Scarica Riassunti della dispensa riguardanti Platone e alcuni dei suoi testi e più Appunti in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! PLATONE-il Protagora: Secolo: V secolo a. C. Personaggi: Socrate, Ippocrate, Protagora Protagora, il celebre sofista, è giunto ad Atene e Ippocrate vorrebbe diventare suo allievo. Tuttavia, per essere accettato, questi necessita che qualcuno lo presenti al sofista. Ovviamente, Socrate acconsente ad accompagnare il giovane, desideroso di poter discutere con il celebre «maestro di virtù». Socrate passerà il tempo discutendo con il giovane amico sulle aspettative che ha nei confronti del sofista. Ippocrate spera di poter ricevere una buona formazione, poiché il maestro a cui si sta per rivolgere ha fama di essere «un esperto della sapienza»; tuttavia non sa dire di quale sapienza sia esperto: anche affermando che il sofista insegna a tenere discorsi, resta aperto il problema del loro argomento. Non sapendo più cosa rispondere, Ippocrate può solo ascoltare il monito di Socrate, che lo mette in guardia dall'affidare la propria formazione a persone che, come i sofisti, non danno garanzie sulla validità o meno dei propri insegnamenti. Essi sono infatti paragonabili a dei mercanti che cercano di vendere la propria merce lodandola di fronte all'acquirente; pertanto, se bisogna stare attenti a non farsi raggirare quando si acquistano beni che riguardano il corpo, a maggior ragione si dovrà stare attenti per ciò che riguarda l'anima, poiché è molto facile ricavarne dei danni irreversibili Continuando a discutere, Socrate e Ippocrate giungono infine alla casa di Callia. Tuttavia, una volta arrivati il portiere che sta di guardia all'ingresso, infastidito dall'andirivieni di sofisti, si rifiuta di lasciarli passare, e solo dopo molte insistenze i due riescono a entrare. Nel cortile interno alla casa scorgono subito Protagora che passeggia discutendo con i suoi seguaci. È su questo sfondo che Socrate e Protagora terranno la loro discussione, una vera e propria assemblea a cui parteciperanno anche gli altri eminenti personaggi presenti. Il filosofo non perde tempo, e domanda subito al sofista quale guadagno avrà Ippocrate dalla sua frequentazione: Protagora infatti si propone di insegnare ai propri allievi una condotta assennata, in modo che diventino buoni cittadini. Ma, domanda Socrate, è veramente possibile insegnare la virtù come si fa con le technai? Mentre per queste ultime si prende per valido solo il consiglio degli esperti, così non è per la virtù, riguardo alla quale si tiene conto dell'opinione di chiunque. Né d'altra parte esistono veri e propri esperti in materia e anzi, capita spesso che chi è virtuoso non sia poi in grado di insegnare ad esserlo ai propri figli. Protagora dice che è infatti grazie al dono di Zeus (Zeus inviò Ermes sulla Terra affinché distribuisse pudore e giustizia a tutti gli uomini, di modo che tutti possedessero queste virtù. Quindi, mentre per le altre technai vi sono pochi esperti a cui gli altri si devono rivolgere in caso di bisogno, per la virtù ciò non accade, poiché tutti ne sono provvisti) che sono nate le città e i mortali sono potuti uscire dalla condizione ferina; e proprio per mantenere questo status, i genitori educano fin dall'infanzia i figli alla virtù. La virtù umana è dunque insegnabile, e chiunque è in grado di apprenderla. Certo, qualcuno si dimostrerà meno virtuoso degli altri, ma d'altra parte ciò avviene anche nelle altre technai: tra gli allievi di un citaredo accade che qualcuno superi gli altri, eppure tutti, a loro modo, hanno appreso a suonare la cetra. E così, anche per la virtù, qualsiasi individuo che abbia ricevuto un'educazione sarà senz'altro più virtuoso di un primitivo o di un animale. Ulteriore dimostrazione che la virtù è insegnabile sono le leggi, che puniscono chi le viola: scopo della pena è infatti quello di evitare che il colpevole reiteri il reato, e ciò le attribuisce un valore correttivo difficilmente sostenibile se si ritiene che la virtù non sia insegnabile. Protagora dichiara che capita spesso che uomini vili e malvagi abbiano in realtà coraggio da vendere. Protagora sembra intendere il coraggio nel senso di «audacia», la quale, osserva Socrate, nel caso degli insipienti non è una virtù, ma follia: un soldato che non conosce le tecniche di lotta e si butta ugualmente nella battaglia non è coraggioso, semmai è pazzo. Protagora è però un interlocutore attento, e smaschera la strategia di Socrate: audacia e coraggio non sono la stessa cosa, anche se capita che gli audaci siano coraggiosi, poiché l'audacia è frutto sia di scienza che di follia, mentre il coraggio dipende dalla disposizione dell'animo. Il dialogo si sposta così sul rapporto bene-piacere e sull'opinione diffusa secondo cui è possibile compiere il male perché sopraffatti da piacere o dolore. Capita sovente, afferma Socrate con l'approvazione di Protagora, che ciò che al momento provoca piacere con l'andare del tempo sia causa di dolore, mentre altre cose che provocano dolore (come le cure mediche) in seguito diano effetti piacevoli: ora, se tutti riconoscono che i farmaci sono un bene, pur dando dolore in un primo momento, se ne deve dedurre che i beni e i mali si devono distinguere non per il loro effetto immediato, ma per l'effetto futuro. Ciò che dà effetti piacevoli è dunque un bene, mentre i mali provocano sofferenza. Pertanto, il bene coincide col piacere, il male con la sofferenza. La «salvezza della vita» sarà dunque raggiungibile con una techne in grado di valutare i piaceri e i dolori in modo equilibrato, detta appunto «arte della misura». Ma, se di techne si tratta, essa deve essere insegnabile, anche perché, d'altro canto, la sua ignoranza è causa di male - e quindi di dolore. Da tutto questo Protagora esce di fatto confutato, poiché nello sviluppo della discussione ha negato la sua affermazione iniziale, e cioè che la virtù è una techne. PLATONE-il Menone: Personaggi: Socrate, Menone, uno schiavo travolgono di domande: Socrate si trova decisamente in difficoltà e prende come esempio per spiegare ciò che intende il mondo dei cani, ipotizzando che le femmine debbano svolgere le stesse mansioni dei maschi: andare a caccia e fare tutto ciò che fanno i maschi. Se ogni attività deve essere comune, é ovvio che dovranno avere la stessa educazione, lo stesso allevamento impartito ai maschi: l’unica differenza sarà che i maschi saranno più vigorosi. Le persone calve e quelle chiomate hanno la stessa natura? Qualora abbiano natura opposta , allora se i calvi fanno i calzolai, a rigore i chiomati non possono fare i calzolai: ma é assurdo. Il problema consiste nel chiedersi in quale senso usiamo i termini “diverso” e “identico” quando li poniamo in connessione con il termine “natura”: i calvi é vero che sono diversi dai chiomati, ma forse ne consegue che ai primi spettano compiti totalmente diversi da quelli che spettano ai secondi? Naturalmente tutti i membri del genere umano hanno delle differenze ma esistono differenze rilevanti a tal punto da determinare una radicale disuguaglianza e distinzione di funzioni e attività? Si può correttamente dire che un medico é diverso da un falegname, ma non che il sesso maschile é diverso da quello femminile. Rispetto alla determinazione delle funzioni da svolgere all’interno di una città giusta perde dunque totalmente rilevanza il diverso ruolo svolto da maschio e femmina nel processo riproduttivo: infatti gli uomini dalle donne differiscono nel fatto che le donne partoriscono, mentre gli uomini fecondano: ma allora, per quel che riguarda funzioni quale la difesa della città, per esempio, entrambi i sessi possono attendere alle stesse occupazioni. Libro: VII Mito della caverna: all'interno di una caverna stanno, incatenati sin dalla nascita, alcuni uomini, incapaci di vederne l'entrata; alle loro spalle arde un fuoco e, tra il fuoco e l'entrata della caverna, passa una strada con un muretto che funge da schermo; per la strada passano diversi uomini, portando sulle spalle vari oggetti i quali proiettano le loro ombre sul fondo della caverna. Per i prigionieri le ombre che vedono sono la realtà. Ma se uno di essi fosse liberato e costretto a voltarsi e ad uscire dalla caverna, inizialmente sarebbe abbagliato dalla luce e proverebbe dolore; tuttavia, a poco a poco ci si abituerebbe, potrebbe vedere i riflessi delle acque, poi gli oggetti reali, gli astri ed infine il sole. Tornando nella caverna dovrebbe riabituare gli occhi all'oscurità e sarebbe deriso dai compagni qualora provasse a raccontare ciò che ha visto. Il mito della caverna è la descrizione narrativa del percorso conoscitivo del filosofo, il quale, nella sua ricerca della verità, si stacca dal mondo sensibile per raggiungere le idee e il Bene, e ritornare quindi tra gli altri uomini per governare la città nel modo migliore. Socrate traccia il "mito della caverna", per fare capire la profondità oscurantista di ignoranza in cui l'uomo si trova, da dove deve riuscire a liberarsi per trovare la vera "luce" di sapienza e prendere coscienza dell'esistenza di un altro mondo migliore e veritiero. Libro: X Mito di Er: Er, un soldato morto in battaglia, ha l'avventura di resuscitare dopo dodici giorni, già disteso sul rogo e racconta ciò che ha visto nell'aldilà. La sua anima appena uscita dal corpo si era unita a molte altre e camminando era arrivata in un luogo divino dove i giudici delle anime sedevano tra due coppie di abissi, una diretta in cielo e l'altra nelle profondità della terra. I giudici esaminavano le anime e ponevano sul petto dei giusti e sulle spalle dei malvagi la sentenza ordinando ai primi di salire al cielo e agli altri di andare sotterra. Avevano quindi ordinato a Er di ascoltare e guardare ciò che avveniva in quel luogo per poi raccontarlo. Dalle voragini intanto uscivano delle anime sporche e lacere che avevano viaggiato per mille anni, in cielo o sottoterra, per espiare le loro colpe. Chi in vita aveva commesso ingiustizie veniva punito con una pena dieci volte superiore al male commesso, mentre le buone azioni venivano premiate nella stessa misura. Tutti i castighi inflitti erano temporanei, meno quelli riservati ai tiranni come Ardieo che aveva ucciso il vecchio padre e il fratello maggiore e aveva compiuto molte altre nefandezze. Quando i più malvagi, come i tiranni, tentavano di uscire dalla voragine questa emetteva una sorta di muggito ed allora venivano presi, scorticati e rigettati negli Inferi. Le anime vengono poi a caso sorteggiate per scegliere tra quali vite reincarnarsi. Chi è stato sorteggiato tra i primi è sì avvantaggiato, perché ha una scelta maggiore ma anche chi sceglie per ultimo ha molte possibilità di libera scelta perché il numero dei paradigmi di vita possibili offerto è più grande di quello delle anime e poi non è detto che la possibilità di scelta sia determinante poiché ciò che importa è che si scelga bene. Quindi il caso non assicura una scelta felice mentre determinanti potranno essere i trascorsi dell'ultima reincarnazione. Scegliere significa infatti essere coscienti criticamente del proprio passato per non commettere più errori e avere una vita migliore. Le Moire renderanno poi la scelta della nuova vita immodificabile, nessuna anima, una volta operata la scelta potrà cambiarla e la sua vita terrena sarà segnata dalla necessità. Le anime poi s'incamminavano attraverso la deserta e calda pianura del Lete e, fermatesi per riposare sulle sponde del fiume Amelete, tutte, tranne Er, furono obbligate a bere l'acqua che dà l'oblio e chi non era saggio ne beveva smoderatamente. Quelle che avevano bevuto smoderatamente dimenticheranno la vita precedente. Giunta la notte, le anime stavano dormendo quando a mezzanotte un terremoto le gettò nella nuova vita assieme a Er che, svegliatosi sulla pira funebre, poté raccontare come, conservando la memoria dell'esperienza passata, si può vivere serenamente una vita giusta e saggia in questo e nell'altro mondo. PLATONE-le Leggi: Personaggi: un ateniese, Clinia Il libro 7 riprende e sviluppa il tema dell'educazione. Si affrontano i problemi relativi alla prima infanzia, e quindi quelli dei bambini dai tre ai sei anni. Ai bambini di tre anni servono giochi ma allo stesso tempo è necessario distoglierli dalla mollezza punendoli, senza però castigarli suscitando in loro l’ira. E’ necessario, inoltre, che tutti i bambini dai tre ai sei anni si ritrovino nei luoghi sacri di ogni villaggio e che vengono designate dodici donne, una per tribù, il cui compito sarà quello di occuparsi della loro educazione. Dopo i sei anni i bambini e le bambine dovranno essere divisi per essere volti ai rispettivi apprendimenti (per i maschi l’equitazione e il tiro con l’arco, scagliare dardi e tirare con la fionda; nel caso in cui anche le femmine si prestino possono arrivare all’apprendimento teorico di tali attività). Bisogna esercitare entrambe le mani poiché chi possiede due ezzi per difendersi e attaccare non deve lasciarne nessuno inattivo. Ma l'educazione si ottiene anche grazie alla ginnastica per il corpo e alla musica per l'anima. La scuola dev'essere obbligatoria tanto per le donne quanto per gli uomini,