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Riassunto cap 1 e 2 Manuale di storia del pensiero politico, Sintesi del corso di Storia Del Pensiero Politico

riassunto dei primi due capitoli del manuale (l'antichità greca e romana + cristianesimo e politica)

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 24/08/2021

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valentina-gimigliano 🇮🇹

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Scarica Riassunto cap 1 e 2 Manuale di storia del pensiero politico e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Pensiero Politico solo su Docsity! Il pensiero politico Greco Un'immagine emblematica del modo con cui i greci percepirono il loro spazio politico è quella del cerchio: esprime quel processo che fra Solone e Clistene ha consentito di porre il potere (l’archè) in mezzo al centro della polis e dei cittadini ovvero di fare del potere una questione politica, una cosa pubblica che riguardava tutti. Dopo la riforma istituzionale di Clistene ad Atene, la politica intesa come spazio comune a tutti i cittadini, assume una consistenza e un'autonomia prima sconosciuta. Clistene pone la città e la cittadinanza al centro della vita degli individui. Che la decisione politica stesse in mezzo significò che era disponibile alla volontà dei cittadini, alle loro ragioni e argomentazioni che eroso il sacro carattere delle leggi, il comando poteva essere esercitato nell’interesse di tutti e che a tutti doveva rendere conto del proprio operato. Lo spazio circolare della politica come spazio dell’eguaglianza è ricavato tramite l'esclusione: quello fra liberi e schiavi, tra uomini e donne, ricchi e poveri. La politica è resa instabile dalla minaccia della guerra esterna e dalla guerra interna. La riflessione politica in Grecia deriva dal fatto che è in questo ambito che per | a prima volta l'ordine politico deve legittimarsi non per analogia terrena rispetto all'ordine cosmico, non per gerarchie di saperi, non per arcani principi ma per la sua funzione sociale capace di assorbire le dinamiche provenienti da tutte le componenti della società e di costituire al centro di questo ideale circolo sociale il luogo della loro composizione. A dividerci dai greci c'è la loro concezione della democrazia come partecipazione attiva dei cittadini ai processi di formazione della volontà politica comune. Dal punto di vista pratico il primato della politica e della sfera pubblicaeraresopossibiledallapresenzadellavoroschiavisticocherisolvevainparteiproblemirelativialla sopravvivenza; l’utilizzazione della manodopera degli schiavi consentiva alla dimensione pubblica di essere praticata e percepita come quella più importante per gli uomini liberi e liberava tempo per un esercizio prevalentemente diretto della democrazia. L'economia era poco e mal vista in quanto grazie alla guerra la facilità del procurarsi schiavi era alta. Infatti la città era composta da cittadini soldati che spesso facevano propria l’etica aristocratica anche nelle fasi democratiche della politica antica: un’etica che impediva loro di guardare all'economia al di fuori dell’oikos (casa dove vigevano i rapporti tra capo e servi) e li spingeva a valutare l'arricchimento o la tutela dell’interesse. I nuclei di questa analisi politica saranno: - Il passaggio storico ideale dall’ideale aristocratico della virtù guerriera a quello della virtù civile - L'invenzione della politica e il sorgere al suo interno del problema della giustizia e dei suoi rapporti con la legge delle singole città - L’emergere della filosofia come sapere in grado di dare risposta razionale ai problemi dell'assetto della vita associata. Omero L’iliadeel’odisseaeranoimodellidivirtùemodalitàdirelazionietico-politiche tra gli uomini. Erano strumenti per l'educazione dei giovani basata sull’ideale aristocratico dell’eccellenza della virtù. La virtù eroica che si imparava da omero era un valore fisico e morale che non solo era appannaggio di pochi capi ma che soprattutto la violenza aveva caratteristiche che la destinavano a generare un antagonismo tra gli eroi. La virtù era identificata con la forza e con l’onore mossi dalle logiche di conflitto. L'onore è il concetto di una riconosciuta eccellenza e spinge a una messa alla prova di se stessi per evitare il disonore. L’eroe ha bisogno di legittimare continuamente con l’esibizione della forza la propria posizione di eccellenza e così il potere ha bisogno di altre fonti di legittimazione rispetto alla potenza dell’eroe che di volta in volta lo detiene. Da qui il dualismo dell’iliade tra virtù individuale e la collocazione in soggetti diversi di queste due qualità che impediscono una legittimazione del potere. La nozione di giustizia conosce varie fasi: L’iniziale è la Themis cioè una divinità figlia di Zeus. Incarna un ordine e una regola che tiene sotto il suo impero tanto gli astri quanto gli uomini. È questa la giustizia eroica, dell'educazione aristocratica che colloca la virtù nella contesa come tale: in quest'ambito la giustizia è per la capacità di controllare e padroneggiare la propria forza, ma è soprattutto una necessità oggettiva, è la voce de | sangue, della stirpe che costringe il singolo a farsi carico delle offese recate a tutto il proprio genere. Ad uno stadio più evoluto dello sviluppo sociale, quando si esce dalla famiglia e dalla stirpe, per regolare i rapporti interfamiliari che comunemente si presentano in una città troviamo operare la dike. La dike è concepita tra Platone e Aristotele come una proprietà dell'animo come una ragione oggettiva che può essere assegnata alle parti di una contesa facendo ricorso ad un sapere depositato nel la memoria collettiva della comunità. È all’inizio di una serie di procedure capace di individuare un compromesso tra rivendicazioni contrastanti. La giustizia è ormai diventata la qualità dell'animo che permette la convivenza tra gli uomini. Diventerà il concetto dell'ordine politico per Platone e Aristotele. Andando avanti quindi il processo di vendetta non riguarderà più la stirpe ma il singolo oltre che riguardare meramente l’uomo. Tale processo di laicizzazione della giustizia e di individualizzazione della colpa è reso possibile dalla funzione pacificatrice e ordinatrice della città è visibile in Esiodo e Eschilo. Esiodo Grande poeta con notizie e dati certi scrive le opere e i giorni. Egli crede in una liquidazione del mondo degli eroi. Egli analizza la contesa ammettendone una duplice natura: - Cattiva: generatrice di guerre e di lutti - Buona: generatrice di modalità civili che fomenta la gara tra i produttori La sorta di aver valutato male le attività guerriere e bene quelle produttive attestano che sta avvenendo un sovvertimento nelle varie concezioni aristocratiche. Si nota nelle sue favole di usignolo e sparviero in cui difende la giustizia contro le pretese della forza. La giustizia è la volontà di Zeus in quanto da lui stesso generata. La giustizia costituisce per Esiodo ciò che è proprio degli uomini, ciò che li differenzia dagli animali che si divorano l’un l’altro ovvero è ciò che garantendo la pace rende fiorenti le città e gli individui. Eschilo La città è inseparabile dalla giustizia e la giustizia è al comando della città. La sua trilogia dell’Oristea ha al centro il tema della necessità di interrompere la catena causale colpa-giustizia-vendetta- vendetta. In quest’operasivedecheattraversol’areopago-tribunaledisolicittadini- lacontesatradeisiavviaasoluzione. Le ire delle erinni sono legate all'omicidio matricida contenuto nella trama dell’opera. Interviene Atena e permette al tribunale di dare un nuovo giudizio - positivo - sul condannato. Qui si vede così il nuovo diritto che è più forte del vecchio diritto. La giustizia così ha Al centro viene la guerra del Peloponneso cioè lo scontro tra Atene e Sparta, capitolazione di Atene e instaurazione del regime oligarchico dei Trenta. Eliminati dalla storia sia il mito che gli dei si concentra sulla storia politica che è per lui integralmente razionalizzabile. AI centro c’è l’origine e l’utile cioè la Potenza. | caratteri che rendono Tucidide unico nel suo periodo storico sono due: - La capacità della narrazione di individuare le cause vere dietro quelle apparenti - Conseguente inclusione della politica nell’ambito non del caso ma della necessità storica e logica Tucidide ritiene che il motivo più vero della contesa tra le parti sia il crescere della potenza ateniese e il suo incutere timore ai lacedemoni i quali entrano in guerra spinti dalla necessità di contenere l'imperialismo ateniese che altrimenti li avrebbe minacciati. Vera categoria principale della politica secondo Tucidide è la potenza: se infatti la ricerca dell’utile passa attraverso la potenza, quando quest’ultima supera certi limiti genera una necessaria reazione di chi ne teme gli effetti. E poiché la logica della potenza non è un’opzione ma una necessità la guerra risulta necessaria perché assicura l’accrescersi della medesima. Di fronte a questa logica cadono le tradizionali remore di carattere etico. Senofonte Atene perde nella guerra del Peloponneso e si inginocchia di fronte al governo dei trenta che verranno allontanati solo col ritorno degli esuli guidati da Trasibulo. Normale in questo clima che i critici della aristocrazia riprendessero forte vigore. Il rappresentante più noto è Senofonte nella cui attività di cavaliere si coniugano le critiche alla democrazia ateniese quanto la prefigurazione di uno stato ideale fosse anche quello di Sparta. Le sue critiche riguardano il problema della democrazia che permette a chiunque di dirigersi alla vetta del potere pur non avendo nessuna qualità o virtù politica. Figlio di un’educazione tecnica, postula la creazione di uomini capaci di farsi obbedire. È chiaro l'apprezzamento per l’ordine educativo e politico di una città come Sparta dove non vi è mai interruzione del comando e conseguentemente interruzione dell’ubbidienza. L’ubbidienza derivata dal comando diventa quindi il principio del buon ordine politico. Individua in Ciro - re di Persia - il modello da seguire. La sua capacità di farsi ubbidire senza problemi era connessa con la sua saggezza mista a virtù superiore che si incarnava nell’enkrateia. Il re che dominava se sesso poteva dedicarsi totalmente alla realizzazione del bene pubblico. Platone Si propone di restaurare la misura e la giustizia fondandole su basi certe, capaci di resistere agli attacchi e alle critiche della sofistica. La politica poteva essere rifondata cl recuperare la virtù e la giustizia portando una misura nella disordinata volontà delle passioni individuali grazie alla filosofia intesa come conoscenza dell’essere. Platone assegna alla politica un valore tecnico: essa era l’arte egemonica che comanda su tutte le altre e che consente di applicare bene i risultati dei singoli saperi tecnici perché è guidata dal sapere filosofico che conosce il bene in generale e quindi anche il bene dell'intera città. La città per Platone è malata perché malato è l’apparato oligarchico dei trenta che l’ha rovesciata. La filosofia dunque è preliminare rispetto alla politica ed è la sola capace di indicarle finalità e tecniche di risanamento e di assegnare fini e ruoli ai cittadini. La volontà di venire a capo della quesitone della natura della giustizia, la virtù politica per eccellenza, sta alla base della repubblica. La città quindi nasce come luogo in cui i produttori si incaricano della soddisfazione dei bisogni tramite la divisione del lavoro e si afferma presto l'esigenza che la città sia non solo sana ma anche capace di soddisfare esigenze che vanno oltre ciò che è meramente necessario. Oltre ai produttori, diventando sempre più grande, la città ha bisogno di guardie. Ultimi tra tutti sono gli arconti, veri e propri governanti scelti tra i migliori dei guerrieri. I governanti dovranno conosce re la verità delle singole scienze ed essere privi di ogni forma di proprietà privata. Per Platone la giustizia è il collante tra le caratteristiche qualitative dell'animo umano con le gerarchie politiche: i tre principi presenti dell’uomo - desiderio aggressività e ragione - devono trovare armonica ricomposizione sia in ciascun uomo sia nella città. Così negli uomini in cui prevale il desiderio saranno produttori, quelli in cui prevale l'aggressività saranno i custodi e quelli della ragione saranno gli arconti. Per spiegare come i filosofi conoscono il vero e il bene, Platone usa il mito della caverna. È il mito fondativo della filosofia politica occidentale sia perchè dà forma definitiva alla distinzione tra apparenza ed essenza, sia perchè assegna alla filosofia il compito, il diritto e il dovere di liberare l'umanità dall’ignoranza. | filosofi sono coloro che riescono a liberarsi dalle catene che tengono prigionieri gli uomini nella caverna costretti a vedere le ombre che essi scambiano per le cose vere. Se la giustizia è il governo dei filosofi, capace di assicurare unità e armonia alla città, il suo contrario è la ribellione di una singola parte alla totalità dell’animo o di una singola classe alla totalità dello stato. Platone così analizza l’ingiustizia nella pluralità delle sue forme perchè se il bene è uno, il male e il vizio si presentano sotto molte forme. Appunto per questo la degenerazione dell’ottimo stato avviene secondo un ciclo che percorre quattro tappe: timocrazia, oligarchia, democrazia e tirannide. Coinvolge sia la morale che la città. Il processo degenerativo comincia dai governanti che corrompono la loro natura filosofica. Venuta meno l'egemonia della ragione essi abbandonano il loro comunismo e si divideranno le terre e se ne attribuiranno proprietà. Questo porterà al governo dei pochi - oligarchia - dove quella parvenza di virtù che ancora resisteva nella timocrazia cede il passo al mero computo delle ricchezze. La classe oligarchica verrà così spazzata via da una rivoluzione dei poveri. Questa rivoluzione porterà all’anarchia. Il popolo così cadrà nel più totale asservimento per proteggersi e così si finirà nella tirannide, peggiore dei regimi in quanto è un dominio senza leggi nè freni. Platone si occupa anche delle realtà politiche esistenti. Nel politico emerge il tema della legge cioè quello a cui è politicamente possibile e non solo a ciò che è necessario. Il tema della legge non trova posto nella repubblica perchè non è concepibile un sistema normativo che guidi e condizioni | ’attività dei governanti perché appunto ottimi. Una svolta su questo terreno si avrà nell’opera più complessa della vecchiaia intitolata leggi. Platone concede all’idea che la politica sia retta da leggi, che sono il segno della fragilità ma anche il mezzo più potente per rimediare agli effetti negativi di essa. Le leggi trattano di un ordine politico di secondo grado vicino al livello perfetto, ma non coincidente. Si tratta dell’esplicito riconoscimento delle necessità della mescolanza del principio di autorità con quello di libertà. Platone mostra così la disponibilità a riconoscere la rilevanza del tema della partecipazione e del consenso verso il quale manifesta una certa sensibilità anche con la sua scelta difar precedere le leggi da un preambolo. Così infatti cerca di dimostrare la rilevanza del tema della partecipazione e del consenso verso il quale manifesta una certa sensibilità anche con la sua scelta di far precedere le leggida un preambolo capace di spiegarne la natura e di renderle con ciò più accette ai governati. Lo scopo della repubblica è quindi quello di formare la società e di evitare il dualismo entro la città tra ricchi e poveri con la conseguente nascita di fazioni, capaci di sfigurare un’unità che è politica solo in quanto sia anche etica e in un certo senso economica. La completa inclusione dell’individuo nell’ordine politico della città riceve una ultima sanzione nel Timeo. In quest'opera Platone ipotizza che il demiurgo, l’artefice divino, strutturi i fenomeni fisici secondo i principi d'ordine e d’armonia facendo del cosmo stesso qualcosa come una città ben ordinata. Da questa concezione Platone sembra immaginare una teoria dell'ordine politico sia attraverso il richiamo al principio gerarchico che anima un tale ordine sia attraverso la tesi che fa del demiurgo la figura centrale per la produzione dell’ordine inteso come ordinamento. Aristotele Per Aristotele la giustizia è una virtù che si manifesta nell'universo politico: diverso è però il modo in cui la virtù è definita e realizzata. La politica fa parte delle scienze pratiche che sono distinte da quelle teoretiche. Aristotele non segue Platone nel pensiero di un bene radicato in se stesso e separato dai singoli, ma guarda con maggiore attenzione a questi ultimi e alla loro molteplicità. Radicata nell’ambito delle cose umane, dove regna il contingente e il non necessario. La politica è studiata all’interno dell'ambito del problema più vasto della vita associata. La ragione funge da guida in attività il cui fine è esterno al soggetto o interno al mondo delle relazioni umane. La prudenza segna il passaggio alle virtù pratiche in senso stretto o virtù etiche che Per Platone la giustizia è il collante tra le caratteristiche qualitative dell'animo umano con le gerarchie politiche: i tre principi presenti dell’uomo - desiderio aggressività e ragione - devono trovare armonica ricomposizione sia in ciascun uomo sia nella città. Così negli uomini in cui prevale il desiderio saranno produttori, quelli in cui prevale l'aggressività saranno i custodi e quelli della ragione saranno gli arconti. Per spiegare come i filosofi conoscono il vero e il bene, Platone usa il mito della caverna. È il mito fondativo della filosofia politica occidentale sia perchè dà forma definitiva alla distinzione tra apparenza ed essenza, sia perchè assegna alla filosofia il compito, il diritto e il dovere di liberare l'umanità dall’ignoranza. | filosofi sono coloro che riescono a liberarsi dalle catene che tengono prigionieri gli uomini nella caverna costretti a vedere le ombre che essi scambiano per le cose vere. Se la giustizia è il governo dei filosofi, capace di assicurare unità e armonia alla città, il suo contrario è la ribellione di una singola parte alla totalità dell’animo o di una singola classe alla totalità dello stato. Platone così analizza l’ingiustizia nella pluralità delle sue forme perchè se il bene è uno, il male e il vizio si presentano sotto molte forme. Appunto per questo la degenerazione dell’ottimo stato avviene secondo un ciclo che percorre quattro tappe: timocrazia, oligarchia, democrazia e tirannide. Coinvolge sia la morale che la città. Il processo degenerativo comincia dai governanti che corrompono la loro natura filosofica. Venuta meno l'egemonia della ragione essi abbandonano il loro comunismo e si divideranno le terre e se ne attribuiranno proprietà. Questo porterà al governo dei pochi - oligarchia - dove quella parvenza di virtù che ancora resisteva nella timocrazia cede il passo al mero computo delle ricchezze. La classe oligarchica verrà così spazzata via da una rivoluzione dei poveri. Questa rivoluzione porterà all’anarchia. Il popolo così cadrà nel più totale asservimento per proteggersi e così si finirà nella tirannide, peggiore dei regimi in quanto è un dominio senza leggi nè freni. Platone si occupa anche delle realtà politiche esistenti. Nel politico emerge il tema della legge cioè quello a cui è politicamente possibile e non solo a ciò che è necessario. Il tema della legge non trova posto nella repubblica perchè non è concepibile un sistema normativo che guidi e condizioni | ‘attività dei governanti perché appunto ottimi. Una svolta su questo terreno si avrà nell'opera più complessa della vecchiaia intitolata leggi. Platone concede all'idea che la politica sia retta da leggi, che sono il segno della fragilità ma anche il mezzo più potente per rimediare agli effetti negativi di essa. Le leggi trattano di un ordine politico di secondo grado vicino al livello perfetto, ma non coincidente. Si tratta dell’esplicito riconoscimento delle necessità della mescolanza del principio di autorità con quello di dura di più perché è il migliore ma è anche migliore perché è costruito in modo tale da poter durare di più. Quest’attenzione al tema della durata sfocia nella vasta analisi della stasis cioè il conflitto interno e dei mezzi per prevenirla. In questo tempo, segnato dalla mancanza di eroi e dunque reso umano, per la mancanza di quelle differenze di natura e di talenti che gli eroi simboleggiavano tutti partecipano nella stessa misura del comando e dell’obbedienza esercitati a turno. La partecipazione effettiva si rivela il criterio discriminante per l’ottima costituzione che lega il diritto di cittadinanza al concreto esercizio da parte di tutti i cittadini del potere tanto deliberativo quanto giudiziario. Ricordare che il tutti di Aristotele significa tutti i cittadini e non gli schiavi, non le donne, non i meteci e non i proprietari. Tutti questi abitano nella città ma non formano la città. La costituzione di Atene è l’unica superstite di una più ampia raccolta di costituzioni mirante a fissare le caratteristiche istituzionali delle singole città e a costituire materia per la scienza politica. | valori a cui si ispira questa costituzione sono legati alla necessità del rispetto delle leggi per qualsiasi regime politico, a un cauto processodiavvicinamentoallademocraziachericonoscenell’esperienzademocraticadiAtenelarealizzazio ne di un certo valore politico. Ricordiamo che questa costituzione è postuma il governo dei trenta. Con l’arrivo dell’alto medioevo l’agostinismo politico, la legittimazione teologica e la laicizzazione della politica eclissarono molto l'operato di Aristotele. La politica era vista come un'attività inerente la natura umana e quindi distaccata dalla teologia pur conservando una riformulazione rispettosa delle esigenze della religione nel tomismo e nella scolastica. L'ellenismo Dopo4ristotelesiaffaccial’ombradiAlessandroconlasuacosmopolischesvaluterà.Lepoleiseranostremate dalle guerre continue tra Sparta e Atene. Nelle molteplici scuole filosofiche ellenistiche si manifestava un’evidente diminuzione d’importanza della politica e una sua svalutazione. Qui il cinismo appare molto importante - movimento di Diogene e di Sinope - il cui nome viene fatto risalire al luogo della scuola cioè il ginnasio Cinosarge. Caratteri salienti sono la disgiunzione tra la pratica della virtù e la città, l'erosione del concetto di patria a favore del cosmopolitismo. L'epicureismo è simile in quanto il movimento nato dalla filosofia di Epicuro fece propria la massima del vivi nascosto credendo al disimpegno politico. La filosofia ha la funzione di alleviare le pene e le sofferenze della vita e ciò deve indurre il saggio a non partecipare alla vita politica vista come fonte di continua apprensione e di pericoli. La politica e la giustizia vengono così coinvolte nel calcolo delle utilità che sono in grado di procurare e sono giustificate solo quando corrispondono allo scopo. Lo stoicismo nato da Zenone sulla Stoa - portico ateniese dove avvenivano le lezioni - è pervaso da una costitutiva ambivalenza: da una parte ospita in sé una forte critica degli assetti sociali sostenuta da una teoria del dovere verso la morale universale e dall'altra sostiene che l'ordine politico non deve essere convenzionale ma fondato sulla ragione e sulla provvidenza cioè sulla necessaria unità del cosmo. Questa teoria della coincidenza fra legge di natura e razionalità del reale e della sua unitarietà favorì oggettivamente la cosmopolis di Alessandro e dell'impero romano. Roma Roma si affaccia, dopo l’Italia, sul mediterraneo con la guerra punica. Era da poco passata da monarchia a repubblica. Il senato raccoglieva i capi delle famiglie nobili alla fine del cursus honorum cioè della carriera pubblica che era l’unica attività di un nobile in quanto detentore dell’autorità e della potestas cioè il potere politico vero e proprio. Il senato, incapace di esprimere autorità e continuità delle classi dirigenti romane, esprime meglio di ogni altra istituzione la specificità della città rispetto all’esperienza istituzionale delle poleis greche i cui ceti nobiliari non furono mai in grado di esercitare così a lungo come la nobilitas romana un'influenza stabilizzante sulla vita politica. A giudizio di Cicerone la caduta della Grecia fu causata dalla libertà senza freno e dalla licenza delle assemblee che decidevano secondo il capriccio del momento. AI contrario a Roma la libertà ruotava attorno alla auctoritas senatoria, il centro da cui traeva legittimità la potestas ed esercitata dalle numerose magistrature. In concreto il Senato ha il diritto di ratifica delle decisioni prese nelle assemblee, amministra il tesoro, decide i tributi. Il senato è il custode della continuità stessa della città capace di attribuire ai magistrati le forme e i gradi dei loro poteri, questo significa che i magistrati sono agenti della città. La potestas invece passerà nel corso della repubblica grazie alle lotte fra patrizi e plebei . Mentre la potestas connessa con la titolarità d’ogni magistratura esprime la capacità di imporre prescrizioni obbligatorie e di esercitare una certa forma di coercizione, l’imperium esprime invece la capacità di comandare le truppe nelle campagne militari. Potestas Censori, questori, edili Imperium Consoli, pretori La forma politica romana assunse presto a modello lungo l'arco della sua durata grazie anche a pensatori che condivisero i valori di base: la libertas della città e dei suoi ordini, capaci di dare ai romani la virtus, la forza d'animo e la lealtà civica che li ha messi in grado di dominare il mondo rappresentando insieme le ragioni del diritto, della forza e della civilizzazione contro le barbarie. La giuridicizzazione della politica è il lascito dell'impero romano ovvero il riconoscimento che la politica assume la forma del diritto. Si tratti di rapporti privati, pubblici, internazionali Roma impresse la propria forma mentis alle categorie della politiche che attinsero la loro legittimazione. Il diritto romano riposa sulla distinzione tra ius publicum che riguarda ed emana dalla città e lo ius privatum che scaturisce dalle norme che i privati cittadini danno al negozio giuridico. In entrambi i campi il diritto romano distingue tra Lex approvata dalle assemblee che risulta erga omnes e le sentenze che invece risultano vincolanti solo per le parti che siano ricorse in giudizio. Seppure in forma spuria e talvolta contradditoria, tutta la ricchezza del diritto romano rivivrà nel Digesto - Pandectae - pubblicato da Giustiniano come immensa raccolta delle opere e delle idee dei giuristi antichi. Su di esso nascerà l'università di Bologna, si formeranno gli intellettuali moderni al servizio del principe, della chiesa o del popolo e anche così Roma non smetterà di durare. Polibio La storia è la migliore palestra per allenarsi alla vita politica. Si interroga sulla doppia novità del suo tempo: la prima è la rapidità dell'ascesa di Roma e la seconda è la creazione di una storia che è diventata universale. Per ripercorrere il processo dell’unificazione della storia e della drastica riduzione della sua complessità derivante dal consistente sfoltimento del numero die suoi soggetti, Polibio volge lo sguardo alla costituzione di Roma che per lui è la causa vera e profonda della sua superiorità, la sola in grado di spiegare sia la rapidità sia l'estensione della sua egemonia. Convinto che Roma sia una forma mista di poteri dove il senato è aristocrazia, popolo democrazia e consoli oligarchia crede che la costituzione romana non è il segno di una confusione. Polibio crede infatti in un processo di naturale trasformazione per senescenza e decadenza delle forme di governo l’una nell'altra secondo una direzione che va dalla monarchia alla tirannide per concludersi infine con l'instaurazione della democrazia e del suo scivolare nella sua forma estrema. Cicerone Cicerone è importante perchè è il più grande mediatore culturale . Gli elementi di questa romanizzazione del pensiero politico greco sono soprattutto due: - La forte opzione per l'impegno politico che indica al saggio un’altra via rispetto a quella puram ente contemplativa - La presenza di elementi giuridici che guardano alla legge e al diritto come a elementi da includere nel pensiero politico Per il primo punto si pensi al Somnium Scipionis che chiude i libri del De Republic e che contiene l’invito più elevato e più noto all'impegno politico considerato come l’azione che guadagna i maggiori meriti e che meglio viene ricompensata nell’aldilà. Qui le civitates venivano considerate come riunioni di uomini associati nel diritto. In molteplici occasioni Cicerone aveva ribadito la sua convinzione che le città non fossero un qualsiasi agglomerato di uomini riuniti in un modo qualsiasi, ma una riunione di gente associata per accordo nell'osservare la giustizia e la comunanza d’interessi. A Cicerone interessa la centralità del diritto nella vita di un ordine politico. È il diritto che ha il merito di avere realizzatol’uscitadallasituazionediviolenzaedibarbarie ferina. Il diritto è iustum - accoglie in sé la giustizia naturale degli stoici - sia iussum - oggetto di comando positivo da parte di un potere. In Cicerone il diritto viene invece identificato con la stessa repubblica, inoltre il diritto è anche il potere cioè non è solo l’idea della giustizia ma ne è anche l’applicazione cogente: legge effettiva. Così Cicerone costituisce un ordine politico in cui legge e potere, come le due facce, determinano le gerarchie politiche: egli pone infatti al primo posto le leggi che stanno al di sopra dei magistrati quindi i magistrati che come una legge parlante stanno al di sopra del popolo. Le magistrature sono al di sotto della legge e la legge è positiva che è subordinata alla giustizia, cioè alla legge di natura. Contrario alla tirannide e agli avvenimenti che nell’ultima crisi hanno portato Roma a sprofondare, Cicerone è contrario alle libertà greche e di conseguenza è contrario anche alla libertà non ordinata rifiutando qualsiasi potere deliberativo all'assemblea popolare e preferendo ad essa una istituzione corporata formata da ordini sociali, classi che in ordine approvava e respingeva proposte. Voleva insomma una costituzione mista che già riconosciuta da Polibio come la causa della supremazia romana nel mondo, egli interpretò come forma di necessario temperamento delle pretese al potere di patrizi e plebei. Augusto Ottaviano assume il titolo di Augusto nel 27 a.c., il quale tentò sempre di presentarsi come il restauratore della tradizionale costituzione repubblicana e non come l’autore e l'interprete di un profondo rivolgimento costituzionale. Il tratto fondamentale di Augusto rimane la volontà di presentarsi come colui che fatte cessare le guerre civili restituisce la repubblica al senato e al popolo diventando principe superiore a tutti nell’autorità ma pari come potere a colleghi della magistratura. La sostanza della politica del suo potere stava però nel fatto che egli era anche titolare di anno in quasi di esilio, lo s ritrova in uno scritto databile forse alla fine del Il secolo: la lettera a Digneto. L’ordine terreno e le sue potestà non rimandano alla volontà di Dio e l'obbedienza non è più né piena né spontanea ma passiva. Costantino attua una svolta e nel 313 riconosce la religione cristiana. Si ponevano le basi per una riflessione che sarebbe stata connotata da una eclissi della scienza politica e da una sua sostituzione con la teologia. Il pensiero politico medievale è opera di autori che hanno in comune alcuni principi: il più importante è l'impossibilità della fondazione e legittimazione del potere al di fuori della finalità etico religiosa che esso deve perseguire e cioè una legittimazione a partire dal disegno di Dio. Roma si cristianizza e il cristianesimo si romanizza cogliendo dal patrimonio culturale dell'impero sia il diritto romano, strumento di formidabile capacità ordinativa, sia l'attitudine ad assumer nei confronti del testo biblico lo stesso atteggiamento di rispetto che si tributava dal Corpus iuris. Eusebio di cesarea Scrittore e vescovo che inquadra la novità di Costantino. Egli stringe impero e chiesa in un legame non occasionale: che la proclamazione dell’esistenza di un solo dio e l'incarnazione di Cristo fossero contemporanei all’affermazione del potere universale dell’impero romano non era per Eusebio una pura coincidenza. L'’analogia tra Roma e l’azione di dio diventa una vera e propria compenetrazione: Costantino è visto come un vicario di Dio e assume un carattere sacrale tanto nella sua persona quanto nel suo ufficio. L'imperatore è mediatore tra cielo e terra. Questo modo di pensare si chiama cesaropapismo. Agostino Agostino vuole difendere il cristianesimo dalle accuse rivoltegli dai pagani i quali imputavano al Dio dei cristiani la crisi dell’impero. Agostino inserisce la caduta di Roma in un grande affresco di filosofia della storia, in cui vengono a incrociarsi la riflessione sulla provvidenza e quella sul male, la questione del ruolo dell'impero romano e della sua decadenza. Il potere politico può infatti giustificarsi solo in quanto è l’applicazione e l'esecuzione della giustizia; in caso contrario l'ordine politico è un’opera di brigantaggio. Agostino riconduce la storia romana al cospetto della vera e perfetta giustizia - quella del giudizio di Dio - e dimostra che roma era già debole in sé e nei suoi valori ben prima del suo saccheggio. Non ebbe mai consapevolezza che il diritto non si esaurisce in se stesso ma deve fondarsi sulla giustizia divina. Agostino inserisce Roma in un disegno della provvidenza, Dio è l’autore dell'impero. L'ordine politico è la città terrena ed è quindi per Agostino unione che nasce dall'amore verso un certo tipo di beni umani. Ma l’amore può avere anche un’altra e opposta direzione: quella della città celeste che significa la famiglia redenta di Cristo. Si delinea una dialettica tra i due opposti amori che fondano le due città. La soluzione del problema rappresentato da questo dualismo non è data da una città celeste che si affermi annullando la città terrena. Infatti la politica è sì figura della città terrena ma fa anche parte del piano della provvidenza. A questa duplice connotazione della città terrena corrisponde una duplicità anche della città di Dio: questa infatti da una parte è la chiesa che si trova anch’essa nel mondo pur senza essere del mondo e che quindi in quanto pellegrina nel mondo non coincide con la città di Dio perché non è solo la figura, non la realizzazione: anzi la chiesa nel mondo contiene anche uomini che non saranno santi. Agostino quindi accetta per la storia umana il ruolo e il valore dell'ordine politico. L'ordine politico non rappresenta solo | negativo ma è anche premessa indispensabile per la vita della città terrena che costituisce una dimensione non del tutto negativa perché vi si dà l’esperienza di due ambiti: quello che esprime solo se stesso e quello che rinvia fuori di sé in quanto immagine della città celeste. La pace è la tranquillità dell’ordine: l’ordinata concordia dei cittadini in merito al comando e all’obbedienza. Il comando quindi un ministero ed è reso possibile e necessario dal peccato originale che ha rotto l'originaria uguaglianza fra gli uomini: la condizione servile è dunque il prodotto del peccato, non della natura. Gelasio Papa nel 492 si scontra con il problema dell'intreccio dei due poteri e delle funzioni tra impero e chiesa. Egli considera chiusa l’identificazione e la confusione di ruoli tra lo spirituale e il temporale che aveva regnato a Roma dove gli imperatori pagani potevano essere a un tempo titolari delle supreme magistrature civili e pontefici massimi. Egli credeva che l’imperatore fosse figlio della chiesa e che nelle materie di fede a lui spettasse di imparare e non di insegnare. Gelasio quindi riconosceva quindi l’alta dignità della potestà imperiale e la considerava uno dei due principi da cui è retto il mondo. La teoria dei due poteri di Gelasio sistema il problema del rapporto fra politica e religione, ma per altri lo lascia aperto: la distinzione di potere e autorità non ci dice se questi debbano essere considerati alla pari in quanto entrambi derivanti da Dio o se vi sia una preminenza reale del papa sull’imperatore in ambito spirituale mentre si dia il contrario per l'ambito temporale o se addirittura si a il papa stesso a impugnare le due spade. In papa Gelasio comunque la teoria operante è l’agostinismo politico che implica l'esigenza e la collaborazione dei due poteri universali, la chiesa e l'impero ma anche l'assorbimento all’interno del diritto ecclesiastico, caratterizzato da essenza e finalità più alte del diritto e della politica laici. È implicita una concezione pastorale del potere: una concezione che giustifica il potere politico in quanto strumento per correggere i vizi del gregge dei sudditi e per condurlo con ogni mezzo alla salvezza. La donazione di Costantino Il papato in età gregoriana poteva legittimare la propria pretesa alla plenitudo potestatis: i sovrani temporali sono semplici concessionari del potere politico che legittimamente era stato conferito dall'imperatore alla Chiesa; tale documento poteva inoltre legittimare la presenza di un vero e proprio stato della Chiesa che alla metà dell’ottavo secolo si andava costituendo mediante l’alleanza coi franchi interpretandolo come la restituzione al patrimonium petri di quello che gli spettava. Lotta delle investiture Il processo di temporalizzazione della Chiesa era parallelo al processo imperiale che cercò di inquadrare i vescovi nel sistema feudale. L'assegnazione ai vescovi della titolarità dei feudi consentiva infatti all'impero di riportare sotto il proprio controllo vaste zone di territorio che i feudatari laici gli avevano praticamente sottratto soprattutto dopo che con il capitolare di Quierzy si era riconosciuto il diritto dei feudatari maggiori di lasciare in eredità il proprio feudo ai discendenti. Gregorio VII sostiene che il papa può liberamente deporre l’imperatore e sciogliere i sudditi dal vincolo di ubbidienza verso gli iniqui. La superiorità del pontefice emerge anche da una diversa argomentazione esposta da Gregorio in una lettera a Ermanno: la tesi della successione petrina. All'origine del potere papale non vi è l'elezione da parte del concistoro dei cardinali ma la successione del primo papa: Pietro. Questa posizione molto superiore agli altri viene chiamata plenitudo potstatis. L'ordine giuridico Medievale | problemi relativi alla natura e alla struttura della respublica cristiana cioè l'ordine universale capace di stringere in un unico nesso la molteplicità di organismi politici esistenti attraverso una direzione insieme politica e religiosa non sono esauriti nell’agostinismo politico. L'altro fattore molto importante è il diritto. AI medioevo non si possono attribuire le logiche moderne. Il medioevo conosce una società intimamente pluralistica sia per la molteplicità di ordinamenti sia per la pluralità di fonti del diritto. Ne sono esempi il principio della personalità del diritto e la convivenza accanto al diritto del principe di un diritto canonico. Conseguenza di un tale pluralismo è un tipo particolare rapporto tra re, legge e ordine. Per il pensiero medievale il re non esprime una esigenza ordinati va che si impone dall’esterno ma esprime un ordine dall'essere che è già presente nella società e questa è un tutto sempre articolato in parti cioè in ambiti organici dotati di autonomo rilievo giuridico. La funzione del re è per il medioevo la iurisdictio cioè il rendere giustizia, il ripristinare l'ordine qualora infranto. Ma accanto a questa la regalità del medioevo è giustificata anche da una vera e propria teologia politica che tende alla divinizzazione del re anche mediante il suo svincolamento dai legami sociali e comunitari. Questa via dunque non coincide con al precedente a dimostrazione della complessità dell’ordine giuridico medievale. Giovanni da Salisbury Scrive il policraticus opera che si potrebbe tradurre con l’uomo di governo che Giovanni pubblicò nel 1159che si presenta come un trattato di scienza politica intriso di morale ma privo di cadute nel moralismo. La discussione dei problemi politici viene qui affrontata affiancando il patrimonio della cultura classica a quello della cultura cristiana. Egli continua a proclamare la legittimazione religiosa del potere politico dato da Dio in concessione ai re della terra; ma la concentrazione del potere nelle mani del re non esprime per lui il dominio del superiore e dell’inferiore quanto piuttosto il rapporto fra capo e membra che rinvia alla collaborazione delle parti che alla loro gerarchia. Il tema della giustizia è centrale e comincia ad avere autentico significato politico sia rispetto al potere laico sia a quello ecclesiastico. Rispetto al primo Giovanni afferma che il principe deve riconoscersi vincolato alle leggi poiché la sua autorità dipende dall'autorità delle leggi, il sottomettere il suo governo ad esse è cosa più grande del semplice comandare e quindi egli non si riterrà libero di fare nulla che sia in contrasto con l’equità della giustizia. Giovanni crede nella superiorità del potere spirituale su quello temporale, e designa il principe e la sua spada come una sorta di ministro del potere sacerdotale come colui che esercita quella parte dell’ufficio sacro che è ritenuta indegna del sacerdozio. Tommaso d’Aquino La grazia non annulla la natura ma la perfeziona. In un'espressione come questa la vicinanza alla natura, già rappresentata dai fisici di Chartres, assume proiezioni etico-politiche dovute alla riscoperta di Aristotele. Rispetto alla volontà di affermare l’inferiorità assoluta della natura nei confronti dello spirito, che emergeva nell’agostinismo politico e nella sua tesi di fondo: la natura peccatrice dell’uomo non poteva essere lasciata libera ma doveva essere guidata da un potere coercitivo e correzionale. La natura umana, in quanto razionale deve creare un ponte verso la fede e la grazia, ma queste non annullano quanto le precede e lo conservano portando alla perfezione. Secondo Tommaso esiste una Lex naturalis che tiene assieme in un sistema normativo tutti il Creato Nome già usato dai romani per designare il complesso degli abitanti del municipio. Si trattava del fenomeno dell’autonomia politica delle città, frutto di un patto giurato tra i singoli che attraverso l'autonomia politica delle città definiva l'autonomia da altri poteri politici ed ecclesiastici e passava poi a istituire le forme del governo della loro comunità. | comuni così costituirono tante repubbliche popolari bisognose di giustificare dal punto di vista teorico la propria lotta contro l'impero. Questa giustificazione si manifestò attraverso quella di due vie: - Teorici della politica preferiscono un governo popolare - Teorici del diritto preferiscono unità politiche minori e autosufficienti Dante Lo conosciamo tutti. Scrive il monarchia: vuole difendere l'impero. Nel convivio la natura dell’associazione politica viene ricondotta sulla scorta di Aristotele e Tommaso alla necessità di garantire le condizioni per il raggiungimento della vita felice in presenza di una molteplicità di bisogni che richiedono la cooperazione di molti per la loro soddisfazione. Dante crede in una monarchia universale che garantisca la pace. Il monarchia è una riflessione teorica impegnata sul tema della dipendenza: ritornano le motivazioni giuridico politiche a favore dell'impero universale che prospettano l’imperatore come giudice che risolve le controversie tra poteri indipendenti. Dante critica coloro che tumultuano contro il principato romano. Costoro sono falsi cristiani: sono i decretalisti ovvero i giuristi pontefici che vogliono far assumere ai decreti dei pontefici romani ruolo e autorità universali il che tradisce il messaggio evangelico ed è lesivo dei diritti dell'impero di cui Dante si fa difensore. I due luminaria sono il sole e la luna che nella genesi corrispondono al sole e alla luna destinati a regnare sul giorno e sulla notte. Il sole è quello spirituale che regna sul temporale cioè la luna. Il potere pontificio delle chiavi non è assoluto e può sciogliere i peccati ma non può né sciogliere né legare i decreti dell'impero né le sue leggi. Critica anche la donazione di Costantino negando che quel fatto possa tradursi in un diritto affermando che ogni dimostrazione del primato della Chiesa è priva di valore: l’imperatore non poteva compiere nell’esercizio delle sue funzioni qualcosa di contrario al suo ufficio, non poteva cioè dividere l'impero col rischio di distruggerlo né dal canto suo la chiesa poteva ricevere beni temporali andando contro l’esplicito comandamento che glielo proibiva. Ultima considerazione: in positivo proprio come la luna e il sole sono stati creati entrambi indipendenti e da dio, così l'impero e la chiesa traggono ciascuno la propria autorità direttamente da Dio mentre i loro ambiti di intervento restano distinti e separati. Dante non rinuncia a tentare di ricomporre l’unità tra impero e chiesa: egli invita a considerare come la felicità terrena abbia come proprio fine ultimo la felicità immortale e auspica quindi che Cesare si rivolga a Pietro con quel rispetto che il figlio primogenito deve al padre. Marsilio da Padova Scrive il defensor Pacis e critica i fondamenti dottrinali dell’agostinismo politico riscontrabili nell’impostazione dell’unam sanctam e del de ecclesiastica potestate di Egidio Romano. Se per agostino il valore della politica è la conservazione della pace, per Marsilio significa il conseguimento di quel valore che presuppone l’abbandono delle pretese egemoniche del papa sulla cristianità e sul mondo. Queste pretese rendono impossibile il godimento della pace sconosciuto agli antichi perfino ad Aristotele. Marsilio prende le mosse dalle ragioni dell’associazione politica cercando di mostrare che cos'è e perché c'è lo stato o la città per arrivare a mostrare come la città possa esercitarsi solo sugli atti esterni e non su quelli interni come la fede. È facile per lui capire che c'è bisogno di qualcuno, un custode, capace di comporre le liti e di istituire una norma di giustizia. Arriva quindi a schematizzare le funzioni del custode: governante che è invece concepito da lui come un’astratta e impersonale funzione dello stato. Il governo deve agire secondo una regola che è e deve essere la forma del governante in quanto tale. Il passaggio fondamentale del processo di desacralizzazione del governo è qui: il governante deve agire secondo una regola che non è lui stesso a dettare o di cui non è egli stesso la causa efficiente. Il governante cede il passo alla legge e anzi alla volontà del legislatore causa efficiente del governo sua origine e legittimazione. Egli mostra di intendere la stessa legge in modo nuovo. La legge non è infatti per lui quella eterna o quella divina. Per Marsilio il legislatore è la parte prevalente del corpo cittadino. Questo concetto coniuga il criterio numerico quantitativo del sistema maggioritario con un criterio qualitativo che fa riferimento alla parte più sana e onorevole dei cittadini. Marsilio individua i propri avversari nei sostenitori della naturale minorità del popolo e capisce che la sua teoria ha possibilità di successo solo se egli riesce a criticare definitivamente le secolari tradizioni di pensiero che presentavano quella minorità come insuperabile. Marsilio vuole dimostrare come la pace sia assicurata da questo meccanismo istituzionale e come la discordia sia invece prodotta dalla pretesa di moltiplicare legislatori e governi. La tesi della plenitudo potestatis mira a portare nelle associazioni politiche un legislatore diverso dalla universitas civium e un governante diverso da quello che ciascuna si è data. Crede che la Chiesa non sia solo gerarchia sacerdotale ma congregatio fidelium cioè insieme di fedeli cristiani. Il governo di fedeli gli sembra simile al governo politico: da qui l'insistenza sul ruolo dell'assemblea generale del concilio e l’avversione nei confronti del potere monocratico del pontefice. Marsilio pur di attaccare la plenitudo potestatis del pontefice era pronto ad appoggiare qualunque contropotere fosse storicamente disponibile. Ockham I molti scritti di Ockham riprendono un nucleo ben definito di idee che si può individuare analizzando le sue considerazioni critiche de principio della plenitudo potestatis. Questa pienezza di potere non era solo espressione di una chiesa desiderosa di prestigio mondano ma scaturiva anche dalle premesse dell’agostinismo politico e dall'ipotesi unitaria che percorreva il medioevo. Le cose non stanno invece allo stesso modo per Ockham al quale il nominalismo che egli professò rese possibile un’attenzione per i particolari e per la distinzione che lo rende immune da ogni ricorso al principio metafisico di unità. Egli è molto interessato alla legittimità dell'estensione del potere del pontefice. Per lui non si poteva sostenere che quanto più fosse alto il fine tanto maggiore doveva essere il potere e conseguentemente tanto più dovuta l'obbedienza; si doveva anzi adottare come il criterio di misura del potere i classici e si doveva quindi delimitare il potere considerandolo sì come rimedio al peccato ma anche una possibile fonte di peccato. La tirannide, il male insuperabile connesso con la natura del potere e con la fragilità dei suoi detentori, era secondo lui in agguato nella storia del mondo presentandosi come una continua tentazione cui andavano soggetti tanto i governanti secolari quanto coloro che sedevano sul soglio di Pietro. Allontanare questi ultimi era necessario e doveroso. Il principio che identifica la legge evangelica con la legge della libertà rappresenta l'elemento centrale della politica di Ockham. Dato che la legge evangelica comporta non una maggiore ma una minore servitù rispetto a quella mosaica non si deve tentare di opprimere i cristiani con un giogo tanto pesante e duro da ricacciarli nella condizione di schiavitù da cui essi sono stati liberati. La libertà del cristiano si oppone alla pienezza del potere pontificio che consentendo al pontefice di fare ciò che gli piacesse imporrebbe una servitù incomparabilmente maggiore di quella della vecchia legge. Ockham sottolinea l'impossibilità logica di questo tradimento della scrittura e rivendicando l’irrinunciabile libertà naturale dell’uomo ribadisce che nell’ipotesi della plenitudo potestatis papale tutti i cristiani sarebbero servi. Ockham considera i fedeli titolari di una libertà naturale che viene confermata da quella cristiana. Sono capaci di rivendicare i propri diritti. Quella paura che aveva Paolo dell’asservimento oggi viene eretta a fondamento dell’autonomia politica del cristiano. L'opzione per la povertà evangelica spinge Ockham a sottolineare come Cristo non fosse stato signore o giudice del mondo e non avesse dunque inteso trasmettere a Pietro una signoria che Egli non aveva mai avuto La proprietà privata e l'impero così acquisiscono un'autonomia sconosciuta, ma questa autonomia non diventa per Ockham fonte di nuove egemonie per due motivi: - La politica resta per lui legata alla necessità di punire la malvagità e i reati e non porta con sé speranze e progetti di piena realizzazione umana. La società politica non è un tutto migliore delle persone che la compongono - La politica non assorbe la dimensione religiosa ma continua a istituire con essa un rapporto necessariamente dialettico: la difesa dei diritti della politica laica rispetto alle tesi dei curialisti non implica una cancellazione dell’autonomia della chiesa che è depositaria della Verità rivelata. Il movimento Conciliare Il governo della chiesa potesse essere meglio assicurato da una gestione collegiale. Questa idea della superiorità del collegio sul singolo rispondeva ad almeno due tendenze: - La volontà di trasporre anche al governo della chiesa quei moduli democratici sperimenta li nella gestione della vita del comune - Intenzione di indebolire attraverso il ricorso alla volontà dei più l’assolutezza del governo pontificio L’unificazione di queste tendenze vede il conciliarismo trasformarsi da arma polemica in ipotesi ricostruttiva dell’unità e del potere della Chiesa fino alla sua sconfitta dovuta all’affermarsi dell’assolutismo pontifico alla metà del 400. All’inizio del conciliarismo si colloca il grande scisma succeduto nell’ultimo ventennio del 300 alla fine della cattività avignonese del papato del 1377. La compresenza di due o tre papi sul territorio gettò gli animi nella confusione e nello sconforto mentre si faceva strada con intenti ricostruttivi dell’unità della chiesa la teoria della superiorità del concilio sul pontefice. Una volta risolto lo scisma anche grazie a Martino V. non si potevano mettere tra parentesi le idee e le proposte che avevano contribuito alla soluzione dei problemi della chiesa e di quelli dell'assetto verticistico di potere da essa incarnato.