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Riassunto completo manuale di diritto dell'Unione Europea L. Daniele, ultima edizione, Sintesi del corso di Diritto dell'Unione Europea

riassunto dettagliato e completamente integrativo per lo studio del manuale di diritto dell'unione europea di l. daniele, ultima edizione (2018). indice: - introduzione: le origini e lo sviluppo del processo di integrazione europea - parte i: il quadro istituzionale - parte ii: le procedure decisionali - parte iii: l'ordinamento dell'ue - parte iv: diritto dell'ue e soggetti degli ordinamenti interni - parte v: il sistema di tutela giurisdizionale - parte vi: le competenze dell'ue

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 14/05/2020

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Scarica Riassunto completo manuale di diritto dell'Unione Europea L. Daniele, ultima edizione e più Sintesi del corso in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! Riassunti diritto dell’Unione Europea Introduzione: Le origini e lo sviluppo del processo di integrazione europea INTEGRAZIONE EUROPEA SECONDO IL METODO DELLA COOPERAZIONE GOVERNATIVA E SECONDO IL METODO COMUNITARIO Alla fine della seconda guerra mondiale si afferma la convinzione della necessità di un processo di integrazione europea, come unico rimedio per il ripetersi di eventi tanto luttuosi. Questo movimento nasce solo tra gli Stati dell'Europa occidentale, favorito anche dalla contrapposizione tra il blocco filo-americano e quello filo-sovietico. Gli Stati dell'Europa orientale danno infatti vita a forme alternative di aggregazione militare (Organizzazione del Patto di Varsavia) ed economica (Comecon), facenti riferimento all'Unione Sovietica. Solo dopo la caduta del muro di Berlino e lo scioglimento della stessa Unione Sovietica, questi Stati hanno iniziato a partecipare alle forme di integrazione di matrice occidentale. L'integrazione dell'Europa occidentale segue due metodi distinti: 1) Un metodo tradizionale, c.d. COOPERAZIONE INTERGOVERNATIVA: gli Stati collaborano tra loro come soggetti sovrani, creando apposite strutture per organizzare tale cooperazione. Le caratteristiche di questo metodo sono le seguenti: a. prevalenza di organi di stati: negli organi principali dell'organizzazione siedono persone che agiscono come rappresentanti dello Stato di appartenenza e seguendo le direttive da questo impartite. b. prevalenza del principio dell'unanimità: le deliberazioni degli organi principali dell'organizzazione vengono assunte prevalentemente all'unanimità o per consenso, in modo che ciascuno stato ha il potere di opporsi, c.d. diritto di veto. c. assenza o rarità del potere di adottare atti vincolanti: le deliberazioni dell'organizzazione hanno prevalentemente natura di raccomandazioni; le ipotesi in cui è prevista l'adozione di decisioni vincolanti nei confronti degli Stati membri costituisce l'eccezione e sono in genere subordinate al principio di unanimità. Il metodo della cooperazione governativa viene applicato dagli Stati dell'Europa occidentale in diversi settori: a. nel settore della cooperazione militare, bisogna ricordare: l'UEO (Unione dell'Europa Occidentale), creata nel 1948 da un gruppo di 10 stati europei per fronteggiare il rischio di aggressione da parte dell'Europa orientale, il cui organo principale è il Consiglio (che è composto dai rappresentanti permanenti degli Stati o, quando si riunisce a livello ministeriale, dai Ministri degli esteri e della difese, e prende le decisioni all'unanimità); dalla NATO (Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico), fondata con il Trattato di Washington del 1949, che non è una organizzazione europea in senso geografico, infatti ad essa aderiscono anche stati extra europei, come gli Stati Uniti e il Canada, il cui organo principale è il Consiglio del Nord Atlantico (che è composto dai rappresentanti permanenti degli Stati o, quando si riunisce a livello L'autonomia di cui gode la CECA e il fatto che potesse vincolare non solo gli Stati membri ma anche soggetti degli ordinamenti interni induce a usare per la prima volta il termine di ente sovranazionale. La CECA fu un tale successo che nel giro di pochi anni gli stessi 6 paesi decisero di estendere il modello di questa organizzazione ad altri settori dell'economia. Questa idea viene espressa nella Conferenza di Messina del 1955, in cui il politico belga Spaak formula un duplice progetto: l'idea di un mercato comune generale; la necessità di prevedere un regime speciale per il settore relativo all'uso pacifico dell'energia atomica. Questo porta ai Trattati di Roma del 1957, che sono: • il Trattato che istituisce la Comunità Europea dell'Energia Atomica (CEEA o Euratom): questa organizzazione è ancora in vita, ma con un rilievo limitato, in quanto venne creata nell'ottica che l'energia atomica sarebbe stata il futuro. • il Trattato che istituisce la Comunità Economica Europea (TCE), la quale in seguito al Trattato sull'Unione Europea firmato a Maastricht nel 1992 (TUE) la sarà denominata Comunità Europea (CE): con essa gli Stati membri si prefissero l'obiettivo di rimuovere le barriere commerciali tra loro esistenti per creare un mercato comune, il che comportò la libera circolazione delle merci, delle imprese e anche dei lavoratori. In questo modo le comunità diventano 3 (l'altra è la CECA). La struttura istituzionale delle nuove comunità rispecchia quella della CECA, in quanto comprende 4 istituzioni: la Commissione, che corrisponde all'Alta Autorità della CECA, il Consiglio, l'Assemblea parlamentare e la Corte di giustizia. Tuttavia questi trattati hanno oggetto e natura diversa: • il trattato CECA ha per oggetto un solo settore dell'economia e può essere definito come un trattato legge, in quanto stabilisce nel dettaglio la disciplina di questo settore, sicchè il potere dell'Alta autorità può essere definito come un potere meramente amministrativo e la Corte di giustizia è configurata come un giudice amministrativo. --> gli Stati accettano di delegare questo potere a una autorità indipendente come l'Alta Autorità. • Il TCE invece ha per oggetto tutta l'economia e può essere inoltre ritenuto un trattato quadro, in quanto la disciplina è molto meno definita e spesso si limita a enunciare obiettivi e principi generali, di conseguenza le istituzioni della CE sono chiamate a esercitare un vero e proprio potere legislativo. --> gli Stati membri non possono accettare di delegare un potere del genere a una autorità indipendente come la Commissione, ma lo attribuiscono al Consiglio, in cui sono direttamente rappresentati. L’UNIFICAZIONE DEL QUADRO ISTITUZIONALE Dopo i trattati firmati a Roma vi sono quindi 3 comunità distinte: la CECA, la CE e la CEEA, ciascuna dotata di proprie istituzioni e regole. Ci si pone l'obiettivo della fusione delle tre comunità: • il primo passo viene compiuto già con la firma dei Trattati di Roma, cui si allega una convenzione che mette in comune alle tre comunità 2 istituzioni: l'Assemblea parlamentare e la Corte di Giustizia. • la seconda tappa è costituta da un trattato del 1965 sulla fusione degli esecutivi, che istituisce un Consiglio e una Commissione unici delle Comunità europee. • la terza tappa si è realizzata con la scadenza del trattato CECA, avvenuta nel 2002: gli Stati membri hanno infatti rinunciato alla possibilità pure prevista di rinnovarlo. In questo modo il settore carbo-siderurgico è rientrato nel campo di applicazione del mercato comune generale del TCE. MODIFICHE NELLA MEMBERSHIP Per quanto riguarda le modifiche nella membership (NB: i trattati istitutivi non possono essere considerati veri e propri trattati aperti ai sensi del diritto internazionale, ma prevedono una procedura che permette l'adesione di ulteriori Stati europei) dal nucleo originario dei 6 Stati della Piccola Europa si è arrivati a un totale di 28 stati membri: • 1973: Danimarca, Irlanda e Regno Unito • 1981: Grecia • 1986: Portogallo e Spagna • 1995: Austria, Finlandia e Svezia • 2004: Repubblica Ceca, Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria • 2007: Bulgaria e Romania • 2013: Croazia • Stati candidati: Albania, Macedonia, Montenegro, Serbia e Turchia • candidati potenziali: Bosnia-Erzegovina e Kosovo • 2016: gli elettori del Regno Unito chiamati a esprimersi in un referendum hanno votato per l'uscita dall'Unione, c.d. Brexit, esercitando così per la prima volta il diritto di recesso previsto dall'art 50 TUE --> la procedura per il recesso, aperta ufficialmente nel 2017, porterà entro 2 anni all'uscita del Regno Unito dall'UE, il che comporterà aggiustamenti di rilievo per esempio nella composizione del Parlamento europeo e di quorum per il calcolo della maggioranza qualificata in seno al Consiglio e al Consiglio europeo, e per altro verso potrebbe influire sul modo di concepire la stessa UE e la sua natura. RIDUZIONE DEL DEFICIT DEMOCRATICO Uno dei grandi problemi che la struttura istituzionale presentava, e che presenta ancora oggi in parte, è il c.d. deficit democratico (il principio democratico è infatti parte dei valori su cui l'Unione è fondata e che sono comuni agli Stati membri cfr. art 1 del TFUE e art 2 del TUE): l'istituzione dotata di maggiori poteri era infatti il Consiglio, composto dai rappresentanti dei Governi degli Stati membri, cioè dai rappresentanti del potere esecutivo di questi ultimi; invece l'Assemblea parlamentare (chiamata Parlamento europeo a partire dal 1986, con l'Atto unico europeo), rappresentativo dei parlamenti nazionali cioè del potere legislativo degli Stati membri, aveva funzioni puramente consultive. Per risolvere il problema del deficit democratico, bisognava quindi ampliare i poteri del Parlamento europeo, in modo da creare una sorta di sistema bicamerale, costituito da una camera dei rappresentanti degli Stati, ovvero il Consiglio, e una camera di rappresentanti eletti dai cittadini, cioè il Parlamento. Il carattere bicamerale del sistema appare necessario per tenere conto della duplice fonte di legittimazione su cui l'azione dell'UE si fonda: da un lato la volontà dei cittadini, che si esprime attraverso l'elezione a suffragio universale dei membri del Parlamento europeo; dall'altro la volontà degli Stati membri, che si esprime attraverso i rappresentanti dei rispettivi governi nel Consiglio (e nel Consiglio Europeo). L'ampliamento dei poteri del Parlamento è avvenuto per tappe: • all'inizio degli anni 70 sono stati approvati dei Trattati di bilancio, che hanno attribuito al Parlamento europeo, che prima svolgeva una funzione puramente consultiva, anche poteri in merito all'approvazione del bilancio unificato delle 3 comunità. • nel 1976 si introduce il suffragio universale diretto per l'elezione dei membri del Parlamento europeo, che prima erano designati da ciascun Parlamento nazionale tra i rispettivi componenti: in questo modo il Parlamento diventa l'unica istituzione che può vantare una legittimazione democratica derivante dal voto popolare. • nel 1986 si giunge alla firma dell'Atto Unico Europeo (AUE), con cui, per quanto riguarda i poteri del Parlamento europeo, si introducono 2 novità: a. la procedura di un parere conforme, che impedisce al Consiglio di approvare determinati atti senza l'approvazione parlamentare; b. la procedura di cooperazione, che offre al Parlamento europeo maggiori opportunità per influire sulle deliberazioni del Consiglio, essendo questo costretto in certi casi a ricorrere al voto unanime per superare l'opposizione parlamentare. • nel 1992 viene concluso a Maastricht il Trattato sull'Unione europea (TUE), con cui, per quanto riguarda i poteri del Parlamento europeo, si introduce la procedura di codecisione, con la quale può dirsi che si realizzi un sistema bicamerale, in cui nessuna delle istituzioni è in grado di imporre all'altra la propria volontà, sicchè ogni atto approvato è attribuibile a entrambe. • nel 1997 viene concluso il Trattato di Amsterdam con cui la procedura di codecisione viene estesa a numerosi altri settori e la procedura stessa viene modificata e resa più rapida e efficace. • infine con il Trattato di Lisbona si ha un rafforzamento dei poteri del Parlamento e in generale un rafforzamento del carattere democratico dell'UE: c. da un lato si estende il campo di applicazione della procedura di codecisione, che viene ribattezzata procedura legislativa ordinaria; d. dall'altro, per la prima volta i parlamenti nazionali sono chiamati dai trattati a svolgere un ruolo di controllo e opposizione soprattutto per quanto riguarda l'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. tuttavia anche dopo il Trattato di Lisbona per alcune materie di competenza dell'Unione il Parlamento europeo mantiene funzioni puramente consultive. comunitario: in alcune ipotesi il Consiglio può deliberare a maggioranza qualificata e si accentua il grado di obbligatorietà degli atti che il Consiglio può adottare. Con il Trattato di Lisbona del 2007 la Comunità Europea cessa di esistere come ente autonomo e viene incorporata nell'Unione Europea da cui fino ad allora era distinta, nel senso che si realizza la pressochè totale soppressione della struttura a pilastri, ovvero in altri termini a quasi tutte le materie dell'integrazione europea si applica il metodo comunitario. Il risultato è raggiunto attraverso un'ampia revisione del Trattato sull'Unione Europea (TUE) e del Trattato sulla Comunità Europea (TCE): mentre il primo conserva la sua denominazione, il secondo è rinominato Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE). S Si parla di soppressione pressochè totale dei pilastri in quanto viene meno solo la distinzione tra primo e terzo pilastro, nel senso che anche la Cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale viene a far parte del primo pilastro ed è ricondotta sotto il titolo del TFUE dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Questo porta a delle novità sul piano istituzionale: eliminazione di ogni distinzione tra i tipi di atti che le istituzioni possono adottare, con conseguente soppressione degli atti tipici del terzo pilastro, in particolare le decisioni quadro; applicazione in molti casi della procedura legislativa ordinaria; estensione alle materie di terzo pilastro della odinaria competenza della Corte di giustizia. Rimangono invece notevoli differenze per quanto riguarda l'ex secondo pilastro, cioè la PESC, la cui disciplina è quasi interamente riservata al TUE: la PESC rimane soggetta a un regime speciale per quanto riguarda gli atti da adottare e le procedure decisionali e la quasi totale assenza di competenza della Corte di Giustizia. L'EUROPA A PIU' VELOCITA' La riconduzione al metodo comunitario delle forme di cooperazione che prima si basavano sul metodo intergovernativo ha come effetto collaterale una contaminazione dello stesso metodo comunitario. Un esempio di questa tendenza è costituito dal ricorso a forme di cooperazione differenziata, cos' detta perchè applicabile a un numero ristretto di Stati membri (fenomeno c.d. dell'Europa a più velocità o dell'Europa à la carte). Questo fenomeno nasce come soluzione a cui si ricorre quando si consata che l'estensione della competenza comunitaria a un nuovo settore o la previsione di poteri d'azione comunitari più efficienti (soluzioni che richiederebbero la revisione dei trattati e quindi l'accordo di tutti gli Stati membri) rischiano di essere bloccate per l'opposizione di un numero molto limitato di Stati membri: in questi casi si preferisce rinunciare all'idea di una integrazione uguale per tutti e permettere agli Stati che lo desiderano di andare avanti senza gli Stati contrari: • Un primo esempio riguarda l'Accordo di Schengen del 1985: si tratta di un accordo realizzato in ambito non comunitario, in quanto riguarda in origine solo 5 Stati membri (Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi). Gli obiettivi erano i seguenti: abolizione dei controlli sistematici delle persone alle frontiere interne dello spazio Schengen; rafforzamento dei controlli alle frontiere esterne dello spazio Schengen; collaborazione delle forze di polizia e possibilità per esse di intervenire in alcuni casi anche oltre i propri confini (per esempio durante gli inseguimenti di malavitosi); coordinamento degli stati nella lotta alla criminalità organizzata di rilevanza internazionale (per esempio mafia, traffico d'armi, droga, immigrazione clandestina). Questo accordo inizialmente nato al di fuori della normativa comunitaria, ne divenne parte con il Trattato di Amsterdam, ma sottoforma di cooperazione rafforzata, in quanto ad essa rimasero estranei il Regno Unito e l'Irlanda. • Un secondo esempio riguarda l'Unione Economica e Monetaria (UEM): alla terza fase dell'UEM, quella che prevede l'adozione dell'euro come unica moneta avente corso legale non partecipano infatti tutti gli Stati membri. Questo è dovuto in parte al mancato rispetto dei parametri previsti dal TFUE, mentre invece per il Regno Unito e la Danimarca si prevedono delle clausole di opting-in, con cui possono decidere se aderire o meno alla moneta unica, anche se rispettano i parametri citati. • Un terzo esempio è costituito dal Trattato di Amsterdam: a. con esso vengono previste apposite clausole a favore del Regno Unito, dell'Irlanda e della Danimarca, che consentono a tali Stati di non essere vincolati dalle misure adottate in base al nuovo titolo del TCE nei settori dei visti, diritto d'asilo, immigrazione e circolazione dei cittadini di paesi terzi (materie prima rientranti nel pilastro GAI). La posizione di questi 3 Stati è confermata dal Trattato di Lisbona, che li esclude in generale dall'applicazione del titolo dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia del TFUE, ma questo titolo ha a oggetto anche la cooperazione giudiziaria in materia penale e la cooperazione di polizia, il che comporta che questi Stati sono sottratti all'applicazione di atti dell'UE anche in settori in cui prima erano soggetti allo stesso trattamento degli altri Stati. b. inoltre il Trattato di Amsterdam crea un apposito istituto per permettere l'adozione di iniziative di integrazione limitate ad alcuni Stati membri, c.d. cooperazione rafforzata. c. tuttavia il più grave caso di cooperazione differenziata appare il Porotocollo n. 30 sull'applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell'UE alla Polonia e al Regno Unito: attraverso lo strumento della cooperazione rafforzata si è permesso a questi due Stati si accettare il carattere vincolante della Carta con alcune riserve che non si applicano agli altri Stati membri. IL TRATTATO DI RIFORMA DI LISBONA PREMESSA: Nel 2004 viene firmato a Roma il Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, destinato a rimpiazzare tutti i trattati esistenti. Nonostante il ricorso al termine Costituzione, il testo firmato si presenta come un nuovo trattato, di natura simile a quella dei trattati precedenti. Il testo è diviso in 4 parti: 1) nrome generali sulle competenze, istituzioni, atti e membership, norme in materia di cittafinanza, vita democratica e finanze; 2) Carta dei diritti fondamentali dell'UE; 3) disposizioni del TCE e del TUE che non hanno trovato collocazione nella prima parte; 4) norme generali e finali, tra cui quelle sul procedimento di revisione ordianria e sull'entrata in vigore. Come ogni trattato, la sua entrata in vigore è subordinata dalla ratifica fatta dagli Stati contraenti conformemente alle rispettive norme costituzionali. In questo caso l'entrata in vigore del trattato è bloccata da 2 referendum negativi avvenuti in Francia e Paesi Bassi che ne bloccano la ratifica. Dopo questa sconfitta, gli Stati membri si dedicano a predisporre un nuovo testo di trattato, che rinunciando agli aspetti più controversi del Trattato costituzionale, sia in grado di ottenere l'approvazione prima dei governi degli Stati membri e poi dei parlamenti nazionali e degli elettori in caso di referendum. Questo lavoro è svolto semplicemente incorporando nel testo degli attuali TUE e TCE le innovazioni contenute nel Trattato costituzionale: questo porta in tempi rapidi all'approvazione del Trattato che modifica il Trattato sull'Unione Europea e il Trattato che istituisce la Comunità europea, firmato a Lisbona nel 2007. • Elementi di continuità rispetto al Trattato costituzionale: trasformazione del Consiglio europeo in una istituzione vera e propria, creazione di un Presidente stabile di questo organismo eletto per 2 anni e mezzo, nuova carica di Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, rafforzamento del ruolo del Presidente della Commissione, riduzione della composizione del Parlamento europeo e della Commissione, generalizzazione della procedura legislativa orginaria corrispondente alla vecchia procedura di codecisione. • Elementi di discontinuità: • Scelta di procedere a una decostituzionalizzazione della riforma privandola di quelle caratteristiche di eccezionalità e originalità che avrebbero dovuto distinguerla dalle riforme precedenti. Questa scelta ha avuto numerose manifestazioni: a. la prima manifestazione ha carattere formale: non si procede più all'abrogazione del TUE e del TCE ma ci si limita ad emendarli, tuttavia, dovendo inserirvi molte delle novità previste dal Trattato costituzionale, subiscono modifiche molto rilevanti, in particolare: il TUE è completamente riscritto, mentre invece il TCE, oltre a subire profonde modifiche, cambia anche nome e si trasforma nel Trattato sulo funzionamento dell'Unione europea (TFUE), in quanto la soppressione della Comunità europea non giustificava più l'esistenza di un trattato a sè stante. In questo modo l'Unione Europea risulta fondata su 2 trattati: il TUE e il TFUE, che diventa contenitore di quelle disposizioni giudicate di livello meno importante rispetto a quelle riservate al TUE. b. la seconda manifestazione ha carattere terminologico, ovvero non vengono più usati termini che sembrano alludere a una natura superstatuale dell'UE: non si usano più i termini costituzione e costituzionale, è soppresso l'art sui simboli dell'UE, la nuova figura del ministro degli esteri dell'UE assume la denominazione più tradizionale di Alto rappresentante, tra gli atti giuridici dell'UE non figurano più la categoria delle leggi e delle leggi quadro. c. la terza manifestazione è di contenuto e consiste nell'eliminare alcune novità che avvicinavano il nuovo trattato a una vera e propria costituzione: è soppresso l'art sul primato del diritto dell'UE su quello degli stati membri, è eliminata la parte che riproduceva la Carta dei diritti fondamentali dell'UE, non è più previsto che l'UE approvi delle leggi o delle leggi quadro. • Altre differenze rispetto al Trattato costituzionale si sono invece rese necessarie per tenere conto dei ripensamenti euro-scettici emersi in alcuni Stati membri dopo il fallimento del Trattato costituzionale. d. Per questo vengono inseriti una serie di meccanismi di garanzia a favore degli Stati membri, che sono di 2 tipi: 1) alcuni consentono a uno o più Stati membri di bloccare o almeno di ritardare l'assunzione di decisione alle quali siano contrari: l'esempio più eclatante è il nuovo sistema di calcolo della maggioranza qualificata in sede di Consiglio, basate su un meccanismo simile al Compromesso di Ionnina (un numero di membri che rappresentano i 3/4 o il 55% della popolazione dell'UE o degli Stati membri può chiedere una proroga della discussione, precludendo al Consiglio la possibilità di passare subito alla votazione. 2) altri meccanismi permettono a uno o più Stati membri di sottrarsi alla obbligatorietà di certe parti dei trattati o di certi atti delle istituzioni o di accettare di esserne vincolati ma in maniera diversa rispetto agli altri continuano a svolgere quasi tutte le funzioni essenziali che costituiscono gli attributi tradizionali della sovranità statale. La pretesa statualità dell'Unione Europea è oggetto di disamina da parte delle corti costituzionali di alcuni stati membri. Infatti le disposizioni delle varie costituzioni nazionali che consentono a ciascuno stato di partecipare al processo di integrazione europea e permettono l'accettazione delle necessarie limitazioni di sovranità o il trasferimento di porzioni di essa alle istituzioni europee non contemplano l'ipotesi di una fusione degli Stati membri in una nuova entità europea di tipo federale. Sentenza Lissabon Urteil del 2009 sulla ratifica del Trattato di Lisbona: la Corte Costituzionale federale tedesca afferma che la legge fondamentale tedesca e in particolare il suo articolo 23 "non autorizza gli organi della Germania a rinunciare al diritto di autodeterminazione del popolo tedesco nelle forme della sovranità internazionale della Germania entrando in uno stato federale". Il trasferimento della sovranità a un nuovo soggetto di legittimazione è riservato esclusivamente a una dichiarazione immediata di volontà del popolo tedesco. La costituzionalità delle leggi di ratifica dei trattati originali e di quelli che li hanno modificati presuppone quindi che l'Unione non assuma la natura di stato federale e soprattutto che i singoli membri non siano privati della propria sovranità individuale. La natura non statuale dell'Unione è legata ad alcune sue caratteristiche riscontrabili anche dopo il Trattato di Lisbona, le quali costituiscono i limiti massimi di espansione nel processo di integrazione europea che le costituzioni nazionali possono tollerare: 1. Mancanza del potere di definire autonomamente le proprie competenze. Questa caratteristica è legata al principio di attribuzione (art 5 TUE): a differenza di uno Stato l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che ne sono attribuiti dai Trattati e per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. L'Unione non gode quindi della c.d. competenza delle competenze, dipendendo l'estensione dei suoi poteri, ma anche gli obiettivi che attraverso tali poteri deve perseguire, da quanto hanno deciso gli stati membri nei trattati. --> L'importanza di questa caratteristica porta le corti costituzionali a guardare con sospetto quelle clausole che consentono una espansione delle competenze dell'Unione senza necessità di procedere a una modifica dei trattati. Sentenza Lissabon Urteil del 2009 sulla ratifica del Trattato di Lisbona: in questa sentenza la Corte Costituzionale tedesca si sofferma con attenzione sulla nuova versione della clausola di flessibilità (art 352 TFUE) che consente all' Unione l'adozione di azioni pur in mancanza di una specifica attribuzione di poteri da parte dei trattati. La Corte Costituzionale esige che prima di dare il proprio assenso a una proposta basata su questo articolo il governo tedesco ottenga la ratifica da parte del parlamento nazionale come se si trattasse di una vera e propria modifica dei trattati. Nella stessa sentenza La Corte Costituzionale ribadisce la sua competenza a controllare che gli atti dell'Unione rispettino i limiti della competenza trasferita riservandosi di dichiarare incostituzionale eventuali atti ultra vires. 2. Necessità del consenso unanime degli Stati membri per modificare i trattati. Questa caratteristica attiene alla natura dei trattati: se l'Unione fosse stato federale i trattati ne rappresenterebbero la costituzione e sarebbero quindi modificabili attraverso procedure che richiedono maggiorati particolarmente elevate, ma non l'unanimità degli Stati membri. Il fatto che invece, sia nella procedura di revisione ordinaria disciplinata dall'articolo 48 del TUE sia in quelle semplificate, ci sia bisogno del consenso unanime di tutti gli stati membri dimostra come i trattati abbiano ancora la natura di Trattati internazionali conclusi da stati sovrani. Sentenza Mastricht Urteil (1993) sulle clausole passerela: in questa sentenza la Corte Costituzionale tedesca mostra di attribuire importanza a questa caratteristica. In una serie di ricorsi costituzionali contro la legge di ratifica del TUE si sostiene che il nuovo trattato comporta una compressione permanente e sempre più ampia dei poteri del parlamento tedesco: ne risulterebbe così violato il principio democratico di cui all'articolo 38 della legge fondamentale. La corte respinge i ricorsi facendo leva sulla constatazione che ciascuna modifica del TUE , sia essa adottata in base all'articolo 48 o in base alle procedure speciali semplificate, presuppone una approvazione data dagli Stati membri conformemente alle loro rispettive regole costituzionali. Sentenza Lissabon Urteil del 2009 sulla ratifica del Trattato di Lisbona: la Corte Costituzionale non cambia parere di fronte alle numerose clausole previste dal trattato per facilitare la procedura da seguire per taluni tipi di modifica minori dei trattati, nella misura in cui queste clausole non prescindono dalla ratifica da parte dei parlamenti di tutti gli stati membri. La Corte manifesta invece delle riserve per la procedura semplificata prevista dall'articolo 48, c.d. procedura passerella, che consente al Consiglio Europeo con delibera unanime di prevedere che il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata invece che all'unanimità o che l'atto venga approvato secondo la procedura legislativa ordinaria invece che secondo la procedura legislativa speciale. La procedura prevede che in casi del genere ciascun Parlamento Nazionale possa entro sei mesi comunicare la sua posizione impedendone entrata in vigore della modifica. Secondo la corte costituzionale tedesca una modifica così descritta causerebbe una perdita di controllo da parte del governo tedesco sul processo decisionale dell'Unione e richiede quindi una ratifica da parte del parlamento tedesco ai sensi dell'articolo 23 della legge fondamentale. Il governo tedesco non può perciò votare a favore di una proposta di applicazioni in applicazione dell'articolo 48 prima di aver ottenuto la ratifica parlamentare. 3. Idea di recesso unilaterale di uno Stato membro ai sensi dell'articolo 52: questa terza caratteristica dimostra che l'unione è una libera associazione di stati ciascuno dei quali può decidere di mettere fine alla sua partecipazione in base a una sua scelta; questa clausola non trova alcun equivalente in altre costituzioni nemmeno di tipo federale. SECONDA DOMANDA: Escluso che l'Unione sia uno Stato, la seconda domanda che occorre porsi è se: 1) l'unione costituisca una forma, per quanto molto avanzata, di organizzazione internazionale, cioè un ente creato dagli Stati europei per poter operare tra di loro su base stabile in determinati settori e poter raggiungere obiettivi comuni oppure 2) se invece si tratta di una struttura intermedia che non essendo ancora uno stato non è nemmeno una semplice organizzazione internazionale. Nella seconda ipotesi l' Unione sarebbe una realtà originale estranea agli schemi noti e dinamica, in quanto soggetta a un continuo e inesorabile processo di trasformazione e rafforzamento. Ciò che distingue l'Unione è il fatto che in suo favore gli stati membri hanno trasferito porzioni della propria sovranità: l'Unione è quindi un ente titolare di una sua sovranità, pur trattandosi di una sovranità parziale, perché limitata alle materie previste dai trattati, e derivata, perché frutto di un conferimento ad opera degli Stati membri e non di un atto o di un fatto autonomo. Sentenza Van Gend & Loos (1963): in questa sentenza emerge per la prima volta l'idea che la CEE fosse titolare di poteri sovrani. Un giudice olandese voleva sapere se un articolo del TCE, ora abrogato (che vietava agli Stati membri di aumentare i dazi doganali esistenti al momento dell'entrata in vigore del trattato, cosiddetta clausola di stanstill) può essere invocato da un'impresa di import-export che lamenta l'applicazione nei suoiconfronti di un dazio maggiorato. Smentendo la tesi del governo olandese, secondo cui questo articolo è una norma che disciplina i rapporti tra gli stati membri e non può essere invocata da un soggetto privato, la Corte di Giustizia risponde affermativamente affermando per la prima volta l'efficacia diretta di una norma del TCE. Secondo la corte la Comunità costituisce un ordinamento giuridico nuovo nel campo del diritto internazionale, a favore di cui gli stati hanno rinunciato anche se in settori limitati a i loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti non sono gli stati membri, ma anche i loro cittadini. Nella visione della Corte, gli stati membri istituendo la comunità non si sarebbero limitati ad assumere reciprocamente una serie di impegni sul piano internazionale, ma avrebbero attribuito al nuovo ente alcuni poteri sovrani e il carattere sovrano di tali poteri deriverebbe dalla circostanza che l'ordinamento del nuovo ente, come ogni ordinamento statuale, tocca direttamente anche i cittadini ed esprime quindi un potere di governo, sia pure parziale e di tipo normativo. Sentenza Costa v. Enel (1964): il giudice conciliatore di Milano interroga la corte sulla compatibilità tra la legge di nazionalizzazione dell'energia elettrica e alcuni articoli del TCE. Il governo italiano manifesta dubbi quanto all'utilità della questione, partendo dall'assunto che il giudice nazionale è comunque tenuto ad applicare la legge anche se in contrasto con il trattato. La corte respinge l'argomento enunciando per la prima volta il principio del primato delle norme del TCE rispetto alle norme nazionali. La Corte afferma che a differenza dei comuni trattati internazionali, il Trattato CEE ha istituito un proprio ordinamento giuridico integrato nell'ordinamento giuridico degli Stati membri che i giudici nazionali sono tenuti a osservare. Secondo la corte istituendo l'unione, gli Stati hanno limitato, seppure in settori circoscritti, i loro poteri sovrani e hanno quindi creato un complesso di diritto vincolante per i loro cittadini e per loro stessi. Di questa idea sono testimoni anche le costituzioni degli Stati membri che si sono dotate di apposite clausole europee per consentire la partecipazione al processo di integrazione e il trasferimento di competenze statali all'Unione. Infatti se la sottoscrizione dei trattati sull'Unione rappresentasse solo l'accettazione di vincoli internazionali come altri non scriverebbe la necessità di clausole del genere. Di questa idea è anche la giurisprudenza delle corti costituzionali nazionali che hanno riconosciuto l'efficacia diretta e il primato del diritto di fronte sovranazionale rispetto a quello di fonte nazionale (è pur vero che tale accettazione ha richiesto del tempo e non è priva di riserve), cfr. giurisprudenza della Corte Costituzionale italiana e di quella tedesca. Questo implica che nei settori che i trattati attribuiscono alla competenza dell'unione, le corti costituzionali riconoscono che il potere di governo, sul piano della potestà normativa, non appartiene più gli stati membri. La seconda domanda richiede quindi una risposta positiva: l'unione non è una semplice organizzazione internazionale, ma è dotata, nei settori che sono stati attribuiti alla sua competenza o in alcuni di essi, di poteri assimilabili a quello di un vero e proprio Stato. L'attuale assetto ovviamente non è definitivo: gli stati membri potrebbero scegliere di proseguire sul cammino di attribuire competenze sempre più numerose all'Unione, in modo da rinunciare alla propria sovranità individuale; viceversa gli stati potrebbero decidere di sciogliere l'Unione oppure uno di essi potrebbe esercitare il diritto di recesso unilaterale previsto dall'articolo 50 TUE. partire dal Trattato di Lisbona è dubbio se questo principio sia ancora vigente, in quanto: da un lato l'art 48 del TUE permette che i trattati siano modificati nel senso di ridurre anzichè di ampliare le competenze dell'UE; dall'altro l'art TFUE, che disciplina l'esercizio delle competenze concorrenti dell'UE, chiarisce che gli Stati membri esercitano nuovamente la loro competenza nella misura in cui l'UE ha deciso di esercitare la propria, quindi sarebbe legittimo un atto dell'UE che, derogando all'acquis, decidesse di non esercitare più una competenza di tipo concorrente, con l'effetto di lasciare mano libera agli Stati interessati per quanto riguarda quel settore. PARLAMENTO EUROPEO E' una istituzione politica: originariamente chiamato Assemblea, poi Assemblea parlamentare, l'istituzione ha assunto la denominazione di Parlamento europeo solo dall'Atto unico europeo (AUE). Composizione (art 14 TUE): il Parlamento europeo è composto di rappresentanti dei cittadini dell'Unione. • In origine il TCE diceva che il Parlamento europeo era composto dai rappresentanti dei popoli degli Stati membri riuniti nella Comunità: la nuova formulazione si collega alla previsione dell'art 22 del TFUE, secodno cui il diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni per il Parlamento europeo che si tengono in uno Stato membro spetta anche ai cittadini di altri Stati membri, che siano residenti nel territorio del primo, il che ha indotto qualcuno a pensare che esista un popolo europeo formato da tutti i cittadini dell'Unione (cfr. in senso contrario la sentenza Lissabon Urteil del 2009 sulla ratifica del Trattato di Lisbona). • I membri sono eletti a suffragio universale diretto: originariamente tale elezione avveniva in maniera indiretta, ossia tramite i Parlamenti nazionali; è stato solo con la decisione 787/1976 che si è stabilito il metodo del suffragio universale diretto e successivamente con la decisione 772/2002 si sono fissati altri principi comuni. • Ai sensi dell'art 223 del TFUE, l'elezione dei membri del Parlamento deve avvenire secondo una procedura e principi uniformi, che devono essere approvati secondo una procedura legislativa speciale che avviene secondo le seguenti tappe: iniziativa del Parlamento europeo; delibera all'unanimità del Consiglio; approvazione del Parlamento europeo; approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. La disciplina in vigore si limita a stabilire alcuni principi comuni: carattere proporzionale del voto, regime delle incompatibilità (in particolare è vietato il doppio mandato, cioè il cumulo della carica di membro del Parlamento europeo con quella di membro del parlamento nazionale), principio un elettore - un voto, periodo di svolgimento delle elezioni e momento di inizio dello spoglio delle schede elettorali. • Mandato e numero (art 14 TUE): la durata del mandato è di 5 anni; per quanto rigaurda il numero l'art 14 TUE si limita a stabilire che: a. il numero max non può essere superiore a 750, più il presidente. b. la rappresentanza è garantita in modo degressivamente proporzionale, cioè il numero dei parlamentari deve essere proporzionato al numero di popolazione dello stato, degressiva nel senso che il trattato tenta di garantire una rappresentanza anche agli Stati meno popolati. c. a nessuno Stato membro possono essere comunque assegnati più di 96 seggi e meno di 6. d. il numero totale e la distribuzione dei seggi tra gli Stati membri è disposta con una decisione del Consiglio europeo, adottata su iniziativa del Parlamento europeo e con la sua approvazione: il Consiglio europeo ha adottato la decisione prevista, attenendosi al numero max originario di 751 e stabilendo la distribuzione secondo il principio della proporzionalità degressiva. Organi del Parlamento europeo: il Parlamento europeo dispone di alcuni organi, tra cui: • il Presidente, che dirige i lavori del Parlamento e lo rappresenta nelle relazioni internazionali, nelle cerimonie, negli atti amministrativi e giudiziari. • il Presidente è assistito da 14 vice-presidenti assieme ai quali costituisce l'Ufficio di Presidenza, con funzioni consultive. • i membri del Parlamento sono organizzati in Gruppi politici: il numero minimo di componenti è 25, provenienti da almeno 1/4 degli Stati membri. • i presidenti dei Gruppi parlamentari con il Presidente del Parlamento costituiscono la Conferrenza dei presidenti, che decide sull'organizzazione dei lavori e tiene rapporti con le altre istituzioni e i Parlamenti nazionali. Funzionamento: il Parlamento europeo lavora in aula, dove possono partecipare tutti i membri, oppure in commissione, dove le commissioni possono essere di 2 tipi: • commissioni permanenti, che sono disciplinate dal regolamento interno del Parlamento e hanno la duplice funzione di predisporre relazioni sulle proposte di carattere legislativo deferite dal parlamento e predisporre relazioni di propria iniziativa. • commissioni speciali e commissioni temporanee d'inchiesta, che vengono istituite di volta in volta. Funzioni (art 14 TUE): il Parlamento europeo ha 4 funzioni: • Funzione di decisione: in realtà il Parlamento non ha un autonomo potere di iniziativa legislativa, ma ha un potere di sollecitazione, cioè può chiedere alla Commissione di esercitare il proprio, ma senza effetti vincolanti (cfr più avanti) • Funzione di controllo politico: per esercitare queste funzioni il Parlamento dispone di numerosi canali attraverso cui riceve informazioni sull'operato di altre istituzinoi e in misura minore degli Stati membri e dei privati. tali strumenti si distinguono in: a. strumenti istituzionali: 1) l'informazione è assicurata in primis dalla presentazione al Parlamento di relazioni o rapporti da parte di altre istituzioni soprattutto della Commissione, di cui la più importante è la relazione generale annuale, presentata dalla Commissione; vi sono poi delle relazioni che la Commissione deve presentare su specifici campi, come quella in materia di cittadinanza o quella in materia di coesione economica e sociale. anche il Presidente del Consiglio europeo presenta al Parlamento europeo una relazione dopo ciascuna riunione. 2) interrogazioni: i parlamentari possono presentare delle interrogazioni scritte a cui l'istituzione interrogata deve rispondere. 3) audizioni, cioè sedute in cui viene ascoltata la posizione di una istituzione su certe tematiche. b. canali di informazione derivanti dall'iniziativa di individui: 1) petizioni: qualsiasi cittadino dell'Unione, nonchè qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia sede sociale in uno Stato membro, ha il diritto di presentare al Parlamento petizioni su una materia che rientra nel campo di attività dell'UE. 2) denunce: ciascuno può presentare al Parlamento denunce di infrazione o cattiva amministrazione nell'applicazione del diritto dell'Unione, riguardo a cui il Parlamento può decidere di istituire una commissione temporanea di inchiesta, eccetto quando i fatti in questione siano pendenti dinanzi a una giurisdizione e fino all'espletamento della procedura giudiziaria. 3) ricorso al Mediatore europeo: ai sensi dell'art 228 TFUE, qualsiasi cittadino dell'UE, nonchè qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia sede sociale in uno Stato membro, può rivolgersi al Mediatore europeo per lamentare casi di cattiva amministrazione nell'azione delle istituzioni e degli organi dell'UE, salvo la Corte di giustizia nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali. Il Mediatore, ispirato all'esperienza scandinava dell'ombudsman, è una persona indipendente e autorevole, nominata dal Parlamento europeo: una volta ricevuto il ricorso, il Mediatore effettua le proprie indagini e, se ritiene che vi sia un caso di cattiva amministrazione, si rivolge all'istituzione interessata, che dispone di 3 mesi per comunicare il proprio parere; sulla base delle risposte fornite, il Mediatore elabora una relazione che trasmette al Parlamento, all'istituzione e alla persona ricorrente; il Mediatore è quindi privo di un potere coercitivo, ma può contare sul prestigio della sua funzione per ottenere un intervento dell'istituzione interessata o, in mancanza, del Parlamento. Causa P. Lamberts (2004): la Corte, confermando la sentenza del Tribunale di primo grado, dichiara ricevibile un ricorso per risarcimento proposto dal signor Lamberts contro il Mediatore per i danni subiti in conseguenza del trattamento negligente di una denuncia. • Poteri sanzionatori e controllo giurisdizionale: c. l'unica istituzione nei confronti di cui il controllo del Parlamento può tradursi in un potere sanzionatorio è la Commissione, in quanto tra queste due istituzioni vi è un vero e proprio rapporto di fiducia, che deve sussistere al momento della nomina della commissione e deve permanere per tutto il mandato della stessa: il Parlamento può infatti proporre una mozione di censura (art 234 TFUE), ma tale atto, una volta presentato, può essere discusso solo dopo 3 giorni dal deposito e deve essere votato con scrutinio pubblico e approvato da 2/3 dei voti espressi e a maggioranza dei membri che compongono il Parlamento; l'approvazione determina le dimissioni collettive dei membri della Commissione, con la precisazione che per quanto riguarda l'Alto rappresentante le dimissioni riguardano solo le funzioni che esercita in seno alla Commissione (NB: nella storia non è mai stata approvata nessuna mozione di censura). d. invece per quanto riguarda il controllo del Parlamento nei confronti del Consiglio, questo non si traduce in poteri sanzionatori, sicchè per tutelare le proprie prerogative e impedire che possano essere violate da altre istituzioni, si è attribuita al Parlamento la facoltà di usare il sistema di controllo giurisdizionale prevista dai trattati, presentando ricorso alla Corte di giustizia contro atti o comportamenti del Consiglio compiuti senza rispettare i poteri parlamentari. ALTO RAPPRESENTANTE DELL'UNIONE PER GLI AFFATI ESTERI E LA POLITICA DI SICUREZZA Si tratta di una carica istituita dal Trattato di Lisbona, prevista all'art 18 TUE. Questa carica è una evoluzione della funzione che in precedenza il Trattato di Amsterdam attribuiva al Segretario generale del Consiglio. Funzioni: la figura dell'Alto rappresentante è stata introdotta per aumentare la coerenza tra le varie componenti dell'azione esterna dell'Unione, riconoscendogli le seguenti funzioni: • guida la PESC, con il compito di formulare proposte per l'elaborazione di tale politica e di attuarla, in qualità di mandatario del Consiglio. • è presidente del Consiglio affari esteri. • è uno dei vicepresidenti della Commissione. Nomina e mandato: la procedura di nomina rispecchia la sua duplice qualità di organo del Consiglio e di membro della Commissione, infatti la procedura coinvolge sia il Consiglio europeo sia il Presidente della Commissione. La nomina spetta al Consiglio Europeo a maggioranza qualificata, con l'accordo del Presidenet della Commissione. La durata del mandato coincide con quella degli altri membri della Commissione, salva la pox per il Consiglio europeo di porre fine anticipatamente al suo mandato con le stesse modalità applicabili alla nomina. IL CONSIGLIO EUROPEO Come il Consiglio, è anch'esso un organo di Stati, in quanto è composto da soggetti che rappresentano direttamente i singoli Stati membri di appartenenza (sulle origini cfr. supra). Composizione (art 15 TUE): la composizione attuale è la seguente: • Capi di Stato e di governo degli Stati membri (dove per Capi di Stato si intende praticamente solo il Presidente della Repubblica francese, che è anche capo dell'esecutivo) • il Presidente • il Presidente della Commissione • inoltre è prevista la partecipazione ai lavori dell'Alto rappresentante: non è dunque un vero e proprio membro del Consiglio europeo, ma la sua partecipazione ai lavori è prevista in quanto, presiedendo il Consiglio affari esteri, dovrebbe farsi portatore delle opinioni espresse dai ministri in quella sede. Presidente del Consiglio europeo: prima del Trattato di Lisbona, il presidente del Consiglio europeo era il Capo di Stato o di governo dello Stato membro che deteneva la persidenza del Consiglio, secondo il sistema di rotazione semestrale in vigore in passato. Con il Trattato, per dare maggiore continuità ai lavori, è stata prevista una apposita carica. • nomina e durata (art 15 TUE): il Consiglio europeo elegge il presidente a maggioranza qualificata per un mandato di 2 anni e mezzo, rinnovabile una volta (potenzialmente 5 anni, che corrispondono alla durata della legislatura del Parlamento europeo e al mandato della Commissione); con la stessa procedura il Consiglio europeo può porre fine al mandato del Presidente in caso di impedimento o colpa grave. • non sono specificati i requisiti personali che la persona eletta deve possedere, tranne la precisazione che non può esercitare un mandato nazionale. • funzioni (art 15 TUE): assicurare la preparazione e la continuità dei lavori del Consiglio europeo, in cooperazione con il presidente della Commissione e in base ai lavori del Consiglio Affari generali; rappresentare l'Unione per le materie relative alla politica estera e alla sicurezza comune, fatte salve le attribuzioni dell'alto rappresentante. E' quindi evidente un rischio di sovrapposizione tra il presidente del Consiglio europeo e il presidente della Commissione, da un lato, e l'Alto rappresentante, dall'altro. Modo di deliberazione: tradizionalmente il modo tipico è il consenso (art 15 TUE), che si forma senza bisogno di votare, quando nessuno dei membri si oppone al testo presentato dal Presidente. Il Trattato di Lisbona prevede però anche dei casi in cui il Consiglio europeo può deliberare a maggioranza qualificata (per esempio per nominare il Presidente) e in questo caso vale la stessa definizione applicabile al Consiglio. Sottolineando che il Presidente del Consiglio europeo e il Presidente della Commissione non partecipano al voto. Funzioni (art 15 TUE): • funzione di indirizzo: è il supremo organo di indirizzo dell'intera UE, infatti l'art 15 dice che il Consiglio europeo dà all'UE gli impulsi necessari al suo sviluppo e ne definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali. • compiti decisional: con il Trattato di Lisbona il Consiglio europeo non è più solo un organo di indirizzo, ma i trattati gli assegnano compiti decisionali che incidono sulla vita e l'operare dell'UE. Mentre in passato si riteneva che le deliberazioni del Consiglio europeo avessero per lo più natura politica e non producessero effetti giuridici, ora alcuni di essi, benchè privi di natura legislativa, producono effetti giuridici talora di grande rilevanza, infatti gli atti del Consiglio europeo che producono effetti giuridici nei confronti di terzi sono menzionati tra quelli soggetti a sindacato di legittimità da parte della Corte di giustizia. • presidenza collegiale dell'UE: in alcune ipotesi il Consiglio europeo si delinea come una sorta di presidenza collegiale dell'Unione, interprete dell'interesse generale, per sempio ha un ruolo determinante nella nomina degli organi monocratici, come il proprio Presidente, l'Alto rappresentante e il Presidente della Commissione. • organo con poteri costituzionali: in altre ipotesi si configura come un organo dotato di poteri di tipo costituzionale, laddove è chiamato prendere decisioni che integrano o danno attuazione a disposizioni dei trattati (decisione che stabilisce la composizione del Parlamento europeo, decisione che stabilisce l'elenco delle formazioni del Consiglio, decisione con cui viene stabilito il sistema di rotazione della presidenza del Consiglio) o decisioni che hanno l'effetto di sostituirsi ad alcune loro disposizioni (per es quelle assunte nel quadro della procedura semplificata di revisione dei trattati). • istanza di appello rispetto al Consiglio: in alcuni settori il Consiglio europeo può essere adito da uno Stato membro che non vuole subire una decisione presa a maggioranza qualificata dal Consiglio, ottenendo di bloccare o rinviare la decisione. Esempi del genere sono previsti nel settore della PESC e della Cooperazione giudiziaria in materia penale. LA COMMISSIONE Diversamente da Consiglio e Consiglio europeo, è un organo di individui, essendo composta da persone che non sono legate da un vincolo di rappresentanza a uno Stato membro. Composizione: ha subito nel tempo numerosi cambiamenti. • numero: attualmente l'art 17 TUE attribuisce al Consiglio europeo di scegliere con deliberazione unanime se antenere il numero dei componenti della Commissione a 2/3 degli Stati membri, compresi presidente e Alto rappresentante, fissando un sistema di rotazione assolutamente paritaria, o se stabilire un maggiore numero degli stessi. In attuazione di questo impegno, il Consiglio europeo ha adottato all'unanimità la decisione che stabilisce che la Commissione è composta da un numero di membri, compreso Presidente e Alto rappresentante, pari al numero degli Stati membri. • requisiti: i membri della Commissione devono soddisfare requisiti relativi alla loro indipendenza e professionalità, infatti in base all'art 17 TUE i membri sono scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e tra persone che offrono garanzie di indipendenza. Con una deroga al dovere di indipendenza costituita dall'art 18 TUE relativo all'Alto rappresentante, a cui è permesso di agire come mandatario del Consiglio. • mandato: dura 5 anni, durata armonizzata con quella del mandato dei membri del Parlamento europeo. Ma il mandato dei singoli membri o dell'intera Commissione può anche terminare anticipatamente in caso di dimissioni individuali (che possono anche essere pronunciate d'ufficio da parte della Corte di giustizia per violazione degli obblighi derivanti dalla loro carica) o collettiva (in caso di approvazione di una mozione di censura da parte del Parlamento europeo ai sensi dell'art 17 TUE). • procedura di nomina (art 17 TUE): avviene in diverse fasi: 1. individuazione del candidato alla carica di Presidente, effettuata dal Consiglio europeo che decide a maggioranza qualificata. 2. elezione del candidato Presidente da parte del Parlamento europeo. 3. deliberazione del Consiglio, di comune accordo con il Presidente eletto, con cui adotta l'elenco delle altre personalità selezionate in base alle proposte presentate dagli Stati membri; la decisione del Consiglio va adottata a maggioranza qualificata. 4. il Presidente, l'Alto rappresentante e gli altri membri della Commissione sono soggetti collettivamente a un voto di approvazione da parte del Parlamento europeo: il Parlamento procede a audizioni separateper ciascuna persona proposta come membro, quindi è possibile che il Parlamento manifesti opposizione nei confronti di uno o più membri specifici e minacci per questo di non approvare l'intera commissione. • grande sezione, formata da 15 giudici, tra cui il presidente, vicepresidente e 3 presidenti delle sezioni a 5; è convocata quando lo richiede uno Stato membro o una istituzione dell'UE che è parte in causa o per prassi, se la causa è di notevole importanza. • seduta plenaria, con la partecipazione di tutti i giudici: oltre a ipotesi particolare, può essere convocata ove la Corte reputi che un giudizio pendente dinanzi a essa rivesta una iportanza eccezionale. Funzioni: • principalmente la Corte esercita funzioni giurisdizionali (art 19 TFUE: la Corte assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati). cfr più avanti • la Corte di giustizia ha anche funzioni consultive, in base a cui non è chiamata a decidere una controversia, ma ad esprimere un parere. I pareri della Corte hanno un valore parzialmente vincolante, perchè il loro contenuto condiziona il comportamento delle istituzioni e degli Stati membri. L'ipotesi più importante è prevista all'art 218 del TFUE in materia di accordi internazionali dell'UE: uno Stato membro, il Parlamento europeo, il Consiglio o la Commissione possono domandare il parere della Corte di giustizia circa la compatibilità di un accordo previsto con i trattati. In caso di parare negativo, l'accordo non può entrare in vigore salva modifica dello stesso o revisione dei trattati: il parere negativo della Corte non ha un effetto propriamente ostativo, ma rende necessario ricorrere alla procedura di revisione dei trattati prevista all'art 48 TUE, salvo che l'accordo previsto sia modificato in modo da eliminare le ragioni del parere negativo. IL TRIBUNALE DELL'UNIONE EUROPEA Fonti normative: oltre alle disposizioni del TFUE (artt 254 e 256), ricordiamo lo Statuto della Corte di giustizia e il regolamento di procedura approvato dallo stesso Tribunale, di concerto con la Corte di giustizia e sottoposto all'apporvazioned el Consiglio che delibera a maggioranza qualificata. Composizione: • numero: in base all'art 19 TUE, il Tribunale è composto di almeno 1 giudice per Stato membro, ma l'art 254 TFUE specifica che il numero dei giudici è stabilito dallo Statuto della Corte di giustizia. In applicazione di questo lo Statuto della Corte di giustizia ha elevato il numero dei giudici, che attualmente sono 47 e a partire da settembre 2019 il Tribunale sarà composta da 2 giudici per Stato membro. • nomina avviene di comune accordo dai governi delgi Stati membri (art 254 TFUE); mandato dura 6 anni ed è rinnovabile; i giudici eleggono tra loro un presidente che resta in carica per 3 anni; requisiti: quelli di indipendenza sono uguali a quelli richiesti per i membri della corte, mentre per quelli di professionalità è richiesto un livello meno elevato. Funzionamento: circa le formazioni di giudizio, il Tribunale funziona normalmente in sezioni composte da 3 o 5 giudici, ma il regolamento di procedura disciplina anche i casi in cui si riunisce in seduta plenaria, in grande sezinoe o statuisce nella persona di un giudice unico (art 50 Statuto). Giurisdizione: il Tribunale ha una duplice natura: • in genere è giudice di primo grado, essendo il primo giudice a pronunciarsi sulle cause che rientrano nella sua competenza e le pronunce emesse come giudice di primo grado sono soggette a impugnazione davanti alla Corte di giustizia, entro il termine di 2 mesi a decorrere dalla notifica della decisione da impugnare. NB: in questi casi non si può parlare di un vero e proprio doppio grado di giudizio, infatti l'impugnazione delle pronuncia del Tribunale davanti alla Corte non costituisce un giudizio d'appello, in quanto l'impugnazione è limitata ai soli motivi di diritto (cfr. ricorso per Cassazione), mentre invece il giudizio sul fatto si esaurisce divanzi al Triunale ed è oggetto di un unico grado. • solo rispetto alle cause che fossero assegnate alla competenza dei tribunali specializzati, attualmente non prevsiti, il Tribunale opererebbe come giudice di secondo grado, in quanto potrebbe conoscere delle impugnazioni proposte contro le sentenze di primo grado dei tribunali sepcializzati. Competenza: attualmente il Tribunale è competente in primo grado per tutte le azioni e cause che non siano riservate alla competenza esclusiva e in grado unico della Corte di giustizia, sottolineando che la competenza del Tribunale non copre tutte le azioni sottoposte al giudizio della Corte (ciò vuol dire che alcune cause restano soggette al giudizio di unico grado della Coret di giustizia). Per quanto riguarda le competenze dirette l'art 256 del TFUE attribuisce al Tribunale la competenza a conoscere i ricorsi di cui agli artt 263-265-268-270-272, a eccezione di quelli che lo Statuto riserva alla Corte di giustizia. Per capire quali dei ricorsi detti rientrino nella competenza del Tribunale bisogna esaminare gli artt 50-bis e 51 dello Statuto: • art 50-bis: attribuisce al Tribunale la competenza a decidere sulle controversie tra l'UE e i suoi agenti (c.d. contenzioso del personale) • art 51: il Tribunale è inoltre competente in primo grado: a. per i ricorsi proposti dalle persone fisiche o giuridiche contro le istituzioni e gli altri orfani; b. per i ricorsi di annullamento e in carenza proposti da uno Stato membro contro la Commissione; c. per i ricorsi di annullamento proposti da uno Stato membro contro il Consiglio aventi ad oggetto: decisioni adottate ai sensi dell'art 108 TFUE (aiuti di Stato alle miprese); atti adottati in forza di un regolamento relativo a misure di difesa commerciale (es. anti-dumping) ai sensi dell'art 207 TFUE; atti di esercizio da parte del Consiglio di competenze di esecuzione ai sensi dell'art 291 TFUE (tutti atti con natura esecutiva). --> vediamo quindi che la competenza del Tribunale è stabilita in base a criteri personali (tutti i ricorsi delle persone fisiche e giuridiche, compresi quelli del personale delle istituzioni e alcuni di quelli degli Stati membri, mai ricorsi delle istituzioni), ma anche in base a criteri materiali e in parte in base al tipo di ricorso. Invece restano soggetti alla competenza in unico grado della Corte di giustizia: • tutti gli altri ricorsi che uno Stato membro potrebbe proporre, in particolare quelli diretti contro il Parlamento, contro il Consiglio o contro entrambe questi istituzioni nei casi in cui statuiscono congiuntamente, ma anche i ricorsi per infrazione rivolti contro altri stati membri. • tutti i ricorsi proposti da una istituzione, siano essi rivolti contro uno Stato membro (ricorsi per infrazione) oppure contro un'altra istituzione (ricorsi interistituzionali). NB: l'art 256 TFUE contempla anche la possibilità di attribuire al Tribunale una competenza pregiudiziale in materie specifiche determinate dallo Statuto, ma per adesso lo Statuto non prevede alcuna materia in cui sia stabilita questa competenza. I TRIBUNALI SPECIALIZZATI A partire dal Trattato di Nizza è stata prevista la pox di istituire dei Tribunali specializzati accanto alla Corte di giustizia e al Tribunale, incaricati di conoscere in primo grado alcune categorie di ricorsi proposti in materie specifiche. Le sentenze dei tribunali specializzati sono impugnabili davanti al Tribunale per soli motivi di diritto o, se il regolamento ititutivo lo prevede, anche per motivi di fatto. Il riesame della decisione del Tribunale davanti alla Corte di giustizia è previsto eccezionalmente entro i limiti previsti dallo Statuto ove sussistano gravi rischi per l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione (per queste hp eccezionali ci saranno quindi 3 gradi di giudizio). In passato nel 2004 era stato istituito un tribunale specializzato, il Tribunale della funzione pubbliac dell'UE (TFP), che venne successivamente abolito nel 2016 nell'ottica di una ridefinizione del sistema giurisdizionale dell'UE, determinando il trasferimento dei suoi membri e delle sue competenze, nonchè delle cause pendenti, al Tribunale. LA CORTE DEI CONTI E' un organo di invidiui, in quanto non rappresenta istanze governative. Composizione: comprende un cittadino di ciascuno stato membro (art 285 TFUE); i membri sono nominati dal Consiglio a maggioranza qualificata, previa consutazione del Parlamento europeo, conformemmente alle proposte presentate da ciascuno Stato membro; il mandato dura 6 anni; i requisiti di indipendenza e professionalità sono li stessi previsti per i giudici della Corte di giustizia. Funzioni (artt 285 e 287 TFUE): compito di assicurare il controllo dei conti dell'Unione, nel senso che deve: esaminare i conti di tutte le entrate e le spese dell'Unione, nonchè quelli di ogni organo creato dall'Unione, nella misura in cui l'atto costitutivo non esclusa tale esame; controllare la regolarità delle entrate e delle spese e riferisce su ogni caso di irregolarità. L'atto più rilevante in cui si estrinseca questa funzione è la relazione annuale che viene redatta allla fine di ogni esercizio, la quale è trasfmessa alle altre istituzioni ed è pubblicata sulla GU. NB: non dispone invece del potere di annullare eventuali atti irregolari o di impedirne l'esecuzione. COMITATO ECONOMICO E SOCIALE E COMITATO DELLE REGIONI (ART 13 TUE) Il quadro istituzionale dell'UE è completato da numerosi altri organi che svolgono funzioni consultive o preparatorie, tra cui questi due comitati. Si tratta di organi di individui, in quanto i membri non sono vincolati da mandato da parte degli Stati di appartenenza. Parte II: Le procedure decisionali Procedure decisionali = sequenza di atti o fatti richiesta dai trattati affinchè la volontà dell'UE si possa manifestare attraverso determinati atti giuridici. Le procedure decisionali hanno prevalentemente carattere interistituzionale, in quanto si compongono di atti o fatti provenienti da più di una istituzione, in particolare dalle istituzioni politiche. A seconda della procedura decisionale applicabile nei vari settori, il ruolo rispettivo delle istituzioni cambia: in alcuni settori, prevalgono le istituzioni rappresentative degli Stati membri o viene richiesto che tagli istituzioni deliberino all'unanimità; in altri settori le procedure pongono su un piano di parità il Consiglio e il Parlamento europeo. Molto spesso le procedure decisionali necessitano dell'iniziativa della Commissione; altre volte l'iniziativa può venire anche da altre istituzioni o da uno Stato membro o da un gruppo di essi. Nei settori che prima del Trattato di Lisbona costituivano il II e il III pilastro dell'UE le procedure decisionali si caratterizzano per la sopravvivenza di elementi più tipici del metodo di cooperazione intergovernativa che di quello comunitario: questo vale soprattutto per il settore PESC, in cui si seguono procedure decisionali proprie, ma anche nel settore "Spazio di libertà, sicurezza e giustizia" sono previste delle varianti di notevole importanza. La disciplina delle procedure decisionali è stabilita direttamente dai trattati ed è quindi inderogabile dalle istituzioni, perciò un atto adottato da una di esse non può modificare le procedure previste o istituire procedure diverse da quelle istituite nei trattati. Questo principio è stato affermato nella causa Parlamento europeo c. Consiglio (2008): il Parlamento chiede l'annullamento di alcuni articoli di un atto del Consiglio recante norme sulle procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato che prevedono, per l'adozione dell'elenco dei paesi c.d. sicuri, una procedura modellata su quella della consultazione. Il Parlamento invece sostiene che l'elenco deve essere approvato secondo la procedura di codecisione, disciplinata dall'attuale art 289 TFUE, come prescritto dalla base giuridica pertinente. Quindi la Corte accoglie il ricorso del Parlamento e indica che per l'adozione dell'elenco va applicata la procedura di codecisione. Tuttavia bisogna segnalare la tendenza a inserire nei trattati delle disposizioni che attribuiscono alle istituzioni il potere di disporre il passaggio da una procedura decisionale a un'altra, in genere a favore della procedura legislativa ordinaria o di modificare alcuni elementi delle procedure previste, in genere sostituendo l'unanimità in sede di Consiglio con la maggioranza qualifiacta. L'espressione più imporante si trova all'art 48 TUE, che prevede una procedura di revisione semplificata finalizzata a questo tipo di modifiche. Il TFUE disciplina le procedure decisionali distinguendo tra le procedure che portano all'adozione di atti legislativi e quelle che portano all'adozione di atti non legislativi. Le prime vengono dette procedure legislative e sono: • procedura legislativa ordinaria = di applicazione generale, consiste nell'adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione (art 294 TFUE) • procedure legislative speciali = si applicano nei soli casi previsti dai trattati e consistono nell'adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo con la partecipazione del Consiglio o da parte di quest'ultimo con la partecipazione del Parlamento europeo (art 289 TFUE). --> a differenza della procedura ordinaria, che è largamente tipizzata, le procedure speciali hanno in comune solo la partecipazione di entrambi il Parlamento europeo e il Consiglio, mentre l'esatto svolgimento di ciascuna è definito dalle disposizioni dei trattati che lo prevedono; tuttavia è possibile individuare 2 modelli prevalenti ovvero la procedura di consultazione e la procedura di approvazione. Le seconde che portano all'adozione di atti di natura non legislativa sono dette procedure non legislative e formano una categoria molto eterogenea. DEFINIZIONE DELLA CORRETTA BASE GIURIDICA Per stabilire quale procedura vada seguita di volta in volta occorre definire la base giuridica dell'atto che si intende adottare, cioè bisogna individuare la disposizione dei trattati che attribuisce alle istituzioni il potere di adottare un determinato atto. Si tratta di una operazione estremamente delicata, rispetto a cui sono sorti numerosi conflitti tra le istituzioni e gli Stati membri: questi conflitt ihanno generalmente visto il Parlamento europeo o la Commissione contestare la base giuridica prescelta dal Consiglio attraverso un ricorso d'annullamento proposto dinanzi alla Corte di giustizia, in particolare: • in alcuni casi l'istituzione ricorrente è interessata a far valere un diverso art del medesimo o addirittura un diverso trattato come base giuridica dell'atto del Consiglio impugnato, in quanto la base giuridica invocata imporrebbbe, invece della procedura decisionale seguita, una diversa in cui l'istituzione ricorrente avrebbe un ruolo più importante. Un esempio è il caso Chernobyl (1990) Parlamento europeo c. Consiglio: il Parlamento europeo contesta la scelta del Consiglio di basare un regolamento sull'art del Trattato CEEA, che richiede solo la consultazione parlamentare e non sull'art del TCE che prevede la procedura di cooperazione. • in altri casi la contestazione della base giuridica individuata dal Consiglio è legata alla volontà di ricondurre l'atto impugnato in un settore di competenza maggiormente caratterizzato da strumenti tipici del metodo comunitario. Un esempio è il caso Erasmus (1989) Commissione c. Consiglio: la scelta di un art della TCE al posto di un altro come base giuridica per l'adozione di una decisione del Consiglio in materia di mobilità degli studenti viene contestata dalla Commissione, non perchè scegliendo il secondo il ruolo della Commissione sarebbe stato maggiore, ma perchè il primo art richeiste che il Consiglio deliberi all'unanimità, mentre il secondo prescrive la procedura di cooperazione. La corretta individuazione della base giuridica dipende dall'analisi di alcuni elementi oggettivamente rilevabili, tra cui soprattutto lo scopo e il contenuto dell'atto, infatti secondo la Corte di giustizia la scelta del fondamento giuridico di un atto non può dipendere solo dal convincimento di una istituzione, ma deve basarsi su elementi oggettivi. Inoltre, laddove accando a una base giuridica di carattere generale, sia utilizzabile una base giuridica più specifica per un determinato atto, occorre privilegiare quest'ultima. Tuttavia può accadere che uno stesso atto persegua una pluralità di scopi o presenti contenuti differenziati: in questi casi la base giuridica va dedotta dal centro di gravità dell'atto, mentre non si dovrà tenere conto di scopi o di componenti secondari o accessori. Se poi non è possibile determinare il centro di gravità dell'atto, perchè gli scopi e i contenuti hanno uguale importanza, l'atto dovrà eccezionalmente avere una base giuridica plurima, consistente in tutte le disposizioni dei trattati corrispondenti ai suoi scopi o contenuti. Questa soluzione però non è sempre ammissibile, in particolare essa non vale se le disposizioni che dovrebbero fungere da base giuridica plurima prevedono procedure decisinoali incompatibili. In casi del genere la base giuridica non potrà che essere una sola e andrà preferita la base giuridica che non pregiudichi i poteri di partecipazione del Parlamento europeo alla procedura decisionale. Questi principi sono stati affermati dalla Corte di giustizia nella causa Biossido di titanio del 1991 Commissione c. Consiglio: la Corte giudica che una direttiva in materia di rifiuti del'industria di biossido di titanio persegue tanto la tutela dell'ambiente quanto l'eliminazione delle disparità nelle condizioni di concorrenza e trova quindi la sua base giuridica in 2 art del TCE (attuali art 192 e 114 del TFUE). Secondo la Corte non è possibile adottare la direttiva in questione in base ad entrambe le norme indicate, perchè uno prevedeva che l'atto venisse adottato dal Consiglio su mera consultazione del Parlamento europeo, mentre l'altro prevedeva la procedura di cooperazione. La Corte conclude qunidi che la base giuridica appropriata sarebbe il secondo art, che prevede la procedura di cooperazione, tanto più che da questo art si ricava che gli scopi di tutela dell'ambiente contemplati nel primo art possono essere perseguiti efficacemente mediante misure di armonizzazione adottate in base al secondo art. NB: secondo la giurisprudenza la scelta della corretta base giuridica di ciascun atto riveste una importanza di natura costituzionale, in quanto preserva le prerogative delle istituzioni nelle varie procedure decisionali. Di conseguenza, la base giuridica deve sempre essere indicata e rientra nell'obbligo di motivazione. PROCEDURE LEGISLATIVE: PROCEDURA LEGISLATIVA ORDINARIA Secondo l'art 289 TFUE, la procedura legislativa ordinaria consiste nell'adozione congiunta di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio su proposta della Commissione. In passato era nota come procedura di codecisione, perchè tramite essa le due istituzioni gestiscono insieme il potere decisionale, tant'è che si è invalso l'uso di riferirsi a queste due istituzioni quando agiscono nel quadro di questa procedura come co-legislatori. La procedura di codecisione è introdotta per la prima volta dal TUE, che ne prevede l'applicazione in pochi casi, affiancandosi alla procedura di cooperazione introdotta già prima dall'AUE; successivamente il Trattato di Amsterdam ne estende la portata, provvedendo a sostituirla alla procedura di cooperazione e a modificarne alcuni aspetti per renderla più efficiente. La differenza tra le due procedure è che mentre nella procedura di cooperazione il Consiglio è in grado di approvare all'unanimità un atto che sia stato respinto dal Parlamento europeo, invece nella procedura di codecisione l'atto respinto dal Parlamento si considera definitivamente non adottato. La disciplina della procedura legislativa ordinaria, che si trova nell'art 294 TFUE, si fonda su un sistema di ripetute letture della proposta di atto legislativo da parte delle due istituzioni. PROPOSTA DELLA COMMISSIONE La procedura legislativa ordinaria si apre con la proposta della Commissione, cfr art 17 TUE che afferma che un atto legislativo dell'UE può essere adottato solo su proposta della Commissione, salvo che i trattati non dispongano diversamente. La ratio è che questa istituzione, stanti le sue caratteristiche di indipendenza e professionalità dei suoi membri, è ritenuta portatrice dell'interesse generale della Comunità, facendo da contrappeso alla deliberazione del Consiglio, che invece esprime gli interessi particolari dei singoli Stati membri. Bisogna sottolineare che il potere di iniziativa della Commissione non è assoluto, infatti: • per quanto riguarda la procedura legislativa ordinaria, gli atti legislativi possono essere adottati anche su iniziativa di un gruppo di Stati membri o del Parlamento europeo, su raccomandazione della BCE o su PROCEDURE LEGISLATIVE: LE PROCEDURE LEGISLATIVE SPECIALI Diverse disposizioni del TFUE prevedono delle procedure legislative speciali, il cui svolgimento è definito di volta in volta dalle disposizioni che fungono da base giuridica. • nella maggior parte dei casi queste procedure consistono nell'adozione dell'atto da parte del Consiglio a maggioranza qualifiacta o all'unanimità, previa consultazione del Parlamento europeo (procedura di consultazione); • in un numero limitato di casi, l'atto deliverato dal Consiglio è sottoposto all'approvazione del Parlamento europeo (procedura di approvazione). Nelle procedure legislative speicali il potere di iniziativa è disciplinato come nella procedura legislativa ordinaria: salvo eccezioni, l'istituzione competente (Consiglio o Parlamneto europeo) non può deliberare in mancanza di una proposta della Commissione (Art 17 TUE). 1) PROCEDURA DI CONSULTAZIONE Quando il TUE prevede che il potere di adottare atti legislativi spetti al solo Consiglio, il potere di questa istituzione è controbilanciato dall'obbligo di consultare il Parlamento europeo. Quello che il Parlamento è chiamato a emettere è un parere consultivo, che ha carattere obbligatorio, ma non vincolante, nel senso che il Consiglio è libero di non seguirlo. Prima dell'introduzione delle procedure di cooperazione e di codecisione, la consultazione era l'unica forma che consentiva al Parlamento di intervenire nella formazione degli atti del Consiglio, quindi la giurisprudenza che si è occupata di questo tempa è particolarmente rigorosa, in quanto doveva salvaguardare le prerogative dell'unica istituzione avente una legittimazione democratica diretta: la Corte ha stabilito che la consultazioe del Parlamento nei casi previsti dal Trattato è una formalità sostanziale, la cui assenza implica nullità dell'atto e che la consultazione, ove prevista, deve essere effettiva e regolare, il che implica che il parere non deve essere soltanto richiesto, ma deve essere stato emanato prima dell'adozione dell'atto da parte del Consiglio. Questi principi sono stati affermati nella sentenza Roquette Freres c. Consiglio del 1980: un fabbricante di una sostanza dolcificante aveva impugnato un regolamento del Consiglio che fissava delle quote di produzione di questa sostanza, affermando che il regolamento era stato adottato senza il parere consultivo del Parlamento prescritto dalla base guiridica del regolamento. Il Consiglio si era giustificato asserendo delle ragioni di urgenza, per cui aveva soltanto richiesto il parere al Parlamento, senza attenderne l'effettiva pronuncia. La Corte respinge i motivi di urgenza invocati dal Consiglio, constatando come il Consiglio non avesse chiesto l'attivazione della procedura d'urgenza prevista dal regolamento interno del Parlamento nè la convocazione del Parlamento in sessione straordinaria, e su queste basi dichiara l'annullamento del regolamento. Il TFUE non stabilisce un termine per l'emanazione del parere da parte del Parlamento, ma questo non vuol dire che il Parlamento sia del tutto libero di stabilire i tempi per l'emanazione del parere, in particolare il Parlamento non potrebbe cercare di evitare l'approvazione di atti non graditi dilazionando il rilascio del proprio parere. Si deve ritenere che, pur in mancanza di un termine previsto, il Parlamento sia tenuto, in osservanza del principio di leale collaborazione, a emanare il parere entro un termine ragionevole e a tenere conto delle eventuali richeiste avanzate dal Consiglio per ottenere una delibera urgente; in mancanza, il Parlamento non potrà invocare il difetto di consultazione, essendosi reso responsabile di un comportamento sleale verso il Consiglio. Questi principi si deducono dalla causa Parlamento europeo c. Consiglio del 1995: il Parlamento aveva impugnato ai sensi dell'attuale art 263 TFUE un regolamento del Consiglio sulle preferenze doganali generalizzate, affermando che il regolamento era stato emanato senza attendere il proprio parere. In questo caso però, a differenza di quello della sentenza Roquette Freres, il Consiglio si era invano attivato per ottenere che il Parlamento emanasse il proprio aprere con urgenza. In questo caso la Corte riconosce che il Parlamento è venuto meno al proprio obbligo di leale cooperazione con il Consiglio, quindi non può rimproverare al Consiglio di non avere atteso il suo parere per adottare il regolamento controverso. Un altro problema riguarda se e in quali casi la consultazione sia sufficiente e quando invece si renda necessaria una seconda consultazione: secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, il parere del Parlamento deve essere dato sull'atto che poi sarà effettivamente adottato dal Consiglio, quindi se dopo la consultazione del Parlamento, il Consiglio decide di modificare l'atto nella sostanza o la Commissione ritira la proposta e ne presenta un'altra diversa da quella su cui il Parlamento si è espresso, è necessaria una seconda consultazione. Questo principio lo si ricava dalla causa Chemiefarma del 1970: un'impresa impugna una decisione della Commissione che le commina una ammenda per violazione delle norme sulla concorrenza. Chemiefarma fa valere che la decisione è illegittima, perchè emanata in forza di un regolamento del Consiglio a sua volta invalido per mancata consultazione del Parlamento, in quanto la proposta originaria su cui il Parlamento si era pronunciato era infatti diversa dal testo adottato dal Consiglio. La Coret respinge la censura, constatando che il testo oggetto del parere del Parlamento è sostanzialmente identico a quello approvato dal Consiglio. 2) PROCEDURA DI APPROVAZIONE In alcuni casi di particolare importanza, il TFUE prevede che l'atto legislativo deliberato dal Consiglio debba essere approvato dal Parlamento europeo. Un esempio di questa procedura è contenuto nell'art 19 TFUE, che dice che il Consiglio, deliberando all'unanimità e previa approvazione del Parlamento europeo può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale. Prima del Trattato di Lisbona, si parlava di procedura di parere conforme, introdotta dall'AUE: in pochi ma importanti casi il Consiglio deliberava su parere conforme del Parlamento europeo, parere ritenuto obbligatorio e vincolante. Nelle ipotesi in cui la procedura legislativa speciale richiede l'approvazione del Parlamento in realtà il potere deliberativo non appartiene più solo al Consiglio, ma è condiviso con il Parlamento, come avviene nella procedura legislativa ordinaria, solo che: mentre in quest'ultima il Parlamento ha ampio spazio per determinare il contributo dell'atto, nella procedura di approvazione il Parlamento si limita ad apporovare o a respingere l'atto. NB: per alcuni atti legislativi, il cui contenuto è destinato a sostituirsi o a integrare la disciplina prevista dal TFUE è previsto che l'atto adottato con la procedura dell'approvazione o della consultazione, per entrare in vigore debba essere approvato dagli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali, per esempio: • per l'adozione di disposizioni necessarie per permettere l'elezione dei membri del Parlamento a suffragio universale diretto servono: unanimità in Consiglio + approvazione del Parlamento + approvazione degli Stati membri. • per l'adozione della decisione che stabilisce il regime delle risorse proprie: unanimità in Consiglio + consultazione del Parlamento + approvazione degli Stati membri. PROCEDURE LEGISLATIVE NEL SETTORE DELLO SPAZIO DI SICUREZZA, LIBERTA' E GIUSTIZIA Il Trattato di Lisbona ha eliminato ogni distinzione tra le materie che inizialmente rientravano nel terzo pilastro dell'UE (in particolare la Cooperazione giudiziaria in materia penale e la Cooperazione di polizia), ma rimangono comunque delle differenze: 1) Dal punto di vista delle procedure legislative applicabili, in quanto la procedura legislativa ordinaria è affiancata spesso da procedure legislative speciali, sia di consultazione che di approvazione. • procedura legislativa ordinaria: misure amministrative concernenti i movimenti di capitali e i pagamenti materia di controlli alle frontiere, asilo e immifrazione, cooperazione giudiziaria in materia civile, cooperazione giudiziaria in materia penale, cooperazione di polizia. • procedura di consultazione: misure riguardanti il diritto di famiglia (unanimità del Consiglio + consultazione del Parlamento), ma anche per le disposizioni riguardanti i passaporti, le carte di identià, i titoli di soggiorno e i documenti assimilabili. • procedura di approvazione: per l'istituzione di una procura europea. NB: per quanto riguarda l'adozione di atti nel settore della Cooperazione giudiziaria in materia penale e in quello della Cooperazione di polizia il potere di proposta non spetta solo alla Commissione, ma anche all'iniziativa di 1 quarto degli Stati membri. 2) Inoltre in numerosi casi sono previsti alcuni strumenti procedurali che permettono agli Stati membri contrari a determinati atti di impedirne o ritardarne l'introduzione: • in 2 casi (art 82 sulle norme minime in materia di riconoscimento delle sentenze e decisioni giudiziarie penali e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali avente dimensione transnazionale e art 83 sulle norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità gravi) questi strumenti sono legati alla procedura legislativa ordinaria e si presentano come delle varianti rispetto al suo normale svolgimento (c.d. emergency brake): lo Stato membro contrario interviene perchè ritiene che il progetto di atto incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale, intervendo che deve avvenire prima della deliberazione dell'atto da parte del Consiglio; questo intervento comporta la sospensione della procedura legislativa ordinaria; l'esame dell'atto passa al Consiglio europeo che ha 4 mesi per approvare l'atto per consenso; se ciò avviene l'atto è rinviato al Consiglio e la procedura legislativa ordinaria riprende; in caso contrario, se almeno 9 Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata, ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione e l'autorizzazione alla cooperazione rafforzata si considera concessa. • in altre ipotesi (art 86 sull'istituzione della procura europea e art 87 sulla cooperazione operativa tra le • Invece il Parlamento europeo no svolge nessun ruolo attivo nell'elaborazione delle decisioni PESC, ma l'Alto rappresentante lo consulta regolarmente sui principali aspetti e scelte della PESC. • Per quanto riguarda l'Alto rappresentante, ha un potere di attuazione che gli compete anche in ambito PESC. L'art 26 TUE dice infatti che la politica estera e di sicurezza comune è attuata dall'Alto rappresentante e dagli Stati membri. 4) PROCEDURA PER LA CONCLUSIONE DEGLI ACCORDI INTERNAZIONALI La procedura per negoziare e concludere accordi internazionali dell'UE con Stati terzi o con altre organizzazioni internazionali è disciplinata dall'art 218 TFUE. La procedura si caratterizza peril ruolo centrale del Consiglio che decide su tutte le fasi. • Il negoziato si apre in seguito all'autorizzazione del Consiglio, su raccomandazione della Commissione o dell'Alto rappresentante, e viene svolto da un negoziatore designato, in funzione della materia, dal Consiglio (ma è anche possibile che si preferisce una squadra di negoziato il cui capo è designato dal Consiglio). Il Consiglio può impartire direttive al negoziatore e istituire un comitato speciale che deve essere consultato. • La firma è autorizzata dal Consiglio su proposta del negoziatore con decisione, che potrà disporre anche l'eventuale applicazione provvisoria dell'accordo. • Lo stesso vale per la conclusione e la sospensione dell'accordo. Nel corso dell'intera procedura, il Consiglio delibera normalmente a maggioranza qualificata e delibera all'unanimità solo nei seguenti casi: • accordi che riguardano un settore per cui è richiesta l'unanimità per l'adozione di un atto dell'UE • accordi di associazione ai sensi dell'art 217 TFUE • accordi di cui all'art 212 TFUE con gli Stati candidati all'adesione • accordo sull'adesione dell'UE alla CEDU Questa procedura segue in generale il modello della procedura di consultazione, in quanto il Parlamento europeo deve essere sempre previamente sentito. Una particolarità di questa procedura è che essa può comprendere anche la consultazione della Corte di giustizia, infatti uno Stato membro, il Parlamento, il Consiglio o la Commissione possono domandare il parere della Corte sulla compatibilità di un accordo previsto con le disposizioni del trattato. Invece per i seguenti accordi si segue il modello della procedura di approvazione, in cui il Consiglio non può decidere la conclusioned ell'accordo senza la preventiva approvazione del Parlamento: • accordi di associazione ai sensi dell'art 217 TFUE • accordo sull'adesione dell'UE alla CEDU • accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione • accordi che hanno ripercussioni finanziarie per l'UE • accordi che riguardano settori a cui si applica la procedura legislativa ordinaira o speciale qualora sia necessaria l'approvazione del Parlamento europeo. 5) PROCEDURE PER GLI ATTI DI ATTUAZIONE O DI ESECUZIONE DELLA COMMISSIONE Di frequente gli atti del Consiglio e quelli adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio affidano alla Commissione il compito di adottare atti di attuazinoe o di esecuzione: • in alcuni casi l'atto di base si limita a definire gli elementi essenziali dela disciplina sulla base dei dati tecnici e scientifici disponibili al momento, ma che si prevede muteranno nel tempo: in casi del genere l'atto di base delega la Commissione a integrare la disciplina con regole di dettaglio o autorizza la Commissione a modificare la disciplina di base su aspetti non centrali, per tenerla aggiornata ai nuovi dati tecnici e scientifici. --> atti di attuazione • in altri casi l'atto di base conferisce alla Commissione solo il compito di applicare la normativa contenuta, adottando provvedimenti di carattere generale o individuale a questo fine. In questo caso l'opera della Commissione attiene più all'esecuzione. --> atti di esecuzione La distinzione tra questi atti è fondamentale, perchè con il Trattato di Lisbona si sono differenziate le rispettive procedure decisionali: • l'art 290 sugli atti di attuazione introduce nel sistema dell'UE l'istituto della delega di attuazione, che prevede che un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata gneerale che integrano o modificano determinati elementi non essenziali dell'atto legislativo. Gli atti legislativi di delega hanno quindi il seguente contenuto: delimitano gli obiettivi, i contenuto, la portata e la durata della delega di potere; fissano le condizioni cui è sogetta la delega, nel senso che fissano le modalità di controllo che le istituzioni autrici dell'atto di delega (Consiglio e/o Parlamento) possono esercitare sulla maniera in cui la COmmissione dà attuazione alla delega ricevuta. Queste modalità sono stabilite nell'atto legisaltivo di delega e possono consistere: nel potere di revocare la delega; nel potere di impedire l'entrata in vigore dell'atto delegato della Commissione sollevando obiezioni entro un termine fissato. L'aspetto più problematico dell'istituto è però la possibilità che l'atto legislativo di delega autorizzi la Commissione non solo a integrare l'atto con norme di dettaglio, ma anche a modificare alcuni elementi non essenziali dell'atto legislativo. • l'art 291 si occupa invece dell'esecuzione degli atti giuridici vincolanti dell'UE: l'esecuzione è normalmente affidata agli Stati membri, che adottano le misure di diritto interno necessarie per l'attuazione degli atti giuridicamente vincolanti. L'esecuzione può essere affidata alla Commissione o al Consiglio, solo se sono necessarie condizioni uniformi di esecuzinoe degli atti giuridicamente vincolanti dell'UE. Per quanto riguarda il controllo da parte degli Stati membri sull'operato della Commissione sempre l'art 291 dice che le regole e i principi relativi alle modalità di questo controllo saranno stabiliti dal Parlamento europeo e dal COnsiglio deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaira. NB: dei poteri decisori, includenti la pox di adottare atti a portata generale, sono anche attribuiti alle agenzie indipendenti, in settori che comportano una perizia professionale e tecnica, purchè tali poteri non abbiano carattere discrezionale, ma si fondino su presupposti predeterminati dagli atti normativi di riferimento. 6) PROCEDURA PER ISTITUIRE UNA COOPERAZIONE RAFFORZATA L'istituto della cooperazione rafforzata si è affermato in occasione del Trattato di Amsterdam e rappresenta l'accettazione di quella concezione che è stata definita Europa a più velocità. Lo scopo è di consentire a un gruppo di Stati membri di utilizzare le istituzioni, le procedure e i meccanismi decisionali previsti dai trattati per instaurare tra di loro forme di cooperazinoe non condivise da tutti gli Stati membri. La disciplina è contenuta all'art 20 TUE e negli art da 326 a 334 TFUE. Per quanto riguarda la procedura per instaurare una cooperazione rafforzata, questa diverge a seconda che l'oggetto della cooperazione riguardi o meno la PESC: • per la PESC l'art 329 TFUE dice che la richiesta di instaurare una cooperazione rafforzata è presentata dagli Stati interessati al Consiglio e trasmessa all'Alto rappresentante e alla Commissione, perchè esprimano un parere sulla coerenza con la PESC e con le altre politiche dell'UE e al Parlamento europeo per conoscenza. L'autorizzazione è concessa dal Consiglio con deliberazione all'unanimità. • Per gli altri settori gli Stati membri devono trasmettere la loro richiesta alla Commissione: questa può presentare al Consiglio una proposta al riguardo, ma anche rifiutarsi di faro, informando gli Stati membri della ragione di tale decisione. L'autorizzazione è concessa secondo una procedura di apporvazione: il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento europeo. La composizione delle istituzioni, le modalità deliberative, le procedure decisionali applicabili in una cooperazione rafforzata sono quelle ordinarie. L'unica particolarità riguarda il Consiglio: i rappresentanti di Stati membri non partecipanti non possono votare. e il quorum per raggiungere la maggioranza qualificata è determinato proporzionalmente rispetto agli Stati partecipanti. Non costituisce un ostacolo al ricorso alla cooperazione rafforzata la circostanza che essa investa una materia in ui il Consiglio delibera all'unanimità. Commissione ha superato i limiti di competenza conferitagli dal Consiglio. Il Trattato di Lisbona ha introdotto una distinzione netta tra atti di attuazione e atti di esecuzione che prima non esisteva: a. gli atti di attuazione sono sempre adottati dalla Commissione su delega disposta da un atto legislativo adottato, secondo i casi, congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio oppure dall'una o dall'altra di queste istituzioni. La delega, definita in modo rigoroso, abilita la Commissione a emanare atti non legislativi di portata generale che integrano o modificano alcuni elementi non essenziali dell'atto legislativo. (art 290 TFUE) b. gli atti di esecuzione invece sono emessi dalla Commissione oppure, in casi specifici debitamente motivati e nelle circostanze previste agli artt 24 e 25 del TUE dal Consiglio, qualora siano necessarie condizioni uniformi di esecuzione degli atti giuridicamente vincolanti dell'UE. (art 291 TFUE) Gli atti adottati dalle istituzioni, sia che si tratti di atti di base o di atti di attuazione/esecuzione, si distinguono: • per quanto riguarda la natura: si distingue tra atti legislativi e atti non legislativi. Questa distinzione, che in passato non esisteva, è stata introdotta per la prima volta dal Trattato di Lisbona, e si basa sulla procedura decisionale applicabile per l'adozione dell'atto (criterio procedurale, formale). Ai sensi dell'art 289 TFUE, solo gli atti giuridici adottatti mediante procedura legislativa sono atti legislativi; invece, gli atti adottati mediante una procedura non qualificata come legislativa non lo sono (la categoria degli atti non legislativi è pertanto definita per esclusione: sono tali tutti gli atti delle istituzioni per la cui adozione non è prevista la procedura legislativa). Di conseguenza si potranno avere regolamenti, direttive o decisioni legislativi e regolamenti, direttive e decisioni non legislativi, a seconda della procedura decisionale utilizzata. Dal momento che la procedura decisionale applicabile è indicata dalla base giuridica in forza di cui l'atto è adottato, è la base giuridica che, stabilendo se si deve seguire una procedura legislativa o non legislativa, determina la natura legislativa o meno degli atti adottati. Si osserva anche che le procedure legislative, sia ordinarie che speciali, richiedono sempre l'adozione di atti da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, congiuntamente o separatamente, quindi gli atti delle altre istituzioni saranno necessariamente non legislativi. Il fatto che un atto giuridico sia o meno legislativo comporta delle importanti conseguenze: i. i lavori del Consiglio per l'adozione di un atto legislativo dovranno svolgersi in seduta pubblica, con la necessità di dividere ciascuna sessione in 2 parti dedicate, rispettivamente, alle deliberazioni su atti legislativi dell'UE e alle attività non legislative (Art 17 TUE). ii. solo in merito agli atti legislativi saranno esercitati poteri di controllo dei parlamenti nazionali circa il rispetto del principio di sussidiarietà. iii. le condizioni di ricevibilità dei ricorsi di annullamento delle persone fidiche o giuridiche saranno più severe se l'atto impugnato ha carattere legislativo. • per quanto riguarda la struttura: si distingue tra atti tipici e atipici. a. L'art 288 TFUE contiene l'elenco e la descrizione degli atti più frequentemente utilizzati dalle istituzioni (c.d. atti tipici), che sono: regolamenti, direttive, decisioni, pareri, raccomandazioni. I pareri e le raccomandazioni non sono vincolanti e come tali non possono fungere da fonti del diritto; invece regolamenti, direttive e decisioni sono tutte atti vincolanti e in quanto tali sono fonti del diritto. [Tuttavia è possibile che uno Stato membro dia spontaneamente attuazione a una racomandazione attraverso propri atti interni: in questi casi il giudice che sia chiamato ad applicare tali atti può avere bisogno di conoscere la corretta interpretazione della raccomandazione --> causa Grimaldi del 1989: la Corte è chiamata dal tribunale del lavoro di Bruxelles a pronunciarsi sull'interpretazione di alcune raccomandazioni della Commissione in materia di malattie professionali. La Corte risponde affermando che si tratta di raccomandazioni e il loro contenuto non mira a produrre effetti vincolanti nei confronti dei destinatari e inoltre dice che le raccomandazioni vanno prese in considerazione dai giudici nazionali quando esse siano di aiuto nell'interpretazione di norme nazionali adottate allo scopo di garantire la loro attuazione]. L'art 288 non prevede alcuna gerarchia tra gli atti vincolanti di tipo diverso, di conseguenza una direttiva potrebbe abrogare un regolamento o una decisione potrebbe prevedere una deroga rispetto a una direttiva. Normalmente la base giuridica specifica di volta in volta quale tipo di atti le istituzioni possono adottare, ma potrebbe capitare che il tipo di atto da adottare non venga precisato: in questo caso spetta alle istituzioni cmopetenti effettuare la scelta nel rispetto del principio di proporzionalità (art 296 TUE). b. La tipologia degli atti contenuti all'art 288 non è completa nè tassativa, infatti gli stessi trattati prevedono atti non corrispondenti ai tipi codificati, in particolare per la PESC è pervista una tipologia di atti con denominazione e strutture diverse (c.d. atti atipici). Un esempio è costituito dal bilancio della Comunità (art 314 TFUE): trattandosi di un atto produttivo di effetti vincolanti, la Corte di giustizia lo ha ritenuto suscettibile di essere impugnato ai sensi dell'art 263 TFUE. c. Accanto agli atti atipici vanno annoverati alcuni tipi di atto affermatisi in via di prassi, soprattutto nel settore della disciplina della concorrenza (artt 101-106 TFUE) e degli aiuti di Stato alle imprese (artt 107-108 TFUE): in entrambi questi settori la Commissione gode di poteri di controllo e sanzione con ampio margine di discrezionalità, in particolare per orientare i comportamenti dei destinatari di tali poteri (imprese e Stati) la Commissione pubblica periodicamente delle comunicazioni per rendere noto il modo con cui intende applicare le norme del TGUE. Pur non avendo valore normativo, le comunicazioni sono considerate dalla giurisprudenza come atti con cui la Commissione definisce i limiti del suo potere discrezionale, pertanto la Commissione non può discostarsene nella valutazione dei casi concreti. Nella causa CIRFS del 1993 la Corte conosce un ricorso di annullamento contro una decisione con cui la Commissione aveva stabilito che un aiuto erogato dal governo francese a una impresa per la creazione di fibre sintetiche destinate a uso industriale non era soggetto all'obbligo di notifica preventiva. La CIRFS sostiene che la decisione viola la disciplina sugli aiuti nel settore delle fibre sintetiche contenuta in una lettera inviata dalla commissione agli Stati membri nel 1977 e da questi accettata, disciplina che prevede l'obbligo di notifica per tutti gli aiuti del genere, sena esentare gli atiuti destinati a fabbricanti di fibre ad uso industriale. La Corte quindi annulla la decisione impugnata, affermando che un atto di portata generale non può essere modificato implicitamente da una decisione individuale. Al contrario una mera prassi che non si sia tradotta in comunicazioni di questo tipo può essere variata nel tempo dalla Commissione, senza che le imprese interessate possano vantare un legittimo affidamento circa il mantenimento della prassi anteriore. Questo principio si desume dalla sentenza Dansk Rorindustri del 2005 a proposito del metodo per calcolare le ammende inflitte alle imprese responsabili di aver violato le regole comunitarie in materia di concorrenza. Il potere di infliggere tali ammende era previsto in un regolamento del Consiglio, in base a cui la Commissione godeva di ampia discrezionalità nell'infliggerle. Tuttavia in seguito con la comunicazione "orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione del regolamento suddetto" la Commissione aveva pubblicato i criteri in base a cui intendeva operare. Questi criteri però si sono rivelati più severi rispetto a quelli seguiti in precedenza, quindi le ammende raggiungevano un ammontare superiore rispetto a quello a cui avrebbe dato luogo l'applicazione dei criteri affermatisi nella prassi. Nella sentenza in esame, la decisione della Commisione veniva impugnata per aver applicato i nuovi criteri a una ipotesi che si era verificata prima della pubblicazione degli "orientamenti", ma la Corte afferma che la Commissione può anche aumentare l'entità dell'ammenda se questo rientra nei canonni previsti dal regolamento, se ciò è necessario per attuare la politica comunitaria in materia di concorrenza. La giurisprudenza ha invece ritenuto che le prese di posizione contenute in lettere della Commissione rivolte a uno Stato membro non vincolano nè lo Stato membro nè il giudice nazionale. Tutti gli atti adottati dalle istituzioni sono soggetti alle stesse norme per quanto riguarda la motivazione, firma e entrata in vigore (artt 296 e 297 TFUE). Gli atti delle istituzioni devono essere motivati; devono essere firmati dal Presidente del Parlamento europeo e/o dal Presidente del Consiglio, a seconda della procedura legislativa applicabile, mentre gli atti non legislativi sono firmati dal Presidente dell'istituzione che li ha adottati; devono essere pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell'UE (GU) tutti gli atti legislativi e, tra quelli non legislativi, i regolamenti, le direttive rivolte a tutti gli Stati membri, le decisioni che non designano i destinatari; gli atti pubblicati nella GU entrano in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione salvo che non sia disposto diversamente, mentre le direttive rivolte a determinati Stati membri e le decisioni che designano destinatari producono effetto da quando vengono notificate ai destinatari. I TRATTATI Le fonti di diritto primario dell'UE sono in massima parte contenute nei trattati TUE e TFUE, come emendati dai trattati di revisione e modificati dai trattati di adesione che si sono succeduti nel tempo. Rapporto tra TUE e TFUE: Parlamento europeo o della Commissione. 2. decisione del Consiglio europeo, a maggioranza semplice, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, provvede all'esame delle modifiche trasmesse al Consiglio. 3. conseguente convocazione da parte del Presidente del Consiglio europeo di una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione, con lo scopo di esaminare i progetti di modifica e di adottare per consenso una raccomadnazione per la conferenza intergovernativa (CIG); in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario è consultata la BCE. 4. in alternativa qualora l'entità delle modifiche non giustifichi la convocazione della convenzione, decisione del Consiglio europeo a maggioranza semplice, previa approvazione del Parlamento europeo, che definisce il mandato per la CIG. 5. convocazione di una CIG formata dai rappresentanti dei governi degli Stati membri per stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai trattati. 6. ratifica delle modifiche approvate da parte di tutti gli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali e loro entrata in vigore. Vediamo quindi che l'avvio della procedura è agevolato dal fatto che il Consiglio europeo può deliberare a maggioranza semplice, ma poi, sia che si passi attraverso la convocazione di una convenzione oppure si vada direttamente alla CIG, è necessario l'accordo unanime degli Stati membri sul trattato di revisione e la ratifica da parte di tutti gli Stati secondo le rispettive norme costituzionali (che potrebbero anche richiedere un regerendum popolare). Per facilitare l'entrata in vigore del trattato di revisione, nell'art 48 si è introdotta una norma per cui: qualora siano passati 2 anni dalla data della firma del trattato di revisione e i 4/5 degli Stati membri abbiano ratificato il trattato mentre gli altri abbiano incontrato difficoltà nelle procedure di ratifica, la questione è deferita al Consiglio europeo, che deciderà misure che favoriscano l'entrata in vigore del trattato nonostante la mancata ratifica da parte di un numero limitato di Stati. 2) Procedure semplificate di revisione. Sono state introdotte con il Trattato di Lisbona e sono di 2 tipi: • la procedura disciplinata dall'art 48 par. 6 TUE può avere a oggetto solo modifiche delle disposizioni della parte terza del trattato sul funzionamento dell'UE relative alle politiche e azioni interne dell'UE. la procedura consta delle seguenti fasi: 1. presentazione al Consiglio di un progetto di modifica da parte del governo di qualsiasi Stato membro, del Parlamento europeo o della Commissione. 2. decisione del Consiglio europeo, a maggioranza semplice, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione e, in caso di modifiche istituzionali nel settore monetario, anche della BCE. 3. entrata in vigore della decisione del Consiglio europeo previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. l'unica differenza rispetto alla procedura ordinaria è che si evita la convocazioen della convenzione e quella della CIG, essendo affidato direttamente al Consiglio europeo il compito di definire le modifiche attraverso una propria decisione. • la procedura disciplinata dall'art 48 par.7 TUE, c.d. procedura passerella, può avere a oggetto solo quelle dispsoizioni del TGUE o del titolo V del TUE (PESC) che prevedono che: a. il Consiglio deliberi all'unanimità in un settore o in un caso determinato: in questo caso è possibile stabilire che il Consiglio deliberi a maggioranza qualificata. b. oppure che il Consiglio adotti atti legislativi secondo una procedura speciale: in questo caso è possibile stabilire che si passi alla procedura legislativa ordinaria. la procedura avviene nelle seguenti fasi: 1. iniziativa del Consiglio europeo. 2. trasmissione dell'iniziativa ai parlamenti nazionali, ciascuno dei quali può entro 6 mesi opporsi all'iniziativa impedendo che la procedura prosegua. 3. in assenza di opposizioni da parte dei parlamenti, delierazinoe del Consiglio europeo con decisione adottata all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo. in questo caso le differenze rispetto alla procedura ordinaria sono notevoli: al posto della ratifica degli Stati membri, è sufficiente la delibera unanime del Consiglio europeo con l'approvazione del Parlamento europeo; non è prevista una fase al di fuori del circuito istituzionale, ma sono le stesse istituzioni che dispongono del potere deliberativo; l'assenza di intervento diretto da parte degli Stati membri è però compensata dall'obbligo di notificare ogni iniziativa del Consiglio europeo ai parlamenti nazionali e dal potere di ciascuno di opporsi. NB: l'eccezionalità della procedura descritta e la deroga al principio per cui le revisioni dei trattati richiedono il comune volere degli Stati membri ha suscitato i sospetti della Corte costituzionale tedesca nella sentenza sulla ratifica del Trattato di Lisbona. Limiti al potere di revisione: ci si è chiesti se esistano delle parti dei trattati che non possono essere modificate. 1. Nel parere del 1991 sul Progetto di accordo relativo alla creazione dello Spazio Economico Europeo la Corte di giustizia ha giudicato incompatibili con il Trattato le disposizioni dell'accordo relative all'istituzione di una Corte SEE, in quanto, condizionando l'interpretazione futura delle norme comunitarie in materia di libera circolazione e concorrenza, ne sarebbe compromesso il sistema giurisdizionale previsto dai trattati e quindi gli stessi principi fondamentali della Comunità. Da ciò si ricava che non è consentita, nemmeno ricorrendo alla procedura di revisione prevista all'art 48, l'introduzione di norme che pregiudichino il sistema giurisdizionale previsto dai trattati alterando la funzione giurisdizionale della Corte o restringendo la portata della competenza della stessa. 2. Si può ritenere che siano immodificabili anche le norme che costituiscono il nocciolo duro dell'ordinamento dell'UE, quali l'art 2 TUE che definisce i valori dell'UE, l'art 6 o almeno il suo par.3 che impone all'UE il rispetto dei diritti dell'uomo come prinipi generali del diritto e l'art 14 TFUE che stabilisce il principio del mercato interno. Invece possono essere previste riduzioni delle competenze dell'UE. PROCEDURA DI ADESIONE Un altro modo per modificare i trattati è previsto all'art 49 TUE, che disciplina la procedura di adesione all'UE da parte di nuovi Stati. In base a questo art può presentare domanda di adesione all'UE ogni Stato europeo (condizione geografica) che rispetti i valori di cui all'art 2 e si impegni a promuoverli (condizione politica). Anche la procedura di adesione si articola in 2 fasi, di cui la prima si svolge all'interno dell'apparato istituzionale, mentre la seconda è esterna, in quanto affidata agli Stati membri: 1. la domanda di adesione è presentata al Consiglio: di essa sono informati il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali 2. la domanda è approvata all'unanimità dal Consiglio, previa consultazione della Commissione e approvazione del Parlamento europeo, tenuto conto dei criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo. 3. le condizioni per l'ammissione e gli adattamenti ai trattati da essa determinati sono oggetto di un trattato concluso tra gli Stati membri e lo Stato candidato, che deve essere ratificato da tutti gli Stati contraenti. A decidere circa l'ammissione di un nuovo Stato membro sono quindi il Consiglio e il Parlamento europeo. Il trattato, nella forma di un trattato con allegato un Atto di adesione, è invece definito dagli Stati, che devono sottoporlo a ratifica secondo quanto prescrive la propria costituzione. L'atto di adesione ha l'unico scopo di stabilire le condizioni di adesione e gli adattamenti da apportare ai trattati che siano determinati dall'adesione: si tratta di modifiche poco rilevanti rispetto a quelle che possono essere approvate con la procedura di revisione di cui all'art 48 (consistono normalmente in un ampliamento della composizione delle istituzioni e degli organi per assicurare la rappresentanza del nuovo Stato membro). DIRITTO DI RECESSO Una grande innovazione introdotta dal Trattato di Lisbona consiste nella possibilità di recesso dall'Unione (art 50 TUE). Lo Stato membro che intende ritirarsi notifica questa intenzione al Consiglio europeo. Si distingue tra: • recesso concordato se si arriva alla conclusione di un accordo tra l'UE e lo Stato recedente, volto a definire le modalità del recesso; l'accordo è negoziato sulla base degli orientamenti formulati dal Consiglio europeo, tenendo conto delle guture relazioni dello Stato recedente con l'UE, ed è concluso dal Conislglio secondo la procedura di cui all'art 218 TFUE. • recesso unilaterale qualora non sia pox raggiungere un accordo sulle modalità di recesso entro 2 anni dalla notifica dell'intenzione di ritirarsi; in questo caso i trattati cessano automaticamente di applicarsi allo Stato interessato. L'art 50 TUE è stato attivato per la prima volta a seguito della notifica da parte del Governo del Regno Unito per quanto riguarda il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, che è oggetto dell'art 18 del TFUE ed è ribadito anche dalle disposizioni in materia di libera circolazione delle persone e dei servizi. La Corte ha sottoposto al rispetto di tale articolo fattispecie rientranti solo marginalmente nel campo di applicazione dei trattati. Questo si vede nella sentenza Cowan del 1989: la Corte affronta il caso di un cittadino britannico che durante un viaggio in Francia è stato aggredito e a cui viene negato un indennizzo previsto per casi del genere dalla legislazione francese a favore dei soli cittadini francesi. La Corte stabilisce che il principio di non discriminazione va applicato al destinatario di servizi ai sensi del trattato quanto alla protezione contro i rischi di aggressione e il diritto a ottenere una riparazione pecuniaria contemplata dal diritto nazionale allorchè una aggressione si sia verificata. Lo Stato francese obietta che la legislazinoe in causa appartiene all'ordinamento processuale e penale e che tale materia non rientra nel campo di applicazione del trattato. La Corte riconosce che la legislazione penale e processuale sono riservate alla competenza degli Stati membri, ma dice anche che il diritto comunitario può porre dei limiti a questa competenza: ne consegue che le norme non possono porre in essere discriminazioni nei confronti di soggetti cui il diritto comunitario attribuisce il diritto alla parità di trattamento, nè limitare le libertà fondamentali garantite dal diritto comunitario. c. Dal momento che il principio di non discriminazione è un principio generale si può applicare anche a ipotesi che non sono espressamente contemplate da alcuna delle norme richiamate (autonomia del principio di non discriminazione). Il valore autonomo di tale principio è affermato nella sentenza Mangold del 2005: la legislazione tedesca in tema di contratti di lavoro a tempo determinato con persone anziane era stata modificata più volte, fino ad abbassare la soglia dell'età che consentiva di concludere contratti del genere dai 60 ai 58 anni. Il signor Mangold (56 anni) aveva concluso un contratto a tempo determinato. Successivamente chiede che il termine finale del contratto fosse dichiarato nullo, perchè la normativa tedesca era contraria alal parità di trattamento in tema di occupazione e condizioni di lavoro. La Corte considera la disciplina tedesca non ideonea a favorire l'inserimento di lavoratori anziani in ambito profesisionale e chiede di non applicare la normativa nazionale per la sua contrarietà al principio di non discriminazione. d. Un'altra manifestazione del principio di non discriminazione si vede nel principio generale di parità di trattamento o di uguaglianza: questo principio prescinde dagli specifici criteri o divieti di discriminazione contenuti nei Trattati o nel diritto derivato, essendo ricavato per astrazione da quelli. Esso impone che situazione paragonabili non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. e. La Corte non ritiene che rientrino nel campo del principio di non discriminazione le discriminazioni alla rovescia, ovvero quelle situazioni che si creano quando norme di uno Stato membro prevedono per i propri cittadini un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai cittadini di altri Stati membri. Questa situazione talvolta si produce in conseguenza dell'impatto del diritto dell'UE sulle norme interne: per esempio l'ordinamento dell'UE potrebbe imporre la disapplicazione di una norma interna indistintamente applicabile ai cittadini e ai lavoratori di altri Stati membri perchè limitativa della libera circolazione dei lavoratori, ma della disapplicazione potrebbero avvantaggiarsi quei soggetto che fruiscono della libertà di circolazione. Il diritto dell'UE non si opone a che la stessa norma interna continui ad applicarsi a situazioni puramente interne e perciò estranee al campo di applicazione della libera circolazione. Un esempio di discriminazione alla rovescia è presente nella causa Steen del 1992: il signor Steen, cittadino tedesco, lamenta di subire una discriminazione rispetto ai cittadini di altri Stati membri, i quali, a differenza dei cittadini tedeschi, possono essere assunti con contratti di diritto privato a condizioni più favorevoli. La Corte però afferma che il signor Steel non avendo mai esercitato la libera circolazione all'interno della Comunità non ha veste per invocare l'art 7 del CEE. Continua dunque affermando che l'indifferenza dell'UE rispetto a situazioni di discriminazione alla rovescia comporta che le stesse vanno risolte nell'ambito del sistema giuridico nazionale dello Stato membro, in quanto non rientrano nel campo di applicazione dei trattati. • Principio di libera circolazione • Principio della tutela giurisdizionale effettiva • Principi previsti all'art 5 TUE, cioè: principio di attribuzione, principio di sussidiarietà, principio di proporzionalità • Principi previsti all'art 4 TUE: principio dell'eguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e della loro identità nazionale e principio della leale cooperazione. • Principio della fiducia reciproca tra Stati membri. 2) PRINCIPI GENERALI DEL DIRITTO COMUNI AGLI ORDINAMENTI DEGLI STATI MEMBRI Si tratta di principi che vengono desunti non dal diritto dell'UE, ma dai vari ordinamenti nazionali. Questi assumono rilevanza in tutto il campo di applicazione dei trattati e sono utilizzati in particolare quando bisogna verificare la legittimità del comportamento delle istituzioni o degli Stati membri in relazione alla posizione dei singoli. Tra questi si segnalano alcuni principi attinenti all'idea di Stato di diritto, che è uno dei valori su cui l'UE si fonda: • principio di legalità = ogni potere esercitato dalle istituzioni deve trovare la sua fonte legittimante in una norma dei trattati che ne fissi le condizioni di esercizio. • principio di certezza del diritto = chi è tenuto al rispetto di una norma deve essere messo in condizione di poterlo fare e di conoscere il comporamento che la norma gli impone. • principio del legittimo affidamento = che può essere invocato in caso di modifica normativa improvvisa e imprevedibile da parte degli operatori giuridici, senza che ciò sia giustificato da ragioni imperative di interesse generale. • principio del contraddittorio = le istituzioni e gli organi delll'UE quando intendono assumere un provvedimento sfavorevole a carico di un singolo devono consentire a quest'ultimo di far valere il proprio punto di vista prima che il provvedimento venga adottato. • principio di proporzionalità = gli interventi della pubblica autorità limitativi della libertà o dei diritti dei singoli per essere legittimi devono essere: idonei al raggiungimento dell'obiettivo di interesse pubblico perseguito; necessari a questo fine, evitando di imporre ai privati sacrifici superflui. Queste regole sono affermate nella causa Man Sugar del 1985: la società britannica Man di vendita e mediazione nel settore dello zucchero aveva presentato offerta di esportazione di alcuni quantitativi di zucchero, costituendo la prescritta cauzione sottoforma di fideiussione bancaria. Essendo stata accolta l'offera, Man avrebbe dovuto chiedere il corrispondente di esportazione entro 4 giorni ed effettuare l'esportazione entro 5 mesi. Il regolamento della Commissione prescriveva l'incameramento integrale della cauzione per violazione dell'uno e dell'altro obbligo. Man aveva infatti effettuato l'esportazione, ma aveva richiesto in ritardo i titoli di esportazione. La Corte avendo concluso che l'obbligo di richiedere titoli di esportazione entro un termine così breve presenta una utilità amministrativa per la Commissione ma non ha la stessa importanza dell'obbligo di effettuare l'esportazione, dichiara l'invalidità del regolamento in causa. 3) PROTEZIONE DEI DIRITTI FONDAMENTALI Una terza categoria di principi generali è quella comprendente i principi rivolti alla protezione dei diritti umani. L'obiettivo di proteggere tali diritti all'interno dell'ordinamento all'inizio faceva affidamento solo sui principio generali tratti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati e dai trattati internazionali, ma dopo il Trattato di Lisbona la situazione è cambiata: la protezione dei diritti fondamentali è oggetto ora di molteplici fonti richiamate dall'art 6 TUE. Secondo questo art la protezione dei diritti umani nell'ordinamento dell'UE trova la sua fonte nei seguenti strumenti normativi: • la Carta dei diritti fondamentali dell'UE • la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) • i principi generali di cui fanno parte i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Di questi strumenti normativi, la Carta e i principi sono vincolanti per l'UE, mentre la CEDU lo diverrà solo se e quando sarà perfezionata l'adesinoe a essa dell'UE: per il momento la CEDU non vincola direttamente l'Unione, anche se il suo contenuto contribuisce a formare i principi generali. Nell'art 6 sono confluiti i risultati di un lungo processo che inizialmente aveva seguito percorsi diversi tra loro: • Inizialmente la completa assenza di qualsiasi riferimento alla tutela dei diritti fondamentali nel TCE aveva condotto la Corte di giustizia a teorizzare in via giurisprudenziale, a partire dagli anni 70,una forma comunitaria di tutela dei diritti fondamentali: in una serie di sentenze tale tutela viene ricondotta ai principi generali del diritto che le istituzioni devono rispettare e la cui osservanza è sottoposta al controllo della Corte. Secondo l'impostazione della Corte: i diritti fondamentali vanno tutelati nell'ordinamento comunitario in quanto rientranti nei principi generali del diritto; al fine di definire il contenuto di tali diritti e la portata della tutela, la Corte utilizza quali fonti di ispirazione: le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e i trattati internazionali in materia di tutela dei diritti dell'uomo (specialmente la CEDU). • [ L'affermazione della Corte di giustizia per cui esistono principi generali del diritto che proteggono i diritti fondamentali è collegata alla presa di posizione delle Corti costituzionali italiana e tedesca, le quali partono dal presupposto che le norme costituzionali che hanno permesso all'Italia e alla Germania di aderire alla CE (rispettivamente l'art 11 e l'art 23 della Legge fondamentale) non permettono di derogare a quelle altre norme costituzionali che proteggono i diritti fondamentali della presona umana: da ciò consegue che se gli atti adottati dalle istituzioni dell'UE non rispettano tali norme costituzionali le due Corti si riservano il potere di assicurare la prevalenza delle norme costituzionali, impedendo che l'atto comunitario trovi applicazione nell'ordinamento interno. sentenza Frontini del 1973: in questa sentenza la Corte EDU respinge il ricorso dicendo che il caso di specie rientrava nella categoria dei casi in cui manca ogni discrezionalità di azione in capo allo Stato membro. quanto al tentativo di dimostrare che nel caso di specie la tutela offerta dal sistema comunitario sarebbe stata insufficiente, la Corte fa riferimento alla possibilità per le parti che lamentino la violazione dei propri diritti fondamentali da parte di un atto dell'UE di provocare un rinvio pregiudiziale da parte del giudice nazionale alla Corte di giustizia. --> in pronunce successive la Corte EDU ha adottato un atteggiamento più cauto sul rispetto del principio di equivalenza: essa non si accontenta più di constatare che lo Stato membro non disponesse di alcun margine di discrezionalità, ma verifica anche se, nel caso concreto, i rimedi giurisdizionali offerti dal diritto dell'UE sono stati pienamente attivati a garanzia dei diritti fondamentali; di conseguenza la presunzione di protezione equivalente è subordinata a una condizione sostanziale (assenza di ogni margine di discrezionalità da parte delle autorità nazionali nell'attuazione del diritto dell'UE) e una condizione procedurale (la messa in opera dei rimedi giurisdizionali previsti dal diritto dell'UE). • casi in cui gli Stati membri godono di un certo margine di discrezionalità nel dare attuazione agli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione: in questo caso lo Stato membro è pienamente responsabile della violazione della CEDU. Bisogna sottolineare che la giurisprudenza della Corte di giustizia sul problema della tutela dei diritti fondamentali non ha del tutto soddisfatto le corti costituzionali italiana e tedesca e non le ha indotte a rinunciare alla pretesa di assicurare un autonomo controllo sul rispetto di tali diritti da parte delle istituzioni, cfr. sentenza Granital del 1984: la Corte italiana ribadisce quanto affermato nella sentenza Frontini, circa la sua competenza a controllare la compatibilità con i principi fondamentali del nostro ordinamento della legge di esecuzione del TCE. La Carta dei diritti fondamentali dell'UE Il fatto di considerare i diritti fondamentali come rientranti nei principi generali del diritto comporta che alla Corte di giustizia è riservato il compito non solo di individuare quali diritti siano da considerare fondamentali alla luce delle tradizioni costituzionali comuni e dei trattati internazinoali, ma anche di delineare il contenuto dei diritti così individuati. Il fatto che la Corte non sia tenuta ad applicare un testo scritto espone al rischio dell'imprevedibilità dei risultati cui essa perviene di volta in volta e rende il sistema poco trasparente --> per ovviare a questo problema e nell'impossibilità di una rapida adesione alla CEDU si è deciso di predisporre la Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Fino al Trattato di Lisbona il valore giuridico della Carta era incerto: non era una fonte di diritto, ma l'ampiezza dei consensi riscossi e la solennità del processo di elaborazione hanno favorito l'utilizzazione di essa come strumento interpretativo privilegiato per ricostruire la portata dei diritti fondamentali protetti nell'ambito dell'ordinamento dell'UE. E' solo con il Trattato di Lisbona che ne viene definito il valore giuridico: l'art 6 TUE afferma il riconoscimento da parte dell'UE dei diritti, libertà e principi da essa sanciti e attribuisce alla Carta lo stesso valore giuridico dei trattati. Sul piano della gerarchia delle fonti, la formula usata nell'art 6 comporta dei vantaggi rispetto al passato: la Carta risulta posta sullo stesso piano delle altre fonti di diritto primario, in particolare del TUE e del TFUE e le sue disposizioni hanno lo stesso carattere cogente delle norme dei trattati. Tuttavia resta qualche dubbio sulla portata dell'equiparazione: non è chiaro se per modificarla sia necessaria la procedura di revisione dell'art 48 o se l'eventuale violazione da parte di uno Stato membro possa dare il via a un procedimento di infrazione ai sensi dell'art 258 e ss TFUE. Il Protocollo n.30 sull'applicazione della Carta dell'UE alla Polonia e al Regno Unito tuttavia ha concesso agli Stati membri di essere vincolati dalla Carta in modo diverso da tutti gli altri Stati. In particolare secondo l'art 1 la Carta non estende la competenza della Corte di giustizia dell'UE o di qualunque altro organo giurisdizionale della Polonia o del Regno Unito a ritenere che le le leggi, i regolamenti o le disposizioni della P. o del R.U. non siano conformi ai diritti che essa afferma. Lo stesso art esclude che il titolo IV della Carta (relativo ai diritti sociali e sindacali) crei diritti azionabili davanti a un organo giurisdizionale applicabili alla Polonia o al Regno Unito, salvo nella misura in cui la P o il RU abbiano previsto tali diritti nel rispettivo diritto interno. L'art 2 stabilisce poi che, ove una disposizione della Carta faccia riferimento a leggi e pratiche nazionali, detta disposizione si applica alla P o al RU solo nella misura in cui i diritti o i principi contenuti sono riconosciuti nel diritto o nelle pratiche di questi stati. Per quanto riguarda l'interpretazione della Carta facciamo riferimento all'art 6: i diritti, le libertà e i principi della Carta sono interpretati in conformità delle dipsosizinoi del titolo VII della Carta che disciplinano la sua interpretazione e tenendo conto delle spiegazioni cui si fa riferimento nella Carta che indicano le fonti di tali disposizioni; le spiegazioni sono redatte a fine esplicativo sotto la responsabilità del presidium della Convenzione che aveva predisposto la versione originaria della Carta; per effetto del richiamo le spiegazioni risulteranno elevate al rango di fonte interpretativa obbligatoria, da cui la Corte di giustizia non potrà discostarsi. La funzione della Carta è espressa nel preambolo, in cui si afferma che è necessario rafforzare la tutela dei diritti fondamentali, rendendoli più visibili in una Carta, e che la Carta riafferma i diritti derivanti dalle tradizioni costituzionali e dagli obblighi internazionali comuni agli Stati, dalla CEDU, nonchè dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'UE e della Corte EDU. --> sembra quindi che la Carta non abbia carattere normativo, nel senso che non crea diritti che non sono già ricavabili dalle suddette fonti (tradizioni costituzionali comuni, trattati internazionali in particolare la CEDU, le quali sono le fonti di ispirazione individuale dalla giurisprudenza della Corte di giustizia); smebra invece che abbia carattere documentale, perchè riassume in un unico documento l'elenco e la descrizione dei diritti fondamentali ricavabili dalle suddette fonti e già facenti parte dei principi generali del diritto vincolanti per l'UE. Si pone però il problema di stabilire cosa accade in caso di non coincidenza tra i diritti previsti dalla Carta e quelli ricavabili dalle altre fonti ricavabili dal preambolo: la soluzione si trova agli art 52 e 53: • L'art 53 stabilisce una clausola di compatibilità, in base a cui la Carta non impedisce l'applicazione della CEDU o delle altre fonti richiamate nella misura in cui queste prevedano una tutela più ampia di quella garantita dalla Carta. Il problema più delicato rigaurda la conciliazione tra tutela dei diritti fondamentali al livello delle costituzioni degli Stati membri e i principi di applicazione uniforme e di primato del diritto dell'UE: la garanzia particolarmente elevata offerta da una Costituzione nazinoa e un determinato diritto dovrebbe essere in grado di prevalere per effetto dell'art 53 sul regime comune stabilito dal diritto dell'UE. Ma dalla giurisprudenza emerge una diversa soluzione: la Corte ha affermato che uno Stato membro può applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretato dalla Corte, nè il primato, l'unità e l'effettività del diritto dell'UE. Viceversa qualora il grado di tutela del diritto fondamentale in questione sia stato cristallizzato da una specifica norma o atto di diritti dell'UE, come esito di bilanciamento normativo operato dal legislatore dell'UE rispetto a interessi generali concorrenti e tale bilanciamento rifletta il consenso raggiunto dagli Stati membri a proposito della portata da attribuire al diritto fondamentale, la Corte non ammette che uno Stato membro pretenda di applicare il proprio livello di protezione maggiore. • L'art 52 invece si occupa soltanto della CEDU inserendo una clausola di equivalenza: la stessa Carta deve essere applicata in maniera che il livello di protezione assicurato dalla Carta ai diritti tutelati anche dalla CEDU sia almeno equivalente a quello garantito da quest'ultimo strumento. Resta salva la pox che il diritto dell'UE preveda un livello di tutela addirittura superiore e resta salva la pox che la Carta protegga diritti non coperti affatto dalla Convenzione. Ci si potrebbe chiedere perchè l'art 6 abbia mantenuto una struttura così complessa, che utilizza una pluralità di fonti diverse per la protezione dei diritti fondamentali: non sarebbe stato sufficiente limitarsi a sancire il valore giuridico della Carta stessa, senza bisogno da un lato di prevedere l'adesione formale dell'UE alla CEDU e senza bisogno dall'altro di mantenere il richiamo ai principi generali tratti dalla CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri? Per quanto riguarda l'adesione dell'UE alla CEDU la previsione è giustificata, in quanto è finalizzata a sottoporre l'UE al controllo esterno degli organi della CEDU in particolare a quello della Corte EDU (in mancanza dell'adesione formale tale controllo non può essere esercitato direttamente sull'UE); la scelta di reiterare il richiamo ai principi tratti dalla CEDU e dalle tradizioni costituzionali è più controversa, in presenza di una Carta che proprio tali principi dovrebbe incorporare: questa scelta si spiega per 2 motivi, ovvero 1) è frutto dell'idea che la Carta costituisce solo un minimo standard per la protezione dei diritti fondamentali e quindi non bisogna impedire l'applicazione di standard di protezione maggiori previsti da altre fonti 2) bisogna tenere presente che grazie al protocollo n.30 la Carta non è uno standard di protezione interamente comune a tutti gli Stati membri, quindi se non si fosse ribadito l'impegno dell'UE e degli Stati membri a rispettare i principi generali, si sarebbe corso il rischio di un arretramento a livello di protezione da parte di Polonia e Regno Unito. Il ruolo dei principi generali e della Carta dei diritti fondamentali Essi assolvono a una funzione strumentale, perchè influiscono sull'applicazione di norme materiali derivanti da altre fonti. I principi generali del diritto rilevano: • in primo luogo come criteri interpretativi delle altre fonti del diritto dell'UE: l'interprete deve ispirarsi a essi per individuare il corretto significato di ciascuna norma e in presenza di più interpretazioni possibili dovrà scegliere quella più coerente con i principi generali e con il rispetto dei diritti fondamentali. un caso in cui l'esigenza di rispettare i diritti fondamentali condiziona l'interpretazione di un regolamento è costituito dalla causa Wachauf del 1989: il signor W aveva peso in affitto un terreno agricolo e aveva dato avvio a una attività di produzione del latte. Alla scadenza del contratto aveva chiesto alle competenti autorità tedesche di beneficiare dell'indennità per cessazione della produzione, come previsto da un regolamento diretto a favorire la diminuzione della produzione di latte. La domanda però viene rigettata, perchè una disposizione del regolamento prescriveva, nel caso di domanda presentata da un affittuario di azienda, il consenso del proprietario. La Corte tuttavia afferma che la disciplina comunitaria riserva alle autorità nazionali un margien di valutazione abbastanza ampio per consentire loro di applicare detta disciplina in maniera conforme alle esigenze di tuela di diritti fondamentali, garantendo all'affittuario un indennizzo se si impegna ad abbandonare la produzione. • in secondo luogo rilevano come parametro di legittimità per gli atti delle istituzioni: questi possono essere annullati o dichiarati invalidi per violazione di un principio generale o per contrarietà ai diritti sanciti dalla Carta. cfr. caso Man Sugar del 1985. La Corte, che in passato mostrava prudenza nel dichiarare la nullità consuetudinario deve essere osservato nell'ordinamento comunitario, riconosce la validità del regolamento che sospendeva le concessioni tariffarie previste dall'accordo di cooperazione CE-Jugoslavia fondando la sua decisione proprio sul mutamento fondamentale delle circostanze che avevano indotto la CE a concludere quell'accordo, individuando tali circostanze nella situazione di pace del paese, pace non più esistente visto il perdurare dello stato di guerra. Le norme di diritto internazionale generale svolgono: • anzitutto una funzione ermeneutica analoga a quella dei principi generali del diritto e vanno utilizzate per l'interpretazione delle norme dell'UE, comprese quelle dei trattati. • inoltre il diritto inetrnazionale costituisce un parametro di legittimità degli atti delle istituzioni. In questa duplice funzione, le norme di diritto internazionale pox essere invocate sia dalle istituzioni e dagli Stati membri quanto dai soggetti degli ordinamenti interni, che pox avvalersene nelle azioni proposte davanti ai giudici degli Stati membri. Una ipotesi in cui la Corte usa una norma di diritto internazionale generale a fini interpretativi è offerta dalla sentenza Van Duyn del 1974: alla signora Van Duyn (olandese) veniva impedito l'accesso al Regno Unito a causa della sua appartenenza alla Chiesa di Scientology, movimento religioso considerato pericoloso dalle autorità britanniche. Secondo il Regno Unito, il provvedimento contro la signora in causa era giustificato da motivi di ordine pubblico. La Corte respinge l'obiezione della signora Van Duyn, affermando che l'art 39 del trattato CE è direttamente applicabile, peranto vi si applicano e giustificano anche le restrizioni che esso contiene. Il trattato infatti consente agli Stati membri di rifiutare a un cittadino dell'UE l'ingresso o il soggiorno sul loro territorio per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica. GLI ACCORDI INTERNAZIONALI Gli accordi internazionali con Stati terzi che vengono in rilievo rispetto all'ordinamento dell'Unione sono di 3 tipi: • accordi internazionali conclusi dagli Stati membri • accordi internazionali conclusi dall'Unione • accordi internazionali conclusi dall'Unione e dagli Stati membri (accordi misti) 1) Accordi internazionali conclusi dagli Stati membri con Stati terzi questi non fanno parte dell'ordinamento dell'Unione, ma assumono rilevanza nella misura in cui un accordo del genere, a determinate condizioni, può essere invocato dallo Stato membro contraente come causa di giustificazione per il mancato rispetto di obblighi derivanti dai trattati. Questa possibilità vale anzitutto per quanto riguarda gli acordi conclusi da uno Stato membro con uno Stato terzo prima della data in cui il TCE è entrato in vigore rispetto allo Stato membro in questione. Ciò risulta dal principio internazionale generale per cui il trattato concluso da 2 Stati non può essere emendato nè abrogato per effetto della successiva conclusione di un altro trattato tra 2 Stati di cui uno solo sia parte anche del primo trattato. Il principio comporta che lo Stato che ha concluso il primo e il secondo trattato resta tenuto a rispettarli entrambi. Riconoscendo l'esistenza di questo principio l'art 351 del TFUE contiene una clausola di compatibilità, che consente allo Stato membro interessato di sottrarsi agli obblighi derivanti dai trattati, ma: • solo nella misura strettamente necessaria per permettergli di rispettare gli obblighi assunti nei confronti dello Stato terzo; uno Stato membro non potrebbe invocare un accordo con uno Stato terzo per giustificare comportamenti che non sono imposti dall'accordo stesso. Questo principio è affermato nella sentenza Gottardo del 2002: la signora Gottardo invoca nei cofnronti dell'ente italiano di previdenza (INPS) le disposizioni di una convenzione italo-svizzera in materia di previdenza sociale, che consentono ai lavoratori nazionali di entrambe le parti di totalizzare i periodi lavorativi compiuti nei due stati per la maturazione del diritto a ottenere una pensione di vecchiaia. L'INPS respinge la domanda facendo valere che la convenzione non le si applica, essendo divenuta cittadina francese in seguito a matrimonio. Il Tribunale di Roma, ritenendo che il rifiuto dell'INPS possa costituire una discriminazione sulla base della nazinoalità, si rivolge alla Corte di giustizia ai sensi dell'art 234 TCE (ora art 1267 TFUE): la Corte dice quando uno Stato membro conclude con un paese terzo una convenzione internazionale bilaterale sulla previdenza sociale, ai sensi della quale i periodi contributivi maturati nel detto paese sono presi in considerazione ai fini dell'acquisizione del diritto a prestazioni di vecchiaia, il principio fondamentale della parità di trattamento impone a tale Stato emmbro di concedere ai cittadini degli altri Stati membri gli stessi vantaggi di cui godono i suoi stessi cittadini grazie alla detta convenzione, a meno che esso non sia in grado di addurre una giustificazione oggettiva del rifiuto. • inoltre la clausola di compatibilità incontra un limite nel rispetto dei diritti fondamentali: questo art potrebbe giustificare delle deroghe anche a norme di rango primario, ma non ai principi che fanno parte dei fondamenti stessi dell'ordinamento giuridico comunitario, tra cui quello della tutela dei diritti fondamentali. Per quanto riguarda gli accordi con Stati terzi conclusi anteriormente alla data indicata dall'art 351 che abbiano a oggetto materie comprese nella competenza esclusiva dell'UE, è stata ipotizzata una sorta di successione di questa nei diritti e negli obblighi che gli Stati membri contraenti traevano dagli accordi in questione. Quindi in casi del genere, l'UE non è solo tenuta a consentire agli Stati di continuare a rispettare l'accordo, ma è essa stessa tenuta a rispettarlo nell'esercizio della propria competenza. Questo è quanto avvenuto rispetto al GATT concluso nel 1947, avente per oggetto materie rientranti nella politica commerciale comune. 2) Accordi internazionali conclusi dall'Unione con Stati terzi Questi fanno sicuramente parte dell'ordinamento dell'UE a partire dalla data della loro entrata in vigore, ai sensi dell'art 216 TFUE (gli accordi conclusi dall'UE vincolano le istituzioni dell'UE e gli Stati membri). 3) Accordi internazionali conclusi dall'Unione e dagli Stati membri (nella qualità di soggetti autonomi di diritto internazionale) Iniziamente la prassi cdi concludere accordi misti era imposta dal rifiuto di alcuni Stati terzi di riconoscere la competenza della CE. Successivamente questo strumento si è rivelato utile di fronte a ipotesi di accordi riguardanti anche materie che non rientravano affatto nella competenza dell'UE oppure materie sottoposte alla competenza concorrente dell'UE e degli Stati membri e questi non intendevano affidare la conclusione alla sola UE. La Corte considera che gli accordi misti hanno nell'ordinamento dell'UE la stessa disciplina giuridica degli accordi conclusi senza la partecipazione degli Stati membri per quanto riguarda le disposizioni che rientrano nella competenza dell'UE. Valore giuridico degli accordi internazionali: occorre distinguere i rapporti di tali accordi con le fonti di diritto primario e i rapporti con gli atti delle istituzioni: • per quanto riguarda il rapporto tra gli accordi internazionali con i trattati, gli accordi internazionali sono subordinati ad essi e devono rispettarli: in caso contrario l'accordo internazionale o meglio l'atto delle istituzioni con cui è stata decisa la conclusione è illegittimo e può essere annullato. [cfr. sentenza Germania c. Consiglio del 1998: con cui viene annullata la decisione del Consiglio di concludere un accordo quadro sulle banane con alcuni paesi del Centro e del Sud America, per violazione del principio di non discriminazione tra produttori e consumatori di cui all'art 40 TFUE; l'accordo rientrava in una disputa tra i paesi produttori e l'UE per quanto riguarda il regime di importazione delle banane.] lo stesso vale per il rapporto tra accordi internazionali con i principi generali, in particolare quelli che tutelano i diritti fondamentali. • per quanto riguarda il rapporto tra accordi internazionali e atti delle istituzioni, i primi prevalgono sui secondi. l'art 217 TFUE stabilisce infatti che gli accordi conclusi dall'UE vincolano le istituzioni dell'UE e gli Stati membri: le istituzioni non possono adottare atti che non rispettino un accordo concluso dall'UE; in caso contrario l'atto configgente può essere annullato o dichiarato invalido. in altre parole: gli accordi internazionali fungono da parametro di legittimità degli atti delle istituzioni. tuttavia vi sono delle eccezioni ovvero alcuni accordi internazionali non possono essere utilizzati a questo scopo: a. il caso più eclatante è costituito dagli accordi allegati all'Accordo istitutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) firmato nel 1994, rispetto a cui la Corte considera che, vista la sua natura flessibile, non figuri tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni comunitarie. tuttavia la Corte ammette delle eccezioni alla eccezione in cui l'utilizzabilità degli accordi OMC come parametro di legittimità di atti comunitari è ammessa: quando l'atto impugnato è stato adottato proprio per dare esecuzione agli obblighi derivanti da tali accordi; quando l'atto impugnato richiama specifiche disposizioni degli accordi. b. un altro caso di accordo internazionale non utilizzabile come parametro di legittimità è la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) firmata a Montego Bay nel 1982. I REGOLAMENTI art 288 TFUE: i regolamento ha portata generale. è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. • portata generale = significa che il regolamento ha natura normativa. esso pone regole di comportamento rivolte non a soggetti predeterminati in funzione della loro situazione individuale, ma alla generalità dei soggetti. può accadere che un regolamento definisca i requisiti richiesti per la sua applicazione in modo che solo un numero ristretto di persone li soddisfi e può anche darsi che il campo di applicazione sia talmente esiguo che si possa individuare a priori coloro a cui il regolamento si applicherà, ma ciò non toglie obbligo di attuazione: • l'obbligo di attuazione di una direttiva è assoluto per ciascuno stato membro cui la direttiva è rivolta. l'unica hp in cui è possibile omettere di attivarsi è quando lo stato membro è in grado di dimostrare che il proprio ordinamento interno è già perfettamente conforme alla direttiva. [ciò potrebbe verificarsi nel caso in cui una direttiva, nell'adottare un modello di disciplina, si ispiri alla normativa già vigente in uno stato membro cfr. sentenza commissione v. germania del 1985: la germania è riuscita a dimostrare di non aver attuato una direttiva in materia di parità di trattamento tra lavoratori e lavoratrici perchè la sua normativa era già idonea a conseguire il risultato voluto dalla direttiva]. • l'obbligo va adempiuto entro il termine di attuazione fissato dalla direttiva stessa: questo termine può variare da pochi mesi ad anni, a seconda dell'importanza e della difficoltà del risultato. il termine è imperativo e perentorio, cioè non è possibile addurre giustificazioni per il mancato rispetto. il fatto che agli stati sia concesso un termine non deve far dimenticare che l'obbligo di trasposizione sorge nel momento in cui la direttiva entra in vigore. essendo il termine previsto a suo favore, lo stato membro può attuare la direttiva anche prima della scadenza. è anche possibile procedere all'attuazione per tappe, purchè sia completata entro il termine previsto. viceversa, in pendenza del termine, lo stato non può adottare provvedimenti in contrasto con la direttiva o tali da compromettere la realizzazione del risultato che la direttiva prescrive (obbligo di stand-still o di non aggravamento). questi principi sono stati affermati nella sentenza inter environment wallonie: la questione pregiudiziale posta dal consiglio di stato belga riguarda la legittimità di una disposizione della regione vallore, che in pendenza del termine per attuare una direttiva relativa ai rifiuti aveva adottao un provvedimento giudicato dal giudice di rinvio come contrastante con la direttiva stessa. la corte distingue il caso di disposizioni difformi rispetto alla direttiva e che si presentino come trasposizione definitiva e completa della direttiva nel caso in cui lo stato membro abbia adottato disposizioni provvisorie o abbia scelto di attuare la direttiva in fasi. nel primo caso lo stato membro violerebbe l'art 4 TUE perchè non realizzerebbe l'obiettivo della direttiva nei termini stabiliti; nel secondo caso non ci sarebbe nessuna violazione perchè la difformità di disposizioni transitorie del diritto nazionale con detta direttiva non comprometterebbe necessariamente il risultato da essa prescritto. • il principio di leale collaborazione con l'UE impone agli stati membri di comunicare le misure di attuazione che essi hanno adottato: si tratta di un obbligo spesso previsto dalle direttive stesse, autonomo e ulteriore rispetto a quello di tempestiva e corretta trasposizione. scelta delle forme e dei mezzi di attuazione: secondo l'art 288 gli stati sono competenti a scegliere forme e mezzi di attuazione, ma questa scelta non è del tutto libera. • è necessario che gli strumenti scelti siano idonei a produrre la modificazione degli ordinamenti interni voluta dalla direttiva: nella scelta bisogna quindi tenere conto della gerarchia delle fonti di diritto interno. per sempio se la direttiva interviene su una materia giò disciplinata da una norma di legge, l'attuazione dovrà avvenire attraverso norme aventi almeno pari rango rispetto a quelle da modificare o da abrogare. in caso contrario le norme di attuazinoe sarebbero inefficienti e lo scopo non sarebbe raggiunto. • inoltre devono essere scelti strumenti che garantiscano trasparenza e certezza del diritto: la corte ha giudicato insufficienti modi o procedure agevolate di attuazione consistenti nell'approvazione di misure di carattere amministrativo, circolari o semplici istruzioni rivolte agli uffici amministratiti, perchè modificabili liberamente dall'amministrazione e sprovviste di adeguata pubblicità. questo principio è stato affermato nella sentenza commissione c. italia del 1983: la commissione aveva fatto ricorso sostenendo che l'italia aveva violato l'art 288 TFUE perchè aveva omesso di attuare tempestivamente 3 direttive concernenti il ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alle specialità medicinali. l'italia si era difersa affermando di aver adempiuto all'obbligo di attuazione mediante provvedimenti ammistrativi. la corte dopo aver rilevato che tali provvedimenti erano tardivi e di contenuto frammentario, ha detto che semplici provvedimenti amministrativi per loro natura modificabili dall'amministrazione e privi di adeguata pubblicità non possono essere considerati adempimetno dell'obbligo incombente in base all'art 288. contenuto delle direttive: il risultato viene definito dalla direttiva, mentre le forme e i mezzi sono scelti dalle autorità competenti degli stati membri. nella prassi, la distinzione tra risultato e forme e mezzi si è rivelata difficile da tracciare, in quanto determinati risultati non pox essere definiti limitandosi a indicare obiettivi e principi, ma richiedono l'elaborazione di un quadro normativo dettagliato. non è pox individuare uno spazio di competenza riservato agli stati membri, oltre cui la direttiva non può mai intervenire. viceversa il confine tra il livello di intervento dell'UE e quelo nazionale è frutto di valutazioni di natura poltiica che vengono operate dalle istituzioni, in funzione dell'obiettivo voluto dalla direttiva e del principio di sussidiarietà. perciò non sono fondate le accuse di illegittimità rivolte alle direttive adottate fino agli anni 80 nel campo dell'armonizzazione delle legislazioni tecniche, che erano caratterizzate da una disciplina particolareggiata (c.d. direttive dettagliate): queste direttive pur essendo simili nel contenuto a dei regolamenti mantengono la struttura di ogni direttiva, imponendo agli stati membri un obbligo di attuazione e prevedendo un termine, e inoltre si giustifiacno in base al risultato voluto, che era una armonizzazione delle legislazioni nazionali. LE DECISIONI QUADRO nell'ambito di quello che fino al trattato di lisbona era il terzo pilastro le istituzionipotevano adottare una serie di atti che rispondevano a una tipologia diversa rispetto a quella prevista per il pilastro comunitario: l'art 34 TUE elencava infatti 4 tipi di atti tutti del consiglio ovvero posizioni comuni, decisioni-quadro, decisioni e convenzioni. per quanto riguarda le decisioni quadro: si tratta di un tipo di atto che si ispira chiaramente al modello delle direttive, in quanto ne condivide lo scopo che la maggior parte delle direttive persegue (il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli stati membri) e come le direttive son ovincolanti per gli stati membri quanto al risultato da ottnere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi. tuttavia sussiste una importante differenza, ovvero le decisioni-quadro non hanno efficacia diretta. LE DECISIONI art 288 TFUE: la decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. se la decisione designa i destinatari è obbligatoria solo nei confronti di questi. si distingue quindi tra 2 tipi di decisioni: • decisione individuale = dotata di destinatari individuati nell'atto che sono i soli soggetti alla sua portata obbligatoria. essa coniuga 2 caratteristiche: come il regolamento essa è obbligatoria in tutti i suoi elementi e deve essere rispettata nella sua interezza; come la direttiva non ha portata generale vincolando solo i destinatari designati, ma a differenza della direttiva la decisione può essere rivolta anche a soggetti diversi dagli Stati membri, cioè i singoli individui. si distingue quindi ulteriormente tra: a. decisioni individuali rivolte agli stati membri: sono nella sostanza simili alle direttive, qualora impongano un obbligo di facere (in questo caso l'attuazione è disciplinata in modo analogo alle direttive), ma spesso l'obbligo di facere è più specifico dell'obbligo di attuare una direttiva e lascia allo stato membro un margine di discrezionalità più ristretto. inoltre esistono decisioni che si limitano a prescrivere un obbligo di non facere: in questo caso lo stato membro è tenuto ad astenersi dall'attività vietata. b. decisioni individuali rivolte ai singoli: hanno natura amministrativa. i casi più importanti consistono nelle decisioni che la commissione adotta nell'ambito della disciplina della concorrenza che possono prevedere anche la comminazione di sanzioni pecuniarie a carico delle imprese. in questo caso le decisioni sono titolo esecutivo ai sensi dell'art 299 TFUE. previa apposizione della formula esecutiva da parte dell'autorità designata dallo stato membro in cui si intende ottenere l'esecuzione è possibile procedere alla loro esecuzione forzata, nel rispetto delle condizioni stabilite dall'ordinamento nazionale. • decisioni generali: sono prive di destinatari individuati e hanno pertanto portata obbligatoria generale. gli esempi più importanti sono: c. alcune decisioni che il consiglio europeo adotta nell'ambito delle procedure di revisione dei trattati in partic quelle che riguardano alcune procedure semplificate. d. alcune decisioni del consiglio europeo che danno attuazione a specifiche disposizioni dei trattati (per es le decisioni con cui stabilisce la composizione del parlamento europeo, l'elenco delle formazioni del consiglio diverse da quella affari generali e affari esteri, la presidenza delle formazioni diverse da quella affari esteri). e. alcune decisioni prese dal consgilio, per esempio quelle in cui si constata un evidente rischio di violazione grave da parte di uno stato membro dei valori di uci all'art 2 TUE o quelle con cui autorizza una cooperazione rafforzata. f. decisioni del consiglio adottate nel quadro della PESC. ATTI NEL SETTORE PESC il trattato di lisbona, nonostante elimini le distinzioni tra gli atti di quello che in passato era il terzo pilastro e quelli tradizionali del pilastro comunitario, mantiene un regime speciale per la PESC (art 24 TUE). ai sensi dell'art 25 TUE gli atti giuridici attraverso cui l'UE conduce la PESC sono di due tipi: • orientamenti generali = atti del consiglio europeo corrispondenti alle strategie comuni previste in passato. sono atti di altissima politica che definiscono le linee guida su cui l'UE deve muoversi nel settore della politica estera e di sicurezza comune. in via amministrativa la legge di delegazione europea dovrebbe avere un iter parlamentare più veloce. la l. 234/2012 si occupa anche della attuazione del diritto dell'UE da parte delle regioni: salvo il principio della responsabilità del solo stato nei confronti delle istituzioni dell'UE, l'art 117 prevede che le regioni e le province autonome di trento e bolzano, nelle materie di loro competenza, provvedono all'attuazinoe all'esecuzione degli atti dell'UE nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dellostato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempimento. in attuazione di questo principio la l. 234 del 2012 prevede che le regioni e le province autonome, nelle materie di loro competenza, possono dare immediata attuazione alle direttive, senza dover attendere un intervento preventivo da parte dello stato. questo non esclusde del tutto l'intervento dello stato, in quanto nelle materie di competenza concorrente è compito dello stato determinare i principi fondamentali e questo vale anche quando si tratta di attuare atti dell'UE. in secondo luogo l'art 117 prevede a favore dello stato un potere sostitutivo nel caso di inadempimento regionale riguardante la normativa dell'UE. su questo punto la legge 234 del 2012 ribadisce il sistema precedente consistente in un meccanismo di sostituzione preventiva: lo stato adotta decreti legislativi o regolamenti di attuazione anche riguardo a direttive che ricadono nelle materie di competenza legislatiiva o regolamentare delle regioni o delle province autonome e tali provvedimenti si applciano solo a partire dalla data di scadenza dell'obbligo di attuazione di ciascuna direttiva e solo nel territorio delle regioni che non abbiano già provveduto autonomamente all'attuazione e fino a quando non lo avranno fatto (si dice che hanno natura cedevole). Parte IV: diritto dell’Unione Europea e soggetti degli ordinamenti interni la caratteristica dell'ordinamento dell'UE è di riconoscere come titolari di soggettività giuridica non solo gli stati membri, ma anche coloro a cui tale soggettività spetta nell'ambito degli ordinamenti interni degli stati membri. di conseguenza le norme dell'UE presentano due dimensioni distinte: • dimensione internazionalistica: di tipo internazionalistico sono i rapporti giuridici che il diritto dell'UE fa sorgere in capo agli stati membri e all'UE stessa. il contenuto di tali rapporti è costituito da una serie di diritti e obblighi, che l'UE o uno stato membro può far valere nei confronti di un altro stato membro o di una istituzione. nell'ambito di tali rapporti lo stato membro interessato si presenta in maniera unitaria, analogamente a quanto accade nell'ordinamento internazionale, in quanto lo stato membro è espressione di tutte le componenti in cui si articola la sua organizzazione intern (organi dipendenti dal potere esecutivo, organo dotati di autonomia costituzionale, enti territoriali e regionali e individui). i rapporti di tipo internazionalistico sfociano in caso di controversia in procedimenti giudiziari di stampo internazionalistico, di cui il più importante è disciplinato dagli artt 258-259 TGUE. • dimensione interna: a una dimensione interna all'ordinamento di ciascuno stato membro appartengono i rapporti giuridici che coinvolgono soggetti di tali ordinamenti. si può trattare di rapporti orizzontali, che vedono contrapposti un soggetto privato a un altro, o di rapporti verticali, che sorgono tra un soggetto privato e un soggetto pubblico, in quanto riconducibile a una autorità statale o pubblica. il diritto dell'UE può intervenire in questi rapporti con intensità variabile: a. effetto di sostituzione: in primo luogo può darsi che il diritto dell'UE fornisca in tutto o in parte la disciplina di tali rapporti. questo avviene in particolare nel campo di applicazione dei regolamenti, che essendo direttamente applicabili, costituiscono una fonte che assume valore normativo anche all'interno degli ordinamenti nazionali, sostituendosi alle eventuali norme interne preesistenti. un tale effetto può derivare anche da altre fonti di diritto dell'UE comprese le norme dei trattati e della carta dei diritti fondamentali. esempio dell'effetto di sostituzione che una disposizione contenuta in un regolamento può produrre è la setnenza variola del 1973: l'italia aveva dato applicazione a un regolamento comunitario trasfondendolo in un decreto legislativo. il regolamento prescriveva l'abolizione a partire dalla sua entrata in vigore, delle tasse di effetto equivalente all'importazione sui cereali. il decreto legislativo invece stabiliva che l'abolizione dei diritti di statistica aveva effetto a partire dall'entrata in vigore dello stesso decreto, data che era successiva a quella d'entrata in vigore del regolamento. la corte giudica che l'efficacia diretta negli ordinamenti giuridici degli stati membri, propria dei regolamenti, non potrebbe essere contrastata in giudizio da una legge interna e che questo vale in particolare per la data a partire da cui la norma comunitaria ha efficacia e attribuisce ai singoli dei diritti soggettivi. in questo caso la disposizione regolamentare da cu isi ricava la data a partire da cui i diritti di statistica sono aboliti si sostituisce alla divergente previsione del decreto legislativo. b. effetto di opposizione: in secondo luogo il diritto dell'UE può interessare la disciplina di un rapporto giuridico dettando principi generali o regole particolari che si limitano ad impedire l'applicazione di norme interne a esse contrarie. in questi cai la disciplina del rapporto resta soggetta al diritto interno, da cui vengono espunte solo le norme incompatibili con il diritto dell'UE. un esempio del genere si trova nella sentenza cowan del 1989: il principio della parità di trattamento per i destinatari di servizi previsto dall'art 57 TFUE ha l'effetto di rendere non opponibile al signor cowan la norma francese che limita ai cittadini nazionali la pox di ricevere l'indennità in causa. per il resto il diritto francese resta applicabile. sia nel caso dell'effetto di sostituzione sia in quello di opposizione si suol dire che la norma comunitaria produce effetti diretti ovvero gode di EFFICACIA DIRETTA negli ordinamenti interni e quindi nei confronti dei soggetti riconosciuti da tali ordinamenti. l'efficacia diretta di una norma dell'UE implica che: a. il soggetto nei cui confronti la norma produce effetti favorevoli può pretenderne il rispetto da parte dell'altro soggetto del rapporto (efficacia diretta in senso sostanziale) b. in caso di mancato rispetto il soggetto favorito dalla norma potrà chiedere al giudice nazionale l'applicazione in giudizio della norma stessa ottenendone la corrispondente tutela giurisdizionale (invocabilità in giudizio). la distinzione tra la portata sostanziale dell'efficacia diretta di una norma dell'UE e il diritto alla tutela processual delle posizioni soggettive create dalla norma risulta dalla sentenza fratelli costanzo del 1989: in violazione di una direttiva in materia di appalti di lavori pubblici, la normativa italiana continuava a prevedere l'esclusione dalle gare delle offerte che risultassero anormalmente basse. applicando la normativa italiana, il comune di milano aveva escluso l'offerta dell'impresa costanzo. il tribunale amministrativo regionale della lombardia chiede alla corte di sapere se l'amministrazione comunale avesse il potere-dovere di disapplicare le norme interne contrastanti con la direttiva o se tale potere- dovere spettasse solo ai giudici nazionali. la corte risponde che, qualora sussistano i presupposti necessari, affinchè le disposizioni di una direttiva siano invocabili dai singoli dinanzi ai giudici nazionali, tutti gli organi dell'amministrazione sono tenuti ad applicare le suddette disposizioni e a disapplicare le norme del diritto nazionale non conformi. bisogna sottolineare che in passato la corte usava indistintamente i termini efficacia diretta e applicabilità diretta, ma in realtà: l'applicabilità diretta in senso stretto (nel senso di non necessità di misure di attuazione da parte degli stati membri) è riservata dall'art 288 TFUE ai soli regolamenti. invece considerato che l'efficacia diretta è una caratteristica che può essere presente anche in altre fonti del diritto dell'UE, comprese le direttive e le decisioni, appare opportuno distinguere le due nozioni e usare solo il termine efficacia diretta per riferirsi all'oggetto della presente parte. NB: non sempre le norme dell'UE presentano le caratteristiche necessarie per produrre effetti diretti: perfino i regolamenti, per i quali l'efficacia diretta dovrebbe scaturire come conseguenza normale dall'applicabilità direttà, possono difettare di queste caratteristiche. per le direttive le condizioni e la portata dell'efficacia diretta sono definite in modo particolarmente restrittivo. l'efficacia diretta non è l'unica forma con cui le norme dell'UE assumono rilevanza normativa interna, infatti, in presenza di norme prive della capacità di produrre effetti diretti, la giurisprudenza ha indivuato e talvolta a soluzioni paticolari. 1. TRATTATI: per quanto riguarda le disposizioni dei trattati, alcune di esse si riferiscono espressamente ai singoli. un esempio importante è dato dalle norme in materia di concorrenza (in partic art 102 e 103 TFUE, che vietano alcuni comportamenti delle imprese): queste norme sono senz'altro direttamente efficacaci nel senso che sono direttamente opponibili alle imprese interessate. [nella causa pronuptia del 1986 un'impresa concessionaria legata a un'altra impresa da un contratto di franchising invoca la contrarietà di alcune clausole del conrtatto rispetto all'art 101 TFUE per resistere alla richiesta di pagamento di compensi dovuti in forza del contratto stesso]. anche norme dei trattati formalmente rivolte agli stati membri possono produrre effetti diretti qualora siano dotate delle caratteristiche della sufficiente precisione e incondizionatezza (cfr. sentenze van gend and loos, defrenne e van duyn). le norme dei trattati producono effetti diretti tanto nei rapporti verticali quanto nei rapporti orizzontali: è quindi possibile parlare di efficacia diretta verticale e di efficacia diretta orizzontale. nella sentenza angonese del 2000 il signor angonese contesta l'esclusioned a un concorso per un posto presso la cassa di risparmio di bolzano, dovuta al mancato possesso del patentino di bilinguismo. invocando le conoscenze linguistiche acquiste durante soggiorni in altri stati membri, il signor angonese sosteneva che il requisito del patentino comportava una discriminazione nei suoi confronti vietata dall'art 45 TFUE. il pretore di bolzano si rivolge alla corte di giustizia per sapere se l'art 45 possa essere invocato nei confronti di un soggetto privato come la cassa di risparmio. la corte rileva che il principio di non discriminazione enunciato all'art 48 è formulato in termini generali e non è rivolto in modo particolare agli stati membri. secondo la corte, essendo le condizioni di lavoro nei vari stati membri disciplinate talvolta da norme di natura legislativa o regolamentare, talvolta da contratti e altri atti stipulati o emessi da privati, una limitazione del divieto di discriminazione basata sulla cittadinanza agli atti della pubblica autorità rischierebbe di creare disparità nella sua applicazione. ne consegue che questo divieto si applica anche ai privati e che la cassa di risparmio non può opporre al signor angonese una condizione discriminatoria per l'ammissione a un concorso. 2. PRINCIPI GENERALI: ricordiamo a questo proposito la sentenza dansk industri del 2016 in cui la corte ha accordato efficacia orizzontale al principio di non discriminazione sulla base dell'età in materia di lavoro e al pricipio fondamentale della parità di trattamento, di cui il primo costituisce solo una espressione particolare, nell'ambito di una controversia tra privati. 3. CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI: le sue norme, in quanto dirette a tutelare i diritti individuali delle persone, godono in generale di efficacia diretta, nel senso che possono essere invocate dagli interessati in rapporti verticali, cioè a difesa di comportamenti lesivi assunti da poteri pubblici, ma anche nell'ambito di controversie tra privati. va però tenuto presente l'art 52 secondo cui le disposizioni della presente carta che contengono principi possono essere attuate da atti legislativi ed esecutivi adottati da istituzioni, organi e organismi dell'UE e da atti di stati membri, allorchè essi danno attuazione al diritto dell'UE, nell'esercizio delle loro rispettive competenze. esse possono essere invocate dinanzi a un giudice solo ai fini dell'interpretazione e del controllo di legalità di tali atti: da questo art sembra doversi ricavare che le disposizioni della carta contenenti meri principi non sarebbero in grado di produrre effetti diretti. 4. ACCORDI INTERNAZIONALI conclusi dall'UE con stati terzi ai sensi dell'art 216 TFUE: è possibile che soggetti privati siano interessati a far valere la disciplina contenuta in tali accordi per contestare la legittimità di comportamenti o di provvedimenti degli stati membri o delle istituzioni. si pensi agli accordi che prevedono per le merci provedienti dallo stato terzo contraente un regime di importazione di particolare favore oppure estendono ai cittadini di quello stato il principio di libera circolazione. la verifica svolta dalla corte per decidere circa l'efficacia diretta delle disposizioni contenute in accordi internazionali si caratterizza per una particolare attenzione rivolta al contesto. l'analisi si svole in 2 tempi: in primis bisogn adimostrare che la natura e la struttura dell'accordo permettono di riconoscere effetti diretti alle sue disposizioni in generale; successivamente è necessario provare che la specifica disposizione invocata abbia le caratteristiche della sufficiente precisione e incondizionatezza. 5. REGOLAMENTI: il problema dell'efficacia diretta in genere ha scarsa rilevanza, in quanto la caratteristica della diretta applicabilità implica normalmente che le disposizioni dei regolamenti siano anche capaci di produrre effetti diretti. questo principio subisce una certa attenuazione nel caso di regolamenti che richideono l'emanazione da parte degli stati membri di provvedimenti di integrazione o di esecuzione: in questi casi, in mancanza dei provvedimenti nazionali, bisognerà verificare che la disposizione regolamentare in questione presenti i presupposti della sufficiente precisione e incondizionatezza. nel caso leonesio del 1972 la signora leonesio esigeva dal ministero italiano dell'agricoltura il pagamento del premio per l'abbattimento delle mucche da latte previsto da un regolamento. il ministero si opponeva alla richiesta sostenendo che il regolamento poneva a carico degli stati il pagamento del premio e che, in mancanza dello stanziamento dei fondi necessari da parte delle competenti autorità nazionali, le disposizioni relative al premio non sarebbero state direttamente efficaci. secondo la corte questa tesi sarebbe contraria al principio fonadmentale che prescrive l'applicazione uniforme dei regolamenti all'interno dell'intera comunità. la corte ricorda che le disposizioni del regolametno, nell'enumerare in modo tassativo le condizioni a cui è subordinato il sorgere dei diritti soggettivi, non vi includono considerazioni di bilancio. la corte sempre perciò ritenere che il contenuto del regolamento fosse sufficientemente preciso e incondizionato. anche i regolamenti producono effetti diretti tanto nei rapporti verticali quanto in quelli orizzontali: anche in questo cao è possibile parlare di efficacia diretta verticale (anche invertita, ossia azionata a carico dei singoli da parte della pubblica autorità, anche giurisdizionale) e di efficacia diretta orizzontale. 6. DIRETTIVE: per quanto riguarda i presupposti sostanziali, anche le direttive per essere direttamente efficaci devono avere le caratteristiche della sufficiente precisione e incondizionatezza. [nella causa marshall del 1986 la signora marshal contesta al proprio datore di lavoro la violazione dell'art 5 diuna direttiva, avendo applicato nei suoi confronti condizioni di licenziamento meno favorevoli a quelle applicate ai lavoratori di sesso maschile. malgrado la scadenza del termine, la direttiva non era stata attuata dalle autorità britanniche. la corte dice che in tutti i casi in cui le disposizioni di una direttiva appaiono sufficientemente precise e incondizionate, i singoli pox farle valere nei confronti dello stato, tanto se questo non ha trasposto la direttiva nel diritto nazionale, quanto se l'ha trasposta in modo inadeguato. nel caso di specie la disposizione è adeguatamente precisa e incondizionata]. le differeze riguardano invece il momento a partire dal quale l'efficacia diretta si produce e i soggetti nei confronti di cui può essere fatta valere: a. portata temporale: bisogna tenere persente che la direttiva per sua natura non è concepita come fonte di effetti diretti. la disciplina dei rapporti giuridici interni rientranti nel suo oggetto non è posta dalla direttiva stessa ,ma dalle norme di attuazione poste da ciascuno stato membro. di regola le direttive hanno una efficacia normativa interna meramente indiretta o mediata. tuttavia capita che gli stati membri attuino le direttive in ritardo o in forme non corrette o sufficienti, in modo da impedire il raggiungimento del risultato voluto: solo in casi del generer che appartengono alla patologia del meccanismo delle direttive, si pone il problema di stabilire se, nonostante la mancanza o l'insufficienza delle misure nazionali di attuazione, la direttiva possa produrre effetti diretti. quindi di effetti diretti di una direttiva non si può parlare se non dopo la scadenza del termine per l'attuazione concesso agli stati membri. prima di questo momento la direttiva non può produrre altri effetti giuridici che quello di pbbligare gli stati membri ad attuarla. b. portata soggettiva: la giurisprudenza che ha riconosciuto anche alle direttive non attuate la pox di produrre effetti diretti ha seguito un percorso argomentativo vario, ma coerente nel sottolineare il nesso tra efficacia diretta e violazione dell'obbligo di attuazione che grava sugli stati membri. inizialmente la corte ha puntato sul carattere obbligario della direttiva, avvicinandola in questo modo al regolamento, ma anche sulla teoria dell'effetto utile, che porta a interpretare le norme comunitarie in modo da consentire che esse esplichino i loro effetti nella maggiore misura possibile. questa linea argomentativa è presente nella sentenza van duyn del 1974: la signora van duyn per contestare il mancato rilascio del permesso di soggiorno sosteneva che tale provvedimento era basato su comportamenti addebitati alla chiesa di scientology, presso la quale ella intendeva lavorare. il provvedimento non era pertanto giustificato dal suo comportamento personale, come prescriveva invece una direttiva del consiglio. il regno unito si difendeva sostenendo che alla norma in questione, in quanto contenuta in una direttiva, non potevano essere riconosciuti effetti diretti. la corte invece afferma che sarebbbe in conrtasto con la forza obbligatoria attribuita dall'attuale art 288 TFUE alla direttiva di escludere in generale la possibilità che l'obbligo da essa imposto sia fatto valere dagli eventuali interessati. successivamente la corte introduce un nuovo argomento che sembra assimilare l'efficacia diretta a una sorta di sanzione a carico dello stato membro inadempiente: questo argomento appare per la prima volta nella causa ratti del 1979: al signor ratti le autorità italiane contestavano la violazione delle norme interne relative all'etichettaggio delle vernici. il signor ratti si difendeva affermando che tali norme erano incompatibili con una direttiva comunitaria adottata in materia, a cui le autorità italiane non avevano datto attuazione tempestiva e sostenendo che le etichette dei propri prodotti erano conformi a detta direttiva. la corte afferma che lo stato membro che non abbia adottato entro i termini i provvedimenti di attuazione imposti dalla direttiva non può opporre ai singoli l'inadempimento, da parte sua, degli obblighi derivanti dalla idrettiva stessa. in altri termini, secondo la corte, lo stato membro che non ha recepito la direttiva deve subire le conseguenze del proprio inadempimento e non può impedire ai singoli di avvalersi dei diritti a essi riconosciuti dalla direttiva inattuata (principio dell'estoppel). questa giustificazione dell'efficacia diretta delle direttive inattuate o scorrettamente attuate non compare più nella giurisprudenza recente. dal momento che l'efficacia interna della direttiva inattuata è conseguenza dell'obbligatorietà della stessa nei confronti degli stati membri, si capisce perchè la corte abbia limitato tale efficacia ai soli rapporti verticali e più precisamente ai rapporti in cui la direttiva è invocata contro una autorità pubblica: ogni autorità pubblica è infatti tenuta, nel proprio ambito di competenza, ad attuare la direttiva ai sensi dell'art 288 TFUE. viceversa la direttiva inattuata, benchè contenente disposizioni sufficientemente precise e incondizionate, non può produrre effetti diretti nei rapporti orizzontali o in modo da addossare obblighi ai soggetti privati i quali non possono essere in alcun modo considerati responsabili della mancata attuazione. allo stesso risultato si giunge argomentando dal principio generale della certezza del diritto: tale principio sarebbe violato se ai singoli si imponessero obblighi in base a una direttiva inattuata, non essendo questi in grado di conoscerne con sufficiente certezza la portata. --> la direttiva ha quindi solo efficacia diretta verticale, mentre è priva di efficacia nelle seguenti situazioni: fondamentale: una soluzione del genere è stata adottata dalla corte in casi in cui davanti al giudice nazionale rilevi un principio generale del diritto dell'UE, a cui una direttiva si limiti a dare espressione concreta. e. una ulteriore eccezione è stata prospettata, ma non accettata nei casi di successione di norme interne di cui la più recente, a differenza della più antica, sia incompatibile con una direttiva: in questi casi la direttiva non comporta di per sè effetti negativi a carico di privati, in quanto essa si limita a impedire l'applicazione della disposizione interna più recente, ma sarebbe lo stesso ordinamento interno, attraverso la norma più antica tornata in vigore, che produrrebbe effetti del genere. la tesi è stata respinta dalla corte. 7. DECISIONI: raramente la corte è stata chiamata a pronunciarsi sull'efficacia diretta delle decisioni. i dubbi riguardano soprattutto: a. le decisioni che hanno gli stati membri come destinatari. nella sentenza grad del 1970 la corte, occupandosi di una decisione del cnosiglio rivolta agli stati membri, ha riconosciuto la pox che tale decisione possa essere invocata non solo dalle istituzioni dell'UE, ma anche da qualsiasi soggetto interessato al suo adempimento, anticipando gli argomenti che sono stati poi utilizzati a proposito delle direttive nella sentenza van duyn. solo recentemente la corte ha avuto modo di precisare che alle decisioni si applicano le stesse limitazioni individuate a proposito delle direttive. b. le decisioni in materia di aiuti statali alle imprese: queste decisioni spesso prescrivono allo stato membro destinatario l'obbligo di pretendere dalle imprese beneficiarie la restituzione degli aiuti già erogati. l'obbligo di restituzione è collegato all'art 108 TFUE da cui si evince il divieto di erogare aiuti non previamente autorizzati dalla commissione. in queste situazioni lo stato membro interessato può opporre alle imprese l'obbligo di recupero derivante dalla decisione, creando una situazione di effetto verticale c.d. inverso, visto che le imprese ricavano uno svantaggio dalla decisione rivolta allo stato. tuttavia l'effetto sfavorevole per le imprese non deriva dalla decisione in quanto tale, ma dai provvedimenti di attuazione che lo stato membro è tenuto ad assumere. si tratta di un effetto sfavorevole soltanto indirettamente collegato alla decisione. 8. ATTI DELLE ISTITUZIONI EMANATI NELL'AMBITO DELL'EX TERZO PILASTRO (cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale): l'art 34 TUE escludeva espressamente che le decisioni quadro e le decisioni avessero efficacia diretta e verosimilmente nemmeno gli atti appartenenti alle altre categorie di cui all'art 34 TUE o gli atti PESC erano idonei a produrre effetti diretti. ai sensi dell'art 9 del protocollo n.36 sulle disposizioni transitorie, anche dopo il trattato di lisbona, gli effetti giuridici degli atti adottati dalle istituzioni ai sensi del TUE, cioè dei pilastri comunitari, sono mantenuti finchè tali atti non saranno abrogati, annullati o modificati in attuazione dei trattati. si può pensare che con questa formula si sia inteso preservare anche la mancanza di effetti diretti di cui parlava l'art 34 a proposito delle decisioni quadro e delle decisioni. EFFICACIA INDIRETTA vi sono numerosi motivi che possono escludere l'efficacia diretta di una norma dell'UE (la norma potrebbe mancare delle caratteristiche della sufficiente precisione e incondizionatezza; qualora la norma sia contenuta in una direttiva inattuata potrebbe non essere invocabile perchè il soggetto che ne trarrebbe vantaggio è un privato): in questi casi ci si chiede se la norma dell'UE possa assumere un valore normativo indiretto nell'ordinamento degli stati membri, cioè se debba essere presa in considerazione dai giudici nazionali (c.d. efficacia indiretta). l'individuazione di forme di efficacia indiretta è stata valorizzata in particolare rispetto alle direttive, considerati i limiti temporali e soggettivi degli effetti diretti che tali atti possono conseguire. anzi si può dire che il ricorso a forme di efficacia indiretta è un ulteriore modo usato dalla corte per attenuare gli inconvenienti suddetti derivanti dalla giurisprudenza sulla mancanza di effetti diretti orizzontali. 1) OBBLIGO DI INTERPRETAZIONE CONFORME i giudici nazionali quando sono chiamati ad applicare norme interne sono tenuti ad interpretarle in conformità con il diritto dell'UE anche se questo non è direttamente efficace. questo obbligo si collega all'obbligo di leale collaborazione, ex art 4 TUE. in quanto organi dello stato membro i giudici sono tenuti a fare il pox affinchè il risultato voluto dalla direttiva sia raggiunto. la differenza tra efficacia diretta e interpretazione conforme sta nel fatto che: • nel primo caso il giudice disapplica la norma interna confliggente con la norma dell'UE. • nel secondo caso egli applica sempre la norma interna, ma interpretandola in modo aderente a quella dell'UE. l'obbligo di interpretazione conforme è stato affermato quando il giudice nazionale si trova a interpretare e applicare le disposizioni che uno stato membro ha adottato per attuare una direttiva; in questi casi deve preusmersi che lo stato membro abbia avuto l'intenzione di adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva. --> successivamente l'obbligo di interpretazione conforme è stato esteso anche a disposizioni nazionali più antiche rispetto alla direttiva e qunidi prive di qualsiasi legame funzionale con la stessa (cfr. sentenza marleasing del 1990) --> infine la corte ha chiarito che l'obbligo riguarda tutto il diritto nazionale senza distinzioni. l'obbligo di interpretazione incontra alcuni limiti: • l'obbligo è subordinato all'esistenza di un margine di discrezionalità che consenta all'interprete di scegliere tra più interpretazioni possibili della norma interna. solo in questo caso sorge l'obbligo di scegliere l'interpretazione maggiormente conforme alle esigenze del diritto dell'UE: invece, se la norma interna è inequivocabilmente contraria alla norma dell'UE e questa è priva di efficacia diretta, l'obbligo in esame viene meno. in altre parole, l'obbligo di interpretazione conforme non può servire da fondamento a una interpretazione contra legem del diritto nazionale. nella sentenza impact del 2008 la corte si occupa di una legislazione irlandese che dà attuazione tardiva a una direttiva in materia di lavoro a tempo determinato, senza prevedere l'applicazione retroattiva della nuoa disciplina a situazioni sorte nell'intervallo tra la data di entrata in vigore di tale legge e la scadenza del termine di attuazione della direttiva. nell'ordinamento irlandese esiste un principio che esclude la portata retroattiva di una nuova legge, salvo indicazione chiara e univoca in senso contrario. alla corte si chidee se tale principio deve essere superato in ossequio all'obbligo di interpretazione confrome. la corte risponde negativamente. secondo la corte il diritto comunitario, in particolare l'esigenza di interpretazione conforme, non potrebbe interpretarsi, salvo costringere il giudice nazionale a interpretare il diritto nazioanle contra legem, come un diritto che gli impone di conferire alla legge irlandese una portata retroattiva alla data di scadenza del termine di trasposizione della direttiva. • un altro limite è di carattere temporale ed è il fatto che l'obbligo non sorge prima della scadenza del termine di attuazione della direttiva in questione, cfr. sentenza adeneler del 2006: il signor adeneler e dei suoi colleghi erano stati assunti nella pubblica amministrazione greca con numerosi contratti a tempo determinato. questa prassi era contraria a una direttiva del consiglio relativa a un accordo quadro sul lavoro a tempo determinato. gli attori chiedevano che l'amministrazione greca fosse condannata per assumerli a tempo indeterminato. la direttiva tuttavia pur imponendo agli stati di prevedere delle sanzioni in caso di abuso dei contratti a tempo determinato non prescriveva agli stati membri l'obbligo di riconoscere ai lavoratori interessati il diritto a ottenere la trasformazione del contratto in uno a tempo intedeterminato. si deduce che la direttiva non era sotto questo profilo sufficientemente precisa e quindi direttamente efficace. la corte ricorda al giudice greco l'obbligo di interpretazione conforme precisando che in caso di tardiva attuazione di una direttiva, l'obbligo generale che incombe ai giudici nazionali di interpretare il diritto interno in modo conforme alla direttiva esiste solo a partire dalla scadenza del termine di attuazione di quest'ultima. • infine la corte ha precisato che nell'adempiere all'obbligo di interpretazione conforme, il giudice deve rispettare i principi generali del diritto, compresi quelli a tutela dei diritti fondamentali, ora previsti dalla carta dei diritti fondamentali. in altri termini l'interpretazione conforme non può condurre a risultati normativi che si pongono in conflitto con i principi generali. tra i principi generali rilevanti, la corte menziona quello della certezza del diritto e dell'irretroattività: questi principi trovano in particolare applicazione nel campo penale e si oppongono a che l'interpretazione porti a un aggravamento della responsabilità penale degli individui, creando nuove ipotesi di reato o estendendo il campo di applicazione di quelle già previste dall'ordinamento interno. la differenza tra obbligo di interpretazione conforme e efficacia diretta è valorizzata dalla sentenza pupino del 2005. la corte ha affermato che l'obbligo di interpretazione conforme sussiste anche riguardo alle decisioni quadro adottate nell'ambito dell'allora terzo pilastro, nonostante l'art 34 TUE specificasse che tali atti non hanno efficacia diretta. questa affermazione mantiene la sua importanza anche dopo che il trattato di lisbona ha soppresso la categoria delle decisioni quadro; gli effetti giuridici di tali atti permangono infatti fino alla loro abrogazione o modifica. la signora pupino era indagata dal tribunale di firenze per i reati di abuso dei mezzi di disciplina e lesioni personali commessi nei cofronti di alcuni alunni minorenni. il PM aveva chiesto che l'assunzione delle testimonianze delle vittime avvenisse prima del dibattimento appliacndo le modalità dell'incidente probatorio. il GIP ritenendo che tale norma avesse portata eccezionale e fosse applicabile solo ai reati specificamente indicati, tra cui non figurano quelli contestati alla pupino, interroga in via preliminare la corte circa l'interpretazione della decisione quadro del consiglio relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. in particolare vi era un art che prevedeva che ove sia necessario proteggere le vittime dalle conseguenze della loro deposizione in udienza pubblica ciascuno stato membro garantisce alla vittima la facoltà, in base a una decisione del giudice, di rendere testimonianza in condizioni che consentano di raggiungere tale obiettivo e che siano compatibili con i principi fondamentali del proprio ordinamento. il giudice a quo si chiede se la decisione quadro gli imponga di consentire l'assunzione anticipata della prova testimoniale: secondo la corte la questione pregiudiziale mira a accertare se l'obbligo che incomeb alle autorità nazionali di interpretare il loro dirittto nazionale per quanto possibile alla luce della lettera e dello scopo delle direttive comunitarie si applichi con gli stessi effetti e limiti salvo eventuali interventi di armonizzazione da parte delle istituzioni dell'UE, la definizione degli aspetti processuali spetta all'ordinamento nazionale dello stato membro, nel cui ambito la norma dell'UE è azionata. secondo il principio affermato nella sentenza Rewe del 1976 in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, è l'ordinamento giuridico interno di ciascuno stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali tese a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta. --> è il principio dell'autonomia processuale degli stati membri. tuttavia questo principio non è assoluto, ovvero non sempre le norme processuali nazionali possono essere applicate alle azioni esercitate per la tutela di diritti originati da una fonte dell'UE. le condizioni perchè tale principio possa valere sono due e sono cumulative: • le modalità definite dal diritto nazionale per l'esercizio di posizioni che derivano dal diritto dell'UE non possono essere meno favorevoli di quelle applicate per la protezione in via giudiziaria di posizioni analoghe, di origine puramente interna (principio di equivalenza) [questo principio può essere considerato come una manifestazione del principio generale di non discriminazione] • le modalità non possono essere tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti derivanti da norme dell'UE (principio di effettività) [questo principio si ricollega al diritto fondamentale a una tutela giurisdizionale effettiva] cfr. sentenze: a. sentenza rewe del 1976: si trattava di una azione di restituzione di diritti corrisposti da rewe alle dogane tedesche per controlli fito-sanitari su una partita di mele di origine francese. tali diritti costituivano tasse di effetto equivalente a un dazio doganale e erano pertanto vietati in forza dell'art 25 TCE. l'azione di restituzione era stata però proposta quando il termine previsto dal diritto tedesco per impugnare il provvedimento di riscossione era già scaduto. la corte, interrogata dalla corte costituzionale tedesca, statuisce che il diritto dell'UE non si oppone all'applicazione a una azione del genere di ragionevoli termini di impugnazione, a pena di decadenza, fissati dal legislatore nazionale. b. causa peterbroeck del 1995: con il passare del tempo, l'atteggiamento della corte è apparso sempre più severo nei confronti delle legislazioni nazionali. in questa causa la corte si è occupata delle norme nazionali che limitano il potere del giudice di sollevare d'ufficio argomenti tratti dal diritto dell'UE. la corte ha giudicato inapplicabile a una azione in cui veniva il rilievo l'art 43 TCE, la norma belga che impediva al giudice di esaminare d'ufficio motivi non sollevati dalle parti. nella specie, benchè il termine assegnato alle aprti per sollevare i propri motivi non fosse di per sè irragionevole, la corte ha ritenuto che privare il giudice adito della possibilità di esaminare d'ufficio l'argomento fondato sulla violazione del diritto dell'UE, quando non vi sia nessun altro giudice che possa esaminare tale argomento nell'ambito di un ulteriore procedimento non soddisfa il principio dell'effettività, rendendo praticamente impossibile o eccessivamente difficile invocare la norma dell'UE. c. sentenza emmott del 1991: una questione rimasta aperta è quella di stabilire se, nel caso di un diritto attribuito da una direttiva inattuata, i termini di prescrizione o di decadenza previsti dal diritto nazionale comincino a decorrere prima che lo stato membro interessato abbia provveduto all'attuazione della direttiva stessa. in questo caso la signora emmott invocando una direttiva in materia di parità di trattamento tra lavoratori e lavoratrici e una precedente sentenza della corte resa a titolo pregiudiziale, si era rivolta alle competenti autorità irlandesi per ottenere retroattivamente alcune prestazioni sociali da cui era stata esclusa in violazione della direttiva. la risposta delle autorità irlandesi era stata interlocutoria. successivamente la signora emmott iniziava una azione di judicial review ai fini del recupero di quanto dovuto. l'azione tuttavia veniva iniziata dopo la scadenza del termine di decadenza previsto per questi casi dal diritto irlandese. interrogata dalla high court irlandese, la corte afferma che finchè la direttiva non è correttamente trasposta nel diritto nazionale, i singoli non sono posti in grado di avere piena conoscenza dei loro diritti e che solo al momento della corretta trasposizione della direttiva, lo stato membro inadempiente non può eccepire la tardività di una azione giudiziaria avviata nei suoi confronti da un singolo al fine della tutela dei diritti che a esso riconoscono le disposizioni della direttiva e che un termine di ricorso può cominciare a decorrere solo da tale momento. d. sentenza unibet del 2007: qui la corte è chiamata ad applicare i principi dell'equivalenza e dell'effettività con riferimento all'ordinamento svedese. univet lamenta che la normativa svedese in materia di scomesse le impedisce di vendere i suoi servizi di scomesse via internet e viola pertanto il diritto ad esercitare tale attività in erfime di libera prestazione di servizi. propone quindi una azione diretta a ottenre in via principale l'accertamento dell'incompatibilità delle norme svedesi con il diritto dell'UE. tale azione però viene respinta in primo grado e in appelo, perchè l'ordinamento svedese non contempla una azione attraverso cui i soggetti interessati possano ottenere in via principale una sentenza come quella richiesta da unibet. la corte suprema, di fronte a cui unibet impugna la sentenza d'appello, interroga la corte sul se l'indisponibilità di una azione dichiarativa del tipo proposto da unibet violi i principi di equivalenza e di effettività. la corte parte dalla constatazione che unibet avrebbe potuto ottenere una dichiarazione di incompatibilità in via incidentale nell'ambito di un giudizio per l'annullamento dei provvedimenti adottati contro unibet oppure nel quadro di una azione di risarcimento dei danni. la corte risponde così: il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che esso non richiede, nell'ordinamento giuridico di uno stato membro, l'esistenza di un ricorso autonomo diretto, in via principale, ad esaminare la conformità di disposizioni nazionali dell'art 49 CE, qualora altri riemdi giudisdizionali effettivi, non meno favorevoli di quelli che disciplinano azioni nazionali simili, consentano di valutare in via incidentale una tale conformità, cosa che spetta la giudice nazionale verificare. il principio dell'autonomia processuale e i suoi limiti si applicano anche nel caso di azioni per ottenere il risarcimento del danno imputabie agli organi statali per violazione del diritto dell'UE, cfr sentenza traghetti del mediterraneo del 2006: la corte ha negato che la disciplina italiana della responsabilità dei magistrati risponda al principio di effettività. traghetti del mediterrano aveva proposto azione di risarcimento nei confronti della tirrenia, sua concorrente nel campo dei collegamenti marittimi, accusandola di aver ricevuto dallo stato italiano aiuti pubblici vietati dagli art 87 e 88 TCE. l'azione veniva rigettata in primo grado, in appello e infine dalla corte di cassazione. questa aveva ritenuto che non si trattasse di aiuti incompatibili con gli artt citati, in quanto tale soluzione risultava da una costante giurisprudenza della corte di giustizia e pertanto si rifiutava di effettuare un rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art 267 TFUE nonostante l'obbligo di rinvio previsto per i giudizi di ultima istanza. convinto che la sentenza della corte di cassazione fosse contraria al diritto dell'UE, traghetti del mediterraneo proponeva azione di risarcimento ai sensi della legge 117/1988, ma tale legge impone condizioni estremamente restrittive per ottenere il risarcimento. su rinvio del tribunale di genova, la corte ha stabilito: il diritto comunitario osta a una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo giurisdizionale di ultimo grado per il motivo che la violazione controversa risulta da una interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale. il diirtto comunitario osta anche a una legislazione nazionale che limiti la sussistenza di tale responsabilità ai soli casi di dolo e colpa grave del giudice, ove tale limitazione conducesse a escludere la sussistenza della responsabilità dello stato membro interessato in altri casi in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto vigente. IL PRIMATO DEL DIRITTO DELL'UE la capacità del diritto dell'UE di produrre effetti diretti all'interno degli ordinamenti di stati membri pone il problema dei conflitti che possono sorgere tra norma del'lUE e norme interne incompatibili: spesso la norma dell'UE ha per oggetto materie e aspetti che priam erano disciplinati da norme interne di contenuto diverso, ma può anche darsi che il conflitto sorga tra una norma dell'UE e una norma interna sopravvenuta. questi conflitti sono risolti con il principio del primato del diritto dell'UE = le norme nazionali non possono in alcun modo ostacolare l'applicazione del diritto dell'UE all'interno degli ordinamenti degli stati membri, qunidi quando la norma dell'UE direttamente efficace incontra una norma interna incompatibile, perchè ne impedisce parzialmente o totalmente l'applicazione, la prima prevarrà sulla seconda. NB: di fronte al primato del diritto dell'UE cedono le norme interne di qualsiasi rango, senza distinguere tra norme di carattere amministrativo, legislativo o costituzionale. collegamento del principio del primato e dell'efficacia diretta: se l'efficacia diretta non si accompagnasse al primato, la norma dell'EU non potrebbe in concreto creare diritti in capo ai soggetti di quegli ordinamenti degli stati membri in cui fossero presenti norme interne incompatibili e in questo modo l'efficacia della norma dell'UE varierebbe da uno stato all'altro (la stessa norma potrebbe applicarsi direttamente in uno stato in cui non vi sia alcuna norma interna contrastante, mentre non verrebbe applicata affatto o solo parzialmente in un altro stato in cui siano presenti norme incompatibili) crando una situazione inaccettabile in quanto l'ordinamento dell'UE richiede che le sue norme siano applicate uniformemente in tutti gli stati membri. il principio del primato non vale invece in assenza di efficacia diretta: la norma dell'UE che sia priva di effetti diretti non può essere applicata direttamente dal giudice e non può portare alla disapplicazione della norma interna incompatibile. MA di recente la corte sempra dissociare il concetto di primato da quello di efficacia diretta esigendo lal giudice la disapplicazione di norme interne incompatibili con norme dell'UE senza prendere posizione sul se le norme dell'UE siano davvero direttamente efficaci, nello specifico esempi del genere si registrano nella giurisprudenza relativa alle norme interne di carattere procedurale: rispetto a queste potrebbe trarsi l'impressione che il principio del primato con l'effetto di disapplicazione della norma interna incompatibile non richieda la previa verifica dell'efficacia diretta della norma dell'UE oppure consenta la verifica dei requisiti dell'efficacia diretta con minor severità. il principio del primato si è affermato in via giurisprudenziale: • sentenza costa c. enel del 1964: la legge italiana di nazionalizzazinoe dell'energia elettrica, di cui il signor costa contestava la compatibilità con alcuni articoli del TCE era infatti successiva alla legge contenente l'ordine di esecuzione del trattato stesso. il governo italiano sosteneva l'inammissibilità assoluta della questione pregiudiziale del giudice conciliatore di milano, affermando che il giudice nazionale è comunque tenuto ad applicare la legge interna. invece secondo la corte, l'integrazione del diritto dell'UE