una forma di apprendimento implicito: impariamo senza accorgercene. Questo apprendimento può avere luogo grazie alla semplice esposizione all’ambiente e introduce la distinzione tra competenza e prestazione. Secondo Tolman, nello svolgimento delle varie attività abbiamo modo di scoprire le connessioni che esistono nell’ambiente in base a indizi o segnali. Tale rilevazione conduce alla costruzione di mappe cognitive, facilitando l’animale a trovare la soluzione più breve ed efficace (principio del minimo sforzo). L’apprendimento latente dunque ha un’importanza fondamentale non solo per ragioni di economia di risorse mentali e cognitive, ma anche per le grandi opportunità che ci offre. Grazie alla riflessione sull’esperienza per tornare all’esperienza giungiamo ad un apprendimento riflessivo. Infine siamo disposti anche di un apprendimento fisiologico che, essendo un vincolo per la nostra sopravvivenza e per il mantenimento della salute fisica e del benessere mentale, ci permette di conseguire con efficacia un governo del nostro corpo. APPRENDIMENTO ASSOCIATIVO Grazie allo sviluppo celebrale gli individui sono in grado di compiere previsioni riguardo a: 1. Quali eventi seguono ad altri eventi nell’ambiente; 2. Quali eventi sono controllabili e quindi modificabili. Per raggiungere questo traguardo è necessario essere in grado di associare due o più eventi fra loro. È l’apprendimento associativo. Connessi a questo tipo di apprendimento vi sono i riflessi, cioè quelle azioni di risposta condizionate/incondizionate che abbiamo rispetto ad un dato stimolo. Il condizionamento pavloviano (da Pavlov) comporta l’associazione tra gli stimoli incondizionati (SI), le risposte incondizionate (RI), gli stimoli condizionati (SC) e le risposte condizionate (RC). Quando ad una SC viene associata una RC tutti gli stimoli simili ad SC daranno una RC. È il fenomeno della generalizzazione dello stimolo: quanto più lo stimolo è simile a quello originario, tanto più forte è la risposta. Apprendimento per prove ed errori: il fenomeno grazie il quale si dimostrò, con l’esperimento del gatto nella problem-box, che le risposte corrette tendono ad essere ripetute mentre quelle erronee ad essere abbandonate. Legge dell’effetto: la connessione dei legami associativi tra stimolo e risposta dimostra che essi non dipendono solo dalla loro contiguità temporale (come con Pavlov), ma anche degli effetti che seguono la risposta. Legge dell’esercizio: la ripetizione di una risposta diventa tanto più probabile quanto più spesso è ripetuta. Skinner introdusse la distinzione tra: 1. Comportamenti rispondenti: derivano da riflessi innati o appresi tramite il condizionamento pavloviano e la risposta non è controllata; 2. Comportamenti operanti: non derivanti da riflessi innati ma emessi spontaneamente dall’animale. Egli dimostrò inoltre che una ricompensa costituisce un rinforzo al condizionamento e alla risposta emessa in seguito. Le ricompense possono essere positive (gratificazione) o negative (eliminazione di situazione negativa). Per converso anche le punizioni hanno effetti simili e possono anche loro essere positive (stimolo doloroso) o negative (diminuzione gratificazione). I rinforzi possono essere continui o parziali; Skinner constatò che quelli parziali sono quelli più efficaci, poiché non conducono al fenomeno dell’assuefazione. Giunse alla definizione dei piani di rinforzo per favorire l’incremento di un certo comportamento: 1. Piano di rinforzi a intervallo fisso: il rinforzo è fornito a scadenze regolari (come gli stipendi); 2. Piano di rinforzi a intervallo variabile: il rinforzo è fornito in lassi temporali variabili, ottenendo una linea crescente continua; 3. Piano di rinforzi a rapporto fisso: il rinforzo è fornito dopo un numero sempre uguale e prefissato di risposte (lavoro a cottimo); 4. Piano di rinforzi a rapporto variabile: il rinforzo è fornito dopo un numero di risposte che varia in modo casuale (lotteria). Tra questi è l’ultimo rinforzo ad essere più efficace. Selettività dell’associazione; gli uomini, così come gli animali, sono capaci di scartare correlazioni casuali e di selezionare solo le relazioni causa-effetto interessanti. Questo condizionamento associativo selettivo non è riducibile solo ad un accoppiamento tra due eventi temporalmente contigui. Anche l’apprendimento tramite intuizione o insight è da tenere conto; esso si fonda sull’attivazione di processi cognitivi che conducono alla soluzione di difficoltà e d’imprevisti che incontriamo nel corso della vita quotidiana, quindi allo svolgimento del problem-solving. APPRENDIMENTO DA MODELLI L’apprendimento individuale è la competenza nell’acquisire nuove informazioni a seguito di un’esperienza personale nell’interazione diretta con l’ambiente. È un apprendimento costoso (dal punto di vista di risorse cognitive), è lungo, è soggetto ad errori, tuttavia è efficace in situazioni di cambiamento ambientale repentino. L’apprendimento sociale è la capacità di acquisire nuove conoscenze e pratiche tramite e con i propri consimili. È un apprendimento da modelli, poiché implica l’interazione con l’ambiente e fondata sull’esperienza di altri. È un apprendimento economico, veloce, stabile, con un alto livello di attendibilità, esteso e condiviso; tuttavia nei periodi di cambiamento e di turbolenza viene meno, poiché tende a riproporre forme già consolidate e quindi obsolete. Imprinting: è un apprendimento qualitativamente differente da quello associativo, si basa sul legame neonato- modello, avviene in un lasso di tempo breve ed è pressoché irreversibile. Questo lasso di tempo viene chiamato periodo sensibile, cioè quel periodo nel quale le influenze ambientali sono più efficaci per l’apprendimento di conoscenze e abilità. Nell’uomo questo lasso di tempo varia circa tra i 2 e i 6 anni d’età, periodo fertile per l’apprendimento delle lingue. L’apprendimento osservativo comprende l’interazione dei neuroni specchio, l’interdipendenza tra percezione e azione e il ricorso a processi cognitivi. Implica un’interazione modulare tra individui e non la successione tra stimoli. Dall’apprendimento osservativo scaturisce l’apprendimento imitativo, cioè quando un individuo riproduce in modo consapevole l’azione di un altro per ottenere il medesimo scopo/risultato di quest’ultimo. Si evince l’importanza dell’interazione sociale che avviene tra gli individui, sia tra adulto/adulto che tra adulto/bambino. Grazie all’interazione sociale avviene anche l’apprendimento culturale: attraverso conversazioni, riunioni, pasti, tradizioni ecc. gli uomini possono acquisire nuove informazioni in modo indipendente dalla dotazione genetica; questo comporta ad un accumulo perpetuo degli apprendimenti che non può avvenire tra gli animali. ORGANIZZAZIONE GERARCHICA DELL’APPRENDIMENTO L’apprendimento è ricorsivo e circolare, cioè ciò che abbiamo appreso fino ad ora è la premessa per ulteriori e diversi apprendimenti. Nascono in questo modo diversi livelli di apprendimento, conseguenti l’uno all’altro. 1. L’apprendimento zero: avviene quando siamo giunti al massimo dell’apprendimento di una certa competenza; 2. L’apprendimento uno: consiste nella modificazione della condotta dell’individuo e implica un miglioramento delle prestazioni in oggetto. Le prestazioni iniziali sono lente, ma mano a mano che si avanza esse diventano più repentine e meno soggette ad errori. 3. L’apprendimento due: è la naturale conseguenza dell’apprendimento uno; consiste nell’imparare ad imparare. Per raggiungere questo livello occorre che le situazioni di un certo apprendimento uno siano simili e comparabili tra loro. Ipermnesia: capacità lucida di ricordare scene complesse in tutti i particolari, anche se lontane dal tempo; avviene in caso di eccitazione o esaltazione della memoria/coscienza. Amnesia: perdita totale o parziale della memoria a seguito di un trauma fisico o psichico o di una malattia cerebrale. Può essere retrograda quando la perdita di memoria riguarda le informazioni prima del trauma e anterograda se invece si ricordano gli eventi passati ma non si avesse più possibilità di ricordare nulla di nuovo (come nell’Alzheimer). OBLIO E DIMENTICANZA L’oblio è l’eliminazione volontaria o involontaria di informazioni già memorizzate. Costituisce una componente adattiva della memoria e va distinto dall’amnesia, poiché quest’ultima è patologica mentre l’oblio è inevitabile. L’oblio svolge un lavoro di selezione, poiché pur essendo molto potente non è infinita, ergo se vogliamo ricordare alcuni processi e funzioni indispensabili, talune informazioni vanno dimenticate. Ci sono svariate ipotesi su come l’oblio operi, come quella del disuso. La più attendibile comunque è la teoria dell’interferenza, che è di natura duplice: 1. Interferenza proattiva: i ricordi remoti interferiscono e/o inibiscono l’assimilazione di nuovi; 2. Interferenza retroattiva: i ricordi recenti limitano o danneggiano quelli passati. Questa spiega come mai è più facile ricordare la sera che non il mattino. Infine l’oblio può essere provocato anche dal blocco di un’informazione già depositata in memoria. Si verifica quando vi sono diverse associazioni riferite ad un indizio e una di esse è più forte delle altre, ostacolando il recupero totale delle informazioni del target. MEMORIA DI LAVORO La capacità della ML è direttamente proporzionale alle nostre competenze mentali (intelletto, ragionamento, linguaggio). Il termine ML viene sostituito a quello precedente, cioè memoria a breve termine. La MBT è una memoria assai precaria e volatile, di duratura relativamente breve. In presenza di compiti distrattori la volatilità della MBT può diventare molto elevata, con una durata di appena due secondi. Se desideriamo non perdere le informazioni, occorre ripeterle con frequenza per mantenerle in quel dato spazio chiamato tampone di reiterazione. La memoria sensoriale è la capacità di mantenere in modo sostanzialmente fedele le informazioni ambientali. È una memoria modale, poiché corrisponde alle varie modalità sensoriali. Le informazioni sensoriali vengono tenute nel registro sensoriale. La ML è suddivisa, secondo il modello Baddeley e Hitch, in quattro sistemi. 1. Esecutivo centrale: è il sistema flessibile per il controllo e la regolazione dei processi cognitivi richiesti dalla situazione. Governa gli altri tre sistemi, è in grado di cambiare i piani di reiterazione e attivare momentaneamente la MLT. 2. Circuito fonologico: concerne il parlato e conserva l’ordine in cui le parole sono presentate. 3. Taccuino visivo-spaziale: riguarda l’immagazzinamento e il trattamento delle informazioni visive e spaziali, nonché delle immagini mentali. 4. Tampone episodico: sottosistema schiavo, è dedicato a collegare le informazioni provenienti da diversi ambiti per formare unità integrate e coerenti. COME PREPARARE GLI ESAMI Uno dei metodi più efficaci è quello ideato da Legrenzi, ed è chiamato PQ4R. 1. Preview: scorrere in modo preliminare i vari capitoli, di modo da arsi un’idea generale. 2. Questions: porsi delle domande relative al contenuto dei capitoli. 3. Read: leggere attentamente sezione dopo sezione, cercando di rispondere alle domande. 4. Reflect: riflettere su quanto si sta leggendo, capirne il significato. 5. Recite: alla fine di una sezione cercare di ricordare le informazioni in essa contenute e rispondere alle domande, senza guardare il testo. 6. Review: rassegna finale, alla fine del capitolo ripensarlo nel suo insieme e verificarne la corretta semantica. DECISIONE, RAGIONAMENTO E CREATIVITÀ ESPERIENZA DIRETTA E PENSIERO Solitamente quando abbiamo una sensazione ambigua riguardo a ciò che abbiamo sentito (es: della figura del bosco al buio), è la nostra prima impressione a fare da matrice per le impressioni seguenti. Questo avviene tramite il sistema di riconoscimento, che ci fa assumere una certa probabilità a priori sulle impressioni. Quando poi otteniamo nuove informazioni, siamo disposti a cambiare l’impressione iniziale, ma sempre da essa partono poi i lavori di elaborazione. Questa procedura è rapidissima e inconscia. LA DECISIONE Quando dobbiamo prendere una decisione, qualsiasi essa sia, si va a creare una sorta di albero decisionale nella nostra mente. Esso parte dal punto di decisione (il momento in cui siamo posti dinanzi alla scelta) e si dirama nella possibilità dello status quo (mantenere la situazione com’è) oppure si dirama verso un’altra scelta. Ovviamente prendere una scelta diversa comporta dei rischi (ad esempio finire in una situazione peggiore di quella precedente), senza contare ovviamente la possibilità del lato positivo; d’altro canto anche il rimanere sullo status quo può comportare dei rischi (perdere una buona occasione). Quando siamo posti dinanzi a delle scelte che in possibilità possono o farci vincere o farci perdere, subentra la tendenza dell’avversione alle perdite, grazie la quale si rischia pure di evitarle (finendo in possibilità in una situazione di maggiore perdita), questo perché è chiaro il fatto che le perdite fanno più male rispetto al guadagno. Inoltre quando si vive in questa avversione, subentra anche l’effetto dotazione, ovvero la preferenza per ciò che si ha per il fatto stesso che è in nostro possesso. Ovviamente prendere una scelta non è semplice, poiché subentrano diverse e infinte variabili come il rapporto tra le possibili decisioni, il passare del tempo e l’utilità soggettiva. Capita alcune volte però che abbiamo cadute dell’autocontrollo, scegliendo le azioni di gratificazioni immediate. Queste, per quanto piacevoli sul momento, possono avere pessimi risultati nel futuro. Siamo indotti a comportarci così da una tendenza ad apprezzare il presente e a “svalutare” il futuro lontano (tendenza chiamata sconto temporale). INDUZIONI, ABDUZIONI, ANALOGIE E CREATIVITÀ Induzione: ragionamenti che producono generalizzazioni a partire da esperienze, ma che non conducono a conclusioni necessarie. L’induzione, basandosi esclusivamente sulla propria esperienza, è in possibilità falsa. Abduzione: è lo strumento che utilizziamo per dare un senso all’induzione; non abbiamo quindi solo fatto una generalizzazione, ma la abbiamo anche spiegata. Analogia: metodo ulteriore per produrre conoscenze di fronte a nuove situazioni; procedendo col cosiddetto ragionamento analogico (es: ho una vite da svitare, non ho un cacciavite piatto uso uno strumento simile per compiere l’azione per cui il cacciavite era destinato), deduciamo una conoscenza. Essa, come le abduzioni, ovviamente, non garantiscono conclusioni certe. Sono cinque i processi che caratterizzano il ragionamento analogico: 1. Recupero: va tenuto nella ML un bersaglio, mentre si accede a un caso più familiare che troviamo nella MLT. 2. Corrispondenze: tenendo nella ML sia la sorgente sia il bersaglio, bisogna allinearli. La mente costruisce un ponte che poggia sulle proprietà che sorgente e bersaglio hanno in comune. 3. Valutazione: decidere se l’analogia è utilizzabile ed efficace. 4. Astrazione: isolare le invarianti tra sorgente e bersaglio. 5. Spiegazione e Predizione: sviluppare ipotesi sul comportamento o sulle caratteristiche del bersaglio basandosi su quello che si sa della sorgente. DEDUZIONI La deduzione è quella capacità di ricavare conoscenze “vere” a partire da altre conoscenze “vere”, semplicemente pensandoci su; è stata definita la quintessenza dell’umanità. La logica invece consiste nel precisare le regole che permettono di ricavare conclusioni da premesse, indipendentemente dal fatto che esse siano vere o false. Psicologia sperimentale del ragionamento: Per molto tempo si è pensato che l’uomo avesse una sorta di logica naturale, un insieme di regole che producevano le prestazioni corrette. Con gli studi di suddetta psicologia, è stato scoperto invece che la variabile cruciale non è la logica in sé, bensì il contenuto del ragionamento. L’INCOERENZA E LA FOCALIZZAZIONE L’incoerenza, legata per natura all’irrazionalità (per meglio definire, incongruenza) è un aspetto abbastanza evidente nella sua natura, ergo non mi cimenterò nella spiegazione di esempi inutili e prolissi. Per quanto riguarda la focalizzazione è quella sorta di restringimento della visione su poche opzioni. Tale focalizzazione conduce spesso a ritenersi soddisfatti di una ricerca delle alternative possibili anche quando la ricerca è incompleta, questo perché ci fidiamo specialmente nelle nostre medesime impressioni e/o idee. L’errore poi, se prendiamo ad esempio un caso in cui è necessario scegliere tra l’azione e la non azione, è che ci si focalizza maggiormente sulla ricerca delle informazioni sull’azione e non sulla non azione. Tralasceremo dunque la ricerca di informazioni su azioni alternative, ed è sbagliato, poiché per una migliore soluzione è necessario considerare la maggior parte di variabili. SOLUZIONE DI PROBLEMI E CREATIVITÀ Nella vita incappiamo spesso in problemi di svariata natura; vi sono quelli di semplice e veloce risoluzione e quelli invece complessi. Per quelli complessi possiamo ricorrere a due strategie: 1. Suddividere il problema in sottoproblemi e risolverli uno ad uno; 2. Non usare algoritmi di soluzioni, ma euristiche. Gli algoritmi sono una serie di regole che, se adottate esplicitamente, permettono di risolvere il problema; sono regole utilizzabili quando non vi sono eccessive possibilità. Le euristiche sono strategie e scorciatoie mentali, regole che non riescono a dare una descrizione esaustiva delle strategie per giungere alla soluzione. Le euristiche non portano alla soluzione ottimale, ma possono portare comunque a risultati soddisfacenti. Seguendo la tendenza a focalizzarsi che abbiamo visto, una delle euristiche più potenti è quella dell’analisi mezzi-fini. A tale scopo è utile affrontare un problema distinguendo: 1. Stato iniziale: il modo in cui vengono descritte le condizioni di partenza; 2. Stato-obbiettivo: il modo in cui viene illustrato l’obbiettivo; 3. Operatori: operazioni per passare da uno stato all’altro; 4. Stati intermedi del problema: stati che si ottengono applicando un operatore a uno stato in vista del raggiungimento dell’obbiettivo. Queste quattro componenti definiscono lo spazio del problema. Simon (1982) mostrò che la risoluzione dei problemi (problem solving) è comparabile alla progettazione. Inoltre la risoluzione da parte di agenti a razionalità limitata (cioè coloro che sono costretti ad usare esclusivamente euristiche, dato il loro limite cognitivo) procede tramite la decomposizione del problema stesso. Si ottengono così sottoproblemi che si possono risolvere uno ad uno. In determinati casi possiamo parlare anche di soluzioni creative dei problemi, cioè soluzioni pressoché inventate da zero e a cui nessuno ha pensato prima. In qualsiasi caso avvenga la risoluzione di un problema, per velocizzare il processo è necessario adottare la strategia basata sulla falsificazione delle ipotesi. Come già noto, tendiamo a focalizzarci su data idea o ipotesi (meccanismo di fissazione) e questo può portarci a non vedere soluzioni creative oppure ad una risoluzione veloce e coerente. Quindi, quando creiamo una prima ipotesi dobbiamo subito pensare a confutare l’ipotesi opposta, in modo da verificare la prima. Siamo talmente abituati alle funzioni per cui uno oggetto è stato inventato che non riusciamo a vedere e concepire funzioni alternative. Infine la creatività alla base di scoperte scientifiche importanti non utilizza processi cognitivi diversi da quelli che utilizziamo tutti i giorni per risolvere i nostri problemi. È l’importanza sociale, artistica o scientifica del prodotto che ne determina fama e celebrità. COMUNIAZIONE E LINGUAGGIO COMUNICAZIONE, COMPORTAMENTO, INTERAZIONE Noi siamo esseri comunicanti. La comunicazione non è un mezzo per mettersi in contatto con qualcuno, bensì un vincolo costitutivo con noi stessi.; costituisce una piattaforma mentale in cui convergono le funzioni cognitive, I sistemi di contatto: la prossemica concerne la percezione, l’organizzazione e l’uso dello spazio, la distanza e del territorio nei confronti di altri. L’aptica fa riferimento all’insieme di azioni di contatto corporeo con un altro individuo. VALORI, DESIDERI E MOTIVAZIONI VALORI E DESIDERI Come esseri umani tendiamo a dare alle cose un valore; per la sicurezza, per l’immagine e prestigio, per l’economia, per la fede o per avidità ecc. valore tuttavia non è cosa assoluta, ma relativa nella sua natura, poiché nient’altro è che una convenzione. I valori sono costrutti motivazionali che definiscono ciò che consideriamo importante e che indicano quali scopi siano da raggiungere. Possiamo dunque dire che ha valore ciò che per noi è desiderabile e positivo. Ognuno ha e si crea la propria gerarchia dei valori. La psicologia del desiderio ha ricevuto ottimi apporti dalla più recente psicologia positiva; questa ha focalizzato la sua attenzione sul benessere soggettivo e sulle qualità della vita, seguendo una prospettiva sia edonica (dimensione del piacere come benessere personale) sia eudaimonica (realizzazione del piacere come benessere personale). Il desiderio è il tendere a qualcosa il cui raggiungimento riteniamo ci consentirà di trovarci in uno stato delle cose migliori rispetto a quello passato e attuale. Per definizione il desiderio è unicamente connesso con la realizzazione futura ed è strettamente connesso anche con il costrutto della speranza. Nell’appagamento del desiderio gioca un ruolo fondamentale la ricompensa, che causa effetti positivi sia a livello neurobiologo sia a livello mentale. Come detto, essendo il valore una convenzione, è impossibile ritenere corretta l’ipotesi di valori assoluti, anzi, questa contingenza tipica del valore ha consentito e consente la formazione di prospettive ispirate al relativismo. D’altro canto però, pur ammettendo questa natura contingente, dal valore deriva la necessità sia individuale che sociale di creare gerarchie più o meno ritenute valide per un gruppo consolidato. Facendo un esempio il valore che diamo all’oro, seppur in maniera convenzionale, è necessariamente diffuso su gran parte del globo tra molte delle civiltà esistenti. Questi valori comuni fanno si che si crei la possibilità ad un pluralismo, una via intermedia tra assolutismo e relativismo. Legato al pluralismo v’è il principio della tolleranza: è la disponibilità degli individui ad accettare la diversità come risorsa quale condizione per raggiungere forme soddisfacenti di convivenza tra i gruppi. È la comprensione e il governo delle diversità all’interno del parametro delle pari dignità. Di conseguenza nasce il principio dell’intolleranza dell’intolleranza, secondo cui per dare forza al principio della tolleranza, è necessario non tollerare la non tolleranza. MOTIVAZIONE La motivazione è una spinta a svolgere una certa attività e si può definire come un processo di attivazione dell’organismo finalizzato alla realizzazione di un dato scopo in relazione alle condizioni ambientali. Esistono diversi livelli della motivazione: Riflessi: è il sistema più semplice di risposta dell’organismo come reazione a stimoli esterni o interni. Istinti: sequenze congenite, fisse e stereotipate di comportamenti specie-specifici su base genetica in relazione a date sollecitazioni ambientali. Bisogni: condizione fisiologica di carenza e necessità (fame, sete, sesso ecc.) Pulsioni: esprimono uno stato di disagio e di tensione interna che l’individuo tende a eliminare o, quanto meno, ridurre qualora i bisogni non siano soddisfatti. Incentivi: da distinguere dalle pulsioni, essi rappresentano gli oggetti e/o eventi in grado di venire incontro ai bisogni dell’individuo. Quindi ad esempio, un panino può essere l’incentivo per soddisfare un bisogno (fame) che a sua volta creò pulsioni interne proprio a causa del mancato soddisfacimento. Le motivazioni possono essere in genere di due tipi: 1- Motivazioni primarie: bisogni fisiologici; 2- Motivazioni secondarie: processi di apprendimento sociale. Esiste dunque una gerarchia dei bisogni, illustrata da Abraham Maslow, secondo cui se i bisogni più gerarchicamente elevati non vengono soddisfatti, quelli di livello inferiore vengono presi poco o niente in considerazione. PUNTI DI VISTA SULLA MOTIVAZIONE Vi sono diverse teorie e ipotesi per spiegare la natura della motivazione. 1. Teoria biologica: alcuni centri nervosi sono sottesi alle motivazioni, quindi si ritenne che tali centri fossero in grado di spiegare in modo esauriente la loro genesi e il loro svolgimento e che fossero al servizio dell’omeostasi, concepita come l’esigenza di conservare in modo stabile nel tempo i livelli di equilibrio adatti per il funzionamento dell’organismo. 2. Concezione comportamentista: il comportamentismo propose un modello esplicativo dei bisogni degli individui fondato sull’interazione fra pulsioni e abitudini. È la sensazione di mancato soddisfacimento che porta alla spinta propulsiva. 3. Prospettiva cognitivista: ribalta il punto di vista del comportamentismo, sostenendo che le motivazioni e bisogni cambiano in rapporto alla qualità delle informazioni provenienti dall’ambiente che siamo in grado di elaborare. Secondo il cognitivismo tendiamo a raggiungere il successo cercando di evitare l’insuccesso; inoltre fornisce elementi utili per spiegare l’induzione di bisogni nuovi negli individui. 4. Interazionismo: secondo il punto di vista interazionista le motivazioni sono suscitate, alimentate e regolate dalle interazioni con gli altri. MOTIVAZIONI SECONDARIE David McClelland individuò tre grandi costellazioni di motivazioni secondarie: 1. Bisogno di affiliazione: ricercare la presenza degli altri per la gratificazione intrinseca che deriva dalla loro compagnia e dalla sensazione di appartenenza ad un gruppo; uno dei bisogni di affiliazione più noti e importanti è la relazione di attaccamento che il bambino ha con la genitrice o con la figura di accudimento principale. Dal bisogno di affiliazione derivano comportamenti prosociali, che sono alla base dell’aiuto, cooperazione e condivisione. Il caso estremo ed emblematico è quello dell’altruismo che genera azioni vantaggiose per terzi, anche a discapito di un costo personale. 2. Bisogno di successo: consiste nella motivazione a fare sempre meglio per un intrinseco bisogno di affermazione sociale e di eccellenza. Chi ha tale bisogno tende a prefiggersi obbiettivi impegnativi ma realistici. Una delle radici di questo bisogno sta nelle aspettative genitoriali ricevute durante la crescita. Quando tali aspettative sono elevate e realistiche vi è una buona probabilità che il figlio generi un elevato bisogno di successo. Quando invece le aspettative sono troppo alte (irraggiungibili) o troppo basse (demotivazionali) è possibile che il bisogno di successo abbia una natura modesta e contenuta. 3. Bisogno di potere: consiste nell’esercitare in qualsiasi ambito la propria influenza e il proprio controllo sulla condotta di altre persone. Chi ha questo bisogno tende ad occupare cariche socialmente elevate ed influenti, e non teme il confronto né la competizione. Vi sono diversi livelli di leadership: autoritario, democratico e permissivo. Al di là di questi bisogni, esiste una necessità motivazionale di funzionare per la soddisfazione derivante dal funzionamento stesso. L’esercitare un’attività è gratificante di per sé, poiché in tal modo si possono dimostrare competenza e fiducia nelle proprie risorse. Entra in gioco la competenza di base, intesa come capacità di realizzare con successo i propri obbiettivi. Su questa piattaforma motivazionale si distunguono: La motivazione intrinseca: svolgere un’attività perché gratificante in sé; La motivazione estrinseca: svolgere la medesima attività per raggiungere un altro scopo. In linea generale, concludendo, il livello motivazionale del soggetto è dato dalla quantità e qualità dei suoi interessi, intesi come la tendenza a preferire determinati stati di sé e del mondo. Gli interessi sono strettamente correlati con il piano emozionale, delineando il sistema credenze-interessi-emozioni che costituisce il cuore dell’esperienza umana ed è alla base della definizione della propria identità. EMOZIONI E AFFETTI CHE COS’È UN’EMOZIONE Le emozioni sono processi emergenti in funzione dell’organismo e degli accadimenti all’interno di un dato contesto (situazionalità). Sono dispositivi mentali di adattamento attivo all’ambiente, in grado di consentire all’individuo di rispondere in modo flessibile, efficace e dinamico agli accadimenti contingenti. L’interesse è il cuore delle emozioni, poiché è ciò che attribuisce significato affettivo agli eventi. È ovvio che le emozioni siano strettamente collegate con le relazioni interpersonali; sono indispensabili per avviare, mantenere, modificare, rafforzare o rompere la relazione con un’altra persona. Teoria periferica: secondo James, l’emozione è il sentire i cambiamenti a livello neurovegetativo che hanno luogo a livello viscerale, nel sistema nervoso enterico. È la situazione rilevante che scatena una data risposta in questo sistema simpatico (come dilatazione della pupilla, accelerazione del battito ecc…) e noi, percependo il cambiamento, sentiamo l’emozione. Si evince che il corpo e la mente sono in continua connessione e influenza reciproca. Si dà inoltre molto peso al sentimento che non coincide con l’emozione, ma si aggiunge a essa e consente di “sentirla” in modo consapevole. Teoria centrale: in contrapposizione alla teoria periferica, essa espone la teoria che il principale centro emotivo sia situato nella zona talamica del cervello. Entrambe le teorie si sono dimostrate, pur essendo contrapposte, entrambe vere, poiché entrambe hanno colto (seppur parzialmente) aspetti importanti della vita emotiva. Teoria dei programmi affettivi: intorno agli anni sessanta, l’emozione ha iniziato ad essere studiata anche sotto il punto di vista psicologico e non solo neurobiologo. Rifacendosi alle teorie evoluzionistiche, molti studiosi asserirono che ogni emozione è regolata da uno specifico programma affettivo nervoso, evolutosi nel tempo per consentire alla nostra specie un adattamento efficace al proprio habitat. All’interno di questa prospettiva, oltre alle analisi dell’evoluzione riguardanti le espressioni emotive motorie così come comportamenti ed esperienze, sono state individuate sei emozioni di base (primarie): collera, disgusto, paura, gioia, tristezza e sorpresa. Esse vanno considerate come blocchi emotivi evolutivi universali, cui ogni individuo è dotato. È quindi una concezione categoriale delle emozioni, poiché sono considerate come generi naturali immodificabili. Le emozioni di altra natura sono miste, dette secondare, e sono delle miscele delle emozioni primarie. Accenniamo qui che Paul Ekman individuò nelle espressioni facciali l’universalità delle sei emozioni primarie, in quanto configurazioni distinte del sistema nervoso autonomo. Teoria dell’apprasail: sostiene che le emozioni siano suscitate da un’attività di conoscenza e di valutazione della situazione in riferimento ai propri significati, interessi e scopi. Il manifestarsi delle emozioni avrebbe dunque una natura esclusivamente situazionale e contingente e hanno una configurazione componenziale, poiché le emozioni sono intese come mediatori fra il mondo interno e quello esterno, variando secondo alcune componenti continue. Da qui nasce la definizione di emozione modale, cioè quell’emozione che è più compatibile con una data situazione. Es: se veniamo colti di sorpresa da un uomo che ci vuole derubare, le emozioni modali saranno sorpresa e paura. La prospettiva dell’apprasail consente inoltre di capire meglio le vicissitudini delle emozioni nel loro decorso, poiché le stesse non sono solo suscitate dall’avverarsi di tali eventi, ma possono essere suscitate anche da altre emozioni. Si ha dunque ad esempio, che nel caso del ladro poc’anzi menzionato, l’emozione modale della sorpresa dopo tempo variabile scompaia, facendo posto alla collera e/o al disgusto. Teoria costruttivistica: le emozioni si configurano non come fenomeni biologici bensì come prodotti sociale e culturali; esse vanno intese come uno standard di condotta sociale, acquisito verso educazione familiare e scolastica, che indica e prescrive come comportarsi in date situazioni. Si evince quanto, secondo la teoria, l’emozione sia puramente situazionale, contingente e nella sua natura relativa. La teoria da inoltre, ovviamente, estrema importanza alla relazione emozione-memoria. PRINCIPALI COMPONENTI DELLE EMOZIONI Le componenti puramente neuro-fisiologiche cui riferirsi riguardo all’emozione sono l’ipotalamo e l’amigdala. Il primo svolge la funzione di governo del sistema autonomo ed è la sede della regolazione centrale dell’ambiente interno dell’organismo (omeostasi: temperatura, fame, sazietà, sete, sessualità ecc.). Esso produce reazioni emotive complete, riscontrabili negli atteggiamenti predatori, difensivi, competizioni intrasessuali ecc. presenti in tutte le forme animali. La seconda invece è un sistema di connessione e di raccordo fra tutte le informazioni sensoriali provenienti dall’ambiente e i vari sistemi di risposta emotiva. Dal punto di vista mentale le emozioni sorgono come risposta alle informazioni che definiscono il significato delle situazioni (come visto nell’apprasail). verificare come elaboriamo informazioni emotive complesse. Quando mimica e gesto sono congruenti, abbiamo un forte incremento dell’accuratezza dell’espressione, mentre quando abbiamo l’incongruenza sono i gesti ad essere ritenuti più importanti, più attendibili. REGOLAZIONE DELLE EMOZIONI Come esseri umani, non solo proviamo emozioni, ma siamo anche in grado di procedere nella loro regolazione. La regolazione delle emozioni va considerata come loro parte integrante, e opera fin dal momento in cui esse insorgono. È un processo fondamentale per il benessere dell’individuo, poiché esprime la sua capacità di sapersi adattare in modo attivo alle situazioni. Sono quattro i principali interventi che gli individui possono compiere sugli antecedenti emotivi (le operazioni che avvengono appunto prima dell’espressione emotiva). Questi sono: Selezione della situazione: scegliere se accettare o evitare certe persone e/o situazioni in grado di suscitare particolari emozioni. Modificazione della situazione: introdurre un elemento di cambiamento nel contesto fisico o sociale di riferimento; Dislocazione dell’attenzione: concentrare le risorse attentive su alcune info della situazione anziché su altre; Rivalutazione della situazione: attribuire un significato diverso alla situazione rispetto a quello abituale. Siamo in grado dunque di regolare le risposte emotive e modularle a seconda del contesto. È possibile farlo sia a livello individuale che attraverso la condivisione sociale delle emozioni: Rimé ha constatato che circa il 90% delle persone tende a condividere con altri le proprie emozioni il giorno stesso che le ha provate, anche se questo procedimento riattiva le sensazioni provate riguardanti tale evento. In sintesi, la regolazione delle emozioni è un indicatore valido e attendibile dell’intelligenza emotiva, intesa come abilità di percepire ed esprimere le emozioni stesse, nonché regolandole in se stessi e in altri. EMOZIONI E CULTURA La cultura è un fattore determinante sulle espressioni emotive. L’esperienza emotiva è focalizzata sul gruppo nelle culture interdipendenti (solitamente culture orientali, come Giappone e Cina) mentre è centrata sull’individuo nelle culture dipendenti (Europa, USA). Queste ultime sono da considerarsi come culture della promozione delle emozioni positive, che enfatizzano l’autoaffermazione e il senso di eccellenza rispetto agli altri (quindi tendono a mostrare solo gli aspetti positivi e fuggono da quelli negativi); quelle invece interdipendenti sono culture della prevenzione e inibizione delle emozioni negative (c’è la saggezza e la consapevolezza che non esiste bene senza male; questo procedimento porta all’inibizione del negativo). Non solo il manifestarsi delle emozioni varia da cultura a cultura, ma anche la regolazione è cangiante. Infatti ad esempio per quanto riguarda la memoria, gli occidentali tendono all’ottimismo della memoria (enfatizzare le esperienze positive) mentre le culture orientali, specialmente quella giapponese, tendono al pessimismo della memoria. Questo accade perché le emozioni focali (cioè quelle specifiche di una data cultura) fanno riferimento a eventi culturalmente rilevanti per il soggetto nella vita quotidiana. La focalità emotiva è connessa con le categorie emotive dominanti in una cultura come, per esempio, la categoria del successo nella cultura americana. CULTURA E CIVILTÀ DIVERSITÀ E IDENTITÀ CULTURALI Com’è chiaro le culture, seppur simili, sono tutte diverse le une dalle altre. L’evoluzione della nostra specie ha costituito una via di mezzo: non totalmente uguali, non totalmente diversi. Questa condizione porta al paradosso della cultura: da un lato essa è un dispositivo molto potente per regolare le differenze interculturali, dall’altro essa stessa genera e moltiplica le differenze. Il punto debole di questa “via di mezzo” concerne la definizione degli universali umani in quanto base della rassomiglianza fra le diverse culture. È difficile, se non impossibile, precisare e circoscrivere tali universali, poiché abbiamo in continuazione un miscuglio interdipendente e simultaneo di fattori e ogni operazione di discernimento appare arbitraria. In fondo, non si è intrinsecamente diversi, ma si è diversi agli occhi di qualcun altro e rispetto a un altro punto di vista. La diversità non è un’entità, ma una relazione. In ogni popolazione le differenze sono la norma piuttosto che l’eccezione e la cultura va intesa come organizzazione delle diversità. Data la loro natura relazionale, le differenze culturali non costituiscono un patrimonio, né un territorio circondato da confini. Sono esse stesse dei confini, anzi un insieme di confini poiché “il regno della cultura è interamente distribuito lungo i confini” e “i confini sono dappertutto, attraversano ogni suo aspetto”. Le diversità presente tra le culture testimoniano la grande creatività degli individui, intesa come capacità di trovare soluzioni innovative per la propria esistenza in funzione delle possibilità offerte dal proprio habitat. Le differenze inoltre implicano e fondano l’identità di ogni cultura. Siamo ciò che siamo in divenire incessante. L’identità culturale è lo spazio fra il progetto autonomo e la proposta di ognuno di noi di essere in un certo modo e il riconoscimento di tale progetto da parte di altri. Non vi è un’identità culturale intrinseca, ma solo attraverso gli occhi di qualcun altro e rispetto ad un preciso punto di vista. Non è un’entità ma una relazione grazie al confronto culturale.