Scarica Riassunto capitoli libro biologia molecolare e più Dispense in PDF di Biologia Molecolare solo su Docsity! CAPITOLO 2 STRUTTURA DEL DNA DNA e RNA sono polimeri formati da unità monomeriche chiamate nucleotidi, formati da uno zucchero a 5 atomi di carbonio, un gruppo fosfato e una base azotata. Nel DNA lo zucchero è il deossiribosio, da cui il nome acido deossiribonucleico. Il prefisso deossi significa senza ossigeno, infatti, il deossiribosio differisce dal ribosio per l’assenza di un gruppo ossidrile, nella posizione 2’. Le basi azotate appartengono a due categorie: le purine e le pirimidine. Nel DNA ci sono due diverse purine quali l’adenina (A) e la guanina (G) e due pirimidine quali la citosina (C) e la timina (T). Vi sono quindi 4 basi azotate nel DNA. La purina è un doppio eterociclo, con un ciclo a 6 atomi e uno a 5 atomi fusi in una singola struttura. La pirimidina è un eterociclo semplice a 6 atomi. I gruppi sostituenti nelle quattro basi azotate sono costituiti da gruppi amminici o carbonilici, con l’eccezione della timina che ha un gruppo metilico. Sia gli atomi di azoto sugli anelli eterociclici che quelli di azoto e di ossigeno dei sostituenti, possono prendere parte alla formazione di legami idrogeno. Forme tautomeriche delle basi Le basi azotate possono esistere in diverse conformazioni in equilibrio tra loro, dette tautomeri, che differiscono per lo stato di protonazione complessivo e per la posizione dei doppi legami nella struttura dell’eterociclo. Per quanto riguarda le forme tautomeriche queste oscillano in che conformazioni ma tra le due ne viene preferita una sola, ad esempio abbiamo la guanina e la timina con la forma tautomerica che oscilla tra la forma enolica e chetonica, e tra le due l'equilibrio è spostato verso la forma chetonica. Per quanto riguarda invece Adenina e citosina, la forma tautomerica oscilla tra la forma amminica e imminica, e tra le due l'equilibrio è spostato verso la forma amminica. Legame fosfodiesterico Il DNA è formato dalla combinazione lineare di nucleotidi uniti tra loro da un legame fosfodiesterico, tra gli atomi di carbonio 3’ e 5’ di nucleotidi posti in sequenza. In particolare il gruppo ossidrilico nella posizione 3’ di un nucleotide attacca nucleofilicamente il fosfato alpha all’estremità 5’ dell’altro nucleotide, portando al rilascio di pirofosfato, che verrà poi idrolizzato, e alla formazione di un legame fosfodiesterico che collega covalentemente i due nucleotidi. Il DNA è costituito da due filamenti antiparalleli Il DNA è costituito da due filamenti antiparalleli: poiché nella doppia elica l'estremità 3' fronteggia l'estremità 5' del filamento complementare, i due filamenti si dicono antiparalleli. La struttura del DNA è caratterizzata dalla presenza ripetuta e alternata di insenature definite solco maggiore (più largo) e solco minore (più stretto). Ciascun giro del DNA è composto da 10,4 coppie di nucleotidi. Ci sono diverse isoforme della doppia elica: DNA-B, A e Z Ci sono diverse isoforme della doppia elica: DNA-B, A e Z. La struttura del DNA è conosciuta come forma B ed è essenzialmente quella predetta da Watson e Crick. La forma alternativa di DNA è denominata DNA-A, e rispetto al DNA-B, il DNA-A è più compatto lungo l’asse della doppia elica e più spesso trasversalmente. È stata identificata un'altra forma di DNA con avvolgimento sinistrorso, il DNA-Z che deve il suo nome all’andamento a zig-zag dello scheletro. Il DNA è una molecola flessibile Il DNA è una molecola flessibile, se infatti consideriamo coppie di basi adiacenti, ci accorgiamo che esse possono variare la loro posizione non soltanto attraverso la rotazione lungo l’asse y (twist), ma anche con altri tipi di movimento, tra cui il roll (rotazione lungo l'asse x) e lo slide (spostamento lungo l'asse x). Quindi sostanzialmente ci sono tre movimenti possibili. Nell’ambito della flessibilità del DNA, è di grande importanza la capacità della doppia elica di curvarsi. In particolare i movimenti di roll tra coppie adiacenti di basi determinano la curvatura della doppia elica. La curvatura del DNA è fondamentale poiché il DNA nella cellula ha bisogno di compattarsi. PROPRIETÀ CHIMICO-FISICHE DEL DNA Il DNA può denaturarsi e rinaturarsi Possiamo facilmente denaturare il DNA fornendo energia al sistema sotto forma di calore. Il DNA assorbe luce ultravioletta, con un picco di assorbimento a circa 260 nm. L’intensità del picco aumenta quando i due filamenti di DNA si separano durante il processo di denaturazione (effetto ipercromico). Sfruttando questo effetto, è possibile seguire il processo di denaturazione misurando la variazione di assorbanza a 260 nm in funzione della temperatura. Quando i due filamenti si separano, la rottura dei legami idrogeno tra le basi permette alle basi di assorbire la luce in maniera più efficiente. L’andamento della denaturazione è una curva sigmoidale che ha un punto di flesso. Esso riflette la temperatura alla quale la metà delle molecole di DNA si sono denaturate e si trovano a singolo filamento. Tale temperatura è detta temperatura di fusione e viene indicata con Tm. Non è uguale per tutti i DNA e dipende dalla lunghezza della molecola del DNA: tanto più lungo il frammento, tanto maggiore la temperatura di fusione e parità di lunghezza, il valore di Tm varia in funzione della composizione in basi e del mezzo. In particolare, maggiore è il contenuto di coppie G- C, più alto sarà il valore di Tm, poiché il numero di legami idrogeno che devono essere rotti sarà più alto. Quindi la rottura dei legami idrogeno è un requisito per la denaturazione del DNA, e tanto più grande è il numero dei legami da rompere, tanto maggiore sarà la temperatura di melting. Il procedimento di rinaturazione deve essere eseguito con cautela: la temperatura non deve essere abbassata troppo bruscamente per evitare la formazione di appaiamenti solo in parte complementari. Quindi la doppia elica si dissocia ad alte temperature, ma i due filamenti si riassociano a riformare la struttura nativa quando la temperatura viene abbassata. Il DNA è stabilizzato da un insieme di forze deboli diverse I legami idrogeno che tengono insieme le basi complementari dei due filamenti, giocano un ruolo importante nella stabilizzazione della doppia elica. La stabilizzazione deriva anche da altre forze deboli, come interazioni idrofobiche ed elettrostatiche. Principalmente la stabilizzazione deriva dal impilamento tra le basi adiacenti. Gli anelli eterociclici delle basi azotate stabiliscono tra loro forti interazioni idrofobiche dovute alla capacità di impilarsi l'una sull’altra. La forza dell’interazione tra basi impilate è massima quando le basi giacciono su piani paralleli e sono leggermente sfalsate tra loro. LA STRUTTURA DELL’RNA L’RNA è un polimero di nucleotidi legati fra loro dal legame fosfodiesterico. Abbiamo quattro basi azotate: adenina, guanina, citosina e l’uracile, una pirimidina simile alla timina del DNA, da cui differisce per l’assenza del gruppo metilico. Oltre al uracile al posto della timina, l’RNA differisce dal DNA per la presenza dello zucchero ribosio invece del deossiribosio. Il ribosio si differenzia dal deossiribosio per la presenza di un gruppo OH in posizione 2’ e questo gioca un ruolo fondamentale nella formazione della struttura terziaria dell’RNA. La reattività del gruppo OH dà la capacità al RNA di promuovere reazioni chimiche e di agire come un enzima. L' RNA forma facilmente strutture a doppio filamento, sia del tipo RNA-RNA che RNA-DNA. Inoltre ha strutture secondarie locali, basate sulla formazione intramolecolare di corte porzioni a doppio filamento chiamate steli intervallate da tratti in cui non potendosi formare la doppia elica, si formano anse e forcine. La struttura terziaria dell’RNA si basa su molti diversi accoppiamenti tra le basi, in questo contesto, è di particolare importanza l’esistenza nell’RNA di interazioni non canoniche ossia coppie di basi di tipo non Watson e Crick, e le coppie possono essere purina-pirimidina, purina-purina o pirimidina-pirimidina, e i legami idrogeno possono coinvolgere anche atomi diversi da quelli implicati nella formazione delle coppie di Watson-Crick. Nell’RNA la stabilità della struttura è dovuta alle interazioni di impilamento tra le basi. Queste interazioni idrofobiche possono coinvolgere anche l’anello glucidico del ribosio, e un caso è quello dei tetraloop, composto da uno stelo tenuto insieme da coppie di Watson-Crick, e da un’ansa di quattro nucleotidi in cui il primo e il quarto nucleotide sono appaiati anche in modo non canonico. Un’altra struttura terziaria di grande importanza è lo pseudonodo, che si origina dall’interazione tra un’ansa posta alla sommità di uno stelo e sequenze complementari non contigue. Questa interazione porta alla formazione di due doppie eliche che attorcigliandosi tra loro formano lo pseudonodo. Un esempio di pseudonodo è costituito dall’RNA della telomerasi. CAPITOLO 3 STRUTTURA DELLA CROMATINA di fluorescenza. In sostanza abbiamo un donatore di fluorescenza che viene eccitato da luce di lunghezza d’onda opportuna e un gruppo accettore che capta la luce emessa con una efficienza inversamente proporzionale alla distanza che lo separa dal donatore. Quando donatore e accettore sono molto vicini tra loro, la quantità di energia trasferita è alta. Si è osservato però che l’efficienza di FRET fluttua nel tempo con periodi di alta energia intervallati da periodi di energia più bassa. Quindi l’esperimento dimostra che la struttura del nucleosoma respira allentandosi e ricompattandosi. Per quanto riguarda lo scivolamento spontaneo del nucleosoma, Il modello più accreditato per spiegarlo, prevede che la regione di ingresso della doppia elica intorno al core istonico si destabilizzi permettendo la formazione di un’ansa che si propaga lungo l’intera lunghezza del DNA avvolto, permettendo a ogni ciclo lo scivolamento di 10 coppie di basi. Sistemi di rimodellamento della cromatina utilizzano l’energia derivante dalla scissione dell’ATP in ADP per alterare localmente la struttura del nucleosoma, permettendone il riposizionamento lungo la doppia elica del DNA. Le ATPasi che fanno parte dei complessi di rimodellamento della cromatina, come le elicasi si legano a uno dei due filamenti della doppia elica e ci camminano sopra, ma senza separare la doppia elica, procedendo in direzione 3’-5’ e utilizzano l’ATP per indebolire i contatti istoni-DNA. Per quanto guarda il meccanismo proposto per lo scivolamento del nucleosoma indotto dalla ATPasi ISWI, secondo questo modello, il dominio ATPasico della proteina ISWI interagisce con il nucleosoma a livello del sito SHL-2 e la sua attività porta allo scivolamento del nucleosoma, con conseguenti riarrangiamenti dell’ottamero istonico. Le varianti istoniche Le proteine H2A, H2B, H3 e H4 costituiscono le isoforme principali dei quattro istoni del core, ma esistono isoforme minori dette varianti istoniche, molto simili alle forme principali. Le cellule utilizzano queste varianti istoniche per la formazione transitoria di nucleosomi in punti particolari della cromatina. Le varianti istoniche di H2A hanno varie funzioni tra cui quella di segnalazione di danno al DNA e reclutamento di fattori di riparazione, attivazione della trascrizione e inattivazione del cromosoma X; mentre tra le varianti istoniche di H3, una ha la funzione di definizione della cromatina centromerica. LE INTERAZIONI SPECIFICHE DNA-PROTEINE E RNA-PROTEINE Le interazioni deboli sono responsabili delle interazioni che si stabiliscono tra DNA e proteine e tra RNA e proteine. La principale interazione che si stabilisce tra proteine e DNA/RNA è di carattere ionico. Le proteine possono legarsi a un acido nucleico sia direttamente sia mediato da altre proteine, e le proteine che si legano al DNA lo fanno in due passaggi: un primo riconoscimento aspecifico (bassa affinità) fondato su interazioni elettrostatiche, e un secondo riconoscimento, conseguente alla capacità della proteina di scorrere lungo il duplex in cui la proteina interagisce ad alta affinità con una specifica sequenza di basi. Le proteine utilizzano specifici motivi strutturali per legarsi al DNA Per riconoscere e interagire con specifiche sequenze del DNA, le proteine hanno sviluppato nel corso dell’evoluzione molti motivi o domini strutturali diversi. L’elica-giro-elica è stato il primo motivo strutturale scoperto identificato in proteine batteriche coinvolte nella regolazione della trascrizione, è costituito da due alfa eliche (formano tra di loro un angolo fisso determinato da interazioni deboli tra i residui delle eliche) connesse da un breve tratto flessibile, in modo tale da permettere il ripiegamento di un’elica sull’altra. L'alfa elica C- terminale è chiamata elica di riconoscimento poiché costituisce la porzione del motivo strutturale che interagisce con il DNA a livello di un solco maggiore. La sua sequenza amminoacidica differisce da proteina a proteina, e determina le specificità del riconoscimento. L'alfa elica N-terminale ha invece un ruolo strutturale e permette di posizionare l’ alpha elica di riconoscimento in modo corretto. Alcuni motivi elica-giro-elica comprendono filamenti beta che interrompono, precedono o seguono le eliche coinvolte nel legame al DNA. Questi domini misti alfa-beta costituiscono la variante winged del motivo elica-giro-elica. Nel motivo strutturale a dito di zinco che è un motivo strutturale eucariotico, un atomo di zinco fa da collante a strutture con forme e dimensioni diverse, ma “il dito” interagisce con il DNA a livello di un solco maggiore della doppia elica. Un atomo di zinco è coordinato da residui di cisteina e istidina e il dito, lungo una ventina di residui amminoacidici, si struttura a formare un’ alfa elica da un lato e un foglietto beta dall’altro. Il dito di zinco è un motivo strutturale utilizzato dalle proteine anche per interagire con l’RNA o con altre proteine. Le cerniere di leucina La cerniera di leucine è un motivo strutturale che deriva dalla dimerizzazione di lunghe alfa eliche avvolte una sull’altra, queste due sono anfipatiche. Il nome del motivo strutturale deriva dal fatto che le alfa eliche contengono una leucina ogni 7 residui (ogni due giri di alfa elica) e il loro ruolo è quello di permettere l’interazione tra le due eliche e il loro superavvolgimento attraverso la formazione di interazioni idrofobiche. L’interazione mediata dalle leucine riguarda una parte delle eliche definita dominio di dimerizzazione, vi è anche un dominio di legame al DNA, con proprietà basiche, specifico per una determinata sequenza di DNA. Le cerniere di leucine possono essere sia omodimeriche che eterodimeriche: le omodimeriche riconoscono sequenze palindromiche di DNA, mentre le eterodimeriche possono formarsi combinando monomeri diversi e riconoscono sequenze non palindromiche. Il motivo elica-ansα-elica Nelle proteine che contengono il motivo elica-ansa-elica, ogni monomero contiene un motivo lungo circa 60 amminoacidi, formato da due alfa eliche connesse da un’ansa. L’ alfa elica H1 che è la più lunga posizionata all’estremità N-terminale del dominio, contiene residui basici che favoriscono l’interazione con un tratto di DNA chiamato E-box, quella più corta H2 al C-terminale serve per la dimerizzazione. Le proteine che sfruttano questo motivo agiscono sempre in forma dimerica e il dimero può essere stabilizzato dalla presenza di ulteriori tratti di α-elica su ogni monomero che insieme formano una cerniera di leucine, come nel caso del complesso Mad-Max CAPITOLO 5 Le RNA polimerasi Le RNA polimerasi sono gli enzimi responsabili della sintesi dei poliribonucleotidi. Tali prodotti, i trascritti primari, non sono sempre direttamente utilizzati dalle cellule che li hanno generati, infatti vi sono ulteriori attività che porteranno alla formazione di trascritti maturi. Le RNA polimerasi utilizzano uno stampo di DNA per produrre una copia fedele di tratti del genoma detti geni, sostituendo ai desossiribonucleosidi che sono caratteristici del DNA, i ribonucleosidi. A differenza della DNA polimerasi, la reazione di sintesi di un poliribonudeotide da parte delle RNA polimerasi non necessita di un innesco, o primer, per questo le RNA polimerasi sono in grado di iniziare ex novo la sintesi di un poliribonucleotide. Il primo ribonucleoside trifosfato all’estremità 5’ del filamento in corso di sintesi, fornisce la sua estremità 3’ nella reazione di sintesi del legame fosfodiesterico con il secondo nucleoside trifosfato; il secondo nucleotide, per via dell'attacco nucleofilo, rilascia i suoi fosfati terminali sotto forma di pirofosfato. Il fosfato risulta essere incorporato nel legame 3’-5’ fosfodiesterico appena sintetizzato. Entrambi i nucleosidi tenuti insieme dal legame fosfodiesterico sono complementari allo stampo di DNA. Dato che le molecole di RNA sono sintetizzate come sequenze a singolo filamento, le RNA polimerasi utilizzano solo uno dei due filamenti del DNA. Per questo motivo si definisce filamento senso sul DNA quello che possiede la sequenza identica al filamento neosintetizzato di RNA (ovviamente con l'Uracile che prende il posto della Timina nell'RNA) mentre si definisce filamento antisenso la sequenza usata come stampo. La trascrizione è un processo a più tappe La trascrizione ha una fase di inizio, una fase di allungamento e una di terminazione.La fase di inizio può essere preceduta da quella di pre-inizio, che culmina con la formazione della bolla di trascrizione. L'interazione dell'RNA polimerasi con il filamento stampo e la divisione nelle tre fasi ci permette di definire un promotore e un terminatore rispettivamente all'inizio e alla fine della regione trascritta. Nella fase di inizio della trascrizione le RNA polimerasi si posizionano con meccanismi diversi e grazie all’intervento di fattori proteici aggiuntivi, in corrispondenza della regione di inizio del gene e questi passaggi contribuiscono alla transizione da complesso chiuso del promotore a complesso aperto. La regione di DNA su cui le RNA polimerasi si posizionano costituisce il promotore dei geni. Inoltre la fase di allungamento, è frequentemente preceduta dalla sintesi di corti trascritti detti trascritti abortivi, che possono essere considerati frutto di ripetuti cicli di attività che le RNA polimerasi compiono nel tentativo di distaccarsi dai promotori. Superata questa difficoltà, inizia una sintesi processiva dei trascritti e le RNA polimerasi procedono lungo lo stampo, con l’aiuto di fattori di allungamento. La fase di terminazione è invece quella da cui dipenderà la lunghezza finale del trascritto. La struttura delle RNA polimerasi Le RNA polimerasi rappresentative dei procarioti, archeobatteri ed eucarioti presentano subunità multiple. Nei batteri c'è solo una RNA polimerasi che trascrive tutti i geni ed è formata da 5 subunità mentre negli eucarioti ci sono tre diversi tipi di RNA polimerasi costituite da 12 subunità. La Taq RNA polimerasi mostra 2 subunità a che si posizionano posteriormente alle due subunità maggiori e tali subunità rappresentano la porzione più consistente della chela. Sul fondo del complesso si trovano 2 ioni magnesio i quali svolgono un ruolo importante sia nella catalisi enzimatica sia nell'orientamento corretto del nucleotide ( solo uno dei due ioni è sempre associato). RNA polimerasi batteriche L’enzima di riferimento tra le RNA polimerasi dei procarioti è la Taq RNA polimerasi del termofilo Thermus aquaticus. Il nucleo enzimatico di questa polimerasi assume una conformazione a chela, mentre lo ione magnesio è posizionato all’interno di una regione ricca in residui di acido aspartico, soprannominato motivo NADFDGD, laddove gli acidi aspartici sono indicati con la lettera D. Tali amminoacidi sono fondamentali poichè tengono fermo il magnesio e il nucleotide entrante grazie alle proprie cariche negative. La subunità B' presenta regioni contenenti residui di cisteina per legare uno ione zinco, importante per far sì che la subunità assuma una corretta struttura. Inoltre le subunità non possiedono attività catalitica. Un secondo canale più piccolo rispetto a quello che interagisce con il DNA e localizzato al di sotto dello ione magnesio, contribuisce alla formazione di un poro attraverso cui i ribonucleosidi trifosfato guadagnano il sito attivo. La struttura enzimatica associata alla fase di inizio della trascrizione presenta un’ulteriore subunità definita sigma che dà al nucleo enzimatico della polimerasi la specificità e il corretto posizionamento sul promotore, e quindi permette l’avvio dell’attività catalitica. Le RNA polimerasi degli eucarioti A differenza dei procarioti che posseggono un solo tipo di RNA polimerasi, negli eucarioti esistono 3 diversi tipi di RNA polimerasi ossia RNA polimerasi I, II e III. In ogni caso la struttura generale delle RNA polimerasi I, II e III ricorda la struttura a chela già riscontrata nelle RNA polimerasi procariotiche. L’RNA polimerasi II è l’enzima responsabile della trascrizione di un maggior numero di geni diversi, principalmente quelli codificanti per proteine ma anche quelli di piccoli RNA a funzione generale o specifica (ad esempio microRNA). L'RNA polimerasi l invece trascrive una sola categoria di geni, quelli ripetuti dell’RNA precursore ribosomale 47S, da cui matureranno gli rRNA ribosomali 28S, 18S e 5,8S. L’RNA polimerasi III si occupa della trascrizione dell’RNA ribosomale 5S, dei tRNA e di una serie di trascritti delle ribonucleoproteine dello splicing. Il dominio CTD nelle RNA polimerasi II Il dominio CTD si trova alla porzione C-terminale della subunità Rpb1 delle RNA polimerasi II eucariotiche. Tale subunità, che ha massa maggiore rispetto alle altre, caratterizza l'RNA polimerasi II e la rende diversa rispetto alle altre RNA polimerasi. Questa è caratterizzata da un’estensione C- terminale denominata CTD, caratterizzata dalla presenza di 52 ripetizioni di una sequenza di 7 amminoacidi. Tale dominio CTD è diciamo una protrusione dalla struttura dell’oloenzima dell’RNA polimerasi, la funzione principale è la capacità di costituire un punto di nucleazione per proteine ed enzimi che accompagnano l’RNA polimerasi II lungo il gene, in modo da permettere modifiche co- trascrizionali del trascritto primario. La successione degli amminoacidi si rifà a una sequenza consenso Tirosina-Serina -Prolina-Treonina-Serina -Prolina-Treonina, la presenza in questa sequenza di 3 amminoacidi che possono essere fosforilati (Tirosina, Treonina e Serina) e soprattutto, la presenza di residui invariabili in posizioni 1-2-5 ( rispettivamente Tirosina-Serina- Serina) caratterizza il dominio CTD. In base al momento della trascrizione nel quale ci troviamo, le modificazioni al CTD sono diverse: durante la fase d'inizio della trascrizione sarà presente una ridotta essere legate dal fattore UBF1 (Upstream Binding Factor 1) che è in grado di favorire il reclutamento del fattore SL1. Il complesso di SL1 è formato da 5 subunità, tra cui la TATA Binding Protein TBP e le proteine TAFI. Grazie alla presenza del core e dell'UCE, l’RNA polimerasi I può essere reclutata sui promotori dei geni dell’rDNA 47S per trascriverli. l’RNA polimerasi I è costituita da 13 diverse subunità ma la formazione del complesso di inizio richiede l’RNA polimerasi I sia complessata al fattore RRN3. L’RNA polimerasi III trascrive geni caratterizzati da 3 diverse tipologie di promotori l’RNA polimerasi III trascrive i geni ripetuti di un rRNA 5S, i geni dei tRNA e i geni di altri piccoli trascritti. Esistono 3 diversi tipi di promotori per l'RNA polimerasi di tipo III. Il promotore interno di tipo 1 è tipico dei geni ripetuti dell’rRNA 5S, in questo caso i fattori generali TFIIIA e TFIIIC interagiscono col DNA rispettivamente con le sequenze box A e boxC. Successivamente interviene TFIIIB (un fattore eterotrimerico) che ,grazie alla presenza nella sua struttura di TBP, fa si che la RNA polimerasi III possa posizionarsi in maniera corretta sul sito d’inizio della trascrizione. Anche il promotore di tipo 2, caratteristico dei geni dei tRNA, è interno. In questo caso si nota la presenza solo di TFIIIC, che lega sia boxA che boxB. Anche in questo caso TFIIIB con la sua subunità TBP è fondamentale per garantire il corretto posizionamento dell'enzima sul DNA. Per quanto riguarda il promotore di tipo 3 è riconducibile a quelli di classe II per disposizione e caratteristiche degli elementi che lo caratterizzano. L’assemblaggio sul promotore di tipo 2 richiede TFIIIC, che lega le box A e B interne al gene, e si completa con il legame di TFIIIB al 5 . Anche in questo caso la presenza di′ TBP nel complesso è determinante per garantire il corretto posizionamento dell’RNA polimerasi III. Il complesso repertorio di elementi in cis sui promotori di classe II I geni trascritti dall’RNA polimerasi II sono molto numerosi. Gli elementi basali, che costituiscono il cosiddetto promotore basale, si trovano in un intervallo di 80bp all'interno del quale è compreso il sito d’inizio della trascrizione. Per far si che la trascrizione possa avvenire correttamente, c'è bisogno di ulteriori elementi, detti elementi prossimali che si trovano a monte del promotore basale e con il quale interagiscono. Camminando indietro lungo il DNA e quindi a monte degli elementi prossimali, si trovano gli elementi distali. Da questi si generano gli enhancer che possono avere posizioni e distanze variabili. Gli elementi basali che costituiscono il promotore si trovano tra le posizioni -40 e +40 rispetto al sito di inizio della trascrizione e possono essere di diversi tipo ( TATA box, iniziatore, DCE, DPE, BRE ). La maggior parte di questi interagiscono con alcune delle subunità di TFIID. L’elemento BRE, invece, lega il fattore TFIIB e quindi ne permette il reclutamento sul promotore. Parlando degli elementi prossimali, questi sono importanti perchè utili per rendere efficienti il promotore basale e gli enhancer. Stesso discorso si può fare per gli elementi distali che hanno la stessa funzione. La maggior parte dei trascritti di classe II ha inizio con una A. Molti promotori di classe II a livello del sito d'inizio della trascrizione sono caratterizzati da sequenze simili a quella consenso YYCAYYYY (iniziatore INR) . In questa sequenza la A corrisponde ad un nucleoside pirimidinico e corrisponde alla posizione +1. Nei promotori TATA-less, dove manca la TATAbox , la trascrizione avviene allo stesso modo, ciò dimostra che tale sequenza non è imprescindibile. Enhancer=Sequenza di DNA contenente un sito di legame per fattori di trascrizione e capace di stimolare la trascrizione. Il fattore generale TFIID e il suo legame al promotore basale TFIID è un complesso oligomerico costituito dalla subunità TATA-Binding Protein TBP e 13 proteine associate. Nel caso in cui la TATA box non ci sia, TAFII è in grado di riconoscere in primis l'iniziatore, ma anche gli elementi DCE e il DPE. TBP interagisce con la TATA box a livello del solco minore. C'è questa esigenza poiché il DNA si deve curvare a livello della TATA box, in modo da facilitare il legame al promotore basale da parte di successivi fattori. TBP ricopre completamente il DNA in modo da provocare una denaturazione locale la quale è favorita dall'interazione delle coppie di basi del DNA con i residui amminoacidici idrofobici che si trovano nei tratti B della proteina. Vi sono due residui di fenilalanina di TBP fondamentali anche per indurre la denaturazione, inserendosi tra i piani delle coppie di basi . TATA BOX= promotore I fattori generali dirigono l’assemblaggio del complesso di pre-inizio sul promotore basale di classe II Il processo di assemblaggio del complesso di pre-inizio inizia con il reclutamento di TFIID e di TBP (determina un ripiegamento del DNA). Successivamente c’è l’ingresso del fattore TFIIA importante per stabilizzare il legame di TFIID al promotore. Per completare il posizionamento dell’RNA polimerasi II entra in gioco il fattore generale TFIIB, questo svolge 2 ruoli cruciali: per prima cosa stabilizza l'interazione di TFIID sul promotore ( stesso compito del fattore TFIIA) e inoltre, partecipa al riconoscimento dell'RNA polimerasi II. L’elemento BRE serve per il legame e quindi il reclutamento di TFIIB, inoltre contribuisce un’attività elicasica, ATP-dipendente, svolta da RAP74 (subunità di TFIIF). L’RNA polimerasi II, oltre che a TFIIF, può essere concatenata anche a un complesso proteico, detto mediatore che è un complesso di circa 30 proteine, importante nei meccanismi dell’attivazione trascrizionale. Una volta che l’interazione tra promotore e fattori trascrizionali è avvenuta, l’RNA polimerasi II si trova ora sul sito d’inizio della trascrizione ma prima di poter partire e iniziare a trascrivere, c'è bisogno che questa passi dal complesso chiuso al complesso aperto. La formazione del complesso di preinizio richiede il reclutamento dei fattori generali TFIIE e TFIIH. TFIIH è un complesso di 9 subunità, con attività elicasica e chinasica. Il corretto posizionamento del centro attivo dell'RNA polimerasi sul sito d’inizio della trascrizione nel complesso aperto, avviene proprio grazie a TFIIH che rende possibile la separazione dei due filamenti. TFIIH è coordinata da TFIIE. L'inizio della trascrizione avviene grazie all'attività chinasica di TFIIH la quale fosforila il CTD, determinando così il distacco della polimerasi dai fattori generali e l'inizio della fase di allungamento. LA FASE DI ALLUNGAMENTO DELLA TRASCRIZIONE Il complicato passaggio dall’inizio all’allungamento produttivo della trascrizione di classe II I meccanismi coinvolti nell’inizio della trascrizione contribuiscono al controllo del rilascio dell’RNA polimerasi dal promotore per l’avvio della fase di allungamento. Dopo aver superato l’inizio, l’RNA polimerasi in fase di allungamento osserva delle pause (poised) in una regione immediatamente a valle del sito di inizio della trascrizione più o meno intorno alla posizione +50. Il passaggio dell’enzima verso la ripresa della trascrizione è mediato dall’attività chinasica del fattore di allungamento P-TEFb, che in questo modo inattiva il suo competitore NELF che funziona come inibitore dell’allungamento. Con il perdurare della fase di stallo, l’RNA polimerasi II può anche dissociarsi e terminare precocemente la trascrizione. In alcuni casi l’RNA polimerasi II può iniziare la sintesi divergente di trascritti (trascrizione divergente) a partire da un promotore e sito d’inizio della trascrizione orientati in direzione opposta rispetto a quelli canonici. Per i trascritti divergenti, la loro funzione non è ancora nota, ma possono essere di svariate lunghezze. Diversi meccanismi assicurano la sintesi processiva e fedele dei trascritti in procarioti ed eucarioti Due caratteristiche importanti nelle reazioni di sintesi di catene polinucleotidiche sono: la capacità dell’enzima di copiare lo stampo in modo continuo (processività) e quella di riprodurlo fedelmente (fedeltà). Le RNA polimerasi sia procariotiche che eucariotiche, sono enzimi altamente processivi in quanto riescono a sintetizzare in maniera continua i trascritti primari senza staccarsi dallo stampo; la perdita di processività comporterebbe il distacco della polimerasi e l’incapacità di riprendere la sintesi del trascritto , inoltre la processività non va associata necessariamente al concetto di velocità , infatti le RNA polimerasi trascrivono a velocità diverse. I fattori GreB dei procarioti e TFIIS degli eucarioti sono dei fattori di allungamento che stimolano la ripresa della RNA polimerasi negli arresti lungo lo stampo interagendo con le polimerasi, e stimolando un’attività ribonucleasica latente. In particolare il fattore TFIIS si associa all’RNA polimerasi II in corso di allungamento quando presenta delle pause sullo stampo e in questa situazione la polimerasi compie piccoli movimenti in senso retrogrado, che comportano la fuoriuscita dell’estremità 3’ del trascritto attraverso il poro d’ingresso dei nucleotidi. Infine, il fattore stimola l’attività endonucleasica endogena dell’RNA polimerasi che rimuove un breve tratto del trascritto e promuove la ripresa della trascrizione. Il fattore TFIIS è organizzato in tre domini: il dominio 1 N-terminale è poco conservato e non è richiesto per l’attività di allungamento, il dominio 2 è organizzato in 6 alfa eliche alle quali segue il tratto spaziatore e queste regioni prendono contatto con l’RNA polimerasi II, e poi c’è il dominio 3 strutturato alla base da uno ione zinco e si affaccia nel sito attivo attraverso la sua regione acida, strutturata in una forcina beta. Per consentire alle RNA polimerasi di superare le pause lungo lo stampo, questi fattori forniscono una possibilità di ripresa a partire da un’estremità 3’, accorciata per rimozione di pochi nucleotidi, che vengono allontanati attraverso il poro e rimossi con un meccanismo idrolitico. Una modalità alternativa di rimozione di nucleotidi consiste nel meccanismo pirofosforolitico, in cui ad essere rimosso è l’ultimo nucleotide grazie all’aggiunta di pirofosfato. L’allungamento trascrizionale negli eucarioti comporta la parziale rimozione e il riposizionamento dei nucleosomi. L’allungamento trascrizionale negli eucarioti comporta la parziale rimozione e il riposizionamento dei nucleosomi, pertanto, le cellule eucariotiche hanno selezionato meccanismi in grado di ripristinare la struttura. In particolare, vi è il fattore FACT che ha la funzione di chaperone degli istoni ed è formata dalle subunità Spt16 e SSRP1, entrambe dotate di una regione acida verso l’estremità C- terminale per il legame dei H2A/H2B del nucleosoma. Il fattore rimuove gli eterodimeri H2A/H2B dal nucleosoma al passaggio dell’RNA polimerasi, riposizionandoli dopo il passaggio dell’enzima e a questi processi di disassemblaggio e riassemblaggio partecipa anche il fattore Spt6, un chaperone istonico capace di interagire con il tetramero H3/H4. LA TERMINAZIONE DELLA TRASCRIZIONE Nei procarioti La terminazione intrinseca è un meccanismo sfruttato nei procarioti per terminare la trascrizione, ed è basato sulla formazione di una struttura a forcina seguita da una serie di U, all’estremità 3’ del trascritto. Il rallentamento dell’RNA polimerasi immediatamente a valle di questa regione e la presenza di una serie di appaiamenti labili tra l’RNA e il suo stampo comportano la dissociazione del complesso DNA-RNA-polimerasi. Inoltre nel meccanismo di terminazione estrinseca il complesso esamerico della proteina Rho con attività elicasica, contribuisce alla dissociazione dell’ibrido RNA- DNA, e si assembla a livello del sito rut sul trascritto. Queste sequenze sono ricche di C e si trovano a valle della regione codificante degli mRNA procariotici, per impedire che Rho possa contrastare la traduzione degli mRNA. Negli eucarioti Vi sono tre classi trascrizionali negli eucarioti che utilizzano modalità diverse per la fase di terminazione della trascrizione: il meccanismo di terminazione della trascrizione di classe III è simile a quello della terminazione intrinseca dei procarioti, ma senza la formazione di strutture a forcina; i meccanismi di terminazione di classe I e II sono invece accomunati da un taglio a monte dell’attività di polimerizzazione delle rispettive RNA polimerasi e nel caso dei trascritti di RNA polimerasi II, il taglio avviene al 3 della sequenza AAUAAA nella regione di poliadenilazione. Per quanto riguarda i′ trascritti di RNA polimerasi I, il trascritto a valle offre la sua estremità 5’ ad attività di una esonucleasi Rat1 che raggiungendo la polimerasi a valle, ne determinerà lo stallo e la destabilizzazione del complesso con conseguente rilascio dell’enzima favorito dall’attività elicasica di Sen1. CAPITOLO 6 Il ruolo dei promotori e del repertorio di fattori sigma nella regolazione trascrizionale dei procarioti Generalmente l'oloenzima dell'RNA polimerasi viene reclutato sul promotore grazie alle subunità di sigma70 che interagisce con i fattori -10 e -35. In base alla forza di un promotore, cioè a quanto si rifaccia alle consensus delle box, si possono avviare eventi vantaggiosi di inizio della trascrizione; maggiore è la forza di un promotore , maggiore sarà la capacità di reclutamento dell’RNA polimerasi sui promotori. Questo appena descritto è il principale metodo di regolazione in procarioti. Il secondo livello di regolazione si basa sui diversi fattori sigma che possono sostituire il principale (sigma70). Per fare un esempio si può parlare del fattore sigma 32 che viene prodotto in risposta a shock termico. A temperature maggiori di 37 gradi aumentano i livelli delle subunità sigma32 che va a prendere il posto di sigma70 all'interno dell'oloenzima. Ma esistono anche altri fattori sigma come sigma38, prodotte per garantire risposte generali a stress grazie alla capacità di legare una box -10 Elementi promotore a monte ed enhancer: il codice di DNA nei meccanismi della regolazione trascrizionale Per quanto riguarda gli elementi a monte del sito di inizio della trascrizione, nella maggior parte dei geni costitutivi si trovano sequenze ricche in G e C. Tali sequenze prendono il nome di GC box e sono siti di legame per la proteina Sp1 e altre proteine correlate. Le Sp1 sono una famiglia di proteine che possiedono un dominio di interazione al DNA e un dominio di attivazione della trascrizione che ha grande affinità per TFIID in modo da reclutarlo. Il compito delle GC box è quindi quello di facilitare la ripetuta formazione dei complessi d'inizio della trascrizione interagendo con i fattori trascrizionali basali. Le sequenze GC box sono in grado di funzionare anche in maniera indipendente dall'orientamento. Gli enhancer sono elementi in cis a cui una fattore trascrizionale attivatore si lega. Gli enhancer sono in grado di funzionare anche se allontanati dal promotore. Possono legare proteine chiamate fattori architetturali, in grado di piegare il DNA con conseguente avvicinamento al promotore basale e ai fattori generali di trascrizione che lo costituiscono. Esistono vari esempi di proteine che interagiscono con il DNA per indurne il ripiegamento, tra cui abbiamo le proteine che posseggono un dominio HMG che è capace di legare DNA a livello del solco minore di sequenze A-T. I co-attivatori possono regolare la frequenza di inizio della trascrizione I co-attivatori interagiscono sia con i domini di attivazione delle proteine attivatrici legate agli elementi di regolazione ( cioè gli enhancer) sia con i fattori generali. Di conseguenza rappresentano una sorta di ponte, un collegamento tra gli elementi di regolazione e il promotore costituito da fattori trascrizionali basici. Grazie ai co-attivatori il gene verrà trascritto efficientemente e con diversi cicli di trascrizione. Alcuni co-attivatori, possono svolgere anche attività enzimatiche per intervenire in maniera positiva nella regolazione trascrizionale. CBP e SRC sono esempi di co-attivatori, in particolare CBP viene legato da una proteina attivatrice CREB, la quale è sempre legata a un elemento in cis soprannominato CRE. Quando CREB viene legata, diventa un fattore trascrizionale attivatore in grado di legare il co-attivatore CBP (dotato di attività di acetilasi degli istoni e in grado di provocare modificazioni della cromatina). Questo complesso può attivare interazioni dei fattori basali sul promotore e quindi l'inizio della trascrizione. Il mediatore come co-attivatore e co-repressore Nel lievito il mediatore è una proteina costituita da 20 subunità mentre nell'uomo può essere composto anche da 30 subunità. Il mediatore è fatto da un dominio di testa, un corpo e una coda, e ogni dominio è costituito da un gran numero di catene polipeptidiche che caratterizzano l'elevata dimensione della proteina. Il mediatore può agire sia da co-attivatore che da co-repressore. Nel caso funzioni da co-attivatore, il mediatore viene reclutato da un fattore trascrizionale attivatore che precedentemente si era legato alla sequenza in cis detta enhancer. Una volta reclutato, il mediatore può facilitare il posizionamento dell'RNA polimerasi II sul sito d'inizio della trascrizione. Fa questo lavoro interagendo sia con la RNA polimerasi sia con i fattori trascrizionali basali. Quando il mediatore agisce sempre da co-attivatore, c'è la possibilità che questo leghi direttamente l'enhancer e quindi senza l'intervento dell'attivatore. Nel caso l'interazione sia di questo tipo, il gene diventerà costitutivo e di conseguenza sempre trascritto. In alcuni casi il mediatore può funzionare da co- repressore. Quando si lega a un fattore trascrizionale attivatore, il mediatore si trova in una conformazione che aiuta il reclutamento dell'RNA polimerasi II, ma la situazione cambia nel caso leghi un fattore trascrizionale repressore. In questa situazione c'è la presenza di un determinato modulo di subunità, SRB8-11, e la sua presenza nel complesso fa sì che il mediatore cambi conformazione e di conseguenza non è più capace di interagire con il macchinario dei fattori trascrizionali basali e soprattutto con l'RNA polimerasi II. Sistema GAL di lievito: un sistema inducibile L’utilizzo del galattosio, per formare glucosio 6- fosfato, richiede l'intervento di 3 enzimi chiave che sono codificati in lievito dai geni GAL1, GAL7 e GAL10. Il gene GAL1 codifica per la galattochinasi che fosforila il galattosio a galattosio 1-P; il gene Gal7 codifica per una transferasi che converte il galattosio-1P in UDP-galattosio; mentre il gene Gal 10 codifica per una epimerasi che converte UDP- galattosio in UDP-glucosio. Attraverso un processo ciclico, il galattosio viene convertito in glucosio 1- P che entrerà nella via glicolitica sotto forma di glucosio 6 fosfato. Tale trasformazione è resa possibile dal gene Gal5 che codifica per una fosfoglucomutasi. Inoltre Gal2 codifica per una permeasi, enzima necessario per l'uso del galattosio. I geni GAL1, GAL7 e GAL10 si trovano tutti vicini tra di loro sullo stesso cromosoma (cromosoma 2) e costituiscono un cluster genico denominato GAL-cluster. Anche se ogni gene ha il suo promotore caratterizzato da una sequenza TATA-box, i 3 geni sono co-regolati. Ciò avviene grazie ad una sequenza a monte del promotore chiamata UAS-gal. I geni regolatori Due geni regolatori si occupano della regolazione del sistema di induzione da galattosio: il primo è il gene Gal4 il cui prodotto è fondamentale per il processo di attivazione della trascrizione dei geni Gal, e si può classificare come un regolatore positivo; il secondo gene regolatore è Gal80 il cui prodotto è un regolatore negativo. Il compito di Gal80 può essere svolto solamente se è presente la proteina Gal4 funzionante. In assenza di galattosio, Gal4 e Gal80 interagiscono fisicamente tra loro e questo legame inibisce la funzione della prima proteina. Al contrario, in presenza di galattosio, la trascrizione dei geni Gal avviene poichè Gal80 si dissocia da Gal4 in modo che quest'ultima possa svolgere la propria funzione. Un'altra proteina cruciale per la realizzazione di questo meccanismo di controllo della trascrizione del gene Gal è il prodotto del gene Gal3. Il gene Gal3 codifica per una proteina simile alla galattochinasi, quindi in grado di legare galattosio e ATP, ma ma senza attività chinasica. La proteina Gal3 lega il galattosio e grazie a questo legame, è in grado di interagire con Gal80 provocandone la dissociazione da Gal4 in modo tale che che quest'ultima possa far avviare la trascrizione. In assenza di Gal80, il gene Gal sarà continuamente trascritto (gene costitutivo) grazie alla proteina attivatrice Gale4. Invece i mutanti che non posseggono Gal3, presentano un'induzione più lenta rispetto al normale. La regolazione dipende dalla presenza di una sequenza posta a monte dei promotori denominata UAS-gal UAS-gal è una sequenza compresa tra i geni Gal1 e Gal10 ed è in grado di regolarne la trascrizione. Tale UAS si può definire come enhancer in quanto la sua funzione non è dipendente né dall'orientazione, né dalla sua distanza dal promotore. Ovviamente la rimozione di questa regione determina l'impossibilità di trascrivere Gal1 e Gal10. UAS-gal è stata identificata come una sequenza costituita da 4 ripetizioni di 17 nucleotidi, ciascuna delle quali lega un dimero di pirimidina. Sequenze simili sono state identificate a monte dei promotori degli altri geni co-regolati. La proteina Gal4 è un potente attivatore della trascrizione Il gene Gal4 è composto da 881 amminoacidi ed è una proteina attivatrice che si lega alle sequenze UAS-gal, quindi ha la responsabilità di attivare la trascrizione. Parlando della struttura, Gal4 è caratterizzata da una porzione ammino-terminale dove è presente il dominio di legame al DNA. Questo dominio denominato zinc-cluster (variante del dominio a dito di zinco), è costituito da una sequenza contenente 6 cisteine che legano 2 atomi di zinco. La proteina Gal4 si lega in maniera selettiva alle sequenze di 17 nucleotidi che costituiscono l’UAS-gal. Inoltre è sempre legata all'UAS- gal indipendentemente dalla presenza o meno del galattosio, ma solo se nel terreno di coltura è presente glucosio, allora si ha un distacco tra proteina ed enhancer. Nella posizione carbossi- terminale della proteina c'è un dominio, ricco di amminoacidi acidi, da cui dipende l'attivazione della trascrizione. In assenza di galattosio anche se Gal4 è legata all'UAS-gal, la presenza di Gal80 blocca il dominio attivatore poichè il repressore va a legarsi proprio agli ultimi 30 amminoacidi di Gal4. Al contrario, in presenza di galattosio, l'intervento di Gla3 determina il distacco della proteina Gal80 dal dominio attivatore. La proteina Gal4 lega un co-attivatore multiproteico, chiamato SAGA e il mediatore attraverso il suo dominio attivatore, e questo legame determina un rimodellamento della cromatina, in modo da permettere ai fattori basali di trascrizione di interagire col promotore e reclutare la RNA polimerasi II sul sito d'inizio della trascrizione. I domini di legame al DNA e di attivazione possono essere scambiati Proteine ibride sono in grado di funzionare come attivatori trascrizionali. L'esempio più noto è stato fatto fondendo il dominio di attivazione di Gal4 con il dominio di legame al DNA del repressore batterico LexA. Questo ibrido viene inserito in un ceppo di lievito che possiede lacZ (posizionato a valle di un promotore contenente siti di legame per LexA). Risultato è che la proteina di fusione sarà in grado di attivare la trascrizione del gene reporter, cioè quello contenente lacz. II saggio del doppio ibrido Per poter utilizzare la tecnica del doppio ibrido c'è bisogno di un vettore esca e di una libreria di vettori. Questa libreria di vettori è formata da diverse proteine espresse in un certo organismo, fuse a domini di attivazione. Il vettore esca è composto da una proteina di interesse fusa ad un dominio di legame a DNA. Il meccanismo funziona andando a inserire, in un ceppo di lievito che porta un determinato reporter, il vettore esca e la libreria. Di conseguenza ogni cellula sarà dotata della proteina esca e di una proteina qualunque fusa con il dominio di attivazione (questo complesso prende il nome di preda). Solo se la proteina preda è in grado di interagire in maniera specifica con la proteina esca si produrrà una colonia che esprime il gene reporter e che potrà essere identificata. Varianti di questo saggio, possono verificarsi in situazioni che prevedono l'intervento di una terza componente (proteina o RNA) in grado di mediare l'interazione tra la proteina esca e la proteina preda oppure, situazioni in cui il legame tra le 2 proteine provochi un blocco della crescita (reverse two-hybrid). Questo meccanismo può essere usato per l'identificazione di fattori in grado di inattivare l'interazione specifica. La trascrizione negli eucarioti richiede uno stato cromatinico adeguato I macchinari trascrizionali non sono in grado di andare a legare il promotore basale o gli enhancer se vi è la presenza di istoni sul filamento di DNA. Gli istoni infatti determinano l'impossibilità da parte di una regione cromatinica, a essere accessibile ai macchinari trascrizionali. Per risolvere questo problema entrano in gioco le attività di complessi di rimodellamento della cromatina o le modifiche del codice istonico. Attraverso il dominio di attivazione di una proteina attivatrice che interagisce con una sequenza esposta, si può determinare l'apertura di una regione cromatinica. Il dominio di attivazione è fondamentale perchè permette il reclutamento di un'acetilasi istonica sulla regione e grazie a questa acetilasi si ha il decompattamento della fibra cromatinica con conseguente esposizione di sequenze per il reclutamento di fattori aggiuntivi. Situazioni simili possono avvenire grazie al reclutamento iniziale di complessi di rimodellamento della cromatina, permettono l’esposizione di sequenze prima nascoste nella struttura cromatinica anche con l'aiuto di chaperoni degli istoni, in grado di rimuovere interi nucleosomi o loro componenti per la sostituzione con varianti istoniche. L’attivazione trascrizionale del gene IFNB: integrazione tra il “codice di DNA” e il “codice istonico” La trascrizione del gene IFNB in condizioni normali è assente ma attivabile in caso di infezione virale. Il gene dell’interferone B è uno dei pochi geni eucariotici privo di introni. La trascrizione del gene è controllata da un enhancer, a cui si legano gli attivatori della trascrizione. In condizioni standard, il gene è nascosto da un nucleosoma (posizioni -15 e +132) e l'enhancer che lo controlla è posizionato a monte del promotore del gene. Ci sono diverse tappe fondamentali per l'attivazione trascrizionale del gene: il primo evento che avviene, è l'interazione del fattore architetturale (definito così perchè è in grado di modificare la struttura dell'enhancer) HMBI(Y) con il DNA dell'enhancer. Tale legame determina una distorsione di questa sequenza che sarà quindi accessibile alle proteine attivatrici IRF- 1, ATF-2/c-Jun e NFkB. A questo punto il complesso, che prende il nome di enhanceosoma, permette il reclutamento dell'acetiltransferasi istonica Gen5, i cui substrati sono le lisine K8 di H4, K9 di H3 e K14 sempre di H3. Succesivamente viene reclutata una chinasi che fosforila la serina10 di H3. L’acetilazione di K8 su H4 permette il reclutamento del complesso di rimodellamento SWI/SNF, che determina il disassemblamento del nucleosoma dal promotore basale. Il reclutamento del complesso TFIID è invece caratterizzato da due domini di TAF1 che leggono le acetilazioni di K9 e K14 di H3. In questo modo TFIID può andare a legarsi al promotore sfruttando anche l'interazione della subunità TBP con la TATA box. Un esempio di attivazione e di repressione trascrizionale in mammiferi: il recettore degli ormoni tiroidei I recettori nucleari hanno strutture caratteristiche ma variabili. La famiglia dei recettori nucleari è ampia e ciascuno di essi interagisce con una classe di ligandi, tra cui gli ormoni steroidei, gli ormoni Il capping consiste nell’aggiunta di un residuo di GMP al terminale 5’-trifosfato del pre-mRNA, con formazione di un insolito legame 5’-5’.Il primo ribonucleoside aggiunto durante la polimerizzazione, in 5’, mantiene tutti e tre i gruppi fosfato. Al processo di formazione del Cap partecipano tre distinte attività enzimatiche: 1. La RNA-trifosfatasi interviene sul nucleoside trifosfato in 5’ del pre-mRNA, rimuovendo il fosfato γ; 2. Dopodiché interviene la guaniltransferasi che lega il fosfato α di un GTP al fosfato β del terminale 5’ del pre-mRNA, con rilascio di pirofosfato, formandosi così il legame 5’-5’ con tre gruppi fosfato a ponte tra i nucleosidi (GpppN); 3. Infine una metiltransferasi, utilizzando S-adenosilmetionina (SAM), come donatore di gruppi metilici, trasferisce un gruppo metile in posizione 7 della guanina. In questo modo si è completata la formazione del Cap m7G, detto anche Cap0. Tutti gli enzimi coinvolti sono legati alle serine in posizione 5 del CTD di RNA poli-II, le stesse fosforilate per dare inizio alla trascrizione. Cap0 può andare incontro ad ulteriori modificazioni: ● L’aggiunta di un altro gruppo metile al 2’-OH del ribosio del primo nucleotide dell’RNA, forma Cap1; ● Un ulteriore legame al 2’-OH del ribosio successivo al primo, forma Cap2. I Cap formati vengono legati da un complesso proteico chiamato CBC (Cap Binding Complex). La funzione del Cap è quella di protezione del terminale 5’, che non può essere aggredito dalle esonucleasi 5’- 3’. Inoltre la presenza di CBC sul Cap è importante per il trasferimento dell’mRNA nel citoplasma, dove il fattore d’inizio della traduzione eIF4E si lega al Cap in sostituzione di CBC e media il legame dell’mRNA con il ribosoma all’inizio della traduzione. MODIFICAZIONE IN 3’ Nei procarioti la terminazione della trascrizione avviene per la presenza, nella parte finale dell’mRNA in via di trascrizione, di due sequenze ripetute ed invertite, che inducono la formazione di una struttura secondaria a forcina molto stabile. Tale struttura porta al distacco della polimerasi dal DNA. Inoltre la presenza, sull’mRNA, di un’ulteriore sequenza di poli(U), facilita il distacco dell’mRNA dal DNA. Negli eucarioti il terminale 3’ del pre-mRNA si genera a seguito di un taglio endonucleasico operato sul pre-mRNA in prossimità di specifiche sequenze di segnalazione presenti nella zona finale del trascritto. Il 3’ così generato viene poi modificato post-trascrizionalmente con l’aggiunta di una lunga sequenza di adenosine. Il processo di terminazione ha inizio quando nel pre-mRNA viene trascritta una sequenza di sei nucleotidi (5’ AAUAAA), detta sito di poliadenilazione. Tale sequenza viene riconosciuta da una proteina chiamata CPSF (Cleavage Polyadenylation Specificity factor), un endonucleasi che, con la collaborazione del fattore CstF, introduce un taglio a valle del sito di poliadenilazione. CstF lega le serine fosforilate presenti nella posizione 2 di CTD. Dopo il taglio viene aggiunta una coda di poliadenosine [Poli(A)]di 250 nucleotidi ad opera di Poli(A) polimerasi (PAP), che consuma ATP. Il fattore CPSF legato al sito di poliadenilazione lega PAP, che ha come substrato l’ATP. Ovviamente PAP sintetizza il filamento senza necessità dello stampo di DNA. La coda Poli(A) è assente in tutti gli altri tipi di RNA, e tale caratteristica viene utilizzata in laboratorio per separare gli mRNA dagli altri. La sequenza Poli(A) dopo la sintesi viene legata da proteine chiamate Poly-A Binding Protein, la cui funzione è: ● Regolazione di PAP sicché la lunghezza sia di 250 nucleotidi; ● Protezione dell’mRNA dalla esonucleasi 3’ – 5’; ● Interazione con il fattore d’inizio della traduzione eIFG4. Dopo il taglio endonucleasico che distacca il pre-mRNA dalla polimerasi, quest’ultima continua a trascrivere per qualche centinaio di nucleotidi, il cui trascritto essendo privo di Cap viene degradato da esonucleasi 5’ – 3’. Molti pre-mRNA possono presentare poliadenilazione alternativa, in cui i pre- mRNA presentano siti di poliadenilazione multipli; quelli localizzati più a monte determineranno un trascritto più corto di quelli che invece sono localizzati più a valle, che avranno quindi funzioni diverse. Pertanto la poliadenilazione alternativa rappresenta un ulteriore livello di regolazione dell’espressione genetica. Vi sono poi mRNA non poliadenilati, che traducono per i quattro istoni che formano il nucleosoma e per l’istone H1. Sono definiti istoni canonici quelli che vengono prodotti durante la fase S, mentre non canonici quelli prodotti indipendentemente dalla fase S. Negli mRNA per gli istoni canonici a valle del codone di stop, una sequenza induce la formazione di una forcina che viene riconosciuta dalla proteina SLBP (Stem-Loop Binding protein) che richiama CPSF. Quest’ultima induce un taglio endonucleasico sei nucleotidi più a valle rispetto alla forcina, ed al complesso 3’ non viene aggiunta la coda Poli(A) ma rimane legata la proteina SLBP necessaria anche per l’esportazione del mRNA al citoplasma. Probabilmente questo sistema è necessario per la degradazione di mRNA codificanti istoni canonici avanzati al termine della fase S, all’inizio della quale sono stati prodotti in grande quantità. LO SPLICING Gli mRNA procariotici sono la copia esatta, in RNA, del DNA dei geni dai quali sono trascritti. Negli eucarioti il pre-mRNA va incontro ad un processo di splicing, che consiste nella rimozione degli introni (o sequenze interposte) e nella saldatura degli esoni. Pertanto i geni che presentano introni sono chiamati geni discontinui o interrotti. La scoperta fu fatta nel 1977 osservando la trascrizione dei geni dell’Adenovirus (30.000 bp), da cui fu subito evidente che esistevano delle porzioni interne del gene non presenti nell’mRNA. Nei procarioti non sono presenti gli introni, mentre nei mammiferi un gene contiene in media da 7 introni, i quali costituiscono il 95% del trascritto primario; quindi un esone è lungo circa 170 bp, mentre gli introni anche 3000 bp. I trascritti primari che hanno già subito le modificazioni di capping e poliadenilazione e che devono andare incontro allo splicing, costituiscono hnRNA (RNA nucleare eterogeneo). Il meccanismo di splicing è guidato da sequenze di riconoscimento sia alla giunzione esone-introne (detta anche sito donatore o sito di splicing al 5’, riferito all’estremità dell’introne) che alla giunzione introne-esone ( detta anche sito di splicing al 3’ o sito accettore). Negli introni si trova un’altra sequenza di riconoscimento costituita da un’adenosina, indicata come punto di ramificazione (branch point), la cui posizione varia tra le 20 e le 80 basi a monte del sito accettore. Tra il branch point e il sito accettore si colloca la sequenza polipirimidinica. Gli esoni non contribuiscono al riconoscimento dei siti splicing, se non per la continuità di un codone necessario nella traduzione. Lo splicing procede in due stadi, in ognuno dei quali si verifica la transesterificazione: ● Primo: l’adenosina del branch point con residuo OH libero in posizione 2’ del ribosio, attua un attacco nucleofilo al fosfato legato al 5’ della guanosina presente al sito donatore. Quindi l’esone a monte viene staccato dall’introne, rimanendo con un3’-OH libero. Il fosfato al 5’ dell’introne forma una struttura in cui il ribosio dell’adenosina forma 3 legami fosfodiesterici in tre punti diversi (5’-3’-2’), formando una struttura a cappio. ● Secondo: il 3’-OH libero dell’esone a monte attua un attacco nucleofilo al fosfato 5’ del primo nucleotide dell’esone a valle. L’introne, rimanendo nella conformazione a cappio, si stacca anche a valle e successivamente viene degradato o maturato in snoRNA o miRNA. Questi processi sono mediati dallo spliceosoma, una particella ribonucleoproteica, cioè formata da molte proteine e da 5 molecole di RNA. All’interno di questa particella si osservano interazioni RNA- RNA, RNA-proteina e proteina-proteina. In particolare i complessi RNA-proteina sono molto stabili e sono chiamati snRNAP (Small Nuclear Ribonuclear Protein, indicato come SNURP). In ogni snRNP è presente un diverso RNA (U1, U2, U4, U5, U6, detti snRNA, small nuclear RNA), ognuno dei quali è legato a proteine dette Sm. U3 è implicato nei processi di maturazione degli rRNA. SPLICING MEDIATO DALLO SPLICEOSOMA U2 I passaggi fondamentali dello splicing mediato dallo spliceosoma U2 sono: 1. Riconoscimento dell’introne che deve essere eliminato; 2. Avvicinamento degli esoni che devono essere legati tra loro; 3. Attuazione delle due reazioni di transesterificazione che portano a compimento lo splicing. Il processo inizia con il riconoscimento del sito donatore da parte della snRNP U1, mediante la complementarietà di 6 nucleotidi intronici del sito 5’ con una porzione di snRNA U1. Contemporaneamente la proteina U2AF65, che aderisce alle serine fosforilate di CTD, durante l’emergenza del pre-mRNA, si sposta e riconosce la sequenza polipirimidinica; mentre la proteina U2AF35 si lega al dinucleotide AG all’estremità 3’ dell’introne. Un’ulteriore proteina, la BBP (Branch Point Binding Protein) si lega al punto di ramificazione. Altre proteine chiamate SR legano specifiche sequenze ESE presenti sugli esoni in prossimità dei siti 5’ e 3’, stabilizzando snRNP e U2AF35 e, in un momento successivo, favorisce l’adesione snRNP U2 al branch point. ● Tali passaggi formano il complesso E dello spliceosoma, in cui è stata effettuata una definizione dell’introne (marcatura degli elementi dell’introne, siti 5’-3’-sequenza polipirimidinica-branch point). Dopodiché snRNP U2 scalza la proteina BBP e si lega al punto di ramificazione grazie alla complementarietà delle loro basi. Tale complementarità non comprende l’adenosina, trovandosi esposta e pronta per il suo attacco nucleofilo al sito 5’. ● Si è così formato il complesso A dello spliceosoma (detto anche pre-spliceosoma). Il processo prosegue con l’adesione allo spliceosoma della snRNP dimerica U4/U6, a sua volta legata alla snRNP U5 a formare una struttura trimerica. ● In questo modo si è formato il complesso B1 pre-catalitico, in cui sono presenti tutti gli snRNP. In seguito snRNP U1 viene rilasciata e sostituita da snRNA U6 nel legame con la sequenza 5’ dell’introne . ● Tale azione porta al complesso B2. Quindi l’intervento della RNA elicasi Prp2 separa U5 da U4, che viene rilasciato (U4). ● Si è al complesso B*, cataliticamente attivo In quest’ultimo complesso si forma l’interazione RNA-RNA tra U2 e U6, essendo entrambi legati rispettivamente a branch point e al sito 5’, ed essendo il complesso B* cataliticamente attivo, si opera la prima reazione di transesterificazione. ● In questa fase intermedia tra le due reazione si è formato il complesso C. Il complesso C è subito capace di catalizzare la seconda reazione di transesterificazione. SPLICEOSOMA U12 Negli eucarioti una piccola quota di introni (l’1% nell’uomo) viene eliminata dallo spliceosoma U12, detto anche spliceosoma minore, le cui differenze con lo spliceosoma U2 (ossia il maggiore) sono: ● Quattro snRNA su cinque, U11, U12, U4atac e U6atac, mentre U5 è uguale allo spliceosoma maggiore; ● La struttura delle sequenze consenso al sito 5’; ● Il punto di ramificazione vicino al sito 3’ (15 nucleotidi); ● L’assenza della sequenza polipirimidinica. Il meccanismo d’azione è lo stesso. INTRONI SELF-SPLICING Negli introni self-splicing lo splicing avviene senza l’intervento dello spliceosoma e la catalisi è operata dall’RNA intronico stesso, che ha quindi la funzione di ribozima. Pertanto gli introni hanno la capacità di auto-eliminarsi. Introni di questo tipo si dividono in: ● Introni di gruppo II, presenti nei geni mitocondriali, plastidici, dei batteri codificanti il tRNA; Il gene DSX (doublesex) di Drosophila è responsabile dello sviluppo dei caratteri sessuali nell’embrione del moscerino. Il pre-mRNA, nel maschio, subisce un fenomeno di salto dell’esone a livello dell’esone 4. Nonostante il fattore Tra2 sia legato ad una sequenza ESE, non è però capace, di potenziare lo splicing. La mancanza dell’esone 4 comporta l’utilizzazione della sequenza di poliadenilazione presente alla fine dell’esone 6, producendo un mRNA che traduce per una proteina nella quale la parte terminale è codificata dall’esone 5, dove si trova anche il codone di stop. Nella femmina viene espresso il fattore Tra che, legandosi a Tra2, lo rende capace di potenziare lo splicing. Ciò permette il richiamo dei fattori di splicing che porteranno all’inclusione dell’esone 4 nell’mRNA. Alla fine dell’esone 4 è però presente un sito di poliadenilazione che porta alla produzione di un mRNA più corto, composto dagli esoni 1, 2, 3 e 4. La porzione terminale della proteina è in questo caso codificata da una parte dell’esone 4, fino al codone di stop presente nell’esone stesso. SPLICING E PATOLOGIE UMANE Tra le modalità meno comuni di splicing alternativo troviamo l’inserimento di uno solo dei due esoni adiacenti. Un esempio di questa modalità è rappresentata dal gene umano LMW-PTP (Low Molecular Weight Phospho-Tyrosine Phosphatase), una proteina spesso espressa ad alti livelli nei tumori, dove inibisce l’apoptosi e aumenta la farmaco-resistenza. La proteina esiste in due varianti: ● IF1 (isoforma 1); ● IF2. Le due differiscono per una porzione centrale di 34 amminoacidi. L’espressione di una delle due forme dipende dall’esclusione alternativa dell’esone 3 o dell’esone 4. Se invece sono presenti mutazioni degli elementi in cis si possono verificare patologie come la β-talassemia o anemia mediterranea, malattia ereditaria a carico dei globuli rossi. Il globulo rosso è formato dal tetramero α2β2, capace di trasportare l’ossigeno nel sangue e rilasciarlo nei tessuti. Nel paziente β-talassemico c’è una carenza della forma β, tale carenza induce la precipitazione delle globine α influenzando negativamente la capacità di trasporto dell’ossigeno. La riduzione dell’espressione delle globine β è causata da un vasto repertorio di mutazioni puntiformi, molte delle quali a carico delle sequenze di riconoscimento dello splicing. Difatti mutazioni a livello delle sequenze altamente conservate ai siti di splicing 5’ e 3’ sono le più gravi, in quanto rendono impossibile il riconoscimento dei siti a snRNP U1 al 5’ e U2AF35 al 3’, generando forme aberranti di mRNA. In questi casi gli mRNA mostrano la ritenzione di un introne o l’eliminazione di un esone, generando un allele che non produce la proteina (fenotipo 𝛃0 in eterozigosi). Tale condizione è grave, ma peggiore se in omozigosi. Un altro tipo di mutazione della β-talassemia porta invece alla formazione di nuovi siti di riconoscimento per lo splicing, mantenendo porzioni introniche. In una minoranza di casi per questo genere di mutazioni, il meccanismo di splicing riesce il più delle volte a mantenere il sito di splicing canonico. Questa forma è meno grave (fenotipo 𝛃+). Altre mutazioni sono invece legate al promotore e non riguardano i siti di splicing. MATURAZIONE DEI MICRO-RNA I miRNA (sequenze corte di RNA, 22 nucleotidi) svolgono l’azione di legarsi al 3’-terminale di uno specifico mRNA nel citoplasma, ed lo portano alla degradazione o all’inibizione del processo di traduzione. I miRNA sono trascritti come precursori lunghi anche migliaia di basi, chiamati primary miRNA (pri-miRNA), che vengono tagliati per formare i pre-miRNA. A livello nucleare i pri-miRNA sono processati da un enzima chiamato Drosha (famiglia RNasi III), un endonucleasi che è in grado di riconoscere strutture a forcina e di formare i pre-miRNA (60 nucleotidi). Questi ultimi legano l’Esportina 5, a sua volta legata al cofattore Ran associato a GTP, ed attraversa il poro fino al citoplasma. Qui un’altra RNasi III, chiamata Dicer, trasforma il miRNA maturo, formato da un doppio filamento di 22 nucleotidi, che lega la proteina Argonauta (Ago), la quale attacca solo un filamento rilasciando l’altro chiamato miRNA*. Il complesso miRNA + Ago è denominato RISC (RNA-Induced Silencing Complex), capace di degradare o inibire la traduzione di un mRNA bersaglio. Il miR-1 umano è un miRNA coinvolto nella regolazione del differenziamento muscolare. I geni che li codificano lo fanno in più modi. Una parte dei geni vengono trascritti normalmente, formando un trascritto policistronico per diversi miRNA. Altri geni per il miRNA si trovano nella parte intronica di pre-mRNA, che attraverso lo splicing l’introne escisso va a costituire i pri-miRNA. Queste due modalità formano pri-miRNA che vanno incontro a modificazioni da parte di Drosha, quindi per questo definiti canonici. Altri pre-miRNA, chiamati mirtrons, sono formati direttamente dall’azione di splicing, essendo introni di geni codificanti per proteine, senza passare per Drosha e per questo sono definiti non canonici. CAPITOLO 8 LA TRADUZIONE I RIBOSOMI Il ribosoma è una ribonucleoproteina, in cui l’RNA ha la funzione di catalizzare la reazione di formazione dei legami peptidici. Le molecole che compongono gli rRNA di E.coli sono 23S, 16S e 5S (S=coefficiente di sedimentazione vecchia nomenclatura); mentre negli eucarioti sono 28S, 18S, 5,8S e 5S. Gli RNA tendono a formare tratti di doppia elica che si alternano a regioni a singolo filamento, in una struttura tridimensionale stabile. I ribosomi sono formati da una subunità maggiore ed una subunità minore. Nella subunità minore di E.coli è presente l’rRNA 16S, mentre in quella degli eucarioti l’rRNA 18S; nella subunità maggiore di E.coli sono presenti gli rRNA 5S e 23S, in quella degli eucarioti 23S, 5.8S e 5S. Il processo della traduzione avviene all’interno del ribosoma, il quale presenta tre siti: A, E e P. Il sito A è la porta d’accesso in cui entra l’aa-tRNA carico, mentre il sito E rappresenta l’uscita da cui esce il tRNA scarico. Nel sito P si colloca il peptidil-tRNA (tRNA a cui è legato il peptide nascente). L’mRNA si colloca in una scanalatura della subunità minore rivolta verso la subunità maggiore e in cui sono posizionati i tre siti. Le dimensioni dell’mRNA nel ribosoma vanno è di 28-30 nucleotidi. Inoltre mRNA presenta una piegatura (indotta dalla subunità minore) di 45° in corrispondenza del legame fosfodiesterico che separa il codone dell’aa-tRNA del sito A, da quello per il peptidil-tRNA del sito P, cosicché i due tRNA non creino ingombro sterico. Il piegamento è stabilizzato da uno ione Mg2+. LE AMMINOACIL-tRNA SINTETASI Gli enzimi amminoacil-tRNA sintetasi (AARS), si occupano di caricare i tRNA con i loro specifici amminoacidi. Ogni AARS è in grado di riconoscere un solo tipo o gruppo di tRNA e un solo amminoacido. La frequenza di errore è di 1 su 10.000! Per sintetizzare l’aa-tRNA questi enzimi operano attraverso due eventi catalitici: 1. L’enzima lega l’ATP e l’amminoacido nel sito catalitico, in maniera tale che il fosfato α dell’ATP e il gruppo α-carbossilico dell’amminoacido siano in stretta prossimità. Avviene un attacco nucleofilo sul fosfato α dell’ATP con formazione di un intermedio chiamato amminoacil-adenilato (AMP legato al α-carbossilico, con rilascio di pirofosfato. Per alcune AARS è necessario che avvenga prima il legame del proprio tRNA affinché si verifichi il primo evento catalitico; 2. Il secondo evento catalitico consiste nel trasferimento dell’amminoacido sul carbonio 3’ o 2’ del ribosio all’estremità 3’ del tRNA; il gruppo OH del ribosio opera l’attacco nucleofilo sull’α- carbonile dell’amminoacido adenilato. Al termine delle reazione l’aa-tRNA neoformato lascia l’enzima insieme all’AMP. Le AARS sono distinte in due classi, classe I e classe II. Il tRNA ha una struttura che ricorda una lettera L, la cui estremità del braccio lungo presenta una regione ad ansa al centro della quale si colloca l’anticodone, seguito da una regione α-elica chiamata braccio dell’anticodone. Al termine del braccio è presente, in 3’, un extra-braccio, formato da una doppia elica. Le AARS di classe I prendono contatto con il tRNA dal lato del solco minore della doppia elica del braccio dell’anticodone, con l’extra braccio rivolto verso il solvente. Le ARRS di classe II prendono contatto con il tRNA dal lato del solco maggiore della doppia elica del braccio dell’anticodone, sicché l’extra-braccio sia rivolto verso l’enzima. Questo diverso orientamento del tRNA fa si che le AARS di classe I amminoacilino i tRNA sull’OH in 2’ del ribosio all’estremità 3’ del tRNA, mentre quelle di classe catalizzano l’amminoacetilazione del 3’-OH. Nel riconoscimento selettivo delle tRNA da parte delle AARS, partecipano il braccio accettore (l’estremità 3’ che legano l’amminoacido) e l’anticodone. Il riconoscimento degli amminoacidi è invece garantito da un meccanismo di correzione degli errori, simile al proofreading della DNA-polimerasi; mentre un altro meccanismo consiste nell’idrolisi del legame tra tRNA e amminoacido sbagliato, denominato pre-transfert. ASSEMBLAGGIO DEL COMPLESSO TRADUZIONALE, FASE D’INIZIO Consideriamo prima i procarioti. Il primo evento è l’interazione tra la subunità minore e l’mRNAA monte del codone d’inizio AUG, nell’mRNA dei batteri è presente una sequenza nota come sequenza di Shine-Dalgarno, formata da 6 nucleotidi complementari all’estremità 3’ dell’rRNA16S. Il secondo evento è l’interazione tra il complesso mRNA-subunità minore e il tRNA iniziatore. Quest’ultimo è il formilmetionil-tRNA (fMet-tRNA), con anticodone che riconosce il codone AUG che codifica per la metionina. Esso è caricato con la metionina che, subito dopo la reazione di amminoacilazione, viene modificato con l’aggiunta di un formile al gruppo amminico. Ciò impedisce alla metionina di essere aggiunta ad un’altra catena polipeptidica nascente, in quanto il gruppo amminico è mascherato dal formile. Tre proteine assistono la subunità minore nella formazione del complesso d’inizio: IF-1, IF-2 e IF-3. IF-3 si lega alla subunità minore, a livello dell’emisito E, impedendo a quest’ultima di legarsi prematuramente alla subunità maggiore, facilitando anche l’interazione con l’mRNA. IF-1 si lega sull’emisito A, impedendo a qualsiasi aa-tRNA di legarsi. IF-2 è una proteina legante il GTP, con attività GTPasica dipendente dal ribosoma. Quando IF-2 si lega alla subunità minore, il GTP viene idrolizzato in GDP, e ciò determina un cambio conformazionale che facilita il legame del formilmetionil-tRNA iniziatore con il codone AUG dell’mRNA. A questo punto i tre fattori sono rilasciati e la subunità maggiore del ribosoma si associa con la minore, e fMet-tRNA è collocato nella tasca P. Gli eucarioti invece non possiedono la sequenza di Shine-Dalgarno. La subunità minore si associa con il fattore eIF3 che impedisce l’associazione prematura con la subunità maggiore. Il complesso di pre inizio si completa con l’associazione di altri fattori quali eIF1, eIF1A, eIF5 ed eIF2. Quest’ultimo è una proteina G eterotrimerica (α,β e γ), che lega il GTP e il tRNA iniziatore (Met-tRNA). Quest’ultimo non è formilato, ma il suo utilizzo esclusivo per iniziare la traduzione è garantito dalla fosforilazione del gruppo OH al carbonio 2’ del ribosio del nucleotide 64, che ne impedisce l’uso per decodificare metionine interne. eIF2 + GTP + tRNA iniziatore prende il nome di complesso 43S. L’mRNA eucariotico è associato nel citoplasma ai fattori di inizio eIF4E, eIF4A ed eIF4G, collettivamente denominate eIF4F. eIF4E lega il Cap e regola tutto il sistema, in quanto la sua interazione con il Cap è favorita dalla sua fosforilazione in seguito a stimoli che attivano la traduzione. eIF4A ha attività elicasica e risolve eventuali doppi filamento. eIF4G connette tutte le proteine, tra cui anche PAB che lega la coda poli(A), portando l’mRNA ad una forma circolare con le estremità 3’ e 5’ che si toccano. A questo punto l’mRNA è pronta per interagire con il complesso 43Sed è eIF4G che interagisce on eIF3 che porta alla formazione di un complesso d’inizio. Il codone AUG è individuato a seguito di un processo di scannerizzazione della subunità minore, in cui la sequenza consensus di Kozak, una purina ed una guanina prima di AUG, è determinate per l’individuazione. Infine l’associazione della subunità maggiore richiede il distacco di eIF3 e di eIF2 da parte di eIF5 che attiva l’idrolisi del GTP di eIF2. ALLUNGAMENTO Il codone che l’AUG è esposto alla base del sito A e tra i due si forma un angolo di 45° per consentire l’inserimento dell’aa-tRNA corrispondente. La selezione di quest’ultimo è guidata da proteine, EF-Tu nei procarioti ed eEF1α negli eucarioti, entrambe proteine G monomeriche. Legano l’aa-tRNA solo se legate al GTP e si staccano se legate al GDP. Se l’associazione tra l’anticodone dell’aa-tRNA e il codone dell’mRNA non giusta, non avviene l’idrolisi del GTP, ed EF-Tu rimane legato all’aa-tRNA; al contrario, avviene l’idrolisi e EF-Tu si distacca dall’aa-tRNA. In questa fase avviene la formazione del legame peptidico. Il sito catalitico di tale reazione è situati nellrRNA23S (o 28S), e catalizza l’amminolisi di un legame estereo, in cui il gruppo amminico dell’amminoacido legato al tRNA posizionato nel sito A attacca il legame estereo che lega il peptide al peptidil-tRNA. A reazione avvenuta, si assiste ad una traslocazione del tRNA scarico in E, tratti di doppia elica e interagiscono con una proteina Hfq. Questa proteina è un esamero che lega le regioni ricche di A e U degli sRNA fungendo da chaperonina che facilita l’interazione dell’sRNA con l’mRNA bersaglio. L’interazione sRNA-mRNA avviene nella regione 5’-terminale dell’mRNA e il risultato è la soppressione della traduzione dell’mRNA, e in seguito a questo blocco della traduzione, l’mRNA viene degradato. Vi sono due meccanismi di regolazione basati sugli sRNA RyhB e OxyS. Nel primo caso l’sRNA RyhB viene trascritto come conseguenza della carenza di Fe2+. L’sRNA blocca la traduzione di alcuni mRNA che codificano per proteine che legano il Fe2+ e quindi riducono il fabbisogno complessivo di Fe2+ nella cellula batterica. Nel caso di OxyS, l’sRNA viene sintetizzato in risposta allo stress ossidativo e blocca la traduzione di due regolatori trascrizionali, RpoS e FhlA, così riducendo gli effetti dannosi dell’ acqua ossigenata e dei radicali dell’ossigeno. DsrA e RprA inducono l’attivazione della traduzione dell’mRNA di RpoS. Quest’ultimo codifica per un fattore sigma, alternativo al sigma 70, che controlla la trascrizione di una serie di geni che facilitano l’ingresso nella fase stazionaria, indotta da carenza di nutrienti o altre condizioni di stress. I due miRNA DsrA e RprA si legano all’mRNA di RpoS e ne facilitano la traduzione, perché ostacolano la formazione di una struttura secondaria dell’mRNA di RpoS che blocca la traduzione. Negli eucarioti, il più studiato meccanismo di regolazione della traduzione che ha come bersaglio l’mRNA è quello dipendente dai miRNA. La loro funzione è quella di regolare l’espressione genica attraverso due meccanismi, la repressione della traduzione di specifici mRNA e/o la loro degradazione. Entrambi i meccanismi presuppongono l’interazione del complesso RISC con una molecola di mRNA, interazione basata sulla complementarità tra la sequenza del miRNA e quella dell’mRNA. Quando tutto o gran parte del miRNA è complementare rispetto alla sequenza di una regione dell’mRNA, complesso RISC induce il taglio endonucleolitico dell’mRNA complementare e la sua conseguente degradazione. Quando vi è una ridotta complementarietà il taglio endonucleolitico dell’mRNA è un evento raro. Nella gran parte dei casi, l’interazione del complesso RISC con l’mRNA ha due conseguenze: il blocco della traduzione dell’mRNA e la rimozione della coda di poli(A). In sostanza, il risultato dell’interazione miRNA-mRNA è la soppressione della biosintesi della proteina codificata. Nel funzionamento del complesso RISC giocano un ruolo chiave le proteine della famiglia Argonauta. Possiamo dire che l’aumento della biosintesi di un miRNA determina la diminuzione della biosintesi della proteina codificata dall’mRNA bersaglio. L’aumento di concentrazione di un miRNA regola contemporaneamente molti diversi mRNA, il che implica una regolazione coordinata di molte proteine di uno stesso pathway o di pathway correlati. Nello stesso tempo, un mRNA può essere regolato da diversi miRNA, ciascuno a sua volta regolato da diversi segnali o eventi fisiologici o patologici. Sono state scoperte alcune molecole di RNA non codificanti che funzionano come “spugne” per miRNA, i cosiddetti ceRNA. L’attivazione di un gene che codifica per un ceRNA determina un aumento della sua concentrazione. Esso competerà con gli mRNA per il legame con alcuni miRNA, la cui disponibilità sarà diminuita e, di conseguenza, aumenterà la produzione delle proteine codificate dai mRNA. CAPITOLO 10 Replicazione Durante il processo di replicazione il tasso di errore è intorno a 10^–9/10^–10. Gli esperimenti di Watson e Crick e Rosalind Franklin portarono alla determinazione della struttura del DNA, mostrando che tale molecola è costituita da due eliche complementari. La replicazione del DNA è di tipo semiconservativo: ognuno dei due filamenti dell’elica parentale serve da stampo per un nuovo filamento, dando luogo a due doppie eliche figlie nelle quali sarà presente un filamento vecchio e uno nuovo. Vi sono ipoteticamente 3 modalità di replicazione: semiconservativa, dispersiva e conservativa. Nella semiconservativa la molecola figlia contiene un filamento della molecola originale e uno di nuova sintesi; nella conservativa la molecola originaria viene conservata e la molecola figlia è composta da due due filamenti di nuova sintesi; nella dispersiva i filamenti delle molecole figlie sono formati ciascuno sia da segmenti parentali sia neosintetizzati. Esperimento di Meselson e Stahl Per determinare quale meccanismo di replicazione tra conservativo, semiconservativo e dispersivo descrive la replicazione del DNA , Meselson e Stahl realizzarono un esperimento. Una coltura di E. Coli venne fatta crescere in un terreno contenente sali di azoto con l’isotopo azoto 15, più pesante rispetto all’isotopo azoto 14. Dopo varie ripetizioni furono prelevati dei batteri dai quali fu purificato il DNA che conteneva solo l’isotopo 15. Questi batteri furono trasferiti poi in un terreno contenente azoto 14 e fatti crescere per un tempo necessario a compiere un ciclo replicativo. Da questi batteri e da quelli cresciuti precedentemente fu estratto il DNA che venne aggiunto ad una provetta contenente una soluzione di cloruro di cesio e sottoposta a centrifugazione. Il cloruro di cesio tende a concentrarsi verso il fondo della provetta. Meselson e Stahl riuscirono a distinguere le molecole di DNA in base alla loro densità e formeranno sulla provetta bande in posizioni differenti. Infatti cellule che erano state coltivate nel mezzo contenente azoto pesante avevano un DNA ad alta densità. Dopo averle fatte crescere in ambiente contenente azoto leggero, quindi dopo una prima generazione, videro che il DNA aveva una densità intermedia. Dopo due generazioni trovarono nelle cellule sia DNA a densità intermedia sia DNA a bassa densità DNA polimerasi e RNA polimerasi DNA polimerasi e le RNA polimerasi entrambi usano come stampo una singola catena del DNA; RNA polimerasi catalizza l’unione di ribonucleotidi anziché desossiribonucleotidi ; RNA polimerasi possono dare inizio a una catena di RNA senza un primer, compiono un errore ogni 10^4 nucleotidi copiati in RNA e le conseguenze sono meno importanti rispetto alla replicazione. DNA POLIMERASI La DNA polimerasi I di E. Coli fu il primo enzima ad essere scoperto grazie a Arthur Kornberg. La sintesi del nuovo filamento è catalizzata dalla DNA polimerasi che catalizza la formazione di legami fosfodiesterici tra desossinucleotidi adiacenti. La DNA polimerasi non può sintetizzare direttamente un nuovo filamento di DNA ma ha bisogno di un innesco, un primer. Necessaria quindi la presenza di un complesso innesco-stampo, che presenti un 3’ OH su cui la DNA polimerasi possa aggiungere il nuovo deossinucleotide. In assenza dell’innesco la polimerasi non è capace di inserire un iniziale dNTP sul filamento stampo e avviare la sintesi. La replicazione procede in direzione 5’->3’ perché la DNA polimerasi catalizza il legame di un nuovo nucleotide all’estremità 3’. Le DNA polimerasi possono anche attuare procedure di controllo della fedeltà di copia, denominate proofreading e si basano sull’attività esonucleasica 3 -> 5 . Da un punto di vista funzionale, le DNA polimerasi si′ ′ suddividono in “replicative” e “specializzate”. Le DNA polimerasi replicative prendono parte alla replicazione del DNA e hanno una fedeltà di copia molto alta. Le DNA polimerasi specializzate hanno invece una fedeltà di copia ridotta e molte sono capaci di attuare la sintesi del DNA anche su filamenti stampo danneggiati (sintesi translesione). La sintesi del DNA avviene in direzione 5’ -> ’3. Se la sintesi del DNA procedesse in direzione opposta, un’eventuale azione di proofreading lascerebbe un terminale 5’ fosfato come innesco e quindi la DNA polimerasi non potrebbe formare il legame fosfodiesterico bloccando la sintesi. Quindi una polimerasi che operasse in direzione 3’ ->5’ non potrebbe usufruire del meccanismo di proofreading. Struttura DNA polimerasi Tutte le DNA polimerasi condividono una subunità catalitica che ricorda quella di una mano destra. La singola elica del DNA stampo scorre sul palmo, che rappresenta il cuore del dominio catalitico dove avviene la formazione del legame fosfodiesterico, è costituito da un foglietto beta e qui vi risiede anche l’attività esonucleasica. Le dita partecipano nella cattura dei dNTP che verranno incorporati nella catena nascente e con un piegamento di 40° stabilizzano il legame tra il nuovo dNTP e il filamento stampo. L’ingresso di un dNTP non complementare non innesca la piegatura delle dita, rendendo veloce l’uscita del dNTP ; al contrario la chiusura delle dita, indotta da una corretta interazione rende lento il rilascio e facilita la formazione del legame fosfodiesterico. Il rilascio del pirofosfato induce l’apertura delle dita, permettendo alla DNA polimerasi di scorrere di una posizione sul filamento. Il pollice serve a mantenere la giusta posizione del filamento appena sintetizzato e contribuisce alla stabilità del legame tra l’enzima e il substrato. Le DNA polimerasi devono essere capaci di distinguere due molecole: i dNTP e rNTP che differiscono tra loro per un atomo. Nei rNTP è presente un gruppo OH, mentre nei dNTP un idrogeno. La DNA polimerasi deve essere molto efficiente nel discriminare le molecole anche perchè nelle cellule la concentrazione dei rNTP è maggiore, e la capacità di distinguere tra rNTP e dNTP si basa sul minore ingombro sterico di quest’ultimi: nel momento in cui un rNTP viene casualmente a posizionarsi nel sito catalitico, la presenza di un residuo OH nella posizione 2’ del ribosio rende difficile la sua collocazione e la possibilità che possa formarsi il legame fosfodiesterico. Ciò è dovuto alla presenza di una tirosina nella struttura della polimerasi. Formazione del legame fosfodiesterico Le DNA polimerasi sintetizzano una nuova sequenza di DNA, utilizzando dNTP. La DNA polimerasi ha sempre bisogno di un innesco , una estremità 3’OH dalla quale la DNA polimerasi possa legare il 5’ fosfato del deossinucleotide successivo, per formare un legame fosfodiesterico. Questa struttura prende il nome di giunzione innesco-stampo, innesco di RNA sintetizzato dall’enzima primasi. La DNA polimerasi necessita anche dei quattro dNTP, vale a dire i due purinici e i due pirimidinici. Sostanzialmente, la DNA polimerasi catalizza il legame tra il 3’OH dell’innesco e il fosfato legato al carbonio 5’ del deossiribosio. Il carbonio in 3’ opera un attacco nucleofilo nei confronti del fosfato portando alla formazione del legame fosfodiesterico. La reazione porta al rilascio di una molecola di pirofosfato inorganico che viene trasformato in due ioni fosfato dalla pirofosfatasi e alla reazione partecipano due ioni magnesio che hanno un ruolo sia nella catalisi che nel corretto posizionamento del dNTP. L’interazione del primo ione con il 3’ OH dell’innesco favorisce l’attacco nucleofilo dell’ossigeno verso il fosfato, mentre il secondo ione metallico interagisce con le cariche negative dei gruppi fosfato in modo da ottimizzare il posizionamento del fosfato a rispetto al 3’ OH. Il proofreading Molte DNA polimerasi possiedono un’attività esonucleasica 3’-> 5’, capace di rimuovere eventuali deossinucleotidi erroneamente incorporati nel filamento. L’attività 3’-> 5’ esonucleasica nella struttura a mano, è collocata nel palmo e viene innescata dall’inserimento nella catena del DNA in via di sintesi, di un nucleotide non complementare allo stampo, e ciò crea un mismatch. La presenza di un mismatch induce il trasferimento dell’estremità 3’ del filamento in via di sintesi al dominio esonucleasico, quindi vi è la sospensione dell’attività polimerasica e l’attivazione di quella esonucleasica. Una volta eliminato il nucleotide sbagliato, l’estremità 3’ OH viene a trovarsi nuovamente nel sito polimerasico e l’attività di sintesi riprende. La tautomeria delle basi del DNA causa errori di copia La dell’inserimento di un dNTP non complementare allo stampo è dovuta all’esistenza di forme tautomeriche rare delle basi del DNA dovute allo spostamento, temporaneo, veloce e reversibile di un doppio legame delle basi del DNA. Quando una base dello stampo deve selezionare la base entrante, se una delle due basi della coppia si trova nella forma tautomerica rara, porterà alla formazione di legami idrogeno diversi da quelli previsti dalle regole di Watson e Crick. Infatti nel tautomero è cambiata la localizzazione dei siti accettori o donatori coinvolti nella formazione dei legami idrogeno (atomi che da donatori diventano accettori e viceversa). Per esempio nel caso della forma imminica dell’adenina non si legherà più alla timina, ma alla citosina ; nel caso della forma enolica della timina legherà non più un’adenina ma la guanina. È probabile che nel tempo, prima della formazione del legame fosfodiesterico, la base che presentava la forma tautomerica rara riacquisti la sua forma tautomerica comune generando così un mismatch che potrà essere corretto dall’attività di proofreading.Le tautomerie generano solo mutazioni in cui una purina è sostituita dall’altra purina o una pirimidina dall’altra pirimidina e tali mutazioni sono dette transizioni. Fenotipi mutatori e antimutatori L’importanza del meccanismo di proofreading è stata confermata dall’isolamento di ceppi batterici e di lievito che presentano DNA polimerasi difettose nella loro attività esonucleasica. Questi ceppi mostrano un fenotipo mutatore caratterizzato da un aumento del tasso di mutazione perchè gli errori hanno una probabilità più bassa di essere corretti. Sia in batteri che nel lievito sono stati selezionati anche fenotipi antimutatori che portano nel processo di replicazione del DNA, una fedeltà di copia maggiore rispetto al normale, causando un incremento dell’attività esonucleasica e un rallentamento della reazione di formazione del legame fosfodiesterico. Processività e sliding clamp fanno ruotare il filamento rotto attorno a quello integro. Le topoisomerasi di tipo II, rompono invece entrambi i filamenti e fanno passare un tratto integro del filamento attraverso la rottura. A differenza delle topoisomerasi di tipo I, la maggior parte di quelle di tipo II consumano ATP . La DNA polimerasi III e la sua azione Per quanto riguarda E. coli, il complesso che effettua la sintesi di entrambi i filamenti è la DNA polimerasi III oloenzima o HL, oloenzima perchè è costituito da più proteine legate tra loro, alcune con attività catalitica (core) e altre con attività regolatoria. La DNA polimerasi III HL infatti, presenta tre DNA polimerasi core identiche tra loro ognuna legata a una proteina tau, che permettono una certa libertà di movimento delle unità catalitiche. Esse sono a loro volta legate al caricatore della sliding clamp, a cui è legata la pinza scorrevole e che viene poi associata a ognuna delle DNA polimerasi core nel momento in cui devono iniziare la sintesi del DNA. La DNA polimerasi III HL fa parte di un complesso che prende il nome di replisoma e fanno parte del replisoma anche l’elicasi, la primasi e le proteine SSB. Dei tre core catalitici uno si occupa della sintesi del filamento guida e procede nella stessa direzione dell’apertura della forcella di replicazione, mentre gli altri due si occupano del filamento ritardato. La sintesi del filamento ritardato avviene in un momento successivo rispetto al filamento guida e la modalità di sintesi è descritta con un modello definito a trombone. Un’unità core della DNA polimerasi III porta avanti la sintesi del filamento guida, una seconda la sintesi di un frammento di Okazaki del filamento ritardato e una terza è inattiva. L’elicasi produce nuove porzioni di DNA a singolo filamento che vengono legate dalle proteine SSB, mentre la primasi sintetizza un nuovo innesco creando una giunzione innesco-stampo, così che il caricatore della pinza trasferisce la pinza alla nuova giunzione innesco-stampo creatasi. La terza unità core (quella inattiva), si lega alla nuova pinza iniziando la sintesi di un nuovo frammento di Okazaki prima ancora che sia terminata la sintesi di quello precedente. La seconda unità core si stacca, mentre la terza procede nella sintesi del frammento di Okazaki e l'elicasi nel frattempo genera nuovo singolo filamento che servirà da stampo per il successivo frammento di Okazaki. L’INIZIO DELLA REPLICAZIONE Il replicone è una porzione di DNA che viene replicata a partire da una specifica posizione. Nei procarioti il cromosoma costituisce un replicone. Ogni replicone contiene un replicatore, che è costituito da particolari sequenze presenti nel DNA che deve essere replicato chiamate origini di replicazione e vengono definite come elementi in cis, a indicare che si trovano sul DNA stesso. Il terzo elemento fondamentale per l’inizio della replicazione è l’iniziatore, costituito da un insieme di proteine dette fattori in trans, che sono capaci di legarsi al replicatore e promuovere l’apertura del doppio filamento. Gli eucarioti presentano un centinaio di potenziali origini di replicazione che portano alla replicazione dell’intero cromosoma. Nel caso degli eucarioti, si definisce replicone ogni singola porzione del cromosoma la cui replicazione avvenga a partire da una specifica origine di replicazione. L’inizio della replicazione in E. Coli L’inizio della replicazione in E. Coli è indotta dalle proteine DnaA. In E. Coli l’origine di replicazione è detta oriC e ha una lunghezza di circa 250 bp e contiene cinque ripetizioni di 9 bp alle quali DnaA è capace di legarsi. Delle cinque DnaA-box presenti, tre sono definite ad alta affinità e legano costantemente la proteina DnaA, mentre le restanti due, sono definite a bassa affinità e legano la proteina DnaA solo se è legata all’ATP sotto forma di un complesso DnaA-ATP. Sempre nel replicatore si trovano anche tre ripetizioni ricche di adenine e timine denominate DUE che presentano una determinata sequenza consenso e la presenza di molte adenine e timine che formano solo due legami idrogeno, fa sì che nelle sequenze DUE avvenga l’iniziale apertura della doppia elica. DnaA è una proteina capace di legare l’ATP e idrolizzarlo, il legame con l’ATP causa dei cambiamenti conformazionali nella proteina. Un’unità di DnaA non legata all’ATP è legata a ognuna delle tre DnaA-box ad alta affinità, ma non a quella a bassa affinità. Nel momento in cui si formano complessi DnaA-ATP, questi si legheranno alle due DnaA-box a bassa affinità. Il legame di tutte e cinque le proteine DnaA induce nel DNA un avvolgimento intorno al pentamero di DnaA, generando un superavvolgimento positivo che indurrà un superavvolgimento negativo nella zona delle sequenze DUE e questo porta all’apertura del doppio filamento in corrispondenza delle sequenze DUE. All’origine di replicazione si genera una porzione di DNA a singolo filamento sulla quale si posizionerà il replisoma, permettendo l’avvio della replicazione. L’assemblaggio del replisoma, induce poi l’attività ATPasica di DnaA e nel momento in cui l’ATP viene trasformato in ADP, l’ADP perde l’affinità per DnaA e viene rilasciato. A questo punto le proteine DnaA non sono più legate all’ATP e viene smantellato il complesso sul quale era avvolto il DNA. L’assemblaggio del replisoma in E. Coli Le proteine DnaA interagiscono con due copie dell’esamero DnaB (elicasi), posizionandole una su un singolo filamento di DNA e una sull’altro. Il caricamento di DnaB avviene solo se interviene la proteina DnaC che è il caricatore dell’elicasi. DnaC è formata da 6 monomeri legati a loro volta a sei molecole di ATP, formando un complesso con DnaB. DnaB, DnaC e ATP legati insieme, sono ancora inattivi e incapaci di legarsi al singolo filamento di DNA. Quando poi il complesso interagisce con DnaA vi è il caricamento di DnaB sul DNA, il rilascio di DnaC e l’attivazione dell’elicasi. L’intervento di altri fattori determina l’inizio della replicazione, con la formazione di due forcelle di replicazione sulle quali si assembla un replisoma costituito dall’elicasi, dalla primasi, dalla DNA polimerasi III HL e dalle proteine SSB. Una volta che i due complessi di DnaB si sono posizionati uno su un singolo filamento e uno sull’altro, a ognuno di essi si può legare la DnaG (primasi), che sintetizza il primo innesco di RNA su ognuno dei due filamenti. A questo punto si assembla anche una DNA polimerasi III core che interagisce con la DnaB (elicasi). L’attacco della DNA polimerasi III core è aiutato dalla pinza così che sui due filamenti può iniziare la sintesi dei due filamenti continui. Per quanto riguarda l’altro singolo filamento cioè quello che deve servire da stampo per il filamento ritardato, la primasi fa un primo innesco, così che può intervenire una seconda DNA polimerasi core che si lega ad una pinza scorrevole per procedere alla sintesi del primo frammento di Okazaki. La terza DNA polimerasi core legata all’oloenzima della DNA polimerasi III rimane in attesa, per poi intervenire quando la primasi fa un secondo innesco e avviare la sintesi del secondo frammento di Okazaki. L’inizio della replicazione negli eucarioti Negli eucarioti l’inizio della replicazione è un processo simile a quello dei batteri, in quanto intervengono fattori proteici che si legano a specifiche sequenze di inizio sui cromosomi e la formazione di complessi proteine/DNA porta all’apertura del doppio filamento, al caricamento dell’ elicasi e all’inizio della replicazione. Tra le origini di replicazione eucariotiche, abbiamo quella del lievito che prende il nome di ARS e al suo interno sono presenti vari elementi tra i quali la sequenza ACS una sequenza costituita da adenina e timina, e le sequenze B1, B2 e B3 che mediano l’apertura del DNA e l’inizio della replicazione. Negli eucarioti le potenziali origini di replicazione sono numerosissime ma non sono tutte sempre attive, la replicazione del DNA avviene durante la fase S del ciclo cellulare. Alla fine della fase S, le origini di replicazione sono legate da specifici complessi proteici che prendono il nome di complessi pre-replicativi (preRC). Si lega poi il complesso ORC al quale si unisce la proteina Cdc6 così che ORC può legarsi mediante il fattore Cdt1 al complesso Mcm2-7, costituito da due elicasi legate in conformazione testa-testa. Un’origine di replicazione legata a ORC e alle due elicasi, viene definita autorizzata, cioè capace di iniziare la replicazione in seguito alla sua attivazione che avviene con l’ingresso della cellula in fase S. La terminazione della replicazione in E. Coli La replicazione del DNA procede fino a che la replicazione dell’intero replicone non è conclusa. In E. Coli il replicone corrisponde all’intero cromosoma circolare e le due forcelle di replicazione e i due complessi del replisoma, avanzano in direzioni opposte sulla molecola circolare, fino ad incontrarsi in una zona diametralmente opposta. Questo è regolato da particolari sequenze dette Ter costituite dalla ripetizione di una particolare sequenza di 23 bp, presenti in posizioni diametralmente opposte rispetto a oriC e che hanno la funzione di bloccare l’avanzamento delle due forcelle. Le sequenze Ter sono legate da una proteina chiamata Tus, e il complesso Tus-Ter blocca l’attività elicasica facendo staccare l’elicasi dal DNA. Il replisoma che per primo raggiunge questo complesso si blocca e aspetta che l’altro replisoma che viene dalla parte opposta lo raggiunge, così da completare la replicazione del cromosoma circolare. La DNA polimerasi III core che sintetizza il filamento guida si blocca quando incontra un complesso Tus-Ter mentre l’altra DNA polimerasi III core quella che catalizza la sintesi del filamento ritardato, completa la sintesi del frammento di Okazaki.A questo punto l’intera DNA polimerasi III HL si dissocia lasciando una parte di DNA ancora a singolo filamento rimasta tra l’ultimo innesco e la forcella di replicazione. Questo singolo filamento funge da stampo per la sintesi discontinua e viene subito legato dalle proteine SSB. La sintesi viene completata con l’intervento finale di altre polimerasi,che riempiono il gap e la ligasi che salda i nick. La terminazione della replicazione negli eucarioti Negli eucarioti i cromosomi sono molto più grandi e hanno una struttura lineare e perciò entrambi i filamenti presentano le estremità 5’ fosfato e 3’ OH ibere. Le sequenze terminali di un cromosoma si chiamano telomeri. Il replisoma completa la copiatura del filamento guida senza difficoltà aggiungendo nucleotidi fino all’ultimo monomero presente all’estremità 5’ del filamento stampo e viene quindi generata un’estremità piatta, dove i due terminali 5’ e 3’ hanno la stessa lunghezza. Il problema si pone quando abbiamo il filamento ritardato con la sua sintesi discontinua, e anche se l’innesco di RNA viene posto proprio all’estremità 3’ del filamento stampo dovrà comunque essere eliminato, lasciando l’estremità 5’ neosintetizzata più corta rispetto all’estremità 3’ OH. Nel successivo ciclo replicativo l’estremità 5’ accorciata nel ciclo precedente, genera un primo telomero accorciato e successivamente negli altri cicli, ogni volta che un filamento con il 5’ più corto funge da stampo, verranno formati ulteriori telomeri accorciati. Questo meccanismo porta al fenomeno dell’accorciamento dei telomeri. Le telomerasi Le telomerasi sono la soluzione al problema dell’accorciamento dei telomeri. La funzione è quella di aggiungere all’estremità dei cromosomi, una serie di corte sequenze ripetute che hanno la funzione di essere poi perse per l’inevitabile accorciamento dei cromosomi, proteggendolo dalla perdita delle sequenze più interne. La telomerasi è una DNA polimerasi RNA-dipendente, sostanzialmente una trascrittasi inversa che sintetizza un filamento di DNA usando come stampo un filamento di RNA. E’ chiamata anche TERT e ha bisogno della presenza di un complesso innesco-stampo, infatti questo enzima è associato a una molecola di RNA detta TERC che ha la funzione di stampo. Per quanto riguarda il meccanismo di azione della telomerasi, il terminale 3’ del telomero viene legato dall’RNA TERC creando una giunzione innesco-stampo, utilizzata dalla telomerasi per allungare l’estremità 3’. L’RNA TERC si stabilizza sulla nuova estremità appena formatasi saltando sei nucleotidi verso destra e la telomerasi allunga il terminale 3’, questo processo si ripete più volte. Una volta terminata l’azione della telomerasi, un filamento funge da stampo per la sintesi del secondo filamento con la modalità della sintesi discontinua; quindi viene posto un innesco da parte di una primasi, interviene la DNA polimerasi alpha che sintetizza il secondo filamento. La rimozione dell’innesco poi va a creare un terminale 3’ sporgente rispetto al 5’ e ciò consente la formazione di una struttura chiusa detta T- loop che si forma con l’invasione del filamento con l’estremità 3’ libera nel filamento di polarità opposta. Questo processo è portato avanti da RTEL1 che apre una porzione del doppio filamento con la formazione di un D-loop. Le telomerasi pt.2 Le telomerasi sono funzionanti solo in particolari cellule, infatti la loro attività è ristretta alle cellule della linea germinale e alle cellule staminali. I telomeri si accorciano a ogni divisione cellulare fino ad arrivare a una lunghezza critica che induce la cosiddetta senescenza replicativa, una condizione che impedisce un’ulteriore proliferazione. Questo meccanismo è considerato una sorta di orologio biologico in modo da bloccare la proliferazione e rappresenta un preventivo sistema di oncosoppressione. Nei rari casi di cellule tumorali che non presentano attività telomerasica è stato visto che l’allungamento dei telomeri può avvenire in maniera indipendente dalle telomerasi con un fenomeno denominato ALT. L’esistenza di strategie alternative per l’allungamento dei telomeri si basano su meccanismi di ricombinazione omologa tra un telomero lungo e uno corto appartenenti a cromosomi diversi. Il meccanismo prevede l’invasione da parte del filamento sporgente del telomero corto, nel filamento di opposta polarità di un telomero lungo e la successiva sintesi di DNA. Quindi ritarda l’attivazione. Un altro fattore in grado di determinare il programma replicativo è rappresentato dall’organizzazione subnucleare, mentre alcuni fattori necessari per l’attivazione delle origini di replicazione sono presenti in quantità limitanti e sono Cdc45 e Dbf4, e un iperespressione di questi fattori induce l’attivazione prematura di origini tardive. -Rif1 e il controllo del programma temporale di replicazione Rif1 è un fattore proteico coinvolto nella regolazione della lunghezza dei telomeri, una mutazione con perdita di funzione di Rif1 causa l’attivazione precoce delle origini subtelomeriche e anche di quelle dormienti. La perdita di funzione di Rif1 causa un ritardo nell’attivazione di un gran numero di origini precoci e bisogna dire che Rif1 controlla in maniera negativa le origini tardive e in maniera positiva quelle precoci. Rif1 non altera l’assemblaggio del pre-RC, ma altera il reclutamento di Cdc45 in corrispondenza delle origini, che risulta aumentato in corrispondenza delle origini regolate positivamente e diminuito in quelle regolate negativamente. LA REGOLAZIONE DELL’INIZIO DELLA REPLICAZIONE NEGLI EUCARIOTI MULTICELLULARI Gli eucarioti multicellulari posseggono potenziali origini di replicazione maggiori rispetto alle origini effettivamente utilizzate.. Vari fattori possono contribuire al controllo di queste potenziali origini da attivare, e la selezione può essere ottenuta sia nella fase di assemblaggio del pre-RC sia nella sua fase di attivazione. Uno dei fattori che influenzano la scelta delle origini è la struttura della cromatina, in particolare il suo stato di acetilazione e in particolare, l’istone acetiltransferasi HBO1 è necessario per il caricamento del complesso dell’elicasi MCM2-7. Un altro fattore che è in grado di influenzare la selezione delle origini è la trascrizione. Le origini di replicazione si trovano in corrispondenza di regioni intergeniche e le origini presenti a valle delle unità trascrizionali sono meno attive rispetto a quelle che si trovano a monte e si ritiene che questo possa essere causato dall’interferenza tra il processo di trascrizione con quello di replicazione. ODP è il momento della fase G1 in cui vengono decise in maniera definitiva le origini da attivare. Il macchinario molecolare della replicazione è costituito da tutti i fattori necessari per il funzionamento delle forcelle e si concentra in zone dette officine della replicazione. Il DNA che non viene replicato, viene richiamato all’interno di queste officine per poi uscirne sotto forma di cromatidi replicati. Le origini dormienti sono punti del genoma in corrispondenza dei quali vengono assemblati dei pre-RC che poi non vengono utilizzati. Le origini dormienti servono a rimediare allo stallo delle forcelle di replicazione, facilitando la replicazione di quelle regioni che altrimenti rimarrebbero non replicate. Il controllo dell’inizio della replicazione e i regolatori della fase G1 del ciclo cellulare Nella fase G1 del ciclo cellulare numerosi meccanismi molecolari garantiscono la corretta progressione verso la fase S, questi meccanismi sono costituiti dai complessi formati dalle Cdk e dalle cicline. Le Cdk funzionano come degli interruttori attivando o inattivando attraverso la fosforilazione i diversi macchinari molecolari e vengono a loro volta attivate attraverso l’interazione con le cicline. La parte iniziale della fase G1 è caratterizzata dalla totale assenza di cicline e dalla conseguente inattività delle Cdk, le cicline infatti vengono eliminate mediante ubiquitinazione e degradazione nel proteasoma alla fine della fase M precedente. Il rientro nel ciclo cellulare deve prevedere una nuova sintesi delle cicline e questo processo viene innescato da stimoli esterni. Inoltre le Cdk sono regolate dalle CKI come p21 e p27, che fungono da inibitori dei complessi ciclina-Cdk. I complessi ciclina/Cdk attivati hanno un ruolo fondamentale per il completamento della fase G1, attraverso la fosforilazione di una proteina chiave: la proteina del retinoblastoma (Rb), che agisce da repressore di E2F, un fattore di trascrizione. Quindi Rb si lega ad E2F e lo rende inattivo. La fosforilazione di Rb da parte dei complessi ciclina/Cdk di fase G1 ne provoca la dissociazione da E2F, che è libero di attivare la trascrizione di una serie di geni tra cui le cicline E ed A, che servono per l’entrata in fase S. Questo meccanismo è alla base del punto START il cui superamento corrisponde ad un impegno da parte della cellula a portare a termine un ciclo cellulare. II complesso Rb-E2F, le Cdk4 e Cdk6 e gli inibitori controllano la progressione attraverso la fase G1 del ciclo cellulare. Regolazione della progressione della fase G1 Al completamento della mitosi geminina e Cdc6 sono entrambe degradate dal complesso ubiquitina ligasi APC/C. Cdc6 è protetto dalla degradazione grazie a una fosforilazione della serina 54 da parte del complesso Cdk2-ciclina E, permettendo così l’assemblaggio del pre-RC. L’espressione di Cdt1 e Cdc6, inibita da p16^ Ink4a, e la fosforilazione di Mcm2 mediata da Cdc7 sono entrambe richieste per la formazione del pre-RC. Cdc6 a sua volta regola la trascrizione di p16^Ink4a attraverso un’interazione con il suo promotore. Rb inibisce non solo i regolatori della fase G1 ma anche il macchinario replicativo della fase S. Rb regola negativamente il complesso Cdk2-ciclina A e ciò porta alla dissociazione dal DNA di PCNA. Cdc7 la fosforilazione delle code N-terminali di Mcm. I danni al DNA attivano p53 che a sua volta attraverso l’induzione di p21 blocca il complesso Cdk2-ciclina E. La fosforilazione in Ser54 di Cdc6 si riduce, causando una riduzione dell’inizio della replicazione. In assenza di pre-RC assemblati l’attività delle Cdk è bloccata dalla perdita di fosforilazione di Thr160 e dall’induzione di p21i. Questi eventi definiscono il checkpoint del “licensing”. CAPITOLO 12 La molecola del DNA facilmente subisce modificazioni strutturali causate da molecole reattive, da agenti chimico-fisici ambientali e anche da enzimi nucleari o processi cellulari fondamentali. Tutte queste cause alterano la struttura della doppia elica e possono indurre mutazioni. Vi è una distinzione tra danno e mutazione, il danno al DNA è una modifica strutturale del DNA con alterazioni di legami covalenti, una mutazione è un cambiamento della sequenza delle basi del DNA, senza alterazioni strutturali della doppia elica e non sono riconosciute da enzimi della riparazione. Le mutazioni puntiformi sono suddivise in due categorie: le transizioni, che sono cambiamenti da purina a purina e le transversioni, che sono cambiamenti da purina a pirimidina. Le mutazioni puntiformi sinonime non producono un cambiamento della sequenza amminoacidica della proteina codificata, invece le mutazioni non-sinonime producono dei cambiamenti a livello proteico che possono cambiare un amminoacido (missenso) oppure introdurre un codone di stop (non-senso). Le mutazioni non puntiformi, possono produrre un frameshift. I danni possono essere distinti in due categorie: danni alle basi e danni allo scheletro zucchero-fosfato. Danni alle basi Le basi del DNA possono andare incontro a varie reazioni chimiche, tra cui abbiamo l'idrolisi del legame beta-N-glicosidico, ossidazione, deamminazione, alchilazione e fotoattivazione. Un'ulteriore danno è dovuto a un’incorporazione di un nucleotide sbagliato che porta a uno scorretto appaiamento (mismatch) delle basi. Il danno spontaneo è costituito da perdita di basi e deamminazioni. L’idrolisi delle basi genera siti abasici o apurinici e possono bloccare la forcella di replicazione. La deamminazione può riguardare adenine, guanine e citosine, e le trasforma in basi azotate che non fanno normalmente parte del genoma e quindi vengono facilmente riconosciute dai meccanismi di riparazione. Ad esempio la citosina diventa uracile la 5metilcitosina diventa timina. I radicali dell’ossigeno o piccole molecole ossidanti, come la formaldeide possono dare delle reazioni di ossidazione con tutte le basi. I centri reattivi sono la posizione 8 delle purine e le posizioni 5 e 6 delle pirimidine.La reazione di alchilazione coinvolge centri ricchi di elettroni. Quando un gruppo elettrofilo attacca una base aggiunge al centro ricco di elettroni un gruppo alchilico ( gruppo metile abbiamo la metilazione). Le basi sono danneggiate da composti chimici o agenti fisici, ma anche da enzimi presenti nella cellula. I composti alchilanti sono il MMS e EMS. Il perossido di idrogeno e la formaldeide sono agenti in grado di ossidare le basi del DNA. Agenti fisici come le radiazioni, interagiscono direttamente con le basi del DNA attivando delle reazioni dette fotoattivazione. Le radiazioni ionizzanti possono produrre radicali liberi dell’ossigeno che reagiscono con il DNA danneggiando sia le basi che lo scheletro zucchero-fosfato. Le radiazioni UV interagiscono con il DNA inducendo la formazione di legami crociati tra pirimidine adiacenti, e si formano dimeri di pirimidine che distorcono la struttura del DNA e bloccano trascrizione e replicazione. Vi sono anche degli enzimi che possono danneggiare le basi azotate. Danni allo scheletro zucchero-fosfato L’idrolisi di un legame fosfodiesterico comporta l’interruzione della continuità del filamento di nucleotidi e quindi alla rottura del DNA. Le rotture del DNA possono essere singole, se solo un filamento della doppia elica è interrotto, oppure doppie se entrambi i filamenti sono interrotti. Nel caso di agenti che danneggiano lo scheletro zucchero-fosfato ci sono composti chimici, agenti fisici ed enzimi, i radicali liberi dell’ossigeno provocano rotture del DNA reagendo con il deossiribosio o con il gruppo fosfato. Meccanismi di riparazione diretta Il danno alle basi provocato dalle radiazioni UV può essere riparato dalla luce attraverso una reazione catalizzata dalla DNA fotoliasi. Abbiamo una reazione redox catalizzata dall’enzima in cui il cofattore FAD agisce da donatore di elettroni mentre il dimero di timina agisce da accettore di elettroni. Quindi gli elettroni che arrivano al dimero di timina formano un anione che si stabilizza rompendo il ciclobutano e separando le due pirimidine. Un altro sistema di riparazione diretta è costituito da enzimi capaci di trasferire un gruppo alchilico da una base a una cisteina dell’enzima stesso e un esempio è l’enzima Ada del Escherichia Coli che rimuove gruppi alchilici dall’ossigeno della timina e guanina. Questi enzimi sostanzialmente trasferiscono un gruppo alchilico a una propria cisteina e in questo modo si inattivano (enzima suicida). Nelle cellule di mammifero esiste un enzima la O6-metilguanina DNA transferasi 1 che rimuove specificamente un metile dall’ossigeno in posizione 6 della guanina trasferendolo sul suo residuo di cisteina. AlkBH sono enzimi che catalizzano la reversione di alcune alchilazioni attraverso una reazione che produce formaldeide. I principali meccanismi di riparazione per escissione si dividono in: riparazione per escissione delle basi e riparazione per escissione di nucleotidi. Meccanismi di riparazione per escissione delle basi (BER) Il meccanismo di escissione delle basi (BER) ripara le basi che hanno un danno poco voluminoso tipo un danno spontaneo ossidativo, oppure causato da radiazioni ionizzanti o agenti alchilanti. Il meccanismo si può suddividere in tre fasi: una fase di riconoscimento e rimozione del danno, la fase di estensione del filamento da riparare e la fase di legame del filamento riparato. Il riconoscimento della base danneggiata avviene a opera di una DNA glicosilasi che catalizza l’idrolisi del legame beta- N-glicosidico Questi enzimi possono essere associati con la forcella di replicazione o scorrere lungo la doppia elica per trovare le basi danneggiate e idrolizzano il legame beta-N-glicosidico lasciando un sito abasico lungo il filamento di DNA. Questo sito abasico è riconosciuto da una endonucleasi AP che taglia il legame fosfoesterico al 5 .′ Quindi l’endonucleasi AP ha lasciato un filamento rotto con un terminale 3’OH e questo permette di reclutare una DNA polimerasi per la seconda fase del meccanismo, che si suddivide in due parti, chiamate short patch BER e long patch BER. Nello short patch viene reclutata la DNA polimerasi beta in grado di rimuovere lo zucchero presente al terminale 5’ del filamento danneggiato e aggiungere il nucleotide mancante al filamento. Poi interviene la DNA ligasi lll che risalda il filamento riparato. Nel long patch viene invece reclutata una DNA polimerasi replicativa, insieme a PCNA, che estende il filamento per un tot di nucleotidi e una struttura particolare di una doppia elica con un filamento singolo appeso che viene riconosciuto dalla nucleasi FEN1 e quindi viene rimosso. Alla fine la DNA ligasi I risalda la rottura. Meccanismi di riparazione per escissione di nucleotidi (NER) Il meccanismo per escissione di nucleotidi (NER) ripara i danni più voluminosi come per esempio i dimeri di timina e le alchilazioni da agenti aromatici o alifatici ingombranti. Questo meccanismo può essere suddiviso in tre fasi: la fase di riconoscimento del danno, la fase di incisione e rimozione del filamento danneggiato e la fase di risintesi del filamento danneggiato. Mentre il BER rimuove pochi nucleotidi, il NER rimuove un tratto di diversi nucleotidi. NER batteri Nei batteri il meccansimo è mediato dalle proteine UvrABC. L'RNA polimerasi è bloccata dal danno alle basi questo recluta Mdf che mi induce una traslocazione e rimozione della RNA polimerasi dal DNA mediante idrolisi di ATP. Il complesso UvrAB è reclutato sul danno e vi è la formazione del complesso di pre-incisione UvrB-DNA dopo il rilascio di UvrA. Questo complesso di pre-incisione recluta UvrC che opera una doppia incisione del filamento danneggiato che viene poi rimosso attraverso l'elicasi UvrD e il filamento rotto viene esteso dalla DNA polimerasi l e legato dalla DNA ligasi. riparare le DSB attraverso due meccanismi generali: la ricombinazione omologa e la giunzione non omologa dei terminali NHEJ che è generalmente un evento mutagenico. Il meccanismo NHEJ può essere suddiviso in varie fasi: riconoscimento della rottura doppia del DNA da parte del complesso Ku70/Ku80; reclutamento di DNA-PKcs; avvicinamento delle estremità rotte; reclutamento di fattori di processamento dei terminali; ricucitura dei filamenti interrotti. Nella prima fase, i terminali della DSB legano Ku, che è un dimero costituito da Ku70 e Ku80 questo protegge i terminali dall’azione di nucleasi e innesca il meccanismo di riparazione. Il complesso Ku ha un’attività di regolazione della subunità catalitica della DNA-PK chiamata DNA-PKcs. I dimeri Ku70/Ku80 formano un anello intorno al DNA legato, e quando Ku è legato al DNA recluta la DNA-PKcs che unendosi a Ku forma la DNA-PK completa. I due complessi DNA-proteina, formati da DNA-PK possono indurre l’appaiamento dei filamenti del DNA. Quando le due DNA-PK si uniscono e si fosforilano a vicenda.e la DNA-PKcs fosforilata si stacca dal complesso lasciando libero Ku fosforilato che ha un’attività elicasica che denatura i terminali del DNA . Per completare la riparazione, tratti di filamenti di DNA non appaiati sono rimossi da endonucleasi e i filamenti appaiati sono estesi da DNA polimerasi, la ricucitura è operata dalla DNA ligasi IV. Il meccanismo NHEJ alternativo prevede una perdita di poche basi nel punto di rottura. Questo meccanismo si distingue dal primo poiché la DNA-PK dopo autofosforilazione lega Artemis, un’endonucleasi che una volta reclutata sulla rottura viene fosforilata e attivata da DNA-PK. Artemis rimuove le eventuali piccole code di DNA a singolo filamento, lasciando le estremità che sono legate tra loro dalla DNA ligasi IV. Ricombinazione VDJ In questo processo, uno di ogni tipo di segmento genico variabile, diversificato e di collegamento si riuniscono a formare un’unica sequenza codificante per la regione di legame dell’antigene. L’assemblaggio dei vari segmenti genici avviene attraverso l’azione di proteine RAG1 e RAG2 che tagliano il DNA e il meccanismo NHEJ lega i segmenti genici tagliati. Le proteine RAG legano le sequenze RSS localizzate al termine dei segmenti genici codificanti. Dopo il legame al DNA, RAG1 e RAG2 si associano avvicinando le due sequenze da ricombinare e inducono due rotture doppie del DNA alla fine dei segmenti genici codificanti con la formazione di una forcina. Infatti, al confine tra la sequenza codificante e la sequenza RSS, RAG catalizza l’idrolisi di un legame fosfoesterico liberando un 3’ OH che quindi compie un attacco nucleofilo su un legame fosfoesterico del filamento complementare. I due filamenti appaiati poi sono legati tra loro formando una struttura a forcina.A questo punto, i fattori del meccanismo NHEJ sono reclutati per riparare la rottura. Risposta al danno al DNA Una cellula che è sottoposta all’azione di agenti che danneggiano il DNA si trova sotto un forte stress per cui non può seguire processi fisiologici di replicazione e duplicazione. Per questo le cellule attivano un meccanismo di risposta al danno al DNA (DDR) che ha la funzione di arrestare il ciclo cellulare. Nei batteri La fase iniziale della DDR è il riconoscimento del danno da parte di un fattore sensore. Il segnale nei batteri è la presenza di DNA a singolo filamento, che aumenta in modo anomalo e la risposta al danno al DNA nei batteri è nota come risposta SOS e dipende da due proteine RecA e LexA. RecA si associa al DNA a singolo filamento formando oligomeri con una reazione che può essere suddivisa in due fasi: una prima fase lenta in cui si deve creare un punto di nucleazione formato da alcuni monomeri di RecA associati insieme sul DNA e una seconda fase molto rapida durante la quale altri monomeri vengono associati lungo tutto il filamento di DNA. RecA legata al DNA interagisce con LexA inducendone la degradazione proteolitica. Negli eucarioti La DDR eucariotica consiste generalmente di tre fasi principali: il riconoscimento del danno da parte di sensori che sono proteine che riconoscono strutture del DNA causate dal danno o da stress replicativo; il reclutamento di chinasi che iniziano una cascata di fosforilazioni; l’attivazione tramite fosforilazione di mediatori ed effettori (proteine bersaglio delle chinasi) che iniziano le risposte al danno. -Sensori del danno I segnali di danno al DNA che attivano la DDR negli eucarioti sono di tre tipi: i filamenti singoli di DNA, le rotture singole e doppie del DNA. A questi segnali corrispondono tre sensori principali che sono la proteina RPA, i fattori PARP1/2 e il complesso MRN. La proteina RPA lega i filamenti singoli di DNA alla forcella di replicazione man mano che la doppia elica viene aperta dalle elicasi. Nel caso infatti di arresto delle DNA polimerasi, le elicasi proseguono nella separazione della doppia elica e quindi i filamenti singoli di DNA aumentano in modo anormale e in queste situazioni il complesso RPA-DNA aumenta segnalando la presenza di danno al DNA e arresto della replicazione. Successivamente RPA recluta il complesso ATR-ATRIP e attiva l’attività chinasica di ATR che inizia la cascata di fosforilazioni. Il complesso MRN gestisce le rotture doppie del DNA ed è in grado di legarsi ai terminali di una rottura doppia del DNA. MRN è costituito da tre proteine, Mre11, RAD50 e NBS1. Mre11 è caratterizzata da un dominio con attività fosfoesterasica e un altro con attività di legame al DNA, ha un’attività nucleasica, ma manca di attività esonucleasica 5’ → 3’, inoltre Mre11 lega un monomero di RAD50. Quest’ultimo è costituito da due domini centrali coiled-coil separati da una struttura ad uncino legante lo zinco . Ai due terminali vi sono due regioni proteiche che interagiscono formando il dominio ATPasico. Vi è anche un dominio di interazione con Mre11 presente tra il dominio centrale e il dominio ATPasico. PARP1 è un membro della famiglia di poliADPribosiltransferasi che introducono modificazioni post-traduzionali a varie proteine trasferendo gruppi ADP-ribosio dal NAD+ ad amminoacidi acidi delle proteine bersaglio. PARP1 e PARP2 sono attivati da rotture singole e doppie del DNA . PARP1 è costituita da tre domini di zinco N- terminali, un dominio BRCT centrale , un dominio ricco di triptofano, glicina e arginina e un dominio con l’attività enzimatica nel C-terminale. Il riconoscimento della rottura avviene a opera della porzione N-terminale di PARP1 e i primi due domini di zinco legano il solco maggiore e minore del DNA nel punto in cui è presente l’interruzione. In seguito al riconoscimento del danno, il dominio catalitico di PARP1 si attiva e modifica le proteine bersaglio. -Attivazione della cascata di fosforilazione La cascata di fosforilazione viene iniziata dai sensori che attivano le chinasi principali che sono ATM e ATR/ATRIP. Questi due fattori insieme alla DNA-PK fanno parte della famiglia delle chinasi correlate alla fosfatidilinositolo-3-chinasi e hanno un’organizzazione strutturale con vari domini: il dominio maggiore è costituito da molte ripetizioni del motivo HEAT ad alpha elica, mentre il dominio catalitico è nel terminale carbossilico affiancato dai domini FAT e FATC e l’attivazione di ATM e ATR avviene proprio tramite autofosforilazione del dominio FAT. Per ATM, l’attivazione coinvolge anche l’acetilazione del terminale carbossilico. ATR è regolato anche da un dominio PRD tra il dominio catalitico e FATC. Il dominio delle ripetizioni HEAT di ATR interagisce con ATRIP formando un complesso ATR-ATRIP. ATR-ATRIP è reclutato da RPA alla forcella di replicazione in seguito a stress replicativo e il complesso si lega al DNA interagendo anche con proteine mediatrici quali TopBP1, il complesso 9:1:1 formato da RAD9- Hus1 -RAD1. ATR attivata fosforila e attiva Chk1 e il fattore claspina. Chk1 fosforilata è libera nel nucleoplasma, così lega la proteina 14-3-3, inoltre Chk fosforilata può essere degradata dal proteasoma sia nel nucleo che nel citoplasma dove in parte viene trasportata. In generale quando ATM è inattiva, forma oligomeri che si dissociano in seguito a un danno al DNA inducendo cambiamenti cromatinici. Questo stimola ATM ad autofosforilarsi e ATM fosforilata diventa un monomero e si lega al complesso MRN (sensore) fosforilando NBS1, H2AX, p53 e altre proteine. L’attività di ATM e la fosforilazione di H2AX inducono la formazione di strutture cromatiniche di riparazione del danno chiamati foci nucleari, ossia zona ricche di fattori ed enzimi della riparazione per permettere la riparazione del danno. -Fosforilazione della variante istonica H2AX Per quanto riguarda la fosforilazione della variante istonica H2AX, è un evento che si verifica in presenza di rotture doppie del DNA e induce un rimodellamento della cromatina. H2AX si distingue soprattutto per gli ultimi amminoacidi al C-terminale dove vi è la serina 139 che è il sito di fosforilazione da parte di ATM-ATR. Il meccanismo di fosforilazione dell’istone H2AX avviene da parte di ATM che si lega nel punto di rottura del DNA riconosciuto da MRN e PARP1. L’interazione con MRN attiva ATM che fosforila una serie di bersagli come p53, Chk2 e BRCA1 e fosforila anche un H2AX adiacente. Quest’ultimo recluta MDC1 che recluta un’ulteriore ATM, che a sua volta si attiva e fosforila un altro istone H2AX. Il ciclo si ripete fino a fosforilare numerose molecole di H2AX. La DDR coinvolge il blocco del ciclo cellulare La DDR coinvolge anche il blocco del ciclo cellulare e della sintesi del DNA (DNA damage checkpoint). L’arresto del ciclo cellulare è mediato dalla fosforilazione di Chk2 e Chk1 da parte di ATM e ATR. E’ possibile distinguere tre checkpoint: checkpoint G1, checkpoint intra-S, checkpoint G2. Chk1 è il fattore primario che gioca un ruolo fondamentale nel blocco del ciclo cellulare in presenza di un danno ad eccezione del checkpoint G1 che è controllato da p53. In risposta al danno, Chk1 fosforila e inibisce le funzioni di CDC25A e CDC25C, fosfatasi che attivano l’ingresso in mitosi, inoltre Chk1 fosforila e attiva anche Wee1. L’inibizione di CDC25A comporta anche la riduzione di attività di Cdk2 che sopprime l’inizio della replicazione bloccando l’origine. Cdk1 inattiva invece impedisce la transizione da G2 a M. La DDR attiva l’apoptosi Se il danno è elevato o persiste nella cellula, il ciclo cellulare si blocca e la cellula si avvia verso l’apoptosi. p53 è il controllore dell’integrità del genoma cellulare ed è un fattore di trascrizione che regola diversi geni bersaglio. Questo è costituito da tre domini: un dominio N-terminale di attivazione trascrizionale, un dominio centrale di legame al DNA e un dominio C-terminale di regolazione. ATM, ATR e Chk2 fosforilano serine presenti nel dominio N-terminale, mentre l’acetilazione riguarda le lisine presenti nel dominio C-terminale. A sua volta, la proteina p53 è controllata da due regolatori MDM2 e p300. In assenza di danno, p53 è legata da MDM2 che ne induce l’ubiquitinazione e degradazione da parte del proteasoma. Se p53 aumenta nelle cellule, si lega al promotore di MDM2 aumentandone l’espressione che a sua volta riduce i livelli di p53. Si crea quindi un circuito a feedback negativo che mantiene bassi i livelli di p53 in cellule non danneggiate.Al contrario quando c’è il danno, ATM e Chk2 fosforilano p53 provocandone la dissociazione da MDM2, a sua volta fosforilata da ATM. Questo previene la degradazione proteolitica e aumenta i livelli di p53 che quindi attiva la trascrizione dei geni bersaglio, in particolare attiva la trascrizione dei geni p21 e PUMA e in questo modo induce l’arresto delle cellule in fase G1 e l’apoptosi. RICOMBINAZIONE La ricombinazione del genoma è un processo fisiologico che avviene attraverso molti processi, tra cui la ricombinazione omologa, ossia lo scambio di materiale genetico tra cromosomi omologhi e ciò avviene durante la meiosi , ma si attiva anche in cellule mitotiche in seguito a un danno del DNA. E’ quindi un processo di riparazione di rotture doppie del DNA che sono generate da agenti esterni o interni. La riparazione di una rottura doppia del DNA per ricombinazione omologa richiede la presenza di un doppia elica omologa e intatta. La rottura doppia del DNA si genera come detto durante la meiosi in modo programmato oppure si può generare per azione di agenti chimici o fisici. Il meccanismo può essere suddiviso in quattro passaggi principali: la fase di processamento dei terminali, l’invasione del cromosoma omologo, la sintesi di nuovo DNA e formazione degli intermedi di Holliday, infine la risoluzione degli intermedi di Holliday. Nella fase iniziale detta di maturazione, i due terminali della rottura doppia del DNA sono processati e il filamento con il terminale 5’ è digerito in modo tale da lasciare il terminale con il filamento 3’ sporgente. Nella seconda fase, le estensioni del filamento 3’ invadono la doppia elica intatta del cromosoma omologo con un processo catalizzato da ricombinasi e l’invasione induce la separazione dei filamenti della doppia elica invasa. Nella fase tre i terminali 3 sono estesi da una DNA polimerasi, ripristinando′ l’informazione genetica danneggiata e l’estensione dei terminali 3 porta alla formazione di un′ doppio intermedio di Holliday. La struttura del doppio intermedio di Holliday può essere risolta producendo due risultati: se il taglio dei filamenti è simmetrico e avviene su entrambe le giunzioni i prodotti sono senza crossing over, se al contrario il taglio dei filamenti non è simmetrico e avviene in una giunzione i prodotti sono con crossing over. La risoluzione è operata dalle endonucleasi resolvasi, enzimi che tagliano i filamenti di DNA nel punto di ramificazione. -Meccanismo SDSA Tead4 presente nel nucleo di tutte le cellule, che è il responsabile principale dell’attivazione della trascrizione del gene Cdx2 e di altri geni specifici del TE ad opera del cofattore Yap, e dove Yap è nel nucleo il gene Cdx2 è trascritto, mentre dove Yap è sequestrato nel citoplasma il gene Cdx2 non è trascritto. Il secondo evento differenziativo: endoderma primitivo o epiblasto Appena formata la blastocisti, la ICM è costituita da una popolazione eterogenea di cellule. I movimenti di queste cellule portano alla segregazione di due distinti tipi cellulari: le cellule dell’epiblasto e le cellule dell’endoderma primitivo. L’endoderma primitivo esprime alcuni fattori di trascrizione, come GATA6 e GATA4, che hanno un ruolo importante nel dirigere il programma di espressione genica specifico di queste cellule. In primo luogo le cellule GATA6 positive si muovono all’interno della ICM in maniera casuale e si fermano solo quando vengono a trovarsi sulla sua superficie nel punto dove si stabilirà l’endoderma primitivo. Le cellule GATA6 positive che non riescono a raggiungere la loro destinazione definitiva, possono cambiare il loro destino differenziativo o essere eliminate per apoptosi. Il problema della definizione degli assi nell’embrione di topo Un momento cruciale durante le prime fasi dello sviluppo embrionale è quello della definizione degli assi dorso-ventrale ed antero-posteriore che dettano le prime basi per lo sviluppo successivo dei foglietti embrionali. Nelle 24 ore successive alla formazione della blastocisti ed alla contemporanea segregazione di epiblasto da endoderma primitivo, l’embrione ha chiaramente due poli opposti, quello embrionale e quello abembrionale. Questi due poli stabiliscono gli estremi di un asse, che si definisce meglio nella fase post-impianto. In quest’ultima alcune cellule provenienti dall’epiblasto raggiungono lo strato dell’endoderma viscerale e cominciano a migrare verso un’estremità spostando progressivamente le cellule dell’endoderma viscerale distale (DVE). Le cellule si accumuleranno da un lato dell’embrione andando così a costituire l’endoderma viscerale anteriore (AVE). Questo gruppo di cellule identifica il polo anteriore e di conseguenza, l’asse antero-posteriore dell’embrione. MODIFICAZIONI ISTONICHE H3K4me3: presente sui promotori attivi. H3K9me3: determina un gene costitutivamente represso (in maniera definitiva). In un’altra cellula potremmo trovare lo stesso gene con lisina non trimetilata e quindi non represso. H3K27me3: segnala la presenza di un gene facoltativamente spento, quindi in conseguenza di ulteriori segnali può essere riattivato. H3K36me3: lo troviamo nel corpo del gene, invece che sul promotore; con questa modificazione i geni sono attivamente trascritti. H3K9ac: è presente in promotori di geni attivamente trascritti. Se la lisina è acetilata non può essere metilata, dunque queste modificazioni sono esclusive. H3K4me1: modificazione che si trova in tutti gli enhancer, ma non determina la sua funzionalità; se è presente anche H3K27ac, non solo quel sito sarà un enhancer, ma sarà anche funzionale. Per individuarli usiamo anticorpi prodotti industrialmente che permettono di fare saggi di immuno- precipitazione della cromatina e in sole poche ore possiamo ricavare informazioni riguardo le suddette modificazioni. La comprensione è fondamentale dal punto di vista clinico: i cortisonici, ad esempio, regolano la trascrizione di molti geni. Dunque, conoscendo bene la regolazione trascrizionale si possono generare farmaci che interferiscono con meccanismi di regolazione in maniera precisa, con il minor numero di effetti collaterali possibili. REGOLAZIONE MEDIATA DAL LEGAME RECETTORE-LIGANDO. Il secondo tipo di regolazione trascrizionale riguarda il recettore e il suo ligando. L’interazione tra un ligando e un recettore induce un cambio conformazionale di quest’ultimo in modo da renderlo un fattore trascrizionale capace di svolgere la sua funzione. Un esempio di recettori che subiscono un cambio conformazionale indotto dal ligando è quello dei recettori nucleari. I recettori nucleari riconoscono alcuni ormoni o vitamine che regolano la trascrizione di un determinato set di geni. Tra i recettori nucleari ricordiamo il recettore tiroideo, il recettore per gli estrogeni e il recettore per i glucocorticoidi. STRUTTURA GENERALE DEI RECETTORI NUCLEARI Tutti i recettori nucleari sono costituiti da un dominio N-terminaIe e un dominio C-terminale, tra i quali ritroviamo sia il DBD che il LDB. Il dominio di legame DBD è formato da un’alfa elica e un piccolo foglietto beta dove è presente il cosiddetto motivo a dito di zinco, dove lo zinco invece di legarsi con 2 cisteine e 2 istidine, stabilisce i 4 legami di coordinazione con 4 cisteine. Il dominio LBD di legame con il ligando presenta una struttura altamente conservata nei vari recettori nucleari ma al contempo ne definisce la specificità. LBD infatti è conservata tra i vari recettori nucleari ma conferisce un’elevata specificità di interazione con il ligando in quanto nella regione di interazione del ligando, sono presenti degli amminoacidi distribuiti in modo tale che l’affinità per il ligando, sia maggiore rispetto agli altri ligandi che rappresentano gli antagonisti. A questa specificità di interazione tra LBD e ligando si stabilisce un’altra specificità: quella tra LBD e DBD stessi. Tra i due domini c’è corrispondenza, in quanto se LBD ha un dominio specifico per il ligando (ad esempio l'estrogeno), la DBD ha un dominio specifico per l’interazione con i geni che sono regolati dall’estrogeno. RECETTORE DEI GLUCOCORTICOIDI. Il recettore per i glucocorticoidi è presente nel citoplasma dove lega alcune proteine in modo da non poter traslocare nel nucleo, tra cui anche le heat shock proteins che mantengono il recettore in una certa conformazione ma anche sistemi redox che mantengono le 4 cisteina nella forma ridotta in modo da formare il motivo a dito di zinco. Quando il recettore lega il cortisolo, un ormone liposolubile e in quanto tale capace di oltrepassare la membrana plasmatica, attraverso il dominio LBD si verifica un cambio conformazionale che permette al recettore di liberarsi dalle heat shock proteins e di traslocare nel nucleo dove va ad attivare l’espressione di specifici geni. Il cortisolo entra nella cellula, si lega al recettore nucleare dei glucocorticoidi e induce la traslocazione nucleare del recettore. IL RECETTORE DEGLI ORMONI TIROIDEI IL recettore degli ormoni tiroidei non funziona come omodimero ma come eterodimero, in particolare costituito da TR e RXR. RXR è un recettore che assomiglia ai recettori per l’acido retinoico che fa parte della famiglia dei retinoli, derivati della vitamina A. Questo eterodimero ha DBD ed è legato al DNA interagendo con l’enhancer. Questo recettore è legato anche al TRE, cioè elemento responsivo all’ormone tiroideo. Possiamo pensare che TRE sia un enhancer o un silencer ma in realtà è un elemento in cis che può comportarsi sia come enhancer che come silencer. Questo recettore si lega al dna in due modi diversi a seconda della presenza dell’ormone: silencer, se l’ormone tiroideo è assente, il fattore trascrizionale lega il dna in maniera sequenza specifica e interagisce con dei co repressori (NCoR, Sin3, HDAC). HDAC è un co repressore perché è un istone deacetilasi. Se sul dna ci sono delle lisine acetilate, l’enzima HDAC li deacetila. Questa deacetilazione si associa con la repressione della trascrizione ; enhancer, se è presente l’ormone tiroideo, la conformazione dei fattore trascrizionale cambia e lega dei co attivatori (p300, TAF1,P/CAF,CBP), delle acetilasi che acetileranno gli istoni in varie posizioni come K9 di H3, generando sul DNA un codice istonico che significa cromatina attiva, reclutando proteine che favoriscono l’inizio della trascrizione. RECETTORI DEGLI ESTROGENI. Il recettore degli estrogeni lega normalmente un estrogeno, definito agonista. Questo legame induce un legame mediante il dominio di legame DBD del recettore con la molecola di DNA (H12) e il coattivatore che può essere ad esempio un’istone acetilasi. L’espressione genica è accesa. Se il recettore nel dominio LBD non lega l’estrogeno ma un’altra molecola molto simile ad esso, definito antagonista, l’interazione con il DNA e con il coattivatore viene inibita in quanto l’antagonista genera un ingombro sterico che ostacola l’interazione tra il recettore e il DNA in corrispondenza dell’istone H12, e ostacola anche il legame con il coattivatore. L’interazione con l’antagonista dunque induce un cambio di forma del recettore impedendogli di interagire con il coattivatore. La trascrizione è spenta. REGOLAZIONE FOSFORILAZIONE DELLA PROTEINA. La proteina si trova in una conformazione inattiva, essa viene attivata mediante una fosforilazione, una modificazione post traduzionale. Quest’attivazione comporta un cambiamento conformazionale della proteina che diventa un fattore di trascrizione. Un esempio è dato dalla PKA che, dopo essere stata attivata cAMP, migra nel nucleo e fosforila il fattore trascrizionale CREB. REGOLAZIONE SMASCHERAMENTO. Il fattore trascrizionale è inattivo a causa del legame con una proteina inibitrice. Molto spesso l’inibitore maschera alcuni domini del fattore trascrizionale, come il dominio di interazione con il DNA, oppure il segnale di localizzazione nucleare confinando la proteina fattore trascrizionale nel citoplasma e impendendole di migrare nel nucleo. Quando l’inibitore viene rimosso, il fattore si attiva e va ad attivare l’espressione genica nel nucleo. Un esempio di questo tipo di regolazione è dato da NFKB, un fattore trascrizionale che si presenta come un dimero: p50 e p65. Il fattore trascrizionale NFKB in condizioni di riposo è presente nel citoplasma legato alla proteina ikb (inibitore di NFKB) che maschera il segnale di localizzazione nucleare di NFKB. Se alla cellula arriva un segnale, rappresentato ad esempio da LPS, o dalla citochina interlochina 1 (IL-1β), si attiva una chinasi IKK che induce fosforilazione di ikb la quale crea un sito di aggancio per l’ubiquitina ligasi che poliubiquitina ikb. In seguito alla degradazione proteolitica di ikb, NFKb è attiva e libera di migrare nel nucleo dove attiva i geni. REGOLAZIONE RILASCIO DALLA MEMBRANA. Il fattore trascrizionale è una proteina di membrana e in quanto proteina integrale, non solubile, non può fungere da fattore trascrizionale e dunque migrare nel nucleo. Il meccanismo di regolazione di questa proteina è basato su un taglio proteolitico che la taglia in modo da rilasciare il dominio citosolico in grado di migrare nel nucleo e regolare la trascrizione dei geni. Un esempio di questo tipo di regolazione è dato dal metabolismo del colesterolo e degli acidi grassi dove gli enzimi che operano in queste vie metaboliche, vengono sintetizzati in seguito all’attivazione della loro espressione genica. Gli enzimi cruciali delle due vie metaboliche sono acidi grassi sintetasi e HMG- CoA reduttasi. I geni che codificano per questi due enzimi sono regolati in maniera coordinata da 3 fattori trascrizionali che codificano per le proteine SREBP. Il fattore trascrizionale SREBP, la proteina che lega SRE che lega l’elemento in cis, in realtà è una proteina transmembrana del reticolo endoplasmatico. In seguito al segnale di basso livello di colesterolo o un segnale rappresentato dall’insulina, la proteina SREBP precursore viene tagliata e diventa una proteina solubile capace di traslocare nel nucleo dove si lega ad SRE e regola la trascrizione dei geni bersaglio tra cui la riduttasi e la sintetasi degli acidi grassi. Distinguiamo 3 tipi di SREBP: SREBP-1a, SREBP-1c, SREBP-2. Di norma SREBP-2 si occupa della biosintesi del colesterolo mentre SREBP-1c si occupa della biosintesi degli acidi grassi. Poiché questi fattori si assomigliano essi sono capaci di sostituirsi l’uno con l’altro. La regolazione della trascrizione può essere determinata anche tramite dei meccanismi moderni che si basano sulla manipolazione genetica dell’animale, cioè sulla generazione dell’animale (topo) geneticamente modificato in cui mancano dei geni o sono presenti copie in più di un singolo gene. Lo studio del fenotipo molecolare del topo modificato geneticamente è stato molto utile per capire le funzioni di alcune proteine e di comprendere molto della regolazione da parte dei fattori trascrizionali. Ad esempio il topo che non possiede SREBP-2 non nasce perché è un gene di cui l’organismo non può fare a meno. Invece i topi che non hanno i geni SREBP-1 a e SREBP-1C nascono poiché è presente SREBP-2 che va a sostituirli. EMSA (ELECTROPHORETIC MOBILITY SHIFT ASSAY) L'EMSA o più comunemente band shift è una tecnica di elettroforesi che consente di verificare l'interazione tra una proteina e un oligonucleotide. E'una tecnica rapida, semplice e con un potere di risoluzione modesto. È saggio in vitro, in cui un oligonucleotide contenente la putativa regione di legame è marcato ed utilizzato come sonda. Se una proteina si lega al frammento di DNA marcato, la sua mobilità elettroforetica in un gel che finge da matrice diminuirà. Il ritardo elettroforetico viene