Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

R. Barilli, L'arte contemporanea da Cézanne alle ultime tendenze, Sintesi del corso di Arte

Riassunto del testo di Renato Barilli sulla storia dell'arte contemporanea

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 31/01/2020

chiara-n
chiara-n 🇮🇹

4.5

(70)

8 documenti

1 / 33

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica R. Barilli, L'arte contemporanea da Cézanne alle ultime tendenze e più Sintesi del corso in PDF di Arte solo su Docsity! 1. Cezanne e l’età contemporanea Modernità -> 400-700 -> atto inaugurale invenzione di Gutenberg con il nuovo medium tecnologico della stampa a caratteri mobili-> “Età di Gutenberg” -> McLuhan-> Conseguenze sociopsicologiche e socioeconomiche (superficie piana, nascita del formato libro, formato geometrico, Cartesio e gli assi cartesiani ecc.). Paul Cézanne, 1939, visionario molto più vicino a Seurat, Gauguin e Van Gogh che non ai suoi coetanei impressionisti quali Monet e Manet (movimento parallelo allo sviluppo della macchina fotografica nella sua forma istantanea); contro i cardini della prospettiva tradizionale (a livello di rappresentazione di modelli spaziali) “spazio virtuale” su superficie piatta; complesso sinergico unitario di forme + colore medio + colore portato o atmosferico (luce) Periodo “romantico” Primo periodo dell’attività dell’artista tra il 1860-70 -> basilare per gli sviluppi successivi del percorso Cézanniano. Viene detto periodo romantico sulla base delle tematiche affrontate ossia composizioni a sfondo letterario-mitologico ispirandosi sin dagli inizi a Tintoretto, Veronese, Rubens, Delacroix ecc.; sin dal primo decennio artistico di Cézanne, egli basa il proprio studio sull’analisi della logica del visibile, dei principi della percezione (sottoforma strumentale nel periodo romantico). Con Cézanne si sostituisce perciò la prospettiva rettilinea rinascimentale a favore di una prospettiva sferica (anni Sessanta -> I media impongono di ragionare e sentire sfericamente), ove le zone centrali mantengono le proporzioni mentre, in alto e in basso, le figure subiranno una contrazione non rispettando una corretta anatomia classica. Tra i temi mitologici, 1860-61, vediamo Il giudizio di Paride percepito come mera esibizione plastica come sarà successivamente per le bagnanti -> Corpi gestiti in base alla resa dello spazio sferico, elementi curvilinei a favore di un’illusione di profondità con conseguente contrazione di quest’ultima. Dilatazioni e contrazioni alternate diventano così un tratto caratteristico del primo periodo. Colazione sull’erba, 1869-70 (p. 192) è il risultato del periodo sferoidale, avvicinandosi per tema al naturalismo- impressionismo di Manet e Monet. Il dipinto si instaura attorno all’elemento focale e luminoso dei frutti sulla tovaglia svolgendosi poi in maniera concentrica ove ruotano le diverse figure. Ponendo attenzione all’albero di dx Cézanne altera la prospettiva centripeta caratterizzando lo spazio tipico della sua arte: aperto, con la coda dell’occhio dirette a visionare il campo percettivo. Per quanto riguarda la scelta cromatica si hanno vaste campiture e tinte plumbee in assenza di lume naturalistico. Dallo sferoide al poliedro Tra il 1871-72 Cézanne presta attenzione agli Impressionisti (continuatori dei maestri dell’arte del rendere la realtà), alla pittura en plein air in contatto diretto con il motivo trovando luogo fuori dal museo; pur seguendo lo stesso plesso sinergico (colore + luce + forma) tende a superare il tempo di posa “istantaneo” prolungandolo sino a superare le apparenze dei soggetti/oggetti per giungere alla loro fenomenicità/strutture permanenti. Cézanne si avvicina al tema Pissarriano (casa, strade ecc.) ma passa in questo periodo a una nuova struttura dello spazio in concomitanza con il repertorio impressionista - ricco di vegetazione e costruzioni solide: innalzata e a superficie rettangolare–diedrica con il fine di dare importanza alla varietà presente in natura (codificata successivamente dal cubismo; per poi vedere recuperata la sua prima versione sferoidale-circolare con correnti quali l’Informale con Fautrier e le sue figure germinee sinuose o attraverso figure come Oldenburg in costruzioni morbide e alternate. Esistono due livelli di analisi: • Macro strutturale: figure corrispondenti a nozioni unitarie (volto umano, tazza, casa) -> Principio della “buona forma” (scuola della Gestalt) ossia ogni figura tende a presentarsi nelle modalità maggiormente leggibili -> “Trattare la natura attraverso il cilindro, la sfera e il cono” (Cézanne) -> Cézanne integra il noumeno (concetto intellegibile umano) con il visibile/forma : “correzione retinica” dell’occhio abitudinario che noi tutti abbiamo e che Cézanne mantiene nelle sue opere. • Microstrutturale: In Cézanne ogni tocco pittorico ha le proprie leggi e forme materiche; in quanto al colore esso è fenomeno dell’essenza o noumeno (del legno, della carne, vegetazione ecc.). La radiosità solare e dunque l’illuminazione esterna è addizionale/autonoma; Cézanne pone attenzione al fenomeno e non al mero elemento realistico come per i paesaggi svariati di Monet. I paesaggi 1978 data, secondo i critici, in cui si inscrive il passaggio dal periodo impressionista a quello “costruttivista” di Cézanne; fatto coincidere con la Vasca al Jas de Bouffan. Caratteristica basilare è l’annullamento del primo piano mediante il riflesso di questo nell’acqua sottostante: motivo della specchiatura -> Si accorciano le distanze in un poliedro schiacciato, annullando la fuga piramidale canonica (+ presenza di toni azzurro-celesti per la profondità prospettica, evitando così un’eccessiva schiacciatura spaziale) - > Prospettiva tonale risulta in questa opera alterata con la presenza di toni caldi in primo piano. Le composizioni di figura Di basilare importanza sono i nudi maschili e femminili, serie più costante nell’attività cézanniana (dagli anni Sessanta sino alla morte). Il nudo può essere atteggiato a piacimento mentre le figure abbigliante devono seguire imposizioni di rigore di uso e costume, limitandone l’espressione. L’unica differenza tra i nudi prima del 1870 e i successivi è da ritrovarsi solo nel passaggio nella carriera di Cézanne, da un sistema curvilineo a un sistema basato su tratti spezzati e sghembi. Nelle Tre bagnanti, si riscontrano una struttura/composizione di figura cardine -> Un punto di fuga alto, fuori dal quadro, le frasche che si incrociano sulle figure in modo da spezzare una porzione di spazio fin troppo lineare e le figure femminee che assumono porzioni maggiori e non regolari bensì schiacciate e marcate. Nelle Cinque bagnanti, la spazialità è piuttosto sghemba, assente e quasi priva di vegetazione. Questa volta è da ricercarsi nei nudi protagonisti del dipinto e fattispecie nella sagoma informe di sinistra: chiaro esempio di veduta laterale piatta ma con una parte sferica contrapposta dalla figura nuda sul lato destro. Brutalità e aspetti anti-graziosi si ergono a capisaldi in questa opera. Nelle Grandi bagnanti (Museum of Art of Philadelphia, 1898-1905) troviamo le quinte arboree in un aspetto cupo, sottoforma di densi tronchi a giacitura sghemba, a capanna; le figure nude ci appaiano come forzate in un unicum strutturato con la funzione di sostegno e sottolineatura. Altre ancora si mostrano come schiacciate nella struttura triangolare della capanna, con contorni forti e marcati -> si ha una sovrapposizione tipicamente cézanniana, mostruosa e organica: nudi, terra e vegetazione scanditi dall’aria celeste mediante scambi materico-cromatici. Le opere della piena maturità Serie tematiche della ritrattistica e della natura morta, serie più equilibrate rispetto a quelle paesaggistiche (serie de La Montage S.te Victoire) di influenza impressionista o a quelle dei nudi. La signora Cézanne sulla poltrona rossa risale al 1877 si presenta frontalmente schiacciata, una sorta di compressione tra l’individuo e gli oggetti presenti. I motivi decorativi della carta da parato sullo sfondo rispondono a una motivazione verosimile; essi hanno il compito di spezzare la frontalità della rappresentazione. La signora Cézanne sulla poltrona gialla, 1890-94, si trova in posizione trasversale contro lo spazio convergente, a favore di una costruzione divergente che tende verso sinistra contro la plasticità dello sfondo formato da una parete Per quanto riguarda l’arte di Gauguin divengono punti cardine: La ricerca di una resa poco illusoria ossia priva di effetti di profondità spaziale-prospettica verosimile, la presenza di figure “astratte-sintetiche” e in superficie ossia tale da mostrarsi per come sono state realizzate mediante i processi di campitura e di pigmentazione ben visibili; confermando e rafforzandone l’effetto antillusionistico; modello gauguiniano dell’unificazione degli spazi. -> Seguendo la logica di McLuhan paragoneremo quindi l’arte di Gauguin e, dello stesso Seurat, alla resa delle immagini via televisione: appiattita e stilizzata nei suoi contorni. Percorrendo a ritroso la carriera artistica di Gauguin notiamo l’influenza dell’impressionismo attraverso Pissarro ma anche di Manet e, fattispecie, per Degas (dal quale apprende l’uso di un’impostazione nuova a taglio fotografico vedi Sala in casa dell’artista, 1881 o Autoritratto con tavolozza, 1885). La scuola di Pont-Aven Nel 1887 si registra la prima fuga esotica di Gauguin ove si inscrive un passo importante verso la sintesi pittorica mediante gli effetti luce-colore dei tropici (unificando mare e spiagge in campiture); segue la fuga in Bretagna, scissa in due momenti -> Il primo momento si collega all’opera La danza delle quattro bretoni. Poiché l’arte di Gauguin crescesse servì l’intervento di Louis Anquetin e Emile Bernard della Scuola del Petit Boulevard (1886) -> il principio era quello della sintesi cioè dell’iconicità-generalità-astrazione in opposizione all’icasticità dell’Impressionismo. Tale tecnica prese il nome di Cloisonnisme* (divisione in compartimenti, usato per la prima volta dal critico d’arte Dujardin) o Sintetismo, memore delle costruzioni di vetrate tipiche del Medioevo ove i contorni delle figure andavano formando dei compartimenti colorati. Si inneggiava perciò al sopradetto periodo storico quale fonte di valori collettivi e di immagini generali, nelle icone capaci di rinviare autonomamente a valori trascendenti. *[Tecnica pittorica che consiste nel racchiudere campiture cromatiche, prive di effetti chiaroscurali, entro contorni netti]. Seguendo le orme di Bernard vediamo l’opera Le contadine bretoni in un prato verde, 1888, quale manifesto del Sintetismo: fondo compatto che trova la presenza di figure disposte su un unico piano, scandite da più grandezze in base alla distanza e sovrapposte a fasce successive. I contorni sono netti e ben presenti; tale manifesto illuminerà Gauguin sino all’opera La lotta di Giacobbe con l’Angelo -> unifica il tutto in un blocco unico, scandito e contrapposto da due colori focali: il verde e il rosso scarlatto divisi dalla diagonale del tronco curvilineo e dunque utilizzato per l’effetto di bidimensionalità ma con note piacevoli della linea. Seguono il criterio di estensione nella realizzazione dei gruppi e il contorno ben compatto nei copricapi delle donne bretoni. Per tracciare bene le linee del percorso artistico di Gauguin ci si soffermi ora sulla questione ritratti-autoritratti (in collegamento a Bernard e Van Gogh), ove minore attenzione viene prestata agli elementi icastici a favore dell’aspetto interiore della figura (es Ritratto di Madelaine Bernard o nello stesso ritratto di Van Gogh); viceversa per quanto riguarda gli autoritratti Gauguin presta maggior attenzione agli aspetti fisionomici poiché l’io gauguiniano è il soggetto per il eccellenza; uomo grandioso e in continua sfida con sé stesso ragion per cui si ritrae piuttosto felice. Nel 1888 Gauguin si trova a Parigi, realizzando un suo grande capolavoro in termini di ritrattistica ambientata, La famiglia Schuffeneckrt. Con i quadri del Cristo giallo (pacata contemplazione nonostante la sofferenza del Cristo in croce) e del Cristo Verde (notturno allarme della forza del male), in Bretagna, Gauguin sancisce uno sviluppo ulteriore della sua arte d’ora in poi ben più antropologica; legata al mito e alla religione, caratterizzata da una nuova variazione psicologica nell’artista e nelle proprie ricerche che andranno sviluppandosi nel periodo delle Isole dell’Oceania. Manifesto simbolista per la pittura A cavallo del suo ruolo di leader del sintetismo-simbolista nascono diatribe tra Gauguin e Bernard per il primato delle invenzioni tecniche sino al 1892, affidando infine la dottrina simbolista a Gauguin elaborata da Albert Aurier secondo dogmi del “manifesto”: • L’idealismo (Moreau e Puvis de Chavannes) ossia un risparmio nella costruzione dell’immagine, basato su temi lontani dalla realtà, stilizza i dati trasformandoli in icone passando dunque dall’INDIVIDUO al GENERE; McLuhan riguardo al porre le basi postmoderne di schemi essenziali “aperti” e indeterminati. • Simbolismo derivato tecnico dell’ideismo, non più immagine speculare-mimetica e perciò simbolo; in nome di proprietà trascendentali: radici mitiche della vita e della società, fattori religiosi della comunità. • Decoratività l’arte nuova diventa un fare più che un contemplare-fotografare, decorare e nobilitare ogni oggetto; direzione presa da Gauguin e colleghi della Scuola di Pont-Aven con l’arte della ceramica ora investita di valore estetico Secondo Charles Morice, il Simbolismo lega nozioni antitetiche (natura e storia, verità e bellezza, realtà e mito) in una sintesi dialettica -> aspetti mondani-fastosi, mistici-religiosi, sviluppando gli interni degasiani ardentemente decorati. Il periodo Tahitiano 1890 viaggio nelle Isole dell’Oceania -> quasi simile a una ricerca etnografica sul campo -> I personaggi delle isole lontane appaiono nelle tele dipinte da Gauguin dal 1891. Siamo qui al limite tra il Simbolismo e l’Espressionismo, si veda Vahine no te tiare: opera che presenta un aspetto plastico nella presenza femminile e nell’abito in contrapposizione à plat dello sfondo evidenziato dal motivo decorativo dei fiori. La presenza dei titoli in lingua maori sarà costante, garante di icone rappresentate; si rafforza la dimensione logica-generale dell’opera. Una delle maggiori opere di questo periodo è sicuramente Ia Orana Maria: (Ave Maria) sincretismo tra religione cristiana e umanità maori, riprendendo il tema della Madonna con il bambino, spogliandolo e trasfigurandolo nella natura polinesiana incontaminata. Gauguin recupera la spiritualità della vita quotidiana, naturalistica e calda di un paradiso terrestre reale, trasponendo un tema iconografico entro una realizzazione culturale e figurativa unica. Altra opera di spessore è Manao Tupapao: (Lo spirito dei morti veglia), di grande rilevanza tematica oltre che stilistica; predominante antropologica di Gauguin il cui incontro con la cultura maori è totale anche dal punto di vista sessuale, aperta, che si lega al concetto di femminilizzazione della sessualità contro la visione del dominio maschile-di possesso e di autoaffermazione. La figura femminile, secondo questa logica culturale, appare distesa e abbandonata, indifesa dinnanzi alla morte e all’ignoto (caratterizzata da colori notturni, demoniaci). I motivi stilistici e decorativi qui si esprimono sulla coperta arabescata contro il fondo tenebroso. Nel 1895, dopo una breve sosta a Parigi e in Bretagna, Gauguin si reca nuovamente a Tahiti donandoci preziose opere quali la composizione laboriosa Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? -> mostra i grandi interrogativi fuori dal tempo comune vicini a una religiosità primordiale e archetipa. Parabola della vita: nascita, infanzia, adolescenza, la morte. Le domande sono iscritte nell’orlo a sinistra e sorreggono la composizione, scissa in due scomparti dalla figura centrale; allo stesso modo le altre figure che occupano lo spazio scandiscono zone. Altri protagonisti del Simbolismo Van Gogh, nato nel 1853, a metà tra le due generazioni cardine del periodo: Impressionismo e Simbolismo, si confronta in ritardo (a causa di ambienti culturali diversi) con il realismo patetico di Millet cui risulta essere molto incline. Retorica ed enfasi maggiormente esasperate nel giovane artista mediante la tavolozza scura, volendo simboleggiare stati d’animo cupi e pessimistici (Espressionismo); aggravati dagli scenari della rivoluzione industriale ostile. Van Gogh incontrando Gauguin e Bernard ne rimane coinvolto, trovando affinità con la propria esigenza di plusvalenza psichica nella linea + presenza fisica del colore (diversamente dall’à plat simbolista) -> l’artista, perciò, esegue una sintesi dei due sistemi basilari della fin-de-siècle (modello diviso Seuratiano, modello unitario e compatto di Gauguin) entro uno stile molto personale. Altro personaggio coinvolto nelle poetiche simboliste si trova in Belgio e stiamo parlando di James Ensor, nato nel 1860. A metà degli anni Ottanta Ensor passa a un tema ben preciso: quello delle maschere tipiche della commedia dell’arte, caratterizzato da un cromatismo vivace. Simbolismo basso (infantile e grottesco) vede elementi curvilinei. Edvard Munch, nasce nel 1863 e si trova anch’egli diviso tra le due principali tendenze: Divisionismo o Simbolismo. Motivi lineari depurati e sicuri, stretti e strozzati sul soggetto che riesce a trasmetterle (vedi Il grido, 1893) -> Epoca prefreudiana vede irrompere i concetti di rimosso ma il simbolismo si limita, per ora, a far riecheggiare nelle sue tavole l’Es ora non più solo ma in compagnia del cosmo: luna, vegetali ecc. [Per tale motivazione Munch appartiene alla corrente simbolista e non a quella Espressionista ove il motivo cardine è, invece, la solitudine dell’uomo, abbandonato a sé e alla sua stessa rabbia]. Gaetano Previati e Giovanni Segantini -> Inclini a un allegorismo e idealismo retorico; Giuseppe Pellizza da Volpedo -> Maggiormente sintetico e ideista, aderisce all’irradiazione permettendo alle figure di stagliarsi dal fondo, sottoponendolo a un alone mistico ma naturale -> Il quarto stato, opera che mostra apertamente la sintesi tra l’attenzione ai tipi reali dei braccianti e una nobilitazione per via stilistica. 4. Matisse e la fascia fauve-espressionista Un’arte di transizione Henri Matisse domina la scena dei primi anni del Novecento; mantiene in parte gli aspetti simbolisti e altri ne cambia segnando un’arte di transizione -> Figurazione generalizzata “astratta” ispirata a stampe, xilografie; colore autonomo distante dal carattere icastico. Diversamente dal Simbolismo, i Fauve-espressionisti, agiscono sul concetto di simbolo ossia le icone e le campiture cromatiche, adesso, mirano solo a esprimere sé stesse, un dramma presente e terreno distante da rimandi magici. Le icone si distanziano dalla metapsicologica evocativa bensì mirano a esternare stati d’animo della condizione umana attraverso figure essenziali, maltrattante a favore di un rafforzo espressivo-interiore. Allo stesso modo il colore subisce il medesimo meccanismo divenendo violento e/o “fauve” (dal francese “belve, selvaggi”). Nascita di una soluzione fauve Nel 1904, anno dell’opera Lusso, calma e voluttà di Matisse, siamo ancora nell’intercapedine tra unificazione e divisione; in tale dipinto siamo dinnanzi alla divisione metodica: tessere matissiane estese e attive nei confronti delle figure, espressionisticamente deformi malgrado l’armonia cromatica. Successivamente troviamo un linearismo sintetico volto a sottolineare la dominante espressionista, per esempio nell’opera Gioia di vivere del 1906: linee curve e arabescate con la presenza di figure trattate brutalmente. Nell’opera Danza, del 1909, si nota un estremo grado di riduzione giocando sull’opposizione figure-sfondo (recupero dei sistemi di iconicità arcaica, anticipando l’art-brut di Dubuffet); a livello cromatico Matisse affida un ruolo “spalla”, riempitivo [vicino a un’astrazione sensibilistica tipica di Rothko]. In tal senso si prenda in esame Madame Matisse (ritratto con la riga verde), 1905, ove il colore assume un ruolo spaziale e fauve -> il volto viene spezzato, in una tensione spaziale, tramite campiture cromatiche in due zone definite dall’asse; i colori matissiani, dunque, sono valori di relazione legati tra di loro. Al mutare di uno di essi, devono mutare tutti gli altri, sino a ristabilire un equilibrio reciproco, rimanendo legate alle figure di cui devono estrarre l’espressività generale (significato e significante si coniugano reciprocamente). I dipinti di “interno” Tutto ciò si esprimere al massimo in una serie di interni, tra il 1908-1911 -> Armonia in rosso, predominante cromatica del colore rosso su tutta la tela unificato da un’unica stesura in contrasto con il colore verde del prato sulla sinistra; spazi essenziali interrotto da elementi decorativi che sfondano la superficie. In questa opera Matisse replica la presenza di tali motivi decorativi secondo: • Residuo dell’arredamento borghese di fine Ottocento • Motivi stilistici arabeschi tipici del simbolismo delle altre parti (questo ci appare incompiuto e provvisorio) -> Sodalizio tra Picasso e Braque: periodizzazione cubista scissa • Macrocubismo (protocubismo) fino al 1910, fase volta alla costruzione di oggetti macroscopici in primo piano, in opposizione allo sfondo = scarsa attenzione e definizione. [Basilare lo sviluppo delle figure monumentali in Picasso vedi Donna con mandolino, 1909]. -> La strutturalità non prescinde dalle esigenze fenomeniche del punto di vista • Fase analitica fino al 1912 (Precursore Cézanne) • Fase sintetica fino al 1914 Per quanto riguarda il primo periodo si ha un filo conduttore di generi, per l’ambito dei paesaggi si ricorda Braque nelle opere: Case all’Estaque, opera che annulla l’atmosfera in un tipico paesaggio Cézanniano (in una sorta di zoom); lo sviluppo dei piani riempie lo schermo visivo, la morfologia cubica domina su tutti gli elementi (naturali e non) con la presenza di un chiaroscuro netto tra parti in luce e in ombra; Porto in Normadia (1909) esempio di equilibrio tra l’adesione al paesaggio e il suo rifacimento per logica autonoma di piani e sfaccettature. Per le nature morte, sia Picasso che Braque, danno esempi di superiorità: più monumentali quelle di Picasso, come Pani e compostiera con frutta su tavola, 1908; Compostiera con pere, 1909; maggiormente dinamiche quelle di Braque come Natura morta con piatto di frutta, 1908-09; Chitarra e compostiera. Il periodo analitico Picasso -> Tema della figura e del ritratto, ricerca di una sintesi volumetrica di piani sull’unico livello della tela; volontà di sintesi dei movimenti in un unico istante (principio della simultaneità: ricordo degli oggetti che siamo in grado di percepire). -> Si vedano i ritratti che Picasso esegue di Ambroise Voillard e Henry Kahnweiler. Per quanto riguarda il fronte cromatico-materico si attenua la consistenza piena, qui si passa a un vedo non vedo dettato da una luce viva volta poi a sfumarsi. Braque, in questo momento, si dedica al tema della natura morta con opere come Violino e brocca -> dialettica tra la volontà razionalizzante della composizione e quella di preservare nuclei icastici-descrittivi [Parte strutturale e rivestimento fenomenico -> Ora si separano, le impalcature razionali si svincolano dalla materia, di natura pulviscolare]. Considerando due opere del 1911 ossia L’Indépendant di Picasso e Il portoghese di Braque riscontriamo una novità: l’icasticità è affidata all’uso di scritte inserite (lettering in linea con il mondo macchinista-industriale del tempo, razionalità) per gli oggetti/temi raffigurati. Nel 1912, col trompe-l’oeil (illusione di guardare oggetti reali e tridimensionali dipinti su superficie bidimensionale) si fa un passo verso l’ideale di concretezza, meta ultima del Cubismo. -> Sempre nel 1912 Picasso supera tale illusione pittorica mediante il ritaglio di materiale, incollato al posto della superficie da dipingere -> Natura morta con sedia impagliata, tela incerata che simula l’intreccio di fibre tipiche del telaio di una sedia. Il dipinto vede poi un elemento stereotipato eseguito a mano, le tre lettere iniziali “JOU” in caratteri cubitali + effetti plastici simulati con tinte neutre e biaccose. Braque esegue invece una variante più virtuale con il papier collé (utilizzo della carta di giornale o da parati, incollata sulla tela e più vicina alla bidimensionalità rispetto alla tela incerata; al fine di rendere l’idea dei diversi materiali uniti al disegno -> simile alle citazioni in un testo, prassi compositiva). Il periodo sintetico Il periodo sintetico riscontra un accrescimento del grado di noumenicità dell’immagine: sovrapposizione di parti distinte di una rappresentazione, spesso avvalendosi di tecniche come il collage ed il papier collé -> Puro e ridotto schema mentale. Questo porta Picasso e Braque a riempire i vuoti ricorrendo ai rivestimenti di natura icastica: inserimento di scritte, trompe-l’oeil, collage -> Dualismo: natura ideale, noumenica e rigore geometrico (anticipa Mondrian e Malevic). Si aggiunge alla fase sintetica un gusto decorativo (in linea con il progresso, vita moderna, universo tecnologico e urbano) di anticipo all’Art Déco. Braque si avvicina alla tecnica del collage, di indirizzo immateriale e mentale vedi Le Quotidien, violino e pipa o Natura morta con carte da gioco del 1913 -> Riduzione in pianta, pochi accenni chiaroscurali, essenzialità e purezza come in Aria de Bach: il violino è un’idea pura, quintessenza tracciata da un segno lieve. Picasso tende a una maggiore concretezza, maggiore corposità del papier collé (Natura morta con violino e frutta, 1912); in Natura morta e Chitarra, si è ancora più concreti, vicini alle realtà rappresentate: il collage viene superato, il materiale ligneo è segato e scavato conferendo la piena presenza spaziale, nelle tre dimensioni dell’oggetto. Si adotta il polimaterismo e la policromia (vs naturalismo in nome di una presentazione strutturale) -> Ritorno del rimosso, ai valori icastici e decorativi. Altri protagonisti della fascia cubista Juan Gris, 1886 -> Cubismo sintetico: nature morte stilizzate, arricchite di elementi decorativi (alle volte introdotti tramite il collage). I passi ufficiali del Cubismo, in quanto avanguardia provocatoria, si devono ad Albert Gleizes e Jean Metzinger protagonisti del Salon des Indépendants del 1911 -> Manifestazione pubblica del movimento. Altre due figure autonome sono quelle di Robert Delaunay e Ferdinand Léger -> Delaunay applica un filtro come di vetro smerigliato ottenendo così effetti plastici, concentrandosi sul tema urbano-architettonico [influenzerà i Futuristi] mantenendo una tavolozza vivace di nascita fauve-impressionista, diversamente dalle tinte terrose e lignee di Picaso e Braque. Delaunay (paragonato a Boccioni) realizza superfici pacate e orfiche opposte a quelle, dionisiache ed energetiche, di Boccioni. Piuttosto Delaunay sviluppa una morfologia curva, questa prossima al linguaggio curvo e radiante del Futurismo -> La contrapposizione, però, avviene proprio in queste SE le curve di Delaunay sono centriche e quindi calme e apollinee, quelle di Boccioni assumono un carattere morfologico ellissoidale e dunque dinamico irruento [al limite paragonabile a Balla]. Due figure avvolte dal clima cubista sono Amedeo Modigliani e Marc Chagall -> Modigliani, ispirandosi alla sintesi di Picasso e alla scultura, di essenza e primordio, di Brancusi. L’artista livornese cerca invece di dar vita a maschere individuali da stendere sui volti e corpi dei suoi personaggi; Modigliani ribalta cubismo e neoplasticismo a favore dell’individualità e della bellezza sofisticata. Marc Chagall (Espressionismo e misticismo ebraico) passa nel 1910, con influenza dell’avanguardia cubista, a maggior torsioni nelle figure e nei suoi racconti, pur mantenendo una consistenza densa, caratterizzata da tinte notturne. 6. Boccioni e il Futurismo Da Balla a Boccioni Giacomo Balla è la figura che fa da ponte tra la triade di fine Ottocento (Previati, Segantini, Pellizza) e la nascita di una nuova linea artistica. Balla è un “fuori gruppo”, nato dopo il Simbolismo e prima della generazione del 1880 (Picasso, Braque, Boccioni, Carrà, Severini e Russolo) per tale motivo, come fu per Gauguin, assume il ruolo di capofila potendo compiere con più lentezza e maturazione determinate soluzioni. Balla -> Processo astrattivo atto a evidenziare vaste fasce e piani, con le relative linee di confine; limpidezza percettiva e ricorso a fattori luminosi (luce bianca) e controluce -> vedi anche l’opera Controluce di Boccioni, ove si esprime al meglio l’insegnamento del maestro e l’intento; già in questa opera che vede un tema caro a Boccioni (la madre) egli esercita già il dinamismo e la compenetrazione dei piani – qui su basi ottiche. -> In un primo Boccioni troviamo: una natura fisico-illuministica e l’altra psico-patologica (vicina a Ensor, Munch e Klimt); sintetizzati poi in un perfetto equilibrio di fisicità e pathos perciò fisico e concreto. Il Manifesto futurista Pubblicato da Marinetti su le “Figaro”, nel febbraio 1909. • Necessità di consapevolezza teorica: la trasformazione tecnologica che sta avvenendo nell’età contemporanea deve trovare i suoi equivalenti anche nel settore dell’arte. • Coesistenza di due sistemi tecnologici: tecnologia meccanica ed elettromagnetica • Ragionare in termini globali, al di là delle singole arti, verso un discorso estetico [conoscere + agire, fenomeni di ordine fisico-percettivo e stati d’animo]. • Sequenza cinematica (manifesto tecnico 1910), fenomeno della persistenza dell’immagine sulla retina, per cui, un cavallo in corsa non ha quattro zampe ma venti -> vedi Dinamismo di un cane al guinzaglio (Balla, 1912) • Moto e luce (elementi strutturali) distruggono la materialità dei corpi Opera maggiore di Boccioni, nel 1910, è la Città che sale -> Elemento chiave cavallo in corsa simbolo del dinamismo tecnologico; effetto cinematico del cavallo ripetuto in vari momenti dell’azione. Allo stesso modo avviene nel Lutto (1910), serie psichica portando i volti delle due donne in un contorcimento grottesco e caricaturale. L’opera Idolo moderno (1911) è una sintesi tra la serie psichica e quella fisica: si ritrova il tema delle cocotte ma la luce (simbolo della vita moderna ‘by night’) diventa ora una soluzione strutturale capace di scindere il due il dipinto, scomponendolo. I conti col Cubismo 1911 -> Anno che segna un’evoluzione nel Futurismo -> Dal fenomeno al noumeno ossia, dalla natura a elementi propri della mente, ricorrendo alla geometria solida [pienezza psichica e dinamismo fisico]; tipica influenza cubista meccanomorfa (tale conoscenza, del cubismo minore, avviene in un viaggio a Parigi del 1911 compiuto da Boccioni, Carrà e Russolo). L’opera-trittico gli Stati d’animo (prima versione e seconda versione, 1911) di Boccioni -> Ciclo psichico e fisico, scaturito dall’espediente della fisica esterna (MOVIMENTO), legata dai viaggi ferroviari (scissi in tre momenti: “Gli addi”, “Quelli che vanno” e “Quelli che restano”, la seconda versione è indicativamente del 1912). In questi tre momenti il simbolismo lineare è forte: linee filamentose e vorticose degli addii, il moto del tratteggio orizzontale, proiettato in avanti - presente e già futuro - in quelli che vanno e un pesante verticalismo, statico, amaro e pressato verso il basso – impossibile andare avanti, impensabile tornare indietro - di quelli che restano. -> Gli Stati d’animo segnano il passaggio da una soggezione naturalistica a una propria autonomia di forme concrete. [Negli Addii, 1911 morfologia autonoma formale e morfologia cubista pp. 130-133]. La maturità di Boccioni. La scultura 1912 -> In questo anno Boccioni ha già assimilato la lezione Cubista, fondendola con la sua, entro una sintesi (e parabola del Futurismo) espressa in alcune sue opere cardine -> Tema della madre in Materia e Volumi orizzontali. In Materia: si ha il focus sull’intreccio delle mani appoggiate sulle ginocchia, trattate come in una fotografia sembrano protendersi verso lo spettatore, uscendo quasi dal dipinto. -> Figura umana assume il ruolo di generatrice di movimenti avvitati, schema curvilineo dotato, stavolta, del dovuto spessore plastico [geometria solida]; l’effetto concreto del Futurismo viene qua ridotto dalla tela bidimensionale e perciò “illusoria” nell’utilizzo del chiaroscuro -> Passaggio superato con la scultura. Di ispirazione cubista si veda lo sfondo: coesistono le due serie morfologiche ossia, quella elettromorfa-psicomorfa e l’altra meccanomorfa. 1912-13 -> Scultura e concretezza spaziale abbandonando l’illusionismo della superficie dipinta. -> Futurismo e Cubismo in questo risultano affini, Picasso precede l’exploit scultoreo di Boccioni. -> Nel 1912 i Futuristi espongono nelle maggiori capitali europee aprendo il paragone con il Cubismo: la differenza sostanziale è da ascriversi all’uso futurista di una geometria del curvo, rotazioni di coni, parabole o iperboli unite alle figure spezzate proprie del Cubismo [non quindi assimilabili a concetti teorici sostenuti per lungo tempo da Boccioni, quali la dinamicità, lirismo e psiche – che sarebbero state valide, solo se si fosse giunti a un’arte totalmente cinetica]. L’arte di Boccioni, legata al teorico Carrà, nel manifesto La Pittura dei suoni, rumori e odori, del 1913 (ove si nega l’uso di linee e forme statiche, pure a favore di linee e forme curve e dinamiche) trova piena espressione nella scultura Sviluppo di una bottiglia nello spazio di Boccioni: appunto non nelle intenzioni ma nell’applicazione di moti avvitati e falcati. -> Ancora più forte è la differenziazione tra Futurismo e Cubismo nell’opera Forme uniche di continuità nello spazio, 1913, bronzo fuso (prima eseguita in gesso- materiali monocromi e neutralizzanti, controparte dello scandalo 3D mimetico) in uno sviluppo colore e delle ombre; ormai squarci tra la tela [alternanza di spazi illuminati e altri in ombra]; es: Paesaggio di Murnau (1908) o Casa a Murnau (1909) ove si manifesta l’effetto di maculatura inquietante e cupa. Lo sfondamento Nel corso del 1910 Kandinsky modifica il suo percorso passando alla serie delle Improvvisazioni, avvicinandosi a temi aniconici come la musica; ragion per cui il colore e la linea divengono adesso autonomi, intendendo scoprire la morfologia del mondo della vita. Nello stesso anno si ha Lo spirituale dell’arte -> Convertibilità reciproca della massa in energia (teoria della relatività), “spiritualità” ossia la conquista di uno stato di smaterializzazione]; rivolta al mondo organico. -> Ciò si tramuta nella presenza di cellule, protozoi e amebe [sistema biomorfo e legame con la psicanalisi di Freud, nell’es]. Primo acquerello astratto, 1910 -> La continuità dei contorni va perdendosi lasciando spazio a macchie di colore, liquide e capaci di diffondersi nello spazio ormai rarefatto della tela. Uso di un linguaggio concreto poiché mantiene la morfologia delle forme di natura. -> Ideologia Kandinskyana rivolta a riscattare i valori del vitale e del primario Il congelamento Kandinsky trova sostegno da Walter Gropius, figura cardine del meccanomorfismo e dell’affermazione del Super-io sull’ Es. Per questo motivo Kandinsky ricerca una razionalizzazione alla sua morfologia liquida e vitalistica per sostituirla, tra gli anni Venti e Trenta, con un rigore geometrico volto a contenere quei movimenti cellulari sopradetti (es: Su fondo bianco, 1920). 9. La ricostruzione neoplastica dell’universo Il cosmo di Klee Come August Macke e Franz Marc, membri del “Blauer Reiter”, anche Paul Klee ne prende parte; portando ad un equilibrio concetti discordanti: ordine e disordine, forma e informe, organico e inorganico, disegno e materia, serietà e ironia, comico e tragico. Grande artista la cui carriera non risulta mai banale; già dalla sua prima fase rivolta a due principi essenziali: il principio femminile [continuità delle forme, lento e graduale sviluppo] e il principio maschile [brutalità dell’evento, cesura senza orizzonti]. Il lavoro di Klee, in sintesi, è continuamente omogeneo seppur flessibile; assimilabile al cosmo ma sorretto da pochi principi ispiratori. Principio maschile e principio femminile Il principio femminile (motivo della continuità), a livello stilistico, si affida alle toppe cromatiche tipiche tra il 1914- 1920: toppe di varie misure che si estendono in superficie (vs Mondrian rigoroso). In ogni caso, il principio della continuità non è affidato unicamente alla toppa o alla campitura, ma anche al grafismo -> La ripetizione va formando un tessuto, un motivo decorativo (es. Pastorale, 1972). Klee recupera il principio che separa (maschile) del punto; questo, sottoforma di tessuto continuo, viene assimilato dal principio femminile: recupero del motivo divisionista, ma in funzione decorativa, tale da costituire un tessuto omogeneo e vibrante -> Es: Côte de Provence, 1927, ove la trama fitta continua vede emergere un segno grosso (di interruzione) lungo le file di puntini; dando vita a figure leggibili (folla di barchette stilizzate) 1 . -> Si tratta di una sorta di continuità nella discontinuità, ottenuta per la vocazione di conciliazione dei contrari propria dell’artista. 1 Vedi anche La luce ed altro (1931) e Ad Parnassum (1932) Il principio maschile (motivo dell’evento traumatico) lascia campo alla figurazione, secondo una graduale fecondazione spermatica delle toppe (del principio femminile): alle volte esse si ingrossano e maturano, in altri casi acquistano coraggio incidendosi sulla tela -> Es: Paesaggio con uccelli gialli o Città di sogno; raggiungimenti di rapporto figura-sfondo. Malevič e il Suprematismo Tra il 1914-15 subentra un minimale repertorio di sagome, portando a una concretezza radicale, “neoplastica” -> Malevič realizza composizioni che si muovono sulla superficie; le inclinazioni sono libere e imprevedibili, ben distanti dai 45 quadri del De Stijl. Nell’artista si ha un’aspirazione a una semplificazione progressiva: una sorta di – sottoforma di +, indirizzata a uno stato energetico assoluto -> Con il senno di poi, Malevič, aveva intuito l’avvento dell’età dell’energia -> Quadrato bianco su fondo bianco (1918): si affida l’azzeramento al colore bianco [il rosso simboleggia l’ansia rivoluzionaria e il nero un omaggio alla forza del fattore economico]; in una direzione “suprema” si procede verso la smaterializzazione dei corpi per cui il traguardo finale non può che essere il bianco. Tatlin e il Costruttivismo Vladimir Tatlin si colloca in opposizione a Malevič -> Partendo dall’influenza cubista su entrambi gli artisti, Tatlin non passa alla fase “sintetica”; non considera la materializzazione come una tappa transitoria da dover superare. Dapprima si diffonde la linea seguita da Malevič del Suprematismo quale linguaggio astratto-concreto su superficie pittorica rispetto alla strada spazio-ambientale di Tatlin; con la Rivoluzione d’ottobre si afferma il concetto di plasmare il progetto in realtà fisica: Neoplasticismo -> La concretezza tridimensionale di Tatlin assume una leadership. Monumento per la III Internazionale (1919-20): Intervento rimasto progetto che vede riemergere la linea arcuata dei suoi primi lavori, affiancata a una ricerca della natura liberata dai caratteri aneddotici -> Accanto al motivo organicista della spirale, Tatlin gioca su elementi del cilindro, del cono e del cubo cui intendeva affidare rotazioni complesse, con specifiche funzioni simboliche. Si nota dunque una concezione funzionalistica-utilitaria a fini mistici e simbolici. -> Sorta di anticipo della morta dell’arte, superamento del dipingere a favore della terza dimensione, o addirittura della quarta dimensione del tempo e del movimento. Un compromesso tra Malevič e Tatlin lo si ritrova in due artisti d’avanguardia sovietica: Alexj Rodcenko ed El Lissitkij: accumunabili a Malevič per grammatica visiva e compositiva e vicini a Tatlin per la sperimentazione dei materiali e delle nuove tecniche, indirizzate verso la morte delle arti tradizionali. Rodcenko -> Costruzioni sospese, strutture concentriche (elementi circolari del compasso, come suggeriva Tatlin vs Malevič), che tendono ad affrancarsi su un pavimento/parete, per acquisire un’autonomia statica e dinamica di movimento nello spazio. El Lissitskij, partendo dalle lezioni del padre del Suprematismo, va ricercando le dimensioni fisiche conferendovi uno spessore illusorio sulla falsariga del disegno progettuale di un architetto. Sia Rodcenko che El Lissitskij operano nel campo delle arti grafiche, ricorrendo al fotomontaggio, ma quest’ultimo vi incide una condizione di imponderabilità leggera: es I due quadrati, 1920 -> Summa di variazioni sul motivo. 10. Il Dadaismo Duchamp e il ready-made La messa in discussione dello statuto dell’opera d’arte, nella cultura contemporanea si deve al francese Marcel Duchamp (1887, poco più giovane dei Cubo-futuristi – ragione per cui possiamo catalogare le sue soluzioni come estremiste). Come di consueto anche Duchamp entra in contatto con l’arte fauve-espressionista, modificandola a partire dal 1911 verso figure leggere e filiformi. Già da questa data l’artista cerca di distaccarsi dalla materia, cercando di avvicinarsi alla dimensione mentale; così la sfera dell’invisibile, la noosfera, fa la sua prima comparsa sul “visibile” ossia sui “significati” fisicamente presenti e constatabili. Inizia perciò l’interpretazione in chiave allegoria, alchemica e psicoanalitica: es in Giovane e fanciulla in primavera (1911) accanto al dato visibile, scanditi da segni fragili, si passa a un ideale di androginia. Seguendo l’iter sperimentale di quegli anni Duchamp passa per un’altra tappa obbligatoria nonché quella cubista, diretta alla ricerca di un alleggerimento fisico: la successione cinematica di un corpo in serie (come stavano esplorando i Futuristi). Così, come Boccioni, si approccia all’effetto fotodinamico al fine di sperimentarlo tecnicamente nelle due versioni del Nudo che scende le scale (1911-12). Finalmente è nel 1913 che Duchamp traccia nel mondo dell’arte cesura -> Le macchine ci sono, già fatte – readymades – il vero compito sta nel capirne l’uso di ordine estetico2. Con Duchamp e colleghi si inseriscono oggetti esteticamente rilevanti, capaci di stimolare in noi la reazione del bello, brutto, volgare o provocante. -> Dall’artistico si passa all’antiartistico o anestetico: proponendo oggetti banali in serie al fine di abolire qualità oggettive del valore artistico-estetico poiché esso non è che una convenzione espressa in intenzione, per cui tutto può essere opera d’arte. Ciò che conta è il coefficiente mentale -> Ruota di biciletta, l’Attaccapanni, l’Orinatorio e lo Scolabottiglie: tutti questi ready made voglio mettere in luce che lo spostamento importante è quello concettuale, investendo gli oggetti di significati enigmatici. L’artistico, l’estetico, il noetico Ciò che realmente risulta importante è l’allargamento del campo estetico: ogni evento può ricevere un indice, un’intenzione. Prendiamo ad esempio la riproduzione della Gioconda leonardesca ove Duchamp vi aggiunge dei semplici baffi: così facendo l’autore ha profanato l’opera in chiave volgare, riducendola a merce, prodotto di consumo popolare quasi come un orinatoio o una ruota di biciletta. Quanto ai baffi, si ispira ai graffiti a sfondo sessuale dei gabinetti pubblici e, con le 5 lettere a caratteri cubitali (L.H.C.O.Q) si prosegue con un motto di spirito di ordine profanatorio. Le sue esplorazioni tecniche, mentali, estetiche confluiscono nel Grande vetro (1923): si conferma il tema libidico della macchina sessuale. Già nel titolo in francese, Duchamp gioca con le parole -> La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche -> anche in francese è même -> omofono di m’aime: carattere erotico. La “macchina” è celibe, allude a un amore impossibile o simulato solo per gioco. Il titolo, Grande vetro, trova significato sul supporto in vetro su cui sono tracciati gli eventi. Picabia e Man Ray Il Dadaismo francese “parigino” è costituito da Marcel Duchamp, Francis Picabia e lo statunitense Man Ray, divisi di qua e di là dall’Atlantico. Francis Picabia, come il collega Duchamp, attraversa la fase fauve-espressionista con la proposta di una possibile fusione dei sessi (Adamo ed Eva, 1911) per poi passare al Cubismo analitico (incastri policromi). Picabia, diversamente da Duchamp, realizza readymades più sfacciati e chiassosi: Parossismo del dolore, Il ragazzo carburatore, Parata amorosa, Fidanzata. Ben più acuto è Man Ray, membro più giovane del gruppo (incontrato nel 1915 a New York). Dapprima si occupa della danza, del movimento secondo mezzi grafici, di uso tecnico e artigianale; passa poi al ready made cui non manca l’intervento personale (non raggiungendo il grado zero come Duchamp): es Il regalo, Fermacarte-Priapo. L’aspetto più caratteristico dell’arte (animazione estetica) di Man Ray è da individuarsi nell’alternanza tra mezzi artistici e la fotografia: L’enigma di Isidore Ducasse, opera in cui si anticipa la stimolazione sensoriale mediante la copertura dell’oggetto; dando luogo a un gioco tra riconoscibilità e irriconoscibilità. La fasciatura dell’oggetto è uno stadio preparatorio, fissato poi in foto. -> “rayogramma”: tecnica che elimina la mediazione ottico-prospettica della camera, dando vita a uno spaesamento dettato dal rovesciamento -> ready made “aiutati” dall’artista, su superficie bidimensionale. Nei rayogrammi gli oggetti impressi sono fasciati da ombre, e resi spettrali. 2 Estetico, nel senso di acuire e potenziare la rete delle facoltà sensoriali Successivamente, nel 1919, Carrà arretra nella stanza gotica, giottesca -> le Figlie di Loth: i corpi vengono allunati, deformati espressivamente, in una straordinaria bellezza e stasi. Osservazioni analoghe le ritroviamo, nel 1921-22, con Pino sul mare, Il mulino di S. Anna e La casa dell’amore, capolavori di modello giottesco. Il terzo artista di riferimento per la metafisica ferrarese è Giorgio Morandi (1890), con un percorso simile a Carrà. Morandi presenta agli inizi un cubismo filtrato, già incline alla riduzione di un ritorno all’ordine – simile ad André Derain; senza rinunciare agli infantilismi presenti in Bagnanti, Bottiglie e fruttiera e Fiori (1915-16). Nel 1918 si hanno pochi dipinti (due Nature morte, una Grande natura morta metafisica e un’altra Natura morta metafisica) ove Morandi introduce il teatro prospettico (dechirichiano); ribalta la scenografia, introducendo manichini, oggetti levitanti e strutture architettoniche -> Il clima è pieno, immobile; costituito da valori plastici, gonfi ed esasperati mediante giochi di luci e ombre. Il “richiamo all’ordine” in Francia André Derain, primo artista del ritorno all’ordine francese, già nel 1911 con Suonatore con la cornamusa, lascia intravedere residui del suo passato avvicinamento al Cubismo benché le forme vengano ricomponendosi in una tenerezza, tra il primitivo e l’infantile. Nel 1914 in Autoritratto appare un allungamento gotico, manierista, vicino a Modigliani. Ben più importante l’implosione manifestata dal duo Picasso-Braque. Picasso, già in passato, aveva intravisto la possibilità di un ritorno agli “antichi”, originari; anticipando lo stesso De Chirico -> Ciò era avvenuto nei suoi periodi blu e rosa: ambedue dedicati alla figurazione -> Per poi comprendere, nel 1916, di poter rilanciare questa soluzione da lui già sperimentata. Picasso passa quindi a lineamenti definiti in punta di pennello, quasi calligrafici (da identikit); a soluzioni robuste e plastiche – simile al Ritratto di Gertrude Stein (1906). Nel primo caso si hanno aspetti in superficie, appiattiti in losanghe policrome mentre, nel secondo caso, si ottengono come dei manichini deformati, innaturali: es L’italiana (1917) o Bagnanti (1918). Tra il 1921-24 si ha la serie delle Tre donne alla fontana: la materia si congela in tinte di terracotta, in deformazioni dilatate; Picasso ripercorre la strada delle maschere africane od oceaniche del Cubismo macroscopico. Con Gino Severini, tra il 1916-1922, si ha il raggiungimento dell’equilibrio neorinascimentale, elegante e bello; un ritorno al Quattrocento, privo di soluzioni eccessive: troppo brutali e sgarbate o troppo leziose -> Ritratto di Jeanne e Maternità del 1916. Ancora, va riconosciuto a Severini il lavoro sulle maschere della commedia dell’arte tra il 1921 e il 1922; nel ciclo parietale di Montegufoni. L’avventura novecentista in Italia Dal 1919 al 1922 si ha la rivista “Valori plastici”, con la funzione principale di codificazione a posteriori del fenomeno metafisico. I due protagonisti, De Chirico e Carrà, proprio in quegli anni si allontanano: Carrà recupera la libertà di spaziare nel campo delle deformazioni, con allungamenti gotici tipici di Arturo Martini. Con Martini si hanno moti liberi e audaci, costanti sia nel periodo espressionista sia in quello del ritorno all’ordine; anzi con l’utilizzo di materie calde (terracotta e ceramica) può assecondare tali invenzioni formali, gli slanci, in un equilibrio tra il fisico e lo spirituale. Morandi è sicuramente uno tra gli artisti metafisici è dismettere il clima alto-magico a favore di toni chiaroscurali; rimpolpando le nature morte sino a un registro di fenomenismo denso. Il clima in Toscana invece, è caratterizzato da un tono selvaggio e strapaesano di Soffici; influenzando così Ottone Rosai e Primo Conti. L’evento importante degli anni Venti, in Italia, è sicuramente l’esposizione nel 1922 (a Milano) da parte di sette artisti presso la Galleria Pesaro, ove furono battezzati, dalla teorica e critica Margherita Sarafatti, il “Novecento”: Mario Sironi, Achille Funi, Ubaldo Oppi, Marussig ecc. L’episodio precedente ai “sette” milanesi deve essere riscontrato a Roma, tra i primi componenti della Scuola romana: Antonio Donghi, Virgilio Guidi, Carlo Socrate ecc. Tra Nuova oggettività e Realismo magico Negli anni Venti della Germania postbellica emergono numerosi artisti interessati al recupero di una plasticità ostentata e illusoria, contrassegnata da intenti di denuncia nei confronti dei mali sociali, di un’umanità degradata e miserabile, simbolo di una crisi economica e sociale; aiutata nell’espressione visiva del gusto primitivo dedito ai particolari, ora ripescati per dare concretezza visiva a tali problematiche. In questa configurazione ci torna utile un saggio del 1925 di Fraz Roh in cui proponeva il termine di Realismo magico. Il caso più aggressivo e caratterizzante, oltre a Georg Grosz, è Otto Dix nato a Dresda nel 1891; in lui la deformazione avviene come un’alterazione anatomica inflitta ai corpi, ai volti. L’artista sperimenta particolari e menomazioni nelle sue opere: Autoritratto con modella, Ritratto del Dr. Hans Koch, I genitori dell’artista, Ritratto della scrittrice Sylvia von Harden. Breton e il Surrealismo Il Surrealismo si ha nel 1924 per mano di André Breton (poeta), il quale volle attribuire al lavoro onirico un grado di solidità e presenza pari alla realtà; per la prima volta si cercò di applicare sistematicamente la dottrina freudiana. Con il Surrealismo si cercò di ripristinare la scatola prospettica, reintroducendo il linguaggio virtuale e simulato delle immagini vs la realtà Dada: con Max Ernst nelle opere, L’enfante Cèlèbes e Edipo re del 1921, si ha la trasposizione in simulacro di quelle “macchine celibi” duchampiane; non prive di evidenza realista e potere d’impatto. In Ernst si ha anche un naturalismo di specie genetica, fasi germinali, presenti dopo il 1927 in opere come La sposa del vento. Il biomorfismo di Mirò Sono univoche le scelte compiute da Joan Mirò (1893) -> Il livello semantico, di figure leggibili, si ha negli anni giovanili, distintosi per l’eccesso di definizione grafica. I singoli vocaboli, siano essi paesaggistici o figure umane, in Mirò, germogliano indipendentemente nello spazio, come se emettessero antenne, filamenta capaci di ignorare la sintassi. Le sue opere assumono una vitalità autonoma e singolare; lo spazio subisce un collasso divenendo inutile poiché ciò che conta è la fermentazione dei singoli dettagli [simile al Kandinsky attorno al 1910]. Dal 1919 Mirò stabilisce contatti regolari con Parigi entrando in contatto con Masson, Ernst, Arp e Breton; ciò tuttavia non contagiando la sua arte, scandita da tempi organici di evoluzione interna -> Nel 1924 cadono i vuoti simulacri di una figurazione di superficie, di una semantica convenzionale, lasciando spazio ai moti dei microrganismi che fermentavano; svolgendo un inno alle forze della vita. Viene meno ogni scenografia spaziale, i dipinti hanno adesso bisogno di più spazio possibile amorfo, non intralciando i moti cellulari adesso divenuti protagonisti in primo piano. Mirò rinuncia così anche all’illusionismo plastico-spaziale, abolendo la soluzione di De Chirico -> Bidimensionalità (paragonabile a Klee). Mirò, tra il 1925-40, riesce a far proliferare il suo biomorfismo: schemi grafici -> Il carnevale di Arlecchino (1924-25) vede la proliferazione di strani soggetti entro un gioco del tipo figura-sfondo, affidato a nitidi profili grafici contro lo sfondo compatto campito a tinte araldiche (inebriate vitalismo) di gialli, rossi, azzurri; alternati ai tratti neri del disegno portante. Nel 1928 si hanno gli Interni olandesi ancora più proliferanti, compressi come molle. Mirò alternerà così la sua carriera: fasi sfoltite e rarefatte, ove i segni si slanciano nel vuoto catalizzando l’attenzione; e fasi proliferanti gremite di cellule. Allo stesso modo si trova l’alternanza di un sogno sottile e preciso e tentativi di matericità gestuale -> Il linguaggio di Mirò rimane eidetico, noumenico piuttosto che fenomenico. Un ruolo simile spetta al francese André Masson (1896) seppur ben più tirato e spigoloso; utile alla formazione dello statunitense Jackson Pollock. Nel 1927 Masson introduce alla tradizione delle Belle Arti, la sabbia quale mezzo per descrivere tracciati calligrafici (aprendo la strada alle poetiche dell’Informale). La linea Magritte-Dalì René Magritte nasce nel 1898 e si forma a Bruxelles, facendosi conoscere a Parigi, nell’ambiente di Breton, solo attorno al 1927. Senza dubbio Magritte è il surrealista più legato alla lezione di De Chirico, perciò si inserisce nella tendenza reazionaria e implosiva; con lui il Surrealismo dialoga alla pari con gli episodi dei vari Realismi magici e, allo stesso tempo, si nota la linea di demarcazione tra il “reale” Dadaista e il “reale” virtuale, illusorio del Surrealismo. Per Magritte, come i due fratelli metafisici, i mezzi devono essere subordinati alla semantica e alla narrazione, ai contenuti e ai significati. Magritte dichiara una fedeltà al presente; i suoi spostamenti avvengono orizzontalmente ossia nell’ambito delle semantiche, della nomenclatura degli oggetti -> La presenza di parole scritte che nominano oggetti, denominandoli, sabotandoli fanno sì di spostare le convenzioni sociali -> Effetto straniante, contro l’illusione naturalistica, mettendo in luce la presenza di un oggetto convenzionale. Il cuore dell’opera sta nel negare la loro evidenza: Ceci n’est pas une pipe, operazione verbale-concettuale già espressa nel Dadaismo eroico di Duchamp. La caratteristica di Magritte sta nell’esemplificazione visiva dei concetti resi tangibili attraverso l’arte; ad esempio una funziona analoga spetta alle finestre aperte verso l’interno capaci di dar luogo a scoperte sconcertanti Salvador Dalì (1904) rappresentante del Surrealismo praticato per mezzi tradizionalisti e pompier. Per Dalì diviene punto cardine l’associazionismo psicanalitico della lezione di Breton -> Traslata da Dalì in “paranoia critica” distinguibile dal puro automatismo psichico. Dalì si apre a uno scorribande nella storia delle immagini, varca il confine, passando dallo stato solido a quello liquido; l’artista cerca di visualizzare l’invisibile e dire l’indicibile attraverso forme gassose, ectoplasmi, mostri preistorici; i metalli si liquefanno. 12. L’informale Apertura della pittura allo spazio esistenziale-fenomenico R. Barilli, “la pittura informale, per sua natura, insiste, sporge, si affaccia sul mondo” M. Calvesi, “la non-forma come istanza di diretta comunicazione con la realtà” Gli anni Trenta tra astrazione e rivolta selvaggia Con gli anni Trenta si ha un decennio di transizione: da un lato vi si consolidano tendenze già emerse in passato; dall’altro si colgono i sintomi della stagione dell’Informale. In questo clima vediamo prima a Parigi e poi in Italia (Lombardia, tra Milano e Como), il rafforzarsi del linguaggio “concreto” -> nell’Astrattismo lombardo si vedono emergere due personaggi: Lucio Fontana e Fausto Melotti; artisti in cui possiamo cogliere fermenti di futuro, interessati all’esplorazione spaziale e sensoriale, ricerca “aperta”, andando oltre l’estensione fisica o volumetrica. Una figura isolata, paragonabile ai due protagonisti sopradetti, è quella dello statunitense Alexander Calder -> A Parigi coglie suggerimenti da Picasso e Gonzalez, trasferendo le sagome (astratte-fauve) nella tridimensionalità del fil di ferro, capace di muoversi liberamente nello spazio (mobiles – stabiles). Successivamente il suo linguaggio figurativo passa ai biomorfismi tipici di Mirò, dunque le forme germinee si muovono nello spazio attraverso i Mobiles: sculture/non sculture, vivaci, che sfruttano l’aria per produrre movimento vs le leggi della staticità; simili sono gli Stabiles, ben più vasti e stabilizzati al suolo -> Superare i confini tra scultura e pittura attraverso forme plastico- cromatiche di animazione dello spazio. La derivazione surrealista: Wols, Gorky, De Kooning Altri rappresentanti dell’Informale prendono avvio dal Surrealismo, in una sua versione “bassa”, ispirata al mondo della vita. Tra questi spicca il tedesco Wols, nato a Berlino nel 1913 -> Seguendo il motivo generazionale notiamo che le date di nascita degli Informali si muovono lungo un ventennio. I primi, Fautrier e Dubuffet, nascono al capo del secolo, seguendo di una generazione i maestri del primo Novecento; gli ultimi nascono attorno al 1920; l’epicentro si ha agli inni degli anni Dieci per cui, Wols vi rientra perfettamente. Il linguaggio di Wols, più intellettualistico e colto, esemplifica il carattere fenomenico-esistenziale che le amebe e i contorni sinuosi dei primi Surrealisti assumono venendo trattati con ritmi accelerati, acquisendo un’illusione di profondità. Le figure non sono più schematiche ma acquistano capacità di racconto “primario”, difatti la loro ricchezza di dettagli è da accomunarsi al fenomeno di crescita -> Ne vengono fuori efflorescenze, folla di microrganismi sottomarini. Distanziatosi dagli acquerelli, anche Wols passa alla comparsa della materia, dando consistenza fisica e visibile: gli sfondi sono ricoperti di pellicole di paste, macchie di colore leggero e liquido. Evoca così il principio materico nei modi più leggeri, attraverso una fenomenologia di macchie, bolle aeree e gassose (elementi di disturbo verso le figure). Arshile Gorky (1904), artista armeno la cui carriera si svolge quasi interamente negli USA. L’arte di Gorky vede la presenza di un filtro morbido, organico, capace di arrotondare forme, a smussare angoli; anche il colore è soffice, caldo, pastoso e vitale. Ne L’artista e sua madre (1928), si nota il citazionismo al Picasso rosa; ma ancora più evidente è la “sospensione” magica: le figure sono due fantasmi usciti dalla dimensione del sogno; denso e capace di dare corpo al linguaggio dell’infanzia e dell’eros, ove tutto è morbido e soffice, dove il principio della realtà non penetra. Successivamente si avvicina alla linea Surrealista Arp-Mirò, con il compito storico di dare consistenza fenomenica- esistenziale (quantitativa, materica) a determinate forme. Nel dipinto Notturno, enigma e nostalgia (1934) si ha una pasta vischiosa, capace di conferire spessore e profondità spaziale [citazionismo Mirò]. L’innovazione in Gorky si ha nel trattamento delle opere, ora non più stese con campiture piatte e “mentali”, bensì mediante “paste” tenaci seppur leggere; il rapporto figura-sfondo si fa concreto e non come in Mirò ove tale si svolgeva a favore dell’elemento figurativo. Inoltre, una caratteristica diversa dai colleghi Informali, è che in Gorky non si ritrovano le pulsioni di Thanatos (personificazione della morte nella mitologia greca). William De Kooning (1904), olandese emigrato negli USA come lo stesso Gorky. Dopo una fase di citazionismo legata a Gorky, William De Kooning verte per una regressione agli stati inferiori del mondo della vita; violento e aggressivo. Le figure sono vibranti, oscillanti, pronte a ferire; così lo sfondo viene invaso da uno strato materico denso e brutale. Ciò che emerge è un incontro-scontro tra lo sfondo materico e le presenze antropomorfe: dando luogo a un esito non sempre leggibile, si ha un esito speso “astratto” o “concreto”. Come in una moviola, rallentata e poi velocizzata, si hanno le opere di De Kooning; un insieme di filamenti materici compenetranti. Non vi è più l’equilibrio infantile di Gorky, si ha una lotta, una danza dionisiaca. Pollock e L’Espressionismo astratto Jackson Pollock (1913), artista dall’enorme talento, indirizzato a creare un linguaggio nuovo, vitalistico; contro il sonno della latenza. Dopo una base di arte “colta” e di citazionismo, Pollock passa a una composizione monarchica, dominata da un unico principio del tutto rivoluzionaria: 1947, l’operazione astratta si muta in “concreta” e il graffire, incidere, solcare un supporto verticale diventa l’atto di sgocciolare il colore dal barattolo sulla tela, distesa sul pavimento -> Dripping, Action painting, Overall -> Performatività embrionale del dripping di Pollock -> IL PARADOSSO DELL’INFORMALE: intuizione dello spazio coinvolgente dell’era elettrico-elettronica (uno spazio ‘freddo’) che viene però limitata alla condizione del quadro. Fino al 1953, Pollock si affida al modello eroico dell’overall (tutto è centro) e del dripping, in una serie di varianti scandite da numeri. Solo in Pali azzurri (1953) o in Fuori dalla rete (1949) Pollock recupera l’impostazione diarchica per rischio di monotonia e dunque uno zero visivo; ecco allora che frappone sbarre di amianto per animare la dialettica figura-sfondo o, taglia via del tessuto per creare pause e zone di raffreddamento. Altri protagonisti nordamericani Mark Tobey è il decano degli Espressionisti astratti nordamericani e degli esponenti dell’Informale essendo nato nel 1890. La sua è un’arte meditativa, aerea, ben distante da quella di Pollock; tale ragione è da iscriversi in un dato culturale particolare che le vede soggiornare sulla West Coast. Per tal motivo Tobey subisce influenze dell’estremo oriente, avvicinandosi a elementi Zen, incidenze del caso, atteggiamenti contemplativi nei confronti della creatività e della natura: atteggiamenti consonanti con il pensiero fenomenologico rivissuto in chiave esistenzialista dall’Informale europeo. Tobey è colui a fornire uno schema morfologico prossimo a quello del dripping: interventi di overall che vanno a riempire lo spazio percettivo in maniera eterogenea; ovviamente con un temperamento misurato, delicato e ondulatorio. Ritornando alla Scuola di New York, il cui tratto distintivo sta nell’Espressionismo astratto, dobbiamo menzionare Hans Hoffman e Mark Rothko, quest’ultimo nato in Russia nel 1903 e giunto a New York dal 1925. Con Rothko, dal 1947, si ha uno sfondo aggredito da stesure brevi e vaste: una specie di lotta tra liquidi, inglobati tra di loro. Decisamente espressionista e concreto è Franz Kline (1910-1962), dedito alla costruzione strutturale non separata dalla concreta gestualità che la fonda e la mette in opera. Nelle sue travi si percepiscono i movimenti, sfilacciati o tremolanti, del gesto. L’informale in Italia: Spazialismo e Ultimo naturalismo Lucio Fontana (1898), già negli anni Trenta seguiva una transizione: lontano dalla monumentalità del primo Novecento e vicino a forme esili e spaziali (Calder), alternando un linguaggio concreto a uno barocco. Durante la guerra soggiorna in Argentina, ove stende il Manifesto blanco -> Necessità di saldare il gesto artistico con il pensiero scientifico e tecnologico; arte in accordo con lo spirito nuovo: consapevole rifiuto della morfologia meccanica e bisogno di addentrarsi nello spazio reale. Nel 1949, rientrato in Italia, propone un nuovo ambiente presso la Galleria del Naviglio di Milano: soluzione morfologica di tipo organicista provvista della terza dimensione, evidenziata dalla luce di Wood. Si parla dunque di Spazialismo, con un Manifesto dello Spazialismo (Mario Deluigi ed Edmondo Bacci): Spazio inteso come luogo di irradiazione di energie ondulatorie, di esplosione di fenomeni nucleare -> Concetto spaziale, XI Triennale di Milano, 1951 con nuovi mezzi tecnologici come i tubi al neon. Tuttavia, i suoi interventi si situano tra la bi e la tridimensionalità -> Serie dei buchi e dei tagli (Concetti spaziali-Attese), ove si ha un reale sfondamento della superficie e, allo stesso tempo questa assorbe in sé l’affronto, immagazzinandolo come una ferita, mantenendo un rapporto verticale su parete e dunque a un rapporto contemplativo con lo spettatore -> L’opera diventa una materia che tramuta la tela in una scultura tridimensionale Ultimo naturalismo -> Leoncillo, artista romano, caratterizzato da un espressionismo accentuato e coraggioso, affidato a un materiale precario e colorato come la ceramica. Se Fontana diviene etereo, esalando la materia in tensione energetica, Leoncillo, superato il livello figurale di superficie, dà libero corso alla creatività autonoma della materia, consentendole di dispiegare ritmi a un tempo organici e inorganici -> Geologia, bio e psicosfera es: Ore d’ insonnia, 1958 L’informale in Italia: la linea concreta Nell’ambiente romani si ha adesso una “volontà di forma”; con Giuseppe Capogrossi, si arriva all’affermazione di un motivo rigorosamente di superficie, enigmatico e minaccioso. Si ha un pure piacere della scrittura cuneiforme: un percorso di margini ristretti. In queste esperienze “concrete” si ha il rifiuto di ogni astrazione da fenomeni vitali- mondani -> Alberto Burri, agli inizi della sua carriera, lo troviamo intento a lavorare con tarsie e partiture del tipo figura-sfondo, diarchiche; ridotte a mero grafismo. Successivamente Burri passa a una provocazione materica: tele de sacco, materie plastiche combusti, pannelli di metallo, impellicciatura linea, i cretti e la plastica “cellotex”. In ogni opera non viene smentito il predominio di una partitura, non vi è la colluttazione tipica di Fautrier o Dubuffet. 13. Le poetiche dell’oggetto Il New Dada New Dada e Nouveau Réalisme sono da considerarsi come movimenti di transizione, ereditano caratteri degli anni Cinquanta dell’Informale, dell’action painting e dell’Espressionismo astratto americano; anticipando, allo stesso tempo, alcuni caratteri degli anni Sessanta. I due movimenti riescono a far coesistere: • Valori primari-valori secondari: naturali-geologici, legati agli impulsi primari di Freud (libido) e secondari legati all’intervento della civiltà del panorama urbano-merceologico -> Wölfflin, legge interna del divenire degli stili: da forme “aperte” a forme “chiuse” • Dentro e fuori dal quadro, alla ricerca di una spazialità concreta: ambiguità tra l’universo gutenberghiano della pagina-superficie, e quello elettronico del coinvolgimento spaziale Il New Dada vede come protagonisti Bob Rauschenberg e Jasper Johns: con Rauschenberg e Rebus notiamo subito la spartizione tra zone primarie (aperte), cromatiche e libere, e zone secondarie (chiuse) consistenti nel collage di ritagli di giornale con immagini fotografiche, stereotipate e anonime. In Rauschenberg si inneggia al caso, del grande e libero disordine dell’esistere; perciò possiamo inizialmente paragonarlo a Schwitters per i suoi “assemblage” ma superandolo e mettendo in crisi la bidimensionalità dell’opera, intesa come “pagina” gutenberghiana. Così, nel 1955, si ha lo strepitoso Bed -> Opera che vede la presenza tridimensionale e reale del cuscino e della coperta su collocazione verticale del quadro, contemplativo. La coperta è ottenuta mediante un pittoresco patchwork e il cuscino vede segni pittorici dell’uso sino all’esplodere del dripping di presenza umana sulla superficie -> L’oggetto reale è contaminato dal colore in una sorta di legame espressionista, “combine painting”: unione tra la vitalità e l’esaltazione dell’archetipo, tra arte e vita. Altro protagonista Jasper Johns ci spostiamo verso zone mentali-concettuali: se prima, in Rauschenberg, vi era un’affinità con il Dadaismo di Schwitters, in Jasper Johns si hanno legami con il polo Duchamp -> Concrezioni fisiche come supporti di idee. Del 1995 è Tiri a segno, e poi le famose bandiere degli Stati Uniti: Vi è l’assunzione dell’oggetto stereotipato, dunque “secondario” ed asettico – distante dagli animali impagliati di Rauschenberg – interessato all’atto artistico da dichiarare; scandito da oggetti geometrici regolarmente costruiti (legame con l’Op Art e le ricerca della scuola di NY di Frank Stella) ma, non per questo, meno animata o sensibile nell’introduzione di elementi “primari”. Nella serie dedicati ai numeri e alle lettere, siamo in presenza del ready-made concettuale: Johns realizza tali segni in maniera stereotipata e tipica dei timbri tipografici; la parte personale si ha nell’utilizzo di colori “fauve”: giallo-blu-rosso, colori industriali, tipici della stampa a colori. Dal 1960 subisce l’influenza del collega Rauschenberg passando ad assemblaggi tipici del Dadaismo di Schwitters: nonostante questo cambio di rotta, Johns si dimostra ben più cauto inserendo oggetti “tali e quali” -> Stereotipi. Con Johns si ha la necessità di primarizzare l’oggetto plastico (come la serie di calchi di utensili fusi in bronzo), di finzione e rifacimento, corroso e ossidato dall’atmosfera. New Dada -> Happening, termine coniato da Allan Kaprow per definire un tipo di operazione scissa tra le arti visive e quelle dello spettacolo. Vi è il recupero di oggetti plastici, di tutti i giorni, di natura “secondaria”, fatti vivere in un tempo reale: arti dello spazio e arti del tempo. La temporalità è acquisita attraverso l’intervento diretto dell’artista, entrando come componente dell’opera d’arte, invitando a parteciparvi anche gli spettatori. La dimensione temporale dell’opera ha ora aspetti plastici e anche sonori-musicali -> Siamo dinnanzi al risultato “freddo” (postmoderno), sinestetico, di cui parla McLuhan -> I media freddi implicano un alto grado di partecipazione e/o di completamento da parte del pubblico Il Nouveau Réalisme Fenomeno europeo parallelo al New Dada, movimento teorizzato da Pierre Restany, teso a superare l’illusionismo rappresentativo-virtuale-simbolico. Tra gli artisti da menzionare vi è César, dopo l’Informale si avvicina a un rapporto • Sfumatura, procedimento che attenua l’individualità, l’icasticità della singola immagine. Sia per mezzo di una ripresa fotografica veloce, di una stampa a colori che non rispettano i contorni es: le Marylin, la serie dei fiori o del Presidente Mao; infine la mano dell’artista esce allo scoperto, animando l’opera con stesure fauve Tom Wesselmann tratta unicamente il nudo femminile, secondo un iconismo ripreso dal movimento Simbolista e dall’epoca di Matisse. La capitale differenza è che i simbolisti e Matisse procedevano a stilizzazioni “di prima”, mentre Wesselmann, e Lichtenstein, le ritrovano “di seconda” ossia filtrate attraverso immagini anonime del cartellonismo, ove si ha il nudo combinato con semplicismo, erotismo, volgarità stereotipata, fino al limite della sagoma segnaletica. Wesselmann dà un contributo al binomio dentro-fuori la superficie: le sue opere non solo disegnati, più spesso sono ritagli (come un papier découpé di Matisse); Vasca da bagno ne è la piena espressione: riferimenti virtuali della sagoma femminile dipinta e quelli reali dell’inserimento di oggetti tali e quali (tenda da doccia, asciugamano). La Pop Art in Europa Nel 1958, il critico d’arte inglese Lawrence Alloway coniò per la prima volta l’espressione Pop Art a seguito della mostra del 1956 “This is Tomorrow”. In Inghilterra si viene riscontrando una disponibilità artistica verso il “secondario” secondo una trattazione, diversamente da quella epica degli USA, a carattere ironico; intenta a capovolgere i caratteri Popular, riscoprendo in essi margini di sofisticazione ed eleganza. Richard Hamilton, potremmo definirlo come il padre fondatore della Pop Art. Con la sua opera del 1956 si chiarisce fin da subito l’interesse per la cultura pop, consumista. L’opera è un vero fotomontaggio, una sorta di cartone pubblicitario; tale tecnica è di derivazione Dada, dando così spazio all’incontro caotico delle immagini più diverse. In questo caso gli accostamenti giocano sulla medesima trama, venendo trattati con ironia. Successivamente, lo stesso Hamilton, invaderà le opere con il colore, al fine di caricare e impreziosire gli inserimenti “tali e quali” Per Ronald Kitaj e Peter Blake va fatto un discorso a sé: i due artisti prendono atto del mondo pop, non escludendo feelings nostalgici, facendo perciò i conti con il passato e la storia. Kitaj, rivela preoccupazioni genetiche simili a quelle di Bacon; i suoi personaggi seppur fonte di cronaca o rotocalchi, subiscono un disfacimento seppur in chiave distesa e piacevole, legata ai valori di superficie e di appiattimento. Il dramma è nascosto da una brillante cosmesi epidermica. Peter Blake, accentua i valori del pittoricismo regressivo, ricollegandosi al mondo magico-fiabesco, seppur in un registro popolare. Un altro caso emergente è David Hockney, variante europea dello stereotipo -> Rilancia il trompe-l’oeil, caro al Surrealismo di Magritte, in un clima disteso e scarico, ben più vicino alle grafiche pubblicitarie: A Bigger Splash. La Pop Art in Italia A Roma troviamo la voglia di “azzeramento”, di monocromia in opposizione al pittoricismo e al sensibilismo informale. Ed è appunto da soluzioni monocrome che parte l’artista Pop, Mario Schifano. Le tele monocrome assumono il rifacimento dello schermo cinematografico, seguito poi dalla comparsa dei classici stereotipi: dalle lettere a caratteri cubitali della stampa, delle pubblicità, della Coca Cola o della benzina Esso. In Schifano, questi stereotipi “secondari” vengono aggrediti dai valori “primari” di una stesura cromatica libera e poetica; puramente scandita dall’intervento della mano dell’artista. Nasce qui un parallelismo con Jim Dine, ove le istanze primarie e secondarie lottano tra di loro; Schifano, dal canto suo, uscirà dal campo delle lettere per passare a rappresentazioni paesaggistiche kitsch. In seguito, seguirà il ragionamento per cui anche riferimenti/citazionismi alti possono essere inglobati nel repertorio di massa, risultandone nobilitato es: utilizzando una foto di gruppo dei Futuristi. Accanto a Schifano vi sono i rappresentanti della Scuola di piazza del Popolo: Franco Angeli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Jannis Kounellis -> La peculiarità della Scuola di piazza del Popolo e della Pop italiana, fu data dalla capacità di far uscire gli stereotipi nella terza dimensione, per mezzo di materiali nuovi. Mario Ceroli, artista che mette in relazione tra loro il “popolare” in accezione contemporanea e il “popolare” regressivo e artigianale -> Grazie a materiali come il legno, cassa da imballo ecc. I due aspetti si convertono l’uno nell’altro. Pino Pascali, si muove all’interno del lessico, muovendosi tra accostamenti di vocaboli: ad esempio gioco di parole capaci di dar luogo a cortocircuiti oggettuali e linguistico-fonici come il Baco da setola o la serie di vasche metalliche a fondo azzurro, colme d’acqua a simulare il mare: un mare-vocabolo -> L’ironia, elementare, riduce all’osso le forme complicate del mondo degli adulti. Da Milano a Bologna, Valerio Adami -> Recinta e definisce i racconti con un contorno marcato tipo fumetto; all’interno di ognuno di essi si stende un colore artificiale, di arredo urbano o di interno domestico avvolto dalla luce al neon. Ovviamente il racconto passa per il filtro dei mass media, fumetti o rotocalchi; discendendo dunque dal livello basso di consumo. Emilio Tadini, lavora con la lavagna magnetica su cui fa scorrere vocaboli, alla ricerca di combinazione cariche di allusioni. Arte cinetica, programmata, Optical Anni Sessanta: ripresa di fiducia nelle tecnologie di specie meccanica fondate sull’obiettivo della produttività di massa. Tra questi prodotti stanno le immagini con cui gli stessi artisti fanno i conti. Nasce però una linea, di recupero primo novecentesco, secondo cui le macchine esibiscono i loro meccanismi interni (quantità): iterazione, moltiplicazione, in senso ludico e decorativo. Adesso gli schemi geometrici assumono “concretezza” fisica, tangibile e plastica, capace di invadere la terza dimensione. A Parigi troviamo Victor Vasarely, capace di evidenziare lo sviluppo quantitativo sopradetto: la griglia geometrica si plasma in mille variabili, raggiungendo risultati di piacevole decorazione; tempestando la retina con continue sollecitazioni coordinate e armoniche -> Responsive eye, anche nome della mostra del 1964, tenuta a New York, da cui nasce l’etichetta dell’Optical Art. In Italia si ha Enrico Castellani interessato all’animazione modulare della superficie, seppur con sporgenze plastiche, contenute entro misure sobrie. A Roma, Francesco Lo Savio, che anticipa il minimalismo statunitense – tra progetti mentali e una loro traduzione fisica. In questo clima vennero a formarsi numerosi gruppi: il Gruppo Uno (con Argan), il Gruppo Zero, i milanesi attorno alla rivista “Azimut” animata da Vincenzo Agnetti e Umberto Eco; quest’ultimo teorizzò l’“arte programmata” che voleva essere un compromesso tra il chiuso dell’ordine meccanico e l’aperto dei fattori aleatori (Informale). Si ebbero anche esperienze di arte cinetica attorno al Gruppo T (Giovanni Anceschi, Gianni Colombo) a Milano, il Gruppo N ecc. Tutte queste soluzioni tentarono di acquisire l’apertura: il movimento reale e in senso virtuale-psicologico, un universo ricco di contingenze. -> Solo con il passaggio al software elettronico si potranno avere tali prospettive come sperimentato dai tentativi degli spazi elastici di Colombo o le membrane di Anceschi. 14. Le ultime tendenze tra esplosione e implosione Il Minimalismo Robert Morris, dal 1964 propone strutture di geometria solida; si tratta di un meccanomorfismo esibito e rinunciatario: le forme geometriche vengono ora esibite poiché anonime, corrispondenti al “minimo”, meno di così non si può -> Minimalismo, arte dell’ABC, geometrismo concreto, basato su strutture primarie (di natura originaria). In tal senso, Morris, è vittima di un equivoco poiché, in natura e nella psicosfera, in origine, le forme sono aperte e non basate sul principio eidetico. Per Morris il problema cardine era quello di eliminare gli aspetti virtuali dell’esperienza estetica; occorreva distruggere gli equilibri, le armonie della tradizione postcubista. L’attenzione doveva catalizzarsi, ora, sulle caratteristiche esterne e reali (fisiche, plastiche, spaziali) delle strutture primarie; le quali obbligavano lo spettatore a girarci attorno e, a stabilire con esse un rapporto “vissuto”, esteso nel tempo. Donald Judd, si dedicò alla serialità delle figure/forme regolari, sottoposte a un’iterazione tra di loro, divenendo una presenza minimale. Carl Andre, proponeva un’occupazione del suolo dettata dalla povertà formale delle forme, ripetute e accumulate nello spazio. Queste serie, veniva sottoposte a un rapporto attivo con lo spettatore -> Non hanno nessun intento narrativo o allusivo, dichiarano sé stesse come oggetti pensati per il luogo espositivo [Costantin Brancusi]. Robert Smithson, introduceva una variante formale: ritmi spiraliformi legati al mondo della vita (Land Art). Una linea diversa fu percorsa da Dan Flavin, mediante sbarre luminose al neon -> Nuovi materiali del progresso tecnologico, in particolare la luce elettrica entra nel repertorio artistico grazie a Flavin: mezzo capace di esprimere rapporti di luce e ombra, animando in profondità gli spazi, determinando volumi; limitati in quel momento storico dalla forma rigida dell’industria. La Land Art Con la questione minimalisti della metà degli anni Sessanta, si diffuse la corrente della Land Art: con l’obiettivo di trasferire e imporre gli schemi minimali a un contesto ambientale, reperito nei territori desertici del Centro-Ovest (USA). Tra gli esponenti troviamo Walter De Maria, utilizza elementi modulari appuntiti capaci di renderli pericolosi: portatori di insidia, minaccia fisica: Campo di fulmini, costituito da pali metallici eretti pronti a favorire la possibilità di attrarre le scariche elettriche. Con Robert Smithson si passa a sviluppi su scala territoriale; basati sul motivo spiraliforme perciò elettromorfo. L’opera più famosa è Spiral Jetty, molo a spirale realizzato con sassi presso il Lago Salato (Utah): l’intervento umano si adegua al linguaggio curvilineo della terra, dei fossili e della natura in genere. Gli artisti accettano la logica che le sovrasta, destinando le operazioni alla loro consunzione; difatti la Land Art vive una condizione ambigua, sospesa tra il consumo entropico e la possibilità di essere registrare, rimanendo grazie a una serie di foto o filmati (nel 1968, furono raccolti in un film dal regista Gerry Schum). L’arte concettuale L'arte non risiede nell'aspetto delle opere realizzate, ma nell'idea, nella parola o nel pensiero/percorso per realizzare tale opera; le premesse più dirette dell’atteggiamento concettuale possono essere individuate soprattutto in alcuni movimenti in via di definizione già negli anni 1950 e agli inizi degli anni 1960: il New Dada e la Minimal Art. Sul finire degli anni settanta, l'arte concettuale assume un ruolo di primo piano grazie al movimento Art & Language che realizza una profonda contaminazione fra musica e le arti visive. Le operazioni di maggior spessore sono state condotte da Joseph Kosuth -> L’artista, affascinato dalla sfera dei significati, inizia a meditare sui tre riferimenti concessi verso la realtà: la realtà tale e quale, l’immagine proiettiva e mimetica (fotografia) e il ricorso al significato, al concetto, mediante il vocabolo -> One and three Chairs. Anti-form, Body Art Nel 1967 Robert Morris comprese il limite dell’impostazione gutenberghiana “moderna” -> Cercando così di passare a indicazioni “aperte” -> Nuovo Informale, deciso ad andare fuori dalla dimensione virtuale della pittura: Anti-form, assume la realtà, la concretezza, toccando il senso della vista, del tatto, della deambulazione. Ne è un esempio Bruce Nauman che, riprendendo l’utilizzo dei tubi al neon di Flavin, adesso li sottopone a forme curve, ripiegate e sinuose; si ha la sintesi tra mezzo tecnologico e forme aperte della vita. L’Anti-form è il giusto risultato, morbido e vitale, dato dai suoi estremi: Il Minimalismo e la Funk Art (Costa del Pacifico), nonché corrente degli anni Sessanta, dettata da un forte vitalismo, soffice, pittorico; tra il povero e lo strambo [Eva Hesse]. Il corpo, inteso come fonte di poetiche affermazioni di esistenza dà luogo alla Body Art: estetica fredda, data dallo sviluppo simultaneo degli organi sensoriali. La vista, il suono, il movimento, il corpo, la danza, si integrano; si ha il cortocircuito tra ciò che è corposamente fisico e ciò che viene affidato all’immaterialità dei mezzi di registrazione; la videoregistrazione entra stabilmente nel repertorio delle possibilità tecniche (Vito Acconci e Balkan Baroque di Marina