Scarica Riassunto COMPLETO del manuale Profilo Storico della Letteratura Latina Gian Biagio Conte e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! Gian Biagio Conte “Profilo Storico della Letteratura Latina”, dalle origini alla tarda età imperiale PARTE PRIMA: ALTA E MEDIA REPUBBLICA Il contesto: dalla fondazione alla conquista del Mediterraneo Varrone fissa la fondazione di Roma il 21 Aprile del 753 a.C. Gli studiosi collocano i primi insediamenti sul Palatino nel VIII sec; i primi secoli di vita della città sono caratterizzati dalla dominazione etrusca e da un regime monarchico che dura fino alla fine del VI sec, quando viene istituita la repubblica. Comincia per Roma una fase militare che la vede vincitrice sulle popolazioni italiche e su Cartagine. Il successo nelle tre guerre puniche (264-146 a.C.) ha un caro prezzo e assieme a quelli conseguiti in Oriente vs Macedonia, Siria, Pergamo segnano l’egemonia di Roma nel Mediterraneo. Durate questo periodo la società romana subisce profonde trasformazioni (guerre tra patrizi e plebei, colpi di stato etc); i contatti sempre più fitti con l’Oriente permettono un’apertura alla cultura greca che costituisce l’archetipo più importante della letteratura latina → i secoli tra monarchia e repubblica sono travagliati e pieni di fermenti. CAPITOLO 1: NASCITA E PRIMI SVILUPPI DELLA LETTERATURA LATINA - La nascita della letteratura latina I romani collocano l’inizio della loro letteratura nel 240 a.C., quando il liberto Livio Andronico rappresenta per la prima volta un testo scenico in lingua latina, probabilmente una tragedia. Non abbiamo traccia della produzione letteraria precedente. I romani si pongono subito in una prospettiva di concorrenza rispetto alla gloriosa tradizione greca: individuano in Ennio il sommo progenitore della poesia patria, destinato a oscurare gli imperfetti tentativi precedenti. Il confronto con i modelli greci prevede un’opera di traduzione e riadattamento, una precoce maturazione per cui possiamo dire che la letteratura latina nasce già “adulta”. Forme comunicative che costituiscono i presupposti essenziale per la nascita della letteratura latina: Iscrizioni su pietra o bronzo usate per la vita quotidiana / come documenti o leggi Fasti: calendario ufficiale romano redatto ogni anno dalle massime autorità religiose Tabula Dealbata, poi nominata Annales Pontificium: tavola esposta dal pontefice per dichiarare i nomi dei magistrati e i principali avvenimenti che erano accaduti anno per anno; diventano un modello storiografo originale indipendente dagli influssi greci - I Carmina Formule misteriose, coniate in una lingua arcaica, spesso ritmati, ricchi di assonanze, allitterazioni e corrispondenze tra i cola della frase. Il termine deriva da “cano”, canto, e sono per lo più frammenti sacrali o di leggi antiche (il termine riguarda la forma del testo più che i suoi contenuti). La loro finalità è pragmatica, sono testi solenni che impongono un comportamento. La tradizione dei carmina costituisce nei secoli il tratto di continuità più autentico di un atteggiamento stilistico ed espressivo propriamente romano, sconosciuto alla grecità letteraria. Le più antiche forme di carmina pervenuteci sono di carattere religioso e rituale (ex. carmen saliare, carmen arvale). I filoni comici della letteratura latina sono influenzati da forme preletterarie orali di livello popolare antichissime, come proverbi, canti, maledizioni e scongiuri in gran parte perduti. Le testimonianze più consistenti riguardano una produzione improvvisata e comica denominata Fescennini Versus, da Fescennia, città etrusca, o da fascinum, malocchio, con funzione apotropaica. Essi avevano sede nelle feste rurali in cui vi erano delle pubbliche denigrazioni (corrispettivo = carmina triumphalia). - La questione del saturnio Le più antiche testimonianze poetiche romane utilizzano un verso chiamato saturnio la cui etimologia era legata al nome del dio Saturno; esso è l’unico contributo originale dato dai romani nel campo delle forme metriche anche se pieno di irregolarità rispetto alle forme greche. Fu proprio quest’ultima che determinò la scomparsa di questo verso che nell’ambito dell’epica venne soppiantato dall’esametro. - Il teatro romano arcaico: forme e contesti Tra il 240 a.C. e l’età dei Gracchi la cultura romana conosce una straordinaria fioritura di opere sceniche: tragedie, commedie e altri generi minori. Le rappresentazioni impegnano l’intera collettività, sono sovraintese dagli edili e rappresentate nei ludi. I caratteri e i generi di questo teatro sono influenzati dalla cultura greca. Distinguiamo due tipi: Palliata = carattere comico, deriva da pallio, veste tipicamente greca Cothurnata = carattere tragico, da cuturni, alti calzari greci Palliate (+ conosciute) e Cothurnate (- conosciute) romane hanno ambientazione e modelli greci. Presto si sviluppano una tragedia e una commedia di ambientazione romana: Togata, dalla toga, veste quotidiana romana Praetexta, veste bordata di porpora del magistrato romano I termini tecnici della drammaturgia, in parte di origine greca, presentano talvolta una derivazione etrusca, infatti vi è una mediazione di questa cultura nella diffusione a Roma di spettacoli di musica e danza. Ex. il termine Histrio, attore, è etrusco. Le feste, i ludi, sono le occasioni in cui vengono inscenati gli spettacoli che non necessariamente trattano tematiche religiose, mentre in Grecia vi è una sacralità più forte. La più antica ricorrenza teatrale è legata ai ludi Romani per Giove: Livio Andronico inscena nel 240 a.C. il primo testo drammatico ispirato a un modello greco. Inizia la letteratura latina. Durante l’età di Plauto e Terenzio vi sono quattro ricorrenze annuali: ludi Romani, ludi Megalenses per la Magna Mater, ludi Apollinares, ludi plebeii. Essi erano organizzati dagli edili: questi magistrati trattavano con gli autori e il capocomico. Vi è un forte carattere statale nella organizzazione e rappresentazione dei ludi (li finanzia) che comporta: Lo stile è originale, mentre scene e intrecci (prevedibili, la sorpresa non conta) sono molto simili ai modelli greci. Vi sono personaggi e schemi fissi: è narrato un amore proibito tra due giovani a causa di parenti o altro. Giovane buono e impulsivo, vecchio ricco e poco astuto, lenone immorale e cinico, soldato vanaglorioso, parassita avido, servo astuto: i personaggi sono tipi, maschere che agiscono secondo il ruolo → Menandro invece tenta di approfondire l’autenticità e il carattere dei suoi personaggi, la dimensione introspettiva. Plauto si interessa a situazioni socio-antropologiche elementari: vuole rappresentare i bisogni primari. Ciò che viene inscenato è volutamente distante dalla realtà degli spettatori: l’ambientazione è greca e lo spazio della commedia è un’astrazione fantastica in cui possono avvenire cose che Roma non permetterebbe. Il ruolo del servo è fondamentale: egli, assieme alla Fortuna, collabora allo scioglimento positivo della situazione, nel complesso accettabile, tutto è riportato all’ordine, non vi è nulla di rivoluzionario. Spesso è caratterizzato dalla furbizia, regge le fila dell’intreccio svolgendo quasi un ruolo meta-teatrale. Egli gioca con le parole: è la controfigura dell’autore e della sua originale creatività verbale. - La fortuna del teatro plautino Il corpus di 21 commedie identificato da Varrone continua ad essere copiato, ma la lettura diretta di Plauto rimase un fatto eccezionale. A partire dalla generazione di Petrarca le prime otto commedie di Plauto tornano a circolare tra gli umanisti italiani e dal 1429 comincia un lavoro filologico su Plauto: si vuole risalire al testo più attendibile e corretto. La commedia umanistica vive di adattamenti ai modelli plautini: tra 500 (Ariosto) e 700 (Goldoni) la fortuna di Plauto si intreccia allo sviluppo del teatro comico europeo. Il suo apprezzamento è sempre in crescita, egli è ancora oggi il più rappresentato di tutti i poeti scenici latini. In ambito scolastico Plauto è largamente inferiore a Terenzio a causa delle sue anomalie linguistiche. Il contesto: l’età delle conquiste La battaglia culturale di Catone: dopo le guerre puniche vi è una fase di ellenizzazione romana a cui Catone il Censore si oppose; egli difende il mos maiorum da tutti quei valori greci che non compatibili con esso. Egli concepisce la res publica come corpo collettivo e addita il pericolo dell’individualismo introdotta dalla grecizzazione. Il suo atteggiamento reazionario è troppo intransigente e lontano dalla mentalità delle classi colte. Il circolo degli Scipioni: la perfetta incarnazione dell’ideale di uomo politico e di cultura a cui Catone si oppone è Scipione l’Emiliano, figlio di Lucio Emilio Paolo, vincitore del re di Macedonia Perseo nella batt. di Pidna (168 a.C.). Attorno a lui si raccolgono gli intellettuali più aperti ai temi della cultura greca, una élite culturale che si riconosce in una precisa linea politica. CAPITOLO 4: ENNIO E L’EPICA FINO A CESARE - La vita e le opere minori di Ennio Ennio vive tra III e II sec. Nasce in una città dell’odierna Puglia. Non era latino, ma proviene da un’area di cultura italica fortemente grecizzata. Si forma a Taranto e giunge a Roma in età matura. Qui è insegnante, tragediografo, e entrerà nel circolo degli Scipioni. Scrive opere celebrative: poema Scipio per elogiare Scipione l’Africano e tragedia praetexta Ambracia per celebrare il suo protettore. Nell’ultima fase della sua vita scrive gli Annales, poema epico che gli conferisce la fama e sarà modello per molti autori successivi. Egli fu l’iniziatore della satira. Infine scrive opere minori di cui abbiamo pochissimo, per esempio “Hedyphagetica” il mangiar bene, e il “de re coquinaria”, opere sulla gastronomia. - Gli Annales: struttura e composizione Poema epico in esametri che narra la storia di Roma fino al tempo del poeta in 18 libri (noi abbiamo frammenti). L’argomento è storico e il contenuto è celebrativo. Il suo precedente più vicino è il Bellum Poenicum di Nevio rispetto al quale conduce una narrazione senza stacchi e in ordine cronologico, dividendo l’opera in libri, sulla scorta di quello che avevano fatto i dotti alessandrini per Omero. Il titolo vuole richiamarsi agli Annales Maximi, le registrazioni di eventi annuali fatti dai pontefici massimi. Egli registra i fatti in ordine cronologico, “dalle origini ai giorni nostri”, prediligendo gli eventi bellici (dove si mostra la virtù romana) e occupandosi pochissimo della politica interna. - Ennio e le muse: la poetica Nella sua opera Ennio prende la parola in due grandi proemi (libro I e libro VII) e ci rivela le ragioni del suo fare poesia. Il primo proemio è aperto dalla tradizionale invocazione alle Muse; con un’invenzione audace, Ennio racconta di un sogno in cui Omero gli rivelava di essersi incarnato in lui: l’autore si presenta come il nuovo Omero. Nel secondo proemio egli dà spazio alle Muse, sottolineando che sono quelle della tradizione greca e non le Camene di Andronico. Egli polemizza vs Nevio che aveva poetato in saturni. Ennio è il primo poeta “filologo”, cultore della parola, che poteva stare al pari dei poeti greci alessandrini, suoi contemporanei. Egli afferma la sua superiorità tra i romani: è il primo ad adottare l’esametro. Deduciamo lo stile di Ennio dai grammatici e filologi tardo-antichi che lo citano: esso è sperimentale, ardito, innovatore, solenne, arcaico, ricco di figure di suono. Il suo esametro risulta duro rispetto a quello di Ovidio e Virgilio. - La poesia epica come celebrazione della virtus aristocratica: da Ennio a Virgilio Ennio interpreta il discorso epico in chiave celebrativa; gli Annales influenzano tutta la produzione successiva. È Virgilio che, recuperando Omero, dà al genere un’impronta diversa: alla celebrazione aggiunge la riflessione. Ennio è cantore della virtus individuale, di un singolo eroe. La poesia epica rimane generalmente legata al potere fino a tutta l’età imperiale. - La poesia drammatica Della produzione tragica di Ennio ci rimangono 400 versi e una ventina di titoli di tragedie coturnate. I temi di queste tragedie sono quelli del ciclo troiano (Alexander, Hecuba, Iphigenia etc.) e i modelli sono i tragici ateniesi del V sec: Eschilo, Sofocle, Euripide. I toni sono altamente patetici. La sua produzione comica è considerata inferiore. CAPITOLO 5: LA TRAGEDIA ARCAICA: PACUVIO E ACCIO - Popolarità e diffusione della tragedia arcaica romana La tragedia, in età repubblicana, fu un genere letterario di grandissima popolarità: non possiamo fare un confronto con la tragedia arcaica di cui possediamo solo frammenti e citazioni. I modelli sono i grandi classici greci (Eschilo, Sofocle, Euripide) mentre il gusto del patetico risale al teatro ellenistico del IV-III sec a.C. > le tragedie attiche sono ripresentate con rifacimenti patetici, spettacolari e romanzeschi: il genere diviene popolare. Gli argomenti di questo teatro sono spesso politici (ex. tema del tiranno). Gli scrittori di queste opere, per ex. Accio e Pacuvio, assumono un grande prestigio, il tragediografo non è più considerato un mestiere inferiore. La tragedia inizia ad allontanarsi dalla scena e ad entrare nei circoli dei declamatori. - Pacuvio e Accio Pacuvio è un tragediografo, figlio della sorella di Ennio. Vive a Roma nel II sec ed è molto stimato. Fu anche un pittore. Il suo stile venne molto criticato, in particolare dal poeta satirico Lucillio, poiché contorto, ampolloso e spericolato. Accio è un poeta del II sec che si cimenta in più generi letterari. Dal 120 è l’uomo più importante del collegium poetarum, nella cui sede vi era una sua enorme statua. Anch’egli fu criticato da Lucillio. Scrisse coturnate e preteste e fu molto sensibile alla tematica tragica del potere assoluto (Atreus, Brutus, etc.). Il suo stile è virtuoso e pieno di giochi fonici. Si occupò inoltre di studi eruditi e di questioni critico-letterarie. CAPITOLO 6: CATONE E GLI INIZI DELLA STORIOGRAFIA A ROMA La prima storiografia romana viene definita annalistica in quanto fortemente influenzata dagli Annales Pontificum; questi ultimi avevano uno stile solenne e impersonale ma non erano del tutto neutri: i pontefici erano aristocratici e quindi optavano per una versione filo nobiliare della storia romana. Essi erano scritti in lingua greca per venire incontro alle esigenze propagandistiche di Roma vs Cartagine. La prima vera opera storica romana si ha con Catone il Censore, che adotta polemicamente l’uso del latino. - Catone, la vita e le opere Nasce nel 234 a.C. a Tusculum (Frascati) in una fam. benestante. Percorre tutto il cursus honorum fino ad essere eletto console per l’anno 195. Censore nel 184, si oppone alla degenerazione individualista del pensiero greco. Accusa in processi politici la fazione aristocratica ellenizzante, ovvero il partito degli Scipioni, durante i quali pronuncia molte orazioni (intransigenza morale). Quando nel 155 Atene invia a Roma un’ambasceria di filosofi, Catone ne ottiene l’espulsione. Nell’ultimo periodo della sua vita si batte per chiudere i conti con Cartagine di cui non vede la distruzione (146) poiché muore nel 149. In vecchiaia scrive le Origines, la prima opera storica in latino nata nel disprezzo verso l’annalistica romana in lingua greca. Essa ha una forte impronta politica: primato dello Stato vs l’individualità (ex: non riporta mai i nomi dei protagonisti, la virtù è collettiva). Vi sono anche notevoli aperture: Catone mostra come le popolazioni italiche abbiano contribuito alla grandezza di Roma e si interessa ai popoli stranieri e alle loro usanze. - Tra Plauto e Terenzio: Cecilio Stazio Viene trattato come minore per dati accidentali, legati alla perdita dei suoi testi. Egli fu un autore di primo rango. Egli era un libero di origine straniera, portato a Roma dopo la batt. di Clastidium del 222. Veniva da Milano, era un gallo insubre. Nacque tra il 230 e il 220 e morì nel 168. Fu amico di Ennio. Di lui abbiamo una quarantina di titoli, tutti di commedie palliate, e frammenti di quasi 300 versi. Egli si colloca in una posizione intermedia tra Plauto e Terenzio: la ricchezza di metri e la fantasia comica lo avvicinano al primo, la fedeltà ai modelli e l’amore per Menandro al secondo. CAPITOLO 8: LUCILIO E LA SATIRA - La vita e le opere Nacque 20 anni prima del 148 a.C., da una città campana. È il primo letterato di alto ceto sociale a condurre una vita da scrittore. Muore nel 102 a.C. Scrive 30 libri di satire di cui ci restano frammenti. Predilige l’esametro. Verrà ripreso da Orazio. - Lucilio e la satira Come Terenzio, anche Lucilio si radica nell’ambiente culturale degli Scipioni; a differenza sua però, essendo uomo d’alto rango e colto, può permettersi scelte più ardite perché non ha pura di inimicarsi i potenti. Le origini del genere che i Romani chiamano satura sono incerte e misteriose. La connessione col termine greco satyros è falsa anche se antica: il termine deriva da satura lanx, il piatto misto di primizie che veniva offerto agli dei nella antica Roma; qui ha un valore di mescolanza, varietà. Quintiliano afferma “satura tota nostra est”: la satira è un genere integralmente romano. Questo genere risponde all’esigenza di esprimere la voce personale del poeta: è uno spazio di espressione diretta in cui l’autore parla di se stesso e della sua realtà contemporanea. Lucilio può permetterselo grazie alla sua posizione. Varietà, espressione personale del poeta, realismo sono caratteristiche che ritroviamo anche i Ennio, mentre troviamo in Nevio accenni satirici. Lucilio si concentra esclusivamente sul genere satirico, e lo sviluppo di questo genere comporta anche allo sviluppo di un nuovo pubblico. Lucilio affronta un ampio spettro di argomenti: dei, viaggio, cibo, donna amata, problemi letterari. In lui vi è un forte spirito moralistico e una critica ai costumi contemporanei. Il suo linguaggio e tutt’altro che monotono: rifiuta un unico livello di stile e elabora una amalgama composta da linguaggio epico, parodico, specialistico > realismo Lucilio resta un modello per tutti i satirici successivi, anche se in età imperiale la satira dovrà cercare altri bersagli (la satira di Lucilio era legata a precise condizioni sociali e istituzionali) > per questo aspetto Orazio sente Lucilio lontano da sé. CAPITOLO 9: POLITICA E CULTURA FRA I GRACCHI E SILLA - Oratoria e politica Gli anni dal 133 al 79 a.C., quando Silla rinuncia al potere, sono carichi di violenze e tensioni: movimento dei Gracchi, guerra civile tra Mario e Silla etc. La repubblica entra in un fase di crisi che dura fino all’ascesa di Augusto e del principato. In questi anni di dibattito politico l’oratoria si afferma come arma potente assieme alle scuole di retorica. Rhetorica ad Herennium: manuale composto da un autore ignoto Purtroppo abbiamo solo frammenti di orazioni di uomini politici o avvocati più antichi di Cicerone. - Polemiche sulla lingua e sullo stile e studi filologici Asianesimo = pathos, musicalità, anomalismo, stile ridondante (Ortensio Ortalo) vs Atticismo (oratore attico Lisia), corrente più tarda = lingua semplice e regolare, analogismo, sobrietà e regolarità nei costrutti sintattici (Cesare) - La produzione storiografica Nell’età dei Gracchi la storiografia diventa un mezzo di analisi politica e rispetto a quella arcaica adotta un metodo razionalistico, su influenza dello storico greco Polibio che era stato per lungo tempo a Roma. L’autore più interessante è Cornelio Sisenna, convinto fautore di Silla che esalta come eroe nella sua opera, le Historiae. - La commedia dopo Terenzio Fabula palliata e fabula togata: la palliata è sentita come genere antico. Nel I sec, mossa da esigenze di realismo, si afferma la togata assieme ad altri generi alternativi. Essa ambienta trame e personaggi in realtà italiche o romane. Seneca dice che essa era a metà tra tragedia e commedia: i toni comici erano smorzati rispetto alla palliata e questo non contribuisce al suo successo sulla scena. L’atellana e il mimo: vi è un ritorno in scena della atellana, la farsa popolare a lungo impiegata come exodium (comica finale che concludeva drammi impegnativi). Il genere acquista prestigio ma presto viene soppiantata: il mimo dominerà la scena fino a tutta l’età imperiale. L’etichetta di mimo copre una varietà di spettacoli diversi: danze, musica, momenti salaci etc.; i contenuti sono bassi e alle volte piccanti. il mimo era sia comico che crudo (condannati a morti giustiziati sulla scena): veniva incontro al gusto veristico delle platee. Gli attori non usano più la maschera e le parti femminili sono recitate da donne. Il mimografo a noi più noto è Publilio Siro. PARTE SECONDA: TARDA REPUBBLICA Il contesto: il periodo cesariano (78-44 a.C.) Tra la morte di Silla (78 a.C.) e la morte di Cesare (44 a.C.) vi sono 30 anni in cui spiccano molti dei più famosi autori della letteratura latina. Durante il I sec vi è un forte impulso di tutti i generi letterari ad eccezione del teatro. Questo periodo è alla base della formazione degli autori augustei. Fiorisce un pensiero filosofico tutto romano (vedi opere Cicerone e Lucrezio) e nasce una nuova figura dell’intellettuale che aspira alla indipendenza. Essi fanno riferimento a circoli intellettuali dove si elaborano poetiche e contrapposizioni di “scuole”. CAPITOLO 1: CICERONE - La vita e l’attività oratoria Marco Tullio Cicerone nasce nel 106 a.C. ad Arpino, da una agiata famiglia equestre. Studia retorica e filosofia a Roma e frequenta il foro sotto Lucio Licinio Crasso. Qui conosce Tito Pomponio Attico, suo fedele confidente. Presta servizio militare e in seguito diviene avvocato. Nell’80 difende Sesto Roscio, accusato dagli uomini di Silla. Probabilmente per paura di rappresaglie da parte di questi compie un viaggio tra 79 e 77 in Grecia e Asia Minore, perfezionandosi nelle prestigiose scuole di retorica di quelle regioni. Rientrato a Roma diviene questore in Sicilia; gli abitanti lo chiamarono come accusatore nella loro causa contro Verre. Scrive le famose Verrine: solo la pronuncia della prima bastò a far fuggire l’accusato in esilio volontario prima della sentenza. Dopo la questura, Cicerone percorre rapidamente gli altri gradi del cursus honorum. In senato si avvicina ai populares, partito contrario all’oligarchia aristocratica. Qui nasce l’orazione Pro lege Manila del 66 che difende la proposta del tribuno Manilio di affidare a Pompeo poteri eccezionali per combattere Mitridate, il re ribelle del Ponto. Grazie alla sua fama di moderato e alla sua fiducia nella concordia ordinum (accordo tra senato e ceto equestre per la salvezza della repubblica), Cicerone, un homo novus, venne sostenuto anche dagli aristocratici che lo proposero al consolato per l’anno 63 vs Catilina. La congiura di quest’ultimo venne sventata dallo stesso Cicerone con metodi illegali: egli condannò a morte senza processo molti congiurati e questo gli costerà un periodo di esilio. In questa occasione scrisse le famose quattro Catilinarie. Cicerone inizia a vedere il declino della propria fortuna con l’avvento del primo triumvirato del 60 tra Cesare, Pompeo e Crasso. Scrive la Pro Sestio, dove la concordia ordinum si trasforma nel consensus omnium bonorum, la concordia dei ceti abbienti, la pro Celio, la Pro Milone e due opere di filosofia politica, il De re publica e il De legibus. Allo scoppio della guerra civile nel 49, Cicerone sostiene Pompeo che viene sconfitto: egli beneficia allora della clementia Caesaris e così nascono le orazioni cesariane, la Pro Marcello, la Pro rege Deiotaro e la Pro Ligario. Tra 46 e 45 venne estromesso dalla attività politica e si dedicò a opere filosofiche. Torna nella lotta all’indomani dell’assassinio di Cesare che saluta con entusiasmo. Combatte contro Antonio, il luogotenente di Cesare, e appoggia come erede Ottaviano, figlio adottivo di Cesare, che cerca di portare dalla parte del senato. Contro Antonio pronuncia le Filippiche (il titolo allude alle orazioni pronunciate da Demostene contro Filippo di Macedonia). Il secondo triumvirato tra Antonio, Ottaviano e Lepido segna la fine di Cicerone che venne raggiunto a Formia dai sicari di Antonio e ucciso nel 43. Le sue mani e la sua testa vennero esposte nel foro. - Le opere retoriche: la codificazione dello stile e dell’eloquenza romana Quasi tutte le opere retoriche di Cicerone sono state scritte dal 55, un paio di anni dopo l’esilio da parte di Clodio per l’uccisione senza processo dei sostenitori di Catilina. Una delle questioni principali di questi testi - L’epistolario Nella forma in cui ci è tramandato si compone di: 16 libri Ad familiares (da 62 a 43 a.C., per i famigliari), 16 libri Ad Atticum (da 68 a 44, per il migliore amico), 3 libri Ad Quintum fratrem (da 60 a 54, per il fratello), 2 libri Ad Marcum Brutum (del 43, per Marco Bruto). Varietà di toni e contenuti: sono lettere vere, non pensate per la pubblicazione. Lingua = sermo cotidianus delle classi elevate di Roma. Questo epistolario ha un eccezionale valore storico. - La fortuna di Cicerone I contemporanei si divisero tra estimatori e detrattori di C.: tra i secondi ricordiamo Sallustio. Il I sec d.C. vede il nuovo modello senecano fondato sul periodare nervoso, rapido e punteggiato di sententiae, rivaleggiare con quello ciceroniano; quest’ultimo riottiene presto una posizione di predominio dalla reazione classica che ebbe uno dei suoi centri di diffusione nella scuola di Quintiliano. Per il Medioevo cristiano C. è uno dei massimi mediatori delle idee e dei valori della civiltà antica, maestro di filosofia e retorica. Col primo umanesimo si riflette tra vita attiva e contemplativa, tra Umanesimo e Rinascimento nasce una polemica tra ciceroniani e anticiceroniani. C. contribuisce ad alimentare il moderatismo politico. È riconosciuto come forgiatore della prosa latina e mediatore nella trasmissione del pensiero greco. CAPITOLO 2: FILOLOGIA, BIOGRAFIA E ANTIQUARIA - Tito Pomponio Attico e Cornelio Nepote Nella tarda repubblica la ricerca antiquaria diventa una disciplina di grandissimo interesse; ciò è dovuto anche a un nostalgico rimpianto nel momento in cui i valori consacrati del mos maiorum sembrano messi in discussione. Tito Pomponio Attico è il migliore amico di Cicerone e ha un vivo interesse antiquario. Si era allontanato da Roma per paura delle proscrizioni al tempo di Silla e aveva vissuto ad Atene. Aderisce all’epicureismo. È un raccoglitore di memorabilia, imprese memorabili romane da additare ai posteri. Cornelio Nepote scrive il De viris illustribus, una raccolta di biografie di personaggi famosi. Egli intendeva la biografia come una modalità di confronto tra civiltà greca e romana. La sua opera è sintomatica di un’epoca in cui i romani si interrogano sui caratteri originali della loro civiltà. - Marco Terenzio Varrone Il “sommo erudito” nacque a Rieti nel 166 a.C. Fu questore, tribuno della plebe, pretore. Nella guerra civile fu legato di Pompeo in Spagna, ma Cesare lo perdonò e gli affidò l’incarico di organizzare una grande biblioteca a Roma. Muore nel 27 a.C. Antiquaria e filologia: Antiquitates, opera in cui Varrone tratta tutto il patrimonio mitico, rituale e istituzionale della civiltà latina. Egli si schiera a favore della religione pagana e per lui essa è una creazione degli uomini: dell’opera possediamo molti frammenti cristiani che non condividevano queste opinioni. V. è attento allo studio delle popolazioni italiche, in particolare di quella etrusca, e sostiene che Roma è diventata grande perché ha saputo amalgamare apporti diversi. V. affianca studi antiquari e filologici: studia il teatro arcaico e individua le 21 commedie plautine. De lingua latina, studio della lingua latina in termini di etimologia, morfologia, sintassi e stilistica. Le etimologie varroniane sono fantasiose e si fondano sull’idea stoica che la parola contenga in sé il senso di ciò che designa. Le “Saturae Menippeae”: purtroppo quasi tutte perdute, sono state un modello per l’Apokolokyntosis di Seneca e il Satyricon di Petronio. Il nome deriva dal filosofo greco Menippo di Gadara (III sec a.C.), compositore di satire. Le satire di V. erano in prosimetro, i temi sono politici e di costume e i titoli sono in greco. Il “De re rustica”: scritti nel 37, tre libri in forma dialogica, è l’unica opera completa di V. che abbiamo. In questi la moglie chiede al marito come amministrare il podere. Il soggetto dell’opera è l’agricoltura in generale. V., come già Catone, ha in mente villae e vasti latifondi in cui era necessaria la mano d’opera servile. Si parla di utilitas, voluptas, nuovi bisogni dell’agricoltura: la destinazione è tutt’altro che pratica, l’opera tenta di insegnare un modello di vita più che tecniche minute. La fortuna di Varrone: egli ebbe una fortuna vasta e continua nell’antichità e influì molto sugli eruditi (Plinio il Vecchio, Svetonio) e sulle discipline (linguistica, filologia) delle età successive. Il cristianesimo gli diede paradossalmente nuovo lustro: era conosciuto a fondo benché confutato. CAPITOLO 3: CESARE - La vita e le opere Gaio Giulio Cesare nasce a Roma nel 100 a.C. da una fam. di antichissima nobiltà. Fu questore, edile, pontefice massimo, pretore. Nel 60 stipula il primo triumvirato con Pompeo e Crasso per la spartizione del potere. Nel 59 fu console e l’anno successivo fu proconsole in Gallia. Qui intraprende l’opera di sottomissione della zona, durata sette anni, che gli fece acquisire molto potere. In questi anni scrisse i Commentarii de bello gallico, in cui annotava anno per anno gli eventi della guerra e notazioni etnografiche e geografiche. Nel 49 varca il Rubicone in armi: comincia la guerra civile tra Cesare e il senato romano; quest’ultimo venne sconfitto a Farsalo in Tessaglia nel 48. Cesare insegue Pompeo in Egitto (luogo dove venne assassinato) per soffocare poi focolai di resistenza in Africa e Spagna. Scrive in questi anni i Commentarii de bello civili, la guerra civile vs Pompeo. Cesare è padrone di Roma ma un gruppo di aristocratici repubblicani congiura contro di lui: venne assassinato il 15 Marzo del 44 (idi di Marzo). Oltre alle opere storico-memorialistiche scrisse testi poetici e trattati come il De analogia (atticismo), sui problemi di lingua e stile. - Il commentarius come genere storiografico Il termine indica una narrazione a metà fra la raccolta dei materiali grezzi e la loro elaborazione nella forma artistica tipica, secondo i canoni antichi, della vera e propria storiografia. I Commentarii di Cesare (De bello gallico e De bello civilis) sembrano opere composte per offrire ad altri storici materiali su cui lavorare. In realtà l’atteggiamento di Cesare è ambiguo: egli è sobrio nel conferire al suo racconto efficacia drammatica, evitando effetti grossolani e fronzoli retorici, e in qualche modo si avvicina alla historia. Atteggiamento antiretorico = parla di se stesso in terza persona - Le campagne in Gallia nella narrazione di Cesare Il De bello gallico si compone di 7 libri + 1 (scritto dal suo luogotenente Irzio) e coprono il periodo dal 58 al 52 in cui Cesare sottomise la Gallia. Incerti sono i tempi di composizione dell’opera: secondo alcuni avvenne nella pausa invernale, secondo altri anno per anno. L’ultima ipotesi spiegherebbe meglio la sensibile evoluzione stilistica che c’è nel commentario (si avvicina alla historia). Nel libro 8 vi è una prefazione di Irzio in cui dice che i Commentarii vennero composti rapidamente: probabilmente Cesare ha redatto separatamente i vari resoconti per riordinarli in un secondo momento e la testimonianza di Irzio si riferisce a quest’ultimo. - La narrazione della guerra civile Il De bello civili si divide in 3 libri, i primi due sul 49, il terzo sul 48. I tempi della composizione e pubblicazione sono incerti, forse tra 47 e 46. Cesare ricorre a una satira sobria per colpire la vecchia e corrotta classe dirigente. L’obiettivo di C. è presentarsi al ceto medio (il suo destinatario) smontando le accuse che i ceti più alti gli muovevano contro (essere un rivoluzionario come i Gracchi o Catilina): si presenta come rispettoso delle leggi repubblicane e come garante della pace insistendo sulla sua clemenza nei confronti dei vinti. Nell’opera C. mostra un forte attaccamento ai suoi soldati che elogia per fedeltà e valore. - La veridicità di Cesare e il problema della “deformazione storica” Lo stile scarno dei Commentarii contribuisce al tono apparentemente oggettivo della narrazione; in realtà la critica ha individuato in esso uno strumento di propaganda politica: nei testi vi sono delle deformazioni, non sono falsificazioni ma omissioni, C. dispone le argomentazioni in modo da giustificare i suoi insuccessi. C. mette in luce le sue capacità di azione militare e politica, parla di fortuna ma si mantiene sempre su un piano umano evitando il divino. - I continuatori di Cesare È Aulo Irzio, luogotenente di C. a comporre l’ottavo libro del De bello gallico per congiungere la narrazione di quest’ultimo con il De bello civili. Sempre lui scrisse il Bellum Alexandrinum sempre mantenendo lo stile scarno e sobrio di C. - Le teorie linguistiche Purtroppo le orazioni di C. sono andate perdute: probabilmente avrà evitato gonfiori e avrà usato accortamente degli ornamenta per non avere uno stile troppo scarno. De analogia: C. pone alla base della eloquenza l’accorta scelta delle parole in base al criterio della “analogia”, cioè la selezione razionale e sistematica, contrapposta alla “anomalia”, l’accettazione di ciò che diviene consueto nel sermo cotidianus. Bisogna usare le parole già usate evitando quelle strane in nome di ordine e semplicità. - La fortuna di Cesare scrittore Decretano la fortuna della prosa di C. nell’ambito dell’insegnamento scolastico l’essenzialità della costruzione discorsiva, la semplicità e l’ordine del periodare. Drammaticità che acquista intensità poiché controllata: Catilina e Giugurta sono due personaggi tragici - Le Epistulae e l’Invectiva Sallustio ebbe un successo immediato e rilevante: si contano opere spurie, probabilmente frutto delle scuole di retorica del I sec d.C. Invectiva in Ciceronem Invectiva in Sallustium Epistulae ad Caesarem senem de re publica - La fortuna di Sallustio Fu sempre solida, continua ad essere ammirato anche nel Medioevo. Fra gli stoici il maggiore ammiratore è Tacito, che da lui eredita un moralismo austero. CAPITOLO 5: LUCREZIO - La vita e le opere Biografia assai incerta e fittizia: molte notizie false create nell’ambiente cristiano di IV sec. Secondo Girolamo nasce tra 96 e 94 per morire suicida a 43 anni (follia) dopo aver scritto libri in momenti di lucidità. Probabilmente ha un origine campana: a Napoli vi era una scuola epicurea ed egli mostra entusiasmo per questa dottrina nella sua opera. L’unica opera che abbiamo, dedicata all’aristocratico Memmio, è il De rerum natura: 6 libri in esametri, incompiuta o mancante di un ultima revisione. - Lucrezio e l’epicureismo romano. Il poema didascalico La filosofia antitradizionalista e anticonformista fondata dall’ateniese Epicuro nel III sec a.C. venne accolta dalla classe dirigente romana che non si oppose alla cultura e criticata dai tradizionalisti poiché non compatibile con il mos maiorum. Essa insegnava che gli dei esistono ma non intervengono nelle vicende umane e che il sommo bene è il piacere = atarassia = indifferenza alle passioni (distacco dalla vita politica). Nel I sec la dottrina è ormai diffusa e accettata nelle classi alte. Lucrezio diffonde Epicuro tramite un modello epico-didascalico, anche se Epicuro stesso condannava la poesia: egli fa questa scelta poiché ritiene che la poesia è un antidoto al “sapore amaro” di una dottrina ardua che potrebbe spaventare i lettori. De rerum natura > Sulla natura di Epicuro I 6 libri sono divisi in 3 gruppi di 2 diadi: la prima e ultima coppia trattano fisica e cosmo, la seconda antropologia e psicologia. L’opera si apre con un inno a Venere e poi vengono esposti i principi fondamentali: atomi che si muovono nel vuoto e originano corpi (vita-morte = processo aggregazione- disgregazione atomi), secondo un moto rettilineo deviato dal clinamen, inclinazione (uno spostamento casuale che rende ragione della libertà del volere umano). Corpo e anima sono fatti di atomi e destinati a morire, non esiste un al di là. Dai corpi si staccano i simulacra che colpiscono gli organismi percettivi di altri esseri: tramite questa sensazione si conosce. Digressione sull’origine della umanità nata per eventi naturali catastrofici e non grazie agli dei: qui si innesta la narrazione della peste di Atene del 430 e l’opera finisce bruscamente. Prima opera latina didascalica di grande impegno: Lucrezio vuole spiegare ogni aspetto della realtà secondo l’epicureismo. - Lucrezio poeta-vate Vi è un rapporto diretto con il lettore che è chiamato discepolo e deve seguire un percorso educativo. Si chiede di accettare lo stupore e il meraviglioso della natura senza cadere nell’irrazionale. Si vuole eliminare il miracoloso, e qualsiasi cosa riconducibile alla superstizione (razionalità). Il lettore deve saper essere un eroe per affrontare la dura e nuova verità. Epicuro è descritto come colui che ha liberato il mondo dalle paure ancestrali. Lo stile di Lucrezio non solo è quello emozionante del sublime, ma talvolta ricorre alla diatriba: personificazioni, caricature delle follie dell’uomo, tono volgare, appartiene al genere della satira. Duro attacco verso la religio tradizionale: essa è un peso, l’uomo deve liberarsi dalle superstizioni e dalla paura della morte attraverso la conoscenza delle leggi che regolano l’universo (provvidenza vs meccanicismo epicureo). - Il corso della storia Lucrezio dedica un’ampia parte dell’opera alla storia del mondo, nato dalla aggregazione di atomi e destinato alla distruzione. Ripercorre le tappe del progresso umano positive (scoperta fuoco, linguaggio, agricoltura, etc.) e quelle negative (inizio e progresso attività bellica, sorgere del timore religioso, etc.). Progresso = positivo negli aspetti che riguardano il soddisfacimento di bisogni primari, negativo quando porta all’insorgere di bisogni innaturali come l’ambizione > secondo l’epicureismo bisogna soddisfare solo i desideri naturali e necessari evitando gli altri; tuttavia l’epicureismo viene considerato torto, fin dalla antichità, una forma di edonismo sfrenato. - L’interpretazione dell’opera Pessimismo di Lucrezio e contraddittoria distanza dalla serenità di Epicuro. Girolamo parla di follia lucreziana, e molti hanno visto nell’autore tracce di crisi maniaco-depressive. Se valutiamo Lucrezio senza preconcetti, notiamo un uomo sempre teso a convincere e argomentare razionalmente la propria verità e a trasmettere una dottrina di liberazione morale in cui crede profondamente. Egli trasmette una ratio volta a comprendere con consapevolezza i problemi della vita. - Lingua e stile di Lucrezio Grandi capacità di elaborazione artistica. La differenza di stile rispetto a un contemporaneo Virgilio si spiega nell’intento di persuadere il lettore (molte ripetizioni) ad un argomento già di per sé assai difficile. Mancanza di un vocabolario latino per certi termini tecnici/concetti della filosofia epicurea: ciò genera perifrasi nuove e neologismi. L’autore lamenta la povertà del suo vocabolario ma sono proprio questi vuoti a stimolare la ricerca di una concretezza espressiva e di una esemplificazione per una argomentazione astratta e a ornare l’opera. Lucrezio usa molti vocaboli poetici della tradizione arcaica: allitterazioni, assonanze e costrutti arcaici. Lucrezio dimostra una vasta conoscenza della letteratura greca: riprende Omero, Platone, Eschilo, Euripide, Tucidide. Il suo esametro si differenzia nettamente da quello arcaico di Ennio. - La fortuna di Lucrezio Assenza del poeta nelle opere filosofiche di Cicerone dove viene confutato l’epicureismo: probabilmente è stato ignorato per sminuirne il valore. Presenza scarsa di Lucrezio negli autori del I sec a.C., anche se elogiato da Virgilio, Orazio, Ovidio. Gli autori cristiani lo criticano apertamente ma, dai secoli successivi, si perdono le tracce dell’opera. 1418 Poggio Bracciolini riscopre l’opera in un manoscritto in Alsazia e lo invia a Firenze affinché venga copiato: è l’inizio della rinnovata fortuna dell’opera in epoca moderna. CAPITOLO 6: CATULLO E LA POESIA NEOTERICA - I “nuovi” poeti e i loro precursori Nel I sec a.C. si affermano i poetae novi o neoteroi (def. sprezzante di Cicerone), in contrapposizione alla tradizione nazionale personificata da Ennio. Sono anche detti cantores Euphorionis, da Euforione di Calcide, III sec a.C., autore emblematico della poetica alessandrina. Questo processo di rinnovamento letterario non è che un aspetto della generale ellenizzazione dei costumi: le conquiste del II sec a.C. avevano portato a una nuova sensibilità e a gusti più raffinati sulla scia del modello greco. I neoteroi prendono dai poeti ellenistici: gusto per la contaminazione tra generi, sperimentazione metrica, lessico e stile sofisticati, carattere disimpegnato della poesia legata all’otium. Preludio della rivoluzione neoterica è la comparsa, nel II sec a.C., di una poesia scherzosa, legata alla sfera privata e agli interessi individuali. Si nota una continuità tra la poesia nugatoria (da nugae bagatelle) e quella neoterica; è in generale una poesia che fa dell’otium e dei suoi piaceri i nuovi valori assoluti. Questa trasformazione etica mette in crisi i valori del mos maiorum e si accompagna con la diffusione dell’epicureismo (venire meno ai doveri civili in nome di una atarassia); vi è una corrispondenza tra le idee di questa dottrina e i poeti neoterici tranne sul tema dell’amore che la prima vede come un turbamento angoscioso da rifuggire, i secondi vedono come il sentimento centrale della vita ed è il tema principale della loro poesia. I neoterici non costituiranno mai una scuola, ma sono collegati da un programma complessivo e la maggior parte di essi proviene dalla Gallia Cisalpina. Essi si rifanno a Callimaco, poeta ellenistico assunto a emblema dagli alessandrini, che polemizzava vs gli epigoni dell’epos omerico e si ispirava alla brevitas (componimento di piccole dimensioni) e all’ars (lavoro di cesello e labor limae) > lo stile dei neoterici è CAPITOLO 1: VIRGILIO - La vita e le opere Publio Virgilio Marone nacque ad Andes vicino a Mantova nel 70 a.C. da una fam. di piccoli proprietari terrieri e si formò a Napoli. Bucoliche: prima opera, è una raccolta di dieci componimenti pastorali. Nella storia alcuni pastori sono costretti ad abbandonare i loro poderi > dramma dei contadini Mantovani che nel 41 a.C., quando Ottaviano e Antonio ordinano le confische per i soldati che avevano combattuto a Filippi, vengono espropriati delle loro terre. Anche V. subisce la confisca per recuperare in seguito la sua terra grazie a un potente personaggio. Dopo quest’opera V. entra nella cerchia di Mecenate e quindi di Ottaviano: scompare da essa la figura di Asinio Pollione che aveva un grande peso. Georgiche: scritte nel periodo di lotta politica (fino alla batt. di Azio), sono un poema sul ritorno alla campagna e ai valori tradizionali ad essa legati. Sono quattro libri di esametri finiti e letti a Ottaviano attorno al 29. Eneide: deve celebrare la pace portata da Roma al mondo. V. anticipa alla corte alcune parti prima di morire nel 19 a.C. di ritorno da un viaggio in Grecia: prossimo alla fine, chiede che l’opera venga distrutta, ma Augusto affida al suo amico Vario la pubblicazione dell’opera che ha un successo immediato. - Le Bucoliche “Carmina Bucolica” canti dei bovari, diviso in ecloghe, è la rievocazione di uno sfondo rustico in cui i pastori sono messi in scena come attori e creatori di poesia. L’opera si ispira agli Idilli di Teocrito, poeta siracusano vissuto alla corte dei Tolomei in Egitto. Egli non è semplicemente emulato, ma viene studiato. V. interiorizza talmente il genere bucolico da essere alla pari con il suo modello. Le Bucoliche sono il primo libro dedicato al genere letterario/tema della campagna e rispondono all’esigenza di fondo della letteratura augustea: “rifare” i testi greci trattandoli come classici. Ecloga I: dialogo fra Melibeo, pastore costretto a partire, e Titiro, pastore che può restare grazie all’aiuto di un giovane di natura divina Ecloga II: lamento d’amore del pastore Coridone per il giovinetto Alessi Ecloga III: tenzone poetica tra due pastori in canti alternati detti “amebei”, a botta e risposta Ecloga IV: canto profetico per la nascita di un fanciullo che porterà una nuova età dell’oro Ecloga V: lamento per Dafni, eroe pastorale che si lascia morire per amore e viene assunto tra gli dei Ecloga VI: dichiarazioni di poetica + il vecchio Sileno, catturato da due giovani, canta l’origine del mondo e alcuni miti Ecloga VII: Melibeo racconta la gara di canto dei pastori arcadi Tirsi e Coridone Ecloga VIII: gara di canto dedicata a Asinio Pollione Ecloga IX: simile alla I con richiami alla realtà mantovana e alle espropriazioni per le guerre civili Ecloga X: il poeta bucolico Virgilio cerca di confortare le sofferenze d’amore del poeta elegiaco suo amico Cornelio Gallo In omaggio al principio alessandrino della poikilia varietà la raccolta di Teocrito si allargava a un ampio repertorio di temi > le Bucoliche invece sono incentrate sul mondo dei pastori, figure tenere e delicate: il termine “idillio” inizia ad assumere una connotazione ben precisa Anche se non è V. a inventare questa novità, con la sua opera si diffonde il mito dell’Arcadia, terra beata dei pastori L’atmosfera è triste e malinconica e vi è un libero riuso di spunti autobiografici: V. rilegge attraverso il linguaggio bucolico l’epoca delle guerre civili Riferimento al puer e all’età dell’oro: esso ha un chiaro parallelo nell’epodo 16 di Orazio, e le fonti tardo antiche lo identificano con il Cristo. L’ipotesi più probabile è che il bambino atteso in quell’anno dall’ecloga non fosse mai nato: il componimento è datato nel 40 a.C., anno del consolato di Asinio Pollione, quando Antonio sposò la sorella di Ottaviano ma il matrimonio durò poco e non ebbero figli. L’ecloga tuttavia non perse di valore ed ebbe molteplici interpretazioni. - Dalle Bucoliche alle Georgiche (38-26 a.C.) Nel 38 V. passa da Pollione a Mecenate, il suo nuovo protettore. Anche Orazio farà parte del circolo. La influenza di Mecenate è evidente in una nuova generazione di opere poetiche: nel 29 le Georgiche sembrano giungere a uno stadio definito dopo una lunghissima fase di rielaborazione dovuta all’accanimento minuzioso di V. che lavorava correggendosi molto. Il poema presuppone una straordinaria ricchezza di letture, un lungo processo compositivo e venne pubblicata in concomitanza col il trionfo di Ottaviano (29) reduce dall’Oriente. - Le Georgiche Apparentemente le Georgiche erano uno dei molti poemi didascalici ellenistici: come fa anche Lucrezio, si ricorre a questo tipo di opera per rendere appetibili e interessanti materie tecniche e particolari. Secondo Lucrezio la bellezza formale era finalizzata alla assunzione della amara medicina filosofica, V. risulta essere più attento alla forma di L. anche se anch’egli ha un vivo interesse contenutistico. Lo sfondo augusteo: viene rappresentato un appartato mondo agricolo in cui il nuovo principe garantisce la sicurezza dei contadini > per questo tipo di cornice ideologica le Georgiche il primo doc della lett. lat. nell’età del principato. L’immagine dell’economia rurale che traspare dal poema è una idealizzata costruzione regressiva, inadeguata alla realtà dell’epoca, in cui l’eroe è il contadino. Vi è un chiaro sottofondo augusteo (propaganda ideologica) a cui non manca l’autonomia del poeta: l’esaltazione dell’Italia contadina e guerriera ha come sfondo il clima della guerra tra Antonio e Ottaviano, l’esaltazione “georgica” della penisola (clima mite, terre coltivabili, etc.) è una formulazione memorabile della topica della Laus Italiae; V. è autonomo in quanto rielabora questo patrimonio di idee. Struttura e composizione: i temi dei 4 libri sono: lavoro dei campi, arboricoltura, allevamento del bestiame, apicoltura > la natura è protagonista e la struttura va dal grande al piccolo. Ogni libro è autonomo, ha un proemio (valore di cerniera, si richiamano a specchio) e sezioni digressive (sistematiche e di estensione regolare nella conclusione). Influenza di Lucrezio con la differenza che V. dà meno spazio alla descrizione di processi/ragionamenti ottenendo un dinamismo e un equilibrio nella architettura di insieme. Le Georgiche sono anche un’opera di contrasti e incertezze (ex: popolarità tra vita e morte): l’equilibrio dello stile e la simmetria della struttura non nascondono l’irrompere di inquietudini e conflitti. Mito dell’età dell’oro: la vita semplice e laboriosa del contadino ha portato alla grandezza di Roma (città = luogo di degenerazione e conflitto vs campagna). - Dalle Georgiche all’Eneide L’esperienza delle Georgiche è formativa per V. e lo accompagna nella sfida del poema epico, genere che attendeva con ansia una realizzazione nella cultura augustea e che V. aveva tenuto volutamente lontano. La tradizione enniana non si era estinta del tutto: l’epica serviva per celebrare le vicende contemporanee e il pubblico, che si aspettava una Cesareide, rimase colpito dall’opera proposta da V. (storia di Roma, fato, dolore e sofferenza dell’uomo). - L’Eneide Omero e Augusto: l’opera vuole imitare Omero e lodare Augusto, è la ripetizione e il superamento di Iliade e Odissea; Enea deve ricostruire la città distrutta nell’Iliade e alla fine riassumerà in sé l’immagine di Achille vincitore e quella di Odisseo che dopo tante prove ritrova la patria. Vengono anche riprese leggende italiche che rintracciavano le origini della città nella venuta di un eroe reduce dalla guerra di Omero: una di queste riguarda Albalonga, fondata da Ascanio o Iulo, il figlio di Enea. Da lui discendeva la gens Giulia, fam. di Cesare, e per adozione la fam. di Ottaviano Augusto. V. ristruttura tutte le fonti sulla venuta di Enea nel Lazio. L’Eneide è una vera epica nazionale romana in cui nessuno popolo è escluso dal contribuire alla genesi di Roma (latini, etruschi, greci). L’opera ha un denso significato storico-politico ma non è un poema storico poiché il taglio dei contenuti è drammatico. È la storia della missione di Enea, esule da Troia e scelto dai fati per fondare Roma: Parte Odissiaca: I: Giunone, nel suo odio vs troiani, scatena una tempesta che fa approdare Enea e i suoi a Cartagine; l’eroe è accolto da Didone alla quale narra la fine di Troia II: Enea racconta la distruzione della città, la perdita di Creusa e la fuga con Anchise, Iulo e i Penati III: i troiani mediante peripezie capiscono che una patria li aspetta in Occidente + racconto morte Anchise IV: Didone si innamora di Enea e si uccide perché lui la abbandona: maledice Enea e profetizza odio tra Cartagine e i discendenti dell’eroe V: i troiani fanno tappa in Sicilia: giochi funebri per Anchise VI: giunto a Cuma Enea consulta la Sibilla e scende nel mondo dei morti: Anchise gli rivela i condottieri che faranno la storia di Roma Parte Iliadica: VII: Enea sbarca alla foce del Tevere e instaura un patto col re Latino. Giunone invia il demone della discordia Aletto e prosegue la guerra: non vengono celebrate le nozze tra Enea e Lavinia, nuova Elena VIII: Enea si trova in difficoltà e cerca alleati: trova l’appoggio di Evandro, re degli arcadi , e grazie a suo figlio Pallante quello della potente coalizione etrusca. Gli dei donano a Enea un’armatura forgiata da Vulcano: lo scudo rappr. il futuro di Roma IX: L’assenza di Enea favorisce Turno e i suoi alleati che ottengono successi X: il ritorno di Enea capovolge la situazione. Turno uccide Pallante XI: Enea piange Pallante e negozia senza successo la pace; grande batt. equestre in cui cade la vergine guerriera Camilla XII: duello decisivo tra Turno e Enea: quest’ultimo uccide l’avversario supplice poiché egli indossa il balteo di Pallante. Giunone si riconcilia con Giove Il nuovo stile epico: il verso epico di V. è portato alla massima regolarità e flessibilità, il suo esametro è uno strumento di narrazione lunga e continua e la frase si libera da qualsiasi schiavitù nei confronti del metro. Il lessico è elevato in accordo con il genere epico. La particolarità di V. stà avvale della contaminazione tra categorie liriche diverse. Temi ricorrenti: locus amoenus, piccolo podere personale come spazio noto e sicuro (tema dell’angulus), morte, amicizia. Orazio celebra le vittorie di Augusto: la sua lirica civile non è una semplice propaganda in versi, l’allineamento alla ideologia augustea si vede nell’impostazione moralistica secondo cui la crisi derivava dall’abbandono di quei costumi che avevano fatto grande Roma > critica vs lusso e ammirazione per l’autosufficienza della virtus. Lo stile: la sua perfezione riflette dell’influenza callimachea. Il vocabolario è semplice e essenziale, ma vi è una estrema ricercatezza nella collocazione delle parole di modo che anche quelle più comuni si carichino di significato: Orazio nell’Ars Poetica la chiama callida iunctura. Nella sua raffinata strategia compositiva le parole si richiamano a distanza e ci si allontana dalla abitudine. Effetti nuovi e associazioni insolite. Massimo di espressività associata al minimo di invenzione linguistica: l’autore usa pochissimo neoformazioni e neologismi. - Le Epistole Orazio def. le Epistole come le Satire sermones. La forma è epistolare anche se è incerto il carattere reale delle lettere. Manca l’aggressività delle Satire: è un nuovo Orazio dedito alla saggezza che risulta indispensabile dato l’inesorabile scorrere del tempo. Al tempo stesso Orazio rinuncia alla vita sociale e all’ottimismo etico: fugge da Roma nell’angulus della campagna sabina. L’autarkia bastare a se stessi è adesso più forte che mai, anche se sembra non garantire più al poeta un atteggiamento coerente e costante. Dall’insoddisfazione di sé e da questa debolezza etico-filosofica corrisponde la nascita di una sorta di forma didascalica, ovvero la lettera, che permette un rapporto a due. Il II libro: come ci dice Orazio nella prima delle tre lettere (interlocutore esplicito = Augusto) che lo compongono lamentandosi, questo secondo libro è stato aggiunto per le pressioni di amici e potenti. Le tre lettere (ad Augusto recusatio, ad Floro, ad amici Pisoni ars poetica) sono affini tra loro ma lontane dal progetto epicureo del I libro (angulus); Orazio ne fa una specie di testamento letterario. Orazio interviene nel dibattito culturale tra i colti in maniera di critica letteraria con l’autorità che gli è garantita dal suo rapporto col principe. Augusto crea una base ideologica attraverso una produzione letteraria nazionale e popolare e ambiva per lo stesso motivo a una riforma del teatro latino > Orazio non mostra fiducia per la rinascita del teatro poiché il pubblico non è interessato a una produzione drammatica ma al fasto spettacolare o ai dozzinali mimi e acrobati. Nell’epistola ai Pisoni, la cosiddetta Ars Poetica, (Poetica Aristotele) (labor limae, arte raffinata), dopo le perplessità espresse nell’epistola ad Augusto, Orazio accetta di offrire il proprio contributo teorico alla questione del teatro. Nell’epistola a Floro traccia la storia della cultura e della letteratura greca e romana. - La fortuna di Orazio È immutata e precoce (entra subito nelle scuole) nel corso dei secoli. Già dalla prima età imperiale viene commentato e pubblicato (Marco Valerio Probo). Nel Medioevo è conosciuto e apprezzato per la sua vena morale, anche se il suo ruolo rimane più modesto rispetto a quello di Virgilio. Viene inserito nella Divina Commedia tra i poeti del limbo. L’Ars Poetica rimane un punto di riferimento insostituibile dagli umanisti in avanti. CAPITOLO 3: L’ELEGIA: TIBULLO E PROPERZIO - Caratteri generali dell’elegia L’elegia tocca altissimi livelli a Roma. È per lo più poesia d’amore, fiorita nella seconda metà del I sec a.C. e gli autori principali sono Gallo, Tibullo, Properzio, Ovidio. L’elegia per i greci era un componimento poetico scritto in metro elegos (distico elegiaco = esametro + pentametro dattilico), spesso in età ellenistica raccolti sotto il nome di una donna, e gli argomenti erano vari > Archiloco guerresco-polemico, Solone politico, Mimnermo erotico, espressione del lutto/vicende personali. Viene istituita una connessione tra autobiografia e mito: quest’ultimo diviene un elemento costante. Originaria della Ionia, dal VII sec in poi si diffonde e trova impiego in occasioni pubbliche e private. Le origini della elegia latina sono ancora oggi dibattute: la sua impostazione fortemente soggettiva (influenzata semmai dall’epigramma greco) non ha precedenti nei poeti elegiaci ellenistici. L’elegia greca è in generale più oggettiva, quella latina più autobiografica: questo soggettivismo, radicato nella esperienza personale del poeta, è inquadrato in situazioni tipiche, ricorrenti e convenzionali. Innanzitutto è una poesia d’amore: questo sentimento con tutte le sue sofferenze e delusioni è il centro della vita del poeta che si configura come servitium schiavitù nei confronti della domina capricciosa e infedele. Le sofferenze sono sicuramente superiori alle gioie e le delusioni portano il poeta a proiettare la sua vicenda d’amore in una età dell’oro e a sublimarla in un universo appagante. Militia Amoris = vengono abbandonati i propri doveri di civis per una dedizione assoluta alle mollezze d’amore. Come per Catullo, si tenta di rendere coniugale (fides) un amore adulterino. La poesia deve anche assolvere alla funzione pratica del corteggiamento > recusatio: rifiuto della poesia elevata in favori da toni ispirati dalla immediatezza della passione (Catullo e neoterici: raffinatezza formale, partecipazione affettiva e poesia non impegnata, gusto per l’otium). - Cornelio Gallo e gli inizi della elegia latina Cornelio Gallo è il primo poeta elegiaco che Quintiliano nomina nel suo canone. Abbiamo poche notizie e la sua produzione è totalmente perduta. È amico di Virgilio e nelle guerre civile si schiera dalla parte di Ottaviano. È nominato praefectus Aegypti ma poi cade in disgrazia e muore suicida. Virgilio gli dedica la X egloga. Scrive quattro libri di elegie intitolati Amores per l’amata Licoride (pseudonimo di Volumnia, attrice di mimi). Temi: erotico, dottrina mitologica, erudizione geografica. Egli potrebbe essere l’iniziatore dell’elegia a Roma, perché in lui vi sono i temi principali di questo genere: servitium amoris, donna come domina, poesia per corteggiare (Catullo e neoterici). Fu sicuramente un importantissimo mediatore tra neoterismo e elegia augustea. - Tibullo La vita e le opere: sappiamo poco. Nasce nel Lazio da una famiglia agiata del ceto equestre. Fu amico di Messalla (circolo). Abbiamo una raccolta eterogenea di tre libri di elegie, il Corpus Tibullianum, che unisce componimenti autentici (primi due libri) e spurii. Il poeta è dominato dalla donna amata (pseudonimo Delia) e la loro relazione è tormentata. Nel secondo libro compare una seconda figura femminile, Nemesi vendetta, una cortigiana avida e spregiudicata che ha scalzato Delia dal cuore del poeta. Il mito della pace agreste: Tibullo è il poeta dei campi e della vita agreste (pauper agricola), anche se spesso la città fa da sfondo ai suoi componimenti amorosi. Il poeta idealizza il mondo rurale come spazio di evasione e di rifugio da una vita piena di delusioni e da una relazione mai pienamente appagata. A differenza degli altri elegiaci in Tibullo non vi è l’elemento mitologico poiché la sua funzione ideologica è assolta dal mondo agreste. La campagna è posto di idilliaca felicità, religiosità ancestrale, una sorta di età dell’oro. L’altro tema dominante oltre al bisogno del rifugio è quello della pace: antimilitarismo e esecrazione della guerra e dei suoi orrori. Influenzato da Virgilio, il poeta rivela nei suoi tratti bucolici i valori tradizionali dell’ideologia arcaizzante del principato in evidente contraddizione con la poesia elegiaca anticonformista e ribelle. Tibullo “poeta doctus”: la sua poesia condivide con quella alessandrina (Callimaco) un’apparente semplicità e spontaneità, in realtà è ricercatissima e misurata, perciò è definito “poeta dotto”. È ammirato dagli antichi per il suo stile fluido, delicato e lievemente ironico. La fortuna: grande successo. La critica si divide tra partito classico, che ammira l’equilibrio di Tibullo, e partito opposto, che ammira la costruzione ruvida di Properzio. Il Medioevo ne oscura la fama che torna nell’Umanismo. - Il Corpus Tibullianum Ligdamo: i primi sei componimenti del III libro per la donna Neera sono di Ligdamo, pseudonimo greco del nome di uno schiavo anche se il poeta dice di essere un uomo libero di antica famiglia romana. Egli apparteneva alla cerchia di Messalla e i suoi componimenti ruotano attorno alla dolorosa separazione dalla donna amata. Il “Panegirico di Messalla” e gli altri componimenti: alle sei elegie di Ligdamo seguono un carme di 211 esametri e un gruppo di 13 componimenti che costituiscono l’attuale libro VI. Il carme è il Panegyricus Messallae, un elogio di Messalla Corvino composto da un anonimo poeta del circolo. Il Corpus Tibullianum è un documento prezioso di quell’importante ambiente culturale che fu il circolo di Messalla. - Properzio La vita e le opere: nacque in Umbria da una famiglia benestante di ambito equestre. A seguito delle guerre subì lutti e confische di terre. Si trasferisce a Roma dove è accolto dal circolo di Mecenate. Le sue poesie d’amore sono dedicate a un tormentato sentimento per Cinzia, pseudonimo, donna colta e raffinata in un primo libro. Nel secondo e terzo libro la donna domina il campo ma incombe il pericolo del discidium separazione definitiva. Vi sono tracce del rapporto con Mecenate (recusatio rifiuto della poesia epica nel I libro) e Augusto di cui vengono celebrati i successi militari (adesione politica e militare di regime). Inoltre vengono raccontati miti e riti della tradizione romana e italica. Nel nome di Cinzia: il primo canzoniere: nel 28 a.C. Properzio pubblica il Monòbiblos in nome di Cynthia che campeggia fin dall’elegia proemiale. Il poeta afferma di essere suo prigioniero da un anno. Ella è una donna raffinata che vive da cortigiana negli ambienti mondani. Legarsi a questa donna significa per il poeta una degradazione sociale (viene meno ai doveri di civis) ma egli ne fa un vanto: il servitium (otium) a questa donna è la sua ragione di vita. L’amore è una esperienza totalizzante e la poesia è l’unico strumento di corteggiamento. La relazione ideale per Properzio non è tipo libertino, egli aspira, come Catullo, a un foedus, al grande amore del mito. Ovviamente la realtà è ben diversa e nasce un bisogno di evasione nel poeta che ricorre al mito. Il canzoniere maggiore e il distacco: Mecenate prova ad avviarlo verso il programma augusteo: atteggiamento contradditorio di Properzio, recusatio e infine disdicium (addio) a Cinzia. Il II libro si - Le Metamorfosi 15 libri, veste formale dell’epos (esametro) ma contenuto assai diverso: il modello è quello del “poema collettivo”, ovvero storie indipendenti accomunate da un solo tema (le Metamorfosi). A questo genere appartenevano già due opere esiodee, la Teogonia e il Catalogo delle eroine mitiche, mentre gli Aitia di Callimaco trattavano del tema delle metamorfosi. Ovidio ricerca le origini per spiegare in modo soddisfacente l’essenza della cosa trasformata, riassume ogni storia del mondo in un grande poema eziologico. L’autore attraversa tutte le vicende del mito e mira a fare della sua opera una summa di tutta la letteratura. Sorriso sulla propria credulità e inverosimiglianza dei contenuti: è una poesia fatta per intrattenere e stupire. Il narratore trascina lo spettatore e rifiuta l’oggettività del poeta epico. Le storie di metamorfosi umane sono quasi tutte patetiche storie d’amore. Virtuosismo della descrizione compiuta, gusto del meraviglioso e dello stupefacente spettacolo della trasformazione. Con quest’opera Ovidio cerca di riavvicinare la sua poesia all’intento augusteo, ma la dimensione celebrativa occupa una parte esigua. Composizione e struttura: le 250 vicende mitico-storiche narrate sono ordinate secondo un filo cronologico che subito dopo gli inizi si attenua per lasciare spazio ad altri criteri associativi quali contiguità geografica, analogie tematiche, contrasto, analogia di metamorfosi, etc. Varietà di contenuti, toni, stile e diversi tempi della narrazione (minuziosa descrizione della Metamorfosi) > l’opera è una galleria di generi letterari. Calcolata varietà, tensione narrativa, Ovidio è abilissimo nel non interrompere mai la narrazione (racconti a incastro, inserzioni, etc.) > proliferazione ininterrotta di racconti. - I Fasti e le opere dell’esilio Poesia civile: illustrare vecchi miti e costumi latini seguendo la traccia del calendario romano. L’esilio interrompe improvvisamente l’opera a giugno. Il modello immediato è Properzio, anche se l’opera deve molto anche agli Aitia callimachei (carattere eziologico). Ovidio celebra Roma e si impegna in dotte e accurate ricerche di svariate fonti antiquarie. Mancata adesione al programma augusteo: sullo sfondo antiquario si innesta un tono giocoso ed ironico, scettico di fronte al mito, riferimenti alla contemporaneità, aneddoti. Una volta esiliato da Roma, Ovidio è un artista senza pubblico. Due raccolte: Tristia 5 libri + Epistulae ex Ponto 4 libri > lontananza + desolata condizione di esule. - La fortuna di Ovidio La sua fortuna è stata immensa in campo letterale e artistico fino al Romanticismo. A causa del suo virtuosismo gratuito ebbe scarsa diffusione nelle scuole antiche di grammatica. I più antichi manoscritti ovidiani che possediamo risalgono alla età carolingia. Influenza Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto. Dopo il declino subito col Romanticismo, torna ad affascinare D’Annunzio e a essere apprezzato. CAPITOLO 5: LIVIO E GLI ORIENTAMENTI DELLA STORIGRAFIA - La vita e le opere di Livio Nasce a Padova nel 59 a.C. Venuto a Roma, entra il relazione con Augusto senza partecipare alla vita pubblica. Grande opera storica: Ab urbe condita libri, 142 libri di cui restano i primi 10 (sui fatti più antichi della storia romana fino al 293 a.C.). La narrazione va dalle origini fino al 9 a.C., ma il progetto originario, interrotto dalla morte dell’autore nel 17 d.C., proseguiva probabilmente fino alla morte di Augusto nel 14 d.C. per un totale di 150 libri. - Il piano dell’opera di Livio e il suo metodo storiografico Rifiuto dell’impianto monografico di Sallustio e recupero della tradizionale struttura annalistica. Il naufragio di gran parte dell’opera dipende dalla sua ripartizione in gruppi separati di libri divisi per decadi. I libri con cui si apriva un nuovo ciclo hanno delle introduzioni. Una delle più celebri è il proemio che apre la terza decade relativo alla seconda guerra punica. Man mano che si avvicina all’epoca contemporanea, Livio amplia la narrazione: questa dilatazione corrispondeva alle aspettative dei lettori, più interessati alle vicende recenti. Utilizzo di più fonti: Annalisti, Polibio, Catone (rispetto a cui Livio non è critico, non si preoccupa della loro veridicità). Drammatizzazione dei contenuti. Limite di Livio: è uno storico letterato, anche se questo non significa che sia un semplice adulatore della ideologia augustea. - L’atteggiamento nei confronti del regime Livio pone al centro le vicende del popolo romano: resti di una ideologia di matrice repubblicana che non portano alla scontro con Augusto il quale ne approfittò (egli vuole presentarsi come il restauratore della repubblica). Elementi di raccordo con la ideologia/propaganda augustea: restaurazione di antichi valori morali e religiosi + grandi exempla di virtù > non si tratta tuttavia di una adesione incondizionata: il principato non è certo rappresentato come la nuova età dell’oro come fa Virgilio. - Lo stile della narrazione liviana Quintiliano oppone Sallustio (brevitas austera e sentenziosa) a Livio (lactea ubertas); quest’ultimo ha uno stile ampio e fluido, che ha nella limpida chiarezza dei periodi il suo caratteristico candor. Duttilità, varietà, drammaticità del racconto (vedi episodio di Lucrezia). Passione moralistica > trazione storiografica ellenistica (stile tragico). Historia = ricerca della verità, questa è la missione di Livio. La sua scrittura è simpatetica, lontana dalla oggettività di una storico, sembra quasi coinvolto negli eventi. Il modello a cui guarda è quello offerto da Cicerone nel De oratore: discorso eloquente, periodi ampi e scorrevoli. Risultato diverso dall’opus oratorium maxime teorizzato da Cicerone: Livio scrive per essere letto (lettura personale e privata), non per essere ascoltato. L’opera ha carattere moralistico e nostalgico. - La fortuna di Livio La sua fortuna è molto grande: si ispirano a lui Lucano e Silio Italico. Perìochae = sommari, riassunti di parte dell’opera in quanto la mole è molto vasta. Machiavelli = Discorsi intorno alla prima deca in volgare, è la prima riflessione moderna sulle vicende di Roma. - Storiografia di opposizione e storiografia del consenso Tra gli autori latini di cui abbiamo quasi interamente perduto le opere vi sono molti storici dissidenti, attivi nella prima età del principato. I loro toni sono polemici. Essi sono: Asinio Pollione, Pompeo Trogo. Sotto Tiberio la corrente più vitale della storiografia è dominata dagli orientamenti ostili al principato: Cremuzio Cordo. Velleio Patercolo rappresenta una tendenza storiografica del tutto diversa: commosso panegirico di lode a Tiberio, ricorda Lucio Cornelio Sisenna con Silla (deformazione e amplificazione storica). Valerio Massimo: sostegno e appoggio a Tiberio, 9 libri Factorum et dictorum memorabilium (raccolta di exempla di vizi e virtù). Quinto Curzio Rufo. La popolarità di Alessandro Magno nell’età imperiale porta allo sviluppo di numerosi scritti su di lui > “Romanzo di Alessandro” CAPITOLO 6: ERUDIZIONE E DISCIPLINE TECNICHE - Erudizione e studi grammaticali in età augustea In età augustea Roma assiste a una grande diffusione del libro e della cultura. I nuovi classici (Virgilio, Orazio e gli elegiaci) entrano nelle scuole. Vengono fondate tre biblioteche pubbliche. - Le discipline tecniche La prima età imperiale conosce una discreta fioritura di letteratura scientifica (frenata dal prestigio della retorica): De architectura, trattato in prosa di Vitruvio Pollione (anni in cui Augusto promuove il rinnovmento dell’edilizia pubblica) Tra le discipline tecniche l’agricoltura occupa una posizione privilegiata: Catone e Varrone scrivono trattati su questo argomento. De rustica di Columella. Scritti geografici di Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto, e Pomponio Mela (interesse etnografico di quest’ultimo che si lascia andare in descrizioni fantastiche su luoghi sconosciuti o lontani) - La precettistica culinaria: Marco Apicio De re coquinaria: ricette culinarie (stile espositivo elementare e funzionale + creatività e elaborazione scenografica dei piatti). alla vita politica (mediazione tra otium contemplativo e impegno del civis) e la terza di una scelta di vita appartata (ritiro della vita politica a causa di Nerone) De brevitate vitae = problema della fugacità del tempo e della apparente brevità della vita: ci sembra tale poiché non ne afferriamo l’essenza De providentia = dedicato sempre a Lucilio, parla della contraddizione tra progetto provvidenziale e sconcertante constatazione di una sorte che sembra premiare i malvagi e punire gli onesti > le avversità colpiscono il saggio per temprare la sua volontà e la sua virtù Le tre consolazioni (genere filosofico) = Ad Marciam: per la figlia dello storico Cremuzio Cordo, la quale ha perso il figlio; Ad Helviam matrem: conforta la madre per le sue condizioni di esule; Ad Polybium: per consolare il potente liberto di Claudio per la perdita di un fratello (sembra un tentativo di adulazione indiretta dell’imperatore per poter tornare a Roma) - Filosofia e potere Seneca è uno dei pochi a realizzare l’utopia platonica dei filosofi al potere. Nei primi 5 anni influenza molto Nerone e dedica gran parte della sua riflessione a temi “pubblici” (De clementia, De beneficiis). Lo stoicismo ammette la partecipazione del sapiente agli affari dello Stato, purché questa non turbi la sua serenità interiore. Egli deve lavorare per il benessere comunitario. Il filoso deve costituire un esempio per tutti. De beneficiis = la rete clientelare creata dal beneficio è uno dei meccanismi fondamentali della società romana (i ricchi aiutano i modesti con un dono disinteressato). De clementia = Seneca non mette in discussione la legittimità del principato, il problema è piuttosto quello di avere un buon sovrano che governi con la virtù della clemenza il suo Stato. Il fallimento politici di Seneca lo porta al ritiro: contemplazione e meditazione (Naturales quaestiones, Epistulae ad Lucilium) - La pratica quotidiana della filosofia: le Epistulae ad Lucilium Gaio Lucilio si occupò di filosofia e poesia e fu procuratore della Sicilia. Egli, nel ruolo di interlocutore di Seneca, è un giovane incerto che non sa come arrivare alla sapienza e alla tranquillità interiore. Seneca usa una scrittura epistolare: il loro è un colloquio tra amici che si scambiano opinioni per migliorarsi; Seneca è in maestro e Lucilio è il discepolo. Non vengono riportate le lettere con i dubbi di quest’ultimo, ma solo quelle del maestro. Negli ultimi libri le lettere assumono la forma di lunghi trattati. Il modello è l’avversario degli stoici per antonomasia, Epicuro: da lui Seneca eredita la forma epistolare, di una conversazione amichevole. Queste lettere sono fittizie: Seneca le aveva già scritte con l’intento di pubblicarle. Le Lettere raccontano aneddoti e momenti di vita che il filosofo commenta per trarne un incentivo per migliorarsi. I fatti reali sono occasioni per riflettere sui grandi temi: la libertà interiore, il logos immanente, la giustizia. Seneca propone l’ideale di una vita indirizzata al raccoglimento e alla meditazione. Considerazione della condizione umana comune: condanna il trattamento degli schiavi ma conserva un disprezzo per le masse popolari, il suo punto di vista è fortemente aristocratico e tutt’altro che cristiano. Distacco dalle passioni + otium (= alacre ricerca del bene) come valore supremo > l’obiettivo dello stoico è la conquista della libertà interiore. - Lo stile della prosa Quintiliano, sostenitore del modello ciceroniano (ipotassi), critica lo stile di Seneca caratterizzato da: Minutissime sententiae per facilitare la memorizzazione Spezzettamento dei periodi in frasi brevi di gusto epigrammatico Paratassi: i collegamenti sono nei concetti espressi dal discorso che viene svolto per movimenti di antitesi e ripetizioni Tentativo di riprodurre uno stile colloquiale - Le tragedie e l’Apokolokyntosis Ci sono pervenute nove tragedie autentiche tutte di soggetto mitologico greco, coturnate; non abbiamo nessuna informazione sulla loro rappresentazione, e probabilmente furono scritte per la declamazione e la lettura pubblica. Tratti tipici sono: truce spettacolarità + macchinosità delle trame. Hercules furens: follia di Ercole provocata da Giunone; egli uccide moglie e figli e, una volta rinsavito, vorrebbe suicidarsi ma alla fine si reca ad Atene per purificarsi Troades: donne troiane impotenti di fronte al sacrificio di Polìssena, figlia di Priamo, e di Astianatte Phoenissae: incompleta; tragico destino di Edipo e odio tra i suoi figli, Eteocle e Polinice Medea: abbandonata da Giasone, assassina i figli avuti da lui Phaedra: incestuoso amore tra Fedra e figliastro Ippolito; la donna, per vendetta, denuncia Ippolito a Teseo provocandone la morte Oedipus: Edipo scopre di aver ucciso il padre e sposato la madre: si acceca Agamennon: il re, di ritorno da Troia, viene ucciso dalla moglie Clitemnestra e dall’amante Egisto Thyestes: Tieste seduce la moglie del fratello Atreo; quest’ultimo imbandisce al fratello ignaro le carni dei figli Hercules Oetaeus: Deianira, per riconquistare l’amore di Ercole, gli invia una tunica intrisa del sangue del centauro Nesso credendo fosse un filtro d’amore; in realtà la veste è dotata di un potere mortale che causa la morte di Ercole I modelli di Seneca sono le tragedie greche del periodo classico, per lo più Sofocle e Euripide. Egli fa uso della contaminazione: per una stessa tragedia si ispira a diversi modelli antichi. La tecnica dell’azione scenica rimanda al dramma ellenistico (IV-III sec a.C.). il suo stile risente dei modelli latini ormai consacrati: Virgilio, Orazio e Ovidio, di cui tende a combinare gli stili > Seneca “manieristico”: è imitatore enfatico dei grandi modelli latini. Tracce della tragedia latina arcaica: pathos esasperato + sentenze. Quelle di Seneca sono le sole tragedie latine a noi pervenute in forma non frammentaria; in età giulio- claudia il teatro tragico ha un momento di grande successo: la tragedia è la forma letteraria per esprimere l’opposizione al regime (temi: esecrazione della tirannide, logos principio razionale incapace di frenare le passioni e il dilagare del male, tiranno sanguinario e bramoso di potere). La realtà rappresentata ha toni cupi e atroci e il conflitto tra bene e male non riguarda solo la singola psiche umana ma il mondo interi, ha una dimensione cosmica. Oltre alle nove tragedie canoniche ce ne viene trasmessa sotto il nome il Seneca una decima, l’Octavia: viene rappresentata la sorte di Ottavia, prima moglie di Nerone, ripudiata e fatta uccidere per Poppea. È una praetexta la cui autenticità è oggi generalmente negata. Apokolokyntosis, inzuccamento, trasformazione in zucca > opera singolare, titolo completo Ludus de morte Claudii o Divi Claudii apotheosis per saturam, contiene la parodia della divinizzazione di Claudio, decretata subito dopo la sua morte nel 54 d.C. Nell’opera Claudio è assunto in cielo e si presenta davanti al concilio degli dei: dopo un lungo dibattito è condannato a scendere agli Inferi dove finisce schiavo del nipote Caligola e poi del suo liberto Menandro > risentimento di Seneca, esiliato da Claudio. L’opera appartiene al genere della satira menippea: prosimetro + lessico misto (aulico e volgare). - La fortuna di Seneca È imponente fin dalla antichità: guadagna presso i cristiani un prestigio che dura per tutto il Medioevo. Le sue tragedie influenzano il teatro rinascimentale italiano (Alfieri), quello elisabettiano (Shakespeare), quello classico francese (Corneille, Racine, Voltaire) e quello romantico tedesco. CAPITOLO 3: LUCANO - La vita e le opere Nasce a Cordova in Spagna nel 39 d.C. Figlio di un fratello di Seneca, nel 40 si trasferisce a Roma. Stretti rapporti con Nerone: compone e recita, in occasione dei ludi per l’imperatore, le laudes del principe. Al suo periodo cortigiano sono attribuite varie opere tutte perdute come l’Iliacon, una Medea, epigrammi; l’opera maggiore è il poema epico Bellum civile o Pharsalia in tre libri attorno al 60 > brusca rottura con l’imperatore, probabilmente per le idee repubblicane espresse nel poema. Lontano dalla corte, compone l’opera fino al libro X e rimane incompiuta: è costretto a suicidarsi nel 65 durante la repressione della congiura dei Pisoni. - Il tema storico e l’anti-Virgilio Mentre le altre opere sono in linea con le direttive neroniane, di tutt’altro genere risulta la Pharsalia: essa tratta la guerra civile tra Cesare e Pompeo, esalta la antica libertà repubblicana e quindi condanna il regime imperiale. Anche sul piano estetico vi sono molte critiche: Lucano rinuncia alle convenzioni dell’epos e viene accusato di fare storia (impianto cronachistico) più che poesia. Lucano viene paragonato a Virgilio e all’Eneide (narrazione favolosa impegnata sui temi del presente) > è def. l’anti-Virgilio e la Pharsalia l’anti Eneide. Se il poema epico nella tradizione romana era monumentum (celebrazione dello Stato), con Lucano diviene la denuncia della guerra fratricida, si vuole confutare l’esaltazione virgiliana di Augusto e sottolineare che è iniziata un’era di ingiustizia > nella Pharsalia vengono rovesciate puntualmente scene e personaggi dell’Eneide: ex. Profezia di Anchise libro VI con cui Virgilio annunciava la gloria di Roma. Nel libro VI della Pharsalia una maga, tramite un orribile rito, riporta in vita un soldato caduto a Farsàlo: egli profetizza l’infelice sorte di Roma (rovesciamento del mito di Roma città eterna). È tuttavia riduttivo pensare Lucano solamente come l’anti-Virgilio, il rapporto è più complesso. Tuttavia anche Lucano esalta il principe > proemio del I libro della Pharsalia: elogio di Nerone, modellato sulla esaltazione del principe di Virgilio. Nerone è presentato come migliore di Augusto. Si discute sulla sincerità dell’elogio: o è ironico oppure, più probabilmente, Lucano come Seneca cambiò pensiero e divenne pessimista man mano che il regime degenerò (nel seguito dell’opera non nomina più Nerone). - I personaggi del poema Non c’è un eroe protagonista. L’azione ruota attorno a Cesare, Pompeo e nell’ultima parte a Catone. riunirsi. Il tono è serio, lo scenario spazia nei paesi del Mediterraneo grecizzato, l’amore è trattato con pudicizia, è qualcosa di serio e esclusivo. Anche il Saty. racconta una storia d’amore ma in modo ben diverso: non vi è castità, moralità, l’amore è omosessuale e il sesso è fonte di comicità > parodia dell’amore idealizzato del romanzo greco + parodia Odissea Il romanzo di Petronio finge di appartenere ad una letteratura popolare: volgarizzamento dell’epica e della tragedia (da sempre la letteratura di consumo ha come modello quella sublime), comicità (ex: storia Matrona Efeso) > caricatura/parodia di un genere popolare che a sua volta si rifaceva a quello elevato: ridicolizzazione di un procedimento convenzionale Il narratore (Encolpio) è totalmente inaffidabile: egli vive gli eventi della sua quotidiana esistenza in una parodica esaltazione eroica. Elegia, storia, filosofia, declamazione, novella, mimo, pantomimo > mescolanza parodica: sotto la prospettiva unificante e deformata del narratore si dissolve il sistema tradizionale dei generi letterari. La parodia non avviene tramite aggressione diretta: sono le scene a mostrare l’inadeguatezza del genere alto ripreso. Petronio si serve di Encolpio per il processo di caricatura: la sua storia è una parodia continua della narrativa greca idealizzata (antimodello). - La forma del romanzo È complessa come la trama. È un prosimetro (il riferimento più vicino è la satira menippea rappresentata dall’Apokolokyntosis di Seneca) in cui vi sono interventi del narratore che hanno una funzione ironica. Vi sono volgarismi e contrasti. L’originalità di Petronio consiste nella forte carica realistica di una vicenda inverosimile, carattere nettamente distintivo rispetto al romanzo greco. Petronio ha una vivo interesse per la mentalità delle varie classi sociali e per il loro linguaggio quotidiano. Anche questo realismo è ambiguo: qualora vi siano personaggi o scene reali è facile riconoscere la parodia di famosi episodi letterari > il Saty. Non è portavoce di una verità attendibile per il lettore. - I Priapea Raccolta di un anonimo della seconda metà del I sec d.C. che possiamo accostare a Petronio per affinità tematica: sono circa ottanta componimenti di tematica sessuale che ruotano attorno alla figura del dio Priapo. CAPITOLO 5: PERSIO E GIOVENALE - La satira di Persio e Giovenale Nonostante Persio scriva sotto Nerone e Giovenale sotto Nerva e Adriano, i due hanno molti tratti in comune. Entrambi dichiarano di avere come modello la satira di Lucilio e Orazio e trasformano questo genere letterario. Le innovazioni sono: Rivolgersi a un pubblico generico di lettori-ascoltatori e non più a una cerchia di amici, anche se formalmente ci si rivolge ad un singolo La forma del discorso non è più quella della conversazione costruttiva Distacco con l’ascoltatore, il poeta satirico si colloca su un piano più alto L’invettiva prende il posto del tono confidenziale, garbato e autoironico Spinte manieristiche (reazione al classicismo dell’età augustea fiorita nel I sec d.C.) Satira non più da leggere ma da ascoltare, viene recitata in pubblico > retorica - Persio La vita e le opere: nasce in Etruria nel 34 d.C. da una nobile e ricca famiglia. Orfano di padre, è mandato a Roma dove si forma nelle scuole di grammatica e retorica. Conosce Lucano. Scrisse poco e le pubblicazioni sono postume. Le Satire hanno subito successo: componimento-prologo vs le mode letterarie del tempo (invettiva) + 6 componimenti satirici in esametri dattilici. Temi trattati: degenerazione morale della poesia contemporanea, condanna della religiosità ipocrita e del vizio dell’avarizia, tema della libertà, tema politico, filosofia stoica. Dalla satira all’esame di coscienza: Persio, stoico, ha la necessità etica di smascherare la corruzione: il suo spirito polemico e la sua aspirazione alla verità trovano nella satira lo strumento più idoneo a esprimere sarcasmo e invettiva; il maestro non è più amichevole come lo era stato in Orazio, bensì arrabbiato, simile piuttosto al predicatore della diatriba e della invettiva. L’asprezza di Persio è dovuta alla consapevolezza della difficoltà dell’insegnamento, egli è aggressivo poiché non concede prospettive di successo ai suoi insegnamenti > insegnamento inutile: il discorso satirico si ripiega su se stesso > la satira diviene un esercizio per se stessi, è l’itinerario personale di uno stoico che raggiunta la meta si ritira in un luogo appartato simile all’angulus oraziano. Stile e gusto di Persio: egli contrappone la sua poesia a quella mercenaria e vana dei contemporanei. Per descrivere la corruzione dell’uomo, Persio ricorre al campo lessicale del corpo e del sesso usando molte metafore: il vizio morale è associato alla malattia fisica. Gusto della deformazione macabra del reale > allucinato sguardo moralista: nessi contorti, metafore difficili, associazioni sgradevoli > iato: la necessità di chiarezza è contraddetta dall’oscurità dell’artificio stilistico. La fortuna: fu immediata, venne apprezzato dal Medioevo cristiano (moralità) e poi popolarità in declino. - Giovenale La vita e le opere: nasce nel Lazio tra il 50 e il 60 d.C. da una famiglia benestante. Ha una educazione retorica e diviene avvocato. Si dedica in età matura alla attività poetica, dopo la morte di Domiziano e scrive fino al principato di Adriano. Scrive 16 satire in esametri. Temi: vs la moda delle declamazioni, denuncia della corruzione morale (che lo spinge a farsi poeta satirico), vs omosessualità, vs donne (misoginia), satira del rombo (nella IV Domiziano riunisce il consiglio per deliberare su una grave questione: come cucinare un gigantesco rombo). La satira “indignata”: di fronte alla corruzione e al vizio, è l’indignatio la musa del poeta e la satira il genere che meglio esprime la furia del suo disgusto. Giovenale nn crede che la sua poesia possa influire sul comportamento degli uomini giudicati irrimediabilmente corrotti: la sua satira si limita a denunciare senza illusioni di riscatto (distanza da Orazio e Persio in cui la satira si ripiega su se stessa). Astio sociale + risentimento per la mancata integrazione: secondo Giovenale non ci sono più le condizioni sociali che permettono al poeta di integrarsi (ex: circolo di Mecenate), il poeta è bistrattato, relegato nella povertà e ha solo l’amara soddisfazione della invettiva. Deformato sguardo moralista: la società è irrimediabilmente perversa e i ruoli delle classi sociali vengono stravolti. Il bersaglio privilegiato sono le donne libere e emancipate > cupa grandezza di Messalina, la prostituta imperiale. Idealizzazione nostalgica del passato, governato dalla sana moralità agricola vs il corrotto presente cittadino (orientali, liberti, commercianti) > l’indignatio approda a una fuga dal presente: frustrante impotenza di Giovenale. Nel finale l’autore assume un atteggiamento distaccato, simile alla indifferenza stoica: riflessione rassegnata sull’insanabile corruzione del mondo. Lo stile satirico sublime: lo stile non è più dimesso ma simile a quello dei generi letterari alti opposti alla satira (epica e tragedia) > la satira resta realistica ma assume l’altezza di tono conforme all’indignatio dell’autore. Giovenale è innovativo poiché accosta la satira alla tragedia e le conferisce uno stile sublime. Il suo realismo ha una forte spinta deformante, iperbolica. Toni aulici e plebei, sentenze dense, denuncia, invettiva, fissità dei bersagli polemici, topoi moralistici. La fortuna: molto diffuso, ha successo soprattutto nella tradizione satirico-moralistica europea (Ariosto, Parini, Alfieri, Hugo e Carducci). CAPITOLO 6: L’EPICA DI ETA’ FLAVIA Stazio, Valerio Flacco e Silio Italico hanno l’Eneide di Virgilio come modello (chiuso). - Stazio La vita e le opere: nasce a Napoli tra 40 e 50 d.C. e si trasferisce a Roma dove si cimenta con successo in recitazioni pubbliche e gare poetiche. Il suo protettore era Domiziano. Scrive tre poemi epici (Tebaide, Achilleide e il perduto De bello Germanico sulle gesta di Domiziano) e le Silvae (titolo che allude al carattere miscellaneo della raccolta in 5 libri, sono componimenti di lode per patroni e benefattori di modesto successo). La Tebaide è un poema epico in 12 libri che racconta la saga tebana (lotta di Eteocle e Polinice, figli di Edipo). I libri sono divisi in due esadi: la prima ha tratti odissiaci, la seconda iliadici come le due metà dell’Eneide (modello dichiarato = Virgilio). Sul piano ideologico la sua posizione è virgiliana vs Lucano: salvare l’apparato divino dell’epica e renderla più moderna approfondendo la funzione del fato; tuttavia il tema pessimistico della guerra fratricida lo avvicina comunque a Lucano. Una ferrea necessità universale domina la storia: schiacciate dalla predestinazione, le figure umane sono appiattite, Stazio concede poco spazio alle sfumature psicologiche. Visione manichea. Achilleide: incompiuto, narra la vita di Achille in toni distesi e idilliaci. La fortuna: la Tebaide influisce molto per i suoi aspetti quasi manichei. Stazio compare nel Purgatorio dantesco in base alla falsa convinzione che si fosse convertito al cristianesimo. - Valerio Flacco Vita ignota, scrive gli Argonautica, un poema epico rimasto incompiuto all’ottavo libro che narra una serie di vicende corrispondente ai tre quarti del racconto sviluppato dal greco Apollonio Rodio in un’opera omonima. È una rielaborazione della storia d’amore di Giasone e Medea di Apollonio, vi sono riduzioni, aggiunte e modifiche nella psicologia dei personaggi > riscrittura del modello per cercare l’effetto: coinvolgimento emotivo del lettore, pathos e drammatizzazione. Difetti: poco chiaro e lineare, non specifica le coordinate spazio-temporali dell’azione, sembra scrivere per blocchi isolati, come se si interessasse sull’effetto della singola scena più che sulla coerenza dell’insieme. Influenza di Virgilio: elevatezza epica, stile soggettivo secondo il punto di vista dei vari personaggi (psicologizzazione del racconto). Il poeta presuppone che il lettore conosca gli avvenimenti e abbia presente l’opera di Apollonio > testo narrativo difficile e oscuro. Libro XI: tecniche della memorizzazione e dell’arte del porgere Libro XII: requisiti culturali che si richiedono all’oratore e problema dei rapporti col principe L’opera è un programma di formazione culturale che l’oratore deve seguire dall’infanzia fino all’ingresso nella vita pubblica. Quintiliano crede nella educazione e attribuisce il declino dell’oratoria contemporanea alla corruzione dei costumi. Contro lo stile degenerato, egli diventa il punto di riferimento di una reazione classicista che ha come modello Cicerone: libro VIII = vs retori moderni che si ispirano a Seneca (sentenze + ricerca applauso). Quando l’opera è pubblicata attorno al 96 la disputa tra classicisti e modernisti è risolta e si afferma il ciceronianesimo di Quintiliano. All’oratore Quintiliano richiede una vasta preparazione culturale e il suo ideale si avvicina a quello del De oratore ciceroniano. La filosofia non occupa più un posto di rilievo, retorica e cultura letteraria hanno il primato, l’arte del dire ha una dignità morale ed educativa e le buone letture sono importanti per la formazione. Nell’ultimo libro vengono trattati i rapporti tra oratore e principe: l’oratore non mette in discussione il regime ma riconosce nelle sue doti morali un vantaggio per la società prima ancora che per il principe > ideale catoniano vir bonus dicendi peritus, guida per senato e popolo, che all’epoca di Quintiliano è una illusione, quasi una negazione della realtà storica dell’impero. Il contesto: l’età degli imperatori per adozione (II secolo) Un periodo di pace e di stabilità: in questo periodo si instaura tra senato e princeps un clima di collaborazione relativamente serena. È l’età degli imperatori adottivi: Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. L’impero conosce la sua massima estensione anche se non è una età di guerre. Il buongoverno degli imperatori coincide con uno sviluppo economico e con la costruzione di grandi monumenti. Vi sono provvedimenti umanitari e si istituiscono scuole di medio e alto livello. Vengono fondate biblioteche (vedi quella di Traiano nella Basilica Ulpia). Rinasce a Roma la cultura greca: movimento della seconda sofistica. Adriano è detto graeculus per il grande amore che ha per la cultura greca. Egli scrive dei componimenti catulliani e la sua villa a Tivoli diviene un museo di opere d’arte, in particolare greche. L’organizzazione del futuro: età di sotterranei turbamenti: barbari che si accalcano e superano le frontiere sotto Marco Aurelio + diffusione di nuovi culti misterici sconvolgenti per il tradizionale modo di pensare romano: la mentalità religiosa si orientalizza. Si affermano il culto di Iside, Mitra e del Cristianesimo che assorbiscono le filosofie tradizionali come lo stoicismo. Il cristianesimo si diffonde con forza emergente e nasce la prima letteratura cristiana: Acta Martyrum = resoconti di persecuzioni, martiri e miracoli + letteratura apologetica = difesa del cristianesimo vs eresie e paganesimo. CAPITOLO 10: PLINIO IL GIOVANE - La vita e le opere Nasce a Como nel 61 d.C. e viene adottato da Plinio il Vecchio, suo zio materno, di cui assunse il nome. A Roma studia retorica sotto Quintiliano e nel 100 diviene console. In occasione di questa nomina, ottenuta grazie a Traiano, pronuncia in senato il Panegyricus (i panegirici erano nella Grecia classica i discorsi tenuti nelle solennità panelleniche e più tardi il termine indicò l’elogio di un monarca), un discorso di ringraziamento (gratiarum actio) per l’imperatore. Scrive anche 10libri di Epistulae spedite ai vari destinatari tra cui Traiano. Nel 111 è nominato legato imperiale in Bitinia ma muore poco dopo. - Plinio e Traiano Il Panegyricus ci è giunto come testo iniziale di una raccolta di più tardi panegirici, quasi fosse l’inaugurazione del genere letterario “encomio dell’imperatore”. Plinio esalta le virtù di Traino a cui attribuisce il merito di aver restituito la libertà di parola e di pensiero. Dopo la tirannide di Domiziano, Plinio auspica una rinnovata collaborazione fra imperatore e senato: delinea un modello di comportamento per i futuri principi basato sulla concordia. Nonostante il tono ottimistico dell’opera, vi è la preoccupazione che possano salire principi malvagi al potere. Plinio rivendica una funzione pedagogica nei confronti del principe. I reali rapporti tra lui e Traino emergono dallo scambio epistolare (libro X Epistulae, quando Plinio governava la Bitinia): Plinio è un funzionario scrupoloso ma indeciso, informa l’imperatore di ogni problema attendendo direttive. Traiano a volte è un po' infastidito. Famosa è il suo atteggiamento di tolleranza assunto in merito ai cristiani: in mancanza di legislazione, Plinio non deve procedere se non in caso di denunce non anonime. - Plinio e la società del suo tempo A differenza di Cicerone, modello prediletto di Plinio, le lettere di quest’ultimo sono tematiche e lo stile è curato: fin da subito sono concepite per la pubblicazione. Queste lettere sono brevi saggi di cronaca sulla vita mondana, intellettuale e civile. L’autore si rivolge in modo cerimonioso ai suoi interlocutori. Plinio è assiduo frequentatore di recitationes e declamationes e contribuisce ad organizzarle. Egli non è preoccupato come il suo maestro Quintiliano o il suo amico Tacito della crisi della cultura: avverte una decadenza nel gusto degli ascoltatori che sono meno assidui. Egli si occupa per lo più di letteratura frivola e di consumo. Plinio è considerato un autore minore dai lettori moderni anche se ebbe fortuna nel Medioevo. CAPITOLO 11: TACITO - La vita e le opere Publio/Gaio Cornelio Tacito nasce attorno al 55 d.C. nella Gallia Narbonense o Cisalpina da una famiglia di ceto elevato. Studia a Roma e sposa la figlia dell’autorevole comandante militare Giulio Agricola, celebrato nell’operetta biografica De vita et moribus Iulii Agricolae del 98. Ebbe un prestigioso incarico in Gallia o in Germania: trattato etnografico De origine et situ Germanorum o Germania del 98. Dialogus de oratoribus appena dopo il 100 dedicato a un console sulla decadenza dell’oratoria. Historiae e Annales, le opere maggiori scritte negli ultimi anni di vita. - Le cause della decadenza dell’oratoria Il Dialogus ha suscitato dubbi sulla sua autenticità: il periodare ricorda il modello ciceroniano a cui si ispirava Quintiliano più che l’inconcinnitas che caratterizza le opere storiografiche di Tacito. L’insolita classicità dell’opera va attribuita alla sua appartenenza al genere retorico per il quale Cicerone era il modello canonico. Il Dialogus riferisce una discussione che si immaginava avvenuta in casa di Curiazio Materno, retore e tragediografo, tra lui, Marco Apro, Vipstano Messalla e Giulio Secondo alla quale Tacito dice di aver assistito in gioventù. Apro vs Materno in difesa rispettivamente della eloquenza e della poesia Messalla attribuisce la decadenza della oratoria al deterioramento della educazione dell’oratore sia famigliare che scolastica Discorso di Materno (Tacito) che lega la grande oratoria alla libertà/anarchia che regnava al tempo della repubblica, durante le guerre civili > la pratica oratoria è priva di valore in epoca imperiale. Tacito ritiene che l’impero sia l’unica soluzione per salvare lo Stato dalle guerre civili, nonostante ristringa la libertà individuale, ma ciò non significa che accetti il regime imperiale gioiosamente. - Agricola e la sterilità dell’opposizione Opera pubblicata agli inizi del regno di Traino che riporta un’epoca di libertà dopo la tirannide Domizianea. È un opuscolo storico che tramanda la memoria del suocero Giulio Agricola, artefice della conquista di gran parte della Britannia sotto Domiziano e leale funzionario imperiale. Tono encomiastico (laudationes funebri), digressioni geografiche ed etnografiche sulla Britannia. Tacito evidenzia come Agricola, nonostante avesse molto potere, servì con fedeltà lo Stato sotto un pessimo principe come Domiziano. Agricola, caduto in disgrazia presso l’imperatore, mostra anche nella morte la sua diversità: non cerca l’ambitiosa mors di un martirio ostentato. L’elogio di questo personaggio è, di fatto, un’apologia della parte sana della classe dirigente. L’Agricola ha un carattere composito, in essa si intersecano più generi letterari: panegirico, biografia, laudatio funebris, storiografia, etnografia. Modelli: Cicerone nell’esordio, discorsi e finale, Sallustio e Livio nelle parti narrative ed etnografiche. - Virtù dei barbari e corruzione dei romani Germania è l’unica testimonianza rimastaci di una letteratura specificatamente etnografica che a Roma godette di una certa fortuna. Le notizie contenute nell’opera non derivano da osservazioni dirette ma da fonti scritte, la maggior parte tratte dalla documentazione dei Bella Germaniae di Plinio il Vecchio. Tacito vuole esaltare una civiltà ingenua e primordiale non corrotta dai vizi: vi è una implicita contrapposizione tra barbari e romani. Tacito, allarmato dalla frivolezza della società, sembra anche voler mettere in guardia Roma dal pericolo che i barbari erano venuti a costituire. - Le opere maggiori Historiae e Annales sono opere storiche di andamento annalistico che si propongono come monografie (opere a tema). Tema = studio del potere, di come il principato fosse necessario dopo le guerre civili per avere una pace duratura. In queste opere Roma diviene una triste metafora sulla natura malvagia dell’uomo. I primi cinque libri superstiti delle Historiae (originariamente 12 o 14) abbracciano un arco di tempo che va dall’1 gennaio del 69 d.C., anno dei quattro imperatori (Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano), fino alla rivolta giudaica del 70 (excursus sulla Giudea). L’intera opera doveva arrivare fino al 96, anno della morte di Domiziano. Gli Annales sono posteriori alle Historiae; si sono conservati i libri I-IV, un frammento del V e parte del VI, comprendenti il racconto degli avvenimenti dalla morte di Augusto (14 d.C.) a quella di Tiberio (37 d.C.) con una lacuna di un paio di anni. Abbiamo i libri dall’XI al XVI con il racconto dei regni di Claudio e Nerone fino al 66. L’opera (16 o 18 libri) continua la narrazione di Livio (Ab urbe condita). uccello diventa un asino con facoltà raziocinanti umane. Apprende che per riacquistare le sue sembianze deve cibarsi di rose, ma vi riesce solo alla fine del romanzo dopo lunghe peripezie. Libri IV-VII: Lucio asino viene rapito dai briganti e portato in una grotta dove è imprigionata la giovane Càrite che viene sorvegliata da una vecchia. Lucio e Càrite vengono liberati dal ragazzo di lei. La vecchia racconta la favola di Amore e Psiche (libri IV-VI). Libri VIII-X: peripezie di Lucio che passa per le mani di personaggi di vario genere. La dea Iside appare a Lucio e gli rivela come riacquistare forma umana: i fiori che cerca potrà trovarli nella corona di rose di un sacerdote durante una processione in onore della dea. Così avviene. Iniziazione di Lucio che diviene devoto di Osiride e per volere del dio esercita a Roma la professione di avvocato. Per quanto riguarda il genere dell’opera, noi lo consideriamo un romanzo anche se gli antichi non avevano questa categoria. Un elemento indispensabile all’individuazione del genere è il rapporto con le fabulae Milesiae di Aristide di Mileto II sec a.C. (carattere erotico e licenzioso) a cui l’autore riconduce esplicitamente la sostanza dell’opera. Si deve ad Apuleio l’aggiunta dell’elemento magico innovativo: la logica quotidiana dell’astuzia è vanificata dall’irrompere della magia. Un altro modello è il Satyricon di Petronio, per noi romanzo. Fonti: abbiamo un racconto in lingua greca di Lucio di Patre, Lucio o l’asino > difficile stabilire i rapporti di influenza. Sicuramente la finale apparizione di Iside è una innovazione di Apuleio. Nel finale il giovane che si configura come greco in tutto il romanzo è detto Madaurensis, di Madaura come Apuleio: sovrapposizione dell’autore all’io narrante. Apuleio attinge a modelli che hanno per scopo il puro intrattenimento (Lucio Patre: opera ludica-erotica): la sua opera, dichiaratamente finalizzata al semplice svago del lettore, assume in realtà i caratteri del racconto esemplare: Serietà moralistica: la curiositas di Lucio conduce il personaggio a una rovinosa trasformazione da cui sarà liberato dopo una lunga espiazione che cambia radicalmente la sua vita. È dalla favola di Amore e Psiche, volutamente in rilievo ed estesa, che ricaviamo la chiave di lettura del romanzo: Psiche, figlia di un re, suscita l’invidia di Venere per la sua bellezza; la dea ne fa preda di un mostro. La fanciulla, sicura di morire, viene invece portata in un bellissimo palazzo. Qui incontra il suo sposo di cui ignora l’identità: le è proibita la vista, pena la separazione da lui. Istigata dalle sorelle gelose tradisce il divieto (curiositas) e spia Amore dormire: all’inevitabile distacco rimedia l’espiazione a cui Psiche si sottopone attraverso varie prove, tra cui scendere negli Inferi. La novella si conclude con le nozze > la storia riproduce in scala il percorso di Lucio: le sue metamorfosi vanno lette come le prove di espiazione a cui è sottomesso + la vicenda di Iside e l’interpretazione iniziatica va letta in chiave religiosa, tematica presente anche in Amore e Psiche. Il significato allegorico non compromette la leggerezza del racconto, tutto è originariamente fuso. Magico, tragico, comico, epico > sperimentazione di generi diverse che trova corrispondenza nello sperimentalismo linguistico. La continua compenetrazione tra l’elemento mistico-religioso e il tessuto originario della favola milesia costituisce la qualità originalissima dell’opera che si configura come un iter progressivo verso la sapienza (il mondo narrato vive di segni e simboli letterari). - Lingua e stile Vissuto in epoca di fervori arcaizzanti, anche Apuleio risente di queste influenze (ricerca di letterarietà). Piena padronanza di registri diversi variamente combinati (arcaismi, neologismi, volgarismi, poetismi, linguaggi tecnici): le parole sono evocative e la lingua apuleiana richiama continuamente l’attenzione del lettore sulla forma espressiva prima che sul contenuto del messaggio. La prosa dell’opera, che pur rispetta i canoni della retorica classica, chiude, portandolo agli ultimi esiti espressivi, il sistema retorico latino > si sta per aprire la stagione della prosa mediolatina - La fortuna di Apuleio Affascina l’ultimo paganesimo e la cultura medioevale. Boccaccio trascrive il romanzo e commenta la favola di Amore e Psiche: da allora Apuleio è apprezzato ovunque e, con l’invenzione della stampa, ne appaiono varie edizioni in tutti i Paesi europei. Influenza la novellistica europea. CAPITOLO 14: FILOLOGIA, RETORICA E CRITICA LETTERARIA Lo studio filologico e critico dei testi latini giunge a piena maturazione nel periodo che corre dai Flavi agli Antonini. Il lavoro filologico è intrinseco alla stesura della prima letteratura latina in quanto era traduzione/ revisione dal greco. Non è chiaro quando nasca la pratica della filologia (grammatico che interpreta i testi) come professione a parte. Il lavoro dei filologi latini del II sec è ricco e differenziato: ricerche di cronologia, problemi di autenticità, studi linguistici e grammaticali. Inoltre si redigono canoni: graduatorie di poeti ordinate per generi. Mancano ancora a Roma biblioteche statali: il patrimonio librario resta a lungo un fenomeno privato. La filologia dell’età augustea è segnata dall’imporsi di nuovi “classici” quali Cicerone, Virgilio, Orazio: essi diventano subito per i filologi oggetto di studio e analisi. Filone continuo di ricerche su Virgilio: è punto di riferimento per Stazio, Flacco e Silio Italico. - Probo e Frontone Il filologo più importante del I sec sotto i Flavi è lo studioso di Virgilio Probo. Egli si occupò anche di Terenzio ed è lo studioso che più si avvicina alla figura del filologo moderno: vuole restituire edizioni attendibili dei classici, corregge gli errori dei manoscritti, appone segni diacritici, fa annotazioni ed espunge versi inaccettabili. Verso la fine del I sec e l’inizio del II sec d.C. si afferma un movimento arcaizzante che rinnova l’attenzione per gli autori passati: capofila del gusto arcaizzante è Frontone, educatore dei principi Marco Aurelio e Lucio Vero. - Aulo Gellio Scrive le Noctes Atticae, Notti Attiche, una raccolta di appunti presi a veglia durante un inverno trascorso nei pressi di Atene. Gli argomenti spaziano su temi di varia erudizione. L’arcaismo frontoniano lo influenza molto ma questo non si trasforma in dogmatismo. Gellio ha un estremo interesse per tutta la latinità arcaica. CAPITOLO 15: LA POESIA TRA II E III SECOLO D.C. - La poesia nel II secolo d.C. Il II secolo presenta un quadro sociale, artistico e culturale di grande vivacità. Gli anni di Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio non vedono una significativa fioritura di talenti poetici: nell’età dei retori e della erudizione la poesia sembra aver perso ogni centralità culturale. Viene praticato un genere di poesia minore di cui abbiamo scarsi frammenti > filone dei poetae novelli: sono i poetae novi in tono minore, la loro novità non è avanguardistica, ma si alimenta del recupero di elementi arcaici e fuori moda > ricerca di tipo antiquario e arcaizzante (Frontone). La personalità più interessante di questa fioritura minore è l’imperatore Adriano: egli era un uomo di cultura, conosceva profondamente quella greca e incoraggiava l’erudizione. Fu un pregevole versificatore: di lui ci restano pochi versi (ex: “Animula vagula blandula”, un’invocazione all’anima nel presentimento della morte). - La poesia nel III secolo d.C.: gli ultimi prodotti della poetica dei novelli Al filone dei poetae novelli possiamo ricondurre anche gran parte della produzione poetica del III secolo; si tratta di un’epoca non molto feconda per la poesia: pochi autori, poche opere, non molti versi. Molte di queste composizioni sono conservate nella Anthològia Latina, la quale rimanda ad ambienti scolastici. Una costante di queste opere è il tema della natura. PARTE QUINTA: LA TARDA ETA’ IMPERIALE Il contesto: dai Severi a Diocleziano (193-305) I grandi mutamenti sociali: il III secolo è un momento drammatico nella vita di Roma: si indeboliscono le difese e i barbari premono ai confini (popolazioni germaniche). Ciononostante l’impero supera questa estrema crisi prima del definitivo sfaldamento alla fine del V secolo. Contro le spinte separatiste, la dinastia dei Severi promuove una rigorosa politica di accentramento . Editto di Caracalla o Constitutio Antoniniana 212: viene concessa la cittadinanza romana a tutti i liberi residenti nel territorio dell’impero per risanare le disparità, presupposto di iniquità amministrative. Con la fine della dinastia dei Severi nel 235 si apre il periodo più confuso di questo secolo, caratterizzato da un grandissimo numero di imperatori che rimangono in carica mesi o solo pochi giorni (anarchia militare). L’esercito diventa fondamentale per la sopravvivenza dello Stato, e da lui dipende la scelta dell’imperatore. Oltre ai problemi militari ve ne sono di economici, catastrofi naturali, terremoti ed epidemie: assistiamo ad un impressionante calo della popolazione. L’affermarsi del cristianesimo: in questo clima di insicurezza si diffonde il cristianesimo e diventa la religione ufficiale dell’impero. Rispetto a questo credo vediamo l’alternarsi di periodi di tolleranza e persecuzioni. Assistiamo anche al diffondersi di una imponente letteratura cristiana. La scuola e la letteratura erudita: tra III e IV secolo acquisiscono importanza e funzionalità le scuole per formare i burocrati. Nel mondo scolastico sono particolarmente attivi i cristiani. Alla base della istruzione vi sono Cicerone e Virgilio. Fioriscono opere enciclopediche e figure di giuristi. CAPITOLO 3: IL TRIONFO DEL CRISTIANESIMO L’impero di Costantino segna una fase di cambiamenti profondi per il cristianesimo. Editto di Milano 313 d.C. > sancisce la liceità della nuova religione. - La seconda apologetica Dopo l’editto di Costantino gli imperatori cominciano non solo a favorire i cristiani, ma persino a partecipare alle dispute teologiche, interessandosi ai problemi della fede e della chiesa. Gli autori cristiani passano rapidamente da un atteggiamento difensivo a un’attitudine aggressiva e derisoria. Ricordiamo Arnobio, che si distingue per l’aggressività della sua polemica antipagana, il suo discepolo Lattanzio e Materno che si ispira a lui. - La lotta contro le eresie Il IV secolo è il momento di grandi concili e delle grandi eresie (arianesimo, manicheismo, donatismo e pelagianesimo). Le energie che prima erano state profuse nella polemica contro il paganesimo ora si rivolgono contro le eresie. - La letteratura agiografica A partire dalla metà del IV secolo si afferma il nuovo genere della agiografia, cioè il racconto di vite di santi, monaci e vescovi cristiani. Essi hanno una finalità educativa e sono influenzati dalle Passioni e dagli Atti dei martiri risalenti all’età delle persecuzioni. - La poesia cristiana Fin dall’età di Costantino gli autori cristiani avevano scritto in prosa ma, con l’affermarsi definitivo della religione, nasce anche una produzione in poesia. Essa consiste nel rifacimento dei testi sacri con uno stile più alto. Prudenzio e Paolino di Nola: rappresentano due diversi aspetti della poesia cristiana di questi anni, il primo, che deve tutto ai suoi studi e alle sue capacità professionali, è espressione del ceto medio di funzionari dello Stato che costituiva la spina dorsale del tardo impero, il secondo appartiene alla ricca nobiltà senatoria e può compiere il gesto di rinunciare ai suoi beni per essere vicino ai poveri. CAPITOLO 4: I PADRI DELLA CHIESA Gli scrittori cristiani della seconda metà del IV secolo sono chiamati Padri della Chiesa, da cui il nome di patristica, poiché è grazie alla loro mediazione tra cristianesimo e cultura greco-latina che l’analisi dei problemi religiosi ed etici tocca profondità mai raggiunte prima. Essi sono Ambrogio, Girolamo e Agostino. - Ambrogio Egli fu vescovo di Milano. Portò la Chiesa ad intervenire sempre di più nelle vicende del mondo, sostituendosi progressivamente alle decadenti istituzioni politiche (con lui si assiste a una limitazione dell’autorità decisionale dell’imperatore). Per quanto riguarda la letteratura egli scrisse gli Inni (ritmo facile e contenuto edificante, furono usati dapprima nella liturgia milanese e in seguito in quella cristiana in generale) e abbiamo un epistolario. - Girolamo La sua opera principale è la Vulgata, una traduzione in latino della Bibbia. Con essa l’Occidente ebbe finalmente un testo unitario e abbastanza attendibile, destinato a rimanere praticamente fino a oggi come unica versione autorizzata circolante in tutti i Paesi. Rappresentò inoltre, per un Occidente devastato e diviso dalle invasioni germaniche, un fondamentale momento di aggregazione. - Agostino La vita: nasce a Tagaste in Africa. A seguito di una profonda crisi spirituale si accostò al manicheismo. In seguito venne chiamato a Roma per insegnare e ottenne la cattedra di retorica a Milano. Qui l’ascolto del vescovo Ambrogio e della madre Monica, fervida cristiana, lo portarono alla conversione. Battezzato, tornò in Africa dove divenne vescovo di Ippona. Le “Confessiones”: 13 libri, il titolo non si riferisce a una confessione dei peccati, ma alla esaltazione di Dio. È un resoconto autobiografico in cui l’autore traccia la storia del suo itinerario spirituale dai primi passi ostacolati dal peccato (furto delle pere) fino alla conversione. Col decimo l’autobiografia lascia il posto a riflessioni filosofiche che negli ultimi tre libri sono sviluppate sotto forma di commento al testo biblico della creazione. Il “De civitate Dei”: sono 22 libri che contengono risposte alle accuse pagane dopo il sacco di Roma del V secolo. Viene teorizzata l’esistenza di due città, una divina e quella terrena dell’uomo: la prima è destinata a morire, l’altra all’eternità. Agostino smitizza il grande passato dei romani e nei primi libri è trattata una minuta polemica contro fatti, persone e credenze relative alla storia di Roma. Pensiero e stile di Agostino: egli narra un complicato itinerario individuale e ritiene, da bravo uomo di chiesa, che fosse suo dovere raggiungere il più debole e incolto dei suoi fedeli, perciò si sforza di scrivere per tutti e non solo per una élite di studiosi. Il contesto: da Onorio a Odoacre (410-476) e la fine dell’impero d’Occidente La caduta dell’impero segna il progressivo frantumarsi di ogni controllo centralizzato. Mentre l’impero d’Oriente sopravviverà ancora per un millennio, quello d’Occidente viene frantumato con l’arrivo dei barbari. I forti tracolli della economia pesano sui ceti umili, spesso esasperati dalla tassazione fino alla rivolta, mentre latifondisti e ricchi senatori armano eserciti privati per difendersi. L’arrivo dei germani non è così traumatico (amministrazione e burocrazia rimangono quelle romane), mentre il vero pericolo è costituito dagli unni. La paura nei loro confronti cessa con la morte di Attila e con il ritirarsi di questi in Pannonia. La cultura antica continua ad essere tramandata e insegnata: anche i barbari capiscono la necessità delle scuole. Come nel IV secolo, continuano a fiorire raccolte grammaticali ed enciclopediche. CAPITOLO 5: LA LETTERATURA DEL V SECOLO - Marziano Capella Avvocato cartaginese, compone un’enciclopedia dell’erudizione antica, il De nuptiis Mercurii et Philològiae o Philològia. L’opera, datata alla prima metà del V secolo, è in prosa (anche se contiene frequenti parti in versi) e si configura come una summa della cultura e delle scienze antiche. Vi è una cornice che serve a rendere meno pesante la trattazione > scena epitalamica: Mercurio dona alla sposa Philologia sette delle nove discipline liberali (Grammatica, Dialettica, Retorica, Geometria, Aritmetica, Astronomia e Musica; vengono escluse Medicina e Architettura). Sono le discipline stesse, nei libri successivi ai primi due, a esporre in prima persona le loro abilità davanti al Senato celeste riunito per le nozze. Lo stile di Marziano è difficile, retorico e pieno di rimandi classici. - Cronaca e storiografia cristiana Nel V secolo l’egemonia culturale passa ai cristiani anche in questo campo. La novità più importante di questa produzione storiografica, carente del metodo e del rigore di quella pagana, è l’esigenza continua di sottoporre gli eventi a una linea di interpretazione unitaria secondo un disegno provvidenziale. Contrariamente ad Agostino, Orosio, autore delle Historiae adversus paganos, ritiene che l’impero romano sia voluto da Dio per facilitare la diffusione e l’affermazione del cristianesimo. Egli crede nella possibilità della cultura romano-cristiana di assorbire i barbari. - Storie romanzate Continua, con un certo successo, la produzione di queste narrazioni fantastiche > ex: De excidio Troiae historia del V o VI secolo in cui l’autore, che finge di essere Cornelio Nepote e di dedicare la sua opera a Sallustio, presenta la vicenda di Troia dal punto di vista dei frigi: si tratterebbe di una traduzione latina dall’originale di un sacerdote troiano ricordato nell’Iliade, Darete Frigio. - La nuova poesia Rutilio Namaziano Merobaude Sidonio Apollinare CAPITOLO 6: GLI ALBORI DEL MEDIOEVO La letteratura latina non finisce con la fine dell’impero: nonostante la nascita dei vari generi di volgare romanzo e la distanza sempre più netta tra lingua letteraria e lingua parlata, il latino rimarrà ancora per secoli l’unica lingua scritta e la tradizione degli autori classici non conoscerà interruzione. La letteratura in latino continua ad essere il principale strumento di conservazione del sapere. I generi più importanti che influenzeranno profondamente il Medioevo sono enciclopedie, raccolte di saperi e prontuari scientifici.