Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

riassunto Biavati, argomenti di diritto processuale civile, 2023, Appunti di Diritto Processuale Civile

Riassunto del libro "argomenti di diritto processuale civile" edizione del 2023. il riassunto presenta i punti di maggior interesse per il sostenimento dell'esame, e tralascia o accenna argomenti meno importanti. personalmente studiando da questo riassunto sono riuscita a superare l'esame senza problemi.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 21/09/2023

AlessiaSansone
AlessiaSansone 🇮🇹

4.5

(15)

7 documenti

1 / 144

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica riassunto Biavati, argomenti di diritto processuale civile, 2023 e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! DIRITTO PROCESSUALE CIVILE Paolo Biavati, Quinta edizione CAPITOLO 1: LA STRUTTURA FONDAMENTALE DEL PROCESSO 1. Introduzione; criteri di metodo, nozione di processo, le fonti e la storia Introduzione e metodo Le difficoltà nell’approccio al diritto processuale sono principalmente due; ossia la mancanza di una percezione previa delle situazioni a cui si applica, sommato ad un elevato tecnicismo del linguaggio. Nozione essenziale di processo Il processo è una serie di atti e comportamenti, mediante i quali due o più parti sottopongono una controversia alla decisione di un terzo imparziale, il giudice. Non ogni controversia ha peso giuridico, come non ogni controversia sfocia in un processo. Vi sono due modi fondamentali di considerare il processo: - Il processo è visto come una sorta di gioco tra le parti, in cui il giudice si limita a registrare chi ha successo e chi soccombe. Tale modello, che richiama storicamente il liberalismo classico, prevede un’assoluta neutralità del giudice e lo scopo è quello di definire la lite creando una situazione di equilibrio. - In tale modello si impone la ricerca della soluzione giusta, il giudice interviene attivamente ed è schierato in modo preferenziale per la parte che risulta portatrice di un interesse meritevole di maggiore tutela. L’obbiettivo del processo è risolvere la controversia secondo verità e giustizia. Il rapporto tra processo e decisione è di mezzo a fine, per cui il processo è uno strumento per l’attuazione dei diritti. Le fonti del diritto processuale civile Il diritto processuale civile è regolato dal codice di procedura civile (1942), il quale è diviso in quattro libri: 1. Disposizioni generali 2. Processo di cognizione 3. Processo di esecuzione 4. Procedimenti speciali La compattezza di tale codice ha avuto breve durata, la prima legge di modifica è stata attuata nel 1950, e si sono poi seguiti molti interventi, volti a migliorare l’efficienza della giustizia civile per restituire credibilità al sistema sui mercati internazionali. Le fonti del diritto processuale devono poi ricercarsi anche nel libro sesto del codice civile , dedicato alla tutela dei diritti e che contiene norme cardine della materia. Un fenomeno recente, infine, è l'inserimento di norme processuali speciali in singole leggi. Tutto ciò porta a una multilateralità delle fonti. Le riforme del processo civile Le riforme del processo civile cercano di fronteggiare la grave situazione della giustizia in Italia, caratterizzata da tempi di decisione troppo lunghi e da inefficacia nelle fasi attuative. Il problema è quello di riuscire ad incidere, più che sulle norme, sull’organizzazione complessiva della giustizia. La giurisprudenza e i protocolli La materia del processo suppone sempre di più una viva attenzione alla giurisprudenza. Un fenomeno che sta poi acquisendo importanza crescente è quello dei protocolli di comportamento fissati in accordo fra gli organi giudiziari e le organizzazioni professionali forensi, con lo scopo di meglio disciplinare aspetti pratici ed organizzativi e di stabilire interpretazioni comuni di determinate leggi o di importanti sentenze. 2. I principi costituzionali ed europei del processo civile Articolo 24 cost. Diritto di difesa La prima fonte da considerare è la Costituzione della Repubblica, poiché sono numerose le norme dedicate al processo civile. L’articolo 24: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.” Tale norma regola il diritto di difesa e di azione e suppone l’accesso alla tutela giurisdizionale, la garanzia del contraddittorio e la parità delle armi nel processo. risolvere i conflitti ed applicare la legge nei confronti di ogni altro soggetto dell’ordinamento. L’articolo 101 cost. Ricorda che la giustizia è amministrata in nome del popolo e che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. L’articolo 102 comma 1 cost. Precisa che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. L’articolo 1 c.pc. ribadisce che la giurisdizione civile è esercitata dai giudici ordinari secondo le norme del codice di rito. Il fine della giurisdizione Per quanto riguarda il fine della giurisdizione vi sono diverte risposte: - La giurisdizione ha lo scopo oggettivo di attuare i precetti dell’ordinamento, ma ciò è contrastato dalla facoltà delle parti di scegliere un giudice o un arbitro stranieri che non applicano il diritto italiano e dalla possibilità che il processo si estingua senza una sentenza. - Si può poi considerare la giurisdizione come modo di risoluzione dei conflitti e di garanzia della pace sociale, ma in realtà essa può risolvere la lite ma non sempre eliminarla. - Lo scopo della giurisdizione può essere quello di reintegrare le posizioni soggettive lese. Questa è la lettura più conforme all’articolo 24 della costituzione, ma si scontra con le molteplici forme di inefficacia o mancata attuazione pratica delle misure. Dunque identificare le finalità della giurisdizione con esclusivamente un obbiettivo porta a risultati poco esaustivi. È quindi preferibile affermare che la giurisdizione ha una pluralità di scopi, alcuni dei quali vengono in ogni caso realizzati. Un moderno approccio vede la funzione giurisdizionale come la prestazione di un servizio pubblico, con il contenuto di risolvere controversie, applicando la legge italiana, a favore di tutti i consociati. In ogni caso è certo che l’attività giurisdizionale ha carattere strumentale e sostitutivo. Giurisdizione, giustizia e verità La giurisdizione si sforza di risolvere le controversie secondo giustizia e verità, ma non in modo assoluto. L’obbiettivo del processo è quello di risolvere le controversie anche accettandola permanenza di pronunce non conformi al diritto o fondate su falsi presupposti di fatto. L’articolo 363 c.p.c. afferma che quando le parti non hanno proposto ricorso in cassazione nei termini di legge o vi hanno rinunciato, il procuratore generale presso la Corte di cassazione può’ chiedere che la Corte enunci il principio di diritto al quale il giudice avrebbe dovuto attenersi. L’articolo 2738 c.c. sostiene che nel caso in cui il processo sia stato deciso da giuramento e, successivamente, una sentenza penale eccetti che il giuramento era falso, la decisione contenuta nella sentenza non può essere rivista e la parte lesa può soltanto richiedere il risarcimento dei danni. La giurisdizione contenziosa e volontaria L’attività giurisdizionale è molto diversa a seconda che sia: - giurisdizione contenziosa: risolva un conflitto. Nella giurisdizione contenziosa invece vi è una domanda di un soggetto contro un altro soggetto , essa tende ad un accertamento, il quale si muove verso una dimensione di stabilità che si realizza nel giudicato. - Giurisdizione volontaria: La giurisdizione volontaria è attività amministrativa affidata al giudice, che però potrebbe essere svolta da uffici pubblici non giurisdizionali. In tal caso vi è un solo interesse che il giudice è chiamato a proteggere. L’attività integra, controlla o completa i poteri mancanti a dati soggetti dell’ordinamento 4. La struttura della giurisdizione contenziosa La giurisdizione contenziosa comporta una triplice articolazione, a seconda della struttura dell’attività svolta. Si parla di giurisdizione di cognizione, esecutiva e cautelare. La giurisdizione di cognizione La giurisdizione di cognizione tende ad affermare un giudizio di conformità del fatto concreto rispetto alla fattispecie legale astratta e tale giudizio prende il nome di accertamento. Nella controversia giudiziaria ciascuna delle parti propone al terzo che giudica una propria visione della vicenda, poi occorre verificare come quella lite si inquadra all’interno della fattispecie prevista dalla norma. Il compito del giudice è quello di capire cosa è accaduto e poi applicare la norma. L’attività del giudice di cognizione è un’attività intellettuale che porta all’emanazione di un giudizio, il quale dà luogo ad effetti di legge, ossia a quello che si chiama accertamento che è l’oggetto proprio del processo di cognizione. Esso può chiarire una situazione incerta, comportare una modifica dell’ordinamento oppure dare luogo a una condanna nei confronti di un soggetto dell’ordinamento. La giurisdizione esecutiva La giurisdizione esecutiva ha di mira la realizzazione materiale dell’accertamento e dei comandi ad esso inerenti, attraverso il superamento degli ostacoli, si fa riferimento dunque alla modifica della realtà fisica. A differenza della cognizione, la quale è sempre possibile, la giurisdizione esecutiva non sempre riesce. La giurisdizione esecutiva suppone l’uso della coazione, in quanto è condizionata al luogo in cui si trovano i beni ai quali si riferisce. Anche il questa categoria non manca l’imparzialità, il giudice è terzo fra la pretesa esecutiva e la sua realizzazione concreta. Il problema sta nel rapporto tra giudizio-accertamento e la realtà cui questo incide. La giurisdizione cautelare La giurisdizione assume un aspetto ancora più strumentale, i suoi risultati sono finalizzati a garantire l’effettività della tutela di cognizione e di esecuzione e hanno sempre natura provvisoria. La tutela cautelare costituisce un’esigenza ineludibile, si tratta di poter consentire a chi ne ha diritto una protezione per il periodo necessario a conseguire l’accertamento pieno. Es. il creditore A chiede la condanna del debitore B al pagamento del dovuto, il quale però sta per vendere i beni su cui, all’esito del giudizio, A potrà soddisfarsi. Dunque A può chiedere al giudice il sequestro di quei beni facendo in modo che restino sotto il controllo giudiziario per il tempo necessario. Accanto alla tutela cautelare va ricordata la tutela anticipatoria, la quale ha natura provvisoria, nel senso che precede un accertamento di merito, ma contenuto non necessariamente strumentale, poiché realizza in anticipo un risultato equivalente a quello definitivo. indicate dalla legge, di diritti soggettivi concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo. La giurisdizione amministrativa si articola in: • Giurisdizione generale di legittimità, facciamo riferimento alle controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle p.a. • Giurisdizione esclusiva, in tali materie il giudice amministrativo conosce controversie sui diritti soggettivi, estese al profilo risarcitorio.- • Giurisdizione estesa al merito, il giudice amministrativo oltre che annullare gli atti illegittimi può anche sostituirsi all’amministrazione adottando un nuovo atto o modificando e riformando quello impugnato. Giurisdizione unica e giurisdizione ripartita La scelta costituzionale di ricorrere alla giurisdizione ripartita ad oggi suscita un po' di perplessità, in quanto una corretta individuazione della materia del singolo caso diventa complessa, dunque la difficoltà di riconoscere l’organo giudiziario chiamato a decidere rappresenta un ostacolo per la tutela dei diritti. I problemi sono aggravati dal fatto che i singoli plessi giurisdizionali funzionano come isole autonome e non comunicanti. L’errore del cittadino che propone la domanda dinanzi alla giurisdizione che non la può conoscere viene pagato con il rigetto della richiesta di tutela e con la necessità di ricominciare il processo. Nel tempo la distanza tra i diversi plessi giurisdizionali si è attenuata, permettendo di affermare il principio della “translatio iudicii” per cui il medesimo processo può essere trasferito dinanzi all’organo dotato di competenza senza perdere i diritti derivanti dall’originaria proposizione della domanda. L’ Articolo 59 della l. N. 69 del 2009 prevede che il giudice che, in materia civile, amministrativa, contabile, tributaria o di giudici speciali, dichiara il proprio difetto di giurisdizione indica altresì il giudice nazionale che ritiene munito di giurisdizione. Da tale norma viene poi stabilito che se entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della pronuncia negativa di giurisdizione la domanda è riproposta al giudice indicato nella sentenza, nel successivo processo le parti restano vincolate a tale indicazione e sono fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali che la domanda avrebbe prodotto se il giudice di cui è stata dichiarata la giurisdizione fosse stato adito fin dall’instaurazione del primo giudizio, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute. L’articolo 59, peraltro, lascia uno spazio di intervento al giudice davanti al quale la causa è riassunta. Infatti se tale causa gli è pervenuta a seguito di una decisione di merito, senza che sulla questione di giurisdizione si siano sollevate le sezioni unite della Corte di Cassazione, egli può sollevare d’ufficio tale questione davanti alle medesime sezioni unite, fino alla prima udienza fissata per la trattazione del merito. La specializzazione del giudice I giudici specializzati sono giudici ordinari, il cui impiego è espressamente previsto dall’art. 102 Cost. che stabilisce che presso gli organi giudiziari ordinari possono istituirsi sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione dei cittadini idonei, estranei alla Magistratura. La specializzazione può essere attuata, all’interno degli organi giudiziari ordinari, destinando alcuni magistrati ad occuparsi stabilmente di determinate controversie. Questi magistrati vengono assegnati a sezioni che, nell’ambito della divisone interna del lavoro, si dedicano a particolari aspetti del contenzioso.Alla specializzazione del giudice non si affianca una diversificazione del rito: le sezioni specializzate applicano il rito ordinario. In altri casi, si cerca di puntare all'obiettivo della specializzazione mediante la tecnica di una composizione modificata dell'organo giudiziario collegiale: ai giudici di carriera vengono affiancati membri non togati, dotati di specifiche competenze in un determinato settore. ( es. tribunale dei minori, tribunali regionali delle acque pubbliche, sezioni specializzate in materia agraria).x I limiti esterni alla giurisdizione dello Stato Nessun ordinamento è universale e, di conseguenza, ogni giurisdizione presenta dei limiti. Vi sono numerosi limiti esterni: • Posti dal rapporto con le giurisdizioni straniere. • Posti dal rapporto con ordinamenti particolari (es. ecclesiastico). • Esistenti nei rapporti con l’autonomia privata. Esiste anche un limite del potere giurisdizionale nei confronti o di altri poteri dello Stato o della stessa non giuridicità del conflitto, si parla di difetto assoluto di giurisdizione. 6. L’azione in generale Tutela delle parti e istanze sociali di giustizia La controversia diventa lite giudiziaria quando una delle parti la porta dinanzi al giudice. Ogni conflitto presuppone, per una delle parti, una limitazione o una diminuzione dei propri diritti, a causa di un comportamento altrui. Ma non ogni diminuzione di diritti legittima il ricorso al giudice, infatti l’ordinamento supporta l’intervento di organismi che possano favorire la conciliazione e la mediazione fra le parti, evitando così il ricorso a giustizia. La domanda giudiziale La parte che si rivolge al giudice gli chiede di dirimere la controversia in senso a sé favorevole e sfavorevole alla controparte. In altri ambiti del diritto si può chiedere un’utilità a proprio vantaggio, senza detrimento per altri. Mentre nel diritto processuale civile il conflitto fra le parti suppone che la vittoria dell’uno sia la sconfitta dell’altro. Attore: parte che propone la domanda. Convenuto: parte contro cui la domanda è proposta. Azione: potere di proporre la domanda giudiziale, è il potere delle parti, corrispondente al potere giurisdizionale del giudice. La natura dell’azione e l’abuso del processo Per quello che riguarda la natura dell’azione essa si può vedere: - Come diritto potestativo pubblico; ogni cittadino ha diritto di convenire in giudizio un altro cittadino, ed ha il diritto che la causa sia ascoltata da un giudice. - Come proiezione processuale di un diritto soggettivo esistente; viene sottolineato il legame che deve sussistere tra il diritto sostanziale e l’azione. - Come pretesa; quando il processo comincia l’attore non vanta un diritto, ma solo la pretesa che tale diritto venga accertato. - Come attività; si vuole sottolineare che l’azione presuppone il compimento di atti. Tutte queste prospettive contengono elementi rilevanti, ed è per questo che non è possibile abbracciare posizioni troppo unilaterali. presentata da chi vanta la titolarità del diritto leso, e nei confronti di chi ha posto in essere la condotta ritenuta lesiva. 2. L’interesse ad agire, occorre che l’accoglimento della domanda abbia potenzialmente l’effetto di dare all’attore un beneficio concreto. Dunque la lesione deve essere effettiva e il provvedimento richiesto al giudice deve avere la capacità di porvi rimedio. Il punto dell’interesse è centrale nella dinamica del processo, esso significa che chi si rivolge al giudice deve potersi prefigurare di ottenere un’utilità maggiore di quella che potrebbe conseguire non agendo. Inoltre la tutela giurisdizionale non è accordata a chiunque, ma soltanto chi, attraverso la mediazione della giurisdizione, può conseguire l’eliminazione di una lesione e la reintegrazione di un diritto. L’esistenza del diritto Requisito per l’accoglimento della domanda è l’esistenza del diritto fatto valere dall’attore, si tratta, ovviamente, del requisito principale. Se manca, il giudice, darà luogo ad un accertamento, che però risulterà negativo sotto il profilo delle aspettative e dell’interesse dell’attore. Decisioni di rito e di merito La materia oggetto della controversia può comprendere numerose questioni. Per questione si intende ogni punto di fatto o di diritto rispetto al quale le parti o il giudice siano di opinione difforme e che quindi va risolto in modo autoritario. Il giudice deve seguire un ordine logico per risolvere le questioni che gli vengono proposte; 1. Il giudice dovrà verificare l’esistenza dei presupposti processuali, ossia dovrà stabilire se può decidere o no il caso. Se si rende conto che manca un presupposto processuale egli non può proseguire nell’esame della controversia. 2. Il giudice deve verificare l’esistenza delle condizioni d’azione. 3. Solo come ultimo passaggio prende in considerazione il merito. In un processo può accadere che vi siano solo questioni di merito e in nessun modo si discuta dei presupposti processuali o di condizione dell’azione, tuttavia se vi sono più questioni occorre stabilirne l’ordine. Si parla dunque di questioni pregiudiziali e preliminari (vedi sentenze non definitive). Non tutti i processi si concludono con un accertamento di merito, bensì si fermano a una pronuncia che rileva la mancanza di un presupposto processuale o di una condizione dell’azione. Si parla di decisioni di rito, nel senso che si fermano a uno stadio del ragionamento del giudice anteriore al punto della soluzione della lite. Queste decisioni non raggiungono l’obbiettivo della tutela giurisdizionale in quanto non risolvono la controversia e preludono ad una nuova fase processuale, è dunque necessario limitarne il più possibile l’impatto. 8. I criteri per l’individuazione delle azioni I criteri per l’individuazione delle azioni Non esiste un numero chiuso di azioni, bensì un numero indeterminato, in relazione agli sviluppi del diritti sostanziale. Solo se è prevista una tutela efficace si può affermare che sussiste veramente un diritto. Due azioni si definiscono identiche quando presentano identici tre elementi: - Le parti - L’oggetto - Il titolo Le parti, capacità processuale e legittimazione Le parti sono i soggettive rapporto a cui l’azione inerisce. La qualità di parte si acquista, da un profilo formale, quando si instaura e per il solo fatto che si instaura il processo. Chi propone la domanda giudiziale è l’attore, colui contro il quale è stata proposta è il convenuto e chi è chiamato o interviene volontariamente è terzo. Per essere parte occorre avere capacità giuridica, essere in grado, cioè, di avere diritti. Occorre poi che il soggetto sia legittimato. Per legittimazione si intende la relazione sostanziale fra la parte, la domanda e il rapporto giuridico controverso, dunque si ha legittimazione quando la qualità di parte e la titolarità del rapporto coincidono. Se ci sono parti processuali che non sono parti del rapporto mancherà la condizione dell’azione e della legittimazione, di conseguenza la domanda sarà respinta. Articolo 75 comma 1 c.p.c sostiene che sono capaci di stare7865 in giudizio le persone che hanno il libero esercizio dei diritti che vi si fanno valere. Se il titolare del rapporto non ha capacità di stare in giudizio dovrà essere rappresentato dalle persone indicate nelle apposite norme del codice civile. Infine può accadere che vi siano parti del rapporto sostanziale non chiamate in giudizio, in tal caso il processo si presenta carente per difetto, di dovrà quindi procedere alla chiamata di queste parti sostanziali, e nel caso in cui ciò non avvenisse si avrà un rapporto processuale inesistente. L’oggetto L’oggetto è ciò che si domanda al giudice, esso può essere inteso come provvedimento (petitum immediato) oppure come bene della vita a cui il soggetto che propone la domanda aspira (petitum mediato). Una stessa azione tra le medesime persone può riguardare oggetti diversi: Es. Se A chiede a B la consegna del bene X e il risarcimento del danno Y, provocato dal ritardo nella consegna, A spiega due diverse azioni, e potrà accadere che solo una delle due venga accolta. Il titolo Nel valutare l’ accoglibilità della domanda giudiziale, il giudice deve individuare la norma applicabile ai fatti concreti dedotti in giudizio, vale a dire i fatti che l’attore indica come costitutivi del diritto vantato o della lesione lamentata. Il titolo è l’intreccio tra fatto e norma: la norma invocata come applicabile ai fatti della controversia, ovvero il fatto in quanto rilevante ai fini della norma è ricompreso nella fattispecie. Nei diritti relativi a ogni fatto costitutivo corrisponde un diverso diritto e si parla quindi di etero determinazione della domanda. Nei diritti assoluti il diritto è sempre il medesimo, anche in presenza di una pluralità di eventi lesivi si parla allora di autodeterminazione della domanda. Litispendenza, connessione e continenza Il diritto processuale usa alcuni concetti specifici per il confronto di due o più azioni fra loro. Parliamo dunque di: Per quanto riguarda la condanna in futuro, essa generalmente non è ammissibile, poiché il diritto alla tutela sorge solo con la violazione del diritto, ma vi sono eccezioni: - La condanna condizionata: è frutto della creazione giurisprudenziale ed è ammessa in quanto la sua efficacia è subordinata al sopraggiungere di un determinato evento futuro ed incerto, o di un termine prestabilito, una controprestazione specifica, sempre che il verificarsi della circostanza non debba essere controllato da altri accertamenti di merito in un ulteriore giudizio di cognizione, ma possa essere semplicemente fatto valere in sede esecutiva. La condanna condizionata non puo’ essere concessa nel caso in cui l’evento incerto e futuri dipenda da un altro accertamento di merito da farsi in un altro giudizio e tra altri soggetti. Le azioni inibitorie= in questo caso non si ha a che fare con la reintegrazione di un diritto leso, ma bensì con la richiesta di rimozione di un comportamento antigiuridico, destinato a provocare lesioni e danni in futuro. L’attività illecita sussiste già e l’obbiettivo è quello di prevenire le conseguenze. Le azioni costitutive Esse hanno luogo quando la lesione del diritto è sanata da una pronuncia del giudice, in cui all’accertamento consegue una modificazione della realtà giuridica. La pronuncia giudiziale è di per sé sufficiente a conseguire l’effetto della reintegrazione nel diritto leso. Tale potere è conferito ai giudici sulla base del principio per cui l’autorità giudiziaria può costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici, con effetto tra le parti, i loro creditori o aventi causa. Si puo distinguere tra: - Giurisdizione costitutiva necessaria, l’effetto modificativo si attua solo per il tramite dell’intervento del giudice. - Giurisdizione costitutiva non necessaria, l’effetto si può produrre anche con accordo tra le parti. 10. La difesa del convenuto La posizione del convenuto In diritto processuale non esiste una parte che ha ragione, ma solo una parte che pretende di averla. Fino alla decisione che conclude la lite vi sono due parti contrapposte, ciascuna delle quali ha pieno diritto di difesa e di tutela. Di fronte alla domanda giudiziale il convenuto si può difendere in vari modi , di crescente intensità: - Limitarsi alla mera negazione del fatto. - Svolgere obiezioni in diritto. - Contestare la sussistenza dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione. L’eccezione Il convenuto può introdurre nel processo fatti nuovi, che contrastano la domanda dell’attore sul piano della causa petendi (fatto/norma). Si innesta il concetto di eccezione, per la quale si intende ogni difesa attiva del convenuto mediante le deduzioni di fatti nuovi, che alterano il quadro prospettato dall’attore. Distinguiamo: 1. Eccezioni di rito: convenuto contrasti qualcuno dei requisiti che devono sussistere per la legittima decisione del giudice. 2. Eccezioni di merito: convenuto affronta le tesi dell’attore direttamente sul piano dell’esistenza del diritto. Vi sono eccezioni che possono essere sollevate solo su istanza di parte ed eccezioni rilevabili d’ufficio. Tale aspetto dipende dall’operatività del diritto sostanziale e dal principio della conoscenza del diritto da parte del giudice. La domanda riconvenzionale Il convenuto può proporre a sua volta una domanda contro l’attore, la quale prende il nome di domanda riconvenzionale. Il convenuto potrebbe sempre proporre la propria domanda in un giudizio autonomo, non è quindi obbligato a presentarla in quello iniziato dall’attore, ma per far si che le due azioni possano essere trattate nello stesso processo devono avere un legame di connessione per il titolo o per l’oggetto. Oggetto: dato dalla domanda dell’attore, dalle eccezioni e domande riconvenzionali del convenuto. Strategia difensiva del convenuto. Principio di non contestazione Le modalità tattiche di difesa del convenuto dipendono da un insieme di circostanze. Le norme positive gli impongono l’onere di prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda. L’articolo 115 comma 1 c.p.c. prevede che il giudice debba porre a fondamento della decisione le prove poste in essere dalle parti o dal pubblico ministero nonché i fatti non specificatamente contestati. Il principio di non contestazione assume una valenza formale, esso significa che se una delle parti afferma la verità su un fatto e l’altra parte non ne sostiene apertamente la falsità, proponendo una sua diversa versione, il giudice non deve compiere alcuna indagine ma ritiene per confermata quella circostanza. Tale principio opera a due condizioni, ossia che la parte interessata a negare un fatto sia attivamente presente nel processo e che sia in grado di avere un’opinione sulla verità del fatto che decide di non contestare. 11. La disponibilità della tutela giurisdizionale. Il principio della corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato. La disponibilità della tutela giurisdizionale Per quanto riguarda la disponibilità della tutela giurisdizionale, data una controversia e una lesione di una posizione soggettiva, la parte può decidere di richiedere la tutela giurisdizionale oppure no. Nel nostro ordinamento la tutela giurisdizionale è disponibile, nel senso che il soggetto interessato può agire o non agirebbe dopo aver agito, può disporre del diritto sostanziale e/o dell’azione. L’articolo 2907 c.c. sancisce il principio della domanda, per cui il processo inizia su decisione di parte e il giudice non può iniziare il processo d’ufficio. Vi sono casi in cui la mancata richiesta di tutela giurisdizionale dipende da una necessità, ad esempio per le facce sociali più deboli o per le controversie di modesta entità, in questo caso, infatti, i costi di giustizia troppo alti in rapporto alle capacità patrimoniali della parte inducono chi ha subito la lesione a rinunciare alla tutela. La decisione se iniziare o no un processo spetta all’attore, ma una volta cominciato entrambe le parti possono decidere di porvi fine. Secondo l’articolo 306 del c.p.c. le parti possono rinunciare agli atti, estinguendo il processo. La rinuncia agli atti non preclude alle parti la possibilità di riproporre in un secondo momento la domanda. può decidere ancora una volta da solo ma deve prima garantire alle parti la possibilità di depositare scritti difensivi contenenti osservazioni su quella questione. Bisogna mettere a confronto la soluzione del giudice con ogni possibile obiezione in modo da garantire la decisione più esatta possibile. Limiti dell’operabilità del contraddittorio Vi sono alcune eccezioni alla piena operatività del principio del contraddittorio, la cui legittimità è oggi in discussione, alla luce dell’articolo 111 cost. Facciamo riferimento ai seguenti casi: - Il giudice può emettere senza contraddittorio un provvedimento cautelare, la cui durata non puo’ eccedere i quindici giorni. Egli deve, infatti, fissare un’udienza entro quindici giorni e nella quale il contraddittorio può confermare o revocare il provvedimento. - In caso di procedimento di ingiunzione o monitorio. Qui il giudice decide sulla domanda dell’attore senza sentire la controparte, però il provvedimento, se favorevole all’attore, acquista efficacia piena solo se entro un dato termine dalla notifica la controparte non vi si oppone. Dunque capiamo che la compressione del contraddittorio è accettabile solo se si tratta di una limitazione temporanea. Occorre fare riferimento anche: - Istituto della contumacia, ossia la situazione per cui la parte non si costituisce e quindi non prende posizione. Ciò è possibile in quanto la partecipazione al processo è una facoltà e non un obbligo. Tale processo non viola il principio del contraddittorio, poiché quest’ultimo assicura l’uguaglianza formale, ossia la pari possibilità, e non l’uguaglianza sostanziale, come la parità di livello di difesa. 13. Principio dispositivo e inquisitorio, l’onere della prova e il convincimento del giudice. La regola dell’onere della prova L’attività che consiste nell’introdurre fatti nel processo, prende il nome di allegazione. Allegare, o dedurre i fatti, significa portarli in causa all’attenzione del giudice. Diverso è il punto della prova dei fatti allegati. L’ Art. 2.697 C.C.:”Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia ditali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”. L’attore deve provare i fatti costitutivi, il convenuto i fatti estintivi, impeditivi modificativi. Si parla di onere della prova in senso tecnico, poiché nessuno è obbligato a provare nulla, così come nessuno è obbligato a iniziare una lite. Se però, cominciato il processo, vuole ottenere ragione, ha l’onere di dare l’opportuna dimostrazione dei fatti al giudice. Se i fatti non sono dimostrati, il giudice ne prende atto in senso contrario alla posizione di chi li doveva provare. Allo stesso tempo l’onere della prova è anche una regola di attività, nel senso che la parte onerata si deve fare carico di apportare al processo gli elementi idonei a dimostrare i fatti di suo interesse, nella consapevolezza che, diversamente, la sua tesi non potrà essere accolta. Le parti possono accordarsi, sul piano del diritto materiale fuori dal processo, per disciplinare in modo diverso l’onere della prova. La Legge non proibisce questi accordi che invertono o modificano l’onere della prova, ma li rende nulli in caso di diritti indisponibili o quando l’inversione ha l’effetto di rendere per una delle parti eccessivamente difficile l’esercizio del diritto. Principio di prossimità della prova: L’onere probatorio è a carico della parte più vicina ai fatti da provare, indipendentemente dal suo interesse. Porre l’onere della prova a carico di una parte o di un’altra può essere frutto di precise scelte politiche precise del legislatore. Il principio dispositivo e il principio inquisitorio Si definisce iniziativa istruttoria l’iniziativa di apportare gli elementi probatori nel processo. Se tale iniziativa spetta esclusivamente alle parti si parla di principio dispositivo, mentre se essa appartiene sia alle parti che al giudice si definisce principio inquisitorio. Il sistema italiano è caratterizzato dal principio dispositivo attenuato, dunque l’iniziativa istruttoria appartiene alle parti ma il giudice ha una rilevante serie di poteri istruttori ufficiosi. Il libero convincimento del giudice Il convincimento del giudice sulla verità dei fatti può avvenire secondo due modelli: 1. Una valutazione predeterminata del materiale istruttorio acquisito, è un metodo rozzo poiché presuppone criteri automatici di valutazione. 2. Si basa sulla valutazione libera del materiale istruttorio acquisito, e affida al giudice la valutazione razionale dell’esito probatorio. Secondo l’articolo 116 c.p.c normalmente il giudice decide sui fatti secondo il suo libero convincimento. Egli deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la Legge non disponga altrimenti (prove legali). Il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti gli danno in sede di interrogatorio libero, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le ispezioni che egli ha ordinato e in generale dal contegno delle parti stesse nel processo. Libero convincimento non equivale ad arbitrio, ma a valutazione razionale. La scelta della ricostruzione più credibile dei fatti, all’interno dei vari materiali apportati al processo, non è frutto del caso, ma suppone una serie di passaggi razionali, di cui il giudice deve dare conto nella sua motivazione. Le presunzioni Il giudice può avvalersi delle presunzioni, ossia meccanismi logici che portano un giudice da un fatto noto di livello inferiore ad un fatto ignoto. Si tratta di un ragionamento induttivo, il quale permette al giudice di desumere da un certo dato un dato ulteriore. Le presunzioni possono essere: - Semplici, quando il ragionamento induttivo è svolto dal giudice sulla base di comuni criteri di razionalità. Tali presunzioni, secondo l’articolo 2729 c.c., possono essere ammesse dal giudice solo se gravi, precise e concordanti. - Legali, quando il ragionamento è svolto dalla legge. Le prove legali Il principio del libero convincimento conosce alcune deroghe, tra cui le prove legali, ossia quelle la cui valutazione da parte del giudice è predeterminata. Tali prove sono il giuramento, la confessione, l’atto pubblico e la scrittura privata autentica. Per giuramento e confessione la giustificazione dell’eccezione si fonda sulla loro natura di atti negoziali su diritti disponibili; per gli altri, gioca il rilievo della pubblica fede data dalla presenza del pubblico ufficiale. - Secondo l’articolo 126 c.p.c. dell’udienza deve essere redatto un verbale che descrive ciò che si è fatto e fa fede di quanto avvenuto. Il dilemma oralità-scrittura si ripropone al momento della discussione della causa, nel rito attualmente vigente (articolo 275 c.p.c.) la discussione orale è soltanto eventuale, in quanto è fissata solo se richiesta dalle parti. Il processo telematico Il processo civile telematico è oggi una realtà fondata da specifiche norme di legge e implementata da numerose e complesse disposizioni regolamentari. Il sistema ha ad oggetto la gestione digitale del processo attraversi la dematerializzazione degli atti, al fine di attuare per via telematica le comunicazioni tra le parti e il giudice. Per far si che ciò sia possibile vengono utilizzati strumenti come il documento informatico e la firma elettronica, i quali sono disciplinati dal CAD. Pubblicità e trasparenza Secondo l’articolo 101 cost. La giurisdizione è esercitata in nome del popolo, dunque ne segue che le sue modalità di esercizio devono presentare un profilo di pubblicità. Sono pubbliche le udienze in cui si discute la causa, e se non lo fossero la sanzione sarebbe quella della nullità (In via eccezionale il giudice può disporre che si svolga a porte chiuse, per ragioni di sicurezza dello Stato, di ordine pubblico o buon costume). Difatti nel momento in cui la decisione esce dalla sfera di riflessione del giudice e diventa nota alle parti prende il nome di pubblicazione. Occorre prendere in considerazione anche il profilo della trasparenza, per il quale si intende che il cittadino non giurista deve essere posto in condizioni di comprendere che cosa sta accadendo nel processo. 16. Il giudicato, introduzione Il giudicato come obiettivo del processo di cognizione L’obbiettivo del processo di cognizione consiste nel formarsi di un accertamento sulla controversia. Il sistema ha la necessità di dare certezza e quindi l’attività giurisdizionale deve arrestarsi fissandosi su un risultato. L’accertamento del giudice si ha per vero (proveniate habebitur). Il giudicato è l’accertamento stabile e definitivo che si ha al termine del processo di cognizione. Giudicato in senso formale e in senso sostanziale Vi sono due diversi significati di giudicato: 1. Giudicato in senso formale. Esso riguarda l’incontrovertibilità di ciò che è stato deciso, con il seguente divieto di ripetere l’accertamento e il giudizio sulla stessa causa. In base all’articolo 324 c.p.c si intende passata in giudicato formale la sentenza che non è più attuabile con i mezzi di impugnazione ordinari (es. regolamento di competenza, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione ordinaria), impedendo così la proposizione di un processo identico. 2. Giudicato in senso sostanziale. L’accertamento contenuto in una sentenza passata in giudicato fa stato tra le parti, i loro eredi e aventi causa. Il giudicato sostanziale è la concretizzazione della norma generale ed astratta, ossia il comando normativo dato dal giudice per quel caso concreto. Il giudicato sostanziale prevale anche sulle variazioni legislative, infatti, se il giudice ha deciso in base alla legge applicabile al momento della decisione, e poi la pronuncia è passata in giudicato, la successiva abrogazione della legge non travolge gli effetti di quel giudicato, a meno che la legge successivamente entrata in vigore non disponga la perdita di efficacia dei giudicati formati secondo la disciplina precedente. Ciò che passa in giudicato non è la sentenza, ma l’accertamento in essa contenuto.Tutte le sentenze sono idonee a passare formalmente in giudicato, perché la possibilità di proporre impugnazioni ha precisi limiti, ma non tutte le sentenze danno luogo a giudicato sostanziale, perché non tutte contengono un accertamento di merito. Le decisioni in materia di volontaria giurisdizione o comunque date “rebus sic stantibus” non hanno efficacia sostanziale di giudicato, ma sono costantemente modificabili quando ne mutano i presupposti. Le impugnazioni straordinarie possono essere proposte anche contro le sentenze passate in giudicato formale e contenenti un accertamento passato in giudicato sostanziale. Sono mezzi di impugnazione straordinaria la revocazione straordinaria e l’opposizione di terzo. La revocazione straordinaria è collegata ad ipotesi gravissime di ingiustizia sostanziale (es. dolo del giudice), mentre l’opposizione di terzo si ha quando la sentenza ha leso un diritto soggettivo del terzo che non ha partecipato al giudizio, in contrasto con il principio del contraddittorio. Giudicato e giurisdizione esecutiva e cautelare Il giudicato è il risultato del processo di cognizione. Il processo di esecuzione e quello cautelare non danno luogo a un accertamento definitivo: si può quindi parlare di giurisdizione ma non di giudicato. Il processo cautelare porta a un provvedimento provvisorio. Tuttavia, nei casi di tutela anticipatoria, l’Ordinamento offre alla decisione una certa stabilità di effetti pratici, che non equivale a giudicato, ma che assorbe molte delle conseguenze concrete di un giudicato vero e proprio. Il processo esecutivo non conduce ad un accertamento e ha effetti giuridicamente fondati, ma materiali: il giudicato non ha mai conseguenze dirette. L’espressione preclusioni “pro iudicato” indica gli effetti materiali irreversibili di un’esecuzione forzata. 17. Limiti soggettivi del giudicato Efficacia soggettiva del giudicato Il giudicato sostanziale ha limiti sia soggettivi che oggettivi. L’art. 2.909 C.P.C. chiarisce che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato (e quindi ha efficacia) tra le parti, i loro eredi ed aventi causa. Il giudicato si forma e si esplica fra le parti del rapporto sostanziale, a prescindere da chi abbia agito nel processo. La capacità di agire nel processo corrisponde normalmente alla capacità di agire di diritto sostanziale: chi può far valere un diritto sostanziale può allo stesso tempo difenderlo in sede giudiziaria. La legittimazione processuale normalmente spetta a chi ha la disponibilità del diritto, in forza del collegamento fra titolarità del diritto dell’azione e allo stesso tempo individua chi, fra molti soggetti capaci di agire, può far valere esattamente quel diritto che è oggetto della controversia. La legittimazione è una delle condizioni dell’azione. L’art. 110 C.P.C. stabilisce che quando la parte viene meno per morte o per altra causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto. Ciò vale anche per tutte le molteplici ipotesi di successione fra enti. Rappresentanza e sostituzione processuale Nel caso della rappresentanza (volontaria o legale), un soggetto agisce (sostanzialmente e processualmente) in nome e per conto di un altro, della società, la delibera viene annullata, vi sono chiaramente effetti per tutti i soci e non solo per Tizio. Vi sono poi casi in cui l’Ordinamento permette un’estensione anomala del giudicato ad esempio l’art. 1.306 C.C.,la norma prevede che la sentenza pronunciata fra il creditore e uno dei debitori in solido o tra il debitore e uno dei creditori in solido non ha effetto contro gli altri debitori o contro gli altri creditori. Il comma 2 però aggiunge che gli altri debitori possono porla al creditore, salvo che sia fondata su ragioni personali del con debitore. Analogamente, gli altri creditori possono fare valere la sentenza contro il debitore, salve le eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi. Non bisogna confondersi con il litisconsorzio necessario, dove vi sono più soggetti che sono necessariamente parte del processo in quanto parti del rapporto sostanziale: se questi soggetti non sono stati coinvolti, il processo non può essere deciso e un’eventuale sentenza sarebbe inesistente. Nel caso dell’efficacia “ultra partes” invece, i terzi possono legittimamente restare fuori dal processo e la sentenza è data correttamente nei loro confronti: tuttavia, essi ne ricevono in modo più o meno intenso gli effetti. Efficacia “erga omnes” del giudicato nei rapporti di status: il giudicato è strutturalmente relativo le parti della controversia, ma nei casi di efficacia “erga omnes” il giudicato stesso, pur essendo originato in un processo fra due parti, ha effetti che si impongono a tutti cittadini. Es. Tizio riconosciuto figlio di Caio. Tendenzialmente, il giudicato non può avere efficacia se non fra coloro che hanno partecipato al giudizio in contraddittorio e ogni estensione deve essere interpretata in modo restrittivo. Contraddittorio Tale principio comporta che il giudice non possa decidere se non dopo aver ascoltato entrambe le parti, inoltre ciascuna parte deve essere in condizione di poter contestare la tesi altrui. È un aspetto irrinunciabile del processo, il quale sembra sovrapporsi alla nozione di “diritto alla difesa”, ma in realtà quest’ultimo attiene alla sostanza, mentre il contraddittorio al metodo. Il principio del contraddittorio va garantito anche tra le parti e il giudice, facciamo dunque riferimento alle così dette “decisioni di terza via”—-> secondo l’articolo 101 comma 2 se il giudice ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio non potrà decidere da solo, bensì dovrà permettere alle parti di depositare scritti difensivi. In un termine non inferiore a 20 gg e non superiore a 60 gg. Vi sono alcune eccezioni alla piena operatività del contraddittorio: 1. L’articolo 669 c.p.c. consente che il giudice emetta senza contraddittorio un provvedimento cautelare di durata non superiore a 16 giorni, entro i quali egli dovrà fissare un’udienza in cui il contraddittorio potrà confermare o revocare il provvedimento. 2. L’articolo 633 c.p.c. dispone che nel procedimento di ingiunzione il giudice decida senza sentire la controparte. Il provvedimento acquisterà efficacia piena solo se entro un certo termine la controparte non si opponga. In entrambi i casi la compressione del contraddittorio è accettabile solo in quanto temporanea e in vista di obbiettivi di giustizia sostanziale e effettività della tutela. Onere della prova Secondo l’articolo 2697 c.c. chiunque voglia far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento e di cui egli afferma l’esistenza. A sua volta chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti o sostiene che il diritto non è mai sorto o si è modificato deve provare i fatti sui cui l’eccezione si fonda. L’attore dovrà dunque provare i fatti costitutivi, il convenuto i fatti estintivi/modificativi/impeditivi. Sulla base del principio di prossimità della prova l’onere della prova è a carico della parte più vicina ai fatti da provare, indipendentemente dal suo interesse. Le parti devono poter esercitare il loro diritto di prova, l’iniziativa istruttoria, la quale consiste nell’apportare sementì probatori nel processo, può’: - Attenere solo alle parti (principio dispositivo) - Attenere alle parti e al giudice (principio inquisitorio) Il sistema italiano è caratterizzato da un principio dispositivo attenuato per cui la fase istruttoria appartiene alle parti ma il giudice ha rilevanti poteri istruttori. Presunzioni e prove legali 1. Il giudice puo’ avvalersi delle presunzioni, ossia meccanismi logici che portano da un fatto noto di livello inferiore a un fatto ignoto. Esse possono essere: - Semplici: nel caso in cui il ragionamento induttivo è svolto dal giudice sulla base di comuni criteri di razionalità. Possono essere ammesse solo se gravi, precise e concordanti. - Legali: è un ragionamento svolto dalla legge per cui al fatto X ricollega il fatto Y 2. Il principio del libero convincimento del giudice presenta delle deroghe, tra cui le prove legali, ossia quelle la cui valutazione da parte del giudice è predeterminata, come ad esempio nel caso del giuramento, confessione, atto pubblico e scrittura provata autenticata. CAPITOLO 2: LE CONDIZIONI DI SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 19. La questione di giurisdizione La questione di giurisdizione Si ha questione di giurisdizione quando nel processo sorge un contrasto tra le parti o si manifesta un diverso punto di vista del giudice circa la sussistenza o no della giurisdizione in capo all’organo adito. L’articolo 37 c.p.c. dispone che la questione di giurisdizione può sorgere in ogni stato e grado del processo, e può essere sollevata dalle parti o d’ufficio dal giudice. Recenti sentenze delle sezioni unite della cassazione hanno stabilito che la pronuncia di merito implica di regola la preventiva verifica della potestas iudicandi da parte del giudice che l’ha emessa. Colui che ha il potere di risolvere la questione di giurisdizione è innanzitutto il giudice, ma se sorgono conflitti di giurisdizione la decisione deve essere presa dalla Cassazione a sezioni unite. Tale questione può sorgere in diversi ambiti: - Ambito interno, ossia riguardante il rapporto tra giudice ordinario e speciale o dei conflitti di attribuzione tra giudiziario e la pubblica amministrazione. - Ambito internazionale, in relazione alle diverse sfere di poteri dei sistemi giuridici nazionali. pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore tutta la causa è rimessa a quest’ultimo. Secondo l’articolo 34 c.p.c. se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere con efficacia di giudicato una questione pregiudiziale che appartiene per materia o valore alla competenza di un giudice superiore, la causa è rimessa a quest’ultimo, e alle parti è assegnato un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui. Compensazione e domanda riconvenzionale L’articolo 35 c.p.c. riguarda la compensazione e dispone che quando è opposto in compensazione un credito che è contestato ed eccede la competenza per valore del giudice adito, egli rimette di norma tutta la causa a un giudice superiore, ma può anche decidere la causa e rimettere le parti al giudice solo per l’esame dell’eccezione di compensazione nel caso in cui la domanda originaria sia fondata su titolo non controverso e facilmente accertabile. L’articolo 36 c.p.c. disciplina la domanda riconvenzione per cui il giudice competente per la causa principale conosce anche delle domande riconvenzionali che dipendono dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione, purché non eccedano la sua competenza per materia o per valore. Connessione e cumulo di cause Tra gli effetti modificativi sulla connessione si devono considerare: - L’articolo 31 c.p.c., il quale dispone che quando una causa è accessoria a un’altra le due devono essere decise nello stesso processo della causa principale. - L’articolo 32 c.p.c., dispone che la domanda di garanzia può essere proposta al giudice competente per la causa principale perché sia decisa nello stesso processo, ma se eccede la competenza per valore del giudice adito comporta il passaggio di entrambe le cause (principale e di garanzia) al giudice superiore. Si ha: 1. Garanzia propria quando l’obbligo principale e l’obbligo di garanzia sono fondati sullo stesso titolo o su titoli connessi. 2. Garanzia impropria quando l’obbligo principale e quello di garanzia sono fondati su titoli diversi o solo occasionalmente connessi. Inoltre la connessione può essere: 1. Connessione oggettiva: quando le due azioni hanno in comune uno o entrambi gli elementi oggettivi (petitum e causa petendi). Ha l’effetto di modificare la competenza per territorio, difatti l’articolo 33 dispone che le cause di più persone che dovrebbero essere proposte a giudici diversi, se sono connesse per oggetto o titolo, possono essere proposto davanti al Lugo di residenza di una di esse ed essere decise nello stesso processo, attuando un cumulo soggettivo. 2. Connessione soggettiva: quando le azioni hanno in comune solo le parti, essa è più debole di quella oggettiva. Il Cumulo oggettivo, ossia la proposizione congiunta di queste domande, è possibile solo se la competenza per ogni azione individua il medesimo foro. 23. La questione di competenza La questione di competenza Può accadere che sorga un contrasto sull’esatta applicazione delle norme sull’individuazione del giudice competente. Ciò può accadere per diversi motivi: - il timore di un condizionamento ambientale - La comodità geografica - Come tentativo di guadagnare tempo La questione piò essere sollevata dalla controparte o dal giudice, e soltanto fino al momento della comparsa di risposta che il convenuto deve presentare entro i 20 gg che precedono la prima udienza. La pronuncia sulla competenza Il giudice che viene designato dall’attore come competente deve decidere la questione di competenza, ossia deve verificare da solo l’esistenza del suo potere decisorio, mediante una decisione che sarà poi controllata da un organo superiore. Tale decisione non entra nel merito ma fa riferimento a un presupposto processuale, essa deve essere presa mediante un’ordinanza, che permette una più rapida stesura. Nel caso in cui l’ordinanza del giudice sia negativa della competenza egli deve indicare anche l’organo giudiziario competente e assegnare un termine per riassumere il processo innanzi al nuovo giudice. Se la riassunzione avviene entro il termine fissato il processo continua davanti al nuovo giudice, altrimenti il processo si estingue per mancanza del n necessario impulso di parte. La decisione del giudice sulla competenza può essere impugnata attraverso: 1. Le normali impugnazioni 2. Il regolamento di competenza, proponibile alla corte di Cassazione. La questione di litispendenza, continenza o connessione tra le cause Nei casi di litispendenza, continenza o connessione l’organo giudiziario deve stabilire se una certa causa sarà trattata dinnanzi a lui o a un altro giudice. • L’articolo 39 comma 1, per quanto riguarda la litispendenza, dispone che se una stessa causa viene proposta a giudici diversi, dal momento che vige il principio del ne bis in idem, il giudice adito dichiara con ordinanza la presenza di litispendenza e dichiara la cancellazione della causa dal ruolo. Tale soluzione è obbligatoria, in quanto la giurisdizione non può essere esercitata due volte sulla stessa controversia. Per stabilire quale dei due processi sull’identica controversia deve essere eliminato il codice breve il criterio della prevenzione, secondo il quale il processo iniziato per primo prosegue, mentre quello iniziato per secondo si estingue. Per determinare quale sia il giudice adito ci si ricollega alla nascita del processo, la quale avviene o con la notificazione dell’atto di citazione, o con il deposito del ricorso. • L’articolo 39 comma 2, per quanto riguarda invece la continenza, dispone che se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di quest’ultima dovrà dichiarare con ordinanza la continenza e fissare un termine perentorio entro il quale le parti devono riassumere la causa difronte al primo giudice. Se poi il giudice non è competente anche per la causa successivamente proposta egli pronuncia la dichiarazione della continenza e la fissazione del termine. • La connessione si ha quando le azioni hanno in comune alcuni, ma non tutti, gli elementi identificativi. In tal caso vigono il criterio della prevenzione e dell’attrazione, nel senso che la causa principale attira 25.magistrati onorari, pm, cancelliere, ufficiale giudiziario I magistrati onorari I giudici onorari, rispetto a quelli in carriera, accedono alle funzioni giudiziarie per nomina e non per concorso, è l’articolo 106 comma 2 cost a disporre che la legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina anche elettiva di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite ai singoli giudici. L’articolo 4 comma 2 dell’ordinamento giudiziario afferma che, in ambito civile, sono giudici onorari: - i giudici di pace - I giudici onorari dei tribunali e della sezione della corte d’appello per i minori - Gli esperti della magistratura del lavoro nell’esercizio delle loro funzioni Anche se a seguito della riforma ad essere giudici onorari in senso proprio sono solo i giudici di pace, per tutti gli altri soggetti indicati dall’articolo 4 si parla di svolgimento occasionale di funzioni giudiziarie. Il nuovo giudice onorario di pace riveste un duplice ruolo: 1. Ricopre l’ufficio dell’organo giudiziario specifico che è il giudice di pace 2. Svolge funzioni finora affidate ai giudici onorari di tribunali, come ad esempio fa parte di collegi giudicanti, tratta direttamente processi civili e partecipa all’ufficio per il processo. Per quanto riguarda la loro allocazione negli uffici giudiziari bisogna precisare che: - in primo grado gli organi giudiziari civili sono due, ossia il giudice dei pace e il tribunale. Agli uffici del giudice di pace sono assegnati solo giudici onorari di pace, mentre al tribunale magistrati in carriera affiancati da giudici onorari di pace nei limiti previsti dalla legge. - presso le corti d’appello operano i giudici onorari ausiliari non interessati dalla recente riforma. In base al decreto legislativo 116 per diventare giudice di pace bisogna avere almeno 27 anni e avere una laurea in giurisprudenza, l’eventuale esercizio della professione forense è solo titolo preferenziale. L’incarico dura 4 anni e può essere prorogato solo per altri 4, la cessazione delle funzioni è comunque prevista con il raggiungimento dei 65 anni. Pubblico ministero Il ruolo del Pm, in sede civile, è marginale. Il codice breve che: 1. Il Pm eserciti l’azione civile nel ruolo di parte nei casi previsti dalla legge. 2. Deve intervenire obbligatoriamente a pena di nullità rilevabile d’ufficio in alcune cause, ossia nelle cause che egli stesso potrebbe proporre, in quelle matrimoniali, nelle cause riguardanti lo stato e capacità delle persone. In oltre l’intervento obbligatorio si ha anche in cassazione, nella partecipazione alla discussione orale e nel semplice deposito di conclusioni scritte. 3. Egli ha la facoltà di intervenire in ogni altra causa in cui ravvisi un pubblico interesse. L’intervento del Pm è reso possibile da una comunicazione che questo riceve dal giudice. Gli ausiliari del giudice Vengono identificati come ausiliari del giudice i soggetti chiamati, episodicamente e su specifico incarico del giudice stesso, a svolgere specifiche funzioni affianco a quelle propriamente giurisprudenziali dei magistrati, come ad esempio custodi, consulenti tecnici, traduttori o interpreti. Cancelliere Il cancelliere è il primo e principale collaboratore del giudice, tra le sue funzioni ritroviamo: - documentare le attività proprie, quelle degli organi giudiziari e delle parti - Assiste il giudice in tutti gli atti in cui deve essere formato un processo verbale - Attende al rilascio di copie ed estratti autentici. Ufficiale giudiziario L’ufficiale giudiziario è ausiliare del giudice per tutte le funzioni in cui occorre mettere in atto la forza coercitiva dello Stato. 26. Imparzialità e indipendenza del giudice Indipendenza del giudice La terzietà del giudice è un elemento fondamentale della struttura del processo di cognizione, ed essa è garantita da due profili: 1. Indipendenza, attiene al modo di nomina e alle condizioni di lavoro del giudice. Essa si intende come: - indipendenza nei confronti del potere esecutivo, l’articolo 104 della costituzione afferma che i giudici sono soggetti solo alla legge e la magistratura è autonoma e indipendente da ogni altro potere, vi è inoltre un apposito organo di autogoverno dei giudici, ossia il CSM. - Indipendenza nei confronti del potere giudiziario, ossia ogni giudice è vincolato solo all’osservanza della legge e non a direttive di altri giudici. - Indipendenza nei confronti di appartenenze politiche e ideologiche, il giudice deve far si che l’esercizio delle sue funzioni non sia condizionato dalle sue ideologie. 2. Imparzialità, è a sua volta l’equidistanza effettiva del giudice rispetto alle posizioni e agli interessi delle parti. Essa, a differenza dell’indipendenza, non ha portata generale, bensì riguarda il caso concreto. L’articolo 111 comma 2 della costituzione stabilisce che ogni processo si svolga nel contraddittorio tra le parti, in condizione di parità e dinnanzi a un giudice terzo e imparziale. Il giudice si definisce imparziale quando non prende le parti di nessuno dei contendenti e la sua decisione discende da una comprensione oggettiva della fattispecie e da una corretta applicazione della norma giuridica. Il dibattito sull’imparzialità è collegato a due aspetti: - il ruolo del giudice nel processo - Le condizioni personali del giudice e il suo rapporto con le parti della lite Astensione L’istituto dell’astensione è volto a garantire l’imparzialità del giudice, per cui in determinati casi il giudice investito della decisione di una causa ha l’obbligo di astenersi dal giudizio. • Secondo l’articolo 51 comma 1 c.p.c. il giudice ha l’obbligo di astenersi: - se ha interesse nella causa - Nel rito del lavoro in primo grado se la causa non eccede i 129,11 euro. - Quando si tratta di una persona che ha le qualità necessarie per esercitare l’ufficio di difensore con procura presso l’organo giudiziario che tratta la causa. L’articolo 84 c.p.c. indica quali sono i poteri dei difensori: - Potere a compiere e ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del processo. - Sottoscrivere gli atti processuali di parte - Mera assistenza qualora la parte venga chiamata ad esercitare nel processo poteri dispositivi o negoziali (es. confessione, giuramento…), o a riferire personalmente al giudice (interrogatorio libero). Il codice inoltre distingue due funzioni del difensore, le quali possono essere cumulate nella stessa persona: 1. Il compimento degli atti processuali dinanzi al giudice in rappresentanza della parte = procuratore. 2. Lo studio del caso e l’assistenza alla parte = avvocato L’incarico al difensore 1. La designazione del difensore avviene mediante la procura alle liti, con cui viene conferito dalla parte al procuratore il computo di rappresentarla e difenderla nel processo. La procura alle liti deve essere conferita con atto pubblico o con scrittura autenticata, essa può essere: - generale, cioè riferita a tutte le controversie in cui quella parte è e sarà coinvolta -speciale, ossia per una data controversia Dietro alla procura vi è un rapporto di fiducia tra la parte e il difensore, il quale può venire meno nel corso della causa, dunque occorre garantire alla parte il diritto di cambiare difensore (revoca della procura) e all’avvocato il diritto di chiudere il rapporto con la parte (rinuncia alla procura). Per entrambe le parti l’articolo 85 c.p.c. garantisce la piena libertà reciproca, in qualsiasi momento senza necessità di preavvisi o motivazioni di giusta causa, ma la revoca e la rinuncia non hanno effetto finché non sia avvenuta la sostituzione del difensore. Quest’ultimo, inoltre, verso il cliente ha alcuni doveri, ossia quello di informarlo sugli atti o comunicazioni ricevuti e quello di restituirgli tutta la documentazione. 2. Il rapporto tra difensore e cliente è un contratto d’opera intellettuale, che per essere valido richiede l’iscrizione del difensore all’albo degli avvocati. Egli deve inoltre svolgere personalmente la propria opera o avvalendosi di sostituti e ausiliari sotto la propria direzione e responsabilità. 28. Pluralità di parti nel processo, litisconsorzio Il processo a pluralità di parti Vi possono essere processi in cui le parti sono più di due, la pluralità di parti nel processo può essere: - Originaria; ossia si parla di litisconsorzio, per cui il processo nasce o deve nascere con più parti, ciò corrisponde a situazioni plurisoggettive sul piano sostanziale. - Successiva; ossia l’intervento di terzi o litisconsorzio successivo, nel cui caso le parti aumentano a processo già iniziato. Litisconsorzio necessario o facoltativo Il litisconsorzio può essere necessario o facoltativo. 1. Secondo l’articolo 102 c.p.c. si ha litisconsorzio necessario quando oggetto della causa è un unico rapporto sostanziale con più parti. L’individuazione dei casi in cui devono necessariamente esservi nel processo più di due parti deriva: - dal diritto sostanziale, ad esempio il giudizio di divisione di una comunione ereditaria con più di due coeredi - Dalla legge stessa, la quale in alcuni casi fonda convenzionalmente i presupposti di un litisconsorzio. La mancanza di un litisconsorzio necessario rende totalmente inesistente il rapporto processuale, ad esempio se il fondo X appartiene a A,B,C e D, una sola divisione tra A, B e C sarebbe priva di qualsiasi efficacia. Se il giudice rileva questa mancanza ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte mancante, ossia dispone che vengano chiamati in giudizio tutti quelli che devono parteciparvi per ottenere un risultato utile. Solo la parte può provvedere a dare luogo alla reintegrazione poiché il processo è retto dal principio della domanda e dall’impulso di parte. Se non viene percepita l’esigenza di integrare il contraddittorio e la sentenza passa in giudicato senza che si sia rilevata la mancanza di qualche litisconsorzio necessario il risultato del processo è solo apparente, e il litisconsorte pretermesso può dar vita a un nuovo accertamento di cognizione attraverso: - un’opposizione di terzo - Un’azione di accertamento negativo In caso di litisconsorzio necessario la pluralità di parti permane in tutti i gradi del processo. 2. Il litisconsorzio facoltativo è legato ad ipotesi di connessione tra azioni, e dunque tra azioni diverse ma che hanno un elemento in comune. Le parti possono scegliere , invece che avere tanti processi quante sono le azioni, di favorire la trattazione comune delle cause, sia per ragioni di risparmio di energie processuali sia per evitare giudicati contraddittori. L’articolo 103 comma 1 c.p.c. dispone che più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l’oggetto o per il titolo dal quale dipendono, o quando la decisione dipende totalmente o parzialmente dalla risoluzione di identiche questioni. Es. committente A non è soddisfatto dell’esecuzione del contratto di appalto e intende agire contro l’impresa appaltatrice B e il progettista C. A può decidere se dare inizio a due azioni distinte, rischiando che il giudice che ha convenuto in causa B dichiari l’inadempimento di C e viceversa. La scelta di dare vita al litisconsorzio spetta solo all’attore, tuttavia vi sono domande che seppure proponibili da soggetti diversi in maniera autonoma non possono dare vita a decisioni in contrasto tra loro. Gli effetti del litisconsorzio facoltativo si producono essenzialmente sulla competenza territoriale, che può essere modificata in base ai criteri originari. Separazione delle cause Nel litisconsorzio facoltativo le azioni e le cause sono molteplici e conservano una loro autonomia, tanto che le cause possono anche essere separate con un provvedimento del giudice. Ciò accade quando: - nel corso dell’istruzione o nella decisione vi è istanza di tutte le parti. intercorre tra convenuto/attore e un terzo, onde convenuto/attore hanno interesse a chiedere l’estensione del giudizio al terzo. L’articolo 106 c.p.c. contempla due ipotesi di intervento coatto su istanza di parte: 1. Chiamata in garanzia; si ha quando il convenuto pretende di essere garantito da un terzo nei confronti della domanda dell’attore (es. fideiussione, contratto di assicurazione). Tale garanzia può essere: - Propria, che si ha quando la causa principale e quella accessoria hanno in comune lo stesso titolo o quando ricorre una connessione oggettiva tra i titoli delle due domande. - Impropria, si ha quando il convenuto tende a riservare le conseguenze del proprio inadempimento su un terzo, in base a un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale o in base a un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale. 2. Comunanza di causa; essa si verifica quando vi è una relazione giuridicamente rilevante tra le posizioni sostanziali della parte e del terzo, si tratta generalmente di connessione, anche impropria. L’intervento coatto per ordine del giudice L’articolo 107 c.p.c. disciplina l’intervento coatto per ordine del giudice, ossia l’ipotesi in cui il giudice, ritenendo la causa comune a un terzo, ne ordina la chiamata in causa. Le parti originarie rimangono libere di: - determinare il contenuto delle loro domande nei confronti del terzo - di non proporre alcuna domanda qualora ritengano che il giudice abbia sbagliato nella sua valutazione. 30. Gli atti processuali Nozione, contenuto e forma degli atti L’atto processuale è ogni atto, ossia comportamento umano volontario, compito nel processo da soggetti del processo e con efficacia sul processo. - Volontarietà: nell’atto pubblico, a differenza di ciò che accade nel diritto sostanziale, non viene richiesta la volontà degli effetti ma bensì solo la volontà dell’azione (c.d. volontarietà). Gli effetti sono infatti predeterminati oggettivamente dalla legge, mentre non vengono in gioco i vizi del volere propri del diritto civile quali violenza, dolo ed errore. - Forma: l’atto processuale è caratterizzato da una forma-contenuto, ovvero ogni atto processuale ha una funzione oggettiva e per adempirla deve avere un contenuto determinato e oggettivo, che si specifica poi nelle dimensioni concrete di ogni singola controversia. Questo contenuto oggettivo viene normalmente elevato dalla legge a requisito di forma, ossia la legge, per assicurarsi che l’atto processuale sia coerente con la funzione, gli impone di rispettare alcuni requisiti formali, al fine di veicolare e garantire il contenuto. Il codice impone infatti l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda. La forma degli atti processuali è libera, in quanto la legge non richiede forme determinate, ma solo che siano compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo. La redazione degli atti processuali prevede l’uso di modalità variabili, ma si tende verso la sintesi e la concisione, sulla base del principio di ragionevole durata e ponderata gestione delle risorse. Lingua degli atti processuali Il profilo linguistico degli atti assume sempre più importanza nel contenzioso transnazionale, occorre verificare che la parte non abbia subito una diminuzione grave della facoltà di incidere sul convincimento del giudice, tale da svuotare l’esercizio della difesa. Nel nostro ordinamento i è un rigido monolinguismo, sia processuale che organizzativo, infatti l’uso dell’italiano in sede civile è previsto per tutto il processo, l’apporto di traduttori e interpreti è limitato al piano probatorio. Vi sono però leggi destinate a tutelare minoranze linguistiche presenti del nostro paese, le quali attuano forme di plurilinguismo sia processuale che organizzativo, ad esempio viene attuata la parificazione della lingua tedesca con quella italiana nella regione del Trentino-Alto-Adige. Tipologie di atti processuali Gli atti processuali si dividono in atti scritti e atti orali. Quello orali vengono compiuti in udienza, ossia il momento d’incontro tra le parti e il giudice, per poi essere tradotti in forma scritta nel processo verbale. Essi si dividono in: 1. Atti di parte, consistono nella citazione, ricorso, comparsa, controricorso, precetto ed essi comprendono a loro volta: - atti introduttivi, i quali presentano la domanda o la difesa della controparte - Atti illustrativi di difese, come memorie o comparse - Atti di istanza, con cui si chiede al giudice o a un suo ausiliario il compimento di qualche specifica attività 2. Atti del giudice 31. Sentenza e altri provvedimenti del giudice I provvedimenti dei giudici I tre tipi di provvedimenti del giudice sono: 1. La sentenza: è il principale atto del giudice, esso decide su tutto o parte del processo, ha infatti contenuto decisorio. Suppone una pena e una motivazione, ed è impugnabile. 2. L’ordinanza: è un atto a contenuto ordinatorio, istruttorio e solo talvolta decisorio. Esso non è normalmente impugnabile, ma è revocabile e modificabile. L’ordinanza non è pienamente motivata ma solo succintamente. Inoltre essa se viene pronunciata in udienza è inserita nel processo verbale, nel caso in cui, invece venga pronunciata fuori l’udienza viene scritta alla fine del verbale dell’udienza precedente o in un foglio separato firmato dal giudice. 3. Il decreto: è un provvedimento più semplice il quale ha funzione ordinatoria e solo eccezionalmente decisoria a cognizione incompleta, senza accertamento o con urgenza. Il decreto viene pronunciato d’ufficio o su istanza anche verbale della parte. Sentenza La corte costituzionale e la giurisprudenza della cassazione hanno precisato che è sentenza ogni pronuncia con contenuto decisorio sui diritti, dunque in caso di provvedimento con contenuto di sentenza dato in forma di ordinanza è ammissibile il ricorso per cassazione perché la sostanza prevale sulla forma. La sentenza è l’atto che riassume sia il lavoro del giudice che quello delle parti, i suoi requisiti formati vengono elencati dall’articolo 132 c.p.c., per cui la sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano e deve contenere: - l’indicazione del giudice che l’ha pronunciata comminata dalla legge. Può essere però pronunciata quando l’atto manca dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo. - Nullità degli atti che non raggiungono lo scopo, viceversa, se l’atto ha raggiunto lo scopo cui è destinato non può esserne mai pronunciata la nullità. Rilievo della nullità nel processo Le nullità possono essere: 1. Relative, ossia che possono essere eccepite solo dalla parte a cui tutela sono poste le relative regole. L’eccezione di nullità relativa deve essere sollevata nell’udienza successiva o comunque nella prima istanza o difesa successiva all’atto o alla notizia di esso. 2. Assolute, ossia che possono essere rilevate anche d’ufficio dal giudice. Le nullità assolute possono essere sollevate in ogni stato e grado del procedimento. In base all’articolo 157 c.p.c. se la legge non dispone che la nullità può essere pronunciata d’ufficio essa non può pronunciarsi senza istanza di parte, e dunque la regola è la nullità relativa. L’atto nullo non produce effetti, e l’esistenza della nullità comporta un vizio destinato a travolgere tutti gli atti successivi che sono dipendenti da quello precedente nullo. Rinnovazione e sanatoria degli atti nulli Il vizio va dunque eliminato, e questo può avvenire tramite: 1. Rinnovazione: ossia ripetendo l’atto viziato correttamente, essa è compiuto del giudice che deve provvedervi il prima possibile. 2. Sanatoria: il vizio può essere eliminato tramite l’intervento di un comportamento della parte a tutela della quale è posta la nullità, comportando il raggiungimento dello scopo. La sanatoria è opera delle sole parti. Il codice dispone che se la nullità non viene rilevata e si propaga fino alla sentenza, senza che vi sia più possibilità di rilevarla, questa nullità si può far vale con l’impugnazione, in quanto essa diventa motivo di gravame. In caso di nullità della sentenza, gli atti anteriori ad essa sono validi ma rimangono privi d’effetto. L’articolo 159 comma 2 e 3 c.p.c. fonda il principio di conservazione degli atti processuali, per cui la nullità di una parte dell’atto non colpisce le altre parti che ne sono indipendenti, inoltre un atto viziato può analogamente produrre effetti diversi, indipendentemente dalla nullità. 33. Le comunicazioni e le notificazioni Nozioni e differenze I modi di comunicazione nel processo sono molteplici: 1. La comunicazione tra le parti avviene in udienza, tramite deposito di atti in cancelleria e mediante notificazione. 2. La comunicazione tra parte e giudice, e viceversa, avviene in udienza attraverso istanze depositate in cancelleria e comunicazione effettuata dal cancelliere con biglietto di cancelleria (diretta consegna, attraverso per o fax). Il biglietto di cancelleria contiene gli estremi dell’atto e una sua riproduzione integrale e completa. La comunicazione e la notificazione sono ben distinte tra di loro, la prima è compiuto del cancelliere, mentre la seconda dell’ufficiale giudiziario. La notificazione deve risolvere una duplice esigenza: - tutelare il notificante, evitando che il notificato si sottragga alla conoscenza legale di un atto. - Tutelare il notificato, evitando che subisca conseguenze processuali di cui non è a conoscenza. La disciplina positiva delle notificazioni L’atto da notificare, se possibile, va consegnato direttamente al destinatario, ma dato che è possibile che l’ufficiale giudiziario non incontri il destinatario il codice, con una presunzione, consente che la notificazione avvenga nel luogo di residenza, domicilio o lavoro del destinatario, attraverso la consegna della copia a persone che si ritiene la consegneranno al destinatario (es. familiari, addetti alla casa, all’azienda o all’ufficio, un vicino di casa o al portiere). Se l’atto viene smarrito dal ricevente l’effetto giuridico della notificazione si è comunque realizzato. Se il destinatario è una persona giuridica la notificazione si esegue negli stessi modi presso la sede della persona giuridica, con consegna della copia al legale rappresentante o alla persona fisica che rappresenta l’ente. Secondo l’articolo 140 c.p.c. si può ritenere eseguita una notificazione con il mero compimento di alcune formalità, senza alcuna garanzia che l’atto sia effettivamente arrivato nelle mani del destinatario. Ossia l’ufficiale giudiziario deposita la copia in un apposito ufficio del comune in cui va eseguita la notificazione, affigge un avviso del deposito alla porta dell’abitazione del destinatario e gliene dà notizia con raccomandata con avviso di ricevuta. Il massimo livello di presunzioni viene raggiunto nell’ipotesi in cui non si conosca alcun indirizzo del destinatario, si parla dunque di notificazione all’irreperibile, in tal caso l’ufficiale giudiziario esegue la notificazione depositando una copia dell’atto nell’apposito ufficio del comune dell’ultima residenza o se ignoto in quello del luogo di nascita del destinatario. Se sono entrambe ignote la copia viene consegnata al pubblico ministero e la notificazione si considera eseguita dopo venti giorni. I vizi della notificazione La sentenza n. 477/2002 della Corte costituzionale ha introdotto nel sistema italiano il principio della scissione degli effetti dell’atto, per cui la notificazione si perfeziona per il notificante al momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario. La notificazione è nulla se viene effettuata in modi che pregiudichino gravemente la possibilità del notificando di essere informato, mentre è inesistente la notificazione che viene effettuata a soggetto diverso del notificando. Forme diverse di notificazione Le forme di notificazione da parte dell’ufficiale giudiziario sono: 1. quella a mani 2. per posta, l’ufficiale giudiziario scrive la relazione di notificazione sull’originale e sulla copia dell’atto, per poi spedire la copia al destinatario con avviso di ricevimento. Tale metodo è molto importante in quanto con questo metodo gli ufficiali giudiziari possono notificare atti in tutto il territorio nazionale e non. La relazione di notificazione si completa con l’avviso di ricevimento del plico postale, il quale è compilato dall’agente postale. 3. Per pubblici proclami, è un meccanismo notificatori presuntivo che può essere autorizzato dal presidente dell’organo giudiziario. Esso è complicato a causa del rilevante numero dei destinatari e della difficoltà nel rilevarli tutti. 4. Fax e posta elettronica La sospensione dei termini È prevista la sospensione di diritto del decorso dei termini processuali relativi alle giurisdizioni ordinarie e amministrative nel periodo che va dall’1 al 31 Agosto, periodo nel quale in conteggio si arresta. I termini per i quali vale tale sospensione sono quelli relativi ad attività difensionali interne al processo, mentre non vale per le materie caratterizzate da un a speciale urgenza nella trattazione. 35. La rimessione dei termini Profili generali In base all’articolo 153 c.p.c. si può verificare il fenomeno della rimessione in termini, ossia la parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa a lei non imputabile può chiedere al giudice istruttore di essere rimessa in termini. Per causa non imputabile si intende o caso fortuito e forza maggiore, o l’ipotesi che non presuppongono la mancanza di diligenza richiesta alla parte. Viene in questo modo premiato il principio di responsabilità, in quanto la parte che non ha potuto compiere la propria attività in conseguenza di un fatto che non ha potuto evitare ha la possibilità di esprimere la proprio difesa. Il testo dell’articolo 153, con la modifica del 2009, fa dedurre che la rimessione in termini sia un istituto applicabile a qualsiasi attività processuale, senza eccezioni. Ma, in realtà, la concreta applicazione dell’istituto viene lasciata all’interpretazione giurisprudenziale. La richiesta di rimessione deve essere presentata subito dopo il venir meno della causa ostativa, quindi nella prima attività defensionale successiva. 36. Le preclusioni e la ragionevole durata La nozione di preclusione Per preclusione s'intende la perdita, l'estinzione o la consumazione di una facoltà processuale, col conseguente impedimento al compimento di un atto processuale. Può essere causata dall'incompatibilità con un'attività già svolta, o dal mancato esercizio della facoltà nel momento opportuno nella successione delle attività processuali, o infine, dal fatto di avere già una volta esercitato il diritto. Le preclusione sono uno strumento di organizzazione del processo di cognizione, il quale consiste in una successione ordinata di atti delle parti e del giudice, scorrendo fino al giudicato. L’ordine logico del processo comporta che la consumazione di queste facoltà avvenga progressivamente, dunque la norma può disciplinare in quale ordine e in quale momento avvenga la consumazione delle facoltà difensive, stabilendo dei momenti limite. La ragionevole durata Tale concetto viene definito dall’articolo 111 comma 2 della costituzione, per cui ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, dinnanzi a un giudice terzo e imparziale, e la legge ne assicura la ragionevole durata. 1. La tutela europea: la corte europea per i diritti dell’uomo ha indicato lo standard medio oltre il quale si può presumere che il processo abbia durata eccessiva, a cui si ricollega un diritto di risarcimento da addebitarsi allo Stato. L’articolo 34 della Cedu dispone che la corte di Strasburgo può essere investita di un ricorso da parte di un soggetto che lamenti la violazione, da parte di uno Stato contraente della convenzione, dei diritti in essa riconosciuti, tra cui la ragionevole durata. Se la corte di Strasburgo accerta che vi è stata la violazione della convenzione al termine del procedimento può accordare un equi risarcimento da parte dello stato. L’articolo 35 della Cedu dispone dispone che ci si può rivolgere alla corte europea solo dopo aver esaurito tutte le vie di ricorso interno, ed entro 6 mesi dalla data della decisione interna definitiva. 2. La tutela interna: in Italia la materia è stata regolata dalla Legge Pinto, la quale ha cercato di rispondere alle numerose condanne subite dall’Italia a Strasburgo. La legge prevede che chi ha subito un danno patrimoniale o non, per effetto della ragionevole durata del processo, ha diritto ad un’equa riparazione, ossia un’attribuzione indennitaria. La violazione si valuta alla luce dell’oggetto del procedimento, la complessità del caso e il comportamento delle parti, del giudice e di ogni altro soggetto chiamato in causa. La legge fissa dei tempi standard dei giudizi il cui rispetto obbliga a definire il processo di ragionevole durata: - 3 anni per il giudizio di primo grado - 2 anni per l’appello - 1 anno per il giudizio di legittimità Nel 2015 è stato introdotto un limite di ammissibilità della domanda di indennizzo, individuato nel comportamento processuale delle parti, in quanto esse hanno un onere di iniziativa , e dunque se non attuano scelte procedurali o le attività di impulso, viene precluso l’accoglimento della domanda di indennizzo. Inoltre non viene riconosciuta l’indennità in una serie di situazioni connotate dall’esercizio abusivo della facoltà di difesa, o nel caso in cui vi sia una mancanza di interesse della parte al contenuto della pronuncia di merito. Il procedimento interno Il procedimento di equa riparazione viene disciplinato dagli articoli 3-4 della legge numero 89/2001. 1. L’articolo 3 dispone che la domanda si propone di fronte alla Corte d’appello del distretto in cui ha sede il giudice che ha conosciuto in primo grado il processo per cui si chiede l’indennizzo. Tale domanda va sempre rivolta nei confronti dello Stato, ma con legittimazioni diverse a seconda dell’ autorità giudiziaria, ordinaria o speciale, coinvolta nel ritardo. Il ricorso va fatto nei confronti: - del ministro della giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario - Del ministro della difesa per quelli del giudice militare - Del ministro dell’economia per quelli dei giudici tributari, amm. e contabili 2. L’articolo 4 dispone che la domanda va proposta entro 6 mesi dal momento in cui la decisione è divenuta definitiva, tramite ricorso depositando copia autentica di tutti gli atti, i verbali e i provvedimenti del giudizio. Se la corte d’appello: - accoglie la domanda, il provvedimento emanato diventa immediatamente esecutivo. - respinge la domanda essa non può essere più riproposta, mia entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento o dalla sua notificazione si può proporre un’opposizione alla stessa corte d’appello che ha emesso il decreto. Tale opposizione viene regolata dall’articolo 5. convenuto. Con il ricorso si ha prima la richiesta dell’intervento del giudice e poi il coinvolgimento della controparte. Il ricorso è il modello europeo prevalente, in quanto più rispettoso delle modalità organizzative, ma l’atto di citazione è la forma storicamente prescelta dall’ordinamento italiano. Quest’ultima ha come contenuto: - Una parte di intestazione - Una parte contenente la domanda giudiziale - Una parte che comporta il collegamento tra parti e giudice, ossia l’invito a comparire a udienza fissa. Inoltre tale atto comprende anche l’indicazione dei mezzi di prova che l’attore già ritiene di volere proporre, esso deve essere sottoscritto dal difensore munito di procura. La parte principale dell’atto di citazione è quella che contiene la proposizione della domanda giudiziale, la quale è strettamente collegata all’esposizione dei fatti e agli elementi di diritto costitutivi primari, ossia quei fatti necessari e sufficienti a fondare il diritto. Sono molto importanti anche le conclusioni, le quali devono essere formulate in modo che il giudice, se accoglie la proposta, possa trascriverle del dispositivo. La pluralità di domande L’attore nello stesso processo può proporre una o più domande, dunque va chiarito l’interno rapporto: - Domanda principale e domande subordinate, se l’attore sulla base degli stessi fatti chiede in via di gradazione progressiva diversi beni della vita o diverse misure dello stesso bene (chiede a, se il giudice non acconsente chiede b, poi c ecc..) - Domande alternative, ossia la richiesta dell’attore di provvedimenti diversi, come ad esempio chiedere alternativamente la nullità, l’annullamento o la risoluzione per inadempimento di un contratto. Le domande subordinate e alternative vengono proposte a causa dell’incertezza dell’attore dell’esito del processo, ma anche a causa del divieto del giudice di pronunciare al di fuori delle domande delle parti. La fissazione della prima udienza e il termine di comparizione È il procuratore che firma l’atto di citazione in nome della parte, l’attore determina l’udienza e la indica nell’atto di citazione, scegliendo tra le dato previste dal calendario giudiziario per la prima udienza. Quest’ultimo deve anche osservare i termini dilatori al fine di permettere alla controparte un’adeguata difesa. Tali termini consistono in 90 giorni per il convenuto residente in Italia e 150 giorni per quello residente all’estero, ma qualora l’attore ritenga di non poter aspettare così a lungo può chiedere al Presidente del tribunale di disporre con decreto scritto sull’atto di citazione che il termine venga ridotto fino alla metà (c.d. abbreviazione dei termini). 39. Gli effetti dell’atto di citazione Effetti processuali e sostanziali L’atto di citazione produce effetti dal momento in cui viene notificato al convenuto, tali effetti sono: 1. Processuali: la notificazione dell’atto di citazione al convenuto da inizio al processo, ossia essa crea litispendenza. È con la notifica che si instaura il contraddittorio, il convenuto viene a conoscenza di ciò che gli viene domandato e decide se e come difendersi. La notifica della citazione può anche dare luogo a prevenzioni, ossia può servire a stabilire, in caso di due giudizi identici o connessi, quale sia stato radicato per primo. 2. Sostanziali: la legge prevede che l’atto di citazione validamente notificato interrompe la prescrizione fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio (c.d. effetto interruttivo protratto). L’atto di citazione contiene la domanda giudiziale, la quale, nei casi previsti dalla legge, può essere trascritta. La nullità dell’atto di citazione La nullità deriva dalla mancanza di uno dei requisiti di contenuto- forma previsti dall’articolo 163 c.p.c., secondo il quale esso deve contenere: 1. l'indicazione del tribunale davanti al quale la domanda è proposta. 2. il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell’attore e del convenuto. Se attore o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio. 3. la determinazione della cosa oggetto della domanda. 4. l'indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell'assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento; 5. l'esposizione in modo chiaro e specifico dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni. 6. l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi. 7. il nome e il cognome del procuratore e 8. l'indicazione del giorno dell'udienza di comparizione; l'invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell'udienza indicata. Tuttavia la costituzione del convenuto sana i vizi dell’atto di citazione in quanto lo scopo è stato raggiunto, ma qualora il giudice ritenga vi sia una nullità non sanata dispone la rinnovazione della citazione. I vizi dell’atto di citazione si distinguono in: 1. Vizi meno gravi: in questo caso la nullità può essere sanata con la costituzione del convenuto o, se il giudice lo ordina, con la rinnovazione della citazione ordinata dal giudice, e in questo ultimo caso gli effetti processuali e sostanziali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione. Essi sono: a. Quando viene omessa o è incerta l’indicazione del tribunale competente o delle parti. b. Se manca la data dell’udienza di comparazione. c. Se è stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello legale. d. Se manca l’avvertimento alle decadenze a cui può incorrere il convenuto. 2. Vizi più gravi: in questi casi il giudice rileva la nullità e fissa all’attore un termine perentorio entro il quale rinnovare la citazione (se il convenuto non si è costituito) o integrare la domanda (se il convenuto si è costituito). Essi sono: Il giudice poi verifica d’ufficio la regolarità della costituzione delle parti, e quando necessario li invita a mettere in regola gli atti e i documenti difettosi entro un certo termine, entro il quale, vengono messi in regola, il giudice non può procedere prima che la questione sia risolta e il vizio sanato. La prima udienza è anche il momento in cui si devono compiere alcune attività processuali che non possono essere svolte nelle altre fasi del processo, come sollevare l’eccezione di competenza per materia, valore o territorio. Il codice cerca di risolvere già all’inizio del processo una serie di possibili problemi che riguardano la sussistenza di presupposti processuali. Il legislatore cerca di arrivare a una soluzione concordata della lite, in prima udienza il giudice formula alle parti una proposta transattiva o conciliativa, se le parti non si conciliano si prosegue con la trattazione. Il giudice la prepara chiedendo alle parti i chiarimenti necessari e indicando le questioni rilevabili d’ufficio che ritiene utile esaminare. La materia del contendere, però, non è già completa all’udienza di trattazione, infatti entrambe le parti possono precisare o modificare domande, usare eccezioni e conclusioni, domande riconvenzionali dell’attore che contrastino le domande riconvenzionali del convenuto. Le memorie successive all’udienza di trattazione In base all’articolo 183 comma 6 c.p.c. su richiesta anche di una sola parte il giudice assegna un triplice termine perentorio (30,30,20 giorni) in cui le parti, depositando apposite memorie. - Prima memoria, compiono la definitiva determinazione della materia da contendere. - Seconda memoria, replicano alle domande ed eccezioni nuove o modificate dall’altra parte. - Terza memoria, indicano le prove contrarie a quelle indicate dalla controparte nel termine precedente. La richiesta delle memorie è facoltativa. 40. Lo svolgimento dell’istruttoria Le decisioni del giudice sul suo svolgimento Alla fine dell’udienza di trattazione e decorsi i successivi termini di 30,30 e 20 giorni il giudice ha due scelte: 1. Ritenere che la causa sia già pronta per una decisione, invitando le parti a precisare le conclusioni e preparandosi a decidere, ciò avviene solo se la questione è di puro diritto e non c’è quindi bisogno di prove. 2. Ritenere che la causa supponga un accertamento di fatti e che non si possa esaurire con il semplice esame delle prove documentali, il giudice apre in questo caso la fase istruttoria. Egli fissa un’udienza in cui provvede sulle richieste istruttorie, disponendo l’assunzione di quelle che ritiene ammissibili e rilevanti. Le parti, nel formulare le rispettive richieste istruttorie, seguono precisi percorsi argomentativi, e il contraddittorio tra le parti si realizza nello scambio delle memorie e nella discussione orale difronte al giudice nell’udienza. Con l’ordinanza che ammette le prove il giudice può comunque disporre il libero interrogatorio delle parti, ossia un colloquio informale tra il giudice e le parti assistite dai difensori, esso è uno strumento per agevolare il giudice nella migliore conoscenza della causa. Nozione di prova Per prova si intende sia lo strumento con cui si apporta la dimostrazione dei fatti (mezzo di prova), sia l’esito di tale mezzo sul convincimento del giudice (risultato di prova). Vi sono dei limiti di iniziativa, ossia le parti sono libere nella loro iniziativa istruttoria ma il giudice non lo è, infatti può introdotte prove d’ufficio solo in casi tassativi, come ad esempio per quanto riguarda l’esibizione dei libri contabili, prova testimoniale, ispezione, consulenza tecnica… Vi sono anche dei limiti di modalità per cui la prova può essere data solo secondo certi modi e certe forme, e dunque vi è tipicità dei mezzi di prova, la quale esclude i mezzi di prova non legalmente previsti e i mezzi di prova tipici ma assunti con modalità diverse da quelle previste dalla legge. Vi sono, infine, limiti di tempo, infatti esiste un termine finale che preclude ogni attività istruttoria successiva, e la prova possibile è quella che viene dedotta e raccolta entro questo spazino temporale. I mezzi di prova possono essere: 1. Precostituiti: se nascono fuori dal processo e con una funzione autonoma e del tutto indipendente dalla lite, normalmente sono elementi documentali (es. contratto) e vengono introdotti attraverso l’inserimento fisico nel fascicolo della parte. 2. Costituendi: se hanno vita nel processo e con una finalità direttamente collegata a questo, facciamo riferimento alla confessione, al giuramento, la prova testimoniale, l’ispezione, l’esibizione, la richiesta di informazione alla p.a. e la consulenza tecnica. Vengono introdotte attraverso apposite modalità organizzative, ossia un’udienza con la presenza del giudice, dei difensori e soggetti in grado di apportare le info durante il processo. 41. Ammissibilità, rilevanza e valutazione delle prove Ammissibilità e rilevanza dei mezzi di prova Nel processo non è possibile ogni indagine, vi sono due limiti: 1. Limite di metodo, un certo mezzo di prova deve essere legittimamente introdotto nel processo sulla base delle regole del c.c. e del c.p.c. 2. Limite di utilità, un certo mezzo di prova, astrattamente ammissibile, deve essere anche utile. Tale rilevanza va considerata in rapporto alla linea logico-giuridica di ognuna delle parti e di quella che il giudice comincia a formarsi. La valutazione di ammissibilità si attua su tutti i mezzi di prova, quelli delle parti, del giudice, costituendi e precostituiti. Per l’assunzione della prova facciamo riferimento all’articolo 202 c.p.c il quale auspicia che i mezzi di prova siano assunti nella stessa udienza in cui vengano ammessi, se non è possibile è il giudice a stabilire il luogo, il tempo e il modo dell’assunzione. Quando le prove vanno assunte al di fuori della circoscrizione del tribunale (es. testimone lontano, ispezione di luoghi in un’altra sede…) il giudice potrebbe trasferirsi personalmente ma ciò comporterebbe ostacoli organizzativi, dunque, nella maggior parte dei casi, l’assunzione della prova viene affidata ad un altro magistrato della circoscrizione, cui la delega viene affidata con ordinanza del giudice, stabilendo anche un termine. Valutazione degli esiti dell’istruttoria In base al principio del libero convincimento, il giudice al momento della decisione accerterà i fatti per come risultano provati. A seconda del rapporto che si instaura tra la percezione del giudice e il fatto da provare, le prove si distinguono in: - Prove dirette: le quali instaurano un rapporto immediato tra il - Consulenza tecnica deducente: il ctu deve soltanto rendere esplicite le conseguenze tecniche di fatti già accertati e pertanto non sarebbe mezzo di prova ma istruttorio, sottratto alla disponibilità delle parti. Le parti, invece, possono farsi assistere da periti di parte, ossia un soggetto che ha una preparazione tecnica analoga a quella del Ctu, ma la differenza sta nel fatto che il Ctu è terzo e mi parziale, mentre il perito di parte è schierato a favore della parte che lo ha nominato. È necessaria una collaborazione tra il difensore e il perito, la quale si manifesta ad esempio attraverso suggerimenti per la corretta formulazione tecnica del quesito. L’incarico al consulente viene conferito tramite un’apposita udienza, tre giorni prima dell’udienza scade il termine per l’astensione o ricusazione del consulente. Il risultato dell’attività del consulente consiste in una relazione scritta che risponda ai quesiti che sono stati posti dal giudice, tale relazione deve essere trasmessa dal consulente alle parti nel termine stabilito dal giudice con l’ordinanza ammissiva. Quando opportuno il consulente viene invitato ad assistere alla discussione e a esprime il suo parere in camera di consiglio davanti alle parti. L’esito delle valutazioni del consulente non sono vincolanti per il giudice, che può discostarsene dandone una motivazione. Ispezione Ispezione è costituita da un contatto visivo tra il giudice e i luoghi/ persone/cose a cui si riferisce la controversia. Essa è reale se riferita a luoghi o cose, mentre personale se riferita a persone. Il giudice può ordinare alle parti e ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti della causa, purché ciò possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo, e senza costringerli a violare uno dei segreti tuteli nel codice di procedura penale. Per quello che riguarda le modalità di espletamento dell’ispezione il giudice può disporre d’ufficio la prova, regolandone luogo, tempo e modo, spesso poi essere affidata a un consulente tecnico. Esibizione L’esibizione è un mezzo istruttorio che serve ad acquisire al processo materiale documentale. Il giudice, su istanza di parte, può ordinare all’altra parte o a un terzo di esibire in giudizio un documento o un’altra cosa di cui si ritenga necessaria l’acquisizione al processo. Tale mezzo ha due punti delicati: 1. La controparte o i terzi potrebbero ostacolare l’acquisizione al processo del materiale richiesto. Vengono protette le situazioni di segreto professionale, d’ufficio, di stato. 2. Vi è inoltre la necessità di rispettare i diritti del terzo con riguardo soprattutto alla riservatezza. L’ordinamento italiano si colloca più sul versante della protezione della riservatezza che non su quello della ricerca della verità probatoria. Richiesta di informazioni alla PA Si tratta di un altro mezzo istruttorio, secondo cui il giudice può sempre richiedere, anche d’ufficio, che la PA fornisca informazioni scritte relative ad atti e documenti appartenenti all’amministrazione interessata. La confessione Secondo l’articolo 2730 c.c. la confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità dei fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte. Essa: 1. è giudiziale quando è resa davanti al giudice, ed essa può essere: - spontanea, essa può essere contenuta in un qualsiasi atto processuale purché firmato personalmente dalla parte, ovvero in udienza. - Interrogatorio formale, a differenza dell’interrogatorio libero con cui il giudice ottiene un colloquio diretto con le parti, esso è il mezzo con cui una parte sottopone all’altra vari quesiti, stimolandone la conferma o la negazione. Il giudice non deve estorcere nulla all’interrogando mentre la parte interrogata deve rispondere personalmente e non può servirsi di scritti preparati. La mancata presenza della parte all’interrogatorio non equivale alla confessione, il giudice deve infatti valutare questo atteggiamento della parte assente insieme agli altri elementi di prova raccolti. 2. È stragiudiziale quando è effettuata al di fuori del processo. In tal caso essa deve essere inserita nel giudizio attraverso un altro mezzo di prova, ossia un documento o una testimonianza. L’ordinamento non si occupa di stabilire se ciò che la parte ha detto sia effettivamente vero, ma ne fa la base per un accertamento di rapporti, esse costituiscono prove legali, per cui il giudice è vincolato a ritenerle vere senza poterle vagliare con il suo apprezzamento. La confessione deve per essere efficace deve provenire da chi è capace di disporre del diritto, deve riguardare diritti disponibili ed essere effettuata con volontà libera. Giuramento Mediante il giuramento una parte chiama l’altra a compiere determinate affermazioni sotto il vincolo della solennità della dichiarazione. Anch’esso è un atto negoziale e dispositivo, ma la disposizione avviene da parte di chi affida la decisione sul proprio diritto al giuramento altrui. Il c.c. ne prevede tre tipi: 1. Giuramento decisorio: quello che una parte deferisce all’altra per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa. 2. Giuramento suppletorio: quello che il giudice d’ufficio può deferire a una parte per decidere la causa, quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate ma nemmeno del tutto sfornite di prova. 3. Giuramento estimatorio: è una sottospecie di giuramento seppletorio, esso è deferito dal giudice al fine di stabilire il valore della cosa domandata Il giuramento ha efficacia di prova legale e priva il giudice della facoltà di esaminare i fatti. Inoltre l’efficacia del giuramento è tale che una volta prestato l’altra parte non può provare il contrario o chiedere la revocazione della sentenza se il giuramento è dichiarato falso, può chiedere al massimo il risarcimento del danno nel caso in cui vi sia stata condanna penale per falso giuramento. Le prove documentali La nozione di documento comprende ogni forma di rappresentazione materiale della realtà, a cui il diritto sostanziale assegna un valore di credibilità maggiore rispetto all’oralità. Vi sono casi in cui la forma scritta è requisito di validità sostanziale dell’atto e altri in cui essa è altre scritture che la parte ha prodotto (c.d. scritture di comparazione). L’istanza di verificazione presenta alcune analogie con la querela di falso: - entrambe sono decise dal tribunale in composizione collegiale - Entrambe possono essere proposte sia in via autonoma che incidentale - Presentano analoghe cautele per la conservazione del documento contestato e per il deposito dei documenti di comparazione. 48. Le modalità di intervento di terzi Le forme di intervento 1. L’intervento volontario: sulla base dell’articolo 267 l’interveniente volontario si presenta in un processo già radicato, inoltre egli si comporta come il convenuto, quindi si costituisce presentando in udienza o depositando in cancelleria una comparsa. La comparsa dell’interveniente volontario non è una comparsa di risposta, e il suo contenuto dipende dalla posizione che il terzo assume. Es. può schierarsi a fianco dell’attore o del convenuto o contro entrambi. Se si schiera a fianco dell’attore e propone una domanda autonoma, la comparsa dovrà contenere l’esposizione dei fatti e la struttura complessiva della causa petendi. Non vi è alcun controllo preventivo sulla legittimazione dell’interveniente a prendere parte al processo. Per quanto riguarda i termini per l’intervento l’articolo 268 c.p.c. afferma che l’intervento può avere luogo fino a che non vengano precisate le conclusioni. Il terzo non può compiere atti che al momento dell’intervento non sono più consentiti alle parti, salvo che compaia volontariamente per l’integrazione necessaria del contraddittorio, trattandosi però di una fattispecie differente, secondo cui l’interveniente accetta il processo nella situazione in cui si trova.Norma questa che esisteva prima delle regole sulle preclusioni. Oggi, occorre leggerla alla luce delle preclusioni: già alla prima udienza non si possono dedurre nuovi fatti costitutivi. Se la domanda dell’interveniente suppone nuovi fatti, egli deve necessariamente costituirsi nello stesso termine del convenuto (20 giorni prima dell’udienza), se non vuole subire gli effetti preclusivi. 2. L’intervento coatto: il terzo può essere chiamato in causa su istanza di una delle parti o su ordine del giudice. La differenza, rispetto a quello volontario, è che può avvenire in qualsiasi momento. Occorre distinguere a seconda che il terzo sia chiamato in giudizio dal convenuto o dall’attore. - Convenuto: il convenuto che intende chiamare un terzo in causa deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di risposta e contestualmente chiedere al giudice lo spostamento della prima udienza, allo scopo di consentire al terzo una regolare difesa con lo stesso termine del convenuto (90 giorni). Il giudice non ha il potere di escludere la chiamata del terzo, neanche nel caso in cui il convenuto chiami un terzo totalmente estraneo alla controversia. La chiamata del terzo avviene con atto di citazione, con il quale lo si informa di tutto ciò che è accaduto fino a quel momento (domanda attore, difesa convenuto, provvedimento del giudice). Fra la notificazione dell’atto di chiamata e l’udienza deve trascorre un termine uguale a quello previsto per il convenuto, in Italia 90 giorni. Il terzo, se vuole costituirsi, lo fa con le stesse modalità del convenuto, ossia presenta una comparsa di costituzione entro 20 giorni dall’udienza. Inoltre egli può presentare a sua volta domanda riconvenzionale contro il convenuto o anche chiamare in causa un altro soggetto. - Attore: non deve escludersi che talvolta sia l’attore a richiedere la chiamata di un terzo. Ciò può accadere a seguito della difesa del convenuto, l’attore si rende conto di dover chiamare un terzo e lo fa (non nell’atto di citazione), ma alla prima occasione possibile, cioè la prima udienza di trattazione. Qui, però, cambia il ruolo del giudice, infatti, l’attore, in prima udienza, chiede al giudice l’autorizzazione a chiamare il terzo. A. Se l’autorizzazione è negata, l’attore potrà comunque citare il terzo (come convenuto) in un giudizio autonomo e puntare alla riunione dei processi. B. Se l’autorizzazione è concessa, il giudice fissa una nuova udienza per consentire la citazione del terzo, sempre con termini 90 giorni. Al terzo chiamato si applicano tutte le disposizioni relative al convenuto, in particolare egli può avere interesse a chiamare un altro terzo, in tal caso, come il convenuto, deve darne dichiarazione, a pena di decadenza, nella comparsa e, come l’attore, deve essere poi autorizzato dal giudice. Il terzo è chiamato a fare parte del processo, ciò fa si che le altre parti vedano allargarsi la composizione soggettiva della causa e talora anche lo stesso oggetto della controversia, ciò può portare alla comincia delle domande proposte e delle conclusioni originariamente prese. Il terzo può introdurre nuove questioni: es. eccezione di difetto di giurisdizione, non discussa fino a quel momento. Riunione di cause La riunione è il meccanismo con cui due o più cause, pendenti dinnanzi al medesimo organo giudiziario, vengono trattate insieme. Ciò accade quando vi sia: - litispendenza; l’ articolo 273 dispone che se più procedimenti relativi alla stessa causa pendono davanti allo stesso giudice, questi, anche d’ufficio, ne ordina la riunione. - connessione; l’articolo 274 se più procedimenti relativi a cause connesse pendono davanti allo stesso giudice, questi anche d’ufficio può (non deve) disporne la riunione. C’è un profilo di discrezionalità. Il presidente convoca le parti e le sente in contraddittorio. Le due o più cause riunite non si confondono, la sentenza finale, pur essendo formalmente una, decide tante cause quante sono quelle riunite. Estromissione Il codice contempla alcuni casi in cui una parte del processo viene fatta uscire. Si parla di estromissione, il quale non ha portata generale ma è possibile solo nei casi previsti legge. - Articolo 108: se il garante accetta di stare in giudizio al posto del garantito, questi può essere estromesso. In sostanza, infatti, la domanda dell’attore trova nel garante la vera controparte. - Articolo 109: si contende a quale parte spetta la prestazione. L’obbligato dichiara di volerla eseguire a favore di chi ne ha diritto. Il giudice può ordinare il deposito della cosa o della somma dovuta, e dopo il deposito estromette l’obbligato dal processo. Il provvedimento di estromissione non ha contenuto di accertamento, ma esclude dal processo una parte che ne è sostanzialmente estranea, assume quindi la forma di ordinanza. Analogo fenomeno può quando la fase decisoria è stata avviata per decidere una questione preliminare o pregiudiziale (art. 189 II comma). Per esempio, può accadere che il giudice, dopo la lettura delle difese, ritiene di non dare corso all’istruttoria perché si tratta di una soluzione di puro diritto, oppure ritiene di risolvere (negativamente) la causa su una questione pregiudiziale (es. non ha giurisdizione). Quale che sia la ragione che induce il giudice a disporre la precisazione delle conclusioni, è pur sempre vero che l’intero oggetto del processo entra nella sfera decisoria. Non necessariamente la precisazione delle conclusioni deve effettuarsi in un’udienza. Tuttavia, oggi, la prassi prevalente è nel senso di fissare un’udienza ad hoc, in quanto il giudice, con la fissazione di questa udienza, comincia a fare il conto alla rovescia per la sua maggiore fatica, che sarà la scrittura della sentenza, la quale deve essere emessa entro 30 giorni dalla sua ultima attività (termine non perentorio). Le difese finali Una volte precisate le conclusioni, il giudice monocratico può procedere attraverso la trattazione scritta o mista, oppure può disporre la discussione orale immediata. La scelta spetta al giudice, tuttavia le parti possono fare presente quale secondo loro è la soluzione più opportuna. 1. Trattazione scritta, comporta la seguente successione di fasi: - Precisazione delle conclusioni - Nei successivi 60 giorni all’udienza di precisazione delle conclusioni, le parti redigono e depositano le comparse conclusionali. - Nei 20 giorni ancora successivi, le parti possono eventualmente redigere e depositare memorie di replica. È allo scadere di questi 60 + 20 giorni che comincia a decorrere il termine dei 30 giorni per la sentenza del giudice. 2. Trattazione mista, suppone una richiesta delle parti. Comporta la seguente successione di fasi: - Precisazione delle conclusioni - Nei successivi 60 giorni all’udienza di precisazione delle conclusioni, le parti redigono e depositano le comparse conclusioni. - Nei 30 giorni ancora successivi, si svolge un’udienza di discussione orale. La comparsa conclusionale è l’atto con cui la parte riassume tutti gli elementi del giudizio in fatto e in diritto. L’obiettivo è quello di trasmettere le nozioni giuridiche con esattezza e completezza, senza ripetizioni e semplificando al massimo il lavoro del giudice. 3. Discussione orale immediata, il giudice, nella stessa udienza di precisazione delle conclusioni, può disporre la discussione orale, e al termine della discussione pronuncia la sentenza. Ha senso quando le posizioni delle parti sono state già perfettamente chiarite o la controversia è semplice. La discussione orale non sarà più di tanto decisiva, il contraddittorio si è già perfezionato prima e il giudice ha di fatto già deciso. In caso di composizione collegiale del tribunale, c’è qualche differenza. Inizialmente, era possibile solo la trattazione scritta. Oggi, invece, è possibile chiedere una discussione orale immediata. È in questo momento della decisione che emergono eventuali errori nell’assegnazione di una data causa al giudice monocratico anziché al collegio, o viceversa. 51. Fase decisoria del processo La deliberazione Il giudice decide secondo diritto, applicando la legge italiana. Egli giudice esamina i fatti e, dopo averli accertati, li inquadra nell’ambito di una fattispecie legale. La norma costituisce la premessa maggiore, il fatto accertato la premessa minore. Nell’individuazione della norma il giudice si deve servire della sua conoscenza del diritto. Nell’individuazione dei fatti, invece, il giudice si deve servire di ciò che è stato allegato e provato nel processo. Per ciò che concerne i fatti, il giudice non solo non può procedere d’ufficio, ma non deve nemmeno basarsi sui fatti che le parti hanno liberamente evitato di allegare. In ogni caso, il giudice non può utilizzare ciò che conosce al di fuori del processo, in quanto vige il divieto di utilizzare la scienza privata. Invece, il giudice può utilizzare quei fatti che egli conosce come cittadino qualsiasi, di media cultura:  i fatti notori, sono episodi storici, massime di esperienza, situazioni di carattere fisico o scientifico. In via residuale, nel nostro ordinamento c’è la possibilità per il giudice di decidere secondo equità. Essa può essere: a) sostitutiva, quando è alternativa alla norme di diritto (si colloca al posto della norma) b) integrativa, è più frequente, l’equità come semplice integrazione della norma. L’equità non è un sistema compiuto: è solo il temperamento, caso per caso, del sistema, alla luce di parametri di giustizia, di cui la norma può non avere tenuto conto. Il giudice italiano deve certamente conoscere e applicare il diritto dell’Unione Europea. Vigono due principi fondamentali: 1)  principio di supremazia, la norma europea prevale sulla norma nazionale 2)  principio di applicazione diretta del diritto europeo, il giudice nazionale deve disapplicare le norme nazionali in contrasto con quelle europee, senza previo rinvio agli organi di controllo di costituzionalità. Per quanto riguarda il ruolo del diritto straniero la conoscenza del diritto straniero è un compito rientrante nel dovere decisorio del giudice e non è un fatto che le parti devono provare. la l. 218/1995 di apertura alla comunità internazionale consente al giudice di nominare esperti, che lo aiutino nell’accertamento della norma straniera. Poi, alle fonti di origine legislativa, si affianca in modo sempre più rilevante la giurisprudenza. Il provvedimento che definisce il giudizio L’articolo 277 c.p.c. stabilisce che il giudice nel deliberare sul merito deve decidere tutte le domande proposte e le relative eccezioni, definendo il giudizio. Le soluzioni possibili sono tre: 1. Ordinanza: essa ricorre in tutti quei casi in cui il giudice voglia disporre la prosecuzione del giudizio. L’articolo 279 comma 1 precisa che il giudice pronuncia ordinanza quando provvede solo su questioni relative all’istruzione della causa, senza definire il giudizio. 2. Sentenza non definitiva: tale sentenza possiamo ritrovarla nei casi in cui il giudice risolve una questione preliminare o pregiudiziale, di rito o di merito, che non comporta l’esaurimento della causa Per quanto riguarda l’esecuzione indiretta si tratta di situazioni in cui l’esecuzione della condanna o è particolarmente difficile o addirittura impossibile (es. obblighi di fare infungibili o di non fare). La soluzione consiste in misure a carattere economico e sanzionatorio che, pur non raggiungendo direttamente lo scopo, possono indurre l’obbligato ad adeguarsi. In base all’articolo 614-bis il giudice fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento. La norma ha portata generale e si applica a tutte le ipotesi di pronunce di condanna, ad eccezione soltanto di quelle concernenti somme di denaro. Correzione della sentenza Nel caso in cui la sentenza o l’ordinanza decisoria contiene non errori di diritto, ma semplici dimenticanze, omissioni, errori materiali o di calcolo, senza che ciò dipenda da una valutazione giuridica, sulla base dell’articolo 287 c.p.c., esse possono essere corrette, su ricorso di parte, dallo stesso giudice che le ha pronunciate. Si tende ad ammettere che la sentenza possa essere semplicemente corretta, sia pure in contraddittorio con l’altra parte, senza imporre l’instaurazione di un giudizio di impugnazione. Il procedimento di correzione è diverso a seconda se le parti concordino o meno sull’oggetto della correzione, infatti: - se le parti concordano il giudice provvede con decreto - Se la correzione è chiesta solo da una parte il giudice le convoca tutte in udienza e poi decide con ordinanza 53. I provvedimenti anticipatori di condanna Ordinanza di pagamento di somme non contestate Il legislatore cerca strade che rendano più rapido l’ottenimento di un titolo esecutivo, rinunciando a perseguire un pieno accertamento. Il codice persegue questo obiettivo, nel processo ordinario di cognizione, con tre diversi istituti, le cui caratteristiche comuni sono: - danno vita a provvedimenti provvisori, che non decidono definitivamente il merito - questi provvedimenti tendono a diventare esecutivi - sono pronunciati quando non è ancora finita la fase decisoria, talora neppure la fase di trattazione. I tre istituti sono i seguenti: 1. ordinanza di pagamento di somme non contestate (art. 186-bis) Il presupposto è che la causa deve riguardare un’azione di condanna al pagamento di una somma di denaro. Il convenuto (costituito e NON contumace) contesta solo parzialmente la pretesa dell’attore. Dunque, su istanza dell’attore, è subito disposto con ordinanza il pagamento della parte per la quale non c’è contestazione, mentre il processo continua per la parte contestata. L’ordinanza ordina esclusivamente il pagamento, non ha funzione di accertamento del diritto. L’ordinanza costituisce titolo esecutivo e conserva la sua efficacia in caso di estinzione del processo, dunque se il processo giunge a conclusione senza aver deciso il merito, il titolo esecutivo rimane in essere, nonostante non vi sia stato accertamento. La sentenza finale che riguarda tutta la materia del contendere si sostituisce all’ordinanza, costituendo titolo esecutivo per l’intero, se però la parte oggetto dell’ordinanza è già stata pagata l’esecuzione può riguardare solo la parte mancante. 2. Ordinanza-ingiunzione (art. 186-ter) La fattispecie riguarda il pagamento di somme o la consegna di cose fungibili. Nel corso del giudizio (fino all’udienza di precisazione delle conclusioni), una parte può chiedere al giudice di emettere un’ordinanza con condanna al pagamento delle somme o alla consegna di cose fungibili a carico della controparte. Il giudice emette ordinanza, se la parte istante fornisce prova scritta del credito vantato. L’istanza della parte richiedente può essere proposta in udienza o fuori udienza. Tali ordinanze non sono sempre esecutive, esse lo sono se sussistono i presupposti fissati dall’ articolo 642 e dall’articolo 648 c.p.c. L’articolo 648 si inserisce nella disciplina dell’ opposizione a decreto ingiuntivo e prevede che una parte ottiene dal giudice un decreto ingiuntivo, ossia un ordine di pagamento di somme o consegne di cose, emesso non in contraddittorio. Il decreto ingiuntivo viene poi notificato alla controparte, la quale si oppone, istaurando un normale giudizio in contraddittorio. A questo punto del giudizio la prima parte che ha ottenuto il decreto ingiuntivo a suo favore può chiedere che il provvedimento sia reso provvisoriamente esecutivo, se le ragioni della controparte non sono fondate su prova scritta o di pronta soluzione. Il giudice può dichiarare provvisoriamente esecutiva l’ordinanza qualora ritenga che le ragioni del convenuto non siano basate su prova scritta o di pronta soluzione. La provvisoria esecutorietà non può essere MAI disposta se la controparte ha disconosciuto la scrittura privata prodotta contro di lei o ha proposto querela di falso contro l’atto pubblico, su cui si fonda la pretesa dell’istante. Se la parte contro cui è pronunciata l’ingiunzione è contumace, l’ordinanza deve essere notificata, essa contiene anche l’espresso avvertimento che se la parte non si costituisce entro 20 giorni dalla notifica, l’ordinanza diventerà esecutiva. L’esecutorietà dell’ordinanza è provvisoria e diventa definitiva in caso di sentenza di merito favorevole alla parte che ha ottenuto l’ingiunzione o in caso di estinzione del processo. 3. Ordinanza post-istruttoria (art. 186-quater) Essa riguarda l’ipotesi in cui la domanda giudiziale ha per oggetto il pagamento di somme o la consegna o rilascio di beni. L’ordinanza può essere pronunciata solo dopo che sia esaurita l’istruzione e ha per oggetto quella parte della domanda, per la quale il giudice ritiene già raggiunta la prova. In pratica, nel corso dell’istruttoria, il giudice, su una parte della domanda, si forma un convincimento e, senza dover attendere che il processo segua il suo corso, il giudice può isolare quella parte della materia del contendere e farne oggetto di una separata ordinanza. Se il processo si estingue, l’ordinanza conserva l’efficacia di titolo esecutivo ed acquista l’efficacia di sentenza impugnabile, a meno che il convenuto non manifesti esplicitamente la volontà che sia pronunciata la sentenza. A differenza degli altri due istituti, l’ordinanza è revocabile solo con la sentenza che definisce il giudizio. 54. Sospensione e interruzione del processo Nel processo si possono verificare i c.d. eventi anomali, ossia situazioni non consuete che comportano una pausa o un arresto della trattazione. Tra gli eventi normativamente anomali vi sono: