Scarica Riassunto "Arte nel tempo" vol. 1 tomo 2 - De Vecchi, Cerchiari e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! ARTE NEL TEMPO (VOL. I, TOMO II) CAP. 1: IL TEMPO DEI BARBARI 1. Il tempo dei barbari Il concetto di medio evo elaborato dagli umanisti nel XV secolo per definire il lungo periodo tra la decadenza della civiltà antica e la rinascita di cui si sentivano sia spettatori che protagonisti, implicava un giudizio negativo di quest'età, considerata oscura e inquietante. Per gli Elleni, barbaro significa balbuziente; per estensione venne ad indicare, anche per i Romani, colui che non sa parlare, né comportarsi, né vivere secondo i principi, le norme e i costumi della cilità greco-romana, perchè rozzo e incolto, privo di educazione e cultura. Barbari erano le popolazioni germaniche provenienti dai confini settentrionali e orientali dell'Impero, ma che, fin dalla seconda metà del III secolo, incominciarono a varcare i confini e a stabilirsi nei territori romanizzati. Le migrazioni, prima quasi istituzionalizzate, assunsero via via carattere violento con saccheggi e distruzioni – le invasioni barbariche della fine del IV e del V secolo – e, accelerando la rovina dell'Impero d'Occidente, portarono alla formazione dei regni romano-barbarici. Queste popolazioni erano almeno in parte romanizzate, o comunque, pur mantenendo strutture sociali, usi e tradizioni culturali differenti rispetto a quelle del mondo greco- romano, avevano da lungo tempo allacciato contatti con questa civiltà. Dalla seconda metà del V e nel corso di circa due secoli, inoltre, si verificò la conversione al Cristianesimo. Gli sconvolgimenti politici e sociali conseguenti alla formazione dei nuovi regno comportano inizialmente il quasi totale declino di alcune tecniche artistiche, a partire dall'architettura, dalla scultura monumentale e dalla pittura parietale. Invece, assumono forte sviluppo altre tecniche, meglio collegate alle condizioni di vita e alle tradizioni delle nuove popolazioni. In particolare l'oreficeria si afferma come tecnica-guida nella produzione artistica, con risultati di grande originalità nello stile policromo così come in quello della decorazione animalistica a intreccio, elaborata sulla base di motivi orientali, celtici e dell'arte provinciale tardo-romana. Non vengono mai meno i contatti con l'Oriente e con l'arte bizantina soprattutto, ormai decisamente orientata in senso antiplastico e antinaturalistico. Fin dall'invasione degli Unni, si afferma nell'oreficeria germanica il cosiddetto stile policromo. Pietre levigate vengono incastonate in oro, talvolta isolate, accentuando lo sfavillare del metallo prezioso con castoni ravvicinati divise da sottili pareti. Alla vasta diffusione di questo stile corrispondono la lunga durata e vitalità della tecnica, con produzione di alta qualità nel VII secolo, in particolare nei laboratori longobardi e franchi. Lo stile animalistico vede i tralci dei modelli tardo-antichi trasformarsi in figure geometriche, invadendo tutta la superficie, mentre il ritmo ornamentale si fa scomposto e asimmetrico (stile animalistico I). Poi, per influsso dell'ornato orientale e dell'arte copta, l'ornato germanico riacquista maggiore regolarità e fluidità, accentuando la stilizzazione degli elementi zoomorfi, fino a sommergerli in un puro gioco di sviluppi inestricabili di motivi a nastro (stile animalistico II). 2. I Longobardi in Italia Guidati da re Alboino, i Longobardi penetrano in Italia nel 568 scendendo dal Friuli e conquistano rapidamente ampie zone della penisola. Il regno longobardo risulta diviso in una parte più compatta a nord, la Longobardia Maior, e in una più frammentaria a sud, divisa in ducati sostanzialmente autonomi, la Longobardia Minor. Le espressioni artistiche longobarde prima della calata in Italia sono concentrate sull'oreficeria. L'incontro tra la tradizione germanica e i modelli tardo-romani si manifesta nella produzione delle caratteristiche crocette sbalzate in lamina d'oro. Le più antiche presentano una decorazione naturalistica, affidata alla giustapposizione di figure di animali stilizzati e quindi a uno sviluppo intricato di girali vegetali dai quali emergono figurette zoomorfe. Il dominio longobardo viene sancito dall'Editto di Rotari (643), con il quale la legge longobarda si sostituisce al diritto romano. L'abbandono delle città romane da parte della classe dominante segna il declino dell'arte tardo- antica come stile della classe al potere, mentre il nuovo stile barbarico, rifiutando la tradizione precedente, introduce un linguaggio del tutto nuovo. Anche nel VII secolo l'oreficeria continua ad essere l'arte-guida. Sono frequenti le crocette, che sembrano ritagliate in sottili lamine d'oro, mentre appaiono, più rari ma molto interessanti, esempi di monetazione e anelli-sigillo con lettere latine e volti umani. Accanto alle crocette semplici vi sono le croci gemmate che riprendono il motivo del Crocifisso come semplice Imago Christi, un busto clipeato al centro della croce. Le pietre dure che le decorano rispondono a un vivace gusto del colore e sono inserite a freddo in trafori appositamente preparati, a volte seguendo una distribuzione spaziale di gusto tardo-antico. Più raffinata è la tecnica che prevede una fitta rete di alveoli in cui le pietre, o più o frequentemente gli smali e le paste vitree fuse, vengono inserite a caldo. In una posizione mediana tra l'oreficeria e la cultura materiale si colloca la produzione longobarda di armi, presenti nei corredi funebri maschili. Spesso le impugnature delle spade presentano una decorazione ottenuta con la tecnica dell'ageminatura, in cui sottili strisce d'argento vengono martellate all'interno di solchi ricavati nel ferro, con effetti di linearismo bicromo e astratto. Le lame, invece, sono sottoposte alla damaschinatura per risultare più flessibili e resistenti alla torsione: il ferro viene aggredito chimicamente e battuto così da ottenere una struttura a fasce intrecciate. Il prodotto più spettacolare di questo tipo di arte sono gli scudi da parata, dischi di legno ricoperti di cuoio su cui si applicano piccole figure decorative in bronzo. ► Lastrina frontale dell'elmo di Agilulfo, VII secolo, Museo del Bargello, Firenze: la lamina, per la rude espressività e la tensione lineare, appare a prima vista un tipico prodotto di oreficerica barbarica, mentre lo schema compositivo e la presenza delle due classiche Vittorie alate di fianco al trono del re, seppur deformate in modo quasi caricaturale, dimostrano lo sforzo di operare una difficile contaminatio tra la carica sintetica dell'arte longobarda e modelli classici. ► Testina di Teodolinda, ante 628, Museo del Castello Sforzesco, Milano: questa scultura conferma il tentativo di realizzare un accordo tra la nuova concezione artistica longobarda e la rivisitazione di motivi tardo-antichi. In essa viene meno la ricerca di preziosa modellazione, in favore di una scarna definizione, tendente a una stilizzazione essenziale e geometrizzante. Dal 625 al 774 Pavia è stata capitale del regno longobardo e centro principale di committenze artistiche. ► Chiesa di Sant'Eusebio, Pavia: costruita come cattedrale ariana, essa divenne fulcro della conversione dei Longobardi al cattolicesimo. Dell'antica costruzione restano alcuni capitelli della cripta, i quali mostrano un deciso scarto rispetto alla tradizione antica, proponendo una nuova tipologia, basata ancora una volta su modelli desunti dall'oreficeria. I capitelli presentano forme senza precedenti e suggeriscono una decorazione originale con grosse pietre colorate o paste vitree. Uno di essi, diviso in un reticolo di campi chiusi triangolari, ricorda da vicino lo schema delle fibule alveolate, mentre un altro, la cui articolazione viene assimilata naturalisticamente ad ampie foglie d'acqua, sembra ispirata alle cosiddette fibule a cicala, un modello orientale diffuso in tutta l'oreficeria barbarica europea. Tra la fine del VII e l'inizio dell'VIII secolo si assiste a un'interessante evoluzione dell'arte longobarda. La presenza di riferimenti a diverse espressioni artistiche dell'area mediterranea sembra attestare una svolta negli orientamenti culturali e commerciali longobardi: si sviluppano nuovi interessi verso la civiltà classica, con il moltiplicarsi vivace e un po' contraddittorio di disparati modelli figurativi, l'elaborazione di interessanti procedure operative e tecniche. Il punto culminante di questa apertura culturale, il cui riflesso si coglie in una produzione artistica di notevole qualità, viene toccato durante il regno di Liutprando (712-744), ed è particolarmente ben documentato dai monumenti motivi dell'arte classica e si affermano modelli iconografici palestinesi, e per questo il panorama della produzione artistica romana del VII e VIII secolo presenta caratteri molto eterogenei, quando non contraddittori. Uno scambio interessante di esperienze figurative bizantine e romane è testimoniato dal gruppo di icone tuttora conservate in alcune chiese. Spesso direttamente collegate a feste particolari, come la dedicazione o la consacrazione della chiesa, le icone romane trovano un vasto seguito popolare in processioni, feste, devozioni specifiche registrate dalle antiche cronache: il culto di cui sono fatte oggetto è una decisa affermazione contro le dottrine iconoclaste. L'incoronazione di Carlo Magno da parte di papa Leone III, nella notte di Natale dell'800, sancisce simbolicamente il decadere dell'influsso di Bisanzio su Roma e, nella produzione artistica, il deciso ritorno alla tradizione paleocristiana e tardo-antica. Il IX secolo vede prepotentemente il ritorno allo schema spaziale delle basiliche paleocristiane. La tecnica musiva era stata abbandonata da circa un secolo: gli ultimi esempi mostravano uno scandimento anche materiale attraverso l'uso di semplici sassolini colorati. Il rilancio del mosaico nell'età di Pasquale I (817-824) propone, invece, il ritorno a un gusto ricco e raffinato del colore, con accostamenti nuovi ed efficaci La questione delle immagini tra iconoclastia e libri carolini Nel 730un editto imperiale vieta la rappresentazione delle divinità sotto sembianze umane e impone la distruzione di tutte le immagini di questo genere esistenti. Ha così inizio, nei territori dell'Impero d'Oriente, un lungo periodo di contrasti che coinvolge ampiamente la popolazione. La situazione si ribalta nel 787, quando l'imperatrice Irene convoca il secondo concilio di Nicea per far condannare le dottrine degli iconoclasti. Tuttavia, i contrasti non si spengono e, nell'815, Leone V l'Armeno restaura l'iconoclastia. L'ortodossia viene lentamente ristabilita dopo l'843 e con un nuovo concilio convocato dall'imperatrice Teodora si abroga definitivamente la condanna alle immagini. Le cause dell'iconoclastia furono molteplici – religiose, politiche, sociali, economiche – e interagenti. Tra la fine del VI e il VII secolo, il culto popolare delle immagini – soprattutto di certe icone ritenute miracolose – tende a sfuggire a qualsiasi controllo, assumendo forme che apparivano intollerabili negli ambienti più rigorosi. La condanna del culto delle immagini si fonda su fatto che l'adorazione delle icone viene deviata dal suo unico fine (la divinità) e sull'inevitabile inadeguatezza dell'immagine stessa a rappresentare Dio, la Vergine o i santi. Meno chiaramente espresso, ma molto più inquietante, è il timore che le immagini possano attirare l'attenzione e l'ammirazione degli spettatori per la loro bellezza, per la qualità del disegno e lo splendore dei colori, e che finiscano per agire autonomamente, come qualcosa di vivo, ponendosi tra il fedele e la divinità, coinvolgendo nell'adorazione i sensi e trasformandolo in atto carnale. Gli Atti del secondo concilio di Nicea stabiliscono che la structura dell'immagine (iconografia) ricada sotto il controllo della Chiesa, sul fondamento della tradizione risalente ai santi Padri, e non riguardi minimamente l'invenzione del pittore. Al pittore spetta unicamente la tecnica e l'esecuzione. Il principio della rigorosa fedeltà al modello, restringendo l'ambito delle scelte, tende a bloccare qualsiasi evoluzione anche sul piano stilistico. Le immagini non vanno adorate, ma usate come segni; tuttavia, esse hanno la capacità di far commuovere e guidare all'invisibile attraverso il visibile. Una copia degli Atti fu inviata a Carlo Magno; essi vennero studiati dai teologi di corte e da essi presero origine i Libri Carolini, un documento politico e un'affermazione di indipendenza, anche sul piano dottrinale, rispetto sia al pontefice sia all'imperatore d'Oriente. In considerazione della loro funzione, le immagini create dagli artisti devono essere eminentemente narrative e icastiche, rifuggendo da qualsiasi evasione nel fantastico, ma anche da un accentuato simbolismo. CAP. 3: LA RENOVATIO DELL'IMPERO 1. Rinascenza carolingia Tra l'VIII e il IX secolo, la dinastia carolingia unificò quasi tutto il mondo occidentale cristiano in un'impero di grandissima importanza storica. La renovatio, cioè la generale rinascita politica e culturale, è lo strumento usato da Carlo Magno e dai suoi successori per dare forma unitaria e il più possibile omogenea a un insieme di aree geograficamente ed etnicamente diverse. Il modello strutturale e ideologico è quello dell'Impero romano cristianizzato da Costantino. Quindi, l'alleanza con la Chiesa è decisiva, non solo perchè costituisce lo strumento principale per attuare le riforme amministrative e istituzionali e per diffonderle capillarmente, ma anche perchè a essa è affidata la conservazione della cultura antica. La dinastia carolingia lega a sè, politicamente e culturalmente, l'ordine benedettino, favorendo l'autorità e l'attività delle grandi abbazie, e chiama a corte i chierici più colti. Ai modelli romani, grazie ad Alcuino e all'ambiente ecclesiastico, si accosta la tradizione irlandese e anglosassone, frutto della prima rinascita umanistica dell'Alto Medioevo. Elementi derivano dai modelli dell'Oriente mediterraneo, giunti direttamente o mediati dall'Italia, dove non era mai venuto meno il rapporto con la cultura classica ed ellenistica. Altri elementi ancora derivano dalla cultura longobarda, vinta ma anche assimilata, o da quella del mondo arabo persiano. Il principale successo della renovatio carolingia consiste proprio nella grandissima qualità dei risultati culturali e artistici raggiunti attraverso tale sintesi. L'architettura è il campo privilegiato del mecenatismo dei sovrani. Le ingenti risorse economiche concentrate nelle mani dell'imperatore permettono la fondazione di fabbriche grandiose, di dimensioni che non si vedevano dalla fine del mondo antico. Gli edifici antichi più spesso presi a modello sono quelli della Roma costantiniana, proprio per rendere esplicita, attraverso le immagini, la politica imperiale. ► Cappella palatina del Palazzo di Aquisgrana: chiamato spesso dai contemporanei il Laterano, il Palazzo di Aquisgrana doveva evocare la residenza papale romana. L'abbinamento tra il palazzo e la chiesa, la grande aula absidata, ornata di mosaici, simile al triclinio lateranense, la statua equestre di Teodorico portata da Ravenna sono motivi desunti dall'archetipo a connotare l'edificio come dimora del nuovo Costantino. È tuttora conservata la cappella palatina, a pianta centrale, di forma poligonale e coperta a cupola. L'ingresso, preceduto da un quadriportico, forma un corpo sporgente rinserrato tra due torri scalari e scavato esternamente da un nicchione che inquadra una tribuna al di sopra del portale. Qui l'imperatore si presentava ai sudditi per l'acclamazione; in corrispondenza della tribuna, all'interno era collocato il trono. La struttura della chiesa deriva da modelli tardoantichi, come San Lorenzo a Milano o San Vitale a Ravenna, e orientali: lo spazio centrale ottagonale è delimitato da pilastri cruciformi, che sorreggono la cupola, e circondato da un deambulatorio a due piani. Le grandi aperture della galleria sono articolate da due ordini di colonne corinzie (quelle dell'ordine inferiore con pulvini) che scandiscono lo spazio in un ritmo rotatorio e ascensionale risolto nella grande cupola. L'interno è arricchito da marmi colorati che Carlo Magno aveva fatto portare da Roma a Ravenna, mentre un grande mosaico raffigurante Cristo in trono, in vesti purpuree e circondato dai Vegliardi dell'Apocalisse, decorava la cupola e manifestava l'analogia, già utilizzata anche alla corte costantinopolitana, tra il Salvatore e l'imperatore, sua figura in terra. Ispirate all'antico sono anche le porte e le transenne bronzee dove si coglie una diversa sensibilità, che tende a ridurre a elementi lineari i motivi plastici degli acanti e dei girali vegetali e a sopraffare con il gusto dell'intreccio la chiara sintassi geometrica e il tracciato simmetrico dei modelli. ► Porta trionfale dell'abbazia di Lorsch, 760-790: la Torhalle, la porta, si riferisce all'Arco di Costantino. Essa, nonostante le piccole dimensioni, ha carattere monumentale: nella parte inferiore si apre una loggia a tre fornici mentre al piano superiore vi è un'aula che serviva all'imperatore come sala del trono e spazio per le complesse cerimonie della liturgia imperiale. Le due facciate sono decorate da semicolonne accostate ai pilastri degli archi, con capitelli compositi e, al di sopra della fascia marcapiano, da paraste ioniche scanalate che reggono una cornice piegata ad angolo. Un paramento di pietre rosse e bianche disposte a comporre motivi geometrici copre le murature. La sala interna è ugualmente affrescata con un finto partito architettonico simile a quello esterno. Le membrature architettoniche appaiono astratte dal loro originario significato strutturale e si compongono in una superficie decorata, applicata alla massa muraria. Nella progettazione dei grandi complessi monastici, i costruttori carolingi rispondevano con soluzioni originali alle necessità funzionali che il nuovo ruolo delle abbazie all'interno della compagine statale comportava. ► Abbazia di San Gallo, 816-830: la chiesa, cardine di tutto il complesso monastico, ha una struttura a doppia abside, a volte adottata anche in epoca paleocristiana, e qui giustificata da esigenze liturgiche legate al culto delle reliquie. Tutt'intorno si dispongono secondo una griglia regolare gli edifici: a sud, per la migliore esposizione, le celle dei monaci disposte, con il refettorio, intorno al chiostro; a nord, l'abitazione dell'abate e la scuola e nel restante spazio le foresterie per i pellegrini, l'infermeria, il cimitero e tutte le masserie. Queste piccole città monastiche amministravano spesso territori e patrimoni immensi, essendo uno dei sostegni economici e militari dell'Impero. L'invenzione che meglio rappresenta l'architettura carolingia è il Westwerk, un edificio a più piani aggiunto all'ingresso della chiesa. ► Westwerk dell'abbazia di Corvey, 873-885: a pianta quadrata, comprende a piano terreno un basso atrio a volte sorretto da colonne e una zona di passaggio che lo raccordava alla navata della chiesa. I due piani superiori sono occupati al centro da una grande sala che li comprende entrambi in altezza, circondata da gallerie aperte sullo spazio interno. La massa muraria, esibita in tutto il suo splendore e sottolineata dalle ridottissime membrature architettoniche che segnano l'imposta degli archi, conferisce all'esterno l'aspetto di un bastione difensivo. La continuità della cortina muraria, delimitata dalle torri angolari e articolata da un corpo centrale aggettante, in corrispondenza del portale, è anche qui forata da finestre che lasciano trasparire il ritmo triadico delle logge interne. Nel Westwerk, completamente decorato da affreschi, avevano luogo la liturgia del Salvatore e le cerimonie che coinvolgevano l'imperatore. Al centro della grande sala vi era il trono, mentre nelle tribune trovavano posto i cori che intonavano gli inni sacri. Vi si conservavano anche le reliquie dei santi e dei martiri, quelle stesse che dovevano rendere la chiesa-fortezza inespugnabile sia al demonio che ai nemici della fede e dell'Impero. Il trattamento esterno del Westwerk imposta per la prima volta un problema tipico dell'architettura occidentale: la facciata monumentale come elemento insieme autonomo e coerente con il resto dell'edificio. La pittura monumentale legata alla committenza imperiale o comunque vicina al gusto della corte è andata perduta quasi totalmente. ► Affreschi della cripta di Saint-Germain-d'Auxerre, 841-857: lo spazio della cripta è esaltato da un'intelaiatura di finti elementi architettonici, classicheggianti e riccamente decorati, entro cui sono inquadrati gli episodi narrativi. L'attenzione del pittore si concentra sulla dinamica, a volte violenta, della scena, mirando all'esatta definizione del movimento dei personaggi, dei loro gesti e della loro mimica facciale. Nella Lapidazione di santo Stefano, lo sfondo è indeterminato ed elementi diversi, la città e i personaggi, sono avvicinati nonostante appaiano incongruenti tanto per dimensione quanto per il punto di vista. L'area geografica che conserva le più cospique testimonianze della pittura carolingia è la parte centro-orientale dell'arco alpino. di esempi simili e per l'incompletezza del materiale archeologico, è stata fissata intorno al secondo quarto del IX secolo. La chiesa doveva avere un aspetto sontuoso poichè, oltre ad essere tutta intonacata e decorata di affreschi, aveva un ricco pavimento di intarsi marmorei simile a quello usato nelle basiliche milanesi fin dal IV secolo. Sulle pareti dell'abside principale si dispiega uno dei più importanti cicli di affreschi dell'Alto Medioevo. La narrazione degli episodi dell'infanzia di Cristo si svolge su due registri, in riquadri separati da sottili bande. Dall'alto a sinistra dell'abside troviamo: l'Annunciazione, la Visitazione, la Prova delle acque amare, il Sogno di Giuseppe, l'Andata a Betlemme. Nell'ordine inferiore partendo da destra si susseguono l'Adorazione dei Magi, la Natività con l'Annuncio ai pastori, la Presentazione al tempio e altre tre scene quasi completamente perdute e di difficile interpretazione. Sulla controfacciata dell'arco trionfale vi sono due angeli in volo con in mano lo scettro e il globo che adorano un cerchio di luce, l'Etimasia (il trono su cui poggiano croce e corona, simboli della regalità cristologica). Sopra le finestre vi sono tre tondi di cui è rimasto integro quello centrale con l'icona di Cristo benedicente. Al di sotto di questi due registri figurati, delimitati in basso da una fascia dorata a ghirlande, corre uno zoccolo decorato a finte nicchie, chiuse da velari, da cui spuntano uccellini. Nel vano centrale, privo di tenda, è collocato un trono con al di sopra un libro chiuso. Le scene rappresentate provengono sia dai vangeli canonici che da quelli apocrifi, per illustrare con estrema completezza il dogma dell'incarnazione. Alcuni episodi, derivati dagli apocrifi, sono abbastanza inconsueti, come la Prova delle acque amare, con la quale la Vergine testimonia nel tempio l'innocenza del concepimento che in lei è avvenuto. La doppia natura di Cristo e la sua missione sono sottolineate dagli elementi simbolici che intercalano la narrazione interrompendola nei punti salienti dello spazio architettonico reale; sull'asse centrale dell'abside l'icona del Salvatore, il suo volto e la sua parola, il libro chiuso sul trono; al di sopra dell'arco trionfale la sua regalità e il suo operato salvifico, l'etimasia con la corona e la croce. Dal punto di vista stilistico e compositivo gli affreschi hanno una qualità eccezionale. Il Maestro di Castelseprio evita accuratamente di farsi condizionare, nella distribuzione delle scene, dalla struttura architettonica dell'ambiente, imponendo il proprio spazio figurativo. I personaggi e gli oggetti, definiti da una linea nera di contorno altamente espressiva che ne sintetizza la consistenza plastica. I gesti, le espressioni, le pose spesso scorciate esprimono con rara efficacia il contenuto drammatico della scena. Il movimento delle figure, che allude all'ininterrotto svolgersi della narrazione, è sottolineato dalle ombre guizzanti e da pastose lumeggiature. La tecnica pittorica alterna sapientemente rapide e precise pennellate ad ampie velature successive dei pochissimi toni cromatici principali, non più di quattro o cinque, per ottenere un effetto atmosferico di soffusa luminosità. La datazione e la decifrazione dei tratti stilistici del ciclo hanno sollevato un grande dibattito tra gli storici. Sappiamo che i dipinti sono sicuramente anteriori al 948 grazie ad un'iscrizione che cita Arderico, arcivescovo di Milano fino a quella data; inoltre, il Maestro di Castelseprio ha indubbiamente una formazione orientale costantinopolitana. Vi sono comunque varie ipotesi. Una prima ipotesi colloca gli affreschi tra VII e VIII secolo, in un momento anteriore all'iconoclastia, quando le officine di palazzo praticavano uno stile fortemente antichizzante. Una seconda ipotesi sposta radicalmente in avanti la cronologia ponendoli in corrispondenza della rinascenza macedone, in un momento in cui la cultura della capitale è percorsa da un grande fervore classicista. Queste ipotesi, però, non spiegano la presenza di elementi iconografici occidentali, riscontrabili anche nella tradizione carolingia, come il modo di rappresentare il nimbo cruciforme, alcuni particolari delle vesti degli angeli, una certa somiglianza, nella scioltezza del segno, con il Salterio di Utrecht. Tutti questi dati orientano verso una datazione tra l'VIII e il IX secolo. Il gusto neoellenistico nella naturalezza del movimento e nell'espressione dei volti è ben vivo nella capitale durante l'VIII secolo, per la diaspora di molti artisti messi in fuga dalla tempesta iconoclastica si diffonde nell'Italia settentrionale. L'icona inserita nel clipeo, elemento tipico del Medioevo bizantino, ci fa capire però che a Santa Maria Foris Portas siamo già all'esaurimento di questa fase e alle soglie di un nuovo periodo dell'arte costantinopolitana, detto stile dell'icona. All'inizio del IX secolo era molto viva a Milano la polemica contro gli ariani che non accettavano il dogma dell'incarnazione e della natura di Cristo nella formulazione romana. Fu sicuramente il committente a volere espressa la sua posizione antiariana così chiaramente. L'altare di Sant'Ambrogio L'altare aureo è il fulcro della ristrutturazione promossa dal vescovo Angilberto II (824-860) compie nella chiesa. L'antica basilica, con il suo patrimonio di reliquie, è il luogo in cui si manifesta il programma politico e religioso che guida la riorganizzazione della città e del territorio da parte del vescovo, rappresentante del potere carolingio. Alla fabbrica del IV-V secolo viene aggiunta una grande abside centrale preceduta da un ambiente voltato a botte, adatto allo svolgersi delle funzioni liturgiche. Altre due absidi più piccole sono edificate in corrispondenza delle navate minori. Il catino dell'abside maggiore è decorato da un grande mosaico rappresentante il Redentore in trono tra i martiri milanesi Protasio e Gervasio, e con ai lati gli arcangeli Michele e Gabriele. Inoltre, sono raffigurati due episodi della vita di Sant'Ambrogio: il santo si addormenta a Milano mentre dice messa (destra) e viene trasportato dagli angeli a Tours per celebrare i funerali di San Martino (sinistra). Il ciborio paleocristiano viene completato da quattro fastigi timpanati che originariamene dovevano essere affrescati e decorati da stoffe o altri paramenti, prima di ricevere il rivestimento in stucco del X secolo. Alla fine del X secolo, nel grande vano voltato a botte antistante l'abside, furono ricoperte di stucco le colonne e decorate con foglie di acanto e fogliami le ghiere degli archi. All'imposta della volta furono collocati i simboli degli evangelisti. Le quattro facce del ciborio a loro volta furono arricchite di grandiose figurazioni a rilievo su di un fondo decorato di fasce colorate sovrapposte, ora perduto. Il lato verso la navata accolse la Traditio Legis, cioè Cristo che consegna le chiavi a San Pietro e il libro a San Paolo; quello verso il clero sant'Ambrogio chiamato dall'angelo tra i martiri Gervasio e Protasio adorato da due religiosi; sui fianchi la Vergine adorata da due figure femminili e un santo adorato da due figure maschili. Il programma iconografico sottolinea l'origine divina dell'autorità episcopale e in particolare quella di Ambrogio. Si tratta di una precisa dichiarazione di autonomia nei confronti del potere imperiale che, troppo spesso, tendeva a prevaricare sull'autorità dei vescovi. Le grandi figure che, con ampi e nobili gesti, assecondano facilmente lo spazio triangolare dei timpani, rammentano la produzione miniatoria e plastica di un artista lombardo come il Maestro del Registrum Gregorii (vedi più avanti), nonchè la produzione degli scrittorii milanesi contemporanei. Sotto al ciborio è collocato l'Altare d'oro, segno della presenza delle reliquie del santo e quelle di Gervasio e Protasio, portate lì in quegli anni. L'altare ha la forma di una grande cassa, quasi un sarcofago antico. Non fu progettato al fine di contenere i resti dei santi; il vero sarcofago stava al di sotto dell'altare e si poteva vedere da una finestrella sul retro. La faccia anteriore, rivolta verso i fedeli, è divisa in tre parti. In quella centrale è inscritta una grande croce con al centro il Pantocratore in trono e nei quattro bracci i simboli degli evangelisti; negli spazi angolari i dodici apostoli si raggruppano a tre a tre per adorare la teofania. I due pannelli laterali sono divisi ciascuno in sei riquadri, che contengono storie di Cristo e si leggono dal basso verso l'alto e dall'esterno verso l'interno, prima sul lato sinistro e poi su quello destro. In questo modo lo sgruardo e la mente dell'osservatore vengono sempre ricondotti verso il centro dell'altare e della dottrina salvifica. Nel pannello sinistro sono raffigurati: l'Annunciazione, l'Adorazione dei pastori, la Presentazione al tempio, le Nozze di Cana, la Guarigione del figlio di Giaro (?), la Trasfigurazione. Nel pannello destro la Cacciata dei mercanti, la Guarigione del cieco, la Crocifissione, la Pentecoste, la Resurrezione e l'Incredulità di san Tommaso. La faccia posteriore rivolta verso l'abside della basilica, riprende la stessa tripartizione della fronte; lo spazio centrale è però occupato dagli sportelli che chiudono la finestrella della confessio. I quattro tondi che li decorano raffigurano gli arcangeli Michele e Gabriele e due scene di omaggio; Ambrogio incorona Angilberto che gli presenta l'altare e Ambrogio incorona Vuolvino, Magister phaber, che lo venera. I pannelli laterali esapartiti contengono le storie di sant'Ambrogio e questa volta si leggono, sempre partendo dal basso, da sinistra a destra in sequenza continua per tutta l'ampiezza dell'altare. Gli episodi sono: il Miracolo delle api, Ambrogio parte per governare l'Emilia e la Liguria, Ambrogio viene richiamato a Milano dalla voce di Dio, l'Ordinazione a vescovo, Funerali di San Martino, la Conversione di un ariano, Ambrogio che pesta il piede malato di Nicezio e lo guarisce, Cristo visita il santo malato, un Angelo annunzia la morte di Ambrogio al vescovo di Vercelli Onorato, infine la Morte del santo. La lunga iscrizione corre lungo le incorniciature di questa parte dell'altare; chi la legge viene avvertito di non farsi abbagliare dalle gemme e dall'oro, ma di ammirare il vero splendore che è quello, nascosto, delle sante reliquie. Ciò nonostante il vescovo Angilberto, nella seconda parte dell'iscrizione, chiede perentoriamente al patrono di guardare un dono così ricco e di ricambiarlo con la propria protezione. I lati dell'altare sono spartiti da un'intelaiatura geometrica e contengono al centro una grande croce gemmata circondata da angeli adoranti e immagini di santi entro clipei o prosternati davanti alla croce. Una grande quantità di gemme, alcune aggiunte in momenti successivi, e di placchette di smalto policromo cloisonné adornano tutta l'opera. I maestri delle storie cristologiche hanno attinto a diverse fonti: il modo di organizzare le scene, spesso impiegando complessi partiti architettonici, rimanda a modelli tardoantichi, quelli stessi che servivano alla formazione del nuovo stile narrativo carolingio. Al Salterio di Utrecht vanno avvicinati gli elementi paesistici, con le città viste a volo d'uccello, e la concitazione mimica delle figure. Come nello stile di Reims i molti particolari del racconto, il vivace movimento dei personaggi non distruggono la coerenza unitaria e la sapiente organizzazione spaziale della scena. Si nota anche una conoscenza della miniatura costantinopolitana del IX secolo. La compresenza di tutte queste componenti induce a credere che gli artisti delle storie cristologiche siano lombardi o comunque attivi in Lombardia. Molto diverso è lo stile della parte spettante a Vuolvino. La sua rappresentazione in parallelo al vescovo è del tutto eccezionale nella prassi artistica di questi secoli e si giustifica solo con la dignità monastica che egli sicuramente ricopriva e con la straordinaria importanza politica, religiosa e ideologica del ciclo. In esso si sottolinea, infatti, l'elezione divina di Ambrogio e di consegguenza della chiesa milanese di cui egli era l'apostolo. Vi è però anche una forte polemica antiariana. Sceglie un linguaggio figurativo austero ed essenziale, una gravitas del tutto particolare nella composizione delle figure, quasi sempre colte in gesti significativi ma lenti e trattenuti. I personaggi delle scene sono quelli indispensabili al racconto ma, in compenso, affermano con decisione la propria presenza plastica contro lo sfondo neutro e i loro corpi ben costruiti risaltano in un panneggio netto e fasciante. Il ritmo narrativo non si frammente nei limiti di ogni formella ma, attraverso una serie di corrispondenze e simmetrie, fluisce di scena in scena come uno spendente e avvincente racconto. 2. Rinascenza ottoniana Il lasso di tempo che intercorre tra il declino della dinastia carolingia, dopo la spartizione dell'Impero nell'853, e la svolta dell'anno Mille, è classificato come periodo di crisi, travagliato da nuove invasioni barbariche e, inoltre, il potere politico diviso da conflitti interni. Le grandi famiglie di stirpe imperiale si combattono per raccogliere i resti del dominio carolingio, quelle dell'aristocrazia romana per il controllo del seggio papale. Tutto questo sullo sfondo di ricorrenti e terribili carestie. Nel X secolo fonda le sue radici la generale ripresa dell'XI e XII secolo. Quando l'estesissima ma precaria compagine imperiale si frantuma, emerge una fitta rete di poteri locali che, pur tra contese e violenze, riorganizzano il territorio loro sottomesso radicandovisi. Allora inizia a consolidarsi il rappresentati in ampie e variate composizioni. I panneggi delle vesti si piegano in avvolgimenti delicati, mentre gli atteggiamenti dei personaggi e i loro movimenti sono sintetizzati in un contorno teso ed espressivo. Pur tenendo conto degli incauti restauri che hanno appiattito il modellato delle figure e hanno impoverito i trapassi cromatici degli sfondi, va osservato che la definizione lineare delle figure tende a prevalere sulla loro resa plastica e che l'impaginazione spaziale delle scene diviene più indefinita: i fondali architettonici si frammentano subordinandosi al ritmo narrativo mentre il paesaggio diviene pura sovrapposizione di fasce di colori diversi. ► Miniature del Registrum Gregorii , 983: l'anonimo Maestro del Registrum Gregorii era un artista colto che conosceva il greco, praticava diverse forme di scrittura e possedeva un vastissimo patrimonio figurativo. Le due miniature raffigurano Ottone II in trono circondato dalle Province dell'Impero e San Gregorio ispirato dalla colomba mentre detta alllo scriba. La prima immagine reinterpreta un'iconografia carolingia ma con un equilibrio di gusto classico. L'assoluta centralità dell'imperatore e il tono cerimoniale della composizione sono ottenuti mediante la salda intelaiatura geometrica (un sistema di cerchi concentrici regola il disporsi degli oggetti intorno all'imperatore) e un rigoroso proporzionamento dei pieni e dei vuoi. Nella seconda miniatura ancora più coerente è l'intelaiatura spaziale. L'architettura incornicia con assoluta naturalezza i personaggi e la posizione dello scriba dietro la tenda, separato dal santo ma insieme partecipe all'episodio, non fraziona la composizione. In entrambe le scene la gamma cromatica studiatissima e l'uso di delicate lumeggiature conferiscono un forte risalto plastico ai personaggi. ► Vangeli di Ottone III, fine X secolo: la rappresentazione dell'imperatore deriva dal modello del Registrum Gregorii, ma il linguaggio figurativo è molto diverso. L'unità della scena si divide in due momenti narrativi da leggere in sequenza; di conseguenza si trasformano radicalmente i rapporti spaziali dell'immagine. La limpida architettura classica diviene una paradossale tettoia sorretta da due sole colonne, dai cui capitelli corinzi spuntano, tra gli acanti classici, piccole teste umane. All'aulica compostezza della scena subentra l'incedere reverente delle Province o la mimica pungente dei dignitari ecclesiastici e laici. I plastici volumi del maestro italiano sono spezzati da lumeggiature e da insistiti grafismi cui non è estranea la conoscenza della coeva miniatura bizantina. Nella miniatura dell'Evangelista Luca al santo seduto in cattedra nell'atto di scrivere entro una cornice architettonica, si sostituisce un'apparizione visionaria: l'evangelista, entro una mandorla di luce, si staglia contro l'oro abbagliante del fondo. Intorno a lui, cerbiatti (simboli dei credenti) si abbeverano al suo verbo, mentre egli regge una rappresentazione dell'epifania divina che contempla con sguardo estatico: entro ruote di fuoco e raggi di luce gli appare Dio nella gloria dei suoi angeli e dei suoi profeti insieme all'immagine apocalittica del tetramorfo. In questa miniatura è già presente la tendenza a tradurre l'immaginario religioso in forme simboliche, fondendo un elemento storico come l'evangelista, con una rappresentazione astratta e allegorica. La stupenda iniziale del foglio accanto, impaginata con classica chiarezza, è invasa da un fantastico rigoglio ornamentale, che unisce motivi a intreccio di antica origine insulare con elementi zoomorfi derivati da stoffe orientali. ► Scena del Drago che minaccia la Donna vestita di Sole nel libro dell' Apocalisse per Enrico II: nella scena non solo ogni elemento spaziale è ridotto a segno grafico, ma la sintassi compositiva è del tutto estranea allo schema classico: la superficie diviene un piano da decorare con grandissima libertà ma secondo una sottile corrispondenza di traiettorie oblique e di linee curve. L'intensa espressività del volto e dei gesti della Donna non è diminuita dall'assenza di modellazione plastica, mentre grande rilevanza acquista il geometrismo ornamentale della corona di stelle o delle squame del drago. ► Scena della Badessa Hilda offre il libro a santa Valpurga , inizio XI secolo: qui si ritrova, seppur tradotto in uno stile compendario, l'illusionismo ellenizzante ereditato dall'epoca carolingia e rivitalizzato da recenti apporti bizantini. I tetti del monastero coloniense spuntano dietro lo spazio centrale dove avviene il sacro colloquio, e il pittore non rinuncia a notazioni naturalistiche nella configurazione del terreno o nei tessuti delle vesti. Il prestigio dell'arte costantinopolitana rimarrà, per tutto l'XI secolo e oltre, molto forte in area tedesca quale modello insuperato di ars sacra. ► Scena di Enrico II e la moglie Agnese offrono il libro alla Vergine nel Codice aureo di Spira, 1045-1046: la scena rappresenta Enrico II e la moglie che offrono il libro alla Vergine assista entro le arcate della grande cattedrale. Non solo sono orientali la ieratica posa della Vergine, l'atteggiamento rituale dei donatori, il motivo dei clipei con figure di santi inseriti nella cornice, ma il pittorie orientale ha eseguito il volto della Vergine, che infatti contrasta con quelli molto più sintetici e terrenamente emotivi dei committenti. Durante le invasioni danesi del IX secolo, buona parte delle abbazie benedettine inglesi con il loro ricco patrimonio librario era andata distrutta, e interrotta bruscamente l'attività degli scriptoria. Quando, nella seconda metà del X secolo, in un momento di generale ripresa del paese, l'arcivescovo di Canterbury e quello di Winchester promossero la rifondazione e la riforma dell'ordine benedettino, si dovettero cercare artisti e modelli librari sul continente, in case monastiche dove la produzione culturale non era venuta meno. Quindi, risulta molto forte l'influsso della tarda arte carolingia nei monasteri inglesi; il Salterio di Utrecht giunge a Canterbury verso la fine del X secolo, dove viene copiato, contribuendo a produrre un nuovo stile molto caratteristico. ► Crocifissione , Salterio di Winchester, ante 992: le figure si stagliano su di un fondo che, nonostante le leggerissime velature all'acquerello, esibisce la sua natura di supporto pergamenaceo. Non è solo venuto meno ogni tentativo di definizione tridimensionale dello spazio, ma la stessa relazione tra la monumentalità della croce da una parte e la fragilità della Vergine e di San Giovanni dall'altra è di tipo gerarchico e dottrinale. La linea di contorno, la cui pregnanza è aumentata dall'uso di inchiostri di diverso colore, è ancor più tesa e fremente che nei modelli continentali. Il miniatore inglese si concentra sulla dinamica emotiva, sul contrasto altamente espressivo tra la grazia composta del Salvatore e il tormanetato grafismo degli astanti, quasi accartocciati per il dolore. ► Statuto di New Minster, scena di Re Edgardo, tra la Vergine e San Pietro, offre il volume a Cristo in gloria , 966 ca.: i modelli carolingi di nuovo offrono elementi iconografici (la mandorla), stilistici (il linearismo dei contorni e delle lumeggiature) e decorativi (il bordo di acanti). I fantastici intrecci vegetali sono animati, grazie all'antica tradizione ornamentale insulare, da una nuova e travolgente vitalità, unita a una forte evidenza plastica. Vastissima è la produzione di oreficerie di oggetti liturgici e di culto durante i secoli X e XI. Sempre predominante resta la committenza dei sovrani. Il mecenatismo degli Ottoni è talora eguagliato da quello dei grandi arcivescovi-feudatari, mentre importanti commissioni artistiche forniscono anche i conventi che, posti sulle vie di pellegrinaggio e possessori di importanti reliquie, stimolano la generosità delle masse di fedeli. ► Antependium di Basilea, ante 1024: donato da Enrico II e Cunegonda a un'importante fondazione benedettina. Entro le arcate di una loggia di limpida architettura, sono rappresentate le figure di Cristo Rex regum et Dominus Dominantium, come recita la scritta sulla ghiera dell'arco, adorato dai sovrani inchinati, di tre arcangeli e di San Benedetto. I corpi emergono con forte risalto dalla superficie del fondo, fasciati da pieghe ampie ma superficiali che non incrinano la corporeità greve dei personaggi. La compostezza aulica dell'insieme nonché vari elementi decorativi derivano da oreficerie di Bisanzio cui, anche in questo campo, si ispira l'arte imperiale. ► Incredulità di San Tommaso , anta di un dittico, fine X secolo: l'impostazione spaziale è radicalmente anticlassica. Il gesto del Cristo che alza il braccio lasciando scoperta la ferita nel costato o lo slancio dell'apostolo che, sulla punta dei piedi e rivolgendo le spalle all'osservatore, rovescia la testa per arrivare sia materialmente che spiritualmente all'altezza del Salvatore, sono di un realismo del tutto inedito. L'intagliatore mostra di voler sottoporre il naturalismo antico, cui in vario modo si erano ispirati gli avori carolingi, a una serrata critica per trarne solo quanto potesse servire alla propria ricerca di intensità espressiva. Le officine di Colonia sono molto attive anch'esse. ► Croce di Gerone, ante 976: nel corpo quasi deforme e pesantemente abbandonato sulla croce, non rimane nulla della classicità di analoghe opere di età carolingia. La verità plastica delle membra tese nello spasimo e l'intensa e dolorosa espressione del volto mostrano come il Maestro di Echternacht non fosse un artista isolato e come l'eleganza orientale dovesse convivere con tendenze diverse e nuove. La sovranità degli imperatori germanici sull'Italia, stabilita fin dall'incoronazione di Ottone I, fu solo parziale e mai del tutto pacifica. Essa si basava sia sul controllo dei feudatari che su legami diretti con i vescovi e gli abati delle grandi abbazie. Queste regioni si svilupparono molto dopo l'anno Mille. Il dominio su Roma era per i sovrani elemento di enorme importanza simbolica. Sul piano culturale però gli scambi tra l'Impero e la Penisola coinvolgono soprattutto Milano, dove continuano ad essere attive numerose e importanti officine artistiche. ► Secchiello del vescovo Gotofredo, ante 979: il secchiello liturgico è dedicato a Ottone e veniva utilizzato nelle cerimonie imperiali. Entro una serie di arcate siedono la Vergine col Bambino tra due angeli e i quattro evangelisti: la grandiosità e l'aulica compostezza delle figure, che agevolmente si inseriscono nello spazio delle architetture, deriva da modelli tardoantichi e paleocristiani, sarcofagi, avori o pitture, che numerosi si conservano allora a Milano. ► Chiesa di San Vincenzo in Prato, X-XI secolo, Milano: la fabbrica, costruita secondo una schema basilicale tradizionale, ha tre absidi di cui quella centrale adotta il motivo della galleria di archetti ciechi sotto l'imposta del tetto, scanditi da lesene in un tirmo tradico. La progressiva riorganizzazione delle campagne, favorita dalla costante crescita demografica, ha nel sistema delle pievi – piccole chiese e cappelle situate al centro di una porzione di territorio – una rete di punti di forza. Nelle pievi, intorno all'anno Mille, vengono sperimentati alcuni motivi che diventeranno tipici dell'architettura romanica, non senza apporti dell'architettura ottoniana d'oltralpe. La chiesa è spesso affiancata da un battistero, staccato e indipendente, secondo una tipologia derivata da modelli paleocristiani. ► Battistero di San Galliano, 1007: il battistero a pianta quadriloba con pilastri liberi e galleria al piano superiore si ispira al sacello di San Satiro a Milano, trasformandolo in uno spazio molto più monumentale, serrato da potenti masse murarie che ricordano un Westwerk ottoniano. ► Chiesa di Santa Maria Maggiore a Lomello, 1025-1040: si tratta di un edificio a tre navate con un transetto più basso del corpo longitudinale. La continuità della navata cntrale è interrotta da grandi archi trasversali che scandiscono un ritmo discontinuo di campate a due arcate. Il tema funzionale diventa elemento formale nei pilastri che, grazie alle due colonne dell'intradosso e alle lesene che proseguono fino a terra gli archi traversi, assumono struttura cruciforme. Le navatelle laterali sono voltate. L'intera chiesa era decorata da affreschi e da un ricco partito di stucchi di cui restano solo pochi frammenti. All'esterno le murature sono animate da un sistema continuo di piatte lesene e di file di archetti ciechi. ► Abbazia di Pomposa, 1026: alla basilica, che riproduce fedelmente il vecchio modello esarcale, viene aggiunto un atrio che, con il motivo trionfale del triplice arco e con le grandi patere rotonde nei peducci, si rifà alla Porta Aurea di Ravenna. La grandiosità di questo ingresso, che possiamo dell'attività artistica, gli investimenti artistici aumentano considerevolmente, grazie anche alla crescita della produzione agricola e allo sviluppo dei commerci, proprio nei territori dove l'autorità imperiale e regale declina più rapidamente, dalla Normandia alle regioni dell'Europa meridionale. I signori della guerra, ansiosi di acquistarsi la benevolenza di una divinità concepita come signore onnipotente e giudice terribile e l'intercessione dei santi raccolti attorno al suo trono nella corte celeste, continuano a spogliarsi di una consistente parte delle loro ricchezze che vanno ad aumentare i patrimoni di cattedrali e abbazie. Le ricche donazioni si configurano sempre più come il gesto di pietà fondamentale di una società schiacciata dal senso di colpa, che ritiene tuttavia di potersene riscattare attraverso una sorta di omaggio feudale: la grande arte assume sempre più come funzione primaria quella espiatoria. I monasteri vengono investiti della missione collettiva di predisporre, con la preghiera, le funzioni liturgiche e lo splendore delle offerte, il perdono divino, la salvezza dell'umanità e la liberazione dall'angoscia del pericolo sempre più incombente della morte eterna. Riformati, purificati e sciolti da ogni ingerenza del potere temporale, i monasteri devono manifestare anche nella grandiosità degli edifici e attraverso la bellezza e lo splendore della creazione artistica, la gloria dell'Onnipotente e l'immagine radiosa della città celeste. La ricchezza dei tesori che custodiscono deve, a sua volta, testimoniare della devozione dei potenti con le gemme e i materiali che impreziosiscono gli oggetti di uso liturgico e le custodie delle reliquie miracolose dei santi. La rapida fortuna e diffusione della congregazione cluniacense si spiega proprio con la perfetta corrispondenza a tali funzioni. Nel fasto della solennità delle celebrazioni liturgiche, come nella costruzione e decorazione della terza e immensa chiesa abbaziale, che di tali celebrazioni diviene teatro, a Cluny trova piena espressione la tendenza a concepire la magnificenza, la grandiosità e la ricchezza come elementi primari delle offerte rivolte a Dio e dell'esaltazione della sua gloria, secondo un'estetica che accomuna i vertici della gerarchia ecclesiastica a quelli feudali. Nelle nuove forme artistiche che si sviluppano in Europa nel corso dell'XI secolo è però possibile riconoscere anche un'aspirazione profonda a trascendere i limiti dei sensi e dell'intendimento umani, a rendere manifesta, quasi visibile e tangibile, sia pure in forme ancora imperfette, la realtà ultraterrena: passare dal visibile all'invisibile attraverso i simboli – e quindi con un linguaggio accessibile solo a pochi iniziati – ma anche attraverso lo splendore delle materie, la grandiosità e l'armonia delle forme, per giungere come a una prima anticipazione della rivelazione che attende l'umanità risorta alla fine dei tempi. 1. La questione del Romanico Il rinnovamento delle forme artistiche tra la seconda metà dell'XI secolo e i primi decenni del XII secolo investe principalmente l'architettura e la scultura monumentale. Il termine Romanico ha portato in primo piano una delle caratteristiche fondamentali della nuova civiltà figurativa: il riferimento comune, seppur con forme diverse da regione a regione, a modelli e tecniche costruttive dell'antichità romana, con un atteggiamento molto lontano da quello che aveva alimentato le riprese classicistiche, di tono aulico, delle scuole di corte fiorite nei secoli precedenti. Tra gli elementi considerati qualificanti della costruzione romanica vi è una serrata logica strutturale, di cui il motivo fondamentale è stato individuato nella copertura a volte e in particolare a volte a crociera costolanata su pianta quadrata. Formata dall'incrocio di due archi, la volta a crociera scarica il peso della copertura verso i quattro punti di ricaduta degli archi, consentendo di concentrare le controspinte nei contrafforti e di alleggerire la parete che può slanciarsi in altezza e venire traforata dalle aperture dei matronei, dei trifori e delle finestre. Il pilastro, su cui si scariano, gli archi della volta, si articola in semipilastri o semicolonne, mentre il rapporto 1:2 tra campata della navata centrale e campata delle navate laterali genera il sistema alternato dei sostegni. Però né l'impiego di volte a crociera, né la scansione delle navate nella sequenza delle campate rappresentano un'assoluta innovazione dell'architettura romanica. Così come la scanzione delle murature esterne attraverso lesene e sequenze di arcature cieche ha, in realtà, una lunga elaborazione in diverse regioni europee. Invece, gli edifici romanici presentano un'articolazione spaziale particolarmente ricca e complessa, che tende ad annullare l'effetto di assoluta unità ambientale e di continuità direzionale delle costruzioni basilicali. Attraverso il gioco degli elementi strutturali come degli effetti di illuminazione, vengono introdotte cadenze, intervalli che creano sequenze coordinate, imponendo una percezione non immediata, ma fasi successive e distinte, con un accentuarsi della tensione tra unità e molteplicità, tra subordinazione organica delle parti e loro distinzione e relativa autonomia. La stessa tendenza a una potente articolazione si manifesta negli elementi di sostegno e nelle massicce pareti, che appaiono concepite a più strati e svuotate da corridoi e gallerie con finestre e portali fortemente strombati, con lesene addossate, cornicioni, nicchie e sequenze di arcate e arcatelle pensili. Tale concezione della parete, insieme con la grandiosità delle dimensioni e con le particolari tecniche costruttive e di taglio delle pietre, rimanda ancora una volta, direttamente o in forma mediata, alla potente suggestione dell'architettura tardoromana delle province. La complessa articolazione degli spazi e delle masse murarie dà luogo poi, indipendentemente dal tipo di copertura e dallo sviluppo di particolari elementi morfologici, a una varietà di soluzioni che testimonia ancora una volta l'ineguagliabile vivacità inventiva dei costruttori romanici, del loro talento nell'interpretare liberamente e con spirito dinamico ogni modello, con una capacità di assimilazione e di fusione che consente l'innesto dei motivi più disparati senza che venga meno il senso di unità organica dell'insieme. Particolari esigenze di carattere liturgico e funzionale pongono le premesse per lo sviluppo, sia in planimetria che in alzato, della zona presbiteriale. Si ampliano le cripte, che vengono ad assumere l'aspetto di vaste cappelle sotterranee, dove vengono custodite le relique; il presbiterio viene sopraelevato rispetto alle navate; si creano deambulatori absidali con cappelle a raggiera; si aprono portali monumentali alle estremità dei bracci del transetto. In genere cresce la complessità di articolazione delle strutture insieme con l'imponenza monumentale della zona presbiteriale, dominata spesso dalla cupola, impostata sull'incrocio delle navate con il transetto, la cui nervatura appare mascherata esternamente dal tiburio. E all'interno come all'esterno il gioco di sequenze spaziali e dei volumi appare potentemente ritmato e animato dalle cornici e dalle lesene, dalle loggette e dalle file di arcatelle cieche, ma anche dalle sculture dei portali, dei capitelli, delle mensole, dei pontili, delle lastre a rilievo sulle facciate, che assommano al loro valore didattico e decorativo una precisa funzione architettonica di scansione e accentuazione di parti strutturalmente o simbolicamente rilevanti dell'edificio. 2. Le regioni del Romanico europeo Le grandi differenze e varianti che si possono coglire nelle regioni traggono origine tanto dagli elementi di discontinuità dal punto di vista politico e sociale, quanto dal diverso substrato di cultura figurativa e dalla ricchezza o mancanza di contatti, all'esterno con la civiltà bizantina e islamica, all'interno in rapporto alla rete delle vie di pellegrinaggio o al diffondersi delle principali congregazioni monastiche. Nelle terre germaniche, dove l'autorità imperiale conserva a lungo le sue prerogative, risulta molto forte la continuità con la tradizione artistica carolingia e ottoniana; nelle province meridionali, in particolare nella pianura padana e in Toscana, il precoce affermarsi dei comuni, che acquistano rapidamente autonomia amministrativa e politica, pone le premesse per uno sviluppo più dinamico e differenziato. È chiara, quindi, la fisionomia polifonica del Romanico europeo che, nel momento di sua massima espansione, presenta sviluppi paralleli o intrecciati, ma senza che sia possibile tracciare in modo troppo rigido linee di influenza o di derivazione da uno all'altro centro. • Germania e Paesi Bassi Il rapporto di continuità tra l'architettura della prima metà dell'XI secolo e quella dei decenni successivi si coglie facilmente nella ricostruzione della cattedrale di Spira. ► Cattedrale di Spira (Spira II), 1080: fu fondata dall'imperatore Corrado II nel 1061. Già prima della ricostruzione presentava dimensioni monumentali, complessa articolazione della zona presbiteriale (con vasta cripta sotterranea) e scansione dello spazio della navata centrale (coperto con soffitto piano) attraverso l'ordine gigante di semicolonne addossate ai pilastri, su cui s'impostano alti archi trasversali. Nel 1080 Enrico IV ne intraprese la ricostruzione (Spira II) conservando il motivo dominante degli archi ciechi che scandiscono le pareti e coprendo la navata centrale con alte volte a crociera su sei vaste campate di pianta quadrata. La maggiore o minore sporgenza delle semicolonne addossate ai pilastri determina, in rapporto alle volte, il sistema alternato degli elementi portanti. Una galleria continua di arcatelle all'esterno e l'articolazione potente e unitaria delle pareti all'interno creano la perfetta fusione tra le parti più antiche e quelle più recenti dell'edificio. ► Chiesa abbaziale di Santa Maria, XI-XIII secolo, Laach: l'edificio si presenta come un complesso assolutamente unitario nella perfetta scansione metrica dei volumi, con il corpo centrale delle navate racchiuso tra i due corpi contrapposti della zona presbiteriale con il transetto e del Westwerk, dominati da alte torri. La scultura monumentale trovò uno sviluppo limitato in questi territori mentre, proseguendo la tradizione dei laboratori di oreficeria di età carolingia, fu molto intensa e di altissimo livello l'attività degli scultori del metallo, caratterizzata dalla ripresa di modelli bizantini e ottoniani, spesso interpretati con vigoroso senso plastico. I centri principali di quest'attività furono la regione della Mosa, Aquisgrana, Colonia, Hildesheim. • Normandia e Inghilterra L'architettura romanica normanna è strettamente legata all'ascesa di Guglielmo il Conquistatore. Caratteri tipici di questa nuova architettura sono: l'altissima facciata inquadrata tra due torri, la navata con pareti molto sviluppate in altezza e scandite su tre ordini, alternanza di pilastri cilindrici e pilastri con semicolonne addossate, torre quadrata sulla crociera, transetto con corridoi nello spessore della muratura, coro con deambulatorio, soffitto ligneo sulla navata centrale. ► Chiesa di Saint- É tienne, 1066-77, Caen: in facciata le torri, che si elevano sulla prima campata delle navate laterali, sono allineate alla parte centrale e fanno saldamente corpo con essa, con un effetto di accentuata potenza e slancio verticale. All'interno acquistano maggior respiro e forme più imponenti il matroneo e la galleria superiore. La parete si ispessisce ma riceve, nello stesso tempo, un'articolazione più complessa e potente. L'originale soffitto ligneo fu sostituito da volte costolonate esapartite probabilmente prima della metà del XII secolo, mentre la zona del coro e dell'abside fu riedificata all'inizio del XIII secolo. La conquista normanna dell'Inghilterra diede rapidamente avvio alla costruzione di un numero impressionante di grandi chiese abbaziali e cattedrali romaniche, molte delle quali subirono tuttavia vasti rifacimenti e alterazioni nei secoli successivi. • Borgogna ► Chiesa abbaziale di Cluny III, 1088: l'immensa nuova chiesa presenta un vasto nartece, cinque navate, coro con deambulatorio e cappelle a raggiera, doppio transetto e cinque torri; la parete ha una struttura a tre piani nella navata centrale e nel transetto, la copertura e a volte a botte, vi sono pilastri scanalati e cornicioni che collegano armoniosamente le arcate a sesto acuto dell'ordine inferiore. Questa chiesa divenne il modello per molte altre nella regione. Per quanto riguarda la decorazione architettonica, sui due capitelli in origine posti sulle semicolonne di ingresso al deambulatorio sono raffigurati il Peccato dei progenitori e il Sacrificio di Isacco, come allusione alla storia dell'umanità dal peccato alla redenzione (Isacco come figura di Cristo). Un terzo capitello riprende la decorazione del capitello corinzio, mostrando una profonda conoscenza dei modelli antichi; i rimanenti rappresentano atleti, un apicultore, virtù teologali e cardinali, stagioni (Primavera ed Estate), Fiumi del Paradiso e gli otto toni del canto gregoriano. Alcune figure appaiono come distaccate e isolate dal fondo, incluse entro una cornice a forma di del Giudizio finale (1125-30 ca.) di grande interesse iconografico: alla destra di Cristo-giudice avanza una piccola processione guidata dalla Vergine e da san Pietro e composta dall'eremita Dadon, mitico fondatore dell'abbazia, da un abate, un monaco e da Carlo Magno che, in atteggiamento di umile e timoroso pellegrino, reca offerte e doni preziosi. L'imperatore fu effettivamente tra i benefattori dell'abbazia e l'immagine mette in risalto la facoltà dei monaci di intercedere anche nei confronti di personaggi potentissimi. Nel settore infernale, tra le minuziose decorazioni dei tormenti inflitti ai dannati da demoni grotteschi, sono individuabili personaggi ricordati nell'antica Cronaca di Sainte-Foy, come un prepotente e feroce feudatario persecutore dei monaci o un vescovo simoniaco che aveva tentato di impadronirsi di beni dell'abbazia. ► Chiesa di Saint-Gilles-du-Gard, XI-XII secolo: la chiesa del priorato è preceduta da un grandioso portale che riprende lo schema di un arco trionfale, con ricchissima decorazione scultorea nei timpani, negli archivolti, negli architravi, nel fregio e nelle figure inserite dietro il colonnato, come in uno pseudo-portico, con un'articolazione delle strutture che palesa la fortissima suggestione dell'arte romana provinciale. • Spagna settentrionale Stretti rapporti culturali, ma anche politici ed economici, collegano i regni cristiani della Spagna settentrionale con i paesi del meridione della Francia, i quali si intensificarono con la crescente fortuna del pellegrinaggio verso Santiago di Compostella così come da flussi di immigrazione nei territori strappati agli arabi nel corso della reconquista. ► Pantheon de los Reyes, Léon: la volta è decorata con un ciclo di affreschi raffiguranti la Majestas Domini, motivi apocalittici, scene evangeliche dell'Infanzia e della Passione di Cristo e i simboli dei mesi entro medaglioni. Gli archi delle volte poggiano su capitelli – alcuni fogliati e con testine zoomorfe, altri istoriati con paradigmi di salvezza dell'Antico e del Nuovo Testamento – di grande essenzialità e sicurezza compositiva unitamente a forte senso della volumetria e che sono stati accostati a quelli più antichi di Saint-Sernin a Tolosa. La datazione dei capitelli è molto controversa, si pensa siano dell'ultimo decennio dell'XI secolo. ► Santuario di Santiago di Compostella, ricostruito a partire dal 1075 ca.: presenta il tipico schema planimetrico delle grandi chiese di pellegrinaggio francesi, con lunghe e alte navate, matronei, ampio transetto a tre navate e deambulatorio con cinque cappelle absidali. I più antichi capitelli del deambulatorio presentano forti punti di contatto con quelli delle Porte de Comtes in Saint-Sernin a Tolosa, mentre le figure del portale meridionale possono essere accostate a quelle della Porte de Miègeville. ► Capitelli del chiostro nel monastero di Santo Domingo de Silos: sono decorati con motivi vegetali e figure di animali fantastici affrontate con un'esecuzione raffinatissima, che rende con estrema sottigliezza materica le minime variazioni nel gioco delle superfici e dei volumi. Nelle lastre – raffiguranti la Deposizione di Cristo dalla croce e nel sepolcro, l'Ascensione, la Pentecoste, l'Incredulità di san Tommaso – la modellazione energica, nonostante la scarsa profondità del rilievo, conferisce alle immagini una forte animazione ritmica, con una decisa riduzione dei piani spaziali che rivela la suggestione di miniature mozarabiche. • Catalogna Qui lo sviluppo dell'arte romanica manifesta caratteri del tutto particolari, con una fioritura precoce (proto-romanica) di edifici di ridotte dimensioni e che presentano scarsa articolazione delle strutture spaziali – chiese a sala, con copertura a volte a botte e triplice abside, costruite in muratura a piccoli conci, con le pareti esterne scandite da lesene e teorie di arcatelle cieche – si prolunga per tutto il XII secolo e oltre. Grande importanza assume quella pittorica, con cicli di affreschi in cui vengono reinterpretati modelli bizantini con potente essenzialità, in figure dai contorni marcati e di grande intensità espressiva. Accanto agli affreschi, diffusa nella regione è la pittura su tavola. • Penisola italiana La penisola italiana presenta una gran varietà di aspetti, anche all'interno di un'unica regione o tra centri vicini. Ciò è dovuto all'accentuata differenziazione di situazioni politiche e sociali, alla particolare configurazione geografica del territorio e dalla sua posizione intermedia tra Occidente europeo e civiltà del Mediterraneo orientale, alla molteplicità delle iniziative artistiche, a un influsso più diretto delle correnti riformatrici su tali iniziative e alla straordinaria ricchezza e varietà del preesistente tessuto di cultura figurativa. Siamo in un momento di grandi trasformazioni che determinano i presupposti allo sviluppo della produzione artistica. In questo contesto assume particolare importanza il fenomeno della resistenza all'assimilazione di alcuni degli elementi più diffusi e caratterizzanti del nuovo linguaggio architettonico, in favore di una programmatica ripresa di modelli paleocristiani ed esarcali. Arte romanica e vie di pellegrinaggio Per l'uomo medievale il pellegrinaggio è, oltre che un atto penitenziale ed espiatorio, lo strumento più efficace per assicurarsi la benevolenza e la protezione della divinità e dei santi, assumendo, soprattutto nel caso di lunghi viaggi verso lontane regioni, il valore di una fondamentale esperienza, di una sorta di rigenerazione che lasciava un profondo segno su chi la compiva. Tra i pellegrinaggi europei, quello che costituì il fenomeno di più vasta portata nell'XI secolo – e che trova più forti e diretti collegamenti con lo sviluppo e la diffusione dell'arte romanica – è quello a Santiago di Compostella dove, secondo una leggenda, il vescovo Teodomiro, guidato dall'apparizione di una stella, aveva miracolosamente ritrovato, in una deserta e misteriosa zona cimiteriale, la sepoltura dell'apostolo Giacomo. Quest'ultimo, che fu il primo degli apostoli a subire il martirio, secondo una tradizione bizantina risalente al VII secolo si sarebbe spinto verso le regioni d'Occidente per evangelizzare la penisola iberica. La devozione alla tomba di Giacomo trova poi ulteriore slancio, nel contesto della reconquista, con la trasformazione del santo in cavaliere. Lo sviluppo del pellegrinaggio diede slancio all'attività artistica, favorendo inoltre i contatti e i rapporti tra i centri. Però, il fenomeno più interessante di questa circolazione di idee e modelli è costituito dall'imporsi di un particolare tipo di pianta nelle grandi chiese di pellegrinaggio, con sviluppo degli spazi in funzione sia dell'azione liturgica che del movimento delle masse di pellegrini, con eccezionale ampiezza del deambulatorio e del transetto, dotato di navate laterali e di accessi indipendenti dall'esterno, con portali monumentali. Anche le tribune sulle navate laterali acquistano grandissima ampiezza e si affacciano sulla navata maggiore con vaste arcate. Immagini teofaniche nei timpani L'immagine posta nel timpano del portale sottolinea per il fedele il significato simbolico della soglia: il transito dallo spazio della vita quotidiana allo spazio sacrale della chiesa che, nello splendore delle sue forme architettoniche e dei suoi arredi liturgici, si presenta come simulacro della Gerusalemme celeste, luogo per eccellenza della manifestazione e della rivelazione del divino. Quindi, l'immagine ha carattere eminentemente teofanico (di manifestazione del divino) e tende, nello stesso tempo, a farsi veicolo della soverchiante rivelazione della divina onnipotenza, collegata ai temi dell'universalità della redenzione e della seconda venuta di Cristo alla fine dei tempi (parusia) per giudicare tutta l'umanità. ► Timpano con Giudizio Universale nel portale della chiesa di Saint-Pierre a Beaulieu: si caratterizza per un'interpretazione accentuatamente positiva del tema: Cristo-giudice è immagine di gloria e la grande croce disposta asimmetricamente alle sue spalle diviene simbolo di vittoria e di trionfo sulla morte e sulle forze del male, rappresentate in forma metaforica nelle belve e nelle figure mostruose del doppio architrave. Manca qualsiasi riferimento diretto all'inferno o alle pene dei dannati e le sette minuscole figure della zona inferiore rappresentano l'universalità dei popoli redenti dall'incarnazione e dal sacrificio di Cristo. A Conques la rappresentazione sintetica dei timpani punta a recuperare alcuni dei motivi tradizionali, aggiungendone anche altri in rapporto con il carattere di santuario di pellegrinaggio di Sainte-Foy e con le vicende reali o leggendarie legate all'abbazia (vedi chiesa di Sainte-Foy). CAP. 4: ARTE IN ITALIA TRA XI E XII SECOLO 1. Arte in Italia tra XI e XII secolo • Lombardia ► Basilica di Sant'Ambrogio, ricostruita tra IX e X secolo, Milano: nel nuovo edificio, che conserva l'impianto a tre navate concluse da tre absidi e privo di transetto, il sistema di coperture con volte a crociera costolanate e corrispondentri a strutture portanti trova una delle soluzioni più rigorose e organiche del Romanico europeo. Ad ogni campata quadrata della navata centrale ne corrispondono due nelle laterali. Con i grandi pilastri a fascio che sorreggono le volte delle campate centrali si alternano pilastri minori che ricevono le spinte di quelle laterali, sulle quali il vasto matroneo partecipa, unitamente ai contrafforti esterni, al sistema dinamico delle spinte e delle controspinte. Navata centrale e matronei sono illuminati solo dalle finestre della facciata e dalle aperture del tiburio, con effetti di forte contrasto chiaroscurale, che accentuano la solenne gravitas della scansione spaziale, di forte suggestione. La facciata è scandita da due ordini di arcate: quelle inferiori sono strettamente collegate agli altri tre lati del quadriportico, mentre quelle superiori, che presentano aperture decrescenti verso i lati, in rapporto con il profilo a capanna della copertura, appartengono a un loggiato che domina l'atrio monumentale, concepito ormai non più come spazio per i catecumenti ma come luogo di riunione per assemblee religiose o civili. La ricchezza della decorazione scultorea combina motivi preromantici di ornati a intreccio ad elementi vegetali e zoomorfi con accentuato senso volumetrico e strutturale. Nel XII secolo, la basilica si arricchisce del campanile dei canonici. La cortina rossa del laterizio, materiale tipico della pianura, si interrompe con inserti in pietra, con effetti di policromia, mentre ogni lato della torre è attraversato, come la facciata, da sottilissime semicolonne, la cui corsa verticale è spezzata da cornici di archetti pensili. Invece, alla fine dell'XI secolo potrebbe risalire la costruzione del tiburio, percorso da due ordini di loggette, fonti luminose per l'interno. ► Chiesa di S. Clemente, Pavia: La chiesa presenta un forte sviluppo ascensionale nella facciata, accentuato dalla particolare ubicazione delle finestre – per lo più concentrate nella zona centrale –, dai contrafforti a fascio che ne tripartiscono il prospetto e dalla teoria di loggette convergenti verso la sommità del tetto a capanna. Essa presenta un ricchissimo repertorio decorativo che include temi naturalistici e allegorici, tipici dell'immaginario medievale, scene venatorie e racconti guerreschi, soggetti tratti dalla vita quotidiana e da figure di santi (queste ultime in quantità minore, ma poste ben in evidenza). Il tutto con caratteri stilistici che fanno pensare a possibili derivazioni orientali. Un'altra espressione del Romanico lombardo – più aperta alle declinazioni nordeuropee – offertaci dal territorio comasco – vede l'uso della pietra, in quanto materiale costruttivo locale. Grezza e ben squadrata, essa viene impiegata sia nelle grandi costruzioni urbane sia nelle numerose chiesette rurali disseminate nel territorio circostante. ► Chiesa di Sant'Abbondio, Como: qui si ravvisano, precocemente, motivi considerati tipici dell'architettura romanica lombarda, come gli archetti ciechi che corrono lungo il profilo della • Toscana: Pisa, Lucca, Pistoia ► Duomo di Pisa, 1063-1118: la struttura è opera di BUSCHETO e rivela da una parte l'attenzione a modelli classici e paleocristiani, dall'altro motivi dell'architettura orientale e di quella romanica di area lombarda. L'interno dell'edificio, a pianta longitudinale e con lungo transetto, riecheggia la distesa spazialità delle basiliche paleocristiane ed è suddiviso in cinque navate da file di colonne sormontate da capitelli la cui decorazione sta tra l'ordine corinizio e il composito. Propria degli esempi lombardi è la cupola impostata sul transetto, anche se la sua forma ellittica con coronamento a bulbo è di origine islamica. A RAINALDO si deve il prolungamento delle navate, nonchè il disegno del prospetto, dove potè esprimersi in totale libertà, reinventando il motivo lombardo delle loggette pensili che, disposte in quattro ordini sovrapposti, conferiscono estrema leggerezza alla superficie. Per l'ordine inferiore della facciata, Rainaldo ha ripreso la sequenza delle arcate cieche che corrono lungo l'intero perimetro della cattedrale, limitandosi a ispessire le semicolonne. MAESTRO GUGLIELMO sembra essere più orientato in direzione lombarda e provenzale. Egli è l'autore del pergamo, poi trasferito a Cagliari. Una notevole forza di definizione plastica caratterizza le figure scolpite sui fianchi della cassa, con scene della vita di Cristo, interrotte nei lati lunghi dai gruppi del tetramorfo (simboli degli evangelisti) e di San Paolo tra i santi Timoteo e Tito, in corrispondenza dei due leggii. I rilievi si staccano nitidamente dai fondi, arabescati come nell'arte bizantina, sortendo però accentuati effetti pittorici che rimandano a soluzioni proprie della scultura provenzale, analogamente alle fitte pieghe dei panneggi. • Pulpito, 1301-1310: il pulpito di Giovanni Pisano sostituisce il precedente e presenta un linguaggio più misurato. Nuova è la struttura circolare, che accentua l'autonomia spaziale del complesso e ne sottolinea il valore di metafora della Gerusalemme Celeste. Le lastre del parapetto con le Storie di Cristo sono incurvate, gli archi di sostegno sono sostituiti da mensole a volute, al posto di alcune colonne vi sono delle figure-cariatidi. Il pulpito è un continuum vibrante di valori chiaroscurali, ma l'infittirsi della scultura è anche funzionale al moltiplicarsi dei messaggi teologici. Da notare le quattro Virtù poste alla base della statua- cariatide dell'Ecclesia. La Temperanza è nuda e si copre con le mani il seno e l'inguine e si ispira a un celebre modello classico, la Venus pudica. L'appello alla temperanza vale qui, in accordo con un passo di sant'Agostino, come ammonimento contro la passione carnale. Ma le quattro figure non contengono solo indicazioni etiche, esse sono le parti del mondo, i quattro fiumi del Paradiso, ma anche le età della vita umana poichè i volti mostrano età diverse, scalate tra la giovinezza della Prudenza e la vecchiaia della Giustizia. Giovanni si sforza di conferire una forma convincente e sintetica alle nozioni interconnesse dell'enciclopedismo religioso, di conferire vivacità all'arida esposizione concettuale. • Pisa e la Sardegna La diffusione del Romanico pisano trova ulteriori sfoghi in Sardegna e in Corsica, allora non solo culturalmente, ma anche commercialmente e politicamente nell'orbita di Pisa. In Sardegna l'architettura pisana trova fertile campo, coniugandosi con motivi di origine lombarda. • Toscana: Firenze L'architettura fiorentina romanica è dotata di minor forza di espansione rispetto a quella pisana. La persistenza delle suggestioni dell'antichità è il fondamento dell'armonioso e geometrico senso della scansione ritmica dei volumi e delle superfici della cultura artistica fiorentina. ► Battistero di San Giovanni, 1059, Firenze: qui sono fissati i canoni della particolare interpretazione del nuovo linguaggio. A pianta ottagonale e coperto da una cupola a otto spicchi che grava sui muri perimetrali e sul colonnato interno, il battistero presenta dal punto di vista planimetrico forti analogie con edifici paleocristiani. Il paramento esterno è costituito da tarsie di marmi bianchi e serpentina verde, in un originalissimo comporsi di linee rette e curve cui fanno eco i delicati rilievi delle arcate cieche e delle lesene. La limpida policromia di questo rivestimento costituisce il carattere saliente del Romanico fiorentino. ► Chiesa di San Miniato al Monte, XI secolo, Firenze: la struttura basilicale richiama da un lato la solennità delle aule paleocristiane e dall'altro accoglie elementi prettamente romanici nei pilastri cruciformi sui quali è impostato il soffitto, nell'accentuata sopraelevazione del presbiterio rispetto alla cripta e nella scansione spaziale delle navate. La peculiarità delle incrostazioni marmoree lo rende un edificio singolarissimo, nel quale l'articolazione delle strutture si riflette e trova espressione nel raffinato disegno del paramento marmoreo che riprende nell'abside la sequenza delle arcate che suddividono le navate. Il motivo ricompare anche nel registro inferiore della facciata, la cui ornamentazione viene terminata nel XIII secolo. • Umbria Un deciso ritorno a motivi originariamente sviluppati nell'architettura lombarda è segnato dalle chiese romaniche in Umbria, sebbene abbiano dei partiti decorativi classici, probabilmente desunti dai monumenti antichi presenti nella regione. La pittura, invece, è ancora decisamente improntata a schemi bizantineggianti. • Croci dipinte in Italia centrale Sono giunte sino a noi alcune tavole, sagomate a forma di croce, sulle quali è raffigurato – dipinto a tempera direttamente sul legno o su un foglio di pergamena incollato sul supporto – Cristo crocifisso, con san Giovanni Evangelista e la Vergine, oppure affiancato da scene della Passione. Il Cristo è raffigurato in posa eretta e frontale, ma soprattutto ancora vivo, alludendo al suo simbolico trionfo sulla morte. Si tratta di uno schema iconografico bizantino, chiamato Christus triumphans, il quale sarà sostituito tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo dalla più drammatica immagine di Cristo morto sulla croce (Christus patiens). • Marche La cultura bizantina è uno degli ingredienti principali del Romanico marchigiano e dell'architettura in particolare, che si nutre, però, anche di apporti settentrionali, giungendo talvolta a soluzioni per cui è difficile trovare efficaci termini di confronto. ► Chiesa di Santa Maria di Portonovo, metà XI secolo, Ancona: lo schema planimetrico è a croce greca. L'icnografia di questo edificio, che all'esterno presenta una teoria di lesene e archetti ciechi pensili, è il risultato della duplice funzione attribuita ai due bracci laterali i quali, oltre a fungere da navate, formano il corpo del transetto. • Roma e il Lazio ► Chiesa di Santa Maria Maggiore a Tuscania, XII secolo: presenta nel portale centrale uno sviluppo iconografico del tema della Sedes Sapientae (la Madonna con in braccio il Bambino, seduta in trono alla cui base stanno due leoni). Ritroviamo qui i leoni stilofori – immagine familiare nelle chiese romaniche – e in questo caso la loro presenza è senz'altro da connettersi alla singolare posizione della Vergine raffigurata nella lunetta, ma con i piedi che pendono dall'architrave. Il XII secolo segna per roma una vera e propria fioritura architettonica, anche in coincidenza con la rinnovata affermazione dell'autorità pontificia con Pasquale II, Onorio II e Innocenzo II, che rilanciarono l'immagine della città. La continuità con la tradizione paleocristiana domina le nuove costruzioni. ► Complesso di San Clemente, 1128, Roma: la basilica sorge su una chiesa preesistente, ma i riferimenti all'antichità e all'epoca paleocristiana non si limitano a questo recupero, ma anche all'arredo: dalla schola cantorum, costruita con parti del VI secolo, al coloratissimo pavimento musivo, alla decorazione dell'abside, eseguita nel 1128. Ispirandosi al mosaico absidale del battistero lateranense, l'anonimo maestro ha raffigurato un fitto sistema di girali d'acanto che, alludendo al giardino del Paradiso, si dipartono da un cespo centrale da cui sorge la croce. Alla vivacità dell'insieme contribuiscono i frequenti inserti di figure, animali, oggetti simbolici, volti a esaltare il tema della Redenzione. Il XII secolo vede la nascita di nuovi fenomni artistici, come quello dei marmorari romani, la cui attività supera i confini regionali e si protrae per tutto il XIII secolo. Senza trascurare di attingere dalle fonti antiche, questi artisti tramandavano il mestiere per generazioni, operando soprattutto nell'ambito dell'arredo liturgico, ma costruendo anche chiostri e portali. • Campania In Campania prevale l'impianto basilicale, con navate divise da file di colonne, per lo più attraversate dal transetto. L'architettura campana non si esaurisce nella ripresa di forme paleocristiane, accogliendo anche motivi arabo-siciliani e moreschi. ► Ambone della cattedrale di Salerno, XII secolo: mostra derivazioni islamichenegli ornati geometrici: smaglianti nella policromia dei mosaici e degli intarsi maemroei, arricchiti da suggestioni classiche, soprattutto per la presenza di figure, capitelli e rilievi plastici. • Abruzzo Accanto a elementi anticheggianti, probabilmente derivanti dalla Campania, influssi islamici e bizantini penetrano anche in Abruzzo, assestandosi soprattutto nel ricco repertorio decorativo di un gruppo di pulpiti realizzati intorno alla metà del XII secolo. ► Pulpito di Santa Maria in Valle Porclaneta, 1150, Rosciolo: insieme a ROBERTO ne è autore MAESTRO NICODEMO. Sulle pareti della cassa, sostenuta da pilastri sui quali si impostano arcatelle trilobate e a tutto sesto, si sviluppa una vivace decorazione plastica a stucco. Si va dagli intrecci geometrici di gusto arabo, ai bassorilievi con scene bibliche e santi, a figure modellate quasi a tutto tondo, come i simboli degli Evangelisti, il piccolo nudo che si arrampica lungo la colonnina angolare del parapetto o ancora quello che, per quanto mutilo, sembra essere una citazione dello Spinario, il bronzo ellenistico raffigurante una giovane nell'atto di togliersi una spina dal piede, allora visibile a Roma. • Puglie Caratteri lombari si insinuano profondamente nell'architettura romanica pugliese, aperta anche alle influenze pisane e orientali. ► Chiesa di San Nicola, 1087- fine XII secolo, Bari: all'esterno assume l'aspetto di una fortezza, con una facciata a salienti, chiusa da due torri incompiute, nella cui decorazione ad archetti pensili, nel protiro lievemente aggettante si individua già l'adesione al gusto emiliano-lombardo, ulteriormente testimoniata dalle loggette sui fianchi e dai pilastri compositi che, all'interno, interrompono il ritmo dei colonnati tra una navata e l'altra. ► Duomo di Trani, metà del XIII secolo: le murature presentano la calda tonalità del tufo calcareo. I battenti del portale sono opera di BARISANO DA TRANI, che inscrisse ogni scena in delicate cornici ornamentali, ricavate, come spesso le figurazioni, direttamente da modelli bizantini forse in avorio. Il Romanico pugliese accoglie anche l'ondata di gusto romanzo che trova riflesso, nella seconda metà del XII secolo, nei pavimenti musivi. ► Pavimento musivo della cattedrale di Otranto, 1163-1165: grazie a numerose iscrizioni si conoscono il nome del committente, l'arcivescovo Gionata, e l'autore, PANTALEONE. Tra tutti è il più grandioso e si dispiega lungo l'intera navata cenrale, estendendosi al presbiterio e all'abside, nonché ai due bracci del transetto. Si tratta di un vero e proprio viaggio nell'immaginario medievale, ma anche nella cultura letteraria del tempo, spaziando dalle fonti veterotestamentarie, ai romanzi cavallereschi, ai racconti ebraici, alle leggende arabe ecc. Il tutto è concepito come una sorta di omelia figurata, nella quale domina compositivamente un acuto senso di horror vacui e una con manoscritti bizantini di corte della prima metà del secolo. Dopo le cupole dell'Emanuele e dell'Ascensione, si inizia la decorazione dell'atrio con la cupoletta della Genesi, seguendo fedelmente le illustrazioni di un codice tardoantico, allora ritenuto contemporaneo agli apostoli. Nei mosaici successivi dei transetti e della tribuna del coro, troviamo all'opera artisti locali sempre più attenti a introdurre nei vecchi schemi orientali elementi nuovi della tradizione occidentale romanica e protogotica, poco interessati a una chiara impostazione spaziale delle scene, ma molto invece alla definizione lineare e a una sintetica compattezza delle figure. Nel mosaico Cristo sul monte degli olivi la figura di Cristo, ripetuta più volte, è atteggiata con naturalezza e maestosità, mentre gli apostoli sono definiti con tipologie diversificate e con espressive pose angolose riprese da prototipi gotici. Il paesaggio collinare, pur subordinato alle figure, costituisce una quinta scenica e susciterebbe un'impressione di profondità spaziale se non fosse contraddetta dalla mancata fiminuzione prospettica delle figure. L'opera più straordinaria di questa fase decorativa è la Traslazione del corpo di san Marco, realizzata a mosaico nella lunetta di San Alipio: vi è negato ogni accenno spaziale, ma all'affollato allinearsi delle figure in basso fa riscontro un ritratto veridico della basilica, ben riconoscibile nei suoi caratteristici nessi strutturali. Nei mosaici più tardi delle cupolette di Giuseppe e di Mosè sia l'impostazione grandiosa delle scene, che tendono a subordinare lo spazio architettonico alle esigenze della narrazione, sia molti elementi compositivi e figurativi mostrano evidenti debiti verso l'Oriente. Il grandioso rivestimento musivo trasforma la nostra percezione dello spazio tardoantico della basilica, abbagliando con lo splendore dell'oro. L'opera di oreficeria più importante è la grandiosa pala d'oro, già documentata alla fine del X secolo e molto arricchita in seguito. Gli molti smalti che la compongono, alcuni del periodo comneno e in particolare della metà del XII secolo, sono tra i più importanti di tutta l'area bizantina. Il disegno delle figure è di straordinaria eleganza e il virtuosismo tecnico nell'esecuzione del cloisonné fa sì che le filettature auree siano sottilissime: una ragnatela baluginante che anima la superficie smaltata che, per la sottigliezza della pasta vitrea, lascia a sua volta trasparire la specchiante lucentezza del fondo aureo. Tra tutte spicca l'icona dell'arcangelo Michele, lavoro costantinopolitano a cavallo tra X e XI secolo, forse proveniente dal santuario dell'arcangelo annesso al palazzo imperiale. In una incorniciatura di argento cesellatoe di smalti la figura a mezzo busto si accampa ieratica e astratta, delicatamente sbalzata nell'oro e arricchita di gemme e di smalti, su un fondo di fitte e delicate filigrane. Montecassino e Sant'Angelo in Formis L'abbazia di Montecassino è centro culturale e artistico, in strettissimo rapporto con il Sacro Romano Impero e, a partire dal IX secolo, con l'Impero d'Oriente, con il quale gli abati avevano persino stretto un'alleanza militare per salvaguardare il monastero dalle invasioni saracene. Nel 1058 Desiderio diventa l'abate, dando inizio a un periodo di grande splendore per l'abbazia. La chiesa venne ricostruita integralmente sullo schema delle basiliche paleocristiane romane, decorata con mosaici e affreschi di episodi dell'Antico e del Nuovo Testamento, impreziosita con marmi, suppellettili liturgiche e porte bronzee. Se nulla rimane dell'opera di Desiderio, se ne vedono i riflessi in codici miniati e, soprattutto, nei cicli di affreschi che decorano le pareti della chiesa di Sant'Angelo in Formis, presso Capua, anch'essi eseguiti per volontà di Desiderio, del quale vi è anche un ritratto nella zona absidale. L'abate, il cui volto è circondato da un nimbo quadrato, è raffigurato mentre offre il modellino della chiesa a Cristo. Negli affreschi, con storie dell'Antico e del Nuovo Testamento e il Giudizio Universale in controfacciata, si sono voluti rintracciare i primi segni del nuovo linguaggio romanico ma anche una sorta di declinazione dialettale di modelli bizantini. Da un lato, infatti, è stata sostenuta la tesi della fusione di elementi orientali e occidentali all'interno di una corrente artistica legata strettamente all'area cassinese, dall'altro si è invece optato per la prevalenza degli aspetti locali, isolando il San Michele Arcangelo sul timpano della porta d'ingresso, a ricordare l'intitolazione della chiesa. Certo è che negli affreschi di Sant'Angelo in Formis non si possono ignorare né le influenze bizantine, né la tendenza a una narrazione più libera e corsiva, capace di sciogliere l'impeccabile formulario costantinopolitano. Distribuite su tre registri lungo la navata principale, le Storie di Cristo seguono un ordine cronologico, a partire dall'Annunciazione sino alla Passione, lasciando sulla parete destra gli spazi riservati ai miracoli e alle parabole divine. Mentre gli episodi dell'Antico Testamento che, contrariamente a quanto avveniva nelle basiliche paleocristiane, non sono posti a riscontro di quelli evangelici nella stessa navata, vanno letti in rapporto con questi ultimi, individuandone le analogie. Il ciclo si chiude con il Giudizio finale, affrescato sulla parete di fronte all'abside, dove domina la figura di Cristo benedicente, circondata dai simboli degli evangelisti. PARTE IV: IL GOTICO E L'ARTE ITALIANA TRA DUECENTO E TRECENTO CAP. 1: ORIGINE DEL GOTICO IN FRANCIA E PRIMI RIFLESSI IN ITALIA Il termine gotico, impiegato inizialmente in campo umanistico con una connotazione negativa, passa nel XVI secolo ai trattati d'arte, soprattutto quelli dedicati all'architettura, per definire, con disprezzo, edifici di tipo nordico, lontani dai modelli classici, nei quali la struttura portante appare mascherata dalla ricchissima decorazione apparentemente capricciosa, priva della chiarezza di rapporti proporzionali e della razionalità predilette dagli architetti rinascimentali. L'abolizione dell'aura negativa del termine è merito della rivalutazione da parte della cultura europea nel secondo Settecento in concomitanza con la diffusione di un vero e proprio revival dello stile, il Neogotico. Nel passato gotico, la cultura romantica riconosce il primo formarsi di caratteristiche tipiche dei popoli e delle nazioni moderne, o vi proietta la sua aspirazione al mistero, al pauroso, all'irrazionale; inoltre, non mancano motivazioni religiose. Infine, lo stile gotico, in quanto espressione delle nascenti monarchie nazionali, viene rivalutato dalle corti europee dell'età della Restaurazione. Il Gotico è un fenomeno europeo e riguarda tutti i settori della produzione artistica, con larghissimo sviluppo nelle arti minori. La sua origine viene riconosciuta in genere nel coro della chiesa abbaziale di Saint-Denis in Francia (1144), ma la diffusione avviene in diverse nazioni, attraverso moltissimi centri artistici, con tempi e modalità differenti. Apparentemente, l'arte gotica esprime lo slancio mistico di un'epoca ancora pervasa da una fortissima religiosità e che si avventura, con le sue summae teologiche, nei più complessi tentativi di interpretazione dell'universo; ma quella stessa epoca vede rinascere un'arte integralmente profana, del tutto estranea alla sfera del sacro. Gotici sono sia il più artificioso distacco dalle forme naturali, che un intento naturalistico che spinge gli artisti a ristudiare il corpo umano, le espressioni facciali, l'ambiente terreno, il paesaggio, il teatro della vita quotidiana. Ai suoi esordi, l'architettura gotica può apparire il frutto di perfezionamenti tecnici o di una più esplicita formulazione di aspirazioni formali già presenti nell'arte romanica. Il distacco non è ovunque omogeneo, così come è vario il rapporto con la cultura classica, per l'alternarsi di un radicale distacco dai modelli antichi e di fervide fasi di rinascita. Quanto alla periodizzazione, differisce da regione a regione e se è possibile riconoscere attorno al 1380 una fase stilistica unitaria a livello europeo, chiamata Gotico internazionale, o Cortese, essa ha vita relativamente breve in Italia, dove si accavalla, dall'inizio del Quattrocento, con il primo fiorire del Rinascimento. A nord delle Alpi il Gotico, invece, si prolunga nel Tardo Gotico, fino al XVI secolo e anche oltre. In Italia la diffusione del nuovo stile coincide con un momento storico di straordinaria fioritura economica, culturale e civile. Dai primi del Duecento, prima in modo episodico, poi con crescente frequenza, abbazie, basiliche, palazzi e castelli cominciano a mostrare i segni inequivocabili del nuovo modo di costruire: appaiono gli archi a sesto acuto, le volte ogivali e si tende ad una maggiore verticalità. Nella penisola, però, l'architettura mantiene caratteristiche proprie, rifiutando altre essenziali componenti dei modelli transalpini. Il Duecento e il Trecento in Italia coincidono con la piena affermazione di caratteristiche figurative nazionali che cominciavano già a manifestarsi in età romanica. La sintesi delle tradizioni romaniche locali e degli influssi del Gotico oltremontano è potenziata dalla riscoperta delle forme classiche, romane e tardo-romane. Non sorprende che l'arte italiana assuma caratteri specifici in un periodo che vede l'economia della penisola affermarsi in campo europeo e gli scambi commerciali mono polizzati dai mercati veneziani e pisani, dai finanzieri fiorentini e lombardi. In Italia risiedono l'imperatore (Federico II di Svevia) e il papa, fioriscono i Comuni, si affermano le prime Signorie. Nasce e si sviluppa la letteratura volgare: è evidente il parallelismo tra la storia letteraria e quella artistica. I centri artistici più innovativi sono infatti localizzabili nell'area nord- occidentale e nel Sud federiciano durante la prima metà del Duecento, in Toscana e in centro Italia nella seconda metà del secolo. 1. Il Gotico nell'Île-de-France Il Gotico ha origine in Francia, nella regione attorno Parigi (Île-de-France), poco prima della metà del XII secolo. La cattedrale o la chiesa abbaziale gotica francese è un edificio spesso di dimensioni colossali, slanciato e luminoso, talvolta costruito ricorrendo a spericolate soluzioni tecniche: è un complesso organismo in cui ogni membratura ha una precisa funzione statica, di sostegno o di contrappeso, e da cui si tende ad abolire progressivamente tutto quanto sia un mero riempitivo non funzionale. Per la grandiosità, l'evidenza della funzione strutturale delle parti e delle loro interazioni, la cattedrale gotica richiama alla mente la costruzione teologica delle summae della filosofia scolastica. Oltreché all'interpretazione del cosmo cristiano affidata alla ragione piuttosto che alla fede, la summa è uno schema di pensiero che affida alla logica il compito di organizzare i fenomeni in un sistema concettuale complesso e ordinato gerarchicamente in parti e sottoparti – partes, membra, articuli – collegate tra loro in un rapporto di causa-effetto. La prima affermazione dell'architettura gotica coincide con le prime formulazioni della Scolastica, entro la metà del XII secolo, con Gilbert de Porrée e Abelardo. La massima fioritura del Gotico nel XIII secolo è contemporanea all'attività dei più importanti autori di summae: Alessandro di Hales, Alberto Magno, Guglielmo di Auvergne, san Bonaventura, san Tommaso d'Aquino. La cattedrale gotica è metafora del mondo: ancorata alla terra, tende con una progressiva semplificazione e con l'assottigliarsi delle strutture, a slanciarsi verso il cielo, simboleggiando l'anima che si ricongiunge a Dio. Tutte le parti dell'edificio, ben concordate tra loro, concorrono a questo dinamico slancio verticale. Le navate s'innalzano ad altezze vertiginose sorrette da agili pilastri a fascio in cui si concentrano le nervature delle volte sospese a decine di metri dal suolo; le navate laterali, più basse, partecipano al dinamismo dell'insieme, non meno dei tiburi su cui s'innalzano all'esterno, ardite torri campanarie. Possenti arcate collegano le navate laterali alla centrale, attraversata da immani arconi che separano ogni campata dalle adiacenti, ritmando il percorso rettilineo tra l'ingresso e l'altare. Tutti gli archi, compresi quelli che s'incrociano a sostenere le vele delle volte, sono a sesto acuto. L'arco a sesto acuto (o ogivale) è la forma caratteristica dell'architettura gotica: di remota origine sasanide e islamica, ha un ruolo essenziale nel ritmo verticale delle nuove costruzioni e svolge un'importantissima funzione statica: infatti, incombendo efficacemente il suo peso in verticale verso il basso, si smorzano le residue tensioni laterali che, non scaricandosi sui pilastri, tenderebbero a divaricarli. Le campate possono avere pianta quadrata o rettangolare; sono coperte da volte a crociera generate dall'incrocio di due archi lanciati lungo le diagonali della campata, o esapartite con l'incrocio di tre archi (due lungo le diagonali della campata e uno perpendicolare alle pareti della navata). A equilibrare le straordinarie spinte centrifughe delle volte provvedono, all'esterno, gli archi rampanti, altro elemento tipico dell'architettura gotica. Più efficaci dei contrafforti murari e di più vibrante ► Complesso di Fossanova, 1187-1206: la chiesa è a croce latina, con corpo basilicale a tre navate, transetto e coro per i monaci a testata rettilinea. Per le limitate dimensioni delle navate laterali, quella centrale assume grande valore: coperta da volte a crociera, è divisa in campate rettangolari da sette possenti arconi longitudinali a sesto acuto, le cui ghiere si prolungano verso il basso, scendendo lungo le pareti sino ai pilastri, bassi e posse, nei quali rientrano. Una sottile cornice marcapiano divide le arcate laterali dalle finestre soprastanti, smorzando l'effetto di verticalità. Malgrado l'uso di archi ogivali, l'edificio non ha dinamismo, né la luminosità delle grandi cattedrali francesi, ma piuttosto richiama valori romanici di robustezza e plasticità. All'esterno risaltano la compatta robustezza della costruzione intercalata dai contrafforti e l'alto tiburio ottagonale ornato da due piani di bifore e rialzato nella torre campanaria. I muri mantengono solidità e spessore; le finestre, alte e strette, si alternano ritmicamente ai contrafforti. ► Abbazia di San Galgano, dal 1227: finanziata dall'imperatore Federico II, essa attesta un'evoluzione dei primi modelli cistercensi in una formulazione più leggera, per l'assottigliarsi dei pilastri e il moltiplicarsi delle fonti di luce. ► Basilica di Sant'Andrea, 1219-1227, Vercelli: fu affidata a monaci francesi, tra i quali Tomaso Gallo, il primo abate: rinomato maestro di teologia e filosofia, è celebrato anche come ingegnere nella lapide sepolcrale già conservata in una cappella. Nella chiesa si armonizzano elementi gotici d'importazione e romanici italiani. Romanica è la facciata a capanna con i tre portali inquadrati da archi a tutto sesto e fortemente strombati e con la doppia galleria, ma il repertorio tradizionale è vivificato dall'armoniosa intelaiatura geometrica, dall'innesto dei sottili contrafforti tubolari, dall'inserto delle due torri. Senza dubbio gotico è l'interno, a tre navate fiancheggiate da archi a sesto acuto retti da agili pilastri circolari cui sono addossate esili colonne. Le campate della navata centrale, separate da archi ogivali, sono a pianta rettangolare, di ampiezza disuguale; le volte a crociera, segnate da costoloni segmentati bianchi e rossi, scaricano il loro peso a terra tramite lunghe colonnette addossate alle pareti. Nella loro connessione, la chiesa e il monastero annesso si rifanno anche a modelli cistercensi: al fianco nord è adiacente un ampio chiostro su cui si affacciano i fabbricati di servizio della chiesa e i locali del monastero. Qui sono presenti contrasti coloristici ornamentali tra muri bianchi e cornici e modanature in mattoni rossi. La decorazione è completata, in facciata, dalle lunette a rilievo sopra i portali con la Crocifissione di sant'Andrea (portale centrale) e il Cardinale Guala Bicchieri che offre a Dio il modello della chiesa (portale sinistro). ► Basilica di Sant'Antonio, 1232-1307, Padova: a tre navate, pensata come monumentale custodia della tomba del santo, combina motivi romanici e gotici con un'impronta bizantina. La facciata a capanna con galleria sembra riprendere motivi romanici, ma vi si aprono, nella zona inferiore, ampie arcate a sesto acuto. All'esterno risaltano gli sporgenti contrafforti sviluppati come archi rampanti lungo le fiancate, la slanciata verticale del tiburio rialzato e, nella parte terminale, il deambulatorio che dà accesso a cappelle radiali; ma la fioritura delle cupole, con calotte emisferiche scoperte rimanda al precedente veneziano. ► Chiesa di San Francesco, 1236-1250, Bologna: realizzata da MARCO DA BRESCIA, è concepita a tre navate, la centrale coperta da volte esapartite, illuminata da strette finestre che ricordano quelle degli edifici cistercensi. La testata si sviluppa in un deambulatorio da cui si accede alle cappelle radiali coperte da volte a crociera; al di sopra di esse si dispiega una robusta raggiera di archi rampanti addossata alle pareti del deambulatoio, per contenere le spinte della semi-volta a ombrello interna. Per molti aspetti richiama esempi francesi, ma mantiene muri consistenti ed è costruita in mattoni, un materiale tipicamente padano. ► Basilica di San Francesco, 1228-1253, Assisi: la chiesa risponde a diverse finalità: è prima di tutto il luogo di sepoltura del suo fondatore, San Francesco, che si vuole diventi meta di pellegrinaggi e un luogo di culto popolare. Per tradizione, il sepolcro di un santo era posto in una cripta, ma qui si vuole che essa sia ampia quanto una chiesa: sono qui costruite quindi due chiese sovrapposte, la chiesa-cripta inferiore e la superiore finalizzata alla predicazione, un'attività centrale nella dottrina francescana e degli ordini mendicanti in generale. A ciò va aggiunto il particolare interesse del papato verso questa basilica, fondata da Gregorio IX e consacrata da Innocenzo IV. Il papato vede ormai nei francescani degli alleati religiosi e politici coi quali rinsaldare i legami allentati con i ceti popolari urbani. Le due chiese sono a una sola navata, con un transetto e un'abside, sostenute all'esterno da lunghi contrafforti cilindrici e, in basso, da archi rampanti. Nella chiesa inferiore la limpida struttura è complicata dall'aggiunta di un secondo transetto con funzioni di atrio e da cappelle. Che questa chiesa funga da basamento per quella superiore è intuibile dalle proporzioni schiacciate delle ampie volte a crociera impostate su archi a tutto sesto poggianti su pilastri bassi e massicci. Nella chiesa superiore, che appare molto vasta, la navata è divisa in campate quadrate coperte da volte ogivali rette da alti pilastri a fascio addossati alle pareti. Gli archi a sesto acuto disposti attraverso la navata sono ortogonali agli arconi che scavano la fascia superiore delle pareti inquadrando le finestre, mentre la fascia inferiore delle pareti presenta una cortina muraria continua, interrotta solo dallo sporgere dei pilastri, pensata appositamente per essere coperta da affreschi. Il ritmo verticale degli archi è bilanciato dall'orizzontalità delle pareti e del ballatoio che corre tra queste e le finestre; lo slancio rettilineo della navata è rallentato dalle cesure dei pilastri e degli archi. La basilica superiore è un capolavoro del Gotico italiano, ma non è priva di legami con l'architettura della Francia nord-occidentale. Per quanto riguarda la decorazione, fondamentale è l'intervento di Cimabue chiamato ad eseguire affreschi nella basilica superiore per interesse del papa e in conseguenza della fama acquisita a Roma (dov'è documentato nel 1272). Solo sotto Clemente IV, concluso l'involucro murario (1265-1268) si ergono gli altari. Nel 1279 un concilio dei Francescani, tenuto proprio ad Assisi, ribadisce l'indirizzo aniconico, suscitando però una ferma reazione da parte di papa Niccolò III. Secondo alcuni studiosi sarebbe proprio questo papa, che liberò la Chiesa dalla gravosa sudditanza verso Carlo I d'Angiò, a dare il via agli affreschi di Assisi. È però probabile che sia un suo successore, Niccolò IV, il primo papa francescano, il vero fautore della decorazione: con una bolla del 1288 decreta che le abbondanti elemosine offerte dai pellegrini servano a finanziare la decorazione della chiesa. Tra i primi affreschi vi è il ciclo che si dispiega sulle volte e sulle pareti dei transetti e del coro, affidato a Cimabue e alla sua équipe di allievi e aiuti. Gli affreschi che narrano le Storie dei SS. Pietro e Paolo, le Storie di Maria, l'Apocalisse, non sono più leggibili. Nella Crocifissione del transetto sinistro, con le sue numerose figure fortemente gesticolanti sotto un cielo affollato da angeli in pose di sgomento e di strazio, è ancora leggibile un'immagine potentemente drammatica. Nello stesso periodo altre maestranze eseguono affreschi nella navata della chiesa, esplicitamente contestando gli arcaismi di Cimabue. Artisti transalpini attivi sulle lunette attorno alle finestre del fianco destro contrappongono alla composizione in superficie della Crocifissione una pittura diversa, illusionistica, creando finte strutture architettoniche innestate sulle cornici delle finestre vere, come per ampiarle. Questo nuovo sistema figurativo ha un seguito immediato nella basilica superiore. L'idea è ripresa, sulla parete destra, dall'autore delle Storie di Isacco, quel MAESTRO DI ISACCO che viene ormai identificato come Giotto giovane. Nell'Esaù respinto da Isacco tutto è straordinariamente nuovo, dalla plasticità dei corpi sbalzati tramite il gioco delle ombre e delle luci, all'andamento fluente dei panneggi accordati con il movimento delle membra che avvolgono. Risalta soprattutto la scatola spaziale che contiene la scena, la stanza dalle pareti scorciate, cui è stata asportata quella anteriore per permettere allo spettatore di vedere ciò che avviene all'interno. I baldacchini del letto su cui giace Isacco ritagliano una più piccola ma non meno illusiva cubatura, il cui spessore è rivelato dal sovrapporsi dei velari anteriori alla cortina di fondo, così da offrire alle figure un palcoscenico sufficientemente profondo. Quindi, la scena è costruita come una successione di piani di profondità, racchiusi dalle pareti oblique e scorciate della stanza: piani la cui posizione nello spazio è sottolineata dalla modulazione dell'illuminazione rispetto a una luce che, cadendo omogeneamente da sinistra, lascia in ombra le superfici che non può raggiungere. Si deve supporre che, dopo l'apprendistato con Cimabue, Giotto sia stato a studiare a Roma, mettendosi in luce presso la corte papale per meritarsi un posto sui ponteggi di Assisi. Sempre a lui spettano le Storie di san Francesco sulle pareti della navata della basilica superiore di Assisi che ha l'aspetto di un fregio impostato entro un finto loggiato, scandito da colonne poggianti su una base leggermente sporgente, retta da mensole. Questa monumentale storia suddivisa in 28 riquadri, che si svolge per tutta la parete destra, verso l'ingresso della chiesa, gira nella controfacciata e torna indietro lungo la parete opposta, descrivendo le vicende del santo titolare della basilica, dalla giovinezza alla morte, alternando gli episodi storici ufficiali a quelli delle leggende care all'agiografia popolare e concludendosi con i miracoli postumi. Niente più ori, o fissità iconiche, o simboli astrusi. Con Giotto la vita quotidiana, esclusa da secoli dalle arti figurative, rientra inuna chiesa e prende stabile possesso delle pareti più in vista. Nella scena dell'Omaggio dell'uomo semplice gli edifici formano un fondale, ma se ne può misurare l'aggetto, tanto più che sono tutti coerentemente conformati a una veduta laterale dal basso. Il santo incede e un cittadino stende il mantello al suo passaggio: la scena è serena e dignitosa, naturale e credibile, la mimica dei protagonisti è chiarissima. La preminenza del santo non è affermata dogmaticamente tramite un aumento delle proporzioni o con un'astratta posa frontale, anzi egli appare in perfetto profilo e calato pienamente nell'azione, cui prendono parte anche comparse in costume da borghese dell'età di Giotto, che vivacemente indicano e commentano il fatto, nelle quali lo spettatore può immedesimarsi facilmente; servono, quindi, ad annullare le distanze tra rappresentazione artistica e mondo reale, tra la pittura e il suo pubblico. Anche i bambini, assenti da secoli nell'arte sacra, ritrovano posto nella pittura giottesca, nelle scene di folla, dove la loro presenza aggiunge un necessario tocco di casualità quotidiana. Un esempio è la scena della Rinuncia dei beni, dove sono raffigurati lontani dall'esplosione d'ira di Bernardone, il padre del santo, alla vista della folle restituzione delle ricchezze da parte del figlio. La scena della Conferma della regola, oltre a mostrare la coerenza con cui Giotto definisce un ambiente interno scorciando e facendo convergere in profondità i piani ortogonali alla superficie del dipinto, mostra anche un meditato accordo tra architettura e personaggi, nel rimando da questi ai tre arconi della parete di fondo che ne scandiscono i raggruppamenti. Nell'Elemosina del mantello, dove non c'è un fondale architettonico, Giotto sfrutta i profili obliqui dei colli per portare l'attenzione del riguardante dove essi s'incrociano, dietro la testa nimbata di san Francesco; una delle oblique si prolunga poi nel braccio teso del santo e nel mantello, l'altra va a bloccarsi sulla linea perpendicolare del collo dell'asino, serrando in questo modo la composizione in un gioco armonioso di linee portanti. È però evidente che Giotto tratta il paesaggio in modo ancora arcaico, mantenendo la convenzione bizantina delle rocce scheggiate e senza definire con precisione le distanze e il succedersi dei piani in profondità, clamorosa è la spazialità illusiva degli ambienti architettonici. L'impaginazione del Presepe di Greccio è un eccezionale documento visivo della conformazione di un presbiterio ecclesiastico ai tempi di Giotto, coerentemente definito con una veduta dell'abside, con il ciborio, il leggio, l'iconostasi con il retro di una croce dipinta inclinata verso l'invisibile navata, il pulpito ritratto dalla parte dell'accesso. Giotto rifiuta il retaggio bizantino e la certa enfasi espressiva che ancora sopravviveva nelle opere del suo maestro. Appoggiandosi, poi, alle componenti classiche latenti nello stile gotico, nonchè alle figurazioni paleocristiane romane, recupera effetti di plasticità e di spazialità dimenticate da secoli. Giotto commissiona alcune pitture ai suoi collaboratori, in quanto oberato da tanti impegni. Nelle Storie della Maddalena dell'omonima cappella della basilica inferiore, le composizioni e la cromia sono simili a quelle degli affreschi della cappella degli Scrovegni. Nelle Allegorie francescane sulle vele della volta della campata sopra l'altare opera il cosiddetto PARENTE DI finalizzato alla restaurazione dell'idea antica di Impero certamente non circoscritta al campo delle arti. L'imperatore soggiorna a lungo in Germania e nei suoi spostamenti la corte è probabilmente accompagnata da artisti italiani, che hanno così modo di entrare in contatto con il mondo gotico. Inoltre, Federico II favorisce l'introduzione dei Cistercensi nel Sud; prende così avvio una lunga serie di costruzioni ecclesiastiche per le quali sono preziose le cognizioni edilizie dei seguaci di San Bernardo, infaticabili diffusori di tecniche oltremontane. Nei castelli che l'imperatore fa erigere in Puglia e in Sicilia – come residenze, come basi d'appoggio per la caccia o come sedi per guarnigioni – elementi caratteristici dell'architettura fortificata transalpina si saldano con la cultura meridionale. Gli interessi di Federico II comprendono anche le scienze matematiche e la geometria, coltivate in Italia meridionale come retaggio degli Arabi trasmesso durante il dominio normanno. ► Castel del Monte, dal 1240, Andria: è una residenza di caccia a pianta ottagonale, riecheggiata nelle otto torri tangenti agli angoli, progettata probabilmente dallo stesso imperatore. Si assiste ad un precoce innesto di elementi strutturali gotici nell'architettura civile, nelle amiesale interne rette da volte ogivali, o nelle rinestre monofore o bifore inquadrate da archi a sesto acuto. Federico II promuove anche il ritorno a modelli classici, accompagnato dal riuso di opere antiche reperite nel regno. ► Porta trionfale di Federico II (ricostruzione), 1234-1239, Capua: la porta, non più esistente, era idealmente rivolta verso Roma, acerrima avversaria politica. Federico II cerca di contrapporre la Roma dei papi al ricordo dell'antica capitale imperiale. La porta era ornata da numerose statue con formule espressive della tarda antichità: le teste di Zeus e della Justitia imperialis hanno la sintetica robustezza delle sculture provinciali romane; l'acefala statua di Imperatore mostra una piena comprensione della plasticità classica nello sviluppo fluente del panneggio che non nasconde le membra sottostanti. Questo frammento si riferisce a Federico II, al pari del Busto di imperatore, ricostruzione di un antico ritratto imperiale. Se il volto della statua riproduce le fattezze di Federico II, ci troveremmo di fronte al primo ritratto individuale dell'arte postclassica: un evento capitale della storia dell'arte italiana, legato al rinascente culto della personalità fomentato dal monarca. Questo naturalismo introduce un'altra caratteristica fondamentale della cultura figurativa federiciana, che l'imperatore stesso, nel trattato sulla caccia da lui scritto, il De arte venandi cum avibus, condensa nel motto: ciò che esiste come è. Durante il regno del figlio Manfredi, si sviluppa in Puglia una scuola miniaturistica dedita programmaticamente a illustrare la realtà naturale con scientifica precisione, ispirata da un lato alla cultura araba, dall'altro alla pittura francese. ► Affresco del duomo di Atri con scena dell' Incontro dei tre vivi e dei tre morti , 1240-1250: è un soggetto di origine orientale: tre principi durante una battuta di caccia incontrano tre scheletri che li ammoniscono sulla vanità delle cose umane. È un tema cortese, rivolto esplicitamente ai laici. Il pittore svevo lo svolge con un'immediatezza espressiva che non ha riscontro nell'arte bizantina e che rimanda invece, come si nota nella mimica dei protagonisti, alla cultura transalpina filtrata dai miniatori. L'architettura cistercense L'interpretazione della regola benedettina degli abati di Cluny entra in crisi alla fine dell'XI secolo. All'interno dell'ordine avvengono importanti movimenti di riforma, che propongono il ritorno all'osservanza di alcuni fondamentali precetti della regola, abbandonati da Cluny: il rifiuto del fasto, la necessità del lavoro manuale dei monaci, la meditazione individuale. L'abate Robert de Champagne cerca un compromesso ispirandosi all'alternanza delle ore di preghiera e di lavoro proposto da san Benedetto, all'esigenza di concentrazione per giungere alla vera conoscenza, al culto mariano e fonda Citeaux, la prima abbazia basata su questa regola. Essa ottiene la propria indipendenza tra il 1113 e il 1115 e ad essa si affiancano altre quattro nuove abbazie: La Ferté, Pontigny, Clairvaux e Morimond. Da esse prende avvio un'espansione rapida e di vastissime proporzioni. In Italia sono 88, prevalentemente legate a Clairvaux (Chiaravalle). Da Clairvaux proviene San Bernardo, il personaggio più significativo nell'evoluzione della spiritualità e dell'architettura cistercensi. Egli oppone all'esercizio della dialettica lo slancio mistico dell'amore. Ispirandosi a Sant'Agostino, afferma che la ragione non è sufficiente per giungere alla conoscenza di Dio. Attraverso il raccoglimento e la preghiera, grazie all'intercessione della Madonna, il monaco può salire fino al grado supremo: i passi sono la cogitatio (indagine sulla materia e sul mondo sensibile), la meditatio (momento di riflessione e di ripiegamento introspettivo) e la contemplatio (intuizione mistica della verità). Il nuovo misticismo cistercense trova rispondenza nella forma architettonica delle abbazie, prive di decorazioni, poichè la decorazione scolpita e dipinta non aiuta la meditazione del monaco, ma anzi lo distrae con forme bizzarre e mostruose. Dall'abbazia di Fontenay (1139) prende spunto la maggior parte degli edifici dell'Ordine, diffusi in tutta Europa. Un altro gruppo, invece, si ispira all'abbazia di Pontigny (1153). Gli elementi caratteristici sono l'attenta e logica distribuzione degli ambienti conventuali intorno al chiostro, l'equilibrio armonico delle proporzioni, la presenza simbolica della luce. L'alternanza delle ore del giorno, nella tipica accezione cistercense della regola benedettina, segna i momenti del lavoro, della preghiera collettiva e della riflessione individuale: il trascorrere della luce attraverso i vari ambienti di cui è composta l'abbazia segna, simbolicamente, i tempi della giornata, sottolineati anche dall'ordine regolare e simmetrico dell'architettura. Per favorire quest'organizzazione le abbazie cistercensi sono sempre erette, in pianta e in alzato, sulla base di un modulo quadrato, replicato e moltiplicato in modo diverso a seconda delle esigenze pratiche ma sistematicamente riconoscibile. Quindi, l'architettura risulta semplice e regolare, i perimetri non presentano mai curve, i rapporti dimensionali sono equilibrati e armonici. La diffusione della luce è affidata a grandi finestre ad arco acuto, prive di vetrate istoriate luminosissime, mentre le volte, quasi sempre a crociera, sono sostenute da eleganti e caratteristici pilastri a fascio. Le abbazie cistercensi, di clausura, sono spesso chiuse da un muro di cinta, lungo il quale si aprono gli ambienti di servizio. La scelta del sito di costruzione è legata alla presenza di acqua corrente. Cuore dell'abbazia è l'unico chiostro quadrato, intorno al quale si distribuiscono tutti gli ambienti. Sul lato nord, a sinistra, vi è la chiesa, a tre navate, con presbiterio, cappelle absidali e transetti quadrati. Le volte, sostenute da pilastri a fascio con capitelli dalla semplicissima decorazione fitomorfa, sono sempre a crociera nelle navate laterali, mentre quella centrale è in qualche caso coperta con volticine a semibotte. L'impressione di spoglia e rigorosa geometria comunicata oggi dalle chiese abbaziali cistercensi era in antico interrotta dalla presenza di un tramezzo, dotato di pulpito, che divideva in due le navate, separando la parte dei conversi dalla zona riservata ai monaci. Inoltre, nella navata centrale erano allineati gli stalli del coro. A livello del chiostro, allineata al transetto destro, vi è la sala capitolare, aperta da grandi finestre verso il chiostro per permettere ai conversi di assistere alle riunioni del capitolo. Accanto si trova la scala che porta al piano superiore, interamente occupato dal dormitorio comune dei monaci, che sovrasta anche lo scriptorium. Tra le cucine e un ben riscaldato ambiente si trova il refettorio, orientato in senso perpendicale alla navata della chiesa. In corrispondenza, si leva nel chiostro un'edicola-lavabo per le abluzioni. L'ultimo lato è riservato a un ampio magazzino-dispensa e ai locali per i conversi, con il refettorio e il dormitorio sovrapposti. Per quanto riguarda i materiali, la regola impone che siano semplici e di basso costo: quindi, le abbazie cistercensi sono sempre costruite con pietre provenienti da cave vicine o mattoni, senza inserimenti di marmi pregiati. La luce nell'arte gotica Perfezionando il sistema dei pilastri e delle volte per poter sostituire i muri con grandi vetrate, gli architetti gotici creano delle costruzioni diafane: la luce diurna può penentrare nelle chiese determinando suggestivi effetti, accendendo con bagliori le navate, i deambulatori, i trandetti, riflettendosi sulle superfici lucenti delle suppellettili d'oro e d'argento degli altari. La luce è il motivo centrale e ricorrente della cultura religiosa del XII e XIII secolo. L'estetica della luce è strettamente connessa con la metafisica della luce, cioè con l'idea che Dio è luce e la creazione fu un atto di illuminazione. L'universo è concepito come un insieme di luci che, per analogia, rimandano alla fonte del tutto, il chiarore divino. Ma se la luce è principio ordinatore del cosmo, ne deriva che la luminosità è un segno di distinzione della gerarchia degli esseri, segno di vicinanza a Dio, e la visione della luce materiale è fonte di piacere in quanto riflesso di Dio. Architettura gotica in Inghilterra e Germania Guillaume de Sens, architetto francese, dal 1174 erige in forme gotiche il coro della cattedrale di Canterbury, operando così il primo trapianto sul territorio inglese dello stile gotico francese. Il Gotico attechisce in Inghilterra rapidamente, trovandovi un ambiente favorevole grazie al carattere dell'architettura romanica locale, nella sua variante anglo-normanna. Presto però il Gotico qui manifesta un linguaggio proprio, sia nella configurazione delle piane e degli alzati che per la predilezione ornamentale, particolarmente evidente nelle facciate delle cattedrali e nelle fantasiose coperture interne. ► Coro della cattedrale di Lincoln, dal 1192: deriva da quello di Canterbury, ma presenta già i caratteri del Gotico inglese. Abolendo la ritmica cadenzata delle volte a crociera, le nervature ogivali che si slanciano dai pilastri, invece di confluire un un limitato numero di chiavi di volta al centro delle crociere, si diramano a raggiera, distribuendosi lung una nervatura assiale che percorre tutto il coro: la volta così assume così l'aspetto di un paramento continuo, che ricorda la forma di una spina di pesce. ► Cattedrale di York: la chiesa è a tre navate e il corpo basilicale, dopo essersi incrociato con il transetto, si prolunga in un coro molto lungo, diviso anch'esso in navate, a terminazione rettangolare. Mancano il deambulatorio e le cappelle radiali. Peculiare è anche la conformazione delle facciate, molto estese in orizzontale, animate dal movimento chiaroscurale dei contrafforti, delle nicchie, delle statue, e tali da mascherare, con la loro struttura a schermo pieno, la conformazione spaziale interna. ► Cattedrale di Wells, XII secolo: la facciata unifica in un paramento omogeneo lo sbocco delle tre navate e le due torri che le fiancheggiano. Lo slancio ascensionale delle nicchie, degli archi, dei contrafforti è frenato dalle lunghe orizzontali del basamento e dei marcapiani; i minuscoli portali non modificano l'effetto d'insieme, che è quello di un piano continuo, allungato in orizzontale. All'interno, per sostenere la navata che rischierebbe di crollare sotto il peso della torre eretta all'incrocio con il transetto, vi è una struttura di rinforzo ad archi contrapposti. ► L'abbazia di Westminster, dal 1245: costruita per volere del re Enrico III, rappresenta un raro caso di rottura delle convenzioni figurative locali. L'edificio si ispira palesemente alle grandi cattedrali francesi, con una pianta a tre navate con transetto e con un breve coro circondato da un deambulatorio e da una corona di cappelle radiali. Decisamente francese è anche l'interno, molto slanciato, riconoscibile come inglese solo dalla volta a nervatura assiale. Neanche qui manca la sala capitolare ottagonale, staccata dalla chiesa vera e propria, illuminata da ampie finestre, coperta da una volta a ombrello originata da un isolato pilastro centrale. ► Cattedrale di Exter, dal 1280: appartiene alla fase del Gotico ornato. La navata centrale si presenta molto più bassa e larga rispetto a Westminster, e diversa è anche la tipologia della volta: i costoloni che si dipartono a fasci conici dai pilastri, simili ai rami di una palma, non solo ► Camposanto di Pisa, 1278: opera di GIOVANNI DI SIMONE. È concepito come un chiostro rettangolare di arcate a tutto sesto, armoniose e regolari, il cui tono classicheggiante verrà attenuato, nel XV secolo, per l'introduzione delle quadrifore rette da esili colonnine e sormontate da delicati trafori. ► Cattedrale di Siena, dal 1247: Nicola lavora con l'aiuto di costruttori cistercensi, mettendo a punto un impianto a croce latina, a tre navate, scandito da campate rettangolari sostenute da alti pilastri a fascio. Lo slancio verticale appare smorzato dagli archi a tutto sesto che separano la navata centrale dalle laterali e dalla cornice marcapiano che corre al di sopra di essi. L'orizzontalità dell'impianto è ulteriormente sottolineata dalla bicromia bianca e verde scura, evidentemente ispirata dalla cattedrale di Pisa. Sul presbiterio si eleva un'ardita cupola poggiante su sei pilastri disposti ad esagono irregolare, uniti da arconi di diversa altezza (il più alto è l'arco trionfale che dà accesso alla navata centrale); l'esagono diventa un dodecagono nel tamburo ornato all'esterno da due gallerie. Tra il 1284 e il 1298 Giovanni Pisano aggiunge una campata alla navata centrale e costruisce la parte inferiore della facciata, coi tre profondi portali a tutto sesto sormontati da timpani triangolari ornati da sculture. Dal 1317 viene ampiato il coro, con un rifacimento delle volte della navata. Per quanto riguarda la decorazione esterna, Giovanni realizza tre portali strombati alla francese che sono da supporto alle statue dei Profeti e Sapienti dell'antichità che si muovono libere, completamente svincolate dall'architettura, naturali e inquiete. • Pulpito, 1256-1269: Nicola progetta un podio poligonale appoggiato ad arcate trilobate rette da colonne innalzate su leoni stilofori. Rispetto a Pisa, l'impianto è reso più continuo ed animato. La pianta diviene ottagonale e i sette riquadri del parapetto sono separati da figure scolpite. I temi dei rilievi sono l'Infanzia di Cristo, la Crocifissione, il Giudizio Universale ma il tono è più drammatico, per l'inserimento della Strage degli Innocenti e per il raddoppio dello spazio dedicato al Giudizio, suddiviso su due formelle contigue separate dal Cristo giudice. Le composizioni sono più affollate e scompaiono le figure più classiche e gravi che a Pisa conferivano ritmo solenne e monumentalità all'azione. L'affollamento va di pari passo con la maggior concitazione, con l'animazione gestuale, con l'accentuata espressività dei volti; i nessi compositivi sono più liberi. Si parla di un'accentuazione del goticismo, ma in realtà è più corretto pensare a un uso diverso delle fonti antiche e soprattutto alla fruizione di fonti diverse, quali i dinamici e affollati sarcofagi del III secolo d.C. D'altra parte Siena è una città meno segnata, rispetto a Pisa, dall'eredità classica, più incline a tonalità liriche e patetiche. È ancora aperto il problema dell'identificazione delle opere plastiche più antiche di Nicola Pisano e della sua prima attività, probabilmente dispiegata nei cantieri federiciani. Poco dopo la metà degli anni Quaranta, però, è ormai a capo di un'impresa ampia e ramificata, con numerosi aiuti che lavorano alle sue dipendenze. Nicola approfondisce e sintetizza le due principali tendenze dell'arte meridionale, la sensibilità naturalistica da una parte e il classicismo dall'altra, alimentato dallo studio delle numerose sculture antiche reperibili in Toscana, soprattutto a Pisa. Un probabile viaggio lo porta inoltre a contatto con le creazioni del Gotico francese, diffuse anche da libri di modelli che circolano a sud delle Alpi. ► Deposizione , portale di Lucca, 1260 ca.: le figure si inscrivono con assoluta naturalezza nella cornice semicircolare, sollevandosi dai lati verso il centro, sino al culmine espressivo del Cristo morto. Nicola ha intuito prontamente la richiesta degli ordini mendicanti di un'arte religiosa non solo didattica, ma anche commovente, di un'arte che colpisca l'affettività prima che la mente dei contemplanti. L'immagine del corpo di Cristo abbandonato, inerte e franante per il suo stesso peso, con le ginocchia che si piegano e la testa che si flette esanime nella stessa direzione del braccio, appare più vera. ► Fontana di piazza, 1275-1278, Perugia: è firmata da Nicola e da suo figlio Giovanni ed è la prima fontana pubblica italiana. La sua decorazione presenta per la prima volta un programma enciclopedico-allegorico con temi religiosi frammisti a simbologie politiche e ad ammonimenti di etica civica. È composta da due vasche poligonali sovrapposte, la prima a dodici facce, sospesa su colonne e ornata da statue a tutto tondo; la seconda a venticinque facce decorate a rilievo. Le statue superiori, in cui prevale l'intervento di Giovanni, rappresentano Perugia, cui rende omaggio la campagna chiusina, il Trasimeno, i santi Ercolano, Lorenzo e Benedetto; Roma, accanto alla Chiesa e alla Teologia, a san Pietro e a san Paolo; Euliste, il mitico fondatore della città, con le autorità civiche, personaggi biblici ed evangelici. I rilievi della vasca inferiore comprendono i Mesi, le Arti, scene bibliche e storiche, coppie di animali come allegorie morali. 2. Arnolfo di Cambio ARNOLFO DI CAMBIO, formatosi alla bottega di Nicola Pisano, la lascia per trasferirsi a Roma al servizio di Carlo I d'Angiò. Ciò spiega come Arnolfo inclini inizialmente verso modelli francesi recenti. Egli in questa prima fase contrappone alla plasticità di Nicola una tensione dinamica compressa in superficie, tutt'altro che classica, e solo in un secondo tempo perviene, sia nell'attività architettonica che nelle sculture, a un ritmo più pacato e grandioso, senza però mai dimenticare le tensioni di superficie della fase precedente. ► Statue degli Assetati dalla fontana di Perugia, 1277-1281: queste statue, smontate da una fontana d'uso di Perugia, mostrano la prima fase di Arnolfo. Le pose elaborate derivano da modelli antichi e danno la misura della padronanza con cui lo scultore atteggia le sue figure, che sembrano quasi spasmodicamente tese, per la torsione del busto, ad appiattirsi sulle lastre di fondo, aderendovi con la superficie corporea, come se vi fossero schiacciate. ► Monumento sepolcrale del cardinale de Braye nella chiesa di san Domenico, 1282, Orvieto: con la sua complessa struttura mista di scultura e architettura, si risolve in una dinamica tensione di forme geometriche proiettate sul piano parietale. Alcuni frammenti ci permettono di ricostruire il disegno della grande arcata cuspidata, ornata da pinnacoli e retta da colonne tortili, che inglobava il complesso e che era riecheggiata dai timpani minori sotto cui erano posti i tre gruppi statuari della zona superiore. Con queste integrazioni si determina un ritmo saliente verso il culmine acutangolo, a simboleggiare l'ascesa dell'anima del defunto dopo la morte. Anche i gruppi plastici esprimono il contrasto tra la morte e la vita ultraterrena: è rappresentato il corpo del defunto disteso su un catafalco, visibile attraverso il varco delle tende scostate da due accoliti; più sopra il cardinale ricompare inginocchiato accanto a san Marco e di fronte a san Domenico in adorazione della Vergine in trono. Arnolfo predilige composizioni più essenziali, con poche, grandi statue collocate nei punti nodali della composizione e i forti stacchi tra luce ed ombre determinati dai netti profili delle membrature architettoniche. Inoltre, arricchisce il monumento con campiture colorate a mosaico e a intarsio, ispirate alla tradizione tipicamente romana e duecentesca delle decorazioni policrome di marmo e pietre colorate dei maestri Cosmati. Il ritratto del cardinale evidenzia la sua età avanzata. Arnolfo è tra i primi scultori a sfruttare calchi presi direttamente dal volto per rendere ancora più realistici i ritratti. ► Monumento a Carlo I d'Angiò, 1277, Roma: Arnolfo è il primo a rappresentare un vivente. Il sovrano è assiso su un trono ornato da protomi leonine, in una posa maestosa ma naturale, in accordo con l'espressione veridica e imperiosa del volto. Vi è un preciso intento di celebrazione politica: solo i grandi della Terra possono ambire ad essere ritratti per contesti monumentali destinati alla pubblica visione. ► Ciborio della chiesa di San Paolo fuori le mura, 1285, Roma: è un monumento di stretta derivazione parigina. È unificato dalla decisa spinta ascensionale che, dalle quattro colonne di sostegno, trapassa agli archi acuti trilobati e, dopo il momentaneo arresto nel marcapiano orizzontale, si trasmette ai timpani traforati fiancheggiati da pinnacoli aguzzi, culminando nella torre svettante al sommo della copertura. Non solo il ciborio esprime una concezione gotica dell'architettura ma ogni sua faccia, separata dalle adiacenti da spigoli vivi, si presta a una visione strettamente frontale, a scapito della volumetria d'insieme. ► Ciborio della chiesa di Santa Cecilia in Trastevere, 1293, Roma: per effetto dell'allargarsi degli archi e del ribassarsi dei timpani, si apre allo spazio circostante. Anche le statue angolari si muovono più liberamente e i pinnacoli sono girati obliquamente di 45 gradi rispetto alle facce. La svolta è frutto delle meditazioni di Arnolfo sulla volumetria delle antiche costruzioni romane. ► Chiesa di Santa Maria Novella, dal 1278, Firenze: chiesa per i Domenicani a tre navate, coperte da volte ogivali, che sboccano nei transetti di fronte agli accessi delle cappelle rettangolari simmetricamente disposte a fianco della più ampia cappella centrale. Viene usato l'effetto prospettico di accorciare progressivamente le campate, dall'ingresso verso il transetto, per ottenere un effetto illusionistico di allungamento della navata. Questa costruzione è ampia e presenta una chiara organizzazione strutturale, leggibile come metafora della razionale filosofia tomistica cui l'Ordine domenicano si ispira. Le campate della navata sono ampie e larghe e rette da armoniosi pilastri compositi. Le arcate sono molto alte e aperte fino al limite delle possibilità statiche, di modo che le navate laterali si fondono con la nave maggiore, determinando un ampio spazio unitario, quasi un'unica aula adatta alla predicazione. L'austerità dei materiali costruttivi viene attenuata dalle cornici bicrome che si trovano nelle strutture portanti. ► Cattedrale di Orvieto, dal 1290: a torto è stata attribuita ad Arnolfo di Cambio. La pianta originale è rettangolare, a tre navate, priva di transetto (aggiunto successivamente). Gli archi che delimitano le navate sono molto ampi e l'effetto d'insieme richiama il duomo di Siena per l'adozione di archi a tutto sesto, di lunghi cornicioni rettilinei e di un'ornamentazione bicroma che dilaga sulle strutture portanti e sulle pareti. Risalta il contrasto tra il movimento spaziale e chiaroscurale della zona inferiore, al di sotto del cornicione (anche le pareti esterne delle navate laterali sono ondulate da una sequenza di absidiole), e la liscia semplicità delle pareti superiori della navata centrale, in cui si aprono finestre prive di incorniciature. Per quanto riguarda la facciata, l'autore è LORENZO MAITANI. Egli realizza una delle più armoniose facciate ecclesiastiche italiane: malgrado l'impiego di soluzioni del Gotico nordico – dai portali strombati sotto cuspidi, i contrafforti che si prolungano in pinnacoli –, egli blocca lo slancio ascensionale con l'orizzontale galleria e semplifica il disegno con un incastro di forme geometriche semplici, quadrangolari e triangolari. Maitani scolpisce i rilievi sui quattro contrafforti accanto ai portali. Razionalista come architetto, egli sa essere uno scultore di delicato lirismo, o intensamente emotivo come attestano le figure drammatiche dei dannati ghermiti dai terribili diavoli dell'Inferno nel quarto pilastro. ► Chiesa di San Fortunato, 1292-1328, Todi: a tre navate, coperte da volte ogivali. Viene usata una nuova soluzione per unificare le navate, rendendole tutte alte uguali, ma poiché le volte laterali determinano spinte troppo forti si deve ricorrere a catene interne in muratura. La sistemazione delle pareti ricorda la chiesa superiore di Assisi, per l'introduzione del ballatoio percorribile e per la scansione delle pareti con arconi archiacuti. ► Chiesa di Santa Croce, dal 1294-95, Firenze: l'attribuzione ad Arnolfo di Cambio è basata sull'articolazione della struttura e sull'effetto di forte tensione generato dalla solenne spazialità, incassata entro rigorosi limiti bidimensionali. La pianta è a croce latina a tre navate, con transetto su cui si affacciano le cappelle orientate, cinque per parte ai lati della cappella maggiore. La copertura è a capriate, tranne che nelle cappelle terminali. Anche qui gli archi a sesto acuto delle navate, retti da pilastri poligonali, sono molto ampi. La grande navata centrale si fonde con le laterali determinando la sensazione di un unico, immane vano. La quota della navata è tale che al di sopra sulla Redenzione e sul mistero dell'Incarnazione; la Madonna col Bambino, rappresentata solennemente assisa in trono come metafora dell'Ecclesia, ma al tempo stesso legata da un tenero rapporto con il figlio, come emblema di una religione umanizzata; l'immagine di san Francesco, contornata, se possibile, dagli episodi miracolosi della sua vita, che promuove il culto popolare del santo. ► Croce dipinta, 1210-1220: è opera di BERLINGHIERO BERLINGHIERI. Il Cristo appare in posa statica, definito sulla scorta di sommarie conoscenze anatomiche, con le membra delineate graficamente tramite luminescenze e sottili ombreggiature. È ancora il Cristo triumphans dell'Alto Medioevo, la divinità incarnata che non soffre sulla croce, che non muore (gli occhi sono aperti, l'espressione è impassibile) ma trionfa sulla morte. ► Dossale d'altare con San Francesco e storie della sua vita , 1233: in questa tavola sono fissati per la prima volta in forma narrativa alcuni episodi salienti della sua vita: sei vivaci scenette allineate verticalmente ai lati della rigida, allungata, ieratica effigie. Secondo la tipologia compositiva più comune di quest'epoca delle tavole d'altare, desunta da rilievi o dipinti votivi di epoca romana, il protagonista a piena figura, immobile, è fiancheggiato dalle storie a più personaggi e arricchite da cenni ambientali. A partire da quest'epoca, i santi sono sempre accompagnati da attributi fissi, allusivi alla loro vita e all'eventuale martirio, che ne rendono possibile l'identificazione. Accanto a Lucca, Pisa è sede, nel primo Duecento, di una scuola pittorica che però, pur ancorata a modelli bizantini, opta per un linguaggio meno stilizzato e più drammatico. ► Dossale d'altare con San Francesco e i suoi miracoli , 1250: la figura appare viva e animata, le proporzioni sono massicce, una gamba si scosta dall'altra, le pieghe del saio sono mosse dagli spostamenti delle membra sottostanti. Anche gli angioletti al di sopra dei miracoli si volgono di tre quarti rompendo la rigida frontalità delle figure della prima tavola. ► Croce dipinta n. 20, 1230, Museo Nazionale di Pisa: è opera di un maestro greco operante nella città toscana ed è importante non solo per l'intelligenza formale con cui sono raffigurati l'avanzare di una gamba rispetto all'altra aderente al legno della croce e il conseguente scostarsi del perizoma, o per la sintetica drammaticità delle storie della Passione illustrate sotto i bracci della croce, ma soprattutto perchè per la prima volta viene adottato il motivo del Cristo patiens, del Dio fatto uomo che muore sulla croce chiudendo gli occhi e reclinando il capo. A rinforzo della dolente immagine non manca un fiotto di sangue che zampilla dalla ferita aperta nel costato. GIUNTA PISANO sembra essere il primo a registrare la novità iconografica e a riproporla, in una perduta croce dipinta nel 1236 per la basilica inferiore di Assisi, centro della religiosità francescana. Giunta Pisano è una figura fondamentale della pittura del Duecento. Sottolinea la drammaticità propria del tema di Cristo morto con raffinati mezzi espressivi. ► Croce dipinta del Museo Nazionale di Pisa, 1250 e Croce dipinta di San Domenico a Bologna, 1250-1254: si vede il corpo di Cristo inarcarsi nello spazio, teso nello spasimo dell'agonia, in fiero contrasto con la sagoma rettilinea del legno. Il bacino del dolente, spostato in fuori, invade la campitura laterale sotto i bracci della croce. Le storie minori non trovano più posto e sono abolite, anche per evitare che l'attenzione dello spettatore si disperda su immagini accessorie. Alle estremità dei bracci della croce Maria e san Giovanni, a mezzo busto, sono ingranditi e fissati in pose di compianto. Rispetto ai prototipi bizantini, la struttura corporea di Cristo è potenziata e precisata da un chiaroscuro più sfumato che smorza la resa grafica dell'anatomia. Il trapasso della frontalità delle spalle al tre quarti del bacino è sottolineato dal tendersi della pelle del fianco in una piega che confluisce verso lo stomaco. Le proporzioni restano innaturalmente allungate, ma puntano ad accentuare il pathos, accordandosi con la magrezza delle membra, con l'affiorare delle ossa, con la tagliente curvatura dei muscoli ascellari, con la definizione triangolare del volto segnato dai profondi tagli obliqui delle sopracciglia. ► Madonna di Montelungo , 1250, Arezzo: firmata da MARGARITONE D'AREZZO. La tavola si conforma a una tipologia cristiano-orientale di origine egiziana: madre e bambino sono severamente frontali e appiattiti e il figlio, piuttosto che come uno spensierato pargoletto, è rappresentato come un dio-infante benedicente, con lo scettro in mano, tanto compreso nel suo aulico ruolo da non accorgersi della madre che gli sta solleticando amorevolmente il piedino. ► Madonna col Bambino , 1261, Siena: realizzata da COPPO DI MARCOVALDO. Il bambino è ora volto verso la madre in un atteggiamento intenerito che simboleggia il trepidare della divinità per la sua Chiesa, ma che si concreta nella significativa visione di un rapporto umanizzato. I panneggi del manto di Maria, segnati da sottili striature dorate, accennano a definire l'espansione volumetrica del busto e delle gambe. Anche Coppo forza dall'interno gli schemi bizantini, ora nel tentativo di recuperare una volumetria perduta da secoli, ora a sua volta in senso espressionistico. ► Madonna col Bambino , 1270, chiesa di Santa Maria dei Servi, Orvieto: qui il serrato involucro delle due figure appare percorso dai tracciati incandescenti delle luminescenze dorate, che paiono esplodere come fuochi d'artificio. Il bimbo, molto irrobustito, sembra dibattersi scalciando e la madre è costretta a spostare lateralmente il busto, ma in modo innaturale, spezzando il corpo all'altezza del bacino. Anche lo schienale del trono ligneo ha i fianchi bombati per sottolineare l'energia compressa che le figure non riescono a contenere. ► Crocifisso, entro il 1270, chiesa di San Domenico, Arezzo: è opera di CIMABUE e dimostra il suo orientamento in senso moderno, ispirandosi al modello di Giunta Pisano, forse per esplicita richiesta dei committenti. A Giunta rimandano l'impiento compositivo (con Maria e san Giovanni alle estremità dei bracci della croce), la scelta iconografica del Cristo patiens, la sigla ancora grafica delle definizioni anatomiche, ma si avverte anche l'influsso di Coppo nell'incarnarsi più insistito del corpo di Cristo o nelle striature dorate che accendono le vesti dei due dolenti e il perizoma di Cristo. Il Cristo è grandioso, ma anche singolarmente sinuoso ed emaciato. ► Crocifisso, 1280, chiesa di Santa Croce, Firenze: si notano delle forti differenze, stimolate dalle esigenze dei Francescani cui l'opera è destinata, ma certo anche dalle meditazioni sulle creazioni plastiche di Nicola Pisano. Qui Cristo è ancora più emaciato e inarcato. Le linee che segnavano i profili, le ossa, i muscoli sono sostituite da ombre sfumate, con le quali il pittore modella il rilievo in accordo con una fonte di luce approssimativamente calcolata. Le ombre si scuriscono in relazione con la profondità degli incavi e degli scorci: appena accennate sui gomiti o sulla muscolatura del ventre, si fanno più marcate sotto la testa, sul fianco, tra le gambe. E i panneggi, abolite le astratte striature dorate, fluiscono anch'essi morbidamente, modulati dal chiaroscuro. Nel perizoma di Cristo Cimabue riscopre persino il motivo della trasparenza: la stoffa velata lascia intravvedere o copre le membra sottostanti a seconda del suo stendersi o stratificarsi. Cimabue è il primo pittore a usare il colore in questo modo; i morbidi e sfumati trapassi gli consentono di conseguire un inedito naturalismo. ► Madonna col Bambino , 1280, Musée du Louvre: Cimabue non inclina al sentimentalismo, non propone sguardi incrociati tra i personaggi, né la Vergine regge il piedino del Bambino: i protagonisti affermano la loro divina maestà tramite le pose semplificate, ben misurate entro l'incastellatura imponente del trono. Eppure le figure sono molto umanizzate e fisicamente presenti, e i volumi corporei appaiono sbalzati dai panneggi fittamente piegati e sovrapposti. I sei angeli, disposti a tre a tre ai lati del trono, completano la composizione definendo una corte d'onore dispiegata in superficie, poichè per il momento Cimabue è alieno dallo sviluppo di una coerente proposta di illusionismo spaziale. ► Madonna Rucellai , 1285, Firenze: opera di DUCCIO DI BUONINSEGNA. Seguendo il proprio estro gotico, egli rende più aristocratica la versione di Cimabue, addolcisce il contenuto umano e introduce nel disegno un nervoso ritmo lineare, sottolineato dal mosso schienale di stoffa o dall'orlo del manto chiaro della Vergine che scende dal petto fino ai piedi definendo una scia capricciosa. ► Maestà , 1290-1300, Firenze: proviene da Santa Trinita. I massicci braccioli del grande trono convergono in profondità; la base del sedile, dove sono inseriti i Profeti che hanno predetto l'incarnazione, si flette determinando un'incredibile concavità, ripresa più sopra dall'incurvarsi del manto di Maria. Anche gli angeli, malgrado le innaturali sovrapposizioni in superficie, inclinando le teste verso diverse direzioni e girando dietro il trono, accentuano l'impressione dell'affondo nella terza dimensione. ► Crocifisso , 1296-1300, chiesa di Santa Maria Novella, Firenze: Giotto elimina il cliché dell'inarcarsi del corpo di Cristo e dispone la figura in accordo con le leggi dell'anatomia, sbalzandone le solide membra per forza di chiaroscuri. I piedi sono accavallati e forati da un solo chiodo, perciò le ginocchia si piegano. ► Maestà , 1300-1303, Uffizi, Firenze: da notare la solida volumetria dei protagonisti incastonati entro il prezioso trono cuspidato, quasi trasformato in una chiesa per esprimere la tradizionale identificazione simbolica della Vergine con l'Ecclesia, o sugli angeli e i santi raccolti ai lati del trono, disposti di profilo nello spazio, uno dietro l'altro anzichè uno sopra l'altro come nella Maestà di Duccio e Cimabue, ben proporzionati e diversificati nelle fisionomie. 6. La cultura romana È un fenomeno di ascendenza romana il rifiorire dell'interesse verso la spazialità e la maestosità dell'arte antica, sostenuto dal clima trionfale che vige nella capitale papale dopo la sconfitta di Carlo I d'Angiò, dal quale Giotto trae spunti fondamentali. JACOPO TORRITI, un favorito di Niccolò IV, lavora ad Assisi, poi, tornato a Roma, fornisce il modello per i mosaici absidali di Santa Maria Maggiore, terminati verso il 1295. ► Mosaici absidali della chiesa di Santa Maria Maggiore, 1295, Roma: vi è raffigurata una grande Incoronazione della Vergine inserita in un tondo; più sotto vi è l'offerente, Niccolò IV, accanto ad altri santi; più sotto ancora sono alcuni episodi della Vita della Vergine. Risalta la solennità dell'Incoronazione, con accenni spaziali nel sedile e nei geometrici poggiapiedi scorciati, mentre il fondo del catino absidale, a girali d'acanto, rimanda a esempi paleocristiani. Nel complesso, l'opera di Torriti presenta ancora elementi bizantini, anche se vivificati da desunzioni tardo-antiche. Un altro caso è quello di PIETRO CAVALLINI, più giovane di Torriti, di cui però non sono rimasti gli affreschi di San Paolo Fuori le Mura che egli restaura. ► Giudizio Universale della chiesa di Santa Maria in Trastevere, 1259 ca., Roma: è dipinto nella controfacciata della chiesa. È un affresco importante e innovativo. Le tradizionali fasce sovrapposte su cui il soggetto veniva finora suddiviso sono ridotte a due, e dotate di un opposto ritmo direzionale. In quella superiore il convergere degli sguardi degli apostoli e l'inclinazione dei troni spinge lo sguardo verso il centro, dov'è il Giudice chiuso nella sua mandorla. Nella fascia inferiore l'opposizione delle trombe degli angeli determina un moto divergente verso i lati. La concezione grandiosa degli apostoli assisi negli scranni indica che Cavallini, come Giotto, voltate le spalle alla tradizione bizantina, tende a una plasticità antica. I manti, ricadendo con ampie falcate, svelano la disposizione delle membra; la cromia è estremamente sfumata, i trapassi chiaroscurali sono modulati con tale raffinatezza da far sospettare un attento studio del colorismo degli affreschi classici. 7. Giotto a Padova ► Affreschi dell'Oratorio degli Scrovegni, 1303-1305, Padova: l'oratorio è costituito da un unica navata coperta da volta a botte su cui s'innesta uno stretto coro. Fu fondato da Enrico Scrovegni, il scambi delle esperienze. 1. Firenze ► Campanile della chiesa di Santa Maria del Fiore, iniziato nel 1334-37, Firenze: Fu iniziato da Giotto e poi completato da Andrea Pisano e da Francesco Talenti. La variegata cromia delle incrostazioni marmoree, che rivela le predilezioni coloristiche dell'architetto-pittore, arricchisce la solida struttura verticale serrata da contrafforti angolari, ritmata da rilievi, statue, cornici marcapiano, finestre. Firenze attraversa una fase di forte sviluppo determinato dalle attività industriali e bancarie. ► Palazzo Vecchio, 1299-1314, Firenze: il dominio dei magnati guelfi affiliati alle Arti Maggiori è qui emblematicamente espresso. La nuova sede del comune fu costruita in breve tempo su progetto di Arnolfo di Cambio. Il palazzo ha l'aspetto di maniero fortificato, ma la massiccia mole è ingentilita dalle file regolari di finestre e mossa dall'alta torre decentrata. Le sale interne vengono ornate con cicli di affreschi di tema civico nei quali interviene anche Giotto, che però purtroppo non sono giunti sino a noi. La scultura è meno praticata dai fiorentini. ► Porta bronzea del battistero di Firenze, 1330-1336: Andrea Pisano esegue questo grande portale istoriandovi le Storie di san Giovanni Battista e le Virtù. Lo scultore aggiorna la tipologia dei portali romanici inserendo nelle ventotto formelle quadrate cornici mistilinee, tipicamente gotiche, entro cui dispone le composizioni figurate, a loro volta racchiuse entro profili quadrangolari. Ne risulta una feconda tensione, tra linee rette e spezzate, a cui partecipano le figure stesse quando le falcature dei panneggi introducono ulteriori elementi di dinamismo lineare. ► Formelle del campanile della chiesa di Santa Maria del Fiore, 1348-1350: in queste formelle, scolpite da Andrea Pisano per il basamento del campanile, l'influsso di Giotto è decisivo. Un elemento interessante è l'adeguamento iconografico dell'enciclopedia gotica alla specifica realtà culturale ed economica fiorentina. Così, tra le campiture del Peccato originale, delle Virtù, delle Arti liberali, dei Pianeti e dei Sacramenti, si assiste alla prima sistematica rappresentazione delle Arti meccaniche con scene che illustrano il lavoro – tra cui la Tessitura, in omaggio alla principale attività dell'industria locale e all'Arte della Lana che finanzia il ciclo –, cui sono accostate anche le tre Arti figurative, a conferma dello status sociale acquisito ormai da questa attività. • Formella della Scultura : si vede un artefice intento a modellare un nudo, quindi una statua profana, se non addirittura classica. 2. Giotto e i giotteschi fiorentini Giotto non va considerato solo come un pittore, egli è il direttore di un'imponente ditta artistica dove operano, al suo servizio, decine di pittori e di artigiani che traggono spunto dalle sue invenzioni e si conformano al suo insegnamento. Quindi il suo influsso è ben avvertibile nei dipinti eseguiti a Firenze all'inizio del Trecento, ma non è univoco, poiché si coniuga con precedenti sedimenti stilistici e perchè lo stesso stile di Giotto appare in continua evoluzione. ► Pala d'altare con Santa Cecilia e le storie della sua vita , 1304 ca., Uffizi, Firenze: è opera del cosiddetto MAESTRO DELLA SANTA CECILIA. La tipologia è ancora duecentesca, ma il giottismo è un elemento di modernizzazione. La santa del pannello centrale è una solida figura plasticamente modellata e il suo trono è spazioso, non meno degli sfondi architettonici delle storie laterali. ► Storie dei SS. Giovanni Battista e Giovanni Evangelista nella cappella Peruzzi nella chiesa di Santa Croce, 1318 ca., Firenze: purtroppo, essendo eseguite a secco, non sono giunte a noi in un buono stato di conservazione. La superficie è troppo abrasa per lasciar rilevare le finezze della stesura pittorica; per contro risaltano la plastica concezione delle solenni figure, avvolte entro panni che mai Giotto aveva dipinto tanto ampi, e l'accordo ritmico tra le figure e le aggressive prospettive architettoniche, talora poste di spigolo verso lo spettatore, come per travalicare il piano di posa dell'immagine. Il portico della Festa di Erode incomberebbe nello spazio reale, se non fosse tagliato dalla cornice inferiore. Nella Resurrezione di Drusiana lo sfondo è occupato dalle mura di una città disposta in tralice, che non invadono il proscenio ma ritmano il disporsi dei gruppi figurali. Spiccano alcuni maestosi personaggi, tra i quali l'Evangelista che opera il miracolo sollvando un braccio con studiata lentezza. ► Storie di san Francesco nella cappella Bardi nella chiesa di Santa Croce, entro il 1328, Firenze: esse attestano una fase di stasi inventiva, pur punteggiata da commoventi brani figurali. Risalta la potente composizione, decisamente protorinascimentale, della Prova del fuoco incentrata sulla maestosa figura del sultano assiso in trono. Dopo il 1328 Giotto sparisce come pittore dalla scena fiorentina e si trasferisce con la sua équipe a Napoli, al servizio di Roberto d'Angiò. Tornato a Firenze nel 1334 è impiegato come architetto del duomo, del campanile, delle mura, delle fortificazioni, ma contemporaneamente si sposta a Milano al servizio di Azzone Visconti e il suo stile diventa un fattore di unificazione dell'arte italiana. ► Storie di Maria nella cappella Baroncelli nella chiesa di Santa Croce, 1330 ca., Firenze: sono opera di TADDEO GADDI, allievo di Giotto. È il ciclo più importante della sua carriera e nel quale esplicita la sua posizione rispetto alla poetica del maestro. Taddeo tende a sgranare la concentrazione giottesca, cioè a disporre con maggiore libertà narrativa e descrittiva le sue figure, moltiplicando i dettagli naturalistici e pittoreschi; ma riprende altresì le sperimentazioni prospettiche di Giotto, pervenendo a interessanti risultati, come nella Presentazione della Vergine al tempio, caratterizzata dall'ardita scalinata in prospettiva che sale verso la chiesa spezzandosi in tronconi volti in diverse direzioni, o nelle finte nicchie della fascia inferiore, dove dispone le più antiche nature morte della pittura italiana, riprendendo lo spunto dei coretti padovani di Giotto. Dalla bottega di Giotto esce forse BERNARDO DADDI, il quale, deviando dal gusto serrato e austero del maestro, punta su un tono più lirico, complice anche l'influsso dei pittori senesi presenti a Firenze. Il suo tema prediletto è la Madonna col Bambino che arricchisce con teneri particolari atti a sollecitare i sentimenti dei fedeli. ► Polittico di san Pancrazio, 1336-1338 ca., Uffizi, Firenze: qui la Vergine offre al Bambino dei fiori e quest'ultimo stringe nella mano un cardellino, simbolo della Passione. La scala metrica degli angeli, molto ridotta, indica che l'addolcimento sentimentale è controbilanciato da una restaurazione delle gerarchie tradizionali, con un arretramento rispetto alle conquiste giottesche. Invece, una ferma opposizione al giottismo traspare nelle opere di un altro maestro fiorentino, il cosiddetto MAESTRO DEL CODICE DI SAN GIORGIO. Egli non è interessato dalla spazialità e dalla solidità statuaria delle immagini dei giotteschi; piuttosto inclina a preziosità lineari e alle irrazionali descrizioni topografiche del Gotico transalpino. L'erede più coerente di Giotto è MASO DA BANCO. ► Storie di san Silvestro nella cappella Bardi di Vernio nella chiesa di Santa Croce, 1340, Firenze: qui le storie sono narrate con solenni ritmi figurali impostati entro profonde ambientazioni architettoniche e paesistiche. Nell'episodio di San Silvestro che resuscita i due maghi vi è una forte naturalezza nel convergere delle linee prospettiche del fondale architettonico che guida l'occhio del riguardante sulla figura del protagonista fissato in una posa di benedizione, con il braccio levato. Supera perfino Giotto quanto a raffinatezza cromatica, per l'abile accostamento di campiture bianche, rosa, gialle che si riecheggiano ed esaltano a vicenda, e per la straordinaria capacità di conferire luminosità ai colori. Il chiaroscuro di Maso non è un contrasto tra luce ed ombra, ma tra variabili intensità di una luce che si diffonde ovunque, anche nelle tenebre. Un altro misterioso allievo di Giotto è STEFANO FIORENTINO, la cui originalità consiste nell'unione dei colori, nella delicatezza dei trapassi cromatici, tali da conferire parvenza di vita alle sue figure. È evidente, quindi, che fin dal secondo decennio del secolo i pittori più vicini a Giotto s'interessano molto alla luminosità e alla fusione dei colori, riprendendo una tendenza del maestro. Questi interessi trovano un eccezionale interprete in PUCCIO CAPANNA, un pittore forse fiorentino di nascita ma che opera soprattutto ad Assisi, nella basilica inferiore e in altre sedi. Il frutto più maturo di questa discendenza giottesca tesa a esplorare verità umane e potenzialità della maniera dolcissima e tanto unita è Giotto di Stefano, detto GIOTTINO, figlio di Stefano. ► Pietà , 1350 ca., Uffizi, Firenze: il ricorso allo schema del Compianto di Giotto agli Scrovegni gli offre il modo di illustrare i brani di toccante verità fisionomica: nei volti della Maddalena piangente a sinistra, nel san Giovanni accorato, chino con le mani giunte, nei personaggi in piedi a destra. ► Madonna e santi , 1360-1370, Firenze: è un affresco per un tabernacolo di via del Leone. Qui il verismo fisionomico dei santi si congiunge con un gusto più aristocratico e raffinato: ne esce una Vergine dal busto allungato. 3. Siena: i cantieri architettonici e la scultura Nel primo Trecento Siena si arricchisce di nuovi palazzi, chiesa, sculture e dipinti. La città ha alle spalle una vicenda duecentesca di alleanze ghibelline e questo fatto, sommandosi con l'influsso determinante di Giovanni Pisano (che lavora al duomo) e con l'ampia circolazione di manufatti transalpini, determina una cultura figurativa aperta alle influenze del Gotico francese, più aristocratica rispetto a quella fiorentina. Inoltre, a Siena risalta un tono più civico e politico rispetto a Firenze. Il Comune regola la pianificazione urbana, impone leggi protezionistiche che impediscono l'impiego di artisti venuti da fuori. In cambio richiede agli artisti immagini di esplicita propaganda politica, sfruttando le immagini in una razionale strategia di ricerca del consenso. ► Palazzo pubblico, dal 1297, Siena: non è un caso che questo sia il monumento più sontuoso eretto nella prima metà del secolo. Esso è costituito da tre blocchi merlati, di cui quello centrale più alto, dominati dalla Torre del Mangia. Il blocco più antico è quello centrale, simile a un broletto del nord Italia. All'interno vengono allestite le sale necessarie per accogliere i vari organismi del governo, abbellite da splendidi cicli di affreschi. Ora la piazza non è più intesa come un semplice varco vuoto aperto tra edifici di aspetto disparato, ma come uno scenario unificato che serve a dare risonanza al Palazzo, cioè ad esaltare simbolicamente un modello politico. Un importante artista senese è TINO DI CAMAINO, allievo di Giovanni Pisano, attivo a Pisa, Firenze e Napoli, dove riceve importanti commissioni ufficiali. ► Monumento funebre del cardinale Riccardo Petroni, 1313-1317, duomo di Siena: l'impiego di quattro angeli a sostegno del catafalco richiama lo schema delle Virtù-cariatidi di Giovanni Pisano, mentre il morto è adagiato entro un baldacchino di cui due angeli scostano le cortine. Originale è la fronte lavorata a rilievo con episodi della Resurrezione di Cristo di forte e semplificato sbalzo plastico, trascrizione della tipologia antica dei sarcofaghi a figurazione continua. L'ultimo tempo di questo artista, trascorso a Napoli al servizio di Roberto d'Angiò, si svolge all'insegna di una raffinata idealizzazione formale, più adatta ad esprimere il clima culturale rarefatto della corte meridionale. Per introdurre un accenno a generi affini alla scultura praticati dai senesi a fine Duecento, vi è un'opera di GORO DI GREGORIO. ► Arca di san Cerbone, 1324: nei rilievi delle Storie di san Cerbone, sulla cassa marmorea, i fitti motivi astratti che ornano gli sfondi risultano desunti dalle miniature francesi. Maestri nella lavorazione dei metalli preziosi, gli orefici di Siena traggono dal Nord-Europa l'idea dalle levatrici, che occupa due tavole, e quella dov'è confinato Gioachino, il padre di Maria, in trepida attesa. La cornice è inclusa nel gioco illusionistico, poichè i pilastrini divisori sono anche i sostegni delle volte dipinte. Tutte le ortogonali al piano di proiezione dell'immagine convergono in profondità lungo direttive empiricamente calcolate. Il trittico di Pietro Lorenzetti è l'esito più compiuto delle ricerche illusionistiche inaugurate da Giotto. Inoltre, è straordinario come il pittore raffigura due interni domestici ben accordati con la scala delle figure e di straordinaria veridicità, descrivendo con minuzia puntigliosa il pavimento a mattonelle, il letto circondato dalla cortina tessile, le voltarelle costolonate e il paesaggio che si allunga in profondità oltre la finestra della stanza a sinistra. Ambrogio Lorenzetti rappresenta sin dagli esordi un'alternativa rispetto alla vena aristocratica di Simone Martini. ► Tavola con Madonna col Bambino , 1319, Firenze: la scena è rigidamente frontale, una plastica creazione di estrazione giottesca o arnolfiana, per la solida struttura del trono, o per la ferma presa con cui Maria imbraccia quel suo possente infante che scalcia e si agita come un bambino vero. Ambrogio Lorenzetti sviluppa una briosa vena narrativa, applicabile sia alla scala monumentale dell'affresco che alle tavole di piccole dimensioni. ► San Nicola resuscita il bambino strozzato dal demonio , 1332, Uffizi, Firenze: qui, oltre a dimostrare le sue non comuni doti di prospettico, riesce a evitare l'innaturale convenzione secondo cui le scene d'interno sono rese visibili tramite l'abolizione delle pareti frontali, disponendo le sue figure in una sala aperta da un'arcata, o entro una loggia al primo piano e riducendo molto, sino quasi a eliminarlo, il fondale dorato. ► Tavola con Madonna col Bambino, angeli e santi , 1335-1340, Siena: qui è citato il vaso di fiori dell'Annunciazione di Simone Martini. Ambrogio propone un deciso affondo nella terza dimensione, sottolineato dalle linee della pavimentazione, dai santi inginocchiati con le gambe rivolte verso lo spettatore, dal rimpicciolirsi in profondità delle teste degli angeli raccolti attorno al trono. ► Allegorie ed effetti del Buono e Cattivo Governo , 1338, Sala del Mappamondo del Palazzo Pubblico di Siena: questi affreschi, capolavoro di Ambrogio Lorenzetti, si ispirano a testi di Aristotele e Tommaso d'Aquino. Essi delineano una vasta illustrazione dei principi politici su cui si regge lo stato senese in quel felice momento di pacificazione tra le fazioni guelfa e ghibellina. • Allegorie del Buon Governo : mostrano la Giustizia ispirata dalla Sapienza, che genera Concordia tra i cittadini e quindi il Buon Governo – una sorta di monarca in maestà – protetto dalle Virtù Teologali e fiancheggiato dalle personificazioni della Giustizia, della Temperanza, della Magnanimità, della Prudenza, della Fortezza e della Pace. Ne consegue il benigno Effetto, cioè il vasto paesaggio della città edificata, laboriosa e unita, incentrata su un gaio girotondo di fanciulle, collegata alla fertile campagna oltre le mura, fervente per i lavori agricoli, percorsa da allegre brigate di cittadini a caccia, sotto la protezione della Sicurezza. La città del Buon Governo appare la più vasta e credibile veduta urbana mai realizzata sino ad allora, una città inerpicata su un colle, formata da torri, logge, chiese, palazzi, volumi di forma e colore diversificato che diminuiscono di scala in profondità. Siamo di fronte a un culmine assoluto del naturalismo trecentesco. La campagna non era mai stata così ben delineata, con una strada che scende verso la vallata, circondata da colline scalate fino all'orizzonte, animate da case coloniche, campi, figurette di contadini. E mai era stata descritta con tanta vivacità la multiforme società medievale, visualizzando il mutuo rapporto socio-economico che unisce la città al suo contado. • Allegoria ed effetti del Cattivo Governo : questo affresco è in stato di conservazione peggiore e in parte è caduto. Il Cattivo Governo è impersonificato dal demone della Tirannia sottomesso alla triade di Avarizia, Superbia e Vanagloria. La sua corte comprende anche Furore, Divisione, Guerra, Frode, Prodizione e Crudeltà. L'Effetto è una città che si sgretola, in cui si svolgono sordidi combattimenti e omicidi, sotto il triste volo del Timore. Questi affreschi costituiscono il più celebre manifesto politico mai dipinto. Ambrogio Lorenzetti sfrutta tutti i mezzi pittorici disponibili per comunicare più efficacemente il messaggio: adotta, ad esempio, sistemi di costruzione prospettica e di illuminazione diversi per illustrare gli effetti del Buono e del Cattivo Governo, in modo che la città del male incuta nel riguardante una sensazione di disarmonia e disagio, mentre nel settore della città ben governata lo sguardo possa scorrere serenamente in profondità, di casa in casa, di tetto in tetto. Il naturalismo non è fine a sé stesso, ma è il mezzo linguistico più adatto per convogliare il contenuto. Quel paesaggio è una costruzione mentale che non esclude salti di scala innaturali tra le figure, o tra esse e lo sfondo, mentre il tracciato delle linee compositive riporta la scena al suo centro di irradiazione, la danza allegorica delle fanciulle nella piazza urbana da cui lo scenario si espande circolarmente, a onde. 5. Gli affreschi di Buffalmacco nel Camposanto di Pisa Nel primo Trecento, lo stile della pittura fiorentina e senese attechisce nelle altre città toscane. Un caso interessante è quello di BUONAMICO BUFFALMACCO, pittore fiorentino formatosi mentre Giotto monopolizza la scena fiorentina. Egli però guarda ancora all'espressionismo duecentesco, oppure cerca ispirazione nei ritmi di superficie del Maestro del Codice di San Giorgio e in un certo gusto basso e grottesco che arriva dall'Emilia. Egli lavora ad Arezzo e poi a Pisa. ► Affresco con il Trionfo della morte , 1340-1343, Camposanto di Pisa: Buffalmacco rifiuta l'idea giottesca dell'unità compositiva. La rappresentazione è suddivisa in minori unità narrative incasellate nello spezzato scenario paesistico. La brigata dei giovani intenti a suonare e ad amoreggiare nel verziere all'estrema destra è accostata senza mediazioni all'orrifica battaglia aerea tra angeli e diavoli. Dalla parte opposta un gruppo di anziani mendicanti invoca l'intervento della morte che, colpendo alla cieca risparmia proprio coloro che più la desiderano. A sinistra il tema dell'Incontro dei tre vivi e dei tre morti è accostato alla pacifica vita degli eremiti. Buffalmacco esprime con inusitato vigore il timore della morte che nel Trecento è ormai alimentato da un laico attaccamento alla vita e ai suoi piaceri. Il pittore si sofferma sulla visione dei cadaveri ammucchiati, sulle anime ghermite e straziate; descrive corpi orribilmente decomposti e preda dei vermi, di fronte ai quali i vivi manifestano sgomento. Il suo linguaggio è potentemente realistico nei particolari, irto di locuzioni forti e dissonanti, di accenti triviali, atti a suscitare una forte risposta emotiva nel riguardante. Con il suo volgare contrapposto al latino dei giotteschi, Buffalmacco espande i limiti dello stile figurativo toscano. L'affresco medievale: storia, tecnica, conservazione L'affresco è la più diffusa tecnica di pittura su muro: la sua applicazione ha conosciuto poche varianti nei secoli ed è rimasta sostanzialmente la stessa fino ad oggi. La caratteristica principale di questa tecnica è la resistenza della superficie pittorica, che non richiede alcuna vernice protettiva. Infatti, la tecnica prevede una completa integrazione del colore nella struttura cristallina del supporto su cui è applicato. La prima fase prevede la stesura, sul muro ben lisciato, di uno spesso strato di un impasto relativamente grossolano di calce e sabbia, l'arriccio, con lo scopo di preparare una superficie uniforme; al di sopra di esso si appone uno strato più sottile di intonaco, formato da sabbia e calce. Sopra di esso, ancora umido, si stende il colore. La calce preparata secondo il metodo tradizionale consiste in frammenti di pietra (carbonato di calcio), cotti in forni a carbone (calce viva); mescolata ad acqua e lasciata riposare per sei mesi, la calce viva si trasforma in calce spenta (idrato di calcio). Stesa sull'arriccio e ricoperta di colore, la calce spenta, grazie all'azione dell'anidride carbonica presente nell'aria, torna a trasformarsi in carbonato di calcio, quindi un composto minerale stabile e resistente, una pietra. I più antichi esempi di affresco risalgono alla civiltà egizia e a quella minoico-micenea, da cui poi si diffonde nel Mediterraneo. L'ottima qualità dell'intonaco romano ha permesso la buona conservazione di numerosi affreschi, mentre in epoca medievale la tecnica era più scadente. La pratica di questo tipo di pittura in Italia è particolarmente sviluppata, anche grazie alle caratteristiche dell'architettura religiosa, che propone sistematicamente ampie superfici murarie da decorare. All'inizio del XV secolo Cennino Cennini, nel Libro dell'Arte, codifica definitivamente le fasi di stesura del disegno e del colore. La sua proposta è seguita da tutti i pittori del Trecento e del Quattrocento. Oltre ad indicare le proporzioni, Cennini suggerisce di tracciare sull'arriccio secco una quadrettatura, utilizzando il filo di piombo per ottenere sottili solchi. La quadrettatura serve all'artista come guida per riportare sul muro i tratti del disegno preliminare a carbone, completato dalla stesura preparatoria della sinopia. Tutte queste fasi sono eseguite a secco. Sopra la sinopia viene steso un sottile strato d'intonaco, che lascia trasparire il disegno sottostante. Cennini scrive anche un elenco di colori consentiti, cioè quelli che combinati con la calce danno vita alla struttura cristallina del carbonato di calcio. La tecnica dell'affresco impone dunque al pittore tempi di esecuzione molto stretti, poiché il colore va steso rapidamente, finché lo strato d'intonaco è ancora umido. In seguito si sostituisce la sinopia con il cartone, cioè l'accurato disegno preparatorio, delle stesse dimensioni dell'affresco da eseguire, realizzato dal maestro su un foglio rigido: il profilo del disegno viene attentamente bucherellato e applicato sul muro da affrescare. Spolverando sopra il cartone un fine carboncino risulta, sul muro, una precisa traccia della composizione da eseguire. I principali danni subiti dagli affreschi sono dovuti all'umidità. Per separare i muri dal contatto diretto con la falda acquifera del sottosuolo si interviene tagliando la parete in senso parallelo al terreno e inserendo un foglio di materiale isolante. L'applicazione di vernici protettive sull'affresco è in genere sconsigliabile, a causa della non completa sperimentazione dei fissativi più recenti e della possibilità che la degradazione dei materiali proteici conduca alla formazione di placche insolubili che opacizzano l'affresco. Per garantire una migliore conservazione al dipinto, in passato è stata molto eseguita la pratica di rimuovere la pellicola dipinta dal muro di sostegno e di fissarla a un nuovo supporto. In questi casi si parla di affreschi trasportati. Fin dal Settecento le tecniche eseguite sono lo strappo, con il quale si rimuove solo lo strato del colore, e lo stacco, con cui si asporta anche parte dell'intonaco. Questi interventi sono oggi il più possibile evitati: infatti, l'affresco forma con l'ambiente che lo contiene un legame inscindibile, sia dal punto di vista del materiale che sotto il profilo storico e culturale. Temi e fonti dell'arte religiosa del Trecento Tra la seconda metà del Duecento e la prima metà del Trecento, si assiste a un mutamento radicale dei temi dell'arte religiosa, in duplice senso: si rinnovano le immagini tradizionali e si introducono numerosi soggetti inediti. La vita di Cristo e la serie collegata della vita di Maria divennero i soggetti narrativi più comuni trattati in pittura. Ma i Vangeli non forniscono sufficienti spunti iconografici per sequenze molto ampie, perciò gli artisti ricorrono ai Vangeli apocrifi, fonti preziose per la vita di Maria e l'infanzia di Cristo, o a moderne riscritture delle narrazioni evangeliche, basate sui Vangeli apocrifi ma corredate da ulteriori spunti sulla vita quotidiana della Sacra Famiglia o sui patimenti di Maria sotto la croce. Questa letteratura ha un ruolo fondamentale anche nell'assecondare un fenomeno caratteristico della pittura trecentesca: la trasformazione degli episodi della storia sacra in scene di vita contemporanea quotidiana, in ambienti domestici o urbani del tempo. Se poi a queste si aggiungono le serie tratte dal Vecchio Testamento e le meno comuni ma non rare scene dell'Apocalisse, e ancora i temi narrativi o allegorici di significato religioso, si ha la misura dello straordinario, quasi illimitato catalogo tematico che l'arte religiosa offre a un artista del XIV secolo. ► Affreschi dell'abside della chiesa di San Pietro in Sylvis, 1330 ca., Bagnacavallo: l'anonimo MAESTRO DI SAN PIETRO IN SYLVIS allinea al di sotto di un immane Cristo in maestà e ai lati di una composta Crocifissione, due file di Apostoli elegantemente atteggiati in pose di contrapposto che si direbbero ricavate da modelli statuari francesi classico-gotici del secolo precedente: figure plasticamente tornite, naturali nei gesti, cordiali nelle fisionomie. Lo stile toscano a Bologna si sconta con la barriera opposta dalla cultura figurativa internazionale suscitata dalla presenza di una rinomata università che attira docenti da tutta Europa. La scuola pittorica bolognese che si sviluppa nel terzo decennio del Trecento, preceduta da una brillante attività di illustrazione libraria, presenta caratteristiche fortemente gotiche e transalpine e una veemenza espressiva che la pongono agli antipodi rispetto ai modi solenni e controllati dei giotteschi. Al forte realismo dei particolari si accompagnano spericolate costruzioni compositive e ambientazioni visionarie, caratterizzate da salti di scala tra le figure. ► Piviale con Storie di Cristo , fine XIII secolo, Bologna: si tratta di un documento molto interessante che dimostra attraverso quali raffinati e inconsueti media si svolgesse allora la trasmissione dello stile e dei modelli iconografici del Gotico d'oltralpe. Iscritte entro due file sovrapposte di arcate trilobate, le Storie di Cristo sono narrate sinteticamente, dato l'esiguo spazio delle campiture, ma con estrema vivacità, secondo modi di animazione lineare tipici dell'arte del nord. ► Scena di un codice giustinianeo con Cattura e condanna di un servo , ante 1340, Roma: opera di un miniatore anonimo, il cosiddetto ILLUSTRATORE. Il vigore narrativo delle sue miniature si accompagna con una rara abilità nell'adattare le figurazioni agli stretti spazi disponibili nelle pagine dei codici, tra le colonne dei testi e le fitte glosse dei margini. In questo caso, nella scena maggiore, sopra alle colonne del testo, sono rappresentati, in tumultuosa sequenza, il tentativo di fuga di un servo (a destra) e l'amputazione di un piede (in basso). Nelle strette fasce sottostanti assistiamo alla fasciatura di un moncherino e a una metaforica caccia alla lepre. Alla concitazione narrativa corrisponde l'opulenza nervosa del fondale della campitura maggiore, concepito come un florilegio di volute diramate in tutte le direzioni, che contribuisce ad accentuare la veemenza della storia. Essa si svolge concitatamente, per accostamenti subitanei, con un pungente naturalismo che non recede neanche di fronte ai particolari più crudeli. Questi motivi trapassano dalla miniatura alla pittura. ► Trittico della Crocifissione , 1333, Musée du Louvre, Parigi: un'iscrizione sul retro attesta che l'opera era destinata alla chiesa bolognese di San Vitale. Vi è un chiaro influsso francese sia nella carpenteria (un trittico a sportelli, comune in Francia ma rarissimo in Italia) che nella costipazione figurativa della tavola centrale, grottesca nella sua esasperata tragicità, culminante nel Cristo smagrito e doloroso, rilevato da lividi bagliori. Il massimo pittore bolognese di questi anni è Vitale degli Equi, detto VITALE DA BOLOGNA, documentato dal 1330. Nei suoi dipinti anteriori alla metà del secolo la veemenza gotica tocca il culmine. ► Crocifissione , secondo quarto del XIV secolo, Lugano, Collezione Thyssen: in questa tavola si accalcano figure dolenti, agitate, violente; Cristo è affiancato dai ladroni che pendono contorti e slogati dalle croci; i cavalieri discutono infervorati; Maria sviene; i soldati si accapigliano. In ogni punto del dipinto appaiono travolte tutte le regole di armonia, spazialità e strutturazione compositiva razionale. Lo stile di Vitale si diffonde nell'Italia settentrionale, penetrando sino nel Friuli e in Trentino. Solo dopo la metà del secolo egli sviluppa modi espressivi più distesi ed eleganti, quasi riflettendo il mutamento della situazione politica di Bologna, che da libero comune diviene parte dello Stato della Chiesa. Nel secondo quarto del Trecento il panorama artistico lombardo è modificato dalla chiamata di qualificati artisti toscani, impiegati in vario modo nella costruzione e nella decorazione del palazzo che Azzone Visconti vuole far erigere nel cuore di Milano. ► Campanile ottagonale di San Gottardo in Corte, 1336, Milano: opera di FRA PECORARI, che sfrutta abilmente i contrasti coloristici tra i materiali (il mattone e il marmo) per evidenziare il ritmo delle gallerie superiori e lo slancio dei sottili contrafforti angolari. ► Arca di San Pietro Martire, 1339, Chiesa di Sant'Eustorgio, Milano: opera di uno scultore pisano, GIOVANNI DI BALDUCCIO. Sorretto da personificazioni delle Virtù, coronato da un elaborato tabernacolo contenente la Madonna col Bambino e sormontato da altre statue, il complesso si ispira alla bolognese Arca di San Domenico di Nicola Pisano. Tra il 1335 e il 1336 anche Giotto si trova a Milano, dove dipinge cicli di affreschi (perduti) nel palazzo di Azzone Visconti. ► Affresco della Crocifissione , 1335-1340, Chiesa di San Gottardo, Milano: si tratta di un mirabile affresco di Giotto. Si leggono a malapena alcuni volti, ben vivaci e ben caratterizzati, delineati con morbide pennellate di tinte fuse, nei quali riconosciamo lo stile del Parente di Giotto, forse ripreso da un anonimo collaboratore lombardo. L'area veronese-atesina si distingue sin dal XIII secolo per la fioritura della pittura profana, collegata con le commissioni private di una cerchia di signori feudali che spadroneggiano nelle valli, ben difesi dai loro manieri. Gli affreschi illustrano in genere romanzi francesi di tema arturiano-carolingio e derivano da testi miniati. Lo stile è spesso attardato, dato il carattere periferico dell'area geografica in cui nascono, ma il loro interesse risiede soprattutto nel contenuto profano, di chiara estrazione aristocratica. ► Affraschi delle Scene belliche , metà del XIV secolo, Castello di Avio (Trento): si trovano nella stanza detta delle Guardie. Un particolare tratto mostra come queste pitture, straordinarie per i dettagli fantasiosi dei costumi e per le marcate fisionomie dei soldati, si avvalgano ancora di una concezione formale arcaica, aliena dall'introduzione di desinenze spaziali o chiaroscurali che consentano di evitare i motono allineamenti delle figure in superficie. Nella prima metà del Trecento, l'influenza di Giotto penetra nella laguna veneta. A Venezia PAOLO VENEZIANO opera un innesto del giottismo sull'antica e persistente cultura bizantina, il cui risultato è uno stile ibrido. ► Pala feriale , 1345, Venezia: è un polittico a due piani che nei giorni feriali copre la Pala d'oro dell'altare maggiore di San Marco. I busti bizantineggianti delle figure nelle tavole del registro superiore lasciano il passo, nelle sottostanti Storie di San Marco, a scene narrative inquadrate da solide architetture scorciate, sia pure immerse nella luce abbagliante dei fondi oro. 4. Arte italiana e centri europei All'inizio del Trecento avviene un fenomeno di vasta portata, a testimonianza del valore sovrannazionale della rivoluzione pittorica innestata da Giotto. L'Italia non solo riceve e rielabora motivi del Gotico nordico, ma restituisce vivaci stimoli al di là delle Alpi. Nel nord Europa si guarda con grande interesse alle scoperte formali dei nostri pittori, soprattutto alla loro capacità di rappresentare illusivamente lo spazio con mezzi lineari e chiaroscurali, e si cerca di imitarla. ► Miniatura dei Messaggeri inviati a Roma dalla Vita di Dionigi , 1317, Parigi: opera di YVES DE SAINT-DENIS. La scena si svolge al di sopra di una veduta di Parigi concepita come una semplice proiezione di strutture architettoniche su un solo piano, senza il minimo senso di profondità. ► Miniatura di Saul che tenta di ferire David dal Breviario di Belleville , 1323-1326, Parigi: miniata da JEAN PUCELLE. Le figure recitano di fronte a un edificio le cui pareti interne e le cui volte sono scorciate in profondità, con un effetto di sfondamento del piano di posa dell'immagine, desunta da modelli toscani. La diffusione dello stile italiano fuori dall'Italia si avvale anche dell'operosità di alcuni artisti oltre la cerchia delle Alpi. Nei primi decenni del secolo un forte richiamo è esercitato da Avignone, la città provenzale dove si è trasferita la corte papale, il cui palazzo comincia ad essere decorato sotto i pontefici francesi Benedetto XII e Clemente IV. Nel 1336 giunge ad Avignone Simone Martini e qui avviene il suo incontro con Francesco Petrarca, il quale lo eterna nei suoi versi, paragonandolo a Policleto. Accanto a Simone lavorano anche gli allievi che l'hanno seguito da Siena, tra i quali il cosiddetto MAESTRO DEGLI ANGELI RIBELLI. Quest'ultimo è attivo verso il 1340 e sintetizza il naturalismo dei particolari e la fantasia visionaria di Simone con il rigore prospettico di Ambrogio Lorenzetti. Ad Avignone non lavorano pittori di stretta osservanza giottesca, il cui stile difficilmente sarebbe stato compreso e apprezzato in Francia, ma i senesi e i loro seguaci, legati sin dalle origini a modi gotici. ► Affreschi della Camera del Guardaroba del Palazzo dei Papi, 1343, Avignone: i temi rappresentati sono profani: scene di Caccia, di Pesca, con figure umane, falconieri, pescatori, cani e uccelli disperse su una ribalta di erbe, fiori e alberi descritta con una minuzia straordinaria. Non solo la tematica, agreste e aristocratica al tempo stesso, ma anche il fiero contrasto tra l'appiattimento in superficie e la fresca veridicità dei particolari fanno di questo ciclo un modello per la successiva arte tardo-gotica delle corti europee. ► Affreschi delle Storie di San Marziale: Cristo e il giovane Marziale , 1344-1345, Cappella di San Marziale, Palazzo dei Papi, Avignone: opera di MATTEO GIOVANNETTI. Qui il gusto prospettico e paesistico toscano si salda a un andamento narrativo slegato, vivace e irruento. All'autore non interessa il rigore dell'insieme; illustra piuttosto con grande vivacità le figure, espressive e individualizzate, facendo tesoro dei modelli di Simone Martini. ► Affreschi dei Profeti, Re e Patriarchi biblici , 1352, Sala dell'Udienza, Palazzo dei Papi, Avignone: sempre opera di Matteo Giovannetti. Qui vi sono allo stesso tempo presenze mistiche e cortesi: un'inquieta umanità gotica fissata però con la plasticità e la cromia sfumata tipica della pittura italiana. Modi pittorici nati per riprodurre la realtà sono qui impiegati per conferire credibilità a sognanti visioni. Matteo Giovannetti annuncia ormai lo stile tardo-gotico, che avrà una caratteristica saliente proprio nel contrasto tra il vivido naturalismo dei particolari e la fantasiosa irrealtà complessiva delle immagini. 5. Fenomeni di crisi e assestamento oltre la metà del secolo La tumultuosa rivoluzione si arresta parzialmente alla metà del secolo. Fiorenti scuole locali si esauriscono o ripiombano nell'anonimato provinciale e l'attività di numerosi artisti si cristallizza o subisce un ripiegamento su repertori più o meno arcaici, mentre altri centri, confinati sino ad allora ai margini delle vicende artistiche, repentinamente avanzano in primo piano. Va anche tenuto conto che tra le vittime della peste del 1348 vi sono anche pittori fiorentini come Maso e Bernardo Daddi, oltre ad Andrea Pisano, mentre a Siena non sopravvivono né Pietro né Ambrogio Lorenzetti. La scomparsa improvvisa e contemporanea di personalità di questo livello non può non aver avuto riflessi negativi sulla produzione artistica delle due città. 6. Firenze e la Toscana tra il 1350 e il 1380 La crisi demografica e politica non impedisce però a Firenze di riaprire il cantiere del duomo e alla realizzazione della Loggia della Signoria. ► Loggia della Signoria, 1376-1381, Firenze: opera di Benci di Cione e di Simone Talenti, era la varietà dei tipi umani e dei costumi. 8. Milano viscontea La corte dei Visconti assume un ruolo di rilievo in campo artistico nella seconda metà del Trecento. ► Castello visconteo, 1360-1365, Pavia: viene eretto sotto Galeazzo II e verrà terminato alla fine del secolo da Gian Galeazzo. Questo è un brillante esempio di adattamento di un'architettura difensivo-militare a fini residenziali. Nelle lunghe mura merlate rettilinee e sulle torri angolari si aprono regolari file di bifore armoniosamente distanziate, mentre l'ampio cortile interno è serrato da ariose arcate gotiche, sormontate da archi a tutto sesto inquadranti ornate quadrifore. Alla fine del secolo, il duca Gian Galeazzo esprime i suoi sogni espansionistici con la fondazione di grandi edici che possano simboleggiare la potenza e la ricchezza del suo Stato, come il duomo di Milano e la Certosa di Pavia. Anche la scultura viene usata a fini celebrativi. La dinastia dei DA CAMPIONE si aggiudica le commissioni più importanti. Un gusto più elegante e profano si riscontra nei cicli di affreschi che il patriziato milanese commissiona negli oratori della Brianza. ► Affresco con La famiglia Porro ai piedi della Vergine , 1370 ca., Milano: realizzato per l'oratorio di Mocchirolo. Esso racchiude il ritratto di gruppo della famiglia Porro, con il capofamiglia che offre alla Vergine il piccolo modello dell'oratorio e, più indietro, in atteggiamento devoto la moglie e i figli in ordine decrescente di età. Ma ormai questo stile giottesco tradotto in termini di cordiale naturalezza e diffuso in provincia deve fare i conti con l'arte tardo-gotica che comincia ad emergere nei circoli della corte viscontea. 9. Padova e Verona Verona scaligera e Padova carrarese, grazie a una felice congiunzione di uomini, occasioni, idee culturali, diventano centri primari della pittura italiana. Importanti artisti sono GIUSTO DE' MENABUOI e ALTICHIERO; le occasioni coincidono con le commissioni profane e religiose delle corti signorili; le idee culturali lievitano grazie all'influsso del Petrarca: i pittori si ispirano ai suoi versi e in qualche caso è lo stesso poeta a dettare programmi iconografici di contenuto umanistico. A Verona spira aria lombarda. A Padova, nella prima metà del Trecento, si sviluppa uno stile giottesco, stimolato dalla presenza degli affreschi dell'Oratorio Scrovegni e delle altre opere eseguite da Giotto presso la basilica del Santo e nel salone del Palazzo della Ragione. Da un giottismo di stretta osservanza si svincola GUARIENTO, il quale opera nelle chiese padovane e nella Reggia dei Carraresi, ma affresca anche un colossale Paradiso in Palazzo Ducale a Venezia. Egli alterna motivi giotteschi ed eleganze lineari gotiche, ma risente anche del goticismo bizantineggiante diffuso, da Venezia, da Paolo Veneziano. GIUSTO DE' MENABUOI, che giunge a Padova verso il 1370, si è formato a Firenze nella cerchia di Maso, come indica la sua inclinazione a una monumentalità formale unita a una cromia chiara e morbida. A metà del Trecento opera in Lombardia nell'ambito dei giotteschi lombardi influenzati da Giovanni da Milano. A Padova matura un interesse per fenomeni culturali più arcaici: l'essenzialità romanica, la fissità ieratica della pittura e dei mosaici bizantini. ► Affresco della Cupola del Battistero di Padova, 1375-1376: il Paradiso è concepito come una ruota ipnotica di beati, assisi tutt'attorno al medaglione del Pantocratore. È una visione tanto arcaica nel suo impianto iconografico, che la frontale Vergine, eretta sotto il busto del figlio lungo un raggio della corona paradisiaca, recupera la posa tardo-antica dell'Orante. Gli episodi della Genesi nel tamburo della cupola sono semplificati e giustapposti con gusto enumerativo romanico. Ma più in basso il registro stilistico muta sensibilmente e i Profeti nei pennacchi della cupola si affacciano da finte finestre aperte verso lo spazio interno del battistero, mentre gli Evangelisti siedono ai tavoli di lavoro entro saldi studioli tridimensionali. Giusto mostra così di dominare i mezzi illusionistici come un abile giottesco. Nelle Storie di Cristo e del Battista sulle pareti del battistero ricompaiono preziose architetture scorciate, e il pittore vi dispone figure espanse e solenni, moderne quindi, per quanto fissate nella più assoluta immobilità espressiva. La vena lombarda, più naturalistica e dinamica, traspare solo nelle figure di contorno della storia sacra, nei personaggi di bassa estrazione sociale, come i servitori delle Nozze di Cana, atteggiati con una maggiore libertà rispetto agli aulici commensali impietriti attorno alla tavola. Giusto è forse l'unico pittore trecentesco capace non solo di proporre un linguaggio, ma di muoversi con cognizione critica tra i diversi linguaggi dell'arte medievale. ALTICHIERO, veronese, sembra inizialmente essersi orientato verso le vicende artistiche milanesi, traendo dagli affreschi di Giotto e del Maestro di San Gottardo una lezione mai più dimenticata di verità figurativa, ritraendo figure il più possibile reali, naturali, disposte entro credibili e vasti contesti ambientali. Da Tommaso da Modena, invece, riprende la passione per il ritmo narrativo brillante, per una pittura che sia anche cronaca della vita quotidiana. Gli ambienti neofeudali in cui opera lo coinvolgono al punto da fagli osservare il mondo attraverso il filtro delle fantasie cavalleresche: l'occhio di Altichiero è oggettivo e per questo la sua arte si pone ancora al di qua dell'evoluzione tardo-gotica di fine secolo. JACOPO AVANZO è un pittore di notevoli doti nella resa delle figure, ma le sua ambientazioni architettoniche o paesistiche non sono altrettanto mature. Egli usa profili lineari e una cromia più contrastata di quella di Altichiero. ► Crocifissione , 1376-1379, Padova: la scena affrescata, suddivisa in tre arcate ma spazialmente unificata, è probabilmente la più straordinaria redazione del tema della pittura trecentesca. Non mancano forti accenti drammatici, di ascendenza giottesca, ad esempio nel Cristo innalzato e isolato sopra la folla, o nelle pie donne piangenti intorno a Maria. Ma non è solo dramma quello che si svolge intorno alla croce. Vi sono soldati a piedi e a cavallo che osservano indifferenti il supplizio, altri sorteggiano la veste del condannato; alcuni astanti appaiono inconsapevoli spettatori, e quindi testimoni incuriositi dell'evento; vi sono madri con i bambini per mano, gruppi di persone che commentano; alcuni appaiono attratti dagli sgherri che rientrano a Gerusalemme, a sinistra. Il tema della Crocifissione diviene per l'autore l'occasione per descrivere un'inesauribile gamma di reazioni emotive, scalate tra il massimo della commozione e l'indifferenza, la paura, il dubbio, lo stupore. ► Decorazione dell'Oratorio di san Giorgio, entro il 1348, Padova: l'Oratorio consiste in un'unica navatella coperta da una volta a botte. Altichiero vi dispone una Crocifissione e un'Incoronazione della Vergine sopra l'altare, le Storie dell'infanzia di Cristo nella controfacciata, e le Storie di san Giorgio, di santa Caterina d'Alessandria e di santa Lucia sulle pareti, in ampie campiture, così che ogni scena possa essere resa con la massima spettacolarità ambientale e figurale. La stesura pittorica, nelle parti più integre, rivela la più raffinata, brillante e morbida tavolozza della pittura trecentesca. In questi complessi fondali Altichiero dispone le sue figure, le sue folle, attento all'orchestrazione delle masse non meno che all'individuazione dei tipi, dei gesti, delle espressioni. Tutto osserva e rappresenta, ma il ritmo figurativo non è mai casuale o dispersivo e l'attenzione ai minimi particolari non conduce mai a perdere di vista il nodo cruciale della vicenda rappresentata. I palazzi del potere civile nel Medioevo La progressiva affermazione delle autonomie comunali contro le rivendicazioni imperiali comporta alcune significative conseguenze anche nell'organizzazione degli spazi urbani delle città medievali italiane, in rapida e continua ascesa demografica ed economica. Al duomo, centro simbolico e funzionale del potere religioso, si affianca il Palazzo pubblico, che risponde alle mutate esigenze governative e rappresentative e che, costituendo un secondo polo nell'assetto urbanistico, sancisce l'avvenuta differenziazione tra le due sedi del potere religioso e civile. Il termine stesso broletto, che in Italia settentrionale indica il Palazzo pubblico, deriva da brolo, cioè cortile o campo recintato e in origine indicava un'area libera e destinata alle riunioni pubbliche. L'esigenza di disporre uno specifico edificio come sede del potere civile esercitato dai rappresentanti delle forse emergenti della municipalità si afferma nella zona padana con un certo anticipo rispetto all'Italia centrale. La tipologia del broletto prevede un ampio porticato a giorno, praticabile dalla piazza pubblica, da cui, attraverso una scala esterna, si accede a un unico salone, solitamente decorato da affreschi. L'apertura di un sempre maggior numero di finestre e la presenza di balconi o scalinate risulta indicativa del progressivo superamento delle tipologie costruttive derivate dalle fortezze militari. Successivamente, gli ampliamenti, necessari a causa del moltiplicarsi delle funzioni governative, complicano l'originaria struttura, trasformando il broletto in un più vasto complesso di edifici disposti a quadrilatero su di un cortile centrale porticato. Nell'Italia centrale il periodo di più ampio sviluppo delle tipologie di edilizia civile comincia dalla seconda metà del XIII secolo e s'intensifica allo scadere di quel secolo, dando luogo a un fenomeno di capillare diffusione sul territorio che interessa anche i piccoli centri. I palazzi prendono solitamente nome dalle particolari magistrature che vi hanno sede. È ampia anche la varietà di modelli e soluzioni sviluppati nei singoli centri. Si rivela comunque una tendenza a prediligere forme strutturalmente più compatte rispetto agli esempi padani. Solo in un secondo momento, anche nell'Italia centrale, le mutate esigenze portano alla creazione, nella piazza antistante l'edificio, di una loggia, che fa le veci del porticato al pian terreno dei broletti settentrionali.