Scarica PSICOLOGIA GENERALE - L. Anolli, P. Legrenzi e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! PSICOLOGIA GENERALE Capitolo 8. “Decisione, ragionamento, creatività”. L’uomo è in grado di usare varie forme di pensiero per elaborare e integrare le informazioni di cui fa esperienza direttamente tramite i suoi organi di senso. Per esempio, noi non soltanto vediamo gli oggetti che ci circondano, ma siamo anche capaci di classificarli come qualcosa di già conosciuto con caratteristiche proprie di quella categoria. Questo processo è per lo più immediato. Talvolta invece, quando le informazioni sono ambigue, non possiamo che avanzare delle ipotesi. Il SISTEMA DI RICONOSCIMENTO degli oggetti funziona assumendo una certa probabilità a priori. Questa procedura è rapidissima e inconsapevole. Molte scienze umane hanno sviluppato modelli e criteri per aiutare a prendere decisioni totalmente ottimali. Talvolta, è interessante confrontare quello che si dovrebbe fare sulla base dei modelli teorici e quello che le persone fano in pratica. Esempio: uno studente è in biblioteca e viene invitato da un altro studente a passare la serata insieme. 2 ipotesi: 1. Lo studente 1 è preoccupato per l’esame che ha la prossima settima, quindi in questo caso l’invito sarà rifiutato di sicuro. 2. Lo studente 1 è attratto dall’invito e non sa cosa fare, incerto tra curiosità e il dovere. Come possiamo rappresentare graficamente questa storia? Gli studiosi si servono di rappresentazioni grafiche che chiamato “ALBERI DECISIONALI”. Con questi alberi decisionali si può “visualizzare” l’incertezza che caratterizza le decisioni vere, spesso accompagnate da emozioni. I rami dell’albero decisionale potrebbero estendersi nel futuro in alcune occasioni: studente 1 accetta l’invito e i due si innamorano. E tuttavia, per quanto concerne quella specifica serata, prima che inizi, siamo di fronte a un bivio. Da questo punto di vista prendere una decisione corrisponde a risolvere un problema con conseguenze vaghe nel prossimo futuro, e pressoché ignote in una prospettiva a lungo termine. In questi casi dobbiamo domandarci se abbiamo preso in considerazione tutte le possibilità, e le probabilità di conseguenze positive e negative di ogni possibile azione. Per fare un calcolo basandosi su misure, si dovrebbe riuscire a stimare le probabilità di ogni esito. Nella vita questo calcolo spesso è difficile, se non impossibile, soprattutto per l’ignoranza del futuro. Ciò non toglie che sia possibile formulare una legge di ordine generale circa il rapporto tra rischio, piacere e dolore. Come ha scritto il tennista Andre Agassi nella sua autobiografia, la prima volta che vinse il torneo di Wimbledon si accorse che la felicità per la finale vinta era inferiore al dolore provato negli anni precedenti in seguito alle sconfitte. Il dolore delle sconfitte resta impresso in memoria molto di più della felicità delle vittorie. Immaginiamo di partire da un punto iniziale. Per esempio, la perdita di 500 euro dà più dispiacere che non guadagnare la stessa somma. Prendiamo un caso concreto, che cosa è preferibile tra le 2? 1. Se viene testa non vinci nulla, se viene croce vinci 60 euro 2. Vinci 30 euro di sicuro La risposta è abbastanza ovvia, prendiamo questo caso invece: 1. Se viene testa non vinci nulla, se viene croce perdi 60 euro 2. Perdi 30 euro di sicuro Ora la risposta è ovviamente chiara: tutti preferiscono rischiare di perdere il doppio piuttosto che perdere fin da subito 30 euro. Questo processo si chiama AVVERSIONE DELLE PERDITE, nel senso che si rischia pur di evitarle, sapendo che le perdite fanno più male rispetto a un piacere di guadagni della stessa entità. Philip Johnson-Laird racconta quel che gli successe da giovane la prima volta che visitò l’Italia: entrò in un bar per prendere un caffè, si fece largo tra la folla e chiese a uno dei baristi un caffè; si girò e vide che le persone, in attesa di essere servite, avevano in mano un bigliettino e lo consegnavano ai baristi. Nessuno pagava al bancone, concluse quindi che si pagava da qualche altra parte; si guardò intorno e vide una cassa dove tutti facevano la fila. Per lui questa era una novità assoluta. I suoi ragionamenti furono molto più rapidi del tempo qui necessario per descriverli. INDUZIONI = ragionamenti che producono generalizzazioni a partire da esperienze, ma che non conducono a conclusioni necessarie. Si arrivò a concludere che nei bar italiani prima si paga e poi si ordina. Era una generalizzazione che si applicava a un numero indefinito di bar italiani, ma era stata ricavata dall’esame di un caso singolo, il primo caso incontrato. Il ragionamento gli aveva permesso di dare un senso alla sua esperienza, a prima vista sconcertante, con il barista e di andare al di là di ciò a cui aveva assistito. Questa è stata un’ABDUZIONE = quando si spiega un’induzione per messo di un’abduzione, come nel caso sopra spiegato, non solo abbiamo fatto una generalizzazione ma l’abbiamo anche spiegata. Un altro sistema potente per produrre conoscenze di fronte a situazioni nuove è il ricorso all’ANALOGIA. Così come nel caso delle abduzioni, le analogie non garantiscono conclusioni certe. Eppure, sono uno degli strumenti del pensiero che utilizziamo di più, e spesso conducono a soluzioni creative ai problemi. Esempio: se il nostro scopo è svitare una vite e non troviamo un cacciavite, ci può venire in mente che nel cassetto della cucina c’è un coltello spuntato. Ecco: è disponibile uno strumento con un manico, quindi con una buona presa e a punta piatta, inseribile nella testa della vite. Questo esempio è un caso di ricerca di soluzione a un problema basato su un RAGIONAMENTO ANALOGICO. Usiamo come sorgente la conoscenza specifica di un certo dominio, il cacciavite, e la trasferiamo a un dominio diverso, i coltellil 5 sotto processi caratterizzano il ragionamento analogico: 1. RECUPERO (va tenuto nella memoria di lavoro un bersaglio mentre si accede a un caso più familiare che troviamo nella memoria a lungo termine) 2. CORRISPONDENZE (tenendo nella memoria di lavoro sia la sorgente sia il bersaglio, bisogna allineare sorgente e bersaglio) 3. VALUTAZIONE (decidere se l’analogia è utilizzabile ed efficace) 4. ASTRAZIONE (isolare le invarianti tra sorgente e obiettivo) 5. SPIEGAZIONE E PREDIZIONE (sviluppare ipotesi sul comportamento o sulle caratteristiche del bersaglio basandosi su quello che si sa della sorgente) DEDUZIONE = si tratta della capacità di ricavare conoscenze “vere” a partire da altre conoscenze “vere” semplicemente pensandoci su. Esempio: - “se Carraro è rettore, allora l’università di Venezia migliora nei punteggi ministeriali” - “Carraro è rettore” Allora: l’università di Venezia migliora nei punteggi ministeriali La capacità di ragionare rielaborando informazioni già in ostro possesso è stata più volte identificata con ciò che, insieme al linguaggio, l’uomo ha di più umano. Aristotele, il primo ad analizzare questa capacità, fondò la LOGICA. LOGICA = consiste nel precisare le regole che permettono di ricavare conclusioni da premesse, indipendentemente dal fatto che queste siano vere o meno. Da quando Aristotele ha formulato la logica, questa è stata concepita come lo scheletro della capacità umana di ragionare, ma anche come la descrizione dei ragionamenti corretti e di quelli sbagliati. Per molto tempo si è pensato che l’uomo avesse in testa una sorta di LOGICA NATURALE = insieme di regole che producevano le prestazioni corrette e spiegavano quelle erronee. Poi si è scoperto che le cose non stanno così, dato che la variabile cruciale non è la struttura logica, bensì il contenuto del ragionamento. non è necessaria. Occorre distinguere tra comunicazione e INTERAZIONE = qualsiasi contatto fra 2 o più individui, anche involontario, in grado di modificare lo stato preesistente delle cose fra di loro. Anche tra queste due categorie esiste un rapporto di inclusione, nel senso che ogni comunicazione è certamente un’interazione, ma non ogni interazione è una comunicazione (ex. Urto accidentale in un ambiente affollato). Tutto ciò che non è comunicazione rimane a livello di NOTIZIA. COMUNICAZIONE = uno scambio interattivo osservabile fra due o più partecipanti, dotato di un certo grado di consapevolezza e di intenzionalità reciproca, capace di partecipare e di far condividere un certo percorso di significati sulla base di sistemi convenzionali secondo la cultura di riferimento. Lo studio scientifico della comunicazione ha richiesto l’elaborazione del concetto di INFORMAZIONE. L’informazione è espansiva, comprimibile e facilmente trasmissibile. Va intesa come una differenza che genera differenza. La comunicazione costituisce un dominio interdisciplinare di studio, poiché è stata indagata da differenti punti di vista scientifici: MATEMATICO Secondo il modello proposto da Claude Shannon la comunicazione va intesa come un TRASMISSIONE DI INFORMAZIONI. L’attenzione è focalizzata sul passaggio di un SEGNALE a una FONTE, attraverso un TRASMETTITORE lungo un CANALE, a un DESTINATARIO grazie ad un RECETTORE. L’EMITTENTE può trasmettere il messaggio in modi differenti, in ogni caso deve cifrarlo secondo un CODICE. Il RICEVENTE deve decifrare il segnale pervenuto, decodificandolo correttamente. La comunicazione avviene nella misura in cui questa trasmissione è possibile. In questo modello matematico si concepiva la comunicazione ancora come un processo lineare (da A a B) poi è stata introdotta la nozione di FEEDBACK, definita come la quantità di informazione che dal ricevente ritorna all’emittente consentendogli di modificare i suoi messaggi successivi. Con l’introduzione del concetto di feedback la comunicazione è intesa come PROCESSO CIRCOLARE RICORRENTE SENZA FINE. Ogni messaggio svolge nello stesso tempo 3 funzioni distinte: - È una risposta da parte di B nei confronti di A - È uno stimolo da parte di B nei confronti di A per ottenere da questo una successiva risposta - È un rinforzo, poiché va ad alimentare il modello di scambio che esiste in quel momento fra A e B L’approccio matematico ha introdotto anche la nozione di RUMORE (interferenza con un altro segnale che sta percorrendo il medesimo canale) e RIDONDANZA (ripetizione nell’operazione di codifica del messaggio per favorire la sua decodifica). L’approccio matematico costituisce una teoria forte del CODICE. Condizione necessaria e sufficiente per comunicare è avere a disposizione un CODICE = insieme di regole in grado di associare in modo coerente e tendenzialmente biunivoco gli elementi di un sistema con gli elementi di un altro sistema. SEMIOTICO La SEMIOTICA = è la scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale. Secondo questo punto di vista, la comunicazione deve valutare anzitutto in che modo avviene il processo di SIGNIFICAZIONE. Già Aristotele e Tommaso d’Acquino avevano inteso la significazione come una relazione articolata fra tre aspetti diversi: - Il segno (o simbolo, come un termine linguistico. Ex. “cane”) - Il referente (l’oggetto o l’evento che è comunicato, in questo caso inteso come animale che abbaia) - La rappresentazione mentale (il concetto dell’oggetto o dell’evento che viene comunicato, nel nostro caso, il concetto CANE) Occorre anzitutto comprendere che cosa si intenda per SEGNO. In questo caso ci sono 2 accezioni: - Segno come EQUIVALENZA - Segno come INFERENZA Secondo SAUSSURRE il segno è l’unione di un’immagine acustica e di un’immagine mentale. Significato e significante, espressione e contenuto, vanno intesi come due facce della medesima realtà, poiché non vi è l’uno senza l’altro e viceversa. Il segno è inteso in termini di equivalenza allora, poiché vi sarebbe una corrispondenza piena e stabile fra espressione e contenuto, regolati da una relazione di identità. I segni così concepiti hanno un carattere ARBITRARIO, in quanto legato a una data cultura, non motivato dalla realtà cui fa riferimento (Ex luna, moon, mond). Inoltre, hanno un carattere OPPOSITIVO, poiché un certo segno è se stesso non per le proprietà positive che possiede, ma per non essere nessun altro segno, poiché si oppone a tutti gli altri segni. Charles Pierce -> aveva definito il segno come QUALCOSA CHE PER QUALCUNO STA AL POSTO DI QUALCOS’ALTRO, SOTTO QUALCHE RISPETTO O CAPACITA’. In quanto tale, assume la funzione di “rimandare” a qualcosa di diverso da sé. Il segno va inteso come INFERENZA, poiché costituisce un indizio da cui trarre una conseguenza, così come le nuvole sono segno di pioggia o il fumo è indizio di fuoco. Il segno come indizio implica la presenza di modelli mentali che consentono di individuare gli aspetti mancanti o carenti e di cogliere il senso degli enunciati. Per esempio, in una situazione di trasloco e con l’appartamento ancora vuoto, si può chiamare sedia una cassa contenente libri, anche se non lo è affatto. Un soggetto comunica più di quanto dice. In entrambe le accezioni occorre parlare di segno come FUNZIONE SEGNICA, poiché non va inteso come una realtà fisica, bensì come una relazione fra due funzioni: espressioni e contenuto. PRGMATICO Charles Morris propose la distinzione tra: - Semantica -> si occupa dei significati dei segni - Pragmatica -> esplora la relazione dei segni coi parlanti - Sintassi -> studia le relazioni formali fra i segni Pragmatica = si occupa dell’uso dei significati: i modi con cui i significati sono impiegati nelle diverse circostanze. Studia i rapporti che intercorrono fra un testo e il contesto in cui esso è manifestato. La pragmatica prende in esame i processi impliciti della comunicazione, che comportano rilevanti dispositivi induttivi per inferire dal contesto ciò che il testo dice, anche se non espressamente. TEORIA DEGLI ATTI LINGUISTICI -> il punto di vista pragmatico pone in evidenza la comunicazione come azione e come fare. La comunicazione è azione fra 2 o più interlocutori. Jhon Austin proponendo la teoria degli atti linguistici, ha inteso attirare l’attenzione proprio su questo aspetto. Per Austin “dire qualcosa è anche sempre fare qualcosa” e vi sono 3 tipi di azione che compiamo quando parliamo: 1. Atti di dire qualcosa -> ATTI LOCUTORI, sono azioni che compiamo per il fatto stesso di parlare e che comprendono gli atti fonetici, gli atti fatici, gli atti retici. 2. Atti nel dire qualcosa -> ATTI ILLOCUTORI, sono atti che compiamo tramite il parlare medesimo (ex. Domandare, comandare, promettere, desiderare etc.) 3. Atti con il dire qualcosa -> ATTI PERLOCUTORI, sono la produzione di determinati effetti da parte del parlante sulle credenze, sentimenti e condotte dell’interlocutore. Qualsiasi scambio linguistico, non consiste nel produrre enunciati isolati, ma nell’impiegare frasi per realizzare un effetto intenzionale entro un definito contesto. Gli enunciati esprimono molto di più di quanto significhino letteralmente. Il modo in cui è interpretato un enunciato e il risultato di un atto linguistico, dipendono dalla forza contenuta nell’atto (forza illocutoria) e dai suoi effetti sull’interlocutore (effetti perlocutori). Indicatori della forza illocutoria di un enunciato non sono solo i verbi, ma anche l’ordine delle parole, l’accento, l’intonazione, la punteggiatura etc. Austin distingue ulteriormente fra: - Atti diretti -> la forza illocutoria che il parlante intende attribuire all’enunciato è trasmessa in modo conforme e corrispondente al significato linguistico dell’enunciato medesimo. - Atti indiretti -> la forza illocutoria deriva non dal significato linguistico dell’enunciato, ma dai modi non verbali con cui è manifestato. Paul Grice -> distingue tra: - Significato naturale -> il fumo è indizio di fuoco - Significato convenzionale -> o significato n-n = non naturale: qualsiasi parola della lingua italiana o di un’altra lingua. È inteso da Grice come il “voler dire qualcosa da parte del parlante a qualcun altro”. Il successo della comunicazione si fonda allora sul PRINCIPIO DI COOPERAZIONE. Questo principio è stato declinato da Grice secondo 4 massime che dovrebbero guidare la condotta dei parlanti: 1. QUANTITA’ -> dai un contributo che soddisfi la richiesta di informazioni in modo adeguato agli scopi della conversazione, ma non fornirne un contributo più informativo del necessario. 2. QUALITA’ -> cerca di fornire un contributo vero: non dire cose che ritieni false e non dire cose per le quali non hai prove adeguate. 3. RELAZIONE -> i tuoi contributi devono essere pertinenti. 4. MODO -> evita espressioni oscure, evita le ambiguità, sii breve, procedi in modo ordinato. Grice poi distingue tra: - LOGICA DEL LINGUAGGIO -> si applica al livello superficiale dei significati. - LOGICA DELLA CONVERSAZIONE -> considera i processi che gli individui usano per inferire ciò che il parlante intende comunicare. Implica, quindi, la differenza fondamentale tra il dire e il significare. Per superare questo scarto, occorre che i partecipanti facciano ricorso a un lavoro mentale di inferenza, chiamato IMPLICATURA CONVERSAZIONALE. Queste, in quanto non convenzionali, richiedono una specifica attività di inferenza, come in: - Paolo: “vieni alla festa di Chiara” - Luca: “devo lavorare” Luca risponde in modo inappropriato ma fornisce ugualmente degli indizi corretti a comprendere il contesto. Occorre precisare subito che non vi è testo senza contesto, così come non vi è contesto senza testo. Non possiamo generare significati fuori contesto o senza contesto. PSICOLOGICO Bateson pone in evidenza che gli individui “sono” in comunicazione e tramite la comunicazione giocano sé stessi e la propria identità. Nello studio degli scambi comunicativi fra i delfini e l’uomo e nell’analisi della comunicazione dei sistemi familiari, osservò che il comunicante procede in ogni messaggio su due piani distinti e interdipendenti: - Livello di notizia -> le cose che dice, i contenuti che manifesta. - Livello di comando -> far capire all’interlocutore come prendere le cose che dice. La comunicazione, quindi, si articola su più piani: 1. Il piano della COMUNICAZIONE -> i contenuti che si scambiano. 2. Il piano della METACOMUNICAZIONE -> la “cornice” con cui interpretare i messaggi. L’attenzione si sposta dalle informazioni trasmesse alla relazione interpersonale che si crea fra 2 o più interlocutori nel momento in cui comunicano tra loro. Ogni scambio implica un’interazione concreta fra 2 o più individui; a sua volta, una sequenza di scambi che si ripetono nel tempo costruisce un modello di relazione fra loro. La comunicazione diventa lo spazio che crea, mantiene, modifica e rinnova i legami fra soggetti. Ogni volta che ciascuno di noi comunica qualcosa a un altro definisce nello stesso tempo sé stesso e l’altro, nonché la natura della relazione che li unisce. La comunicazione, così intesa, diventa la base costitutiva dell’IDENTITA’ PERSONALE e della rete di relazioni in cui ciascuno è inserito. Si stabilisce in tal modo un rimando continuo fra relazione interpersonale e comunicazione. Non vi è l’una senza l’altra. L’essere umano vive di significati, fin da piccolo è alla ricerca di un significato che possa dare un senso e offrire una Quando generiamo un messaggio, abbiamo l’intenzione di comunicare qualcosa a qualcun altro. Grice ha distinto fra: - Intenzione informativa (ciò che viene detto, il contenuto) - Intenzione comunicativa (ciò che intendiamo dire, il voler rendere il destinatario consapevole di qualcosa di cui prima non era consapevole) Questo processo è caratterizzato da una graduazione continua. Occorre poi parlare della FORZA DELL’INTERAZIONE, direttamente proporzionale sia all’importanza dei contenuti trasmessi, sia alla rilevanza dell’interlocutore, sia alla natura del contesto. Implica la messa a fuoco e la puntualizzazione del messaggio. Il FUOCO COMUNICATIVO -> è un processo attivo di concentrazione dell’attenzione e dell’interesse del parlante su certi aspetti della realtà da condividere con il destinatario. Inoltre qualsiasi messaggio può essere governato da una pluralità di intenzioni, incastrate l’una nell’altra e disposte in modo gerarchico. Per esempio, in una menzogna preparata vi sono diversi livelli di intenzione: - Un’intenzione nascosta - Un’intenzione manifesta - Un’intenzione informativa - Un’intenzione di sincerità Il parlante deve selezionare un certo livello di intenzionalità per trasmettere ciò che ha in mente. È il dispositivo della “PARS PRO TOTO” secondo cui nella produzione di un messaggio possiamo manifestare solo una parte di ciò che abbiamo in testa. All’inizio degli studi sulla comunicazione il ricevente era inteso in modo passivo come il terminale verso cui è destinato il messaggio, lasciando al parlante la responsabilità maggiore dei processi di comunicazione. Questa prospettiva, nota come INTENZIONALISMO, prevede che il significato di un messaggio dipenda dall’intenzione del parlante e che il compito del destinatario sia quello di indentificare l’intenzione di partenza del parlante medesimo. In modo più articolato, il destinatario procede, più che a un semplice riconoscimento, a una reale ATTRIBUZIONE DI INTENZIONE al messaggio del soggetto. Comprendere la sua intenzione vuol dire assumere che il suo messaggio abbia un significato e impegnarsi per interpretarlo. Il destinatario attribuisce un’intenzione completa e coerente al messaggio sulla base di un insieme ristretto di indizi. Tale attribuzione è un processo attivo, autonomo e soggettivo, grazie al quale il destinatario si assume le sue responsabilità nella gestione dello scambio comunicativo. La comparsa del linguaggio come facoltà ha dato origine e si manifesta in migliaia di lingue naturali. Alcune sono nettamente dominanti (inglese) altre sono parlate da poche centinaia di individui. Linguaggio -> regolato dall’area di Broca (è prioritaria per la produzione del linguaggio e controlla i movimenti implicati nell’articolazione della parola) e dall’area di Wernicke (presiede ai processi di comprensione del linguaggio). Queste due aree sono intradipendenti e strettamente connesse fra loro da un fascio di fibre nervose chiamato fascio arcuato. Ogni lingua -> sistema potente e flessibile, idoneo a manifestare ciò che le persone hanno in mente. È composto da simboli arbitrari e convenzionali, prodotti all’interno di una certa comunità di parlanti, soggetti a cambiamenti nel corso del tempo in modo progressivo, perdendo parole ed espressioni particolari ed acquisendone di nuove. La COMPOSIZIONALITA’ della lingua comporta: - La sistematicità, dato che ogni lingua è regolata da una struttura sintattica e gli enunciati non sono componibili in modo arbitrario, ma solo seguendo le regole sintattiche previste da tale lingua; - La produttività, poiché la lingua permette di generare e comprendere un numero infinito di enunciati; - La possibilità di dislocazione, in quanto la referenza spaziale o temporale cui un dato enunciato si riferisce può essere diversa da quella in uso durante l’enunciato medesimo; FONETICA = lo studio fisico della produzione e percezione dei suoni linguistici prodotti dall’apparato fonatorio umano. La loro produzione avviene lungo un continuum sonoro, mentre la loro percezione acustica è categorica pe le consonanti e continua per le vocali. Diversi tipi di fonetica: - F. acustica (studia la struttura fisica dei suoni linguistici) - F. uditiva (si occupa della percezione dei foni da parte dell’udito) - F. articolatoria (analizza la fisiologia e il funzionamento degli organi fonatori durante la produzione dei foni) Poi occorre distinguere tra: - Fonetica segmentale (tratta gli elementi propriamente linguistici dei singoli foni) - Fonetica soprasegmentale (si occupa degli aspetti sonori sovrapposti” ai vari foni) FONOLOGIA = lo studio dei suoni di una lingua in rapporto alla loro funzione distintiva e discreta nella comunicazione linguistica. L’elemento di base è il FONEMA, inteso come unità fonica indivisibile e astratta, dotata di un valore linguistico distintivo e oppositivo, di per sé provvista di significato in grado tuttavia di distinguere significati lessicali diversi in rapporto alla loro presenza. Tutti i fonemi sono foni, ma non tutti foni sono fonemi. È il caso degli ALLOFONI: differenze di suono linguistico che non generano differenze di significato. (ex. Suono di n, in “banco” e in “freno”) MORFOLOGIA = disciplina che studia la struttura interna delle parole e descrive le varie forme che esse assumono a seconda delle categorie di numero, genere, modo, tempo, persona. Le parole sono segmentabili in unità linguistiche più piccole, ciascuna delle quali è portatrice di una porzione del significato dell’intera parola. Ciascuno di questi elementi costituisce un MORFEMA. Esso è l’unità linguistica minima, non ulteriormente scomponibile, dotata di significato. Il morfema si distingue in: - Libero (ex. Il, adesso, infatti, ecco) - Legato (ex. Gatt-o) -> in questo caso “gatt” è la radice e “o” è l’affisso. A sua volta il morfema grammaticale si suddivide in: - Flessivo (poiché si adopera solo per la flessione, “o” di “gatto”) - Derivazionale (che serve a formare parole nuove cambiando la categoria di base da cui derivano (-ist di barista) LESSICO = l’insieme finito ed eterogeneo composto da nuove categorie grammaticali di parole: - Nome - Verbo - Aggettivo - Pronome - Articolo - Preposizione - Congiunzione - Interiezione In generale si distinguono le parole: - Piene (o lessicali: parole cui corrispondono entità concettuali esterne, come sedia) - Vuote (o funzionali: parole per le quali non vi è tale corrispondenza, come lì) Al lessico linguistico corrisponde il “lessico mentale” = l’insieme di conoscenze di un parlante sulle parole da lui usate in una data situazione. SINTASSI = insieme organico delle regole che governano la formulazione degli enunciati e dei discorsi. Sono procedimenti computazionali che consentono di disporre in ordine gerarchico gli elementi del lessico per costruire unità di livello superiore: sintagmi, frasi, discorsi. Sintagmi = unità minime di una frase e si distinguono in: - Nomi (sintagmi nominali) - Verbi (sintagmi verbali) - Aggettivi (sintagmi aggettivali) Nel sintagma la parola principale è definita dalla TESTA; essa può associarsi ad altre parole con funzione di completamento o specificatore. La costruzione sintattica si fonda sulla RICORSIVITA’, che, al pari di una matrioska, assicura un costante incapsulamento degli elementi linguistici. A fronte di frasi ambigue, l’analisi sintattica richiede sia di individuare la struttura meno complessa, sia di compiere la più breve ricerca possibile all’indietro. Si fonda quindi sui principi di minimalità, che conducono ad alcune strategie quali: a) Strategia dell’attaccamento minimale b) Strategia della chiusura ritardata c) Strategia della catena minima Chomsky ha sviluppato la TEORIA DELLA GRAMMATICA UNIVERSALE che, unendo la fonologia e la morfologia alla sintassi, si propone di descrivere la grammatica di una qualsiasi lingua naturale sulla base di un insieme limitato di regole. Si è servito di un METODO FORMALE che, senza fare riferimento alcuno al significato, ha utilizzato la grammatica come fosse un calcolo matematico in grado di generare una lingua nelle sue infinite espressioni a partire da pochi elementi semplici. I principi fondamentali sono i seguenti: - La lingua è un insieme infinito di frasi - La frase è costituita a partire da un insieme finito di elementi o alfabeto - Tale alfabeto è composto da elementi primitivi - La grammatica è un sistema astratto di regole che generano frasi unicamente equivalenti tra loro - La grammatica è indipendente da ogni altro sistema cognitivo e dalla semantica - Esistono 2 livelli di rappresentazione della frase (struttura superficiale e la struttura profonda) e una serie di trasformazioni consente di passare da una struttura all’altra - L’interpretazione semantica delle frasi è basata soltanto sulla loro struttura superficiale - I processi mentali che sono alla base della grammatica sono quelli dell’azione e del ricorso a modelli ideali Entro questa impostazione, Chomsky ha distinto fra: - Competenza (descrive la capacità generale di usare una certa lingua e implica una conoscenza perfetta della lingua stessa posseduta da un parlante ideale) - Prestazione (riguarda l’impiego concreto di tale lingua in una data situazione) Poi ha distinto tra: - Struttura superficiale (concerne l’articolazione apparente e acusticamente percepibile di una frase) - Struttura profonda (riguarda la categorizzazione linguistica che non è direttamente percepibile ma è comunque necessaria per spiegare la struttura superficiale) Ogni elemento linguistico è associato sempre a un qualche aspetto non verbale. Prima di disporre della parola gli esseri umani comunicavano fra loro facendo ricorso a sistemi non verbali di significazione e di segnalazione. Il sistema VOCALE è composto dalle caratteristiche paralinguistiche (variazioni del tono, intensità e velocità del parlato, pause comprese) ed extralinguistiche (le proprietà foniche della voce di un soggetto che dipendono dal suo apparato fonatorio). Il sistema vocale influenza grandemente qualsiasi enunciato. Ad esempio, la parola “esci” assume significati diversi fra loro a seconda nel modo in cui è detta. Il sistema NON VOCALE è caratterizzato da: