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Riassunto COMPLETO manuale Profilo storico della letteratura latina. G.B. Conte, Appunti di Letteratura latina

Riassunto per la parte della letteratura dell'esame di Letteratura Latina con il professore Biagio Santorelli. Comprende tutti i contesti, i generi poetici e gli autori (58) indicati dal professore, di cui sono riportate la biografia, la produzione e il pensiero filosofico. Votazione conseguita: 30

Tipologia: Appunti

2019/2020

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Scarica Riassunto COMPLETO manuale Profilo storico della letteratura latina. G.B. Conte e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! PARTE PRIMA: ALTA E MEDIA REPUBBLICA Origini della Letteratura Latina Contesto le fonti fanno risalire la fondazione di Roma al 21 aprile 753 aC. I secoli più produttivi della prima fase di vita della città sono caratterizzati dalla dominazione etrusca, con un regime monarchico che durerà fino alla fine del VI secolo, quando vengono fondate le istituzioni repubblicane. In questo momento ha avvio una forte attività militare: tra V e II secolo a.C. i romani combattono prima con le popolazioni italiche e poi con nemici esterni come Pirro e Cartagine. Il successo nelle tre guerre puniche con la definitiva vittoria su Cartagine (146 a.C.) segna l’affermazione di Roma come potenza egemone nel Mediterraneo. Seguono diversi eventi che determinano il sorgere di nuove magistrature e l’emergere di figure politiche di grande carisma. Intanto i contatti con l’Oriente permettono ai romani di accostarsi sempre di più alla cultura greca. La nascita della letteratura latina La letteratura latina ha inizio nel 240 a.C., quando Livio Andronico fece rappresentare per la prima volta una tragedia in lingua latina. C’era concorrenza rispetto alla tradizione greca, e lo stretto confronto con i modelli greci impone alla letteratura romana una precoce maturazione, per cui si può dire che nasca ‘’già adulta’’. Le origini sono legate a forme scritte di tipo non letterario, che testimoniano l’alfabetizzazione nella Roma arcaica: • tra i più antichi monumenti troviamo iscrizioni su pietra o bronzo, il cui uso scritto è legato a momenti di vita quotidiana e per registrazioni di leggi o patti con altre città; • vi erano poi i fasti, che ogni anno i pontefici divulgavano con la distinzione dei giorni in fasti e nefasti, a seconda che fosse permesso o meno il disbrigo degli affari pubblici; • infine passo fondamentale fu poi l’uso della tabula dealbata, una tavola bianca che il pontefice esponeva per dichiarare avvenimenti significativi per la collettività, registrazioni che essendo depositate anno per anno presero il nome di Annales Pontificum. Tra le prime forme poetiche si ricordano i carmina, formule misteriose coniate in lingua arcaica, ritmate e ricche di assonanze. La parola riconduce a testi come preghiere, giuramenti, profezie, proverbi, il che riconduce al fatto che la definizione arcaica riguardasse la forma di un testo piuttosto che i suoi contenuti. Questo stile di scrittura si distingueva dal parlato quotidiano e univa le caratteristiche della prosa arcaica a quelle della poesia. La tradizione dei carmina costituirà il tratto più autentico di un atteggiamento stilistico propriamente romano, sconosciuto alla grecità letteraria. Le più antiche forme pervenutici riguardano una produzione religiosa-rituale: sono il Carmen Saliare, canto del collegio sacerdotale dei Salii, che nel mese di maggio recavano in processioni dodici scudi sacri (ancilia) e il Carmen Arvale, canto del collego di dodici sacerdoti che a maggio levavano un inno di purificazione dei campi. Hanno poi avuto influsso su certi filoni comici della produzione latina alcune forme preletterarie di livello popolare, come i Fescennini versus, una produzione improvvisata di motteggi, il cui nome potrebbe derivare o dalla cittadina etrusca Fescennina oppure dal termine fascinium, «malocchio». Il verso utilizzato dalle più antiche testimonianze poetiche (come l’Odusia di Livio o il Bellum Poenicum di Nevio) è il saturnino, nome che rimanda al dio Saturno e sembra indicare un’origine italica. Non lascia ricondurre ad uno schema chiaro, per cui è probabile che tale irregolarità rispetto ai canoni greci sia stata la causa della sua scomparsa a favore dell’esametro. Il teatro romano arcaico Tra il 240 a.C. e l’età dei Gracchi la cultura romana conosce una notevole fioritura di opere sceniche. Troviamo innanzitutto i due principali generi teatrali romani importati dalla Grecia, la palliata di carattere comico e la cothurnata di argomento tragico, in cui le vicende sono ambientate in Grecia e i personaggi hanno nomi greci. Presto si sviluppano anche una commedia e tragedia romana, la togata e la praetexta. I termini tecnici della drammaturgia hanno talvolta una derivazione etrusca, si tende quindi a riconoscere una mediazione etrusca nella diffusione a Roma di spettacoli di musica, mimica e danza, ma rimane incerta l’esistenza di rappresentazioni teatrali in Etruria. La più antica ricorrenza teatrale a Roma è legata alla celebrazione dei ludi Romani in onore di Giove Ottimo Massimo, nel 240 a.C., in occasione di cui Livio Andronico mise in scena il primo testo drammatico. Il carattere statale dell’organizzazione ha conseguenze sulla tragedia, che si specchia negli interessi dei committenti, le autorità, che hanno interesse a far celebrare i loro antenati illustri; e sulla commedia, che nonostante il suo realismo non esercita la critica sociale. Tuttavia bisogna ricordare che la nostra conoscenza della commedia latina è incompleta: per esempio Nevio è famoso per i suoi attacchi ai Metelli. Data fondamentale per il teatro latino è il 207 a.C., quando viene fondato il collegium scribarum histrionumque, la confraternita degli autori e degli attori. Gli oneri finanziari andavano allo Stato, i magistrati organizzatori trattavano con gli autori e il capocomico, che dirigeva la compagnia e faceva da impresario. Nel 55 a.C. viene edificato a Roma il primo teatro di pietra per volontà di Pompeo Magno, mentre prima, le strutture teatrali erano probabilmente provvisorie e in legno. Aspetto fondamentale della messa in scena erano molto usate le maschere, fisse per determinati tipi di personaggi, con la funzione di far riconoscere quale fosse il ‘tipo’ del singolo personaggio e grazie alle quali un attore poteva interpretare più parti. Differenza dal modello greco Nelle palliate (fonte principale per noi è Plauto), il verso proprio delle parti recitate era il senario giambico (per i greci il trimetro giambico), per le parti recitate con accompagnamento musicale il settenario trocaico (per i greci tetrametro trocaico catalettico) e per le parti cantante vi era una varietà di metri. Le opere di Menandro erano composte di sole parti recitate, divise dall’esecuzione di brani musicali: la palliata lascia cadere quest’uso della musica e la netta divisione in cinque atti, valorizzando le parti cantate ad esempio tramite i cantica, arie cantate in metri assai complessi da un singolo attore. Per le tragedie invece la principale differenza è l’assenza del coro, il gruppo di attori che partecipava come soggetto collettivo allo spettacolo, dialogando con i personaggi e ballando e cantando nei momenti di intervallo. Oltre a tragedie e commedie ebbe successo l’atellana, genere popolare che deriva il nome dalla città campana di Atella. In origine si recitava ‘a soggetto’, improvvisando, basandosi su canovacci rudimentali. Veniva utilizzata come farsa finale dopo tragedie e commedie, e prevedeva equivoci e incidenti. Nei suoi canovacci apparivano maschere fisse dai nomi sempre uguali tra cui Maccus, che sembra essere stato riadattato nel nome di Plauto. QUINTO ENNIO 234 a.C. nasce a Rudiae, nella regione chiamata Calabria dai romani, situata nel sud dell’odierna Puglia. Non era latino, ma proveniva da un’aera di cultura italica grecizzata. 204 a.C. Giunge a Roma a seguito di Catone il Censore, che incontra in Sardegna, durante la seconda guerra punica. Qui insegna e scrive per la scena, protetto da Nobiliore. Per i suoi meriti ricevette la cittadinanza romana. 189-187 a.C. segue Marco Fulvio Nobiliore nella campagna in Grecia, culminata con la battaglia di Ambracia. Entrerà nel circolo degli Scipioni. 169 a.C. muore a Roma. Nella sua opera troviamo una funzione celebrativa: esempi sono lo Scipio, poema in lode di Scipione Africano, e l’Ambracia, praetexta per ricordare la vittoria di Fulvio Nobiliore. Tra le opere minori troviamo gli HEDYPHAGETICA, opera didascalica sulla gastronomia, probabilmente composta prima degli Annales e quindi la prima opera latina attestata in esametri, e le SATURAE, primo esempio del fortunato genere, in cui probabilmente raccontava episodi autobiografici, in vari libri e metri. ANNALES: poema latino in esametri che narra la storia di Roma in 18 libri. Ci rimangano 437 frammenti, circa 600 versi. Vengono composti nell’ultima fase della vita del poeta, il quale concepiva la poesia come celebrazione di gesta eroiche, rifacendosi a Omero e alla tradizione dell’epica ellenistica. Il precedente più vicino corrisponde al Bellum Poenicum di Nevio, con la differenza che qui gli eventi sono descritti in ordine cronologico e il poema è diviso in libri: LIBRI I-III: proemio – venuta di Enea in Italia – fondazione di Roma (Romolo e Remo) – periodo dei re. LIBRI IV-VI: guerre contro i popoli italici e Pirro. LIBRI VI-X: le due guerre puniche. LIBRI X-XVI: anni delle guerre in Grecia e in Siria. LIBRI XVII-XVIII: anni più recenti. Il titolo richiama gli Annales Maximi, e sebbene l’opera di Ennio comprendesse tutto il tempo «dalle origini ai suoi giorni», non trattava in modo uguale i vari periodi, ma lasciava più spazio alle leggende antiche sulle origini della città e mostrandosi selettivo sugli eventi storici, prediligendo eventi bellici e occupandosi poco di politica interna. Per il componimento usò fonti storiografiche, di cui l’unica sicura è quella di Fabio Pittore, e fonti poetiche, tra cui troviamo Omero e diversi influssi della poesia ellenistica. Inizialmente il poema doveva essere in 15 libri e concludersi con il trionfo di Fulvio Nobiliore e la sua consacrazione di un tempio alle Muse. Per motivi non chiari Ennio aggiunse poi altri 3 libri. La sua opera rimase contrassegnata da due grandi proemi in cui prendeva parola per rivelare le ragioni del suo fare poesia: PROEMIO AL LIBRO I aperto forse dall’invocazione alle Muse, raccontava un sogno in cui Omero gli rivelava di essersi incarnato in lui secondo la dottrina della metempsicosi (reincarnazione ciclica delle anime). PROEMIO AL LIBRO VII in cui sottolineava che le Muse erano quelle dei grandi poeti greci, non le Camene di Andronico, definendosi come primo poeta alla pari con i contemporanei poeti greci, gli alessandrini. Stilisticamente Ennio accolse nel suo testo parole greche traslitterate, adottò forme sintattiche estranee all’uso latino e inventò aggettivi composti. I suoi versi sono ricchissimi di figure di suono, specialmente allitterazioni, tipiche dei carmina, adottate nell’esametro (fu il primo ad adattare il latino alla forma metrica). Gli Annales segneranno tutta la tradizione epica successiva, in cui il discorso epico viene interpretato in chiave celebrativa, solo Virgilio, recuperando Omero, conferirà al genere un’importa nettamente diversa. Ennio è il cantore della virtus individuale, esalta condottieri e singole personalità rendendole immortali. Con lui si stabilisce un vincolo sempre più stretto tra letteratura e potere. Produzione teatrale: • Le tragedie: ci rimangono circa 20 titoli, i temi sono quelli del ciclo troiano, i modelli i grandi tragici ateniesi del V secolo (Eschilo, Sofocle, Euripide). Tra le praetexte troviamo l’Ambracia e le Sabinae, con una vicinanza e lontananza cronologica che richiama l’analoga ripartizione di Nevio. Lo stile doveva presentare una forte carica patetica. • Le commedie: conosciamo due titoli, la Caupuncula e il Pancratiastes, per cui Ennio era ritenuto “minore”, e fu infatti l’ultimo poeta latino a praticare commedia e tragedia insieme. La tragedia arcaica: Pacuvio e Accio Dei frammenti tragici del periodo arcaico rimangono pochi frammenti tanto che è difficile percepire distinzioni di stile tra i poeti. È però appurato che questi poeti sono filologi, amanti dello stile difficile e utilizzano forme nuove, come calchi dal greco, per dare grandiosità al dettato delle tragedie. I testi di questi autori erano scritti per essere rappresentati su una scena, i loro modelli sono i grandi classici greci, a cui probabilmente i latini aggiunsero tratti romanzeschi e avventurosi, rendendo la tragedia un genere apprezzato e popolare. Gli argomenti sono spesso politici, come il tema della tirannide, già frequente nella tragedia attica. Gli autori non sono più considerati artefici di un’occupazione minore, bensì come figure di prestigio sociale e aristocratici. MARCO PACUVIO 220 a.C., nasce a Brindisi. Nipote di Ennio, visse a Roma. Fu inoltre pittore. 130 a.C. circa muore a Taranto. Il suo stile fu molto criticato, specialmente da Lucillo, per essere troppo contorto e per l’uso di parole nuove non attestate dalla tradizione. Era famoso per la visualità impressionante delle sue descrizioni. Dei titoli ci restano: 12 cothurnatae, come l’ILIONA, in cui la figlia di Priamo sacrifica il figlio per salvare il fratello, o il NIPTRA, sul ritorno di Odisseo e la sua morte per mano del figlio Telegono, e 1 praetexta. LUCIO ACCIO 170 a.C. nasce a Pesaro. 90-80 a.C. muore. Ci restano più di 40 titoli tra cothurnate e praetexte, da cui si percepisce la sua sensibilità verso le dinamiche del potere assoluto. L’ATREUS, sulla lotta tra i figli di Pelope, Atreo e Tieste, e il BRUTUS, sul regno di Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma. Scrisse anche l’AENEADE, sul sacrificio di Publio Decio Mure, il cui titolo richiama la discendenza dei Romani da Enea. Si distinse per i suoi interessi eruditi che lo accostano alla figura di poeta-filologo, significativi in tal senso gli ANNALES e i DIDASCALICA, prosimetro di scritti di linguistica e ortografia latina in 9 libri. Scrisse inoltre i PARAEGRA, poema georgico in senari giambici sulle attività della campagna, ispirato alle Opere e i Giorni di Esiodo. Catone e gli inizi della storiografia a Roma La prima storiografia romana è definita annalistica in quanto fortemente influenzata dagli Annales Pontificum. La prima produzione vede l’adozione della lingua greca, venendo incontro alle esigenze propagandistiche di Roma, che stava divenendo una potenza mediterranea: i primi storiografi sono Fabio Pittore e Cincio Alimento. Ma la prima vera opera storica romana si ha con Catone il Censore, che sceglie di scrivere in latino. MARCO PORCIO CATONE 234 a.C. nasce Tusculum (odierna Frascati) da una famiglia benestante. Combatté nella seconda guerra punica contro Annibale. Percorse le tappe del cursus honorum fino a diventare console nel 195 a.C. e censore nel 184 a.C. Si batté contro la degenerazione dei costumi e il dilagare di atteggiamenti individualistici incoraggiati dal pensiero greco. Si impegnò come accusatore contro esponenti del circolo degli Scipioni e nel 155 a.C. espulse l’ambasciata di filosofi inviata da Atene a Roma. 149 a.C. muore senza poter vedere la distruzione di Cartagine, avvenuta tre anni dopo. ORIGINES: prima opera storica in latino. Privilegia la storia contemporanea, a cui dedica tre libri su sette. I: fondazione di Roma II-III: origini delle città italiche IV-V: guerre puniche VI-VII: arrivavano alla pretura di Servio Sulpicio Galba, nel 152 a.C. Catone elaborò una concezione originale della storia di Roma, dove la creazione della Repubblica era vista come opera collettiva del popolus Romanus stretto intorno alla classe dirigente senatoria. Non conteneva spunti celebrativi, non faceva i nomi dei condottieri e anzi, portava in luce azioni di personaggi poco conosciuti che rappresentavano la virtù collettiva dello Stato con singoli atti di eroismo. Catone dimostrava inoltre interesse per i popoli stranieri, come per le popolazioni africane e iberiche, per cui le descrizioni dovevano risalire ad osservazioni dirette, in quanto fu in Africa e nella penisola iberica durante la vita militare. DE AGRI CULTURA: trattato in prosa latina più antico che ci sia giunto per intero. Sono esposti precetti in forma schematica in un’ottica che mira al risparmio e alla massimizzazione del profitto. Il proprietario terriero è nelle vesti del pater familias, deve dedicarsi all’agricoltura come l’attività più sicura e onesta; la quale è ormai un’impresa su vasta scala. Il proprietario deve infatti depositare la merce in grandi magazzini in attesa del rialzo dei prezzi, dovrà comprare il meno e vendere il più possibile. Si delineano quindi virtù come la parsimonia, duritia, industria, delineando i tratti dell’etica cantoniana che la riflessione tardorepubblicana indicherà come costitutivi del mos maiorum. Lo stile è scarno ma colorito da espressioni di saggezza popolare. Altre opere sono i Praecepta ad filium, prima enciclopedia latina dei saperi (medicina, retorica, arte militare...) e il Carmen de moribus, raccolta di pensieri in prosa di argomento morale, legati all’etica tradizionale romana. Lo stile dei trattati era sostenuto mentre diverso doveva essere quello oratorio, vivace e movimentato. Catone rifiutava i precetti retorici dei manuali greci. Nonostante il suo anti-individualismo, nelle sue orazioni difende spesso la sua persona e il suo operato, come nella De consulatu suo. Politica e cultura fra i Gracchi e Silla Gli anni tra il 133 e il 79 a.C. sono carichi di grandi violenze: il movimento dei Gracchi, la guerra sociale di Roma contro gli italici (91-88 a.C.) e la guerra civile tra Mario e Silla (83-82 a.C.). La repubblica entra in crisi e ci rimarrà fino all’ascesa di Augusto al principato (27 a.C.). In questo contesto l’eloquenza diventa un’arma fondamentale da usare durante i dibattiti di fronte al senato e nei comizi e acquistano quindi importanza l’oratoria, le scuole di retorica e la trattatistica. Nel 92 a.C. i censori Licino Crasso e Domizio Enobarbo chiudono la scuola di retorica di Plozio Gallo (cliente di Mario), così da evitare che ne escano capi popolari ben versati nell’arte della parola. Grazie al Brutus di Cicerone, in cui delinea la storia dell’eloquenza romana, siamo a conoscenza di diversi nomi di scuole e tendenze di stile. Si distinguono: lo stile grave e solenne di Scipione Emiliano, quello più pacato di Lelio, e quello veemente e ispirato dei Gracchi. Cicerone ci parla anche del conflitto di gusti e stile tra asiani e atticisti: Eloquenza asiana – fiorisce a Pergamo in Asia Minore al principio del III secolo a.C. Ricerca pathos e musicalità; ha uno stile ridondante. A Roma il maggior esponente è Otensio Ortalo (114-50 a.C.). Questa corrente è sostenitrice dalla teoria anomalista, per cui anomalie nella lingua, come deviazioni e neologismi, sono permesse. Corrente atticista – si afferma a Roma, prende come modello la sobrietà dell’oratore attico Lisia. Lo stile vuole una lingua semplice, la corrente è sostenitrice della teoria analogista, conservatrice e purista, poiché la lingua deve fondarsi su norme e sul rispetto di modelli riconosciuti. A Roma il più famoso teorico è Giulio Cesare (100-44 a.C.). Nella seconda metà del II secolo a.C. si afferma a Roma anche la filologia come disciplina che cura l’edizione e l’esegesi dei testi. La storiografia invece diventa un mezzo di analisi politica, ma non praticata da personaggi di primo piano come l’oratoria. Rispetto alla storiografia arcaica si adotta un metodo razionalistico influenzato dal greco Polibio, che stette a lungo a Roma. Tra gli storiografi troviamo Cornelio Sisenna, uomo politico di tendenze aristocratiche sostenitore di Silla, che scrisse Historiae su vicende contemporanee dedicando alla storia antica solo un’introduzione. Al contenuto si addata lo stile, di un asianesimo ritenuto ‘’eccessivo’’ da Cicerone. Nell’età di Cesare e Cicerone la palliata comincia ad essere sentita come genere antico e difficile. Nascono diversi generi alternativi (I sec a.C.) come la commedia togata, ancora molto vicina al modello greco Menandro, ma ambientata in realtà italiche/romane. Secondo Seneca era un genere ‘’tra tragedia e commedia’’: doveva essere caratterizzata da un maggiore realismo che ne diminuì la comicità e non ne contribuì al successo. Sempre nel I secolo a.C. torna l’atellana, usata a lungo come exodium, che acquista ora una propria indipendenza. Il maggiore autore è Lucio Pomponio, nei frammenti si denota una tendenza all’oscenità e linguaggio crudo. L’atellana viene presto soppiantata dalla figura che dominerà la scena per tutta l’età imperiale: il mimo. Criticato dagli antichi come genere diseducativo, quest’etichetta copriva una varietà di spettacoli diversi. I mimi più popolari erano quelli dei ludi Florales, c’erano poi i mimi muti detto pantomimi e altre volte il mimo era assai crudo. Questa figura andava incontro al gusto veristico delle platee, ora gli attori non recitano più con la maschera e le parti femminili sono interpretate da donne. Il mimografo a noi più noto è Publilio Siro, celebrato dagli antichi per la sua vena riflessiva. SECONDA PARTE: TARDA REPUBBLICA pp. 66-125 Contesto: Tra il 78 aC (morte di Silla) e il 44 aC (morte di Cesare) si vede il culmine dell’attività di molti degli autori più famosi e di formazione. Si elabora un autonomo pensiero filosofico-politico latino, interpretando i grandi testi del pensiero greco con riferimento ai bisogni del presente. Inoltre gli intellettuali iniziano a pretendere autonomia, sia nei confronti della produzione greca che dei centri del potere, cercando ora riferimento nei circoli intellettuali, ad imitazione di ciò che accadeva nel mondo greco alessandrino, dove si elaborano poetiche e si contrappongono le diverse scuole. MARCO TULLIO CICERONE 106 a.C. nasce ad Arpino (Frosinone). Studia filosofia e retorica a Roma, dove frequenta il Foro sotto guida di Lucio Licinio Crasso e conosce Attico. 89 a.C. presta servizio nella guerra sociale contro gli alleati italici in rivolta. 80 a.C. ottiene fama come avvocato con la difesa di Sesto Roscio. 79 - 77 a.C. viaggia in Grecia e in Asia Minore 75 a.C. inizia la carriera come questore in Sicilia. 58 a.C. esilio. 56 a.C. rientro a Roma. 49 a.C. sostiene Pompeo nella guerra civile. 46-46 a.C. combatte contro Marco Antonio. 43 a.C. muore a Formia. ORAZIONI 80 a.C. Pro Sexto Roscio Amerino – difesa di Sesto Roscio, accusato di parricidio da un liberto di Silla. 70 a.C. Verrine – richiesto dai Siciliani, divenne accusatore contro Verre, corrotto propretore per cui pronunciò solo l’actio prima, in quanto Verre fuggì in esilio volontario. 66 a.C. Pro Lege Manila – entrato in senato, si avvicina ai populares ed elabora l’orazione in difesa della proposta del tribuno Manilo di assegnare poteri eccezionali a Pompeo per combattere il re del Ponto, Mitridate. 63 a.C. Catilinarie – sostenuto anche dagli aristocratici, lo proposero al consolato in opposizione alla candidatura di Lucio Sergio Catilina. In questo frangente vengono scritte le quattro orazioni che denunciano la sua tentata sovversione della Repubblica e che discutono la punizione dei congiurati. Cicerone vedrà tuttavia il suo declino con il primo triumvirato (60 a.C.), patto segreto tra Cesare, Pompeo e Crasso, a seguito di cui finisce in esilio nel 58 a.C. con l’accusa di aver condannato a morte senza processo, anche grazie all’attività del tribuno Clodio, a lui particolarmente ostile. 56 a.C. Pro Sestio – esamina la situazione politica romana e riformula la sua teoria sulla concordia dei ceti abbienti, dilatando il concetto di concordia ordinum in consensus omnium bonorum, la concordia attiva di tutte le persone agiate (boni) disposte a collaborare per riportare l’ordine. Pro Caelio – attacca il tribuno Clodio. 52 a.C. Pro Milone – in difesa dell’amico Milone a seguito dell’omicidio di Clodio. Rovescia l’accusa con un elogio al tirannicidio, liberazione della patria dal tiranno. Si tratta di una rielaborazione della prima edizione, in cui le tensioni furono molto forti e portarono Cicerone a un crollo nervoso e alla condanna di Milone. 49 a.C. Pro Marcello, Pro rege Deiotato, Pro Ligario – orazioni cesariane dopo il perdono ottenuto a seguito della sconfitta di Farsalo. Difende pompeiani e nella prima tenta di guidare Cesare al rispetto delle istituzioni repubblicane. 44-43 a.C. Filippiche – violente orazioni che riprendono quelle di Demostene contro Filippo di Macedonia, pronunciate contro Antonio. Il secondo triumvirato tra Antonio, Ottaviano e Lepido, segnò la sua fine. OPERE RETORICHE Quasi tutte dal 55 a.C., nascono dal bisogno di una risposta culturale alla crisi che sta attraversando Roma. Tra i dibattiti c’era il problema della necessità per l’oratore di affiancare alle conoscenze retoriche quelle del diritto, della filosofia e della storia. 85 a.C. (?) De inventione – opera giovanile, trattato incompleto dove sostiene l’opportunità di una sintesi tra eloquenza e sapientia (cultura filosofica necessaria alla coscienza morale). La prima senza la seconda è infatti tipica dei demagoghi, rovina dello Stato. 55 a.C. De oratore – riprende le precedenti riflessioni. È un dialogo (su modello platonico) in cui prendono parte diversi oratori dell’epoca, ambientato nella villa di Lucio Licinio Crasso a Tuscolo nel 91, anno della morte di Crasso e poco prima della guerra sociale e i conflitti civili tra Mario e Silla. LIBRO I Crasso (portavoce di Cicerone), sostiene la necessità di una vasta formazione culturale, opponendosi a Marco Antonio Oratore, favorevole a un maggiore ‘istinto’ e formazione nel Foro. LIBRO II Antonio espone problemi relativi a inventio, dispositio e memoria LIBRO III Crasso discute dell’elocutio e pronuntiatio (in sintesi dell’actio dell’oratore) 46 a.C. Orator – trattato dove torna sulle tematiche del De Oratore aggiungendo una sezione sulla prosa ritmica e i tre scopi a cui l’oratore deve tendere: probare – argomentare validamente; delectare – suscitare impressioni piacevoli con le parole; flectere – muovere le emozioni tramite il pathos) e tre registri stilistici (umile, medio, elevato o patetico) che deve saper alternare. Brutus – dedicato all’atticista Marco Bruto, prende posizione contro l’atticismo, che presentava uno stile semplice e scarno, rivendicando la capacità di muovere gli affetti come compito dell’oratore. Cicerone stesso, con ruolo di interlocutore, traccia una storia dell’eloquenza greca e romana che culmina nella rievocazione delle tappe della propria carriera oratoria, rompendo gli schemi tradizionali su cui si scontravano atticisti e asiani, affermando l’alternarsi diversi registri a seconda delle esigenze. Modello: Demostene. 54-51 a.C. De re publica – d’ispirazione evidente al Repubblica di Platone, vi identifica la forma di Stato migliore nella costituzione romana del tempo degli Scipioni. In forma di dialogo, si svolge nel 129 nella villa suburbana di Scipione l’Emiliano. La ricostruzione della trama è ipotetica: LIBRO I Scipione, basandosi sulla dottrina delle tre forme di governo e della loro degenerazione (monarchia → tirannide; aristocrazia → oligarchia; democrazia → olocrazia) mostra la superiorità dello Stato romano nella capacità di contemperare le tre forme positive (aspetto monarchico → consolato; aristocratico → senato; democratico → comizi) LIBRO II svolgimento della costituzione romana LIBRO III dedicato alla iustitia, confuta la critica di Carneade che accusava i romani di utilizzare la guerra giusta, in soccorso degli ‘’alleati (sudditi), per estendere il proprio dominio LIBRO IV educazione dei cittadini LIBRI IV - V parte più lacunosa, viene introdotta la figura del princeps, il cui ruolo si mantiene nei limiti della forma repubblicana, essendo a sostegno del senato, allo scopo di salvare la res publica. Il princeps dovrà armarsi contro il desiderio di potere e ricchezza e contro le passioni egoistiche. LIBRO VI parte meglio conservata (Somnium Sicpionis), in cui Scipione rievoca un sogno in cui gli era apparso l’Africano a mostrargli l’inutilità della gloria e delle cose umane rivelandogli la beatitudine. 52 a.C. De legibus – con cui completa il dialogo sullo stato, si conservano tre libri e frammenti del IV e V. Gli interlocutori sono Cicerone, il fratello Quinto e l’amico Attico, che discutono sull’origine naturale del diritto (tesi stoica dell’origine divina della legge), sull’evoluzione storica della legislazione pubblica, civile e religiosa e sui doveri dei magistrati e dei cittadini. Ne emerge una visione politica conservatrice e moderata. FILOLOGIA DE COMOEDIIS PLAUTINIS – si occupò del teatro arcaico, specialmente di Plauto, di cui commentò le commedie e trattò il problema delle 130 commedie a lui attribuite, dividendole in tre gruppi: sicuramente spurie (90), incerte (19) e le sicure (21). DE LINGUA LATINA – trattazione sistematica ed esaustiva che dai problemi di origine e etimologia, affronta morfologia, sintassi e stilistica. Le etimologie varroniane sono spesso bizzarre, fondandosi sull’idea che i segni linguistici non siano arbitrari ma motivati (per cui la parola contiene in sé il senso di ciò che designa). SATURAE MENNIPPEAE – ispirate al greco Menippo di Gadara (III sec a.C.), 150 libri quasi del tutto perduti. Prosimetro, temi: satira politica e di costume. I titoli sono in greco. Sexagesis: giovane che dorme per sessant’anni e ritrova una Roma completamente peggiorata. Trikaranos: aggressione al primo triumvirato. Lo stile è curato e molto vario, con versatilità metrica e ibridazione linguistica vicine a Lucilio. 37 a.C., DE RE RUSTICA – unica opera completa di Varrone, tre libri in forma di dialogo. LIBRO I dedicato a Fundania (moglie) chiede al marito di guidarla nella conduzione di un podere (agricoltura) LIBRO II dedicato all’allevatore di bestiame Turranio Nigro (allevamento di bestiame) LIBRO III dedicato a Quintinio Pinnio (allevamento di animali da cortile) Rispetto al De agri cultura di Catone: • Varrone ha in mente villae e latifondi più vasti, sempre sfruttati con la mano d’opera servile, ma che viene ora vista con più umanità. • nella villa varroniana si incontrano utilità e piacere, manifestando un ceto proprietario aperto alla dinamica economica-commerciale. • la destinazione è tutt’altro che pratica, ma implica una visione quasi estetizzante della vita agricola, influendo sulla forma del discorso che si apre spesso a digressioni e sullo stile più artefatto e meno trascurato che nelle altre opere: vi è più che altro una pretesa letteraria. GAIO GIULIO CESARE 100 a.C., 13 luglio nasce a Roma. Imparentato con Mario, viene perseguitato dai sillani, per cui lascia la città e ritorna dopo la morte di Silla. Intraprende la vita politica, divenendo questore, edile, pontefice massimo e pretore, fermandosi al consolato a cui non poteva accedere. 60 a.C. stipula il primo triumvirato con Pompeo e Crasso. 59 a.C. riveste il consolato. 58 a.C. gli viene affidato il proconsolato in Illiria e nella Gallia Cisalpina, per avere il comando di un esercito e muovere alla conquista di tutta la Gallia, che si conclude nel 51-50 a.C. 53 a.C. Crasso muore e gli equilibri con Pompeo si rompono. 49 a.C. varca il Rubicone, un anno dopo vince a Farsalo. 44 a.C., 15 marzo muore a Roma assassinato da un gruppo di aristocratici repubblicani, poco dopo esser stato nominato dittatore a vita. Il termine commentarius indicava un tipo di narrazione tra la raccolta dei materiali grezzi e la loro elaborazione nella forma artistica, arricchita degli ornamenti stilistici e retorici, tipica della storiografia. Vari autori li composero con l’interno di offrire agli storici il materiale su cui impiantare la propria narrazione, tuttavia, il modo di scrivere di Cesare andava avvicinandosi più alla historia, come dimostrato dalla drammatizzazione di certe scene collettive in cui si riportano i sentimenti di entrambi gli eserciti, il ricorso al discorso diretto in determinate occasioni e la scelta di parlare di sé in terza persona. 58-50 a.C. COMMENTARII DE BELLO GALLICO: LIBRI I – VII scritti da Cesare, vengono annotati anno per anno gli eventi dell’opera di sottomissione della Gallia dal 58 al 52 a.C. LIBRO VIII aggiunto dal luogotenente Aulo Irzio, con gli avvenimenti del 51 e 50 a.C. I tempi di composizione sono incerti: le ipotesi sono o verso la fine della guerra o anno per anno, in ogni caso d’inverno, quando le operazioni militari erano sospese. Nella prefazione al libro VIII, Irzio testimonia la rapidità con cui sono stati composti, probabilmente riferendosi a un riordinamento in un secondo momento dei resoconti delle varie campagne. Cesare sottolinea il valore di tutti, Romani e nemici, ma rivendica la superiorità tattica romana. Il De bello Gallico presenta ampie descrizioni etnogeografiche: luoghi, usi e costumi dei popoli nemici (Galli, Germani, Britanni), con scopo non solo letterario, ma per raccogliere informazioni su popoli che devono essere sconfitti e colonizzati. Cesare mette in evidenza le esigenze difensive che lo hanno spinto a intraprendere la guerra, distinguendo tra civilità, rappresentata dai Romani, e barbarie, popolazioni arretrate che portano Roma a combattere come portatrice di cultura e di una forma di governo superiori: è la teoria del “bellum iustium”, la guerra giusta, sviluppata anche da storici e filosofi greci giunti a Roma, in primis Polibio. 47 – 46 a.C. COMMENTARII DE BELLO CIVILI: Il 10 gennaio 49 Cesare varcò in armi il fiume Rubicone, situato al confine tra il territorio romano e la Gallia Cisalpina, dando inizio alla guerra civile contro il senato romano, guidato da Pompeo, dopo che cercarono di impedirgli di passare a un altro consolato vietandogli di presentare la sua candidatura. Nell’agosto del 48 l’esercito senatorio è sconfitto a Fàrsalo, in Tessaglia: Pompeo fugge in Egitto, dove viene inseguito da Cesare e assassinato per volere di Tolomeo XIII. In seguito, Cesare soffoca le resistenze in Africa e Spagna. LIBRI I – III composti da Cesare, si interrompono bruscamente durante la guerra di Alessandria. I primi due narrano degli eventi del 49 a.C., mentre il terzo del 48 a.C. La cronologia è incerta, si ritengono composti e pubblicati tra il 47-46 a.C. Se ne aggiungono ulteriori tre anonimi, che registrano gli avvenimenti fino alla battaglia di Munda del 45, dopo la quale Cesare diviene padrone assoluto di Roma: BELLUM ALEXANDRINIUM, probabilmente di Irzio BELLUM AFRICUM, che si riveste talora di una patina arcaizzante BELLUM HISPANIENSE, che mostra una sporadica ricerca di stile in un tessuto linguistico colloquiale Attraverso una satira sobria, Cesare critica la vecchia classe dirigente e i suoi avversari, l’esercito pompeiano, con l’infondata sicurezza della loro vittoria. Vuole allontanare l’idea di sé come un rivoluzionario, giustificando la sua ribellione come atto volto a restituire al popolo romano la libertà contro le angherie di una ristretta cricca di potenti, dimostrando di essersi sempre mantenuto nell’ambito delle leggi, rassicurando la popolazione sottolineando la sua volontà di pace e la sua clementia verso i vinti, una clemenza che li umilia. Fondamentale è inoltre il sincero elogio ai suoi soldati, di cui tramanda i nomi per chi si è distinto in atti di particolare eroismo. Lo stile scarno, il rifiuto degli abbellimenti retorici e la riduzione del linguaggio valutativo contribuiscono a rendere il tono apparentemente oggettivo; in realtà la presenza di deformazioni è presente, attraverso omissioni e la disposizione delle argomentazioni in modo da giustificare i propri insuccessi. Nelle opere Cesare mette in luce le proprie capacità di azione politica e militare, ma non alimenta l’alone carismatico attorno alla sua figura. La fortuna è presente ma non viene presentata come divinità protettrice, bensì come fattore che talora aiuta anche i nemici, che sfugge alle capacità di previsione e di controllo dell’uomo: gli avvenimenti sono spiegati secondo cause umane e naturali. ORAZIONI Andate perse, è comunque probabile che Cesare evitasse i tumores (gonfiori) e colori troppo sgargianti, ma utilizzasse ornamenta (fonte Cicerone) che lo allontanavano dallo stile scarno tipico degli atticisti. Le sue scelte linguistiche sono esposte nel DE ANALOGIA, tre libri composti nel 54 a.C. e dedicati a Cicerone, il quale non condivideva quelle posizioni. I frammenti mostrano che alla base dell’eloquenza Cesare ponesse la scelta delle parole, per la quale il criterio è l’analogia, una selezione razionale e sistematica opposta all’anomalia, l’accettazione di ciò che diviene gradualmente consueto nel sermo cuotidianus. 45 a.C. ANTÌCATO – Cesare fu anche autore di un pamphlet in due libri, andato perso, contro la memoria di Catone Uticense, scritto in risposta all’elogio composto da Cicerone. GAIO SALLUSTIO CRISPO 86 a.C. nasce ad Amiternum, in Sabina (L’Aquila). Homo novus, ossia di famiglia in cui nessuno mai aveva rivestito alcuna carica pubblica, studia a Roma e si orienta presto alla politica: legato ai populares, fu tribuno della plebe nel 52 a.C. 50 a.C. viene fatto espellere dal Senato dagli aristocratici per aver condotto una campagna contro Milone e Cicerone, e riammesso un anno dopo grazie a Cesare. 49 a.C. parteggia Cesare nella guerra civile. 46 a.C. fu pretore e governatore dell’Africa nova, costituita dal disfatto regno di Numidia. 43- 40 a.C. Accusato di corruzione, si ritira a vita privata e si dedica alla storiografia. 34 a.C. muore. 43-40 a.C., BELLUM CATALINAE (De Catilinae coniuratione) – prima delle due monografie, a cui antepone ampi proemi in cui spiega le ragioni del ritiro e la scelta della storiografia, cui attribuisce funzione specifica per la formazione dell’uomo di Stato e considerandola in rapporto con la prassi politica. Si configurava inoltre come indagine sulla crisi dello Stato romano, per cui l’impostazione monografica mette a fuoco un singolo problema sullo sfondo di una più ampia visione della storia di Roma. Dopo il proemio viene tracciato il ritratto di Catilina, uomo di animo energico ma depravato: un aristocratico favorito dal regime sillano, ma poi rovinato dai debiti. Come Cicerone, Sallustio esprime un giudizio moralistico sugli aristocratici corrotti dal dilagare del lusso che Catilina ha raccolto attorno a sé, per cui organizzata la congiura viene tradito e scoperto (63 a.C.). In senato si dibatte sulla sorte dei congiurati e spiccano i discorsi di Cesare, che chiede una pena mite, e di Catone Uticense, per la pena di morte. Cicerone viene invece ridimensionato non come eroe, ma come magistrato che fa semplicemente il suo dovere superando inquietudini. Catilina cerca rifugio in Gallia, ma viene intercettato dall’esercito che lo obbliga alla battaglia in cui morirà a Pistoia nel 62 a.C. Nella ricerca delle cause del fenomeno catilinario, Sallustio presenta due excursus storici con un’analisi della decadenza repubblicana, individuando in primis le cause del degrado nella fine del metus hostilis, il timore verso i nemici esterni cessato con la distruzione di Cartagine. Attribuisce inoltre un ruolo di rilievo alla figura di Silla, dittatore aristocratico, insistendo sull’orrore delle sue proscrizioni. Un secondo excursus denuncia la degenerazione della vita politica dalla dominazione di Silla alla guerra civile, attaccando sia i populares, in veste di demagoghi, che i fautori del senato, come aristocratici che in realtà combatterebbero solo per i propri privilegi. In Cesare Sallustio auspicava l’attuazione di una politica che ristabilisse l’ordine della res publica: a tal proposito la figura del primo è deformata, purificata da ogni legame con i catilinari, inoltre nel suo discorso in senato insiste su considerazioni legalitarie per suggerire la coerenza della sua linea politica. Nella contrapposizione tra i ritratti di Cesare e Catone, delineata subito i loro discorsi, Sallustio trovava tuttavia un ideale conciliazione, affermando entrambi come positivi per lo Stato romano e individuando le loro virtù come complementari. BELLUM IUGURTHINUM – seconda monografia che vuole mettere in luce la responsabilità della classe dirigente aristocratica nella crisi dello stato, la cui insolenza venne arginata nella guerra contro Giugurta (111- 105 a.C.), cadetto africano che si impadronì del regno di Numidia corrompendo con denaro l’aristocrazia romana per ottenere una pace vantaggiosa. Nel 107 a.C. Mario diviene console e modifica la composizione I POETAE NOVI: definiti NEÒTEROI da Cicerone, in riferimento ai poeti che nel I sec. a.C. inaugurarono una nuova poesia a Roma, più raffinata: • i contrasti sociali favorirono l’assimilazione delle teorie provenienti dalla Grecia, come l’individualismo, che spinse ad allontanarsi dal negotium per rivolgersi all’otium. cambiò così il tipo di intellettuale che si dedica alla poesia, non più il civis soldato impiegato nella vita politica, ma l’uomo libero di dedicarsi allo studio delle lettere e alla soddisfazione dei piaceri individuali. • in ciò si avverte l’influsso della filosofia epicurea, ma da cui i neoterici si discostano facendo dell’amore il centro della loro poesia. • i poeti instaurano legami: è una poesia di circolo, destinata alla cerchia di amici poeti che gareggiano tra loro e sono essi stessi committenti e fruitori della loro poesia. • modello fondamentale è Callimaco, la cui poetica era fondata su 1) la brevitas dei componimenti; 2) il labor limae (limatura); 3) la doctrina; 4) l’individualismo. • introdotte nuove forme poetiche e metriche di origine greca e la contaminazione. • il linguaggio poetico deve modificarsi in relazione alle innovazioni: nasce il sermo lyricus, che attinge alla lingua colloquiale. Si possono suddividere in preneoterici (come Levio) e i neoterici (come Valerio Catone o Catullo). GAIO VALERIO CATULLO: 84 a.C. circa nasce a Verona (Gallia Cisalpina). 66 a.C giunge a Roma, dove frequenta personaggi di spicco dell’ambiente politico e letterario e conosce Clodia, moglie del console Quinto Cecilio Metello, con cui instaura una relazione adultera burrascosa. 57 a.C. si reca un anno in Bitinia come membro dell’entourage di Gaio Memmio, dove poté visitare la tomba del fratello sepolto nella Troade, morto pochi anni prima. 54 a.C. secondo Girolamo morì a 30 anni. LIBER: di Catullo ci restano 116 carmi, che sono stati divisi in tre sezioni e raccolti in un liber secondo un criterio metrico, il che riconduce a un ordinamento postumo. 1° GRUPPO: 60 nugae, componimenti brevi di carattere leggero e di metro vario (polimetri). 1-60 2° GRUPPO: 7 carmina docta, di maggiore estensione e impegno stilistico. 61-68 3° GRUPPO: 47 epigrammi, carmi brevi in distici elegiaci. 69-116 → Si possono analizzare insieme i carmi brevi (1° e 3° gruppo) e poi i carmina docta (2° gruppo). Carmi brevi (polimetri ed epigrammi): La sua poesia è associata alla rivoluzione neoterica. L’otium individuale diventa alternativa alla vita collettiva, e ci si dedica alla cultura, alla poesia, all’amore. A questa dimensione intima rispondono i carmi brevi, i polimetri (che si aprono con una dedica all’amico Cornelio Nepote) e gli epigrammi, in cui temi sono affetti, passioni e aspetti minori dell’esistenza. Lo sfondo della poesia catulliana è l’ambiente letterario e mondano di Roma, di cui fa parte la cerchia di amici neoterici, su cui campeggia la figura di Lesbia (Clodia), incarnazione della potenza dell’eros, il cui nome rievoca Saffo, poetessa di Lesbo. Oltre alla sua grazia e bellezza a renderla affascinante sono la sua cultura e la sua intelligenza. L’eros diventa centro dell’esistenza e valore primario a cui il poeta si dedica completamente, sottraendosi dai doveri del civis, come la vita politica e i conflitti di potere. L’amore con Lesbia nasce in modo adulterio, ma tende a configurarsi come vincolo matrimoniale. Insistenti sono le recriminazioni per la violazione del foedus d’amore, patto basato sulla fides che vincola moralmente i contraeti e la pietas, virtù di chi assolve ai suoi doveri nei confronti degli altri. Il poeta si rende conto che Lesbia non è disposta a rispettare il foedus, e il tradimento produce un dissidio in lui tra la componente sensuale (amare) e affettiva (bene velle), come testimoniato nel carme 85 ‘’Odi et amo’’. Carmina docta (cc. 61-68) Hanno un carattere più letterario, per la selezione di un lessico più ricercato e la presenta di stilemi della poesia alta e della tradizione enniana (arcaismi, composti ecc.). Si celebra una nuova poetica, il cui ‘manifesto’ si può rintracciare nel carme 95 (epigrammi), dove si annuncia la pubblicazione del poemetto Zmyrna dell’amico Cinna e si manifestano i canoni di gusto a cui Catullo aderisce: brevità, eleganza, dottrina. Nei carmina docta compare il nuovo genere dell’epillio, poemetto breve che permette al poeta di sfoggiare la sua preziosa dottrina. Esempi sono: carme 63: narra di Attis che si mutila per farsi sacerdote di Cibele, non è in esametri ma in galliambi, metro alessandrino per esprimere la frenesia orgiastica del culto. carme 64: celebra le nozze di Pèleo e Teti, e attraverso l’ekphrasis narra anche dell’abbandono di Arianna da parte di Tèseo, ricamato sulla coperta nuziale. L’intreccio istituisce una serie di relazioni che hanno nucleo nel tema della fides, virtù cardinale che oggi è violata insieme agli altri valori morali. Inoltre romanizza il genere dell’epitalamio, il canto nuziale, inserendovi elementi tipici italico-romani: carme 61: celebra le nozze del nobile amico Lucio Manlio Torquato con Vibia Aurunculeia carme 62: fittizio, esercizio letterario. Altri sono: carme 66: omaggio a Callimaco, si tratta dell traduzione in versi latini dell’elegia Chioma di Bernice, in cui celebra l’astronomo del re d’Egitto, Conone, che individuò una nuova costellazione scoperta con il ricciolo offerto dalla regina Berenice per il ritorno del marito dalla guerra. Qui vi aggiunge temi centrali come l’esaltazione della fides e della pietas, la condanna all’adulterio ecc. carme 65: collegato, è dedicato all’amico Ortensio Ortalo, a cui giustifica l’invio della semplice traduzione con la disperazione per la morte del fratello. carme 68: riassume i temi principali della poesia catulliana (amicizia, amore, attività poetica, fratello). Lo stile presenta un’originale combinazione del linguaggio letterario e sermo familiaris: il lessico della lingua parlata è filtrato da un gusto aristocratico che lo impreziosisce. Frequenti del sermo familiaris sono i diminutivi, che rivelano l’adesione all’estetica del lepos, la grazia. Altri concetti chiave sono la venustas, una leggiadra e aggraziata bellezza, di carattere femminile, e l’urbanitas, il garbo dello stile e del linguaggio. La commistione di livelli stilistici diversi conferisce ai testi una straordinaria espressività. TERZA PARTE: L’ETA’ DI AUGUSTO Contesto: con età augustea gli storici intendono la letteratura che va dalla morte di Cesare (44 a.C.) a quella di Augusto (14 d.C.), o più precisamente da quella di Cicerone (43 a.C.) a quella di Ovidio (17 d.C). Ottaviano Augusto è protagonista della scena politica per tutto questo periodo, in cui i suoi eserciti si scontrano con quelli di Antonio (da qui il tema della grande paura), trovando la vittoria nella battaglia di Azio nel 31 aC, a seguito di cui diviene padrone di tutti i territori del nascente Impero. Prende vita l’ideologia augustea, una cooperazione politico-culturale che vede la partecipazione attiva degli intellettuali. La poesia romana si sente ormai in grado di competere con i grandi autori della Grecia classica, fino a pretendere di superarli. Si costituiscono tre circoli culturali attorno a tre influenti personalità: il circolo di Mecenate, fido collaboratore di Augusto di nobile famiglia etrusca, che non occupò mai nessuna carica ufficiale e si fece promotore di una letteratura ‘nazionale’, di un forte impegno ideale (Virgilio, Orazio, Properzio, Vario Rufo). il circolo di Messalla Corvino, uomo di ideali repubblicani e anticesariano, che raccolse intoro a sé numerosi letterati il cui genere prediletto fu quello elegiaco, con cui l’unico omaggio al principe avviene con la recusatio, forma poetica esitante e contraddittoria. (Tibullo, Ovidio, Sulpicia e Ligdamo). il circolo di Asinio Pollione, primo a Roma a promuovere la consuetudine delle letture pubbliche (recitationes) delle proprie opere letterarie e fondatore della prima biblioteca pubblica a Roma. Augusto diede impulso allo sviluppo delle biblioteche pubbliche, come quella presso il tempio di Apollo, che riuniva opere greche e latine. Lui stesso, pur dilettante, si dedicava alle lettere, tentando la strada della poesia e poi della prosa, con 13 libri di Commentarii de via sua. Fondamentale fu poi la sua assegnazione a Vario Rufo del compito di pubblicare l’Eneide, incompiuta, dopo la morte di Virgilio. PUBLIO VIRGILIO MARONE 70 a.C., 15 ottobre nasce ad Andes (Mantova). Si forma a Napoli nella scuola dell’epicureo Sirone e poi a Roma. 38 a.C. circa entra nel circolo di Mecenate. 19 a.C., 21 settembre muore a Brindisi, di ritorno dalla Grecia. 42-39 a.C. – BUCOLICHE: raccolta di dieci ecloghe in esametri. La datazione è legata a una notizia ancora non totalmente chiarita secondo cui Virgilio perse le terre di famiglia a seguito dell’espropriazione dei contadini mantovani, ordinata da Ottaviano e Antonio nel 41 a.C. per destinarli ai soldati che combatterono a Filippi l’anno prima, dove sconfissero gli eserciti repubblicani comandati da Bruto e Cassio. In seguito, Virgilio avrebbe riottenuto il podere grazie all’intervento di un potente non noto. Il termine Bucolica carmina rimanda all’essenza dell’opera: l’evocazione di uno sfondo rustico in cui i pastori sono messi in scena come creatori di poesia, con ispirazione agli Idilli di Teocrito, poeta vissuto alla corte dei Tolomei nel III secolo a.C. Si tratta del primo libro interamente dedicato a questo genere letterario, la cui originalità è rivendicata dallo stesso Virgilio all’inizio della VI egloga in contrapposizione alle grandi imprese poetiche dell’epopea. Virgilio attraverso uno studio ricercato del poeta siracusano, dei suoi imitatori greci e persino dei suoi commentatori riesce a interiorizzare il genere bucolico, assimilandone i codici fino a comporre un’opera alla pari del suo modello. Teocrito si allargava a un repertorio ampio di temi, ambienti e situazioni (poikilìa alessandrina, varietà), mentre Virgilio si concentra sul mondo pastorale e con lui si diffonde il mito dell’Arcadia, la terra beata dei pastori. Si riducono in un certo senso i confini del genere idillico, come i temi che possono essere affrontati. Città ed eventi storici rimangono ma come entità spaventose e incomprensibili, l’atmosfera è malinconica, specialmente nelle egloghe in cui alcuni pastori sono costretti all’esilio, in cui si riflette un nucleo di esperienza personale, come la I e la IX. Sono la VI e la X, invece, ad allargare gli orizzonti, con l’omaggio al poeta Cornelio Gallo, incarnazione di un’altra poesia (l’elegia d’amore), che cerca rifugio nella poesia bucolica. Fra i carmi sussistono ricercati parallelismi: le ecloghe di argomento e impostazione simili sono poste a coppie, a distanza in modo speculare. QUINTO ORAZIO FLACCO 65 a.C. nasce nella colonia romana di Venosa (Basilicata), da un liberto che possedeva una piccola proprietà. Si trasferisce a Roma come esattore nelle vendite all’asta ed entra nella scuola del grammatico Orbilio. 44 a.C. si reca in Grecia per perfezionarsi, dove viene coinvolto nella lotta tra repubblicani e cesaricidi, ottiene da Bruto il grado di tribuno e il comando di una legione, ma la sconfitta di Filippi interrompe la carriera militare. 41 a.C. grazie all’amnistia può tornare a Roma, dove per la confisca del suo fondo è costretto a impiegarsi come scrivano di un magistrato: inizia così la sua attività poetica. 38 a.C. entra nel circolo di Mecenate. 8 a.C. muore. Dal 41 a.C. – EPODI: l’epodo è il verso più corto che segue a uno più lungo, formando un distico. Orazio li chiama iambi per rimandare al tono aggressivo associato alla poesia giambica greca. Si tratta della sua prima raccolta poetica, relativa al periodo disagiato che seguì all’esperienza di Filippi e ne spiega il tono carico e violento, ben distante dalla successiva produzione. Orazio sostiene di aver mutato da Archiloco, caposcuola del genere, i metri (numeri) e l’ispirazione aggressiva (animi) ma non i contenuti (res): se egli dava voce agli odi e rancori di un aristocratico greco del VII secolo a.C., il poeta romano scriveva nella Roma dominata dai triumviri e sarebbe entrato presto nell’entourage di Ottaviano, motivo per cui si rivolgeva a ‘bersagli minori’, personaggi anonimi, talvolta fittizi; elementi che contribuirono a fornire un’impressione di artificiosità letteraria. Inoltre Orazio lasciava in sordina il carattere personale dell’invettiva, per cui la violenza delle minacce suonava talvolta “a vuoto” o addirittura giocosa. Influenti furono anche i Giambi di Callimaco, con cui gli Epodi condividono una molteplicità di temi, toni e livelli stilistici, fattori che la tradizione romana assegnava piuttosto alla satira. Dal punto di vista espressivo, la poesia giambica oriaziana ospita anche una dizione più sorvegliata, che si avvicina al tono che avranno poi le Odi. 41-30 a.C. – SATIRE: 17 in due libri, chiamate da Orazio sermones (conversazioni), sono composte da vari temi e andamenti. La voce satirica diventa particolarmente marcata, è l’opera in cui l’autore parla più di sé e della sua vita. Lucilio è riconosciuto come inventore del genere, mentre Ennio è citato solo come modello di una poesia sublime, diversa da quella dei propri sermones. Come è tipico dei poeti di età augustea, l’imitazione del modello si accompagna all’intento di migliorarlo: Lucilio mostra infatti una notevole trascuratezza formale (probabilmente dovuta al vivace realismo del suo lessico che non evitava gli eccessi del sermo vulgaris), mentre nella satira oraziana troviamo una lingua semplice ma disciplinata per conversazioni colte, in cui lo stile varia a seconda dei soggetti. All’aggressività luciliana Orazio sostituisce l’analisi dei vizi con l’osservazione critica e la rappresentazione comica delle persone, guardando non a bersagli di ceto elevato, ma a un “piccolo mondo di irregolari”, abitato da cortigiane, parassiti, imbroglioni ecc. Gli obiettivi fondamentali della sua ricerca sono l’autàrkeia (autosufficenza interiore) e la metriòtes (moderazione) come filosofia di vita che protegge l'individuo dai colpi della fortuna, che distoglie dai piaceri materiali, effimeri e poco gratificanti. Nella trattazione di alcuni temi (adulterio, amicizia) si avverte la sua formazione epicurea. Nel II libro la componente autobiografica si riduce e il poeta si ritira in secondo piano, affermando una forma dialogica in cui tutti gli interlocutori sono portatori di una verità, anche se non equivalenti. L’equilibro fra autarchia e metriòtes sembra perdersi, e l’unico rifugio è la villa sabina in cui l’autarchia si giova dell’isolamento, lontana dalle contraddizioni della vita romana. 30-23 a.C. – ODI: la produzione lirica è paragonabile a quella moderna per il carattere meditativo e monologico: grazie al suo statuto di cortigiano il poeta ora può dedicarsi uno spazio di “autonomia” e usare la poesia come momento intimo. Rimane tuttavia una differenza dovuta alla convenzione antica: il discorso deve sempre rivolgersi a qualcuno. Il rapporto con la lirica greca è stretto al punto che lo stesso Orazio si definisce Alceo romano, con cui giustifica la molteplicità di suggestioni che va dall’attenzione alle vicende della comunità ai canti legati alla sfera privata. Tratto caratteristico è la ripresa dello spunto iniziale di un componimento, per cui le odi partono quasi con una citazione, ma poi progressivamente si distaccano dal modello. Le differenze con Alceo sono la sua semplicità dei temi e di linguaggio, che si contrappone invece all’interesse vivace di Orazio per la res publica, come intellettuale che però vive al riparo dei potenti di Roma. La lirica oraziana è scritta per la lettura, descrive spesso situazioni immaginate o stilizzate e aspira a un grado elevato di raffinatezza richiamandosi alla lirica greca per distaccarsi dall’alessandrinismo dei neòteroi. Ciò non significa che non sia un poeta moderno e che prescinda dall’esperienza ellenistica, da cui derivano temi e situazioni e a cui attinge elementi centrali della sua cultura e ideologia. I temi: - centrale la coscienza della brevità della vita, da cui nasce l’esigenza di appropriarsi delle gioie del momento senza perdersi in speranze, progetti o paure, visibile nell’ode a Leuconoe dove troviamo il “carpe diem” inteso come aspirazione al piacere legata alla consapevolezza della sua caducità. La meditazione si traduce nel canto della propria serenità, di un poeta saggio e libero dai tormenti della follia umana e protetto dagli dèi. La poesia è l’unica che può salvarlo dalla caducità umana, è cosciente dei dati immutabili della fugacità del tempo, della vecchiaia e della morte, e la saggezza ci si scontra: l’unica soluzione è trasformare l’inquietudine in accettazione del destino. - carmi conviviali: inviti, descrizione dei preparativi, apparato del simposio greco-romano; - odi erotiche, che non ignorano la passione - inni, privi di un legame con l’esecuzione rituale. Tuttavia usa molto la contaminazione negli stessi componimenti tra categorie liriche diverse. Vi sono poi temi ricorrenti che attraversano carmi di natura diversa, come la campagna stilizzata a locus amoenus (paesaggio italico rurale), ma anche il paesaggio dionisiaco e soprattutto lo spazio limitato del podere personale, che si fa figura letteraria nel tema dell’angulus, luogo deputato al canto, al vino e alla saggezza che si associa ai grandi temi della morte e dell’amicizia. Vi è poi la lirica civile che celebra Augusto, non da intendere come propaganda ma come portatrice di un’ideologia di cui Orazio condivide l’impostazione moralistica che vedeva la crisi derivata dalla decadenza dei costumi e dall’abbandono degli antichi valori. Stile: La perfezione dello stile deve molto alla lezione di Callimaco: l’aggettivazione, l’uso moderato delle figure di suono, metafore e similitudini, la sintassi semplice e la dizione asciutta sono l’arte che Orazio definisce nell’Ars poetica la callida iunctura, una tessitura verbale della frase che accosta alcune parole allontanandone altre perché si richiamino a distanza, creando effetti nuovi, associazioni insolite e lasciando trasparire significati impliciti. Per il resto sono rari neoformazioni e neologismi. Anni delle Odi – EPISTOLE: anche queste definite sermones, ma senza l’aggressività delle Satire. I libro – L’equilibrio tra autarchia e metriòtes appare ora irrecuperabile e la ricerca morale è continuamente animata dalla necessità della saggezza. Orazio non sembra più in grado di ostruire un modello di vita soddisfacente, rinuncia alla vita sociale fuggendo da Roma verso la villa sabina (angulus delle Odi), dove l’autarchia è più forte che mai, ma che comunque non può garantire un atteggiamento costante: il poeta oscilla tra un rigore morale che lo attrae ma lo spaventa e un edonismo di cui avverte sia concretezza che fragilità. Vi è un’accresciuta impostazione didascalica del discorso in cui si rivelano il prestigio e il rispetto riconosciuti alla posizione di un intellettuale interlocutore e riferimento dell’élite sociale augustea. II libro – aggiunto dopo per pressione di amici e potenti, è composto da 3 lettere che si allontanano dal progetto epicureo del I libro e fungono come una sorta di testamento letterario con interlocutore esplicito Augusto. Orazio interviene nel dibattito tra intellettuali tipico della società augustea, con un’autorità garantitagli dal suo prestigio e dal suo rapporto con il principe. Augusto vedeva con favore una produzione letteraria nazionale: alla richiesta di un poema epico storico che designasse il destino imperiale di Roma rispose in modo parziale l’Eneide, mentre restava aperta la questione del teatro latino, in cui si riconosceva la più ampia diffusione ideologica. In un dibattito tra ‘antichi e moderni’ Orazio si schiera con quest’ultimi in nome del principio callimacheo dell’arte colta e raffinata, resistendo alle preferenze di Augusto e non mostrando fiducia in una rinascita del teatro, anche a causa del pubblico ora meno selezionato e raffinato. Ars poetica – l’epistola ai Pisoni, pur non essendo parte delle Epistole viene inserita nella seconda raccolta, in quanto Orazio analizza i problemi della letteratura drammatica, che aveva posto privilegiato nelle trattazioni di ascendenza peripatetica, offrendo il proprio contributo teorico alla questione del teatro, pur predicando un’arte raffinata, paziente, colta e attenta. L’ELEGÌA: La cultura letteraria latina matura sull’alto livello toccato a Roma dal genere elegiaco, nella seconda metà del I secolo a.C., i cui autori più rappresentativi sono, secondo Quintiliano, Cornelio Gallo, Tibullo, Properzio e Ovidio. Nell’antica letteratura greca il termine indicava un componimento poetico con metro élegos (distico elegiaco), che dal VII secolo a.C. si diffonde dalla Ionia trovando impegno in occasioni di vita pubblica (carattere politico, guerresco) e privata (erotico), ma anche come espressione del lutto, come nel caso di Antimaco di Colofone che per la morte dell’amata rievoca miti di amore tragico, istituendo la connessione tra autobiografia e mito, caratteristica dell’elegia latina. L’ipotesi che quest’ultima sia derivazione diretta dell’elegia ellenistica è oggi rifiutata proprio per il suo carattere soggettivo-autobiografico, e al contempo è rifiutata anche la sua concezione come sviluppo dall’epigramma greco, in quanto tuttavia conserva certi tratti oggettivi. Si può parlare di un ‘’universo elegiaco’’ in cui l’esperienza soggettiva è inquadrata in forme e situazioni tipiche secondo moduli ricorrenti. È inoltre poesia d’amore, il quale è l’esperienza unica che riempie l’esistenza (àristos bìos, la perfetta forma di vita) della vita del poeta, che si configura come schiavitù di fronte alla domina, con cui ha relazione di rare gioie e molte sofferenze; ma malato della passione si abbandona a una compiaciuta accettazione del dolore. Le continue delusioni gli fanno proiettare la propria vicenda nel mondo puro del mito o nella felice età dell’oro, ripudia le durezze della guerra per le mollezze dell’amore e ignora i suoi doveri di civis ribellandosi al mos maiourum. Viene rifiutata la poesia elevata in favore della musa leggera, dai toni e contenuti ispirati all’immediatezza della passione; da cui si vede il debito verso Catullo, da cui eredita il gusto dell’otium e l’allontanamento dall’impegno civile e verso la poesia neoterica, con cui condivide la rivoluzione del gusto letterario: la poetica callimachea, la ricerca della raffinatezza formale, l’eleganza concisa e la partecipazione affettiva. ALBIO TIBULLO 55-50 a.C. nasce nel Lazio rurale, di ceto equestre. 30 a.C. amico e protetto del repubblicano Messalla Corvino, lo segue in campagne militari in Oriente. Vive forse gli ultimi anni nella campagna laziale, dove Orazio nelle sue Epistole lo ritrae solo e malinconico. 19-18 a.C. muore. CORPUS TIBULLIANUM: tre libri, in età umanistica diventano quattro con la divisione dell’ultimo. Ai primi due libri, di componimenti autentici, vengono aggiunti poemetti spuri e testi di altri, probabilmente provenienti dal circolo di Messalla. I-II LIBRO I libro - la figura dominante del canzoniere è Delia, pseudonimo di Plania come ci informa Apuleio (dal greco dèlos = chiaro, traduce planus = semplice, chiaro), amante dei piaceri mondani la cui relazione con il poeta è sempre insidiata dai rischi del tradimento. II libro – è scalzata dal cuore del poeta grazie a Nèmesi, «Vendetta», una cortigiana avida dai tratti più aspri. Noto come poeta dei campi, Tibullo già all’apertura del I libro dichiara la propria scelta di vita di pauper agricola, figura ideale di contadino capace di vivere con intensità l’amore e di farne poesia. Non manca tuttavia lo scenario della vita cittadina, sfondo di incontri furtivi e tradimenti, che proietta il poeta non nel tipico mondo del mito, ma in quello agreste. Forte è il bisogno del rifugio, in uno spazio intimo e sereno in cui coltivare gli affetti di fronte alle insidie della vita: a tale esigenza si riconduce l’altro tema dominante, quello della pace, in cui l’antimilitarismo si accorda con questo luogo ideale popolato da persone semplici e riscaldato dall’amore di una donna fedele. Dietro ai tratti bucolici di influenza virgiliana si cova tuttavia l’ideologia arcaizzante del principato, rivelando l’adesione agli antichi valori tradizionali. Tibullo può essere definito poeta doctus: la sua poesia condivide molto con quella alessandrina, lo stile rivela una scrittura attentissima in cui la semplicità è il risultato di una scelta artistica e segno di una fiducia nella potenza espressiva delle parole che non richiede torsioni o intensificazioni patetiche. A ciò corrisponde un ritmo regolare con un suono che spesso acquista quasi la risonanza della rima, quando chiudendo la seconda metà del pentametro riecheggia la chiusa della prima e influenzerà il distico elegiaco ovidiano. Quintiliano lo definisce come il classico della poesia elegiaca romana, e già dagli antichi era ammirato per il suo stile semplice, raffinato con toni tenui e delicati che danno alla sua poesia il fascino della naturalezza espressiva. 2-8 d.C. – LE METAMORFOSI: 15 libri in esametri. In veste formale di epos, riprendono una tradizione letteraria diversa da quella omerica, usando come modello il ‘poema collettivo’, storie indipendenti tra loro ma accomunate da un tema. Troviamo come modelli la Teogonia (origine delle divinità) e il Catalogo (delle eroine mitiche) di Esiodo. Come gli Àita di Callimaco le Metamorfosi vogliono trovare le ‘origini’ della realtà presente. La poesia di Ovidio si avvicina ora all’esigenze nazionali augustee: l’opera parte dal caos primordiale e si conclude con la trasformazione in essere divino di Giulio Cesare e con la celebrazione di Ottaviano. Questa dimensione però si presenta come parte esigua, il racconto mitico non aspira a diventare testimone di una fede, ma quanto più come una summa di tutta la letteratura del passato e presente. Composta per intrattenere e stupire, il narratore è intrattenitore che rifiuta l’oggettività dell’epica, così da poter commentare i momenti salienti dell’azione. Le Metamorfosi sono attente alla dimensione spettacolare del racconto, con una maggiore attenzione ai momenti della ‘trasformazione’, rappresentati con minuziosa attenzione. Il mondo del poema è fatto di apparenze ingannevoli e travestimenti, trappole che deludono le speranze degli umani, che solo il poeta conosce senza poter intervenire. Sono narrate circa 250 vicende, ordinate secondo un filo cronologico che dopo gli inizi si attenua fino a diventare impercettibile: altri criteri possono essere per vicinanza geografica, analogie tematiche, per contrasto, per rapporto genealogico o per analogia di metamorfosi. Ovidio non tende all’omogeneità di forme e contenuti: sono molto vari, come sono varie le dimensioni delle storie narrate e i modi e tempi della narrazione. Lo stile diventa ora solennemente epico, ora liricamente elegiaco, ora con movenze bucoliche; le storie sono con cura accostate o alternate a seconda del loro contenuto e carattere. Tra un libro e l’altro la narrazione si interrompe nei punti vivi della vicenda, in modo da suscitare la curiosità del lettore anche nelle pause del testo. La tecnica di narrazione adottata riprende quella alessandrina del racconto ad incastro, con ricorrenti inserzioni narrative proiettate nel passato, spesso raccontate dagli stessi personaggi, come nel caso di Calliope, musa dell’epos che narra il rapimento di Proserpina. FASTI: ancor più vicini alle tendenze culturali augustee si propongono di illustrare gli antichi miti e costumi latini. Poemetto eziologico e antiquario in distici elegiaci, erano previsti 12 libri, uno per ogni mese, ma a causa dell’esilio si interrompono al sesto. Per la tecnica compositiva e il carattere eziologico della ricerca delle origini nel mito, devono molto agli Àitia callimachei. Ancor più di Properzio ambiva ad essere il Callimaco romano, impegnandosi in accurate ricerche di fonti antiquarie, come Verrio Flacco, Varrone e Livio. Tuttavia, a causa dell’inserimento di materiale mitico greco, dello spazio dato all’elemento erotico e ai toni giocosi e ironici, l’adesione di Ovidio al programma culturale del regime rimane piuttosto superficiale. 8 d.C. – Allontanato improvvisamente da Roma, il poeta abituato al successo si ritrova solo a comporre poesia per sé stesso, abbandonando la poesia narrativa e tornando all’elegia (due raccolte TRISTIA e EPISTULAE EX PONTO), adesso non di poesie d’amore ma di vocazione lamentosa, quasi con un ritorno alla funzione originaria greca dell’elegia. Sembrerebbe che dietro alla ragione ufficiale di immoralità della sua poesia si volesse accusarlo di coinvolgimento nel tradimento della nipote di Augusto, Giulia Minore, con Decimo Giunio Silano. 11-12 d.C. – IBIS: poemetto in cui si difende dalle accuse di un suo detrattore, che prende il nome da un componimento perduto di Callimaco contro Apollonio Rodio. TITO LIVIO 59 a.C. nasce a Padova da famiglia benestante. Compose dialoghi filosofici e precetti di retorica che non si sono rimasti. Dopo la guerra civile giunge a Roma per raccogliere la documentazione per realizzare la grande opera storica, la cui pubblicazione lo fa entrare in contatto con Augusto. 17 d.C. muore a Padova. AB URBE CÒNDITA LIBRI: 142 libri di cui ne restano 35: i primi 10 (fatti più antichi fino al 293 a.C.), quelli da 21 a 45 (seconda guerra punica fino alla guerra contro la Macedonia) e altri frammenti (sulla morte di Cicerone, tramandati da Seneca il Vecchio). La narrazione andava dalle origini mitiche di Roma al 9 a.C., morte di Druso, figliastro di Augusto, ma probabilmente doveva arrivare fino alla morte di Augusto (14 d.C.) e comporsi di 150 libri. Livio ritorna alla struttura annalistica rifiutando l’impianto monografico di Sallustio. La pubblicazione dell’opera per gruppi di libri, probabilmente a decadi, comprendenti periodi distinti, permetteva dichiarazioni introduttive come il celebre proemio della terza decade (relativa alla seconda guerra punica) che ha fatto pensare a una suddivisione che rispecchi le diverse fasi di pubblicazione dell’opera. La maggior parte dei libri, 85, partivano dall’età graccana, vicino all’epoca contemporanea, una scelta giustificata nella prefazione generale con le aspettative dei lettori. Le fonti usate furono gli annalisti, specie i più recenti (Valerio Anziate, Licinio Macro, Claudio Quadrigario), lo storico greco Polibio e in modo più sporadico le Origines di Catone. Non sottoponeva la fonte individuata a vaglio critico, ma la rielaborava solo artisticamente, attribuendogli la fama di exornator rerum (“decoratore”) più che un vero e proprio storico. Al centro dei suoi interessi c’erano le vicende del popolo romano, sui cui dovevano essere interpretati gli eventi della storia universale, portando l’autore a ignorare le guerre straniere e a non rispettare l’oggettività storica per giustificare l’imperialismo romano. Quest’impostazione caratterizzata da una specifica ideologia di matrice repubblicana portò Augusto ad assegnargli l’epiteto di «pompeiano». La perdita della sezione sulle guerre civili ci impedisce di farci un’idea del modo in cui Livio narrava la crisi della res publica, ma Tacito testimonia che lodava Pompeo e ostentava gli avversari di Cesare, come Bruto e Cassio. Riguardo al tema della libertas, essa doveva esser concessa al popolo a tempo debito senza precipitazione, in accordo con il regime che rivendicava di aver ristabilito la concordia sociale eliminando i partiti. L’opera è ricca di exempla di virtù in corrispondenza alla volontà di restaurazione degli antichi valori morali e religiosi. Tuttavia nella prefatio del primo libro Livio dichiara di cercare una fuga dai mali del presente: il principato augusteo non risulta la provvidenziale soluzione ai mali della società romana. Quintiliano definisce il suo stile come lactea ubertas, in contrapposizione alla brevitas austera di Sallustio: ampio e fluido, senza artifici, a cui tuttavia sa conferire varietà a seconda del contesto e tempo storico. Lascia largo spazio alla drammatizzazione del racconto, rendendo la historia esposizione drammatica che può farsi attività retorica. L’autore si fa testimone immerso nei drammi, la cui scrittura è come dettata da un coinvolgimento diretto. Il modello di stile è quello teorizzato da Cicerone nel secondo libro del De Oratore, che con varietà di toni costruisce un discorso eloquente con una sintassi ampia e scorrevole. Autori non conformi all’ideologia augustea, sotto Tiberio (14-38 d.C.) VELLEIO PATERCOLO: nato forse nel 19 a.C. da famiglia campana. Rivestì cariche pubbliche e fu pretore, si ritirò poi a vita privata e morì nel 30 d.C. Historiae ad Marcum Vinicium (console nel 30 d.C.) in due libri: il primo comprende la storia dell’origine di Roma fino al 146 a.C.; il secondo fino al 30 d.C. La storia degli avvenimenti recenti, conformemente al metodo annalistico, viene trattata con maggiore ampiezza. Si elogia Tiberio per le sue capacità militari e politiche, a contrario del ritratto che ne darà Tacito come crudele maniaco. Velleio combatté con lui contro i germani e rappresenta la posizione lealista della classe militare verso la dinastia regnante. Novità della sua storiografia è l’informazione sulla penetrazione della cultura greca a Roma e sulle modificazioni dei costumi senza il tipico pregiudizio moralistico. Lo stile è ampolloso e prolisso. Le fonti da lui usate sono Catone, Ortensio, Livio e l’autobiografia di Augusto. VALERIO MASSIMO: l’unica informazione tramandataci è di essere stato in Asia verso il 27 d.C. a seguito del console Sesto Pompeo. Factorum et dictorum memorabilium: nove libri in cui le invettive contro il potentissimo ministro Seiano fanno pensare a una pubblicazione avvenuta dopo il 31 d.C., anno del suo assassinio. Raccolta di exempla di vizi e virtù suddivisi in capitoli per materia, a loro volta divisi in romani/stranieri, destinato alle scuole di retorica. Il carattere aneddotico garantì la sua fortuna nel Medioevo. CURZIO RUFO: Ipoteticamente scrisse sotto il regno di Claudio dopo la morte di Caligola (41 d.C.). Compose le Historiae Alexandri Magni in dieci libri, di cui ne restano 8 in parte lacunosi, sulla vita e le imprese del sovrano mostrando una propensione per il favoloso e per la narrazione romanzesca e leggendaria: scrive con uno stile ritmico e pieno di colore che intende farne opera di narratore più che di storico. Si presenta anche come fonte di informazioni dato il naufragio della produzione storiografica ellenistica su Alessandro. Inoltre, elemento di attrazione per il lettore, comprende numerosi excursus di carattere etnografico relativi ai vari popoli barbari ed esotici incontrati da Alessandro Magno durante le sue conquiste. Fonte principale di Curzio Rufo è la vita romanzata di Alessandro scritta nel 310 a.C. dallo storico greco-alessandrino Clitarco. Erudizione e discipline tecniche L’età augustea vede la diffusione del libro e della cultura. Aumenta la necessità di commenti e vengono fondate tre biblioteche pubbliche, tra cui quella Palatina, che Augusto fa dirigere dal liberto Giulio Igino. Il prestigio della retorica e la tradizione del poema didascalico frenavano la nascita di una prosa scientifica, tuttavia la prima età imperiale conosce una sua prima fioritura: testimonianza è il DE ARCHITECTURA di VITRUVIO POLLIONE, architetto a cui Augusto assegnò una pensione per raccogliere la sua vasta esperienza. In dieci libri, composti tra il 27 e il 23 a.C., compariva in anni in cui Augusto promuoveva un programma di rinnovamento dell’edilizia pubblica, e proprio a lui era dedicato. Vantava anche di disegni (andati perduti) e nell’introduzione vi era il ritratto del perfetto architetto, ingegnere e con una cultura vasta (conoscenza dell’acustica per costruire teatri, ottica per l’illuminazione, medicina per la scelta di aree edificabili). Fondamentale era inoltre la conoscenza della filosofia, a garantire il prestigio sociale della figura dell’architetto. LUCIO ANNEO SENECA 4 a.C. circa nasce a Cordova. Il padre Seneca il Vecchio si stabilì a Roma e poté così studiare retorica e filosofia. 26 d.C. soggiorno in Egitto, dopo il quale iniziò a Roma la carriera di oratore e avvocato. 41 d.C. accusato in uno scandalo di corte Claudio lo esilia in Corsica. dove compone due Consolazioni, fino 49 d.C. è chiamato da Agrippina e scelto come tutore del figlio Nerone, che accompagnerà al trono nel 54. 62 d.C. con il degenerare del comportamento di Nerone si ritira per dedicarsi agli studi. 65 d.C. accusato per la congiura di Pisone, è costretto al suicidio. DIALOGI: in XII libri, è una raccolta di 10 trattati filosofici di argomento morale, su problemi dell’etica stoica, in cui la forma dialogica si limita a qualche occasionale domanda al dedicatario o a interventi di un interlocutore fittizio. Scritti quasi tutti tra gli anni 50 e 60 d.C. 1. De providentia: dedicato a Lucilio Iuniore, appartenente agli ultimi anni, apre la raccolta e tratta il problema della contraddizione tra il progetto provvidenziale (che secondo gli stoici presiede alle vicende umane) e una storia che sembra premiare i malvagi e punire i deboli. Secondo Seneca ciò accade per volontà divina di mettere alla prova i buoni ed esercitarne la virtù. 2. De brevitate vitae: affronta il problema della fugacità del tempo e della brevità della vita, di cui non sappiamo afferrare l’essenza. 3. De vita beata: tratta la felicità e il ruolo delle ricchezze nel suo perseguimento, fronteggiando velatamente le critiche di incoerenza mossegli tra i principi filosofici professati e il patrimonio enorme accumulato grazie alla posizione di potere occupata a corte. In quanto la felicità sta nella virtù e non nella ricchezza, legittima quest’ultima se serve alla ricerca della prima. L’importante non è non possedere ricchezze ma non farsi possedere da esse 4. De costantia sapientis: parte della trilogia dedicata all’amico Sereno, esalta la calma e fermezza del saggio stoico difronte alle avversità. Le altre due sono il De tranquillitate animi (5), in cui risponde alla questione del saggio nella vita politica cercando una mediazione tra l’otium e l’impegno del cives, e il De otio (6) in cui sceglie forzatamente una vita appartata a causa di una situazione politica compromessa gravemente. 7. De ira: dialogo in tre libri, sono una fenomenologia delle passioni umane, di cui analizza meccanismi e modi per dominarle, dedicati al fratello Novato. 8.9.10. Le Consolationes (ad Marciam alla figlia di Cremuzio Corso per la morte del figlio; Ad Helviam matrem a sua madre per la sua condizione di esule, in cui esalta gli aspetti positivi dell’isolamento; Ad Polybum destinata al liberto di Claudio per la perdita del fratello, che costò a Seneca l’accusa di opportunismo per tornare a Roma): tre brevi prose filosofiche centrate attorno alla riflessione sulla morte e su ciò che il bene e il male per l’uomo. SOTTO NERONE E DOPO IL RITIRO Nel “quinquennio felice” (54-58) fece da ministro a Nerone e si dedicò a temi ‘pubblici’. Lo stoicismo permette la partecipazione del Sapiente agli affari statali purché non venga turbata la sua serenità interiore, ad esempio con contrasti troppo tumultuosi. 64 d.C., De beneficis – sette libri in cui si trattano gli atti di beneficenza e filantropia, il legame tra benefattore e beneficato e le conseguenze contro gli ingrati (allusione a Nerone). Appellandosi soprattutto alle classi privilegiate l’opera sembra trasferire sul piano della moralità individuale il progetto di una società equilibrata, precedentemente fondato sull’utopia di una monarchia illuminata (fallita). De clementia – si rivolge direttamente a Nerone per offrigli una sorta di ‘guida’ per regnare, consigliando la virtù della clemenza (e non la tirannia) per ottenere consenso e dedizione dai suoi sudditi, e di conseguenza garanzia di sicurezza e stabilità dello Stato. Ritirato dalla vita pubblica si dedica alla contemplazione – sette libri delle Naturales queaestiones dedicati a Lucilio, non come un trattato scientifico ma con argomentazioni di tipo filosofico-morale, pur nello studio di fenomeni naturali. Lo scopo è quello rasserenare l’uomo di fronte alla natura e ai fenomeni più sconvolgenti. EPISTULAE AD LUCILIUM: opera più celebre, raccolta di lettere di varia estensione e argomento indirizzate a Lucilio, amico poeta di origini modeste proveniente dalla Campania, assurto al rango equestre e a cariche come quella di procuratore in Sicilia. Partono dal periodo del disimpegno politico (62 d.C.) e il carattere reale o fittizio è ancora discusso. I due sono lontani, Lucilio si trova in Sicilia, ma devono sentirsi vicini nel loro animo. Sono riportate solo le lettere di risposta di Seneca ma si percepisce una discussione vivace, in cui Seneca è maestro a cui il più giovane Lucilio esprime le proprie difficoltà e chiede consigli. Il modello della conversazione amichevole è Epicureo, che gli permette di creare un’intimità quotidiana con l’amico, che sul piano pedagogico si rivela più efficace dell’insegnamento dottrinale: attraverso i commenti di aneddoti di momenti di vita concreti il filoso trae un insegnamento da impartire all’amico, tornando sui temi della libertà interiore, della natura di Dio, della giustizia e del tempo. Ne risulta l’ideale di una vita indirizzata alla meditazione e al perfezionamento tramite la riflessione sulle debolezze e sui vizi, propri e altrui. Il distacco dal mondo e dalle passioni si accentua all’innalzamento dell’otium a valore supremo, funzionale alla ricerca del bene (conquista libertà interiore). Stile: fu criticato da Quintiliano per lo spezzamento dei periodi in frasi brevi di gusto epigrammatico, rifiutando la compattezza del periodo ciceroniano, che voleva invece rendere chiara la gerarchia logica dei pensieri tramite una combinazione delle frasi secondo una precisa legge di costruzione (ipotassi). In Seneca domina la la paratassi: le frasi non dipendono l’una dall’altra per legami sintattici chiari, ma i collegamenti stanno nei concetti espressi dal discorso, svolto per movimenti di antitesi e ripetizioni, con scopo di riprodurre uno stile colloquiale, di cui si serve per esplorare l’animo umano e parlare al cuore degli uomini esortando al bene. TRAGEDIE 9 coturnate di soggetto mitologico greco tramandate dal codice Etruscus. I modelli sono le tragedie greche del periodo classico (Sofocle ed Euripide) e fa libero uso della contaminazione. La tecnica dell’azione scenica fa invece pensare al dramma ellenistico (IV-III sec aC). Lo stile risente dei modelli latini “augustei” (Virgilio, Orazio, Ovidio), mentre la tragedia latina arcaica si avverte nel pathos esasperato, nella tendenza al cumulo espressivo e alla frase sentenziosa in rilievo. In età giulio-claudia la tragedia, in cui il tema dell’esecrazione della tirannide era centrale, apparve la forma letteraria migliore per esprimere l’opposizione al regime. Si tratta di una testimonianza preziosissima, in quanto sono le uniche opere tragiche latine giunteci integralmente. Hercules furens: tratta dall’omonima tragedia di Euripide, presenta Ercole che di ritorno dagli inferi dopo l’ultima fatica uccide la moglie e i figli. Rinsavito e intento a suicidarsi, decide poi di purificarsi ad Atene. Troades (Le Troiane): contamina le Troiane e l’Ecuba di Euripide. Sulla sorte delle donne troiane prigioniere. Phoenissae (La Fenice): unica incompleta, priva dei cori, ruota attorno al destino di Èdipo e all’odio divisivo dei figli Eteocle e Polinice. Medea: tratta dall’omonima di Euripide, presenta la maga Medea, abbandonata da Giasone e assassina dei due figli da lui avuti. Phaedra (Fedra): sull’amore incestuoso di Fedra per il figliastro Ippolito, che respinta lo accusa falsamente e ne causa la morte, voluta dal padre Teseo in richiesta a Nettuno. Per rimorso confessa e si uccide. Oedipus (Edipo): ricalca con qualche variazione l’Edipo re di Sofocle, in cui il re tebano, scoprendo di essere uccisore del padre e sposo della madre, si acceca. Agamemnon (Agamennone): ispirata alla tragedia di Eschilo, racconta dell’assassinio del re, di ritorno da Troia, per mano della moglie e dell’amante di lei. Thyestes (Tieste): Atreo si vuole vendicare del fratello Tieste che gli ha sedotto la moglie e gli ha rubato il trono, così lo invita a cena e gli fa mangiare le carni dei figli. Helcules Oataeus (Ercole sull’Età): Età è il monte dove si svolge la vicenda, sulla gelosia di Deianira. 1 unica praetexta rimastaci è l’Octavia, manoscritta sotto il nome di Seneca, che racconta il ripudio e l’uccisione di Ottavia da parte di Nerone per Poppea. L’autenticità è oggi negata, in quanto: - lo stesso Seneca appare come personaggio; - la morte di Nerone (avvenuta tre anni dopo quella di Seneca) è descritta corrispondentemente alla realtà storica; - l’autore trasferisce nella tragedia brani versificati tratti dalle opere filosofiche di Seneca. Si pensa sia stata scritta tra il 70 e l’80 d.C. APOKOLOKYNTOSIS: titolo greco trasmesso da Dione Cassio come «inzuccamento», trasformazione in zucca, da intendersi ‘divinizzazione di uno sciocco’. I manoscritti riportano Ludus de morte Claudii. Si tratta della parodia della divinizzazione di Claudio, avvenuta nel 54 d.C.: arrivato nell’Olimpo al concilio degli dèi, questi lo confinano agli Inferi dove diventa schiavo del nipote Caligola e del proprio liberto Menandro. Prende voce il risentimento per l’esilio e la politica dell’imperatore, che concesse la cittadinanza e il potere a corte ai liberti. Rientra nel genere della satira menippea, che alterna prosa e versi di vario tipo in greco e in latino. MARCO ANNEO LUCANO 39 d.C. nasce a Cordova. È il nipote di Seneca, a solo un anno la famiglia si trasferisce a Roma, dove inizierà gli studi. 65 d.C. Coinvolto nella congiura di Pisone sarà costretto al suicidio il 30 aprile, a soli 25 anni. Inizialmente ha un buon rapporto con Nerone: 60 d.C. – laudes del principe composte per i Neronia. A questo periodo risalgono varie opere di adesione ai gusti neroniani di cui rimangono solo i titoli: Iliacon – componimento sulla guerra di Troia, Catachtonion – epillo su Orfeo, Medea – tragedia incompleta, Silvae – X libri di componimenti di vario genere. Inoltre epigrammi, libretti per pantomime e declamazione. BELLUM CIVILE/PARSHALIA: nel 60 d.C. pubblica i primi tre libri, a cui segue una brusca rottura con l’imperatore forse per le idee repubblicane espresse. Dovevano essere XII, come l’Eneide, ma si fermano al X (incompiuto) in quanto coinvolto nella congiura di Pisone e costretto a suicidarsi nel 65 d.C. Tratta della guerra civile tra Cesare e Pompeo esaltando la libertà repubblicana, condannando il regime imperiale. Retori e grammatici gli rimproverarono l’abuso delle sententiae concettistiche che avvicinavano l’opera a uno stile oratorio, la rinuncia alla citazione degli interventi divini e un ordine narrativo quasi cronachistico tipico delle opere storiche e non poetiche. Queste critiche portano al confronto diretto con Virgilio, e con la forma della narrazione favolosa vicino a Omero che aveva assunto l’epos nell’Eneide. Rimangono pochi frammenti di poemi epico-storici che avevano come soggetto le guerre civili dopo l’Eneide, per cui non si riesce a stabilire una connessione solida con l’opera di Lucano. Inoltre, la perdita del materiale storiografico a cui probabilmente si rifaceva Lucano (Livio, Seneca il Vecchio) non permette di verificare se l’autore abbia seguito fedelmente le sue fonti. Ciò che è certo è che spesso i fatti sono deformati per fini ideologici, come nel modo di presentare alcuni avvenimenti, oppure con l’inserimento di episodi totalmente inventati (es. Cicerone a Farsalo, VII libro). Ribaltare il modello dell'epos tradizionale: un’«anti-Eneide». Il poema epico, tradizionalmente strumento di glorificazione dello Stato, diventa con Lucano denuncia della guerra fratricida, del sovvertimento dei valori e dell’avvento di un’era di ingiustizia. La confutazione del modello virgiliano avviene tramite una sorta di ribaltamento delle sue affermazioni, con una ripresa in chiave antifrastica di espressioni e situazioni virgiliane. [Ripresa della profezia di Anchise che annuncia la futura gloria di Roma: Lucano fa riportare in vita un soldato caduto da una maga tessala, che racconta che negli Inferi gli eroi piangevano l’infelice sorte incombente sulla città mentre i populares esultavano. Il mito di Roma città eterna si ribalta nell’antimito di una potenza destinata alla rovina]. Il proemio al I libro è dedicato a Nerone, riprendendo da Virgilio le parole con cui nel I libro dell’Eneide Giove profetizza a Venere l’avvento di una nuova età dell’oro a seguito delle guerre civili. Sarà Nerone a realizzare quelle promesse. Dopo l’elogio non è mai più nominato. Non vi è un eroe principale ma la vicenda ruota intorno alle personalità di Cesare, Pompeo e Catone. Cesare: guidato dall’ispirazione momentanea, è innalzato a interpretazione del furor che l’ostile Fortuna scatena contro l’antica potenza di Roma. Rappresenta il trionfo delle forze tiranniche che nell’Eneide erano domate e sconfitte (furor, ira, impatientia, superiorità allo Stato) e viene spogliato della clemenza verso i vinti, stravolgendo la realtà storica. DECIMO GIUNIO GIOVENALE Le poche e incerte notizie giungono da cenni autobiografici ed epigrammi dedicatagli dall’amico Marziale. 50-60 d.C. nasce ad Aquino (Lazio). Studiò retorica e fu avvocato. Iniziò l’attività poetica in età matura, dopo la morte di Domiziano (96 d.C.) e continuò fino al principato di Adriano. Poco attendibile la notizia per cui, ottantenne, sarebbe stato inviato in Egitto col pretesto di un incarico militare per versi offensivi verso un favorito dell’imperatore. Muore dopo il 127 d.C. SATIRE: 16 satire in esametri suddivise in 5 libri. Come spiega nella I satira, Giovenale è stato spinto al genere satirico dalla considerazione che la letteratura contemporanea con i suoi intrecci mitologici non si adatti più alla società depravata: meglio rappresentare tale società ispirati dall’indignatio. Egli non crede che la sua poesia possa influire sul comportamento degli uomini, prede irredimibili della corruzione, ma la musa è utilizzata solo per esprimere il suo disgusto. Tra i temi, uno dei più sentiti è quello espresso nella satira VII, in cui si manifesta il rancore del poeta emarginato, escluso dai benefici che la società elargisce ai corrotti e ora costretto alla condizione umiliante di clientes. Ormai non ci sono più le condizioni sociali per figure di poeti integrati come i grandi protetti di Mecenate e Augusto, come Virgilio e Orazio, ma il poeta vive ora in una condizione di estrema miseria, per cui non gli resta altro che l’amara consolazione dell’invettiva. Si scaglia contro tutti i potenti, soprattutto sulle figure più emblematiche della società e sulle donne emancipate e libere, scempio del pudore. Seppur possa sembrare un atteggiamento ‘democratico’, in realtà si rivela irrevocabilmente disprezzante, caricato da un orgoglio intellettuale e un astio contro i greci e gli orientali, causa della decadenza di Roma, che lo portano a rivendicare per sé agiatezza e riconoscimenti sociali (Satire III e XV). Negli ultimi due libri cambiano leggermente i toni che diventano distaccati con l’uso dell’apàtheia, l’indifferenza. Diversamente dalla precedente tradizione, questa satira prende una dizione simile a quella dell’epica e della tragedia, lasciando da parte il loro tratto fittizio: la realtà ormai degenerata in orrore deve assumere l’altezza di tono e allontanarsi dalla commedia bandendo il ridiculum. Rispetto a Persio, rifiuta la tradizione diatribica, che invitata al distacco dalle cose materiali e smaschera l’ipocrisia che vede insita in questa posizione. L’epica di età Flavia: Stazio, Valerio Flacco e Silio Italico Poesia che presenta concordanze di gusto e si propone come modelli Virgilio e Ovidio. PUBLIO PAPINIO STAZIO 40-50 d.C. nasce a Napoli. Vive a Roma. 96 d.C. muore, poco prima del suo protettore Domiziano. SILVAE (Le Selve): 5 libri di vario metro e tema, raccolgono poemetti di lode ai patroni e benefattori del poeta. Poesia colta e riflessa, testimoniano la circolazione della cultura nella prima età imperiale. Stazio spesso rovescia i moduli tipici di ciascun genere e propone una nuova forma di ecfrasi autonoma, non parte di un contesto più ampio. Il titolo, secondo Quintiliano, avrebbe il significato di ‘’schizzi’’, secondo gli studiosi invece rimanderebbe alla varietà delle tematiche trattate. 92 d.C. – TEBAIDE: opera più ambiziosa di Stazio, è un poema epico che tratta del mito greco dei Sette re contro Tebe, recuperando un tema dell’epica tradizionale. In 12 libri divisi in due esadi, la prima dai tratti “odissiaci”, narrante dei precedenti della guerra contro Tebe e contenente resoconti di viaggi, e la seconda, dai tratti “iliadici”, su vicende belliche. Esplicitamente in affinità con il modello dell’Eneide, Stazio afferma di voler seguire «a distanza» l’alto predecessore, Virgilio. La posizione è altrettanto virgiliana nel recupero dell’apparato divino dell’epica ma anche nella modernizzazione con l’approfondimento della funzione del fato. Tuttavia la scelta del tema della guerra fratricida avvicina l’opera a Lucano. Le divinità epiche tradizionali sono appiattite in favore delle personificazioni di idee astratte assurte a forze divine più vitali. A loro volta sono appiattite le figure umane, schiacciate dalle leggi della predestinazione, a cui sono poco dedicate le sfumature psicologiche. Si conclude con il trionfo della clemenza e dell’umanità con il civilizzatore Teseo, probabilmente incarnante la figura di Domiziano. Il punto di forza dell’opera sta nello stile, con una creazione in grado di fondere spunti e tessere lessicali della letteratura classica da Omero ai contemporanei. Seppur mancano riferimenti diretti all’attualità romana, si scorge un riferimento nell’insistenza del problema etico del vivere sotto i tiranni. ACHELLEIDE: secondo poema epico incompiuto, fermatosi a inizio del secondo libro per la morte dell’autore. Sulle vicende di Achille, vi sono solo quelle dell’eroe a Sciro, nascosto dalla madre Teti perché i greci non lo conducano a Troia. Il tono è più disteso e idillico, con riprese di temi elegiaci ed è ravvivato da un’ironia di fondo che richiama Ovidio. Il progetto rivela l’ambizione di rapportarsi con Omero e Virgilio. VALERIO FLACCO Vita del tutto ignota, da Quintiliano ricaviamo che morì prima del 92 d.C. AGRONAUTICA: poema epico incompiuto all’ottavo libro, tratta la spedizione degli Argonauti guidati da Giasone alla conquista del vello d’oro. Si tratta della rielaborazione autonoma dell’opera omonima del greco Apollonio Rodio (che era già stata tradotta dal neoterico Varrone Atacino): riduzioni, aggiunte e modifiche sono guidate dalla ricerca dell’effetto (accentuazione del pathos, drammatizzazione e brevità dell’espressione per coinvolgere maggiormente emotivamente il lettore); ma sul piano degli schemi narrativi e dell’espressione rimane debitore ad Apollonio. Fallisce nella creazione di scene narrative articolate viziate da difetti di chiarezza e di mancata specificazioni delle coordinate spazio-temporali dell’azione, che mostrano un interesse concentrato sull’effetto scenico singolo piuttosto che sulla coerenza d’unità. L’influsso di Virgilio ribalta la presentazione dell’eroe Giasone, dipinto da Apollonio come eroe problematico, a un’elevatezza epica. Per dare al poema una parte “iliadica” è introdotto il racconto di una guerra tra fratelli. Le situazioni sono spesso mostrate secondo il punto di vista dei personaggi (la conoscenza della storia è presupposta con il riferimento di Apollonio) e ciò comporta una marcata psicologizzazione del racconto. Vi sono vari rimandi alla situazione politica contemporanea, anche in elogio della campagna in Britannia di Vespasiano e al fiorire dei traffici navali sotto gli imperatori Flavi. SILIO ITALICO 25 d.C. circa nasce. 68 d.C. divenne console e proconsole d’Asia sotto Vespasiano. Ritirato a vita privata negli ultimi anni si dedica al suo poema storico. Provava un amore maniacale per Virgilio, di cui raccolse i cimeli e acquistò il luogo del sepolcro. 101 d.C. muore di fame dopo essere stato colpito da un male incurabile. PUNICA: in 17 libri (forse dovevano essere 18), sono il più lungo epos storico latino a noi giunto. Racconta la seconda guerra punica (dalla spedizione di Annibale in Spagna alla vittoria di Scipione dopo Zama), trattata prima da Nevio nel Bellum Poenicum e da Ennio negli Annales, che però non imita; a contrario di Tito Livio, la cui influenza è evidente. Il modello fondamentale è però l’Eneide: difatti la guerra di Annibale discende dalla maledizione di Didone contro Enea e i suoi discendenti. Sillo infarcisce l’azione storica con interventi divini di un’eccessiva inverosimiglianza (Giunone, nemica dei troiani e ora dei romani, protegge Cartagine). L’interesse sta nelle digressioni mitologiche e nella ricerca di esattezza antiquaria. La scrittura è scorrevole ma monotona, spesso viziata da un’imitazione pedissequa dello stile virgiliano. PLINIO IL VECCHIO (Gaio Plinio Cecilio Secondo) 23 d.C. nacque a Como. Militò nell’esercito in Germania dove conobbe importanti generali e il futuro imperatore Tito: scrive un’ampia opera storica, i Bella Germaniae, di cui conosciamo solo il nome grazie a Tacito. Con l’avvento di Nerone, a cui è ostile, si ritira a vita privata. Scrive di retorica e linguisticaa: Studiosus, trattato in 6 libri doveva essere manuale di retorica per studenti, Dubius sermo, trattato sull’uso linguistico. Sotto Vespasiano torna all’attività pubblica, scrive A fine Aufidi Bassi (perduta), proponendo una continuazione dell’opera dello storico Aufidio Basso, vissuto ai tempi di Caligola. 79 d.C. grazie a due lettere del nipote Plinio il Giovane, che ci racconta l’eruzione del Vesuvio del 24 agosto 79, sappiamo che Plinio è vicino al comando di una flotta e si dirige per i soccorsi ma viene soffocato dai gas del vulcano. Sarà definito da Calvino come «promartire della scienza sperimentale», seppur Plinio si espose al pericolo più per filantropia che per curiosità scientifica. La Roma imperiale conosce una grande espansione dei ceti tecnici e professionali, in cui vi è una crescente richiesta di informazione e divulgazione scientifica. Allo stesso tempo questa curiosità si afferma anche come intrattenimento e consumo culturale, con i testi naturalistici chiamati “paradossografi”, i cui autori si presentano come viaggiatori che hanno raccolto materiale (aneddoti, notizie antropologiche, lavori scientificI). Questa letteratura esprime il limite della cultura scientifica romana, che non contiene in sé nessun principio sistematico e manca di collegamento tra empiria e tradizione, non modificando i modelli classici greci, ma accostando nuovi dati accanto ai tradizionali. 77-78 d.C. NATURALIS HISTORIA – unica opera a noi giunta interamente, conclusa verso il 77-78. Quella di Plinio è la realizzazione più compiuta delle tendenze sopracitate, ma si configurava con un’ambizione ben più ampia, quella di un’enciclopedia, una conservazione integrale dello scibile, che non conosce precedenti nemmeno greci. L’opera si proponeva inventario di tutte le conoscenze acquisite da Plinio, divise in 37 libri di Cosmologia e geografia fisica (II) Geografia (III-VI) Antropologia (VII) Zoologia (VII-XI) Botanica (XII- XIX) Medicina (XX-XXXII) e Metallurgia e mineralogia (XXXIII-XXXVII). Con scopo di giovare all’umanità, la concezione stoica dell’universo, che considera la natura come un tutt’uno organico, permette a Plinio di passare da un punto all’altro dei fenomeni e considerare al tempo stesso il loro significato religioso e cultuale e analizzare vizi e virtù umane con gli strumenti del moralismo romano. Considerato da alcuni il peggior scrittore latino, va precisato che l’ampiezza dell’opera era incompatibile con una regolare elaborazione stilistica e la tradizione enciclopedica romana non prevedeva grande impegno nella scrittura. QUARTA PARTE: LA PRIMA ETA’ IMPERIALE (2 di 2) Contesto: L’età degli imperatori per adozione Il II secolo d.C. è per Roma un momento di pace lontano dalle guerre, in cui senato e principi collaborano serenamente. È l’età degli imperatori adottivi: Traiano, Adriano, Antonino Pio e Marco Aurelio. Si verificano uno sviluppo economico, la creazione di grandi monumenti, il miglioramento delle condizioni di vita e l’istituzione di scuole di medio-alto livello e biblioteche. Rinasce la cultura greca, con il movimento della «seconda sofistica», i cui letterati sono sempre in viaggio e disposti a vendere il proprio talento retorico. I più illustri sono Erode Attico, Elio Aristide e Frontone, maestro di Marco Aurelio, che scriverà in greco i colloqui A sé stesso. Letterato è anche Adriano, detto Graeculus, che fonda l’accademia l’Athenaeum, rende la sua villa a Tivoli un museo e fa eseguire svariate copie delle opere greche, facendo conoscere questa grande arte all’Occidente. Tuttavia, i barbari irromperanno in Rezia e in Italia sotto il regno di Marco Aurelio e in tutto l’Impero si diffondono nuovi culti orientali: di Iside, di Mitra e il cristianesimo. Filosofia e nuove fedi tendono al sincretismo, in particolare lo stoicismo finirà per essere assorbito dal cristianesimo, che vince la concorrenza con il mitraismo attraverso l’organizzazione di una struttura gerarchica, il clero, con vescovi sottoposti a presbiteri e diaconi. Nasce la prima letteratura cristiana (Acta Martyrum), e con la necessità di difendere il credo dalle eresie pagani anche la letteratura apologetica. PLINIO IL GIOVANE 61 d.C. nasce a Como. Viene adottato dallo zio Plinio il Vecchio, che lo porta a Roma a studiare nella scuola di Quintiliano. Sotto Domiziano percorre i gradi del cursus honum fino a diventare console nel 100 sotto Traiano. Nello stesso anno fu con Tacito tra gli accusatori nel processo per malversazione contro Mario Prisco ex governatore d’Asia. 111 è nominato legato imperiale in Bitinia, dove affronta questioni delicate come i rapporti con i cristiani. 113 d.C. muore. Gli vengono attribuite orazioni forensi e raccolte di poesie, ma ci rimangono solo le due opere maggiori: 100 d.C. – PANEGYRICUS: testo iniziale di una raccolta di panegirici di vari imperatori. È la gratiarum actio pronunciata in senato per l’elezione a console, un discorso di ringraziamento a Traiano, esaltato per aver restituito la libertà di parola e di pensiero dopo la tirannia di Domiziano. Auspicando alla rinnovata collaborazione tra imperatore e Senato, si delinea un modello per i principi futuri, a cui si chiede un’intesa politica anche con il ceto equestre. Affiora comunque la preoccupazione che i principi malvagi possano tornare al potere. I rapporti tra lui e Traiano emergono nella corrispondenza al tempo del governatorato in Bitinia (X libro delle Epistulae), in cui Plinio si mostra leale ma anche indeciso, informa l’imperatore di ogni problema e ne attende consigli e direttive. Traiano si mostra spesso lievemente infastidito per i continui quesiti a lui posti. Rimase famoso l’atteggiamento verso la questione dei cristiani: diede istruzione di non procedere se non in caso di denunce non anonime e di sospendere il procedimento se l’imputato testimonia di non essere cristiano. EPISTULAE: in 9 libri (il decimo di Traiano fu aggiunto dopo la morte di Plinio), fu concepita fin dall’inizio per la pubblicazione, come una vera e propria opera letteraria, curata e rielaborata. Ciascuna lettera è dedicata a un singolo tema, aspetto che lo separa dall’epistolario ciceroniano, di scarsa comprensibilità e di stampo più privato. Cicerone rimane comunque il modello prediletto, da cui assume il fraseggio limpido e gli schemi ritmici ricorrenti. Le lettere sono brevi saggi di cronaca sulla vita mondana, intellettuale e civile, in cui Plinio si rivolge con estrema cerimoniosità agli interlocutori. Racconta le proprie preoccupazioni di grande proprietario terriero, elogia poeti e letterati, descrive le sedute del senato e si rivela assiduo frequentatore delle sale in cui si tenevano recitationes e declamationes. Elogia la propria attività poetica e non si mostra preoccupato della crisi della cultura, ma avverte una decadenza nel gusto degli ascoltatori. La letteratura di cui si diletta è destinata all’intrattenimento ed è fonte di svago. Anche i rapporti sociali appaiono importanti a un formalismo vuoto. Il tono costantemente smorzato e accomodante lo elevò a modello presso gli scrittori antichi. TACITO 55 d.C. nasce a Terni o nella Gallia Narbonense o Cisalpina. 78 d.C. sposa la figlia del comandante Giulio Agricola. 88 d.C. la carriera politica lo porta alla pretura e a un incarico in Germania. 97 d.C. tornato a Roma fu console supplente sotto Nerva e avrà il proconsolato d’Asia nel 112/113. 117 d.C. circa muore. 100 d.C. - DIALOGUS DE ORATORIBUS: si arrivò a dubitare della sua autenticità a causa della differenza di stile dalle altre opere tacitiane. Il periodare ricorda più il modello neociceroniano che la inconcinnitas (il contrario della ricercatezza di simmetria e dei periodi equilibrati che costituivano la concinnitas di Cicerone) tipica di Tacito. Probabilmente ciò si deve all’appartenenza del Dialogus al genere retorico, che prendeva ormai come modello canonico le opere di Cicerone. Ambientato nel 75 o 77, è un dialogo avvenuto nella casa di Curazio Materno tra questo stesso, Marco Apro, Vipstano Messalla e Giulio Secondo, a cui Tacito dice di aver assistito in gioventù. Messalla introduce il tema della decadenza dell’oratoria, rintracciando le cause nel deterioramento dell’educazione rispetto ai tempi antichi, e il dialogo si conclude con Materno, portavoce di Tacito, che lega la grande oratoria alla libertà repubblicana nel fervore dei conflitti civili. La sua pratica diventa anacronistica e impossibile nella società tranquilla contemporanea, la cui pace va comunque accettata. Alla base sta l’accettazione della necessità dell’Impero come unica forza in grado di salvare lo Stato dal caos delle guerre civili. 98 d.C. – AGRICOLA (De vita et moribus Iulii Agrocolae): celebra la memoria del suocero Giulio Agricola, attraverso la narrazione della sua conquista di gran parte della Britannia, a cui seguono digressioni geografiche ed etnografiche tratte dai suoi appunti e dai Commentarii di Cesare. Mette in rilievo come Giulio avesse saputo servire fedelmente lo stato pur sotto un pessimo principe come Domiziano. Anche nella morte, caduto in disgrazia presso l’imperatore, Agricola mostra la sua diversità, per cui non cerca la gloria di un martirio ostentato. L’opera è un punto di intersezione tra diversi generi letterari: innesta sul genere della biografia tradizionale le tecniche della prosa politico-militare (con excursus etnografici sui Britanni) e assume anche tratti della libellistica apologetica (in difesa ed esaltazione del suocero) e polemica (contro il principato di Domiziano). Per questo, l’opuscolo risente di modi stilistici diversi, in cui si percepisce l’influenza di Cicerone e i modelli di stile storico sallustiani e liviani. 98 d.C. - GERMANIA: prendono vita gli interessi etnografici di Tacito. È l’unica monografia etnografia rimastaci per intero della letteratura latina. Le notizie non sembrano derivare da un’esperienza diretta ma solo da fonti scritte, principalmente dai Bella Germaniae di Plinio il Vecchio, che prestò servizio nelle armate del Reno, che segue con fedeltà impreziosendone lo stile. Rimangono comunque alcune discrepanze, perché i Germania sembrano descrivere una situazione precedente all’avanzata dei flavi oltre il Reno e il Danubio. Gli intenti sono probabilmente connessi all’esaltazione dei barbari, una civiltà energica che poteva rappresentare un’imponente minaccia verso il sistema politico romano, basato sul servilismo e sulla corruzione. Si possono riconnettere alcune caratteristiche a un evento contemporaneo alla composizione, la presenza di Traiano e del suo esercito sul Reno. 100-110 d.C. – HISTORIAE: di 12 o 14 libri che dovevano andare dall’anno dei quattro imperatori (69) alla morte di Domiziano (96), ne rimangono cinque, che arrivano fino alla rivolta giudaica del 70. Trattano di rivolte e guerre civili, esaminando il passaggio da una dinastia all’altra e le vicende sotto il principato dei Flavi. Il tema centrale, ancora una volta, è la riflessione sul potere imperiale, i rapporti tra il principe e le altre forze politiche e sociali: il Senato, l’esercito e il popolo di Roma. Nella visione di Tacito, emerge la consapevolezza che il principato riduca gli spazi della libertas, ma che comunque non possa essere messo in discussione, poiché è oramai l’unica istituzione in grado di governare in modo efficace e assicurare ordine e coesione. Il problema, ora, è avere un buon principe: infatti i momenti di crisi che attraversano tutto il I secolo coincidono con la morte del principe e la scelta del successore. 100-110 d.C. – ANNALES: seconda opera storiografica, si conservano i libri I-IV, frammenti del V e parte del VI, che vanno dalla morte di Augusto (14) a quella di Tiberio (37), i libri dall’XI al XVI regno di Claudio (47) fino a Nerone (66). L’opera, intitolata nei manoscritti Ab excessu divi Augustii (Dalla morte del Divino Augusto) sembra continuare l’Ab urbe condita di Livio. Annales e Historiae cominciarono a circolare in un’edizione congiunta di 30 libri, in ordine inverso rispetto alla composizione a favore di un principio cronologico: dalla morte di Augusto a quella di Domiziano (14- 96). Tra le due opere vi è una presa di consapevolezza che i vincoli imposti dal principato si siano fatti più duri, e che l’equilibrio di ordine e libertas con Nerva e Traiano sia stato più fittizio che reale. L’impostazione generale rimane comunque simile, si attiene ai canoni della storiografia antica ma presenta una forte coloritura poetica, con influssi di Virgilio e Lucano, che lo portano vicino alla «storiografia tragica», con il fine di mettere in luce le passioni e le ambiguità dei personaggi. Tacito vede le cause della corruzione nella natura dell’uomo. Le figure ritratte sono addirittura patologiche, come nel caso di Nerone, ritratto come pazzo maniaco e crudele, ma non mancano figure di calcolatori e intriganti. Sono presenti poi ritratti paradossali, di personaggi che associano vizi vergognosi a virtù stupefacenti. Il ritratto di Tiberio negli Annales è invece «indiretto», ossia si delinea progressivamente in toni sempre più cupi. Gli eventi sono spesso commentati dalla reazione della folla, da cui traspare l’opinione del Tacito senatore che disprezza e ha timore della massa plebea. Ma attacca anche lo stesso senato, centro della delazione e della finzione. Il modello è spesso Sallustio, di cui Tacito carica molti tratti già forti come l’utilizzo di arcaismi e la sintassi disarticolata composta da sententiae. Sottintende verbi, ricorre a costrutti regolari e frequenti cambi di soggetto per conferire varietà. Gli Annales rispetto alle Historiae risultano meno eloquenti e più concisi, e al loro stesso interno si registra un cambiamento. Fino al libro XIII il lessico è sempre più arcaico e solenne, in cui la disarmonia verbale riflette quella degli eventi; mentre dal XIII Tacito ripiega su moduli più tradizionali meno lontani dai canoni ciceroniani. La differenza è stata giustificata con il diverso argomento, per cui il principato di Nerone, più vicino a Tacito, avrebbe richiesto minore distanziamento solenne rispetto a quello ormai lontano di Tiberio. GAIO SVETONIO TRANQUILLO 70 d.C. circa nasce. Fu avvocato e funzionario di corte. Sotto Traiano fu responsabile delle biblioteche pubbliche di Roma e direttore dell’archivio imperiale. 122 d.C. cade in disgrazia e si dedica alle sue ricerche. Si concentrò su un aspetto minore della storiografia, la biografia. Questa scelta, con la rinuncia allo schema annalistico, rappresenta la presa di coscienza della nuova forma personale assunta dal potere imperiale, e l’insistenza sui particolari insignificanti viene intrepretata come manifestazione di una volontà obiettiva di fornire un ritratto integrale del personaggio, senza assumere atteggiamenti encomiastici. L’opera attinge alle fonti più varie (documenti d’archivio, storiografia di tradizione anticesarea) e si rivolge alla classe colta di epoca traianea, a un pubblico di funzionari e burocrati. Ci rimangono: DE VITA CAESARUM: raccoglie le biografie di imperatori da Giulio Cesare a Domiziano, esposte, come spiegato nella Vita di Augusto, non cronologicamente ma per species, secondo una serie di rubriche che trattano gli aspetti della personalità del principe in un’analisi del personaggio sulla sua vita privata, inquadrando virtù e vizi e orientando il giudizio moralistico. DE VIRIS ILLUSTRIBUS: vite di letterati e uomini di cultura di cui ci rimane l’ultima parte, il De grammatibus et rhetoribus. Lo schema delle vite corrisponde al disegno ricorrente della tradizione del genere biografico: origini e luogo di nascita, insegnamento esercitato, interesse, opere composte e tratti caratteriali. Filologia, retorica e critica letteraria: Frontone e Aulo Gellio La filologia e critica dei testi latini raggiunge piena maturità nel periodo dai Flavi agli Antonini. Nella tradizione latina, la filologia è legata alla stessa natura dell’operazione letteraria, in quanto i poeti romani iniziano come traduttori e rifacitori di testi poetici. Non è chiaro quando cominci la pratica della filologia isolata dalla poesia, affidata al grammatico che deve capire e interpretare testi. La filologia del II secolo d.C. mostra influssi alessandrini e pergameni. Si redigono canoni, cioè graduatorie di poeti ordinate per generi. Tuttavia mancano vere e proprie attività editoriali e biblioteche statali. La concentrazione del patrimonio librario rimase a lungo fenomeno privato almeno fino al 39 d.C., quando Asinio Pollione fece istituire la prima biblioteca di Stato. Si impongono i ‘nuovi classici’: Cicerone, Virgilio, Orazio. Tra fine I e inizio II secolo l’attenzione per gli autori del passato è favorita dall’affermarsi di un movimento arcaizzante, fino ai primordi della letteratura latina. Capofila di tale gusto è MARCO CORNELIO FRONTONE, educatore di Marco Aurelio e Lucio Vero. Nato nel 100 circa, africano, visse circa 70 anni. Celebrato dagli antichi per le sue orazioni pubbliche, sono andate totalmente perdute. Angelo Mai nel 1815 scoprì il carteggio tenutosi con due discepoli imperiali, da cui si coglie una continua ricerca di effetti di suono, giochi di parole ed eleganze formali, in un dominio della forma sugli esigui contenuti. Di una generazione successiva è AULO GELLIO, che nasce verso il 125 ed è autore delle Noctes Atticae, una raccolta di noctes (appunti presi di notte) prese durante un inverno trascorso nei pressi di Atene. Temi vari di impronta erudita, in cui troviamo un confronto tra Cecilio Stazio e Menandro. Evidente è l’influsso arcaizzante frontoniano, Gellio ha un forte interesse per tutta la latinità arcaica, e nella sua scrittura piacevole ed elegante è ricercatore di particolarità linguistiche ormai estinte, che possiamo denotare nei frammenti di poesia e prosa arcaica rimastici. Poesia tra II e III secolo d.C. Dall’epistolario di Plinio il Vecchio la poesia figura come hobby raffinato delle classi elevate più che come vocazione profonda. Ha perso ormai ogni centralità culturale, soppiantata dai grandi retori e dall’erudizione trionfante. Gli storici per la poesia del II e III secolo d.C. ricostruiscono la scuola dei poetae novelli (così definiti da Terenziano Mauro), in riferimento a quella dei neoterici del I secolo a.C., per cui sarebbero dei poetae novi in tono minore, la cui novità non è avanguardistica e modernizzante, ma si alimenta di recuperi regressivi, rivolti all’arcaico e all’obsoleto. In questa fioritura minore spicca l’imperatore Adriano, con la sua politica di integrazione universale volta ad abbracciare Roma, le province, la Grecia e l’Oriente, e con i suoi versi sia in greco che in latino. A questo filone possiamo ricondurre gran parte della produzione poetica del III secolo, perlopiù riordinata nell’Anthològia Latina, una vasta raccolta di carmi, messa insieme in Africa nel VI secolo, di poeti africani della tarda antichità, in cui prevarrebbe il tema della natura. Tra i più celebri figurano l’anonimo Pervigilium Veneris e il De concubitu Martis et Veneris di Reposiano. PARTE QUINTA: LA TARDA ETA’ IMPERIALE Contesto: Il III secolo è un momento drammatico per Roma, in cui la sopravvivenza dell’Impero sembra in dubbio di fronte alle numerose guerre civili e ai cambiamenti interni che mettevano in discussione i cardini dell’ordinamento statale. L’impero riuscì tuttavia a superare questa grave crisi. Sorsero spinte separatiste volte a sostituire le strutture statali con amministrazioni autonome che talvolta pretendevano la dignità statale. Nei primi anni la dinastia dei Severi promosse una politica di accentramento prestando maggiore attenzione ai ceti più poveri e con l’emanazione della Constitutio Antoniniana da parte di Caracalla nel 212, che concedeva la cittadinanza romana a tutti i residenti liberi nell’Impero. La dinastia finisce nel 235 e si apre una crisi del trono imperiale. I barbari pressano il confine del Reno e del Danubio con profonde incursioni e sul confine orientale il nuovo regno persiano dei Sassanidi si espande efficientemente. L’esercito è ora una forza centrale, controlla la scelta dell’imperatore e recluta anche i barbari. Le città, cinte da mura, si presentavano come rifugio più sicuro delle campagne, ma erano esposte ad assedi e saccheggi. Si entrò in una crisi economica a cui si aggiunsero catastrofi naturali come terremoti ed epidemie che comportarono un notevole calo della popolazione. In questo clima di angoscia si diffondono nuove sette misteriche, su cui prevale il cristianesimo, che diventa religione ufficiale dell’Impero. Inizia a crescere l’importanza della scuola, che raggiungerà piena evidenza nel IV secolo: la diffusione della cultura contribuisce alla sostituzione del costoso volumen in rotolo di papiro con il codex di pagine di pergamena, economico e adatto a prendere appunti. Particolarmente attivi nell’insegnamento sono i cristiani; i modelli su cui si impara a leggere e si assimilano le regole della grammatica sono i classici, specie Cicerone e Virgilio da cui si ricavano le informazioni erudite che costituiscono il bagaglio culturale di tutti gli appartenenti ai ceti medio-alti. La prima letteratura cristiana Inizialmente la comunità cristiana è greca, e in greco scrivono i primi ebrei seguaci di Cristo, Paolo e Luca. Le prime aree di evangelizzazione sono le città dell’Asia Minore, per cui i primi scritti cristiani dell’Occidente sono ancora in lingua greca, fino agli inizi del III secolo, quando l’esigenza di comunicare con gruppi più vasti fa sì che nasca una letteratura latina cristiana. I primi testi sono traduzioni della Bibbia effettuate in Africa e in Italia dal II secolo: si tratta delle Vetus Latina, la vecchia traduzione rispetto a quella «nuova» di Girolamo, che diventerà testo ufficiale, la Vulgata. Nella seconda metà del II secolo le persecuzioni e i martirii subiti dai cristiani danno spunto alla prima letteratura narrativa di ispirazione cristiana, per cui i cristiani scampati alle persecuzioni redigevano memorali per perpetuare l’eroismo dei compagni, costituita da: • gli Acta martyrum, di cui il primo documento latino è l’Acta martyrium Scillitanorum, contenente i resoconti dei processi tenuti contro i cristiani durante una delle persecuzioni nella città africana di Scillum. Emerge la contrapposizione tra i cristiani, non violenti, sicuri della vita dopo la morte e i crudeli magistrati di Roma, difensori dei vecchi ordinamenti. • le Passiones, opere più personali e sviluppate in forme narrative più complesse. Capolavoro è la Passio Perpetuae et Felicitatis, sul martirio della giovane Perpetua, della sua schiava Felciita e del loro catechista Saturo, avvenuto a Cartagine nel 202. Dopo narrazioni da parte di Perpetua e Saturo, l’opera si conclude con la narrazione del martirio, che secondo alcuni sarebbe da rintracciarsi in Tertulliano, autore di tutta l’opera. Fu uno dei pochissimi testi latin che gli orientali ritenessero di dover conoscere: fu tradotto in greco. → in epoca tarda nasce la Passione epica, prevalentemente greca, in cui il martire assume ruolo di eroe vincitore, che pur morendo sconfigge il carnefice con colpi di scena e miracoli. La produzione di questi testi fiorisce dopo Costantino. Letteratura apologetica: Tertulliano e Minucio Felice, i primi autori latini cristiani Compaiono inoltre i primi scritti apologetici, per diffondere e in difesa della propria fede dagli attacchi pagani. TERTUALLIANO 150 circa nasce a Cartagine, da genitori pagani. Studiò retorica e fu avvocato in Africa e a Roma. La conversione avvenne in età avanzata (195ca) e morì dopo il 220. La sua apologetica è caratterizzata dalla sua determinazione e ferocia delle sue requisitorie nelle dispute dottrinali. La difesa delle fede si trasforma in un durissimo attacco reso efficace dalla sapienza retorica. 197 – Ad nationes: si rivolge ai pagani, al tempo denominati gentiles Apologeticum: orazione rivolta alle autorità che denuncia l’infondatezza giuridica delle persecuzioni. Tramandata in due versioni, si pensò a una doppia redazione. Ad martyras: esortazione a cristiani incarcerati che attendono il martirio. Altri scritti affrontano problemi morali della comunità e offrono spaccati sociologici sulla società africana: De spectaculis: critica gli spettacoli teatrali e del circo; De idololatria: tema dell’attività economica e delle attività quotidiane, piene di paganesimo quindi inaccettabili. De virginibus velandis: invita le donne a uscire di casa solo con volto coperto; De cultu feminarum: il vestiario delle donne dev’essere discreto. In questi ultimi due spicca la misoginia di Tertulliano, convinto che la donna sia il più pericoloso strumento di Satana. De anima: summa della psicologia antica in prospettiva cristiana. Getta le basi della formazione della lingua letteraria della latinità cristiana. MINUCIO FELICE nasce a Cirta (Africa), vive a lungo a Roma, dove fu avvocato. È molto più tollerante di Tertulliano. OCTAVIUS: dialogo sul lido di Ostia tra Minucio, il pagano Cecilio e il cristiano Ottavio. Minucio è giudice di una disputa sulla religione, ma dopo le due orazioni Cecilio capisce da solo di esser stato sconfitto. Gli argomenti sono i classici della letteratura apologetica (monoteismo su politeismo, i pagani se capissero le istanze di pace del cristianesimo si convertirebbero, le persecuzioni sono giuste) ma la sua scrittura è fine e delicata, ed esprime una conversazione pacifica fondata su un’argomentazione logica, diretta ai pagani colti. Cita molto dagli scrittori classici è un modello costante è la costruzione del periodo di Cicerone. Il suo cristianesimo è quello dei ceti dirigenti, favorevoli ad un cambiamento di religione e privo di carica rivoluzionaria. CIPRIANO 200 nasce. Tra gli apologisti minori, fu vescovo di Cartagine e martirizzato nel 258. Ad Donatum: scritto sulla sua conversione; Ad Demetrianum: sulle colpe dei pagani, De habitu virginum: sui comportamenti delle donne devote. Importante l’Epistolario, che fornisce informazioni sull’Africa del III secolo e i problemi della comunità cristiana. DE LAPSIS: testo sull’atteggiamento da tenere verso i cristiani che per paura delle persecuzioni rinnegarono la fede, riaccogliendo nella Chiesa i rinnegati pentiti imponendogli severe penitenze. Il suo stile risente delle tecniche della prosa classica, in cui inserisce citazioni bibliche e si allontana dagli eccessi di Tertulliano, ma meno labile di Minucio, fornendo un modello principale per i grandi prosatori cristiani del secolo successivo. Una Vita Cypriani è stata scritta dal diacono Ponzio, primo esempio latino delle biografie di vescovi e santi che diverranno successivamente celebri. Epistolario: lettere private e ufficiali; cronaca delle vicende del ministero. De officiis ministrorum: definisce i doveri degli ecclesiastici sul modello del De officiis di Cicerone Hexameron: commento dei sei giorni della creazione dalla Genesi, in sei libri, in cui Ambrogio esprime una certa gradevolezza letteraria. De Nabuthae historia: condanna la proprietà privata e i soprusi dei ricchi. GIROLAMO 347 nasce a Stridone (Dalmazia) e nel 354 va a Roma. Viaggiò in Oriente dove apprese il greco e fu ordinato sacerdote. Tornato a Roma viene scelto da papa Damaso come suo segretario, ma alla sua morte il suo prestigio precipitò, criticato dagli eccessi del proprio rigore ascetico. Nel 385 si reca in Palestina e nel 419/20 muore a Betlemme nel monastero da lui fondato. Abbiamo testi, commenti a libri dell’Antico e del Nuovo Testamento e l’Epistolario, in cui tocca vari argomenti tra cui il problema del rapporto tra cristianesimo e tradizione classica. Celebre è la lettera 22, con il racconto della sua abiura al classicismo e della promessa (non mantenuta) di non leggere più autori latini, a seguito di un sogno fatto in Terrasanta in cui il giudice divino lo rimproverava di essere Ciceronianus, non cristiano. VULGATA: traduzione latina della Bibbia che rispetto alle precedenti stabilisce un testo definitivo e canonico. Allestì la traduzione dei Vangeli e una versione dei Salmi, effettuata dal testo greco detto ‘’versione dei Settanta’’, traduzione dell’originale ebraico. Dopo la partenza da Roma riprese il lavoro sull’Exapla, edizione preparata dal filosofo Orìgene, in cui erano riportati su sei colonne il testo ebraico, la sua traslitterazione e quattro traduzioni greche; tuttavia Girolamo si convinse di dover lavorare direttamente sull’ebraico. Tra il 391 e il 406 fu completata, ma il successo non fu immediato per la resistenza dei fedeli a una nuova traduzione e le ostilità ecclesiastiche come quelle di Agostino, che temeva un allontanamento tra le chiese d’Occidente e d’Oriente. Di fatto questo rapporto si deteriorò progressivamente, ma la Vulgata rappresentò un momento di aggregazione per l’Occidente devastato dalle invasioni germaniche. Tradusse la Cronaca del greco Eusebio, storia universale, integrata con notizie del mondo latino. Seppur con inesattezze, dovute alla fretta del suo lavoro, contiene notizie preziose, attinte perlopiù dall’ormai perduto De poetis di Svetonio. De viris illustribus: prende il nome da Svetonio. Biografie di scrittori cristiani. Reca pareri personali, predilige figure rigorose come Tertulliano e maltratta gli esponenti della secolarizzazione come Ambrogio. Il suo stile vivace e vigoroso risente della lettura di Tertulliano. Inoltre rivela una pungente vena satirica. AGOSTINO 354 nasce a Tagaste (Africa settentrionale). Studia a Madaura e Cartagine dove, giovanissimo, ebbe un figlio illegittimo. A 19 anni legge l’Hortensius ciceroniano (dialogo perduto) e entra in una crisi spirituale, segue il manicheismo. 384 insegna a Roma, più tardi ottenne la cattedra di retorica a Milano, dove entra in rapporto con i circoli neoplatonici, le prediche di Ambrogio e la compagnia della madre cristiana Monica, per cui si converte al cristianesimo. Nel 387 viene battezzato e nel 395 tornato in Africa diviene vescovo di Ippona. 430 muore nell’assedio dei vandali di Genserico. CONFESSIONES: 13 libri, il titolo significa ‘’esaltazione di Dio’’. Scritta nei primi anni del vescovato, traccia la storia del proprio itinerario spirituale fino alla morte della madre (libro 9). Con il libro X prendono spazio le riflessioni filosofiche sottoforma di commento al testo biblico della creazione. Oltre ad essere una delle pochissime autobiografie antiche è la prima ad esserlo nel senso moderno del termine, cioè interiore, dell’anima. Si raggiungono livelli di analisi psicologica altissimi, che si riflettono nell’angoscia per il peccato (presentissimo nell’infanzia), nei travagli delle crisi spirituali e nella scena della conversione, di cui sono presentati quadri di grande affetto ed enfasi del sentimento. 413-427 – DE CIVITATE DEI: 22 libri. In difesa delle accuse dei pagani a seguito del sacco di Roma del 410, per cui i cristiani avrebbero provocato l’indebolimento dell’impero, Agostino teorizza l’esistenza di una città terrena (del diavolo, destinata a morire) e la città celeste, di Dio (eterna). La storia non dev’essere più storia delle nazioni ma dell’umanità, Agostino contribuisce all’edificazione di un sistema ideologico del cristianesimo, anche smitizzando il grande passato dei romani. La storia romana non è affatto piena di exempla morali ma erano segno della tendenza umana al peccato, e l’Impero è inessenziale alla salvezza dell’umanità. Il De civitate è una polemica contro fatti, persone e credenze relative alla storia di Roma, in cui l’autore mostra una notevole conoscenza degli storici classica. Dichiara che gli uomini non sono sempre esistiti e non sono destinati ad esistere per sempre. Dialoghi di Cassiàco: tre opere, dialogo con intellettuali con cui si era ritirato nella villa dopo la crisi spirituale. Soliloquia: due libri, dialogo tra Agostino e la Ragione sulla conoscenza di Dio e dell’anima De musica: sei libri, armonia musicale fondata su norme matematiche e riflette l’armonia del creato De magistro: dialogo con il figlio sui metodi d’insegnamento. Vi sono poi opere teologiche e dottrinarie (De Trinitate 15 libri; De doctrina Christiana 4 libri, sull’interpretazione dei testi biblici, nell’ultimo analizza i rapporti tra la retorica cristiana e classica), polemiche (contro i manichei, i donatisti e i pelagiani) ed esegetiche, di commento e spiegazione ai libri sacri. Il complicato itinerario di Agostino ha arricchito il suo pensiero di una varietà grandissima di tematiche e spunti: maestro di scuola, si è formato sui testi della tradizione classica; manicheo, è venuto in contatto con l’elaborazione di una delle sette più vivaci dell’epoca; neoplatonico, ha approfondito la lezione di Platone; uomo di chiesa, riteneva necessario compiere lo sforzo di scrivere per tutti, non per un’élite ristretta di studiosi, così che lo stile presenta moltissime variazioni (come la colloquialità dei suoi Sermones). La scrittura si articola in frasi composte di brevi elementi, musicalmente disposti a creare rime e assonanze, in uno stile che presuppone la lettura a voce alta ed elegante nella costruzione, che riesce a inglobare numerosissime citazioni bibliche senza produrre stonazioni di tono.