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Riassunti libro "Diritto dell'Unione europea. Manuale breve" Calamia, Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

Riassunti completi del libro di Calamia, perfetti per l'esame di giurisprudenza diritto dell'Unione europea

Tipologia: Sintesi del corso

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jacopogino
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Scarica Riassunti libro "Diritto dell'Unione europea. Manuale breve" Calamia e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA (Calamia) CAPITOLO 1 L’Europa comunitaria e la sua evoluzione 1. Origine delle comunità europee: la CECA La CECA (comunità europea del carbone e dell’acciaio) nasce su proposta del ministro degli esteri francese Schuman, che chiese di porre la produzione dell’acciaio e del carbone sotto una comune Alta Autorità. Principalmente furono due le ragioni che spinsero gli stati membri verso la creazione di questa comunità: • Eliminazione dell’inimicizia tra Francia e Germania, che sovente si erano scontrate per i giacimenti di carbone e acciaio nelle regioni di Saar e Ruhr • Creazione per la prima volta di un’organizzazione internazionale in cui gli stati avrebbero ceduto parte della loro sovranità (sebbene in un settore delimitato) La “proposta Schuman” fu accolta da Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo: il trattato fu firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed entrò in vigore il 25 luglio 1952. La CECA fu alla base di nuove comunità come la CEE (comunità economica europea) e la EURATOM (comunità europea energia atomica). La CECA era composta da vari organi: • Alta Autorità: organo a cui venivano attribuite le competenze necessarie per la realizzazione degli obiettivi del trattato: condivideva, insieme al Consiglio speciale dei Ministri, il potere esecutivo. L’organo era composto da 9 membri in carica per sei anni: essi erano completamente indipendenti dagli stati di appartenenza. • Consiglio speciale dei Ministri: composto dai ministri degli esteri dei singoli stati membri: dotato di poteri consultivi ed esecutivi • Assemblea comune: formata dai rappresentanti dei popoli degli stati membri, venne in seguito chiamato Parlamento europeo. Secondo il trattato le elezioni dovevano essere a suffragio universale diretto, ma inizialmente furono i Parlamenti degli stati ad eleggere i rappresentanti. • Corte di giustizia: composta inizialmente da 7 giudici e due avvocati generali nominati di comune accordo dai governi degli stati membri: la loro carica era di sei anni ed era rinnovabile. La corte di giustizia aveva potere giurisdizionale sulle controversie tra stati e tra stato e istituzioni. La CECA si è estinta il 23 luglio 2002: le sue funzioni e il suo bilancio sono stati trasferiti alla Comunità europea. 2. Trattato istitutivo della CEE e dell’EURATOM dopo il successo della CECA gli stati decisero di provare una collaborazione militare: si istituì la CED (comunità europea di difesa) che però non entrò mai in vigore per il mancato appoggio della Francia, che non voleva il riarmo della Germania ed era preoccupata dall’ostilità britannica. Nonostante questo fallimento gli stati membri della CECA crearono i trattati della CEE (comunità economica europea) e dell’EURATOM (comunità europea energia atomica): la firma arrivò a Roma nel 1957 e i trattati entrarono in vigore il 1° gennaio 1958. 1 L’obiettivo della CEE era quello di creare un mercato comune che comprendesse ogni settore nell’area comunitaria ma giungere anche ad una tariffa doganale comune. La CEE è composta da: • Assemblea: composto dai rappresentanti dei popoli degli stati membri (ora si chiama parlamento): non si creò una nuova assemblea, ma si ampliarono le competenze dell’assemblea della CECA • Consiglio: formato da rappresentanti di ciascuno stato membro. La funzione era quella di coordinamento delle politiche economiche generali e di potere decisionale che rese il consiglio l’organo legislativo della comunità • Commissione: inizialmente era composta da nove membri scelti dall’accordo tra gli stati. I commissari dovevano operare in piena indipendenza dagli stati di appartenenza e rifiutare qualsiasi tipo di istruzione dei rispettivi governi. • Corte di giustizia: organo giurisdizionale, il compito era quello di garantire la corretta applicazione del trattato. Anche in questo caso gli stati membri si limitarono ad ampliare le competenze della corte di giustizia della CECA senza creare una corte ad hoc. L’obiettivo dell’EURATOM era quello di creare un ente dotato di poteri di controllo de di indirizzo politico nel settore dell’energia atomica. Nel quadro istituzionale della CEE e dell’EURATOM l’organo dotato di potere decisionale era il Consiglio (formato da rappresentanti dei singoli stati) e non la Commissione (membri indipendenti al servizio della comunità) come invece era stato deciso nella CECA: questa decisione fu presa perché con queste due nuove comunità i singoli stati cedevano una fetta molto più grande della loro sovranità e volevano quindi mantenere un certo controllo sulla politica delle due nuove istituzioni. 3. Il trattato di Bruxelles del 1965 e la fusione degli esecutivi Dopo la creazione delle due nuove comunità, gli stati sentirono il bisogno di semplificare il quadro istituzionale: dopo un primo momento in cui si ampliarono i compiti dell’Assemblea e della Corte di giustizia, si decise nel 1965 (8 aprile, a Bruxelles) di unificare le istituzioni comunitarie, arrivando quindi anche ad una Commissione e ad un Consiglio unici. Questa fusione fu realizzata mediante consenso unanime delle parti contraenti. Il trattato di Bruxelles rappresenta un nuovo passo in avanti nel processo di integrazione europea. Una prima crisi si creò quando la Commissione propose la creazione di un bilancio della comunità, indipendente dai singoli stati e fondato sui versamenti dei prelievi e dei diritti doganali: la Francia, non favorevole alla proposta, applicò la “politica della sedia vuota”, non prendendo parte alle riunioni e impedendo qualsiasi tipo di decisione e di delibera che doveva essere votata all’unanimità. La crisi si superò solo il 29 gennaio 1966 a Lussemburgo: si decise che il principio dell’unanimità sarebbe stato sostituito dal principio della maggioranza ogni volta che fosse stato in gioco un “interesse molto importante” anche di uno solo degli stati membri. 4. Attuazione del trattato CEE I primi dodici anni post trattato si chiamano “periodo transitorio”: in questo lasso di tempo (tre tappe di quattro anni) c’è una progressiva realizzazione degli obiettivi prefissati, come l’unione doganale che consisteva nell’abolizione dei dazi all’interno della comunità e nella creazione di una tariffa doganale comune per le dogane delle frontiere con i paesi terzi. Il successo della CEE ha portato all’idea di una estensione delle competenze in nuovi campi dell’economia e all’ingresso di nuovi paesi nella comunità. 2 3. Politiche e funzionamento dell’Unione 4. Disposizioni generali e finali Al posto della Costituzione si decise di preparare un nuovo documento, il Trattato di Lisbona: esso era una modifica dei trattati precedenti, che però tuttavia conteneva molti dei principi previste nella costituzione mai entrata in vigore. Nel Trattato di Lisbona mancano però riferimenti a termini costituzionali, una bandiera, un inno e motti comuni. CAPITOLO 2 Il Trattato di Lisbona e l’Unione europea 1. Dalla costituzione europea al Trattato di Lisbona Dopo l’impasse politica derivata dal fallimento del progetto costituzionale c’è stato un periodo di riflessione che poi ha portato nel giugno 2007 ad un nuovo Trattato di modifica dei precedenti accordi. Diversi Paesi avevano richieste da portare alla commissione: la Polonia rifiutava il metodo della maggioranza qualificata per le votazioni, il Regno Unito (insieme a Olanda e Rep. Ceca) chiedeva di cancellare la figura del ministro degli esteri europeo, lasciando questo settore all’autonomia nazionale, si opponeva al valore giuridico della carta dei diritti fondamentali dell’UE e alla supremazia del diritto europeo in tutti i settori. Le problematiche sollevate dalla GB furono risolte con numerose concessioni, mentre la Polonia non voleva cedere sul problema della maggioranza qualificata: solo minacciando di escluderla dalle successive conferenze la Polonia dovette cedere ad un compromesso. Il Trattato è entrato in vigore il 1° dicembre 2009 ed è stato approvato da tutti gli stati per via parlamentare. Prima della ratifica finale sono sorti tre problemi, sollevati da 3 diversi Paesi: • prima di ratificare il trattato l’Irlanda ha fatto un referendum consultivo che ha avuto esito negativo: dopo ulteriori conferme da parte dell’UE e un secondo referendum il problema rientrò • La Germania prima di ratificare il Trattato chiese una questione di costituzionalità alla corte costituzionale tedesca: essa trovò una parte incostituzionale (troppo poco potere lasciato agli organi legislativi nazionali) e quindi, prima di poter firmare il Trattato, il governo si è mosso per modificare la costituzione nella parte non conciliabile con il testo comunitario. Nel Trattato si risponde alla questione sollevata dalla corte tedesca prevedendo il rafforzamento del potere lasciato ai singoli parlamenti. Dopo questa operazione la Germania ratificò il trattato • La Repubblica Ceca (ultimo paese a ratificare il trattato) continuava a procrastinare la firma e a chiedere una deroga per quanto riguardava la Carta europea dei Diritti fondamentali: l’UE concesse alla Rep. Ceca l’opt-out e il problema si risolse. Il 13 novembre 2009 tutti i Paesi dell’UE hanno ratificato il nuovo Trattato. 2. il Trattato di Lisbona Il Trattato di Lisbona non sostituisce i vecchi trattati ma si limita a modificarli. Queste modifiche hanno riguardato il Trattato sull’Unione Europea (TUE) e il Trattato che istituisce la Comunità Europea (TCE), che diventa il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Questi due trattati hanno uguale valore giuridico, la differenza sta nella 5 diversa funzione che essi svolgono, tenendo conto che il TFUE si può considerare di complemento al TUE. Il Trattato prevede la soppressione della struttura a tre pilastri e riconosce all’Unione Europea una precisa personalità giuridica. Altre modifiche importanti sono state attuate con il Trattato di Lisbona: • Ripartizioni vengono specificate le ripartizioni tra l’UE e gli Stati membri, distinguendo fra tre tipi di competenze: esclusive dell’Unione, concorrenti tra UE e Stato e competenze in cui l’UE ha solo un ruolo di supporto. • Sussidiarietà L’Unione interviene solo se gli obiettivi che essa persegue non possono essere sufficientemente raggiunti dagli Stati membri o dagli enti locali. • Figure vengono ufficializzate due importanti figure istituzionali: il Presidente dell’Unione Europea, eletto dai capi di stato/capi di governo dei paesi membri e l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea, che svolge il compito di ministro degli Esteri dell’UE e di vice presidente della stessa. • Voto viene deciso che il Consiglio delibererà con un sistema di doppia maggioranza per l’adozione degli atti: essi devono essere approvati con il 55% dei votanti (almeno 15 stati) rappresentativi del 65% della popolazione dell’UE. I nuovi Trattati sono il simbolo dell’apertura dei singoli Stati verso l’integrazione europea, seppur rallentata dalla diffidenza e dalla scarsa volontà di cedere la sovranità statale ad un ente superiore. 3. Il Trattato sull’Unione Europea (TUE) nel Trattato di Lisbona Il TUE comprende 6 titoli composti da 55 articoli dove vengono delineate le linee del nuovo assetto europeo. Gli articoli più importanti sono: • Art. 1 l’Unione Europea (UE) sostituisce la Comunità Europea (CE), mentre rimane in vita l’EURATOM, che si affianca a TUE e TFUE. • Art. 2 elenca i valori sui quali si fonda l’Unione Europea: dignità umana, libertà, democrazia, uguaglianza, stato di diritto, rispetto dei diritti umani, rispetto delle minoranze. L’UE si fonda sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla parità tra uomini e donne. • Art. 3 definisce gli obiettivi dell’UE, aggiungendo all’articolo 2: la tutela dell’ambiente, la pace, lo sviluppo del diritto internazionale (in particolare l’ONU) • Art 4/5 espone l’attribuzione delle competenze, sottolineando che le competenze non esplicitamente attribuite all’UE nei trattati sono da considerarsi di appartenenza dei singoli stati. • Art 7 Riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti con la Carta dei Diritti fondamentali, proclamata a Nizza nel 2000, attribuendo ad essa lo stesso valore giuridico dei Trattati, ma impedendo che la stessa possa estendere le competenze dell’UE a discapito degli stati membri. • Art. 10/12 è cittadino dell’Unione chiunque possieda la cittadinanza di uno degli stati membri. L’UE si fonda sulla democrazia rappresentativa e i parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al suo funzionamento. Con questa frase i parlamenti sono investiti ufficialmente dai Trattati, mentre prima erano solo citati nei protocolli. Gli sono attribuiti 3 poteri: esercizio diretto dei poteri propri, indirizzo e controllo dei rispettivi governi e potere di intervento nelle fasi preliminari degli orientamenti della legislazione europea. • Art. 13 riconosce e qualifica come istituzioni: il Parlamento europeo, il Consiglio europeo, il Consiglio, la Commissione europea, la Corte di Giustizia, la Banca centrale europea e la Corte dei Conti. • Art 21/22 disposizioni generali riguardanti l’azione esterna dell’UE 6 • Art 23/46 disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune. In particolare l’articolo 24 prevede il progressivo raggiungimento di una politica di difesa comune. La “politica estera e sicurezza comune” (PESC) e la politica europea di sicurezza e difesa (PESD) continuano comunque ad essere considerate come politiche distinte e continuano ad essere regolamentate secondo il principio di unanimità nel Consiglio. • Art 47 riconosce la capacità giuridica all’UE (prima essa veniva riconosciuta solo alla CE) • Art 48 i Trattati potranno essere modificati con procedura di revisione ordinaria o con procedure di revisione semplificate • Art. 49 disciplina l’ipotesi di domanda di adesione all’UE di un Paese terzo. • Art 50 prevede una “clausola di recesso” da parte di tutti i paesi membri, che in qualsiasi momento potranno uscire dall’Unione Europea. 4. Il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) nel Trattato di Lisbona È composto da 358 articoli divisi in 7 Parti: • Parte prima: principi il TFUE organizza il funzionamento dell’Unione e determina i settori e la delimitazione d’esercizio delle sue competenze. L’Unione è fondata su entrambi i nuovi Trattati, che hanno lo stesso valore giuridico. Solo il PESC (politica estera e sicurezza comune) è oggi interamente nel TUE ed è soggetto a norme e procedure specifiche non è assimilabile alle altre politiche disciplinate nel Trattato sul funzionamento. • Parte seconda: cittadinanza dell’Unione nel TUE so afferma che è cittadino dell’UE chiunque abbia la cittadinanza dei paesi membri, ma la disciplina è largamente regolamentata nel TFUE. • Parte terza: politiche dell’Unione ed azioni interne si riprendono le norme dedicate alla CE e si integrano con parti che regolamentano settori non previsti in precedenza: sono contemplate le politiche di mercato (merci, agricoltura, pesca, circolazione persone, servizi, capitali), il concetto di spazio di libertà, sicurezza e giustizia (visti, asili, frontiere, immigrazione, polizia). Questa parte è un’unione tra le norme della CE e quelle dell’abbandonata Costituzione. • Parte quarta: associazione dei Paesi e territori d’oltremare • Parte quinta: azione esterna dell’Unione si riprendono i principi del TUE e si introduce una parte giuridica sull’aiuto umanitario e inoltre viene inserita una clausola di solidarietà tra i Paesi membri: in caso di attacco terroristico, calamità naturale ecc i Paesi sono dovuti ad un obbligo di solidarietà verso lo Stato colpito. • Parte sesta: disposizioni istituzionali e finanziarie si è cercato di dare più spazio al Parlamento europeo per ovviare al deficit democratico e si è resa procedura ordinaria quella di codecisione . il Consiglio europeo diventa un’istituzione con un Presidente. Con il Trattato di Lisbona si è anche esteso il voto a maggioranza qualificata. Si è poi creata una gerarchia di norme, distinguendo tra leggi, atti delegati e atti di esecuzione. • Parte settima: disposizioni generali e finali in particolare nell’articolo 352 viene inserita una clausola di flessibilità che permette l’adozione di “disposizioni appropriate” nel caso in cui un’azione dell’UE appaia necessaria per realizzare uno degli obiettivi affermati nei trattati (non per il settore PESC). Il TFUE, insieme al TUE contiene un insieme di norme che aiutino l’UE ad attuare la sua politica in maniera più efficace, dando più democrazia, efficacia e trasparenza e rendendo più forte la sua posizione nel mondo, pur tutelando gli interessi dei singoli stati. 7 CAPITOLO 4 La struttura istituzionale 1. Il quadro istituzionale dell’Unione europea L’UE dispone di un quadro istituzionale unico che assicura coerenza e continuità nelle azioni che servono a perseguire gli obiettivi. In origine l’UE era fondata su tre pilastri (CE, CECA ed EURATOM), ma con il Trattato di Lisbona viene creato un ente unico, dotato di personalità giuridica e con un unico assetto istituzionale. L’UE è disciplinata da due trattati: il TUE e il TFUE, ma la PESC (politica estera e sicurezza comune) è disciplinata da norme specifiche. L’UE è formata da 7 istituzioni: • Consiglio europeo • Consiglio • Commissione • Parlamento europeo • Corte di giustizia • Corte dei Conti • Banca centrale europea Queste istituzioni svolgono le tradizionali funzioni (legislativa, esecutiva e giudiziaria) con azioni che spesso coinvolgono diverse istituzioni: viene quindi a mancare una rigorosa separazione dei poteri e si instaura il principio di collaborazione interistituzionale [es: la funzione legislativa è di competenza sia del Parlamento europeo che del Consiglio]. 2. Il Consiglio europeo È stato istituito nel dicembre del 1974 dal vertice di Parigi, formalizzato nel 1986 con il AUE e poi riconosciuto nel Trattato di Maastricht. Il suo ruolo è quello di dare un impulso all’UE e definire gli orientamenti politici generali. È formato dai capi di Stato/governo (repubblica presidenziale pres. repubblica / repubblica parlamentare pres. consiglio) degli stati membri + il Presidente della Commissione. Il consiglio europeo NON ha poteri legislativi. Il Consiglio europeo si riunisce almeno 2 volte a semestre, ma sono possibili sessioni straordinarie. il Consiglio europeo si pronuncia generalmente per consenso, ma sono possibili anche votazioni: all’unanimità per i casi più importanti (composizione Parlamento europeo, violazione da parte di uno degli stati dei valori dell’UE …), a maggioranza qualificata (elezione del Presidente del Consiglio europeo, candidatura per la presidenza della Commissione …) o a maggioranza semplice (proposte di modifica dei Trattati, regolamento interno …). Il Presidente del Consiglio europeo e il Presidente della Commissione NON prendono parte alle votazioni. La carica di Presidente del Consiglio europeo dura due anni e mezzo ed è rinnovabile per una sola volta: il presidente ha una funzione di raccordo tra le diverse istituzioni, non può esercitare un mandato nazionale e può essere destituito per casi di impedimento o di colpa grave. 3. Il Consiglio È formato da un rappresentante di ciascuno stato membro a livello ministeriale, che viene abilitato ad impegnare il governo e a esprimere il suo voto: la questione è quindi rimessa al 10 singolo stato, ma c’è una composizione Affari generali che coordina i lavori e prepara le riunioni. La Presidenza delle formazioni del Consiglio è affidata ai rappresentanti degli stati del Consiglio stesso con un sistema di rotazione, ma la formazione degli affari esteri spetta all’Alto Rappresentante della PESC. Il Consiglio è una delle istituzioni con funzioni più significative: • funzioni legislative e di bilancio (insieme al Parlamento europeo) • definizione delle politiche e del coordinamento • indirizzo politiche economiche e sorveglianza dell’evoluzione economica degli Stati • assistenza finanziaria dell’UE agli stati in difficoltà o colpiti da calamità • sanzioni agli stati con troppo disavanzo pubblico 3.1 le deliberazioni del Consiglio e il sistema di voto Il Consiglio ha la funzione legislativa e di bilancio, che possono identificarsi come una funzione normativa vera e propria o come l’adozione di decisioni riconducibili ad una attività di tipo esecutivo o amministrativo. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, ma dal 1° novembre 2014 entrerà in vigore il sistema della doppia maggioranza (55% degli stati + 65% di rappresentanza demografica): questo sistema abrogherà il sistema di ponderazione dei voti dei singoli stati. Se la legge è di iniziativa del Consiglio stesso e non su proposta di un’istituzione garante (come Commissione o Alto Rappresentante), la percentuale di stati favorevoli dovrà salire al 72% questo per salvaguardare una base ampia di consenso. Fino al 31 ottobre si vota con il sistema della ponderazione: al voto di ogni stato viene assegnato un valore, con un totale di 352 da dividere nei 28 stati membri (ITA, GER, UK, FRA 29; SPA 27 ecc…): seguendo la maggioranza qualificata una legge sarà approvata, se proposta dalla Commissione, con 260 voti, negli altri casi dovranno essere 260 voti più i 2/3 degli stati. Verifica demografica uno stato membro può chiedere che si verifichi se gli stati che hanno approvato una legge rappresentano almeno il 62% della popolazione. Se nessuno stato chiede questa verifica la norma è considerata valida ed efficace. Prima del definitivo passaggio al sistema della doppia maggioranza ci sarà un periodo transitorio (dal 1° novembre 2014 al 31 marzo 2017) in cui ciascun membro del Consiglio potrà chiedere che una determinata norma venga votata con il sistema ponderato e non con la doppia maggioranza si rischia che il nuovo sistema entri in vigore solo nel marzo del 2017. Il voto in Consiglio è di norma a maggioranza qualificata, mentre il voto a maggioranza semplice o all’unanimità sono eccezioni. 3.2 Il Comitato dei Rappresentanti Permanenti degli Stati membri (COREPER) Il Consiglio è caratterizzato da estrema variabilità dei membri, quindi è stato creato un organo permanente con funzioni di sostegno: il COREPER è responsabile della preparazione del lavoro del Consiglio e ha potere di adottare decisioni di procedura nei casi previsti dal regolamento interno al Consiglio. 11 Il COREPER ha il compito di condurre esami preliminari sulle proposte di legge che la Commissione invia al Consiglio: esso esprime due tipi di voti: • VOTO A: all’interno del COREPER viene raggiunto un accordo unanime, il Consiglio dovrà solo procedere ad un’approvazione formale • VOTO B: non viene raggiunto un accordo unanime, il COREPER scrive una relazione e il Consiglio dovrà fare una discussione sul progetto di legge. • Il COREPER inoltre, essendo un organo permanente, assicura continuità di lavoro e dialogo tra Consiglio e Commissione. 4. La Commissione Ha subito modifiche con i diversi trattati e in particolare con il Trattato di Atene (2003), che ha previsto l’aggiunta di nuovi 10 paesi all’Unione. Inizialmente la Commissione era composta da un commissario per membro per gli stati piccoli, mentre gli stati più popolosi avevano 2 commissari. Con l’allargamento dell’UE si è deciso di ridurre la composizione a un commissario per stato, per un totale di 28 membri. Dal 1° novembre 2014 la commissione sarà composta da un numero di commissari pari ai 2/3 degli stati membri: essi saranno scelti in base a un sistema di rotazione paritario. La commissione garantirà ancor più trasparenza, dialogo con gli stati non rappresentati, considerazione delle loro idee e tutela dei loro diritti. I membri devono agire nell’interesse generale della Commissione, non si devono lasciar influenzare dai rispettivi governi e sono completamente indipendenti da qualsiasi stato o istituzione: un eccezione è l’Alto Rappresentante, che è anche mandatario del Consiglio. L’indipendenza è fondamentale per la tutela dei compiti che sono assegnati alla Commissione: essa infatti detiene la funzione esecutiva e una funzione di vigilanza del rispetto degli obblighi posti dall’UE. La Commissione viene nominata dalla compartecipazione di Consiglio europeo, Consiglio e Parlamento europeo. Il Consiglio propone la nomina del Presidente della Commissione al Parlamento europeo, che dovrà eleggere il candidato con la maggioranza degli aventi diritto. Il Consiglio poi, d’accordo con il neo Presidente, fa un elenco delle persone che intende nominare come commissari, su proposta degli stati membri. L’elenco è poi soggetto ad approvazione del Parlamento, che però può votare solo l’intero collegio e non il singolo candidato. La Commissione entrante viene infine votata formalmente dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata. I poteri del Presidente della Commissione sono: definizione degli orientamenti, organizzazione interna della Commissione, nomina dei vicepresidenti (oltre all’Alto Rappresentante), potere di determinare dimissioni di un singolo commissario. La Commissione è responsabile davanti al Parlamento europeo, che può votare una mozione di censura a maggioranza di 2/3 dei voti e a maggioranza degli aventi diritto. Il mandato della Commissione è di 5 anni. La commissione ha diversi poteri: • Promuovere l’interesse generale dell’UE • Vigilare sull’applicazione dei trattati e delle direttive dell’UE • Vigilare sull’applicazione del diritto dell’UE (insieme alla Corte di Giustizia) controllo sia sui singoli stati che sulle istituzioni europee • Potere d’indagine (sia sugli stati che sulle singole imprese) • Esecuzione bilancio e gestione dei programmi • Assicurare la rappresentanza esterna all’UE • Formulare proposte di atti legislativi e potere di emanazione di atti delegati (sotto controllo di Parlamento europeo e Consiglio). 12 nominati dai governi degli stati membri per un periodo di sei anni (rinnovo parziale ogni 3 anni, con rinnovi o nuovi innesti). Essi sono in una posizione di completa indipendenza e imparzialità. Il Tribunale funge in alcuni casi da organo di primo grado rispetto alla Corte di giustizia (non per i ricorsi del tribunale specializzato né per quelli della Corte di giustizia). Il Tribunale svolge il ruolo di organo giurisdizionale di secondo grado nei ricorsi che hanno come oggetto le decisioni dei tribunali specializzati. I Tribunali specializzati. Il Tribunale della funzione pubblica Il Parlamento europeo ed il Consiglio, deliberando con procedura ordinaria, possono istituire tribunali specializzati, competenti in primo grado in alcuni ambiti specifici. I membri di questi tribunali sono nominati dal Consiglio all’unanimità. Tra i tribunali specializzati spicca il Tribunale di funzione pubblica, creato dal Consiglio nel 2004: è composto di 7 giudici con un mandato rinnovabile di sei anni, previa consultazione del comitato, che a sua volta è composto di 7 persone specializzate e competenti. Il Presidente è designato dagli altri giudici e resta in carica per un mandato triennale e rinnovabile. Il Tribunale si divide in sezioni di 3 giudici, ma le cause più importanti possono essere giudicate in seduta plenaria. Questo tribunale specializzato è nato per l’esigenza di istituire un organo per il contenzioso della funzione pubblica: le sue decisioni possono essere oggetto di appello, con un limite temporale di 2 mesi, dinanzi al Tribunale. Questi ricorsi in appello però sono validi solo se riguardano questioni di diritto (incompetenza del Tribunale della funzione pubblica, vizi di procedura, violazione del diritto dell’UE da parte del tribunale stesso ecc). quando l’impugnazione è accolta la sentenza del tribunale della funzione pubblica è annullata. Se il Tribunale della funzione pubblica dice di essere incompetente può mandare la causa al Tribunale o alla Corte di giustizia: stesso procedimento può essere fatto all’inverso, ma in questo caso il Tribunale della funzione pubblica non può rifiutare la causa. Se lo stesso problema è sollevato sia dinanzi al Tribunale della funzione pubblica che davanti al Tribunale, il primo potrà sospendere il suo procedimento e aspettare la sentenza del secondo. Questo Tribunale ha assorbito molto lavoro del Tribunale, velocizzando e migliorando la funzione giurisdizionale dell’UE. 9. La Corte dei conti È un organo indipendente e non rappresenta nessuno stato membro. È composta da un cittadino per ciascun paese, con un mandato di sei anni. Ogni stato membro avanza delle proposte, che vengono inserite in una lista e poste dinanzi all’approvazione del Parlamento europeo, che a sua volta proporrà al Consiglio per l’approvazione finale. Il presidente della corte dei conti è eletto tra i membri della stessa, resta in carica per tre anni e il suo mandato è rinnovabile. La corte dei conti esamina i conti di tutte le entrate e le spese dell’UE e esamina i conti di ogni singolo organismo dell’UE. Essa controlla inoltre le legittimità delle entrate e delle spese e accerta la sana gestione finanziaria. Stende inoltre una relazione annuale che viene pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’UE. Infine essa aiuta il PE e il Consiglio nel controllo del bilancio. 10. La Banca centrale europea (BCE) Forma, insieme alle banche centrali nazionali dei paesi dell’euro, il Sistema europeo di banche centrali (SEBC) che ha come obiettivo il mantenimento della stabilità dei prezzi, il sostentamento delle politiche economiche generali e la conduzione della politica generale dell’Unione. 15 La BCE ha una personalità giuridica distinta, ha un bilancio proprio ed è indipendente sia dalle istituzioni europee che dai singoli governi nazionali. Essa deve essere consultata su ogni progetto inerente le sue competenze. Gli organi decisionali della BCE sono: • Consiglio direttivo: comprende i membri del comitato esecutivo e i governatori delle banche centrali degli stati che hanno adottato l’euro. Adotta le decisioni e gli indirizzi necessari per l’assolvimento dei compiti dell’Eurosistema e formula la politica monetaria dell’area euro. • Comitato esecutivo: comprende il presidente e il vicepresidente della BCE e altri 4 membri, che sono nominati di comune accordo dai capi di Stato/ di governo dei paesi dell’euro. La BCE ha potere normativo proprio per poter garantire la sua indipendenza, ma deve comunque relazionarsi con le altre istituzioni. La BCE deve trasmettere annualmente una relazione sull’attività della SEBC al Consiglio, alla Commissione, al Consiglio europeo e al Parlamento europeo. 11. Gli altri organismi dell’Unione europea Ci sono una serie di organi e organismi minori all’interno dell’UE. Innanzitutto ci sono quelli che fanno parte degli Organi consultivi dell’Unione: • “Comitato economico e sociale” e “Comitato delle regioni”: il primo è composto dai rappresentanti delle organizzazioni di datori di lavoro, lavoratori ecc, il secondo dai rappresentanti delle collettività regionali e locali. Hanno un numero massimo di 350 membri, la cui ripartizione tra gli stati è fissata all’unanimità dal Consiglio su proposta della Commissione. È un organo di individui indipendenti dai singoli stati, nominati su proposta dei paesi membri e con carica rinnovabile di cinque anni. Il Presidente è eletto dal comitato stesso insieme all’ufficio di presidenza: essi stanno in carica due anni e mezzo. Nei casi previsti dal Trattato la Commissione e il Consiglio hanno l’obbligo di consultare i comitati in questione, che possono comunque esprimere un loro parere anche se non chiamati in causa direttamente. • La Banca europea per gli investimenti (BEI): ha propria personalità giuridica, i suoi membri sono gli stessi stati membri dell’UE, che sottoscrivono il capitale della BEI. Ha finanziamenti e bilancio propri ed è governata da tre organi: il consiglio dei governatori (ministri designati dagli stati membri), il consiglio di amministrazione e il comitato direttivo. Essa ha il compito di contribuire allo sviluppo equilibrato del mercato interno e facilita la concessione di prestiti e finanziamenti (senza scopo di lucro) per i progetti meritevoli (es: valorizzazione regioni meno sviluppate, ammodernamento imprese, creazione attività …). Ci sono poi organismi e agenzie europee per fini specifici: • Organismi: due esempi sono l’Eurojust e l’Europol, entrambi organi con funzioni di sostegno e collaborazione con gli organi di polizia e di giustizia. • Agenzie: ad esempio l’agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali, che ha lo scopo di fornire alle istituzioni assistenza e consulenza in materia di diritti fondamentali. Questa agenzia deve fare esplicito riferimento ai diritti fondamentali del trattato sull’Unione Europea e deve tenere “in debito conto” le sentenze della corte europea dei diritti dell’uomo. 16 CAPITOLO 5 Il diritto dell’Unione europea e le sue fonti 1. Le fonti del diritto dell’Unione europea Il diritto dell’UE si può dividere in fonti primarie e fonti derivate: • Fonti primarie: sono i Trattati TUE e TFUE e i principi generali del diritto • Fonti derivate: sono gli atti che vengono adottati dalle istituzioni dell’UE, diretti a dare concreta applicazione agli obiettivi dei Trattati. Un’altra distinzione che si può fare è tra gli atti tipici e gli atti atipici. Gli atti tipici si suddividono ulteriormente in vincolanti (regolamenti, direttive e decisioni) e non vincolanti (pareri e raccomandazioni). Gli atti atipici sono gli atti interni alle istituzioni che ne regolano il funzionamento e gli atti di concessione e di autorizzazione. 2. Le fonti primarie del diritto dell’Unione europea Al vertice delle fonti del diritto dell’UE ci sono i due Trattati (TUE e TFUE), che non possono essere modificati se non seguendo un’articolata procedura. Essi sono preminenti rispetto al diritto dell’UE, in quanto un atto delle istituzioni può essere annullato se non conforme ai trattati. La corte di giustizia (con un parere del 1991) ha dato al trattato istitutivo della comunità europea valore di carta costituzionale. Insieme ai Trattati, si possono inserire nelle fonti primarie del diritto anche i principi generali (es. principio di attribuzione, sussidiarietà, proporzionalità e leale cooperazione), la carta dei diritti fondamentali dell’UE, introdotta nel trattato di Nizza e i principi fondamentali garantiti dalla Convenzione europea. 3. Le fonti derivate del diritto dell’Unione europea: gli atti vincolanti Gli atti vincolanti si possono dividere in tre categorie: i regolamenti, le direttive e le decisioni. Questi tre gruppi hanno elementi in comune, come l’obbligo della motivazione, l’indicazione della base giuridica e l’efficacia nel tempo. L’obbligo della motivazione serve a far conoscere agli stati il modo in cui l’istituzione ha applicato i trattati, l’indicazione della base giuridica serve ad accertare se l’istituzione ha il potere di adottare un atto e con quale procedura deve farlo. Gli atti legislativi sono quelli adottati con procedura ordinaria o speciale: essi entrano in vigore, previa pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, nella data indicata o dopo 20 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta. I regolamenti Hanno portata generale (applicabili per un numero indeterminato di persone), sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente applicabili in tutti gli stati membri (senza procedura statale di attuazione). Le direttive Sono vincolanti per quanto riguarda l’obiettivo da raggiungere, ma lasciano libertà al singolo stato nel modo e nei mezzi da adottare per raggiungere il risultato. Esse possono essere rivolte ad alcuni stati determinati o a tutti gli stati dell’UE: nel primo caso diventano efficaci al momento della notifica agli stati interessati, nel secondo al momento della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Esistono poi le direttive dettagliate, che pongono ulteriori limiti alla libertà dei mezzi con i quali attuare le direttive. Le direttive non sono 17 Procedura speciale Non viene specificatamente descritta nei Trattati: sono tutti i casi in cui i Trattati prevedono l’adozione di un atto (regolamento, direttiva o decisione) da parte del PE con la partecipazione del Consiglio e viceversa. È molto più comune assistere all’adozione di un atto da parte del Consiglio con la sola partecipazione del PE che al contrario. Quando il PE ha un ruolo secondario si possono configurare due tipi di interventi: la consultazione (parere obbligatorio che se non arriva o se non è richiesto dal consiglio può far annullare la legge) o la previa approvazione (con la quale il PE ha un ruolo più forte e può porre il veto sulla legge). Oltre alla procedura ordinaria e alla procedura speciale, c’è un altro caso di adozione di una legge da parte dell’Unione europea: è il caso dell’atto normativo delegato, che può essere emanato dalla Commissione. È di rango inferiore rispetto agli altri atti legislativi: esso deve contenere al suo interno la delega e deve precisarne gli obiettivi, la portata e la durata. Questo potere della Commissione è sotto stretto controllo del PE e del Consiglio, che possono revocare la delega o opporsi alla legge proposta dalla Commissione. La delega non può inoltre avere ad oggetto elementi essenziali dell’atto. 2. Le procedure di revisione dei Trattati Nel TUE sono previsti due tipi di procedure di revisione dei Trattati: la procedura ordinaria e le procedure semplificate. Procedura ordinaria È un procedura che coinvolge sia le istituzioni europee (Consiglio, Consiglio europeo, Parlamento europeo e Commissione) che gli Stati membri (governi e parlamenti). Ci sono varie fasi: 1. Il governo di uno stato, il Parlamento europeo o la Commissione sottopongono al Consiglio un progetto di modifica dei Trattati (anche per accrescere/ridurre le competenze dell’UE). 2. Il Consiglio trasmette la proposta al Consiglio europeo 3. Previa consultazione di PE e Commissione, il Consiglio europeo può approvare la proposta a maggioranza semplice. A questo punto il presidente del Consiglio europeo convoca una convenzione composta da: rappresentanti degli parlamenti nazionali, capi di stato/governo degli stati, del PE e della Commissione. 4. La Convenzione esamina i progetti e adotta una raccomandazione ad una conferenza di rappresentanza degli stati membri (se le modifiche non sono importanti il Consiglio può votando a maggioranza semplice di non fare questa convocazione). 5. La CIG (conferenza rappresentanti stati membri) deve stabilire le modifiche da apportare ai trattati. 6. Le modifiche apportate entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli stati membri. Procedure semplificate In queste procedure non viene prevista la convocazione di una Convenzione o di una conferenza intergovernativa ed il Consiglio europeo assume un ruolo importante. Ci possono essere due ipotesi di procedura semplificata: 1. Governo, PE o Commissione sottopongono al Consiglio europeo un progetto di modifica sul tema delle politiche interne e dell’azione dell’UE: esso consulta prima 20 PE e Commissione e poi può adottare questa proposta. La modifica entrerà in vigore solo dopo la ratifica di tutti gli stati membri. 2. Clausole passerella 1) Nel caso in cui il TFUE preveda una che il Consiglio debba deliberare all’unanimità su una determinata questione, il Consiglio europeo può (votando all’unanimità e consultando il PE) consentire al Consiglio di votare a maggioranza qualificata. 2) Inoltre nel caso in cui il TFUE preveda una procedura legislativa speciale, il Consiglio europeo può adottare una decisione per consentire l’utilizzo della procedura ordinaria. In entrambi i casi l’iniziativa del Consiglio europeo è prima inviata ai parlamenti nazionali, che entro sei mesi hanno il potere di opporsi e non farla applicare. Un’ulteriore ipotesi di modifica dei Trattati riguarda la procedura di adesione all’UE da parte di nuovi Stati. Questa procedura si articola in due fasi: la prima fase si svolge all’interno dell’apparato istituzionale, la seconda all’esterno. Possono aderire all’UE gli stati europei che rispettino i valori elencati nell’articolo 2 del TUE (dignità umana, libertà, democrazia, stato di diritto, diritti umani): nella prima fase il consiglio si pronuncia all’unanimità sulla domanda di adesione, consultando Commissione e PE; nella seconda fase ci deve essere un accordo tra lo stato entrante e gli altri stati membri: questo accordo deve essere poi ratificato da tutti gli stati membri. CAPITOLO 7 Rapporti tra il diritto dell’UE e il diritto degli Stati membri 1. L’adattamento al diritto dell’Unione europea È il modo in cui le fonti europee entrano nei singoli ordinamenti degli stati membri. Le fonti del diritto europeo si dividono in due categorie: diritto derivato (regolamenti e decisioni direttamente applicabili, direttive devono essere recepite con leggi interne) e diritto primario (Trattati, devono essere ratificati dai singoli stati seguendo la procedura indicata dalle diverse Costituzioni). L’adattamento al diritto primario (Trattati) L’Italia ha inserito nella stessa legge sia la ratifica dei Trattati che l’ordine d’esecuzione degli stessi. Non esiste una norma costituzionale che autorizzi la cessione della sovranità dell’Italia con la ratifica dei trattati comunitari, ma, con una sentenza della Corte costituzionale, si è fatto riferimento all’articolo 11 della costituzione ( […] consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo). L’adattamento al diritto derivato Avviene mediante l’adozione da parte degli stati membri di provvedimenti nazionali. Questo processo cambia a seconda del tipo di atto europeo: il regolamento e la decisione in linea di principio non richiedono l’adozione di atti nazionali, mentre la direttiva è applicabile, come scritto nello stesso Trattato, solo mediante provvedimenti nazionali. L’Italia provvede quindi con l’emanazione di una “legge comunitaria”, che viene approvata annualmente dal Parlamento (legge “La Pergola” abrogata nel 2005 e sostituita dalla legge “Buttiglione”). 21 È importante capire il ruolo delle regioni nel processo di attuazione delle normative UE: in Italia ci sono infatti campi di competenza esclusiva delle regioni, campi concorrenziali tra stato e regioni e campi di competenza esclusiva dello Stato. Lo stato è responsabile dell’adempimento di fronte alla comunità, ma non è organo centrale: le regioni, nonostante nella prassi questo si sia affermato con difficoltà, partecipano nelle materie di loro competenza alle decisioni della formazione degli atti normativi e provvedono alla loro attuazione. Le leggi comunitarie sono prevalenti rispetto alle singole leggi regionali. Se le regioni non provvedono all’attuazione delle normative comunitarie entro i termini stabiliti, il governo può intervenire sostituendosi ad esse emanando atti sostitutivi, che cesseranno di avere valore giuridico nel momento in cui la regione avrà legiferato in materia. La Costituzione prevede inoltre che il capo di governo si possa sostituire a regioni, città metropolitane, province e comuni nel caso in cui esse non rispettino le norme dei trattati internazionali. 2. Rapporti tra diritto dell’Unione e diritto interno italiano Nel momento in cui lo stato diventa parte dell’UE accetta e si impegna all’applicazione del diritto europeo. Il problema è stabilire la gerarchia tra le diverse fonti del diritto: in generale si parla di primato del diritto comunitario sul diritto statale, ma sono state attraversate diverse fasi prima di giungere, a metà degli anni ’80, a questa conclusione. Inizialmente la Corte costituzionale considerò le norme europee di pari rango rispetto a quelle statali, quindi il giudice doveva seguire il criterio temporale; intorno alla metà degli anni ’70 la Corte costituzionale riconobbe, in base all’articolo 11 della costituzione, il primato del diritto europeo sul diritto interno, ma escludeva la possibilità che un giudice potesse disapplicare il diritto interno. Nel 1984 ci fu una svolta: la corte costituzionale si avvicinò alla posizione della corte di giustizia europea, ritenendo possibile che il giudice nazionale potesse disapplicare il diritto interno se incompatibile con il diritto europeo: la corte costituzionale continuava però a considerare i due diritti indipendenti e separati, ritenendo che fosse il diritto nazionale a consentire al diritto europeo di essere efficace all’interno del territorio italiano (un regolamento europeo non poteva infatti abrogare o modificare leggi interne). Nel 1989, infine, la corte costituzionale ha sentenziato che era necessaria l’abrogazione delle norme interne se in conflitto con il diritto dell’UE. 3. La responsabilità dello Stato per la mancata attuazione di direttive dell’UE Se lo stato non attua entro i termini le direttive dell’UE, esso può risultare responsabile verso i singoli soggetti che hanno subito un danno dalla mancata trasposizione della direttiva. Il risarcimento è dovuto se il danno è direttamente riconducibile alla mancata trascrizione da parte dello Stato (o anche dalla mancata applicazione della direttiva da parte del giudice), esso deve essere riconosciuto se la violazione è manifesta e grave e il nesso causale è evidente. Il risarcimento deve essere adeguato al danno subito e non può essere limitato al solo periodo successivo alla sentenza della corte di giustizia che accerta l’inadempimento. La prescrizione è fissata in 10 anni. In caso di adempimento parziale la prescrizione inizia a decorrere dall’entrata in vigore dell’atto di adempimento per i soggetti che sono toccati dal parziale adempimento (per quelli non toccati la prescrizione non scatta non inizia). CAPITOLO 8 La tutela giurisdizionale nell’Unione europea 1. La tutela giurisdizionale all’interno dell’Unione europea 22 È un ricorso indiretto: l’applicazione del diritto è divisa tra le istituzioni giuridiche dell’UE e i giudici nazionali: questi ultimi possono avere dei dubbi sull’interpretazione o sulla validità delle norme comunitarie e quindi si rivolgono alla Corte di giustizia, che ha competenza esclusiva e definitiva in questo ambito. Le questioni sulla validità delle norme possono essere poste solo sugli atti delle istituzioni, mentre dubbi sull’interpretazione possono essere sollevati anche in riguardo ai Trattati. Solo gli organi giurisdizionali possono rivolgere questioni alla corte in via pregiudiziale (gli arbitri no): i requisiti per essere un organo giurisdizionale riconosciuto sono l’origine legale dell’organo, il carattere permanente, l’obbligatorietà della sua giurisdizione, l’applicazione di norme giuridiche. Il rinvio alla corte è considerato come obbligo solo nel caso in cui si tratti di giurisdizione di ultima istanza (perché la sentenza è definitiva, quindi deve essere corretta). La questione va sollevata obbligatoriamente anche per i giudici non di ultima istanza se si tratta di un dubbio sulla validità della legge in questione: i giudici nazionali non possono dichiarare l’invalidità di una legge comunitaria. La sentenza pregiudiziale vincola il giudice nazionale, che è tenuto ad applicare la norma secondo la corretta interpretazione. La competenza pregiudiziale della Corte non si estende al settore di politica estera e sicurezza comune, sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia in UK e Danimarca e, per 5 anni dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria. 7. La funzione consultiva attribuita alla Corte di giustizia La Commissione, il Consiglio, il Parlamento europeo o uno stato membro possono chiedere un parere alla Corte di giustizia sulla compatibilità di un accordo internazionale con i Trattati. Un parere negativo della Corte produce effetti nel momento in cui interviene: se arriva prima dell’inizio dei negoziati ne impedisce l’apertura, se arriva durante ne determina lo stop, se arriva dopo ne impedisce la conclusione. La delibera negativa dovrebbe essere superata con la procedura di modifica dei Trattati, ma nella prassi può essere aggirata con le necessarie modifiche all’accordo. CAPITOLO 9 La politica estera e di sicurezza comune 1. L’UE e le nuove politiche del II e III pilastro prima e dopo il Trattato di Lisbona Con il Trattato di Maastricht si sono creati due nuovi pilastri dell’UE: il settore della Politica estera e di sicurezza comune (II pilastro) e il settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (III pilastro). Questi due settori, sono caratterizzati dall’uso del sistema intergovernativo, mentre il primo ha un sistema comunitario. Ciò vuol dire che i singoli stati sono più restii a cedere la loro sovranità nazionale e limitano pertanto il potere delle istituzioni dell’UE. Con i successivi trattati (Amsterdam e Nizza) si sono aumentati i poteri di alcune istituzioni, arrivando ad una parziale comunitarizzazione. Con il Trattato di Lisbona, infine, sono stati aboliti i tre pilastri e si è rielaborata l’organizzazione dei poteri, creando anche la figura dell’Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza. 2. Obiettivi della politica estera e di sicurezza comune 25 La politica estera e di sicurezza comune (PESC) è disciplinata nel TUE e non nel TFUE: in questo modo virtualmente continua ad esistere il pilastro abolito con il Trattato di Lisbona. la PESC riguarda tutti i settori della politica estera e le questioni relative ad una sicurezza comune, compresa una progressiva definizione di una difesa comune. La PESC è regolata da procedure specifiche: è attuata dal Consiglio europeo e dal Consiglio che deliberano all’unanimità. È prevista l’astensione costruttiva nelle votazioni: uno stato si può astenere e non applicare la norma, ma accetta che sia vincolante per l’UE. La Corte di giustizia dell’UE non è competente in questo settore. 3. Tipologia di atti adottabili nella PESC Il Consiglio europeo individua gli interessi, fissa gli obiettivi e definisce gli orientamenti generali: su questi orientamenti generali il Consiglio elabora la politica estera e di sicurezza comune. Gli atti di questo settore si dividono in due categorie: le decisioni, che hanno la funzione di affrontare situazioni specifiche che richiedono un’attività operativa dell’UE, e le posizioni comuni, che si limitano a definire l’approccio dell’UE su una questione particolare. 4. Le disposizioni sulle politica di sicurezza e difesa comune L’Unione dispone di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari (messi a disposizione dagli stati membri): essa può utilizzarli all’esterno del suo territorio per garantire il mantenimento della pace, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Viene inoltre costituita l’Agenzia europea per la difesa, sotto l’autorità del Consiglio: essa stabilisce gli obiettivi nel rispetto degli impegni presi dagli stati membri, promuove l’armonizzazione delle operazioni, propone progetti multilaterali e sostiene la ricerca nel settore di tecnologia di difesa. Tutti gli stati membri possono farne parte. È prevista inoltre una graduale definizione di una politica di difesa comune, che sarà sotto il controllo del Consiglio europeo, che delibererà all’unanimità. La PESDC salvaguardia il rispetto degli obblighi assunti dagli stati membri di fronte alla NATO. Inoltre, in caso di attacco armato in un territorio di uno stato membro, gli altri stati sono tenuti ad offrire aiuto ed assistenza. 5. Gli atti derivati Ci sono due decisioni importanti prese dal Consiglio nel 2010: • 24 luglio 2010: fissa l’organizzazione e il funzionamento del servizio europeo per l’azione esterna (SEAE): un organo istituito dal Trattato di Lisbona che attua la politica estera dell’UE. Esso assiste l’Alto rappresentante dell’Unione nella PESC, nella PESDC, e negli Affari esteri. • 25 febbraio 2010: istituisce il Comitato permanente per la cooperazione operativa in materia di sicurezza interna, che serve a facilitare e rafforzare il coordinamento delle azioni degli Stati membri e assicura il funzionamento della cooperazione di polizia doganale, dell’Eurojust e dell’Europol. CAPITOLO 10 La libera circolazione delle merci 26 1. Il quadro normativo della libera circolazione delle merci L’Unione europea comprende una unione doganale e quindi una tariffa doganale comune: vengono aboliti i dazi doganali e vengono vietate le restrizioni quantitative all’importazione ed all’esportazione. Art. 110 nessuno stato applica direttamente o indirettamente ai prodotti esteri imposizioni interne superiori a quelle applicate ai prodotti nazionali simili. Non si può fare nemmeno protezionismo sono divieti assoluti, non necessitano di norme interne di applicazione. Il Consiglio può stabilire direttive di ravvicinamento tra le legislazioni interne, in modo da ridurre le differenze ma allo stesso tempo riconoscere agli stati le diverse normative nazionali. 2. Modi di realizzazione della libera circolazione delle merci; i dazi doganali Ci sono state delle tappe transitorie per l’abolizione dei dazi doganali: sono state necessarie per evitare squilibri repentini. La libera circolazione comporta lo smantellamento di ogni ostacolo. I dazi doganali sono dei tributi che si caratterizzano per alcuni connotati specifici, sulle merci che entrano od escono da un determinato stato. 3. Divieto di tassa di effetto equivalente La tassa di effetto equivalente è una sostituzione dei dazi doganali: un prelievo fiscale su merci importate ed esportate. C’è quindi il divieto di qualsiasi tributo riscosso in occasione dell’importazione che colpisce una merce alterandone il prezzo. 4. Divieto di misure restrittive tra gli Stati; il concetto di misure di effetto equivalente Oltre ad esserci il divieto di restrizioni quantitative per le importazioni, esiste un divieto analogo per le esportazioni. La misura di effetto equivalente è ogni regolamentazione commerciale che impedisce direttamente o indirettamente il commercio intercomunitario. Ogni prodotto legalmente fabbricato e venduto in uno stato deve essere ammesso in ogni altro stato membro. 5. Divieto di imposizioni interne discriminatorie o protezionistiche e concetto di prodotto similare È possibile per uno Stato membro tassare merci provenienti da altri stati, ma questa tassazione non deve essere né discriminatoria né protezionistica: deve esserci neutralità di tassazione tra le merci interne e quelle importate. quindi le tasse di effetto equivalente sono vietate sempre (perché sono come dazi, gravano sul prodotto solo perché è importato), mentre le imposizioni interne sono vietate solo se sono discriminatorie o protezionistiche (gravano sia sul prodotto interno che su quello importato). Prodotto interno similare non si parla solo di prodotti identici, ma analoghi e che possono quindi rispondere alle stesse esigenze dei consumatori (stessi prodotti base e stesso processo di lavorazione). Sono vietate anche le discriminazioni che permettono al prodotto interno di veder dilazionato il pagamento della tassa, mentre non lo fanno per il prodotto importato. 6. I prodotti concorrenti, ma non simili Lo stesso principio del prodotto similare si applica anche per il prodotto concorrente: si parla di sostituibilità parziale. È vietata quindi la politica fiscale di uno stato che tende a cristallizzare le abitudini dei consumatori favorendo le industrie nazionali rispetto a quelle 27 debba ottenere due certificazioni diverse per lo stesso scopo: entra in atto un processo di riconoscimento dei diplomi e dei certificati tra i diversi stati. La libera circolazione può essere limitata solo da motivi imperiosi di pubblico interesse. La materia dei trasporti è regolata da autonome previsioni nel trattato e la parte della liberalizzazione delle banche e delle assicurazioni è coordinata con la libera circolazione dei capitali. 5. Riconoscimento dei diplomi Per attuare la libera circolazione è necessario arrivare al reciproco riconoscimento di diplomi, certificati e altri titoli, per assicurare la mobilità professionale. Inizialmente il riconoscimento era affidato a direttive settoriali, poi si è giunti alla direttiva 2005/36, che sostituisce 16 delle precedenti normative e disciplina il riconoscimento delle qualifiche professionali per l’accesso alla professioni regolamentate dalle direttive generali + la professioni di infermeria, odontoiatria, veterinaria, ostetricia, architettura, farmacia e medicina. L’obiettivo è quello di creare un sistema più uniforme e flessibile, permettendo al beneficiario di accedere in qualsiasi stato alla professione che fa nel suo paese, con le stesse condizioni dei cittadini dello stato in cui va ad operare. Per quanto riguarda la libera circolazione dei servizi è prevista una dichiarazione preventiva da parte del professionista, l’iscrizione automatica presso gli organi professionali, la cooperazione amministrativa tra autorità competenti e, per alcune professioni che concernono la salute e la sicurezza pubblica, la possibilità di dover effettuare una verifica preventiva delle qualifiche. Il riconoscimento in ogni caso si basa sulla reciproca fiducia degli Stati. Se ci sono differenze sostanziali tra la formazione professionale dei due stati uno di essi può condizionare il riconoscimento al superamento di una misura compensativa. Con la direttiva 2005/36 sono state create le “piattaforme comuni”: sono i criteri delle qualifiche professionali in comune tra almeno 2/3 degli stati membri. La Corte di giustizia ha inoltre precisato che le norme nazionali in materia di riconoscimento dei diplomi devono essere interpretate in conformità con gli obiettivi del Trattato. 6. La disciplina per l’esercizio della professione di avvocato Uno stato membro non può rifiutare l’accesso alla professione di avvocato ad un soggetto che la esercita già nel suo stato, perché questa categoria rientra nella Direttiva 2005/36. L’accesso può essere però subordinato a particolari condizioni (tirocinio, esame) se la formazione verte su materie diverse da quelle previste dallo Stato ospite: in questo caso le autorità competenti prepareranno un elenco delle materie richieste che non sono contemplate dal titolo di studi del soggetto, la cui conoscenza è essenziale per esercitare in quel paese. Nel caso dell’avvocatura la scelta del tipo di adattamento non è lasciata al soggetto, ma sarà lo stato a decidere tra un tirocinio di massimo 3 anni e una prova attitudinale. C’è però un sistema alternativo, che consente nell’esercitare a titolo temporaneo, con una durata massima di cinque anni, nel paese straniero. Dopo 3 anni dall’inizio di una professione riguardante il diritto di quello stato, il professionista acquisisce il diritto ad esercitare nello Stato membro, senza bisogno di superare la prova attitudinale. 7. I limiti dell’ordine pubblico, della sicurezza pubblica e della sanità pubblica Sono limiti abbastanza simili sia per i lavoratori salariati, per lo stabilimento e per la prestazione di servizi. 30 Sanità pubblica: le sole malattie che possono far scattare questa clausola sono quelle epidemiche o altre malattie infettive o parassitarie contagiose. Ordine pubblico e sicurezza pubblica: si affermano soltanto i principi fondamentali, che vengono ricondotti al principio di proporzionalità. Deve esistere un pericolo reale, attuale e sufficientemente grave, mentre vengono esclusi motivi economici o di prevenzione generale. I singoli stati sono dotati di una certa competenza, da esercitare nei limiti imposti dal Trattato (esempio è il caso Omega: la Germania non voleva i giochi di guerre laser per motivi di ordine pubblico, quindi nel territorio tedesco non si possono creare posti di questo tipo). I provvedimenti per motivi di ordine pubblico sono presi solo in relazione al comportamento personale e la sola presenza di condanne penali non è sufficiente alla loro adozione automatica. Sono previste inoltre garanzie processuali come la facoltà di impugnare il provvedimento e la possibilità di richiedere la sospensione. 8. La libera circolazione dei pagamenti correnti, dei capitali e dei servizi finanziari Riguarda i meccanismi della moneta, del credito e del fisco. Si può distinguere tra la liberalizzazione dei pagamenti correnti e quella dei movimenti di capitale. Il trasferimento di materiale di biglietti di banca non può definirsi movimento di capitale se corrisponde ad un obbligo di pagamento derivante da scambio di merci o servizi. La liberalizzazione dei movimenti di capitale è stata prevista secondo una progressiva soppressione delle restrizioni esistenti e, dal 1990, questo processo è stato completato definitivamente. Ci sono delle deroghe a questo principio, che tuttavia non devono costituire discriminazione arbitraria ne restrizione al libero movimento dei capitali e dei pagamenti. Viene quindi realizzato un mercato interno dei servizi finanziari, banche, assicurazioni e borse, sulla base di un’armonizzazione minima e sul mutuo riconoscimento. Vengono istituiti due comitati: il comitato dell’autorità europea di vigilanza bancaria, che ha una funzione di coordinamento delle pratiche di vigilanza e di consulenza per la Commissione, e il comitato bancario europeo, che ha funzioni consultive per la Commissione. Infine viene istituita l’Autorità europea di vigilanza, che ha l’obiettivo di proteggere l’interesse pubblico mantenendo stabile il sistema finanziario (in risposta alla crisi del 2007/08). CAPITOLO 12 Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 1. L’Unione europea e le disposizioni generali sullo spazio di libertà, sicurezza e giustizia Lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia è stato inserito dal Trattato di Lisbona tra gli obiettivi generali dell’Unione: viene abolito il III pilastro e vengono unite le sue disposizioni a quelle del TCE. In questo spazio non ci devono essere controlli alle frontiere interne e si deve sviluppare una politica comune in materia di asilo, immigrazione e frontiere esterne. C’è inoltre una cooperazione giudiziaria (sia civile che penale) e di polizia. Regno Unito, Irlanda e Danimarca hanno regolamentazioni particolari. 2. Controllo alle frontiere, asilo e immigrazione 31 C’è un instaurarsi progressivo di una politica comune nella gestione delle frontiere esterne. Il potere di agire è attribuito al Parlamento europeo e al Consiglio, che legiferano secondo procedura legislativa ordinaria. In caso di afflusso improvviso di migranti il Consiglio può deliberare con misure temporanee con la sola consultazione del Parlamento. 3. La cooperazione giudiziaria in materia civile Il principio è quello del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziali nazionali. La cooperazione prevede inoltre la creazione di misure di avvicinamento tra le diverse norme nazionali. La competenza in questa materia è del Parlamento europeo e del Consiglio che legiferano secondo procedura legislativa ordinaria. Nel programma generale di “Diritti fondamentali e Giustizia” è stato creato un programma specifico chiamato “Giustizia Civile”: esso ha lo scopo di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell’UE, in modo da avvicinare i vari ordinamenti e rimuovere gli ostacoli che impediscono la cooperazione giudiziaria. La Commissione ha il compito di redigere un programma di lavoro annuale, che serve a migliorare la conoscenza reciproca dei diritti nazionali e incoraggiare la rete di scambio di dati ed esperienza. È possibile applicare anche la cooperazione rafforzata: un esempio è nella disciplina del divorzio e della separazione, che è stata modificata da alcuni paesi, tra cui Italia, Germania, Francia, Spagna ecc. 4. La cooperazione giudiziaria in materia penale Il principio è quello del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie, nonché l’adozione di norme comuni in materia di criminalità particolarmente grave (terrorismo, tratta esseri umani, sfruttamento sessuale, stupefacenti, armi, riciclaggio corruzione, criminalità informatica e organizzata). Le competenze dell’Eurojust sono ampliate: l’organo ha il compito di sostenere la cooperazione tra le diverse autorità nazionali. È possibile inoltre istituire una procura europea per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’UE. Vengono individuati obiettivi generali e specifici al fine di aumentare la collaborazione tra i diversi stati. Ci sono due tipi di finanziamenti da parte dell’UE: sovvenzioni e appalti. 5. La cooperazione di polizia È prevista tra le autorità competenti di tutti gli stati membri, si distingue in: cooperazione operativa, il cui potere è dato al Consiglio, che segue la procedura legislativa speciale e delibera all’unanimità consultando il PE, e cooperazione non operativa, il cui potere è gestito dal Parlamento europeo e dal Consiglio, che deliberano con procedura legislativa semplice (raccolta, archiviazione analisi, scambio informazioni, formazione del personale). 6. Il Mandato d’arresto europeo Sostituisce il metodo dell’estradizione imponendo a ciascuno stato di riconoscere la domanda di consegna formulata da un altro stato: questo in caso di condanna del reo con sentenza definitiva ad una pena detentiva superiore ai 4 mesi o semplicemente con una richiesta con oggetto fattispecie delittuose per una pena di durata massima non inferiore ai 12 mesi. Esiste un’ipotesi di non esecuzione obbligatoria, in cui il rifiuto al procedere all’arresto è considerato legittimo: questo nei casi di sentenza definitiva per lo stesso motivo in un altro 32 Un regolamento del 1962 assegnava alla Commissione poteri sia per le intese vietate che per lo sfruttamento abusivo di posizione dominante: essa aveva poteri di indagine, di accertamento, di controllo dei libri e poteri sanzionatori. Quel regolamento è stato sostituito con il regolamento n. 1/2003, che modifica il sistema: prima c’era il sistema di esenzione (è tutto vietato tranne ciò che è valido), ora c’è quello di eccezione legale (è tutto valido tranne ciò che è vietato). Questo cambiamento è stato fatto per semplificare il controllo amministrativo pur mantenendo una vigilanza efficace. Gli articoli 101 e 102 sono immediati e direttamente applicabili, pertanto non sono necessarie decisioni della Commissione per consentire ciò che è lecito e vietare ciò che è illecito. Vista la semplificazione messa in atto, si è deciso di aumentare il potere di controllo a posteriori della Commissione: essa può svolgere indagini, fare accertamenti presso la sede della società, controllare libri e documenti aziendali, apporre i sigilli, chiedere spiegazioni e, se c’è motivo di sospettare che i documenti siano in un altro luogo, effettuare sopralluoghi anche in abitazioni, mezzi di trasporto ecc dei soci. 8. Rapporto tra Commissione e autorità nazionali Nel precedente regolamento c’era il sistema della doppia barriera: diritto europeo e diritto nazionale convivevano ed erano entrambi applicati, anche se il diritto internazionale aveva la priorità. Nel Regolamento 1/2003 invece si è deciso che le giurisdizioni nazionali sono tenute ad applicare anche i summenzionati articoli del TFUE, in modo da decentrare i poteri per semplificare il lavoro dell’UE. Questo per quanto riguarda l’articolo 101, mentre per quanto riguarda l’articolo 102 si mantiene il sistema della doppia barriera (gli stati membri possono fare e applicare regole anche più rigorose). Commissione e autorità nazionali dovranno comunque attuare una politica di coordinamento, formando una rete unitaria e stabilendo flussi informativi bi/plurilaterali. Alla Commissione è comunque riconosciuto il ruolo primario nella determinazione della politica della concorrenza. 9. Concentrazioni di imprese La prima definizione in questo ambito è in un Regolamento del 1989, che poi è stato sostituito con il Regolamento 139/2004. Ci sono tre tipologie di operazioni: 1. Due imprese, in precedenza indipendenti che procedono ad una fusione. Si può trattare di fusione in senso stretto (le due imprese si estinguono e ne nasce una nuova) o di fusione per incorporazione (un’impresa assorbe l’altra). Queste operazioni sono regolate dal diritto societario. 2. Un’impresa assume il controllo, diretto o indiretto, di un’altra impresa: le due imprese continuano ad esistere formalmente distinte, ma hanno un unico centro decisionale. 3. Costituzione di un’impresa comune, che deve avere tutte le caratteristiche di un’impresa indipendente: le imprese madri rimangono in vita e ne nasce un’altra in comune, che però non deve avere solo un ruolo ausiliario. Il controllo di queste concentrazioni è posto dalla Commissione attraverso soglie di fatturato: se queste soglie sono superate le concentrazioni non sono per forza illecite, ma la Commissione verificherà l’impatto delle concentrazioni in causa sul mercato concorrenziale. Per evitare problemi in vista di una possibile decisione della Commissione di riportare la situazione giuridica a prima della concentrazione, alle imprese che vogliono intraprendere questa strada è fissato l’obbligo di notificare l’operazione e non metterla in atto fino alla pronuncia di compatibilità della Commissione (o fino al decorso del termine entro cui questa dovrebbe pronunciarsi): la Commissione può così fare un esame preliminare delle concentrazioni che potrebbero nascere. La Commissione può inoltre 35 comminare ammende di notevole entità, ordinare la separazione delle imprese, la cessazione del controllo comune e ogni altra misura necessaria per ripristinare le condizioni di concorrenza: prima di applicare queste sanzioni la Commissione fa una valutazione, basandosi sul mercato rilevante (sostituibilità del prodotto + mercato geografico). La Commissione ha competenza esclusiva in materia di concentrazioni di imprese, ma c’è un’eccezione, la “clausola tedesca”: secondo questa clausola la valutazione di impatto sulla concorrenza di una concentrazione comunitaria può essere compiuta dalle autorità statali. La Commissione quindi decide sui profili connessi alla tutela della concorrenza, gli Stati decidono sugli aspetti che incidono sui valori extracontrattuali (interessi legittimi: sicurezza pubblica, norme prudenziali, pluralità mezzi informazione ecc). 10. Le innovazioni introdotte nel Regolamento 139/2004 in tema di concentrazioni Nel 2004 c’è stata una revisione per armonizzare questo ambito con la materia della concorrenza. Il precedente regolamento aveva già garantito trasparenza nelle procedure e indipendenza dell’organo decisionale, ma con il 139/2004 ci sono diverse novità: si pone l’attenzione sulle concentrazioni che ostacolano in modo significativo la concorrenza (invece che guardare alla posizione dominante come criterio principale), si prevede una maggiore collaborazione tra Commissione e autorità competenti degli Stati membri e si è data soluzione al contrasto tra il principio dello sportello unico e il problema della notifica multipla: una concentrazione non di rilievo comunitario obbliga un’impresa a notificare allo Stato. Viene quindi attuata un’opera di razionalizzazione dei rinvii tra stato e Commissione, con una divisione delle competenze. Si riafferma lo sportello unico, il controllo a priori e il principio di sussidiarietà. 11. Gli aiuti di Stato Secondo l’articolo 107 del TFUE gli aiuti di Stato sono incompatibili con il mercato interno: l’incompatibilità scatta quando questi aiuti falsano il mercato interno nella misura in cui incidono sullo scambio tra gli Stati. Viene considerato aiuto ogni forma di vantaggio economicamente apprezzabile o di riduzione dei costi a favore di una o più imprese: quindi è un aiuto anche solo un intervento che allevia dagli oneri che gravano sul bilancio dell’impresa, come ad esempio esenzioni fiscali, prestiti a tassi ridotti, sussidi, acquisizione di partecipazioni da parte dello Stato ecc. Sono incompatibili sia gli aiuti direttamente applicati dallo Stato che quelli attuati da un ente formalmente distinto ma di fatto nelle mani dello stesso (es Finmeccanica). Se lo Stato interviene a favore di pubbliche imprese come si fa a capire se è aiuto di Stato o se è un investimento legittimo? Si considera aiuto di Stato se ha le seguenti condizioni: è di origine pubblica, da un vantaggio al destinatario, ha un carattere selettivo, falsa la concorrenza e incide sugli scambi all’interno dell’UE. Gli aiuti di Stato hanno l’obbligo di previa notifica, ma quelli di poca entità sono esentati (principio de minimis). Ci sono due tipi di aiuti che possono essere considerati legittimi: gli aiuti compatibili de iure, che sono tassativi e riguardano gli aiuti a carattere sociale (es. dopo calamità naturali) e gli aiuti potenzialmente compatibili, che vengono valutati discrezionalmente dalla Commissione e sono votati a favorire lo sviluppo economico, destinati ad un progetto di comune interesse europeo, a rimediare ad un grave turbamento dell’economia, a promuovere cultura e conservazione del patrimonio. Sono potenzialmente compatibili anche gli aiuti orizzontali, che hanno funzione di far sviluppare attività di interesse comunitario (tutela ambiente, ricerca e sviluppo, aiuti a piccole/medie imprese). 12. Aiuti illegittimi e procedura di recupero 36 Sono considerati illegali gli aiuti destinati senza previa notifica o erogati prima della valutazione della Commissione. La Commissione può valutare le informazioni di cui entra in possesso da qualsiasi fonte esse arrivino: essa ha anche potere di adottare misure cautelari quali la sospensione dell’erogazione e addirittura la restituzione temporanea dell’aiuto. Questa seconda ipotesi è solo per i casi più gravi e solo se ci sono queste 3 condizioni: non ci sono dubbi in merito all’aiuto, la necessità di affrontare un’emergenza e il rischio di danno irreparabile ad un concorrente. 13. Elementi fondamentali e principi in materia di aiuti Ci sono alcuni principi cardine in questo ambito: compensatory justification (contropartita): gli aiuti di Stato possono essere sia da ostacolo alla libera concorrenza ma allo stesso tempo essere votati a favorire la crescita economica e lo sviluppo. L’importante è che non siano usati come strumento di protezione di prodotti nazionali. Ci deve essere proporzionalità tra la distorsione della concorrenza e l’importanza dell’obiettivo perseguito. In questo ambito ha potere discrezionale la Commissione, che normalmente non è favorevole a questi aiuti ma fa eccezione se sono in settori particolari come quello energetico e di protezione ambientale. Questi aiuti tuttavia devono essere limitati e necessari, devono essere seguiti da un controllo rigoroso e non devono spostare il problema da uno stato all’altro o allargarlo da un settore ad una realtà più ampia. Principio della trasparenza: si deve poter verificare la natura dell’aiuto, per questo è stato inserito l’obbligo di notificare le agevolazioni alla Commissione. Principio del legittimo affidamento a terzi: un aiuto illegittimo non può essere sanzionato se è posto in essere da più di 10 anni: la Commissione ha quindi potere sanzionatorio ma non illimitato nel tempo. Si è deciso di mettere questa regola in modo da garantire la certezza del diritto. CAPITOLO 14 L’azione esterna dell’Unione europea 1. L’azione esterna dell’Unione L’UE ha un’azione sul piano internazionale volta a promuovere i propri valori e i propri interessi. I principi che la muovono sono la democrazia, lo stato di diritto, l’uguaglianza, la solidarietà, i diritti dell’uomo, la dignità umana e il rispetto della Carta delle Nazioni Unite. L’UE ha personalità giuridica ed è titolare di diritti e doveri: essa può quindi istituire rapporti con Paesi terzi. Il Trattato di Lisbona prevede in materia di politica estera, l’esistenza del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE): esso serve a sostenere l’Alto rappresentante nell’esercizio delle sue funzioni. Il SEAE, che ha sede a Bruxelles, lavora inoltre in collaborazione con i servizi diplomatici con gli Stati membri: questo servizio è entrato in funzione il 1 dicembre 2010. Il SEAE collabora inoltre con le altre istituzioni dell’UE e partecipa, nelle materie di sua competenza, all’elaborazione degli atti normativi insieme alla Commissione. Quando sarà 37 • L’accordo istitutivo del OMC (organizzazione mondiale del commercio) non può essere invocato direttamente davanti alle autorità dell’UE e degli Stati membri (preambolo nella decisione del Consiglio che ha approvato l’accordo). CAPITOLO 15 Le altre politiche dell’Unione europea 2. La politica agricola È uno strumento necessario per la costruzione dell’Unione: non è stato sufficiente rimuovere i dazi doganali ma anche sostituire le politiche nazionali con una politica comune. L’obiettivo dell’UE è quello di assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori, assicurare uno sviluppo razionale, stabilizzare i mercati e garantire la sicurezza degli approvvigionamenti. I prodotti agricoli sono tutti quei prodotti provenienti dal suolo e dagli allevamenti, più i risultati di una prima lavorazione delle materie prime (elenco completo nell’allegato 1 del TFUE). La politica agricola si realizza con la libera circolazione di merci, capitali e servizi, con la soppressione di dazi doganali, con l’armonizzazione delle legislazioni statali in materia veterinaria, alimentare e sanitaria. 3. Gli organismi comuni di mercato C’è un organizzazione comune di mercato con previsione di prezzi comuni, meccanismi di intervento e protezione delle frontiere comunitarie. Ha la funzione di garantire al produttore un reddito adeguato e di tutelarlo dalla concorrenza mondiale. Esiste il prezzo di orientamento (fissato dal Consiglio annualmente), che indica l’andamento generale dei prezzi, il prezzo di intervento, al di sotto del quale si interviene per stabilizzare il mercato acquistando eccedenze, ritirando prodotti ecc, il prezzo di ritiro, al di sotto del quale si ritirano i prodotti per destinarli a fini sociali o per distruggerli, e il prezzo soglia, che serve ad evitare l’arrivo di prodotti da paesi terzi con prezzi troppo bassi. 4. La coesione economica e sociale L’obiettivo è quello di ridurre il divario tra le varie regioni e ridurre il ritardo di quelle sfavorite. Nel corso degli anni ci sono stati vari passaggi: 1. Fondi europei di sviluppo regionali 2. Fondi strutturali: obiettivi quali sviluppo delle regioni, conversione delle regioni in declino, lotta contro disoccupazione di lunga durata, inserimento professionale dei giovani, adattamento delle strutture agricole 3. Trattato di Maastricht, Fondo di coesione: eroga contributi in materia di ambiente e di trasporti 4. Regolamento 1999: obiettivi quali aiuti alle regioni in ritardo di sviluppo, riconversione economica e sociale riguardo a lavoro e occupazione, politiche di impiego e formazione Ora la politica di coesione è regolata da un regolamento del 2010, diviso in tre obiettivi: • Convergenza: accelerare la convergenza degli stati membri e delle regioni in ritardo di sviluppo, migliorando l’utilizzo delle risorse umane e produttive. • Competitività regionale e occupazione: non riguarda le regioni in ritardo ma mira ad aumentare generalmente la competitività, anticipando i cambiamenti economici e sociali. 40 • Cooperazione territoriale europea: rafforzare la cooperazione transfrontaliera con iniziative congiunte Sono state definite delle zone con svantaggi naturali, che sono: regioni ultraperiferiche, zone settentrionali a bassa densità demografica, isole e stati insulari, zone di montagna. È stato istituito inoltre il Gruppo Europeo per la Cooperazione Territoriale, che ha lo scopo di facilitare e promuovere la cooperazione tra enti appartenenti agli Stati membri. 5. La politica dei trasporti È un elemento necessario per la realizzazione della politica del mercato interno e per la libera circolazione di merci e persone. Il problema è l’esistenza di interessi opposti degli Stati. L’obiettivo è l’instaurazione di una politica comune dei trasporti ferroviari, su strada, marittimi e l’attuazione di disposizioni appropriate per i trasporti aerei. Il trasporto ferroviario segue il principio della separazione tra infrastruttura ferroviaria (a carico degli Stati) e attività ferroviaria (esercitata dalle imprese). Si sono gettate le basi per la realizzazione di un mercato di libera concorrenza e si sta lavorando per il rilascio di licenze valide in tutta l’Unione, a condizione di soddisfare i requisiti di sicurezza, capacità e responsabilità civile. È stata istituita l’Agenzia ferroviaria europea, che mira a migliorare la posizione concorrenziale, con la prospettiva di creare uno spazio senza frontiere. I trasporti marittimi sono regolati dai principi di libera circolazione dei servizi sia per il traffico intracomunitario che per quello con i paesi terzi. Questa politica è ostacolata dall’esistenza di trattati internazionali preesistenti. È stata creata l’Agenzia europea per la sicurezza marittima, a seguito del disastro dell’Erika, che ha come obiettivo il miglioramento del sistema generale di sicurezza, riducendo il rischio di incidenti, di inquinamento e di morti in mare. Il trasporto aereo era regolato in una prima fase da pacchetti di misure: poi si è arrivati alla libera circolazione dei servizi e all’apertura del mercato della concorrenza. Anche qui ci sono stati problemi a causa di regole internazionali, ma la Corte di giustizia ha permesso il superamento della fase di stallo dichiarando la diretta applicabilità degli articoli riguardanti il trasporto aereo. 6. La politica dell’occupazione Gli stati membri devono cooperare con l’Unione per sviluppare una strategia coordinata a favore dell’occupazione. Questo ambito non ha una politica comune ma è oggetto di coordinamento tra politiche nazionali: il Consiglio elabora annualmente orientamenti e linee direttrici comuni. C’è inoltre la possibilità di creare un Comitato per l’occupazione nel quale sono rappresentati tutti gli stati e la Commissione. 7. La politica sociale Si fonda sulle disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori e sull’armonizzazione delle legislazioni statali. Ci sono stati vari passaggi: • Carta dei diritti sociali: atto non vincolante • Accordo degli Undici: materie divise in tre gruppi. Il primo gruppo con voto a maggioranza qualificata (sicurezza, parità uomo-donna), secondo gruppo all’unanimità (protezione sociale, rappresentanza e difesa dei lavoratori) e il terzo gruppo che era escluso dalle competenze comunitarie (salari, diritto di associazione). • Il Trattato di Lisbona mantiene questi obiettivi e prevede un ruolo di sostegno da parte dell’UE all’azione degli Stati membri. L’UE adotterà direttive secondo procedura ordinaria con prescrizioni minime, in modo da lasciare spazio alle leggi statali. La parità di retribuzione tra uomini e donne è inoltre sottolineata in un 41 articolo del TFUE. Esiste infine il fondo sociale europeo che ha la funzione di promuovere l’occupazione, la mobilità geografica e la riconversione professionale. 8. La politica dell’ambiente Originariamente non era un ambito regolamentato dalla Comunità, che seguiva semplicemente tre principi: prevenzione, chi inquina paga e sussidiarietà. Con i Trattati seguenti e con il trattato di Lisbona si sono affermati quattro obiettivi: 1. Conservazione e miglioramento delle qualità dell’ambiente 2. Protezione della salute umana (solo sottolineata qui, più regolata in altra sede) 3. Protezione dell’ambiente naturale: le risorse naturali devono essere usate senza comprometterle per il futuro 4. Collegamento tra politiche dell’Unione e politiche internazionali: partecipazione ad accordi internazionali in materia. Continuano inoltre ad esistere i principi di sussidiarietà, di precauzione (prevenire sia il danno certo che il danno eventuale se grave) e il principio di chi inquina paga (tasse per misure protettive, responsabilità civile per danni causati all’ambiente). 9. La politica a favore dei consumatori È un caso significativo di ampliamento delle competenze dell’Unione. Inizialmente non erano previste norme in questo ambito, poi con l’Atto unico europeo è stato dato mandato alla Commissione di proporre norme a tutela dei consumatori. Solo con il Trattato di Maastricht si è poi arrivati ad un’istituzionalizzazione della protezione dei consumatori. Nel TFUE non c’è una definizione del consumatore: esso è visto o come interlocutore di un commerciante che agisce per uso estraneo alla sua attività (che va quindi difeso economicamente) o come utilizzatore finale del prodotto (che va difeso anche nella salute e nella sicurezza). 10. La politica della pesca I prodotti della pesca sono accomunati a quelli dell’agricoltura, benché non siano propriamente la stessa cosa: la giustificazione sta nel fatto che hanno in comune elementi come la deperibilità del prodotto e la rigidità della domanda. L’elenco dei prodotti è presente nell’allegato 1 del TFUE. È stata inoltre istituita un’organizzazione comune dei mercati della pesca su modello della PAC. La politica della pesca è fondata su due principi: l’accesso uguale, che permette libero accesso delle flotte di tutti gli Stati membri nella zona comunitaria di pesca, e la conservazione e gestione delle risorse, regolata tramite una fissazione annuale delle quantità autorizzate di cattura, dal rilascio di licenze per la pesca e dal controllo attuato dagli Stati. È stata inoltre istituita un’Agenzia comunitaria di controllo della pesca, che controlla l’attività e vigila sul rispetto delle normative: è stato creato un regime di controllo comune. L’unione infine conclude accordi internazionali con Stati terzi e aderisce a convenzioni e ad organizzazioni internazionali. 11. La politica economica e monetaria L’instaurazione di una politica economica e monetaria è uno degli obiettivi dell’UE ed è basata sul controllo delle politiche economiche degli stati membri e sull’introduzione di una politica monetaria comune e di una moneta unica. 1° gennaio 2002 l’Euro ha sostituito le monete nazionali. L’azione dell’Unione comprende l’adozione di una politica economica fondata sul coordinamento delle politiche economiche degli Stati, sul mercato interno e sulla 42