Scarica Riassunto COMPLETO Manuale TFA SOSTEGNO - Simone e più Sintesi del corso in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! lOMoARcPSD|3193911 TFA SOSTEGNO NELLA SCUOLA SECONDARIA DI I E DI II GRADO SEZIONE I – L’AUTONOMIA SCOLASTICA E L’OFFERTA FORMATIVA Capitolo 1: Principi costituzionali e riforme della scuola 1. Il ruolo dell’istruzione e della scuola nella Costituzione La nostra Costituzione dedica alcuni articoli all’istruzione→ la scuola è considerata ponte di passaggio tra la famiglia, primigenio nucleo sociale e formativo della persona, e la società, luogo di naturale aggregazione con gli altri individui. Relativamente al mondo della scuola e dell’istruzione, tre sono gli articoli più importanti: artt. 9,33 e 34 Cost. Art. 9, comma 1: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica.” Tale articolo consacra lo Stato italiano come Stato di cultura, col preciso compito di farsi carico della promozione culturale dei suoi cittadini, ovvero di fornire le condizioni e i presupposti per il libero sviluppo della cultura e dell’istruzione. Art. 33: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato (...).” Art. 34: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze che devono essere attribuite per concorso.” Di quanto si è appena letto, gli artt. 33 e 34 disciplinano l’istruzione scolastica secondo i seguenti principi: - libertà di insegnamento (art. 33, co. 1 Cost); - disponibilità di scuole statali per tutti i tipi, ordini e gradi di istruzione (art. 33, co. 2 Cost.); - libero accesso all’istruzione scolastica, senza alcuna discriminazione (art. 34, co. 1 Cost.); - obbligatorietà e gratuità della scuola dell’obbligo (art. 34, co. 2 Cost.); - riconoscimento del diritto allo studio anche a coloro che sono privi di mezzi, purché capaci e meritevoli, mediante borse di studio, assegni e altre provvidenze da attribuirsi per concorso (art. 34, co. 3 Cost.); - ammissione, per esami, ai vari gradi dell’istruzione scolastica e dell'abilitazione professionale (art. 34, co. 5 Cost.) - libera istituzione di scuole da parte di enti o privati (art. 33, co. 3 Cost.); - parificazione delle scuole private a quelle statali, quanto agli effetti legali e al riconoscimento professionale del titolo di studio (art. 33, co. 4 Cost.). Oltre allo Stato in prima persona, i compiti sopra indicati sono e devono essere espletati anche da altri soggetti: Regioni, città metropolitane, Province, Comuni etc. 2. Libertà di insegnamento Il comma 1 dell’art. 33 Cost. stabilisce che “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.” I termini “arte” e “scienza” devono essere intesi nell’accezione più ampia possibile, in modo da abbracciare qualunque manifestazione dello spirito compatibile con l’insegnamento. Secondo la comune accezione, la libertà di insegnamento dei docenti si specifica ulteriormente nella: lOMoARcPSD|3193911 • libertà di manifestare il proprio pensiero con ogni mezzo possibile di diffusione; • libertà di professare qualunque tesi o teoria si ritenga degna di accettazione; • libertà di svolgere il proprio insegnamento secondo il metodo che appaia opportuno adottare. E’ dunque riconosciuta al docente la libertà di esercitare le proprie funzioni didattiche e di ricerca scientifica senza vincoli di ordine politico, religioso o comunque ideologico. Tuttavia la libertà di insegnamento trova dei contemperamenti allorquando si esplica nelle scuole private di tendenza, ossia in quelle particolari organizzazioni scolastiche o universitarie finalizzate al raggiungimento di specifici scopi o portatrici di fedi religiose o di particolari indirizzi culturali. La libertà di insegnamento si estrinseca relativamente all’aspetto del metodo e dei contenuti, nella cosiddetta autonomia didattica. L’art. 1 del Testo unico istruzione ( D.Lgs. 297/1994) stabilisce appunto che “ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente” e che “l’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni.” L’insegnamento può essere impartito in qualsiasi luogo, anche isolatamente, sia ai giovani che agli adulti. La libertà di insegnamento, come tutte le libertà, ha dei limiti. Restano escluse dalla tutele tutte le espressioni propagandistiche di tesi e teorie che non ricevono alcuna garanzia costituzionale. E’ possibile l’esposizione di argomenti solamente se attuata con metodo scientifico e non inerente a convinzioni personali e arbitrarie. L’insegnamento, inoltre, in qualunque ambito venga esercitato, deve sempre rispettare, quale limite alla sua libera esplicazione, il rispetto del buon costume, dell’ordine pubblico, della pubblica incolumità. Nell’ambito dei comportamenti contrari al buon costume vi si possono far rientrare tutti quegli atti o fatti che in un dato momento storico suscitano scandalo o allarme sociale, violando il comune senso del pudore e la coscienza collettiva. Il rispetto dell’ordine pubblico si traduce nel divieto di introdurre in aula elementi di turbativa sociale e di propaganda sovversiva per le istituzioni dello Stato. Per quanto concerne invece la pubblica incolumità esso attiene a quelle attività pratiche tecniche o di laboratorio e che, nel momento in cui vengono svolte senza le normali cautele, possono essere pregiudizievoli per l’integrità fisica e la salute degli alunni. Il legislatore ha poi provveduto a identificare, quali ulteriori limiti alla libertà di insegnamento, il rispetto delle norme costituzionali e degli ordinamenti della scuola, nonché il rispetto della coscienza civile e morale degli alunni. 3. Libertà della scuola: scuole non statali, paritarie e confessionali Dal punto di vista strutturale, la libertà di insegnamento si connota e si qualifica come libertà della scuola. Il comma 2 dell’art. 33 Cost. afferma che “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi”, cosicché allo Stato competono, in via generale, le predisposizioni dei mezzi di istruzione e la creazione delle norme generali in materia. Tuttavia l’istruzione non è monopolio dello Stato: sempre l’art. 33 Cost. continua “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” L’esistenza di due tipi di scuole (statali e non statali) è considerata infatti, garanzia di buon funzionamento per entrambe. Ciò discende evidentemente dal principio costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero e della libertà di iniziativa economica tesa a realizzare la diffusione dello stesso, anche mediante l’insegnamento, senza dimenticare che la libertà per enti e privati di creare istituti di insegnamento trova tutela anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 14). Lo Stato può quindi anche intervenire a finanziare scuole e istituti in difficoltà, ovvero scuole private in luoghi in cui non esistono scuole statali. La possibilità di parificare ed equiparare gli studi compiuti in istituti di istruzione privati, a quelli compiuti presso scuole statali è però legata a precise valutazioni tecniche: la parità con le scuole statali viene accordata alle scuole che ne facciano richiesta, in base alla legge dello Stato che ne fissa “i diritti e gli obblighi” (artt. 33, co. 4 Cost.). lOMoARcPSD|3193911 ricchezza delle differenze e ne faceva la base per differenziare l’offerta formativa in termini sia di contenuto che di metodologia. 6.3 Riforma Gelmini Sul sostrato normativo rappresentato dalla riforma Moratti e a partire da esso, hanno inciso gli interventi innovativi dell’assetto ordinamentale (si tratta di varie leggi e decreti emanati tra il 2008 e il 2011), organizzativo e didattico del sistema scolastico che comunemente prendono il nome di riforma Gelmini. Il processo di riorganizzazione scolastica ha avuto il suo avvio con un Piano programmatico di razionalizzazione delle risorse umane ed è proseguito con una revisione completa del sistema scolastico, sulla base di criteri diretti a realizzare la più alta efficienza del servizio, attraverso la revisione dei piani di studio, l’adozione di nuovi quadri di orario. Tra le varie modifiche introdotte si segnala: - la reintroduzione del maestro unico nella scuola primaria; - la reintroduzione dei voti da 1 a 10 nel primo ciclo di istruzione; - l’innalzamento dell’obbligo scolastico fino a 16 anni; - l’introduzione delle Indicazioni nazionali degli obiettivi specifici di apprendimento, atte a definire le linee- guida delle conoscenze fondamentali che lo studente dovrebbe possedere al termine del proprio percorso di studi. Le indicazioni individuano alcuni nuclei fondamentali di ciascuna disciplina e pertanto rappresentano un riferimento per l’insegnante lasciando comunque un ampio margine di autonomia; - il riordino di istituti professionali, istituti tecnici e licei. 7. La riforma della “Buona scuola” La legge della Buona scuola (L. 13-7-2015, n. 107) contiene disposizioni che incidono su aspetti cruciali della scuola, come, ad esempio: l’autonomia scolastica, i poteri dei Dirigenti scolastici, il Piano triennale dell’offerta formativa, l’organico dell’autonomia. Il provvedimento reca alcune importanti modifiche al sistema scolastico tra le quali: - la programmazione triennale dell’offerta formativa, con il nuovo PTOF che comporta anche eventuali modifiche di tipo organizzativo della scuola, come l’apertura pomeridiana delle stesse; - il rafforzamento del collegamento tra scuola e mondo del lavoro: si provvedeva la durata minima dei percorsi di alternanza scuola-lavoro negli ultimi tre anni della scuola secondaria di secondo grado (con un numero minimo di ore da dedicare) e la possibilità di stipulare convenzioni con ordini professionali, l’alternanza scuola lavoro può essere svolta anche nei periodi di sospensione delle attività didattiche e con le modalità dell’impresa simulata; - l’adozione del nuovo Piano nazionale scuola digitale, in conformità al quale le scuole dovranno promuovere azioni coerenti; - l’organico dell’autonomia, che è costituito dai posti comuni, per il sostegno e per il potenziamento dell’offerta formativa. Esso viene assegnato alle scuole sulla base del fabbisogno risultante dal Piano triennale dell’offerta formativa; - è stato previsto un piano straordinario di assunzioni di personale docente. Destinatari della disposizione sono stati gli idonei del concorso pubblico bandito nel 2012 e gli iscritti nelle graduatorie a esaurimento; - l’istituzione del Portale unico dei dati aperti alla scuola relativo ai bilanci delle scuole, al Sistema nazionale di valutazione, all’anagrafe dell’edilizia scolastica etc. Nel maggio 2017 sono stati poi pubblicati in Gazzetta Ufficiale gli otto decreti attuativi della Buona scuola: DD.LLggss. 59-66/2017 in materia di: reclutamento dei docenti di scuola secondaria (D.Lgs. 59/2017), lOMoARcPSD|3193911 promozione della cultura umanistica (D.Lgs. 60/2017), inclusione scolastica di studenti con disabilità (D.Lgs. 66/2017). 7.1 L’autonomia scolastica nella Buona scuola Le innovazioni introdotte dalla legge n. 107 del 2015 acquistano maggiore significato sul presupposto della piena attuazione all’autonomia delle istituzioni scolastiche, sul fondamento costituito dall’art. 21 L. 59/1997 per realizzare alcuni obiettivi specifici tra cui: - l’innalzamento delle competenze degli studenti; - la prevenzione e il recupero dell’abbandono e della dispersione scolastica; - la garanzia del diritto allo studio per tutti gli studenti; - l’educazione permanente per tutti i cittadini. Al fine di dare piena attuazione al processo di realizzazione dell’autonomia e di riorganizzazione dell’intero sistema di istruzione, il comma 5, art. 1, L. 107/2015 prevede nelle scuole l’istituzione dell’organico dell’autonomia, in base alle esigenze didattiche, organizzative, progettuali. 7.2 Il Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) Collegato all’attuazione della piena autonomia scolastica, è il PTOF: le istituzioni scolastiche predispongono il Piano triennale dell’offerta formativa (art. 14, L. 107/2015) che prende il posto del vecchio Piano dell’offerta formativa, predisposto per ciascun anno scolastico. Questo progetto deve riflettere il progetto educativo della scuola per il triennio, come un insieme omogeneo e non frammentario. Esso contiene, oltre alla progettazione curricolare, anche la programmazione delle attività formative rivolte al personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) nonché la definizione del fabbisogno di risorse umane e materiali occorrenti in base alla quantificazione disposta per le istituzioni scolastiche. Il Piano può essere rivisto annualmente. Il PTOF oltre che continuare ad esplicitare, come il precedente POF, la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa, organizzativa che le singole scuole adottano, indica: - il fabbisogno di posti comuni e di sostegno dell’organico dell’autonomia, in base al monte orario, ai curricoli, alle flessibilità; - il fabbisogno dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa; - il fabbisogno di posti del personale ATA; - il fabbisogno di infrastrutture e di attrezzature materiali e i piani di miglioramento dell’istituzione scolastica. Il PTOF è elaborato dal Collegio dei docenti, sulla base degli indirizzi e delle scelte di gestione e amministrazione definiti dal dirigente scolastico, che tiene conto delle proposte formulate dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti. Infine, viene approvato dal Consiglio di circolo o d'istituto ed è pubblicato sul sito della scuola. Nelle intenzioni del legislatore, la gestione condivisa della progettazione d’istituto è resa più agevole, anche se richiede una maggiore visione d’insieme e anche capacità di coinvolgere verso un volere comune le spinte provenienti da più parti. Nella scelta degli obiettivi da raggiungere, il dirigente deve tener conto di un complesso di fattori tra cui: - le risultanze del Rapporto di autovalutazione (RAV), che ogni scuola predispone, così da individuare le aree dove intervenire per migliorare il servizio offerto dalla scuola; - le esigenze provenienti dal territorio e dall’utenza, come priorità; - le risorse dell’organico dell’autonomia; parte delle quali, a regime, sono individuate dalle scuole stesse entro limiti determinati; - individuazione della mission coerente sul territorio. 7.3 Il curriculum dello studente lOMoARcPSD|3193911 Al comma 28 della buona scuola si introduce anche il curriculum dello studente. Le scuole secondarie di secondo grado nel Piano triennale dell’offerta formativa introducono insegnamenti opzionali nel secondo biennio e nell’ultimo anno, anche utilizzando la quota di autonomia e gli spazi di flessibilità. Tali insegnamenti costituiscono parte del percorso dello studente e sono inseriti nel curriculum dello studente, che ne individua il profilo associandolo a un’identità digitale e raccoglie tutti i dati utili anche ai fini dell’orientamento e dell’accesso al mondo del lavoro, relativi al percorso degli studi, alle competenze acquisite, alle eventuali scelte degli insegnamenti opzionali, alle esperienze formative anche in alternanza scuola-lavoro e alle attività svolte in ambito extrascolastico. Le modalità di individuazione del profilo dello studente da associare ad un’identità digitale, le modalità di trattamento dei dati personali contenuti nel curriculum dello studente da parte di ciascuna istituzione scolastica, le modalità di trasmissione al Ministero dei dati ai fini di renderli più accessibili nel Portale unico nonché i criteri e le modalità per la mappatura del curriculum dello studente ai fini di una trasparente lettura della progettazione e della valutazione per competenze, sono individuate con decreto del MIUR. Nell’ambito dell’esame di Stato conclusivo dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado, nello svolgimento dei colloqui, la commissione d’esame terrà conto anche del curriculum dello studente. 7.4 L’alternanza scuola-lavoro La materia dell’alternanza scuola-lavoro trova spazio in più punti della legge sulla Buona scuola ed è parte del curriculum dello studente. Tra i soggetti presso i quali, attraverso convenzioni, è possibile effettuare l’alternanza, vengono inseriti gli ordini professionali e i musei e gli altri istituti pubblici e privati operanti nei settori del patrimonio e delle attività culturali, artistiche e musicali, nonché con enti che svolgono attività afferenti al patrimonio ambientale; l’alternanza si può fare anche attraverso l’impresa formativa simulata. E’ prevista anche la definizione della Carta dei diritti e dei doveri delle studentesse e degli studenti in alternanza, con possibilità per lo studente di esprimere una valutazione sull’efficacia e sulla coerenza dei percorsi stessi con il proprio indirizzo di studio. E’ il dirigente scolastico ad avere il delicato compito di individuare le imprese con le quali stipulare le convenzioni per l’alternanza scuola-lavoro dal Registro nazionale (di cui al comma 41) e di redigere al termine di ciascun anno una scheda di valutazione sulle strutture. 7.5 Il nuovo Comitato di valutazione dei docenti Il comma 127 della legge sulla Buona scuola, infatti, prevede che il dirigente scolastico possa attribuire un bonus (comma 128) a titolo di retribuzione accessoria destinato a valorizzare il merito dei docenti di ruolo nelle scuole di ogni ordine e grado, da attingere dal fondo di cui al comma 126, sulla base dei criteri individuati dal Comitato per la valutazione dei docenti, istituito sulla base dell’articolo 11 T.U. istruzione, ma interamente sostituito dal comma 129, art. 1, L. 107/2015. Il Comitato agisce valutando i docenti sulla base dei seguenti criteri: - qualità dell’insegnamento e del miglioramento apportato alla scuola; - risultati ottenuti dai docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e della collaborazione alla ricerca; - responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo. Il Comitato esprimerà anche il proprio parere sul superamento del periodo di formazione e di prova del personale docente ed educativo, per il superamento del quale riveste un ruolo determinante. Dopo la nomina in ruolo, infatti, il docente effettua un anno di formazione e prova ai fini della conferma nel ruolo. In caso di esito sfavorevole, il docente ripete l’anno di formazione e prova, al massimo per una sola volta. lOMoARcPSD|3193911 - gli scambi di informazioni, - esperienze e materiali didattici, - l’integrazione fra le diverse articolazioni del sistema scolastico e, d’intesa con i soggetti istituzionali competenti, fra i diversi sistemi formativi. Il binomio ricerca/sviluppo nasce nel campo dell’organizzazione aziendale (R&S) per garantire all’impresa la capacità di migliorare i propri prodotti e i propri processi, innalzandone la qualità e la capacità di innovazione. In ambito scolastico, gli elementi essenziali di un processo di ricerca, sperimentazione e sviluppo sono da individuare nella libertà d’insegnamento, nell’opportunità di rispondere adeguatamente ai bisogni educativi degli studenti e alle attese delle famiglie e del territorio migliorando l’efficacia del processo di apprendimento e insegnamento. Coerentemente con tale prerogativa dell’autonomia scolastica, il modello di ricerca più diffuso nelle scuole è la ricerca/azione, finalizzata ad analizzare una pratica relativa a un campo di esperienza con lo scopo di introdurre dei cambiamenti migliorativi. 5. Autonomia finanziaria L’autonomia finanziaria consiste nella gestione autonoma dei fondi pervenuti da contributi statali, tasse e contributi degli studenti, più altre forme di autofinanziamento. In tal senso l’art. 21 della legge 59/1997 afferma che la dotazione finanziaria essenziale delle istituzioni scolastiche è costituita dall’assegnazione dello Stato per il funzionamento amministrativo e didattico. Le istituzioni scolastiche godono di autonomia contabile, amministrativa e di bilancio, sulla base di quanto evidenziato nel Regolamento di contabilità (D.I. 129/2018). La gestione finanziaria e amministrativo contabile della scuola deve comunque ispirarsi ai criteri tipici aziendali di efficacia, efficienza ed economicità, e deve concretizzarsi in un atto di programmazione che come un qualsiasi bilancio di previsione deve ispirarsi ai principi contabili di trasparenza, annualità, integrità, universalità, unicità, veridicità. Le risorse finanziarie assegnate dallo Stato non sono mai, come è noto, sufficienti. Il Testo unico istruzione (D.Lgs. 297/1994) prevede che il Consiglio di istituto possa prevedere delle forme di autofinanziamento che nel quotidiano si sono trasfuse nella prassi di richiedere alle famiglie dei contributi fissi forfettari all’atto dell’iscrizione, che si aggiungono alle tasse scolastiche che sono obbligatorie solo nell’ultimo biennio delle scuole secondarie di secondo grado. I contributi richiesti dalle scuole sono obbligatori solo nel caso in cui siano da considerarsi rimborsi spese fatte dalla scuola, come quelle per l’assicurazione per infortuni e risarcimento danni degli allievi, per coprire visite e viaggi di istruzione etc. Gran parte dei contributi forfettari richiesti all’atto dell’iscrizione non possono essere invece considerati obbligatori, anche il MIUR in varie note ministeriali ha ribadito che tali versamenti sono assolutamente volontari, destinati solo ad attività connesse con l’ampliamento dell’offerta formativa e culturale. La scuola gode anche di autonomia negoziale, in quanto il Dirigente scolastico con l’autorizzazione del Consiglio di Istituto, può chiedere finanziamenti, accendere mutui, accettare eredità etc. 6. Le reti di scuole Nell’ambito dell’autonomia scolastica le scuole, sia singolarmente che collegate in reti (reti di scuole) possono stipulare convenzioni con università statali o private, con istituzioni, con enti, con associazioni o agenzie operanti sul territorio che intendono fornire il proprio apporto alla realizzazione di determinati obiettivi in relazione alle istanze del territorio (art. 7 D.P.R. 275/1999 e artt. 46-47 D.I. 129/2018, nuovo Regolamento di contabilità). In base a queste norme le istituzioni scolastiche possono promuovere accordi di rete per il raggiungimento delle proprie finalità istituzionali inerenti al potenziamento delle attività didattiche, di ricerca, sperimentazione e sviluppo etc. L’organo competente per la deliberazione di tali accordi è il Consiglio di istituto, ma nel caso in cui l’accordo preveda attività didattiche o di ricerca, lOMoARcPSD|3193911 sperimentazione e sviluppo, ovvero di formazione e aggiornamento, esso deve essere approvato anche dal Collegio dei docenti delle singole scuole interessate per la parte di propria competenza. Le reti di scuole possono avere per oggetto: - attività didattica o di ricerca e sperimentazione; - la formazione in servizio del personale scolastico; - l’orientamento scolastico e professionale; - l’acquisto di beni e servizi; - lo scambio temporaneo di docenti; - l’organizzazione di laboratori territoriali. 6.1 Le reti territoriali della buona scuola La Buona scuola ha voluto potenziare il sistema delle reti, creando reti territoriali per la gestione dell’organico dei docenti tra istituzioni scolastiche, all’interno del medesimo ambito territoriale (art.1, co. 70, 71, 72 e 74, L. 107/2015). L’obiettivo è di valorizzare le risorse professionali, gestire in comune attività amministrative, realizzare progetti e iniziative da definirsi sulla base di accordi in rete. Al fine di alleggerire il carico di adempimenti burocratici in capo alle istituzioni scolastiche, e questa costituisce la reale novità della Buona scuola, possono essere attribuiti alle reti di scuole compiti istruttori riguardanti atti relativi a pensioni, carriere, trattamento di fine rapporto del personale scolastico. Dal momento dell’entrata a regime degli ambiti territoriali, quindi, le reti di scuole possono utilizzare gli stessi docenti per svolgere i compiti suddetti e accorpare così le segreterie amministrative, con una notevole riduzione del personale amministrativo. Capitolo 3: Gli ordinamenti didattici Il sistema di istruzione nazionale è stato interessato negli ultimi anni da numerose riforme degli ordinamenti didattici che hanno coinvolto tutti gli ordini di scuola. Le norme attualmente in vigore riguardano: - il riordino della scuola dell’infanzia e del primo ciclo (D.P.R. 89/2009; D.Lgs. 65/2017); - il coordinamento delle norme per la valutazione degli alunni (D.Lgs. 62/2017); - il riordino delle scuole del secondo ciclo (D.P.R. 89/2010; D.Lgs. 61/2017). 1. Scuole dell’infanzia L’ordinamento delle scuole dell’infanzia (chiamate prima della riforma Moratti, scuole materne) e del primo ciclo è stato disciplinato dal D.P.R. 89/2009 (che fa parte del pacchetto normativo della riforma Gelmini) con il quale si è provveduto ad introdurre nell’organizzazione e nel funzionamento della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d'istruzione misure di riorganizzazione e qualificazione, al fine di assicurare sia migliori opportunità di apprendimento e di crescita educativa, sia l’assolvimento dell’obbligo di istruzione. La scuola dell’infanzia dura tre anni e la sua frequenza non è obbligatoria; le sezioni devono essere costituite con un numero di bambini non inferiore a 18 e non superiore a 26. Le sezioni di scuola dell’infanzia che accolgono alunni con disabilità sono costituite, di norma, con non più di 20 alunni, quando il bambino è disabile grave. L’orario di funzionamento della scuola dell’infanzia è stato stabilito in 40 ore settimanali, con possibilità di estensione fino a 50 ore. Le famiglie possono chiedere la fruizione di un tempo-scuola ridotto, limitato alla lOMoARcPSD|3193911 sola fascia del mattino, per complessive 25 ore settimanali. Tali orari sono comprensivi della quota riservata all’insegnamento di religione. Il sistema integrato 0-6 anni 1. ECEC e finalità del sistema 0-6 anni L’ Unione Europea dedica, ormai da diversi anni, un crescente interesse verso i servizi di educazione e cura per i bambini da 0 a 6 anni, comunemente denominati nei documenti internazionali ECEC (dall’inglese: Early childhood education and care). Definizione di ECEC: servizio offerto ai bambini dalla nascita all’istruzione primaria soggetto a un quadro di regolamentazione nazionale, ossia al rispetto di una serie di regole, di standard minimi e di procedure per l’accreditamento. Il servizio comprende: - i servizi privato, pubblico e del volontariato; - il servizio presso centri e a domicilio In questo quadro va inserito il D.Lgs. 65/2017 che in attuazione della L. 107/2015, ha istituito, il sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a 6 anni, al fine di sviluppare potenzialità di relazione, autonomia, creatività, apprendimento, in un adeguato contesto affettivo, ludico e cognitivo. L’intento è quello di superare la frammentazione esistente tra servizi educativi (nidi, micro-nidi etc.) e scuole dell’infanzia, per garantire ai bambini un percorso unitario basato sulla collaborazione, o meglio integrazione, tra le diverse articolazioni dell’istituito Sistema 0-6, mediante attività di progettazione, di coordinamento e di formazione comuni. In tale ambito, emerge la funzione strategica della scuola dell’infanzia che opera in maniera contigua con i servizi educativi per l’infanzia, prima, e con il successivo primo ciclo di istruzione. → pari opportunità di educazione e di istruzione, di cura, di relazione e di gioco. Secondo il dettato normativo, infatti, nella loro autonomia e specificità i servizi educativi per l’infanzia e le scuole dell’infanzia costituiscono, ciascuno in base alle proprie caratteristiche funzionali, la sede primaria dei processi di cura, educazione ed istruzione. Al fine di promuoverne e sostenere la qualificazione dell’offerta di tali istituti, vengono individuati come obiettivi strategici: - il consolidamento, l’ampliamento e l’accessibilità dei servizi educativi per l’infanzia, con l’obiettivo di garantire una sempre maggiore copertura a livello nazionale; - la diffusione territoriale dei servizi educativi per l’infanzia per una graduale copertura a livello comunale; - la generalizzazione progressiva della scuola dell’infanzia per i bambini e bambine dai 3 ai 6 anni; - l’inclusione di tutti i bambini e le bambine; - l’introduzione di condizioni che favoriscano la frequenza dei servizi educativi per l’infanzia. È inoltre prevista, come già visto, la preparazione universitaria di tutto il personale dei servizi educativi per l’infanzia (dal 2019/2020 è richiesta una laurea in Scienza dell’educazione, classi L19, con indirizzo specifico per «educatori dei servizi educativi per l’infanzia» o laurea quinquennale in Scienze della formazione primaria integrata da un corso di specializzazione di 60 cfu come definito dal D.M. 378/2018), la formazione in servizio del personale del Sistema integrato e un coordinamento pedagogico territoriale. Tali obiettivi saranno perseguiti mediante l’attuazione del Piano di azione nazionale pluriennale, adottato con deliberazione del Consiglio dei Ministri. 2. L’organizzazione del sistema integrato Il Sistema integrato di educazione e di istruzione accoglie le bambine e i bambini in base all’età ed è costituito: lOMoARcPSD|3193911 - integrazione sul piano pedagogico, della sezione con la struttura presso cui funziona (scuola dell’infanzia, nido) sulla base di specifici progetti; - accesso al servizio di bambini di età compresa tra i 24 e i 36 mesi che compiano, comunque, i 2 anni di età entro il 31 dicembre; - presenza di locali idonei sotto il profilo funzionale e della sicurezza che rispondano alle diverse esigenze dei bambini della fascia da 2 a 3 anni, quali, in particolare, accoglienza, riposo, gioco, alimentazione, cura della persona,etc.; - allestimento degli spazi con arredi, materiali, strutture interne ed esterne, in grado di qualificare l’ambiente educativo come contesto di vita, di relazione, di apprendimento; - orario di funzionamento flessibile tra le 5 e le 8 ore giornaliere; - dimensione contenuta del numero dei bambini per sezione che non superi le 20 unità; - rapporto numerico tra personale educativo/docente e bambini non superiore a 1:10; - impiego di personale professionalmente idoneo per la specifica fascia di età, con particolare attenzione al sostegno di bambini con disabilità inseriti nella sezione; - il personale docente ed ausiliario deve essere in regola con le norme contrattuali vigenti; - predisposizione di specifiche forme di aggiornamento per il personale impegnato nei progetti sperimentali. Le sezioni primavera sono aggregate, di norma, alle scuole per l’infanzia statali o paritarie o inserite nei Poli per l’infanzia. 5. I poli per l’infanzia Al fine di potenziare la ricettività dei servizi e sostenere la continuità del percorso educativo e scolastico, il D.Lgs. 65/2017 prevede, come già visto, la costituzione di Poli per l’infanzia ovvero il conglobamento in un unico plesso o in edifici vicini, di più strutture di educazione e di istruzione per bambine e bambini fino a 6 anni di età. L’intento è quello di riunire in un unico contesto la formazione prescolare, in modo che i bambini e le bambine possano iniziare e completare il ciclo di educazione e di istruzione in uno stesso luogo, dalla nascita fino all’ingresso alla scuola primaria. I poli per l’infanzia vengono, quindi, definiti come laboratori permanenti di ricerca, innovazione, partecipazione e apertura al territorio, in cui è prevista la condivisione di servizi generali, spazi collettivi e risorse professionali, in un’ottica di massima flessibilità e diversificazione per il miglior utilizzo possibile delle risorse stesse. La costituzione dei Poli per l’infanzia è affidata alle Regioni, che ne definiscono anche le modalità di gestione, d’intesa. I poli per l’infanzia non hanno autonomia scolastica e possono essere costituiti anche presso direzioni didattiche o istituti comprensivi del sistema nazionale di istruzione e formazione. 2. Scuola primaria Il primo ciclo di istruzione si articola in due percorsi scolastici consecutivi e obbligatori: 1. la scuola primaria, della durata di cinque anni; 2. la scuola secondaria di primo grado, della durata di tre anni. La scuola primaria (una volta chiamata scuola elementare), anch’essa regolata dal D.P.R. 89/2009, dura, come detto, cinque anni ed è articolata in: - un primo anno, pensato come continuazione con la scuola dell’infanzia; - due periodi didattici biennali al termine dei quali l’alunno passa alla secondaria di primo grado. lOMoARcPSD|3193911 La frequenza della scuola primaria è obbligatoria in ottemperanza all’obbligo di istruzione disposto come abbiamo visto, dal D.M. 139/2007. Le classi di scuola primaria sono di norma costituite con un numero di alunni non inferiore a 15 e non superiore a 26, elevabile fino a 27 qualora residuino i resti. Le pluriclasse sono costituite da non meno di 8 e non più di 18 alunni. Nelle scuole e nelle sezioni staccate funzionanti nei Comuni montani, nelle piccole isole e nelle aree geografiche abitate da minoranze linguistiche possono essere costituite classi, per ciascun anno di corso, con un numero di alunni inferiore al numero minimo previsto e comunque non inferiore a 10 alunni. Le sezioni di scuola primaria, che accolgono alunni con disabilità, sono costituite con non più di 20 alunni, limite confermato dal D.Lgs. 66/2017, attuativo della Buona scuola, in materia di inclusione scolastica. Sono iscritti alla scuola primaria i bambini e le bambine che compiono sei anni di età entro il 31 dicembre dell’anno scolastico di riferimento. possono altresì essere iscritti alla scuola primaria, su richiesta delle famiglie, le bambine e i bambini che compiono sei anni di età entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento (cd. anticipo di iscrizione). Non è consentita, anche in presenza di disponibilità di posti (art. 2 D.P.R. 89/2009) l’iscrizione di bambini che compiono il sesto anno di età dopo il 30 aprile (C.M. 10/2016). Le scuole che accolgono bambini anticipatari rivolgono agli stessi particolare attenzione e cura, soprattutto nella fase dell’accoglienza, ai fini di un sereno ed efficace inserimento. L’orario scolastico settimanale della scuola primaria è articolato su quattro modelli di durata pari a 24, 27 e fino a 30 ore, nonché 40 ore (tempo pieno): in quest’ultimo caso, qualora il numero delle domande di tempo pieno ecceda la ricettività di posti/alunno delle classi da formare, spetta al Consiglio di istituto indicare i criteri di ammissione. La modalità di realizzazione del tempo pieno prevedono 2 insegnanti titolari sulla stessa classe e uno specifico progetto formativo integrato (senza distinzione tra attività didattiche del mattino e pomeridiane). Il tempo scuola ordinario nella primaria è svolto invece secondo il modello dell’insegnante unico di riferimento, attivabile a richiesta delle famiglie, alternativo al precedente assetto del modulo e delle compresenze, attualmente molto diffuso. Di fatto l’insegnante anche quando è scelto il modello dell’insegnante unico, unico non lo è mai. Di fatto l’insegnante non è unico, bensì prevalente, in quanto è affiancato sempre da altri colleghi specializzati (di sostegno, della lingua, di religione). Discipline di studio obbligatorie sono: italiano, lingua inglese, storia, geografia, cittadinanza e costituzione, matematica, scienze, musica, arte e immagine, educazione fisica, tecnologia. Inoltre per gli alunni che se ne avvalgono è previsto l’insegnamento di religione cattolica per due ore settimanali. Nel settembre 2019 è entrata in vigore la L. 20-8-2019, n. 92 di introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica, la cui applicazione è stata rinviata all’a.s. 2020/2021. La materia che rappresenta un continuum rispetto a Cittadinanza e costituzione, si esplica nel primo e secondo ciclo di istruzione, per non meno di 33 ore nel monte ore obbligatorio, è sottoposta a valutazione e verifiche e prevede la figura di un docente coordinatore. La L. 92/2019 ha anche esteso alla scuola primaria il Patto educativo di corresponsabilità, quale strumento di collaborazione e dialogo scuola-famiglia. La scuola primaria promuove lo sviluppo della personalità, della lingua straniera (inglese), valorizza le capacità relazionali e di orientamento nello spazio (...). Il passaggio alla scuola secondaria di primo grado non prevede più il superamento di un esame. 3. Scuola secondaria di primo grado La scuola secondaria di primo grado (prima chiamata scuola media) non è più, anche in riferimento all’obbligo scolastico, scuola terminale. Essa ha il compito di assicurare ad ogni allievo il consolidamento delle padronanze strumentali (lettura, scrittura, matematica, lingue) e della capacità di apprendere, nonché un adeguato livello di conoscenze e competenze. La frequenza della scuola secondaria di primo grado è obbligatoria. Le classi prime delle medie sono costituite, di norma, con un numero minimo di 18 alunni e un numero massimo di 27 (che possono diventare 28 se ci sono dei resti). Qualora si formi una sola classe prima, gli alunni possono essere 30. Le classi di scuola secondaria di primo grado che accolgono alunni con lOMoARcPSD|3193911 disabilità sono costituite, di norma, con non più di 20 alunni, qualora si tratti di alunni disabili gravi. L’orario annuale obbligatorio delle lezioni (D.P.R 89/2009) nella scuola secondaria di primo grado è di complessive 990 ore, corrispondente a 29 ore settimanali, più 33 ore annuali da destinare ad attività di approfondimento relativamente agli insegnamenti di materie letterarie, per un totale di 30 ore settimanali. Nel tempo prolungato (spesso poco utilizzato per la mancanza di strutture e servizi) il monte-ore è determinato mediamente in 36 ore settimanali, elevabili fino a 40, comprensive delle ore destinate sia agli insegnanti, alle attività, alla mensa. Le scuole secondarie di primo grado possono attivare, nelle sezioni ordinarie, percorsi ad indirizzo musicale. Si noti come in tutte le classi della scuola secondaria di primo grado sia impartito l’insegnamento della lingua inglese per tre ore settimanali e di una seconda lingua per due ore settimanali. A richiesta delle famiglie può essere introdotto il potenziamento della lingua inglese per cinque ore settimanali complessive. Con la Buona scuola il potenziamento dello studio della lingua inglese è stato confermato, ricorrendo anche alla metodologia CLIL (art. 1, co. 7, L. 107/2015). Inoltre, con il D.Lgs. 60/2017 di attuazione della Buona scuola in materia di promozione e diffusione della cultura umanistica, le discipline artistiche e creative entrano a far parte delle offerte formative delle scuole di ogni ordine e grado. 4. Il secondo ciclo di istruzione La scuola secondaria di secondo grado costituisce, soprattutto nell’impianto della legge 53/2003 (Riforma Moratti) il secondo ciclo di istruzione e ha l’intento di preparare lo studente agli studi universitari nonché a una adeguata preparazione al mondo del lavoro. In seguito la legge n. 40 del 2 aprile 2007 ha modificato sostanzialmente l’impianto della normativa lasciando però come conquista acquisita la pari dignità tra i percorsi del sistema dell’istruzione secondaria superiore (licei, istituti tecnici e professionali) e quelli del sistema dell’istruzione e formazione professionale. Dal primo settembre 2010 infine è entrata in vigore la riforma complessiva e simultanea del secondo ciclo di istruzione e formazione ad opera dei regolamenti emanati nel marzo 2010 (riforma Gelmini) di cui tratteremo in seguito. Il volto della scuola secondaria superiore si presenta dunque come segue: - 6 licei; lOMoARcPSD|3193911 ore medie settimanali, e di 1023 ore nel secondo biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 31 ore medie settimanali. 5.3 Liceo linguistico Il liceo linguistico trova disciplina nell’art. 6 D.P.R: 89/2010. Il percorso del liceo linguistico è indirizzato allo studio di più sistemi linguistici e culturali. Dal primo anno del secondo biennio è impartito l’insegnamento in lingua straniera di una disciplina non linguistica. Dal secondo anno del secondo biennio è previsto l’insegnamento in una diversa lingua straniera di una disciplina non linguistica. L’orario annuale delle attività e degli insegnamenti è di 891 ore nel primo biennio corrispondenti a 27 ore medie settimanali, e di 990 ore nel secondo biennio e nel quinto anno corrispondenti a 30 ore medie settimanali. 5.4 Liceo musicale e coreutico Come precisato dall’art. 7 D.P.R. 89/2010, il percorso del liceo musicale e coreutico è articolato nelle rispettive sezioni, è indirizzato all’apprendimento tecnico-pratico della musica e della danza e allo studio del loro ruolo nella storia e nella cultura; guida lo studente ad approfondire e sviluppare diverse competenze tra cui la padronanza dei linguaggi musicali e coreutici sotto gli aspetti della composizione, interpretazione, esecuzione e rappresentazione. L’orario annuale delle attività e insegnamenti obbligatori è 594 ore nel primo biennio, nel secondo biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 18 ore medie settimanali. Al predetto orario si aggiungono 462 ore nel primo biennio, nel secondo biennio e nel quinto anno, corrispondenti a 14 ore medie settimanali. 5.5 Liceo scientifico Il percorso del liceo scientifico (art. 8 D.P.R. 89/2010) è indirizzato allo studio del nesso tra cultura scientifica e tradizione umanistica; favorisce l’acquisizione delle conoscenze e dei metodi propri della matematica, della fisica, e delle scienze naturali. Nel rispetto della programmazione regionale dell’offerta formativa, può essere attivata l’opzione ‘scienze applicate’ che fornisce allo studente competenze particolarmente avanzate negli studi afferenti biologia, scienze della terra, informatica e le loro applicazioni. L’orario annuale è di 891 ore nel primo biennio, cioè 27 ore settimanali, e di 990 ore nel secondo biennio e nel quinto anno, cioè 30 ore settimanali. Il D.P.R. 52/2013 (regolamento del liceo sportivo) ha previsto poi nei licei scientifici la possibilità di costruire sezioni ‘ad indirizzo sportivo’ per l’approfondimento delle scienze motorie e sportive. 5.6 Liceo delle scienze umane Ai sensi dell’art. 9 D.P.R. 89/2010 tale percorso è finalizzato allo studio delle teorie esplicative dei fenomeni collegati alla costruzione dell’identità personale e delle relazioni umane e sociali. Nell’ambito della programmazione regionale dell’offerta formativa può essere attivata l’opzione ‘economico-sociale’ che fornisce allo studente competenze avanzate circa le scienze giuridiche, economiche e sociali. L’orario annuale è di 891 ore nel primo biennio, cioè 27 settimanali, e di 990 nel secondo biennio e nel quinto anno, cioè 30 ore medie settimanali. 6. Gli istituti professionali (D.Lgs. 61/2017) Gli istituti professionali sono stati oggetto nel giro di pochi anni di due radicali riforme: il D.P.R n. 87/2010 e il D.Lgs. n. 61/2017. Il D.P.R. n. 87 del 15 marzo 2010 (destinato a essere progressivamente abrogato ex D.Lgs. n. 61/2017) ha definito gli istituti professionali (I.P.) quali percorsi quinquennali di articolazione del secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione. Gli istituti professionali, in base a questo ordinamento, operano in due settori che comprendono in totale 6 indirizzi in luogo degli originari 28. Nel lOMoARcPSD|3193911 decreto legislativo n. 61 del 13 aprile 2017 in attuazione della Buona scuola (art. 1, commi 180 e 181, lett. d) si legge l’intenzione di rinnovare l’identità degli istituti professionali attraverso un nuovo PECUP, profilo educativo, culturale e professionale degli stessi I.P.; di innovarne l’assetto organizzativo e didattico attraverso la revisione dei piani di studio, improntati anche alla personalizzazione del percorso di apprendimento attraverso il Progetto formativo individuale (PFI). L’applicazione del D.Lgs. 61 è iniziata con le prime classi dell’anno scolastico 2018/2019. Il D.P.R. n. 87/2010 rimarrà in vigore per le classi già istituite prima dell’anno 2018 e dunque fino al completamento del quinquennio scolastico 2022-2023. Dunque, al termine del primo ciclo di istruzione gli studenti che intendono proseguire con un’istruzione di taglio professionale possono scegliere tra: - i percorsi di istruzione professionale (I.P.) di durata quinquennale, con relativo diploma, realizzati da scuole statali e paritarie riconosciute, - i percorsi di istruzione e formazione professionale (leFP) per il conseguimento di qualifiche e di diplomi professionali quadriennali, realizzati dalle istituzioni formative accreditate dalle Regioni e dalle Province autonome. Inoltre il raccordo del sistema di istruzione professionale con il sistema dell’istruzione e formazione professionale diventa strutturale, attraverso la costituzione di una “Rete nazionale delle scuole professionali”, da disciplinare con apposito decreto interministeriale. Dal punto di vista organizzativo, il decreto legislativo n. 61/2017 riordina l’assetto dell’istruzione professionale nel seguente modo: - un biennio di complessive 2112 ore (1056 ore l’anno) articolate in 1188 ore complessive di attività e insegnamenti di istruzione generale e in 924 ore complessive di attività e insegnamenti caratterizzanti l’indirizzo, comprensive del tempo da destinare al potenziamento dei laboratori. Nell’ambito delle 2112 ore del biennio, una quota non superiore a 264 ore è destinata alla personalizzazione degli apprendimenti e alla realizzazione del Progetto formativo individuale (PFI), ad opera del Consiglio di classe, tale quota può comprendere anche le attività di alternanza scuola-lavoro, che negli istituti professionali sono attivabili già dal secondo anno; - un triennio articolato in un terzo, quarto e quinto anno e con una forte caratterizzazione laboratoriale e lavorativa in generale. Per ciascun anno del triennio, l’orario scolastico è di 1056 ore, articolate in 462 ore di attività e insegnamenti di istruzione generale e in 594 ore di attività e insegnamenti di indirizzo. Il D.P.R. 31 luglio 2017, n. 133 (di modifica dell’art. 5 n.87/2010) fissa poi i criteri di definizione dell’orario complessivo annuale degli istituti professionali. Il D.Lgs. 61/2017 prevede 11 indirizzi in luogo ai 6 attuali, a partire dalle prime classi del 2018/2019. Dal punto di vista didattico, le attività e gli insegnamenti nel biennio sono aggregati in assi culturali che raccolgono insegnamenti fra loro omogenei e irrinunciabili in quanto consentono di acquisire le competenze chiave di cittadinanza rientranti nell’obbligo scolastico. Le scuole, poi, sulla base del Progetto formativo individuale, articolano il primo biennio in periodi didattici che si concretizzano attraverso l’utilizzo di metodologie didattiche induttive da adottare nell’ambito delle esperienze laboratoriali, anche con la definizione di analisi e soluzioni di casi concreti. Molta importanza è data anche all’alternanza scuola-lavoro e all’organizzazione didattica per unità di apprendimento, agevolando così il più possibile il passaggio ad altri percorsi di istruzione e formazione. La quota di autonomia da utilizzare nell’ambito dell’organico dell’autonomia, sul monte ore generale resta invariata, è cioè pari al 20% sia nel biennio che nel triennio; tale quota di autonomia è destinata a potenziare gli insegnamenti obbligatori con particolare riferimento alle attività laboratoriali, nonché gli spazi di flessibilità, intesa quale possibilità di articolare gli indirizzi del triennio in profili formativi, con riguardo al 40% dell’orario complessivo previsto per il terzo, quarto e quinto anno. Il decreto attuativo della Buona scuola disciplina, come anticipato, i passaggi tra i lOMoARcPSD|3193911 percorsi dell’istruzione professionale e i percorsi dell’istruzione e formazione professionale (leFP) stabilendone le modalità e i criteri di realizzazione. La norma prevede che i passaggi degli studenti tra i percorsi di istruzione professionale e i percorsi di istruzione e formazione professionale siano attivati su domanda dello studente e non avvengano in maniera automatica ma tengano conto dei risultati di apprendimento. In ottemperanza di quanto previsto dal Regolamento attuativo (D.M. 92/2018), il MIUR ha emanato le Linee-guida per favorire e sostenere l’assetto didattico e organizzativo dei percorsi di istruzione professionale 2019, a supporto degli istituti professionali nella definizione della loro offerta formativa nel quadro normativo del D.Lgs. 61/2017. Per ciò che concerne i quadri orari e gli spazi di adattamento, ad esempio, è possibile per le scuole declinare gli indirizzi di studio sulla base dei settori produttivi che il territorio esprime e sulla base delle disponibilità di organico presenti nella scuola. Nel triennio esiste la possibilità di modificare “il monte ore assegnato a ciascun insegnamento (...)”, con una “autonomia” che inevitabilmente differenzia l’offerta formativa degli studenti professionali tra loro. Tutto ciò sempre nell’ambito della struttura ordinamentale prevista. I percorsi degli istituti professionali si concludono con un esame di Stato, al cui superamento viene rilasciato il diploma di istruzione professionale. In particolare dopo il completamento degli studi secondari, i diplomati degli istituti professionali hanno ulteriori opportunità, diverse rispetto all’inserimento nel mondo del lavoro e all’università, vale a dire: - scrizione a percorsi brevi di 800/1000 ore idonei a conseguire una specializzazione tecnica superiore (IFTS) per rispondere alle esigenze formative sul territorio; - iscrizioni a percorsi biennali per conseguire un diploma tecnico superiore nelle aree tecnologiche più avanzate presso gli Istituti Tecnici Superiori (ITS). 7. Gli istituti tecnici Analogamente a quanto avvenuto per gli istituti professionali, il decreto di riordino degli istituti tecnici, D.P.R. 15 marzo 2010, n.88 configura questi ultimi quali percorsi quinquennali del secondo ciclo di istruzione. L’identità degli istituti tecnici, in linea con le indicazioni dell’Unione Europea, si caratterizza per una solida base culturale a carattere scientifico e tecnologico, costruita attraverso lo studio, l’approfondimento e l’applicazione di linguaggi e metodologie di carattere specifico e generale. Essa è espressa da un limitato numero di ampi indirizzi correlati a settori fondamentali dello sviluppo economico e produttivo del Paese, con l’obiettivo di far acquisire agli studenti, in relazione all’esercizio di professioni tecniche, saperi e competenze necessari per un rapido inserimento nel mondo del lavoro, per accesso all’università, e all’istruzione e formazione tecnica superiore. Gli istituti tecnici operano in due settori che comprendono, in totale, 11 indirizzi. 1. Settore economico, i cui indirizzi sono: - Amministrazione, finanza e marketing (Relazioni internazionali per il marketing; sistemi informativi aziendali) - Turismo 2. Settore tecnologico, i cui indirizzi sono: - Meccanica, meccatronica ed energia - Trasporti e logistica - Elettronica ed elettrotecnica - Informatica e telecomunicazioni - Grafica e comunicazione - Chimica, materiali e biotecnologie (Chimica e materiali, Biotecnologie per il territorio, Biotecnologie sanitarie) lOMoARcPSD|3193911 richiesta di iscrizione deve ricevere il consenso di tutti e due i genitori, anche se separati o divorziati. Le iscrizioni con alunni con disabilità effettuate nella modalità on line devono essere perfezionate con la presentazione alla scuola prescelta, da parte dei genitori, della certificazione rilasciata dall’ASL di competenza. Anche per gli alunni con cittadinanza non italiana, sprovvisti di codice fiscale, è consentito effettuare la domanda di iscrizione on line. In passato la scelta delle famiglia della scuola in cui iscrivere i figli dipendeva dalla residenza: per iscriversi in un’altra scuola era necessario avere un nulla osta. Oggi vale il principio della libertà di scelta della scuola da parte delle famiglie anche se rimane la divisione di scuole primarie e secondarie in bacini di utenza, soprattutto per permettere a Comuni e Province di organizzare i servizi di trasporto scolastico e in generale di programmare i vari servizi di supporto alle scuole. Le iscrizioni a scuole diverse da quelle di competenza, in genere, sono accettate con riserva, compatibilmente con le risorse e i posti disponibili. a. L’obbligo delle vaccinazioni In base all’art. 3 del D.L. 73/2017, i Dirigenti scolastici di tutte le scuole e i responsabili dei servizi educativi per l’infanzia, dei centri di formazione professionale regionale e delle scuole private non paritarie, sono tenuti, all’atto dell’iscrizione del minore di età compresa tra zero e sedici anni, nonché del minore straniero non accompagnato, a richiedere ai genitori o al tutore la presentazione della documentazione comprovante l’effettuazione delle vaccinazioni obbligatorie, ovvero l’esonero, l’omissione, o il differimento delle stesse (quando ammessi dalla legge. Per i nidi e le scuole dell’infanzia ivi incluse quelle private non paritarie, la presentazione della suddetta documentazione costituisce requisito di accesso. Il D.L. 73/2017 conv. con L. 119/2017 ha, infatti, reso obbligatorie (o gratuite) alcune vaccinazioni per i minori da 0 a 16 anni compresi i minori stranieri non accompagnati. I vaccini obbligatori sono: anti-poliomelitica, antidifterica, anti-tetanica, anti-epatiteB, anti-pertosse, anti-Haemophilus influenzae di tipo b, anti- morbillo, anti-rosolia, anti-parotite, anti-varicella. Sono esonerati dall’obbligo vaccinale i bambini che hanno contratto naturalmente la malattia: l’avvenuta immunizzazione a seguito di malattia naturale deve essere comprovata dal medico curante, ovvero degli esiti dell’analisi sierologica. Sono esonerati anche i minori che presentano patologie tali per le quali è sconsigliata la vaccinazione. Nel caso in cui il tutore o i genitori persistano a rifiutare di effettuare le vaccinazioni obbligatorie, è comminata la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 500. → Il D.M. 17 Settembre 2018 ha istituito l’Anagrafe delle vaccinazioni prevista con l’art.4bis del D.L. 73/2017. Il D.L. 73 interviene anche sulla formazione delle classi il Dirigente scolastico deve, infatti, inserire gli alunni che non possono vaccinarsi per un loro particolare stato clinico (nei casi dunque di omissione o di differimento dell’obbligo vaccinale) ‘di norma’ (così testualmente l’art.4) in classi di soli minori vaccinati o immunizzati. Il DS, entro il 31 ottobre di ogni anno, deve anche comunicare all’ASL le classi in cui sono presenti più di due alunni non vaccinati. Anche il personale della scuola (DS, personale docente e personale ATA) deve presentare all’istituto scolastico un’autocertificazione comprovante la propria situazione vaccinale. 3. L’insegnamento della religione cattolica (IRC) I genitori degli alunni possono scegliere al momento dell’iscrizione di avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica (IRC) che è disciplinato da un accordo tra lo Stato e la Santa Sede dal 1985 (L. 121/1985). L’IRC è impartito da insegnanti in possesso di una qualificazione professionale di idoneità dell’autorità ecclesiastica. La collocazione dell’IRC nell’orario delle lezioni è effettuata dal DS sulla base delle proposte del Collegio dei docenti, secondo il normale criterio di equilibrata distribuzione delle diverse discipline nella giornata e nella settimana, nell’ambito della scuola e per ciascuna classe. Per chi non si lOMoARcPSD|3193911 avvale dell’insegnamento della religione cattolica devono essere previste delle attività alternative, disciplinate dalla C.M. 28-10-1987 n. 316 e dalla C.M. 10-1-2014, n. 28, che possono essere distinte in: - attività didattiche formative; - attività di studio o di ricerca individuali con assistenza del personale docente (per i soli studenti delle istituzioni scolastiche di secondo grado); - non frequenza della scuola nelle ore di insegnamento della religione cattolica. Quanto ai docenti di religione cattolica, essi fanno parte, come tutti i docenti, del Consiglio di classe e partecipano a pieno titolo alla valutazione finale degli alunni che si sono avvalsi dell’insegnamento di religione così come si esprimono anche i docenti delle attività alternative nel caso degli alunni che non si sono avvalsi dell’insegnamento della religione cattolica. Capitolo 4: Continuità educativa e orientamento 1. Il principio della continuità La continuità didattica mira alla conoscenza approfondita dell’alunno, così che il team docente possa programmare le attività educative e didattiche, scegliere i metodi e i materiali e stabilire i tempi più adeguati. In questo modo il percorso formativo viene visto in una logica di sviluppo progressivo teso a valorizzare le competenze acquisite e le specificità dell’alunno. La continuità ha infatti a oggetto il bambino che apprende, considerato nella sua unicità e complessità. La continuità verticale è finalizzata al raccordo tra i diversi ordini di scuola e tra classi dello stesso istituto. L’obiettivo è quello di costruire un percorso unitario che eviti frammentazioni, soprattutto alla luce di una evidente discontinuità tra i segmenti educativi del primo ciclo di istruzione sorti in tempi molto diversi (scuola elementare 1861, scuola media 1962, e scuola materna statale 1968). La continuità orizzontale fa leva invece sulla comunicazione e sullo scambio tra le diverse agenzie educative coinvolte nel processo formativo: scuola, istituzioni, famiglia, territorio. Sul piano educativo i fini della continuità possono essere così caratterizzati: - prevenire la dispersione scolastica che in Italia raggiunge sempre percentuali allarmanti; - garantire agli alunni un percorso formativo coerente, organico e completo; - consolidare un’attitudine degli insegnanti alla continuità, ossia a collaborare anche con docenti esterni alla scuola, a scambiarsi metodologie e strategie educative, condividere esperienze didattiche. Continuità significa, dunque, creare le condizioni educative ed operative perché lo sviluppo della personalità dell’alunno possa avvenire in modo armonico senza richieste eccessive o inadeguate (adultocentrismo) o fissità (puerocentrismo). Perché non ci siano forzature è importante che le diverse istituzioni ‘verticali’ dialoghino tra loro come è fondamentale la complementarietà con la famiglia, la continuità orizzontale con l’ambiente di vita dei piccoli e le sue offerte formative (biblioteca, ludoteca etc.) La continuità verticale si sviluppa soprattutto tra i tre ordini di scuole: infanzia, primaria, e secondaria di primo grado. Nel passaggio agli istituti superiori la continuità verticale si attua con attività di tipo informativo nei possibili successivi percorsi scolastici: essa si traduce dunque in attività di orientamento. 2. La continuità orizzontale Come detto la continuità orizzontale si realizza attraverso la costruzione di rapporti tra scuola, famiglia, enti e istituzioni territoriali (compresi musei, biblioteche, beni culturali etc) cioè tra i diversi ambienti di vita e lOMoARcPSD|3193911 formazione dell’alunno.11 La continuità orizzontale costituisce un principio cardine del progetto educativo che si fonda sull’assunto che la relazione sia un momento di crescita profondo. Per un armonico sviluppo della personalità del bambino occorre infatti che si stabiliscano buoni rapporti tra gli adulti che si occupano di lui, dal momento che l’ambiente familiare e quello scolastico sono gli ambienti in cui si gettano le basi della sua formazione e hanno un ruolo fondamentale per la sua crescita. Per conoscere adeguatamente l’alunno l’educatore deve avere un’idea del tipo di contesto di provenienza dal momento che i suo benessere riguarda l’ambiente in cui è inserito. La continuità orizzontale riguarda essenzialmente tre fattori: - gli stili relazionali: l’educatore di riferimento analizzando la relazione esistente tra il bambino e la figura parentale troverà più facilmente la via per entrare a farne parte; - lo spazio e i materiali: è fondamentale che il bambino si senta a suo agio nell’ambiente scolastico, a tale scopo può essere utile portare con sé un oggetto al quale è affezionato; - la gestione della routine: è opportuno che l’insegnante conosca le abitudini di ciascun bambino ad esempio le modalità con cui mangia o si addormenta, il fine non è solo emulare tali metodologie ma comprendere il comportamento del bambino di fronte a determinate situazioni. Tra la scuola e la famiglia deve comunque realizzarsi un vero e proprio patto educativo in cui vengono dichiarati: obiettivi comuni di crescita e benessere dei più piccoli. 3. La continuità verticale A partire dai documenti programmatici degli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso - gli Ordinamenti per la scuola dell’infanzia (1991), i Programmi (1985) e gli Ordinamenti per la scuola elementare (1990), i Programmi del 1979 della scuola media - è stata accolta la richiesta di creare un raccordo pedagogico, curricolare, organizzativo tra i tre gradi di scuola nell’intento comune della formazione dell’uomo e del cittadino. in tale assetto la ‘prima scuola’ si configura come scuola della simbolizzazione; l’elementare/primaria procede verso i sistemi simbolico/culturale, giungendo dal predisciplinare alle discipline, la scuola media/secondaria di I grado è scuola disciplinare per eccellenza. In questo modo il sistema di scuole si caratterizza come un insieme di esperienze che favorisce lo sviluppo armonico dell’individuo attraverso l’alfabetizzazione culturale. Continuità significa creare le condizioni operative ed educative per un positivo sviluppo della persona nella conoscenza e nella formazione. Continuità non vuol dire infatti prosecuzione meccanica quanto piuttosto una successione non traumatica di esperienze diverse. Il processo educativo si realizza nella continuità ma anche nella diversità. la scuola che precede non prepara alla successione, al contrario è quest’ultima che si deve raccordare e proseguire nella formazione per raggiungere obiettivi superiori, congruenti con l’età dell’allievo. Quando inizia a frequentare la scuola dell’infanzia il bambino ha raggiunto maturazioni importanti: coordina i movimenti, cammina con sicurezza, corre, salta. Prende coscienza della propria individualità e tende ad affermarla. Se proviene dal nido potranno essere sviluppato dei progetti di continuità per permettere al bambino di familiarizzare con l’ambiente della scuola dell’infanzia. La riforma 0-6 anni (D.Lgs. 65/2017) è tesa proprio a favorire sempre più la coerenza educativa tra nido e scuola dell’infanzia valorizzando anche il ruolo delle sezioni primavera che da sperimentali diventano realtà ordinarie. 4. Gli istituti comprensivi A decorrere dall’anno scolastico 2011-2012, la L. 111/2011 (art. 19, co. 4) ha imposto che le scuole dell’infanzia, la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado devono essere obbligatoriamente lOMoARcPSD|3193911 - una forte individualizzazione delle attività di lavoro che seguono la valutazione iniziale e che vanno progettate in modo da adattarle a ogni singolo allievo; - la realizzazione di una effettiva continuità educativa fra la scuola nella quale i ragazzi sono arrivati e quella da cui provengono. Il tempo impiegato nell’attività di accoglienza non è tempo sprecato, ma risulta essere un vero e proprio «investimento formativo». L’orientamento intermedio è presente nelle seconde classi negli istituti nei quali dal terzo anno si ha una diversificazione degli indirizzi; anche in questo caso le attività servono a presentare i curriculi, illustrare le specificità e gli sbocchi di ciascun indirizzo, attraverso esperienze di laboratorio ed eventuali test di interessi oltre a una specifica consulenza per gli indecisi. L’ultima fase è rivolta all’orientamento in uscita da svilupparsi nell’arco degli ultimi tre anni e prevede: - la presentazione degli sbocchi post-diploma; - la somministrazione di test per verificare gli interessi e portare a un’autovalutazione delle proprie propensioni; - la presentazione generale del sistema universitario; - corsi preuniversitari; - l’orientamento al lavoro; - varie esperienze di stage presso enti e aziende congruenti con il percorso di studi; - interventi personalizzati ove se ne presenti la necessità; - preiscrizioni assistite. 1. Le linee guida nazionali per l’orientamento permanente (nota MIUR 4232/2014) Per orientamento permanente si intende l’insieme degli interventi strategici attuati sulla formazione dei cittadini atti a favorire non solo la transizione fra scuola, formazione e lavoro ma ad assumere un «valore permanente» nella vita di ogni individuo. L’orientamento permanente, pertanto, ha lo scopo non solo di ridurre la dispersione scolastica e l’insuccesso formativo, ma anche di favorire l’occupazione attiva, la crescita economica e l’inclusione sociale. Con nota MIUR n. 4232 del 19-2-2014 sono state dettate le Linee guida nazionali per l’orientamento permanente che costituiscono un documento di impegno, a vari livelli, affinché l’intervento orientativo assuma un ruolo strategico per tutta la società. L’orientamento permanente comincia dalla scuola, che, anche nel documento del 2014, riafferma il suo ruolo di soggetto promotore del lifelong learning (insegnamento permanente), del lifelong guidance (guida per la vita) e del career guidance (guida per la carriera). In ambito scolastico, come abbiamo visto, occorre distinguere due attività di orientamento: - orientamento formativo o didattica orientativa/orientante, per lo sviluppo delle competenze orientative di base, comuni a tutti; - attività di accompagnamento e di consulenza orientativa, di sostegno alla progettualità individuale. Per realizzare concretamente i percorsi di orientamento formativo la scuola è chiamata a individuare al suo interno, fin dalla scuola primaria, specifiche figure di sistema capaci di: - organizzare/coordinare le attività di orientamento interno e relazionarsi con il gruppo di docenti dedicati; lOMoARcPSD|3193911 - organizzare/coordinare attività di orientamento mirate sia per studenti disagiati sia per studenti plusdotati; - interfacciarsi con continuità con tutti gli altri attori della rete di orientamento del territorio. Alle scuole, in particolare, si assegna il compito di realizzare azioni volte a: - potenziare la collaborazione con il mondo del lavoro; - sviluppare esperienze imprenditoriali; - creare laboratori di «career management skills»; - comparare, selezionare e condividere modelli di certificazione; - sviluppare stage e tirocini; - promuovere la diffusione dell’apprendistato; - individuare le migliori pratiche sperimentate. Affinché l’orientamento permanente diventi parte integrante del curricolo di ogni insegnante, è auspicabile, secondo la nota MIUR n. 4232, che ogni docente svolga attività di formazione. Particolare attenzione è poi riservata — dallo stesso documento — ad azioni di sensibilizzazione e formazione dei genitori da prevedere all’interno del Patto di corresponsabilità educativa fra scuola, famiglia e studenti. Si propongono inoltre strumenti per l’integrazione dei sistemi, ipotizzando la costruzione di «Centri interistituzionali per l’orientamento permanente» operanti come multi-agency di orientamento. Le Linee guida infine dedicano una apposita sezione alla diffusione delle Tecnologie dell’Informazione e Comunicazione (TIC) ed alle potenzialità che l’impatto di tali tecnologie ha sia sui processi di apprendimento sia sul mercato del lavoro. Capitolo 5: Valutazione e autovalutazione delle scuole 1. La valutazione nel sistema scuola il tema della valutazione, all’interno del sistema scolastico italiano, è molto articolato e riguarda numerosi aspetti. Occorre quindi delinearne gli ambiti di intervento a partire dalla valutazione come sistema. Possiamo infatti rintracciare diversi profili di valutazione: - valutazione strettamente didattica, che deve apprezzare i processi e gli esiti dell’apprendimento; - valutazione d'istituto, finalizzata a rilevare le caratteristiche del servizio scolastico erogato; - valutazione del sistema scuola, orientata a cogliere le tendenze, il rapporto costi/qualità ed i macro/indicatori di riferimento. Un approccio sistemico alla valutazione deve dunque riguardare le dinamiche dei processi di insegnamento e le variabili interne, di classe e di istituto, in ottemperanza alle richieste provenienti dal sistema scuola. Le scuole dell’autonomia sono poi tenute a dotarsi di strumenti e procedure per verificare i risultati ottenuti in riferimento agli standard nazionali. Vi è dunque una valutazione interna, che coinvolge i soggetti stessi che compiono attività e che sono chiamati ad ‘autovalutarsi’ ed una valutazione del sistema, condotta da soggetti esterni, finalizzata a testare il raggiungimento di obiettivi definiti per il sistema scuola. Poiché l’obiettivo ultimo è agire per il miglioramento è opportuno che i due momenti siano in costante interazione, dal momento che gli esiti dell’apprendimento si intrecciano inevitabilmente con il tema delle competenze, quali standard nazionali di livelli accettabili di prestazione. In questo Capitolo si tratterà proprio del Sistema Nazionale di valutazione istituito in Italia dal 2004 dei suoi attori e delle sue azioni e procedure per la valutazione e autovalutazione delle istituzioni scolastiche. lOMoARcPSD|3193911 2. Il sistema nazionale per la valutazione del sistema educativo Con l’entrata in vigore dell’autonomia, al tradizionale sistema unico di vigilanza scolastica, a livello centrale, è subentrato un duplice sistema di controllo della qualità delle prestazioni e del funzionamento del sistema scolastico in rapporto agli standard nazionali. La valutazione esterna svolta da organismi nazionali si combina con l’autovalutazione di istituto tesa a determinare il grado di raggiungimento degli obiettivi che essa stessa si è prefissata. Ai fini del progressivo miglioramento del sistema educativo, il D.Lgs. 19-11-2004, n. 286 ha istituito un articolato Servizio nazionale di valutazione (SNV) del sistema educativo di istruzione e formazione. Obiettivo di tale servizio è quello di valutare l’efficienza e l’efficacia del complessivo sistema di istruzione e formazione, inquadrandone la valutazione nel contesto internazionale, soprattutto europeo. Per l’istruzione e la formazione professionale tale valutazione concerne esclusivamente i livelli essenziali di prestazione ed è effettuata tenuto conto degli altri soggetti istituzionali che già operano a livello nazionale nel settore della valutazione delle politiche nazionali finalizzate allo sviluppo delle risorse umane. Il Sistema di valutazione nazionale (SNV) regolato oggi dal D.P.R. 28-3-2013, n.80 è articolato su tre livelli rappresentati da: - INVALSI; - INDIRE; - contingente ispettivo. Alla base del SNV non sussiste nessuna volontà sanzionatoria o punitiva ma anzitutto l’intento di attivare processi di auto miglioramento della qualità dell’apprendimento, della didattica e dei comportamenti professionali degli insegnanti. Gli organi che compongono il SNV hanno ruoli e compiti definiti precisamente dal Regolamento n.80/2013. In particolare, all’INVALSI risultano affidati i compiti e le prerogative molto più ampie rispetto al passato, diventando più importante del MIUR per la definizione degli contenuti della formazione e dei curricula (competenza e relativa certificazione). L’art. 3 del regolamento affida infatti all’INVALSI i poteri di predisporre i protocolli di valutazione e i programmi delle visite alle istituzioni scolastiche da parte di ispettori esterni (cd. nuclei di valutazione) , di definire gli indicatori di efficacia e di efficienza per identificare le scuole in crisi e gli indicatori per la valutazione dei Dirigenti e di redigere un rapporto periodico sul sistema scolastico e formativo. Inoltre, anche l’autovalutazione delle scuole deve seguire il quadro di riferimento predisposto dall’INVALSI. In questo modo però si corre il rischio che la valutazione esterna ed interna si confermino uniformandosi, annullando ogni possibilità di confronto tra situazioni diverse. L’INDIRE ha invece il compito di fornire sostegno ai processi di miglioramento e innovazione educativa, di formazione in servizio del personale della scuola e di documentazione e ricerca didattica. Infine il corpo ispettivo, caratterizzato da autonomia e indipendenza, ha la funzione di valutare le scuole e i DS. Tale corpo è coadiuvato nella sua funzione ispettiva dalla conferenza per il coordinamento funzionale dell’SNV e dei nuclei di valutazione esterna. 3. L’INVALSI Il ruolo predominante dell’SNV è come abbiamo visto, assegnato all’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) che opera insieme alle istituzioni scolastiche e formative, nonché le Regioni, le Province, i Comuni in relazione ai rispettivi ambiti di competenza: tali soggetti attivano le opportune procedure atte a favorire l’interoperabilità tra i loro sistemi formativi al fine di poter scambiare dati e informazioni riguardanti il sistema istruzione. L’INVALSI è soggetta anche alla vigilanza del MIUR oltre a svolgere un ruolo di coordinamento funzionale dell’SNV è un ente di ricerca che si occupa come già visto di: lOMoARcPSD|3193911 - Esiti degli studenti, in cui sono analizzati i risultati scolastici degli alunni, con particolare attenzione a quelli concernenti le prove standardizzate, il raggiungimento delle Competenze chiave europee e di cittadinanza, i risultati a distanza di tempo (ovvero i risultati degli alunni appena usciti dalla scuola - Processi messi in atto dalla scuola, in cui si analizzano le pratiche educative e didattiche attuate nella scuola, lo stato degli ambienti di apprendimento, eventuali metodologie innovative, le metodologie relazionali (livello dei conflitti interpersonali nella scuola, comportamento degli alunni), i processi di inclusione e differenziazione, quelli di continuità e orientamento, nonché le pratiche gestionali e organizzative della scuola. (Ricordiamo che quando si parla di esiti ci si riferisce alla valutazione dei risultati raggiunti dagli studenti, i processi, invece, possono essere definiti come le attività e gli interventi effettuati dalla scuola per realizzare un progetto o perseguire degli obiettivi.) Vedi tabella p. 49. - processo di autovalutazione, cioè i metodi utilizzati per effettuare l’autovalutazione e le persone coinvolte (da chi è composto il NIV, se i soggetti coinvolti hanno precedenti esperienze di valutazione etc.) - individuazione delle priorità, ovvero individuazione dei traguardi che si intendono raggiungere (priorità orientate agli esiti degli studenti) e obiettivi processo (modalità attraverso cui si intendono raggiungere tali traguardi) con elaborazione del Piano di miglioramento. Tali priorità andranno individuate su piano di intervento triennale, poiché come vedremo, il Piano di miglioramento entra a far parte del Piano dell’offerta formativa (PTOF). Al fine di standardizzare il processo di autovalutazione, il MIUR ha messo a disposizione delle scuole un modello per l’autovalutazione con individuazione di indicatori e scala di valutazione analitica. Viene però lasciato alle scuole anche uno spazio aperto, ove poter completare il giudizio di sintesi con più ampie specificazioni e motivazioni sulle autovalutazioni fatte. 6.1 Come compilare il RAV Ogni area inizia con delle domande che servono da guida alla riflessione sui risultati raggiunti dalla scuola in quell’area, i dati forniti devono essere analizzati. Al termine di queste operazioni si potrà giungere a un giudizio complessivo sull’area e all’assegnazione di un livello (si tenga presente che i livelli attribuiti sono poi la base per l’assegnazione alla scuola degli obiettivi da raggiungere). Le sezioni contengono gli indicatori che servono a collocare la scuola in un contesto nazionale, regionale, provinciale, essi sono utili per la formulazione di giudizi. Chiaramente il giudizio non deve essere basato solo ed esclusivamente su dati numerici, questi devono essere interpretati e la riflessione che ne segue deve essere motivata. La rubrica di valutazione è uno strumento utilizzato per esprimere un giudizio di qualità su un prodotto o un servizio, essa contiene dei descrittori analitici all’interno dei quali la scuola deve posizionarsi. I descrittori sono elementi variabili che descrivono il contenuto di un’etichetta, anche questi non devono essere considerati tassativi, ma fungere da guida per la ottimale collocazione della propria scuola. Per ciascuna area degli Esiti e dei Processi la scuola dovrà esprimere un giudizio complessivo, utilizzando una scala che va da 1 a 7. Le situazioni descritte analiticamente sono la 1 (molto critica), 3 (con qualche criticità), 5 (positiva), 7 (eccellente); le altre 2, 4 e 6 non sono descritte, ci si posizionerà in una di queste situazioni intermedie quando si ritiene che la propria scuola corrisponde solo in parte ad una delle descrizioni analitiche. Molto importante è la formulazione di una corretta motivazione, questa serve per argomentare il giudizio che si è assegnato alla scuola, la motivazione deve essere completa, accurata, e approfondita; l’analisi dei dati a tal fine non deve limitarsi a elencare dati o descrivere azioni ma deve essere redatta tenendo conto il contesto, i punti di forza, e le criticità, soprattutto la motivazione deve essere congruente con quanto emerge dall’analisi dei dati. Esaurita questa fase si giunge all’individuazione delle priorità e dei traguardi. Le priorità lOMoARcPSD|3193911 rappresentano gli obiettivi generali del programma di miglioramento, esse devono poter essere realizzate nel breve-medio periodo, i traguardi sono risultati attesi nel lungo periodo. 6.1 Il RAV infanzia Per le scuole dell’infanzia, che non fanno parte di istituzioni scolastiche comprendenti altri ordini e gradi di scuola, o come strumento integrativo per le scuole dell’infanzia statali comprese in istituti comprensivi o circoli didattici, è possibile elaborare un Rapporto di autovalutazione (RAV). Il RAV infanzia è facoltativo e ha carattere sperimentale (nota MIUR 27-1-2016, n. 829): su di esso è stata avviata una consultazione online riservata alle istituzioni scolastiche e una sperimentazione sul campo da parte di un ristretto gruppo di scuole. L’obiettivo del RAV infanzia consiste nel dar vita ad un dibattito, fuori e dentro le scuole, sugli strumenti più idonei per una corretta autovalutazione della scuola dell’infanzia sia per rendere espliciti i fattori di qualità che caratterizzano i migliori istituti sia per incoraggiare e sostenere il miglioramento di questo importante segmento di scuola. Con la Nota n. 5837 del 4 Aprile 2018, il Ministero ha dichiarato l’intenzione di procedere con due fasi della sperimentazione che si è svolta tra maggio 2018 e marzo 2020. Si auspica da più parti una generalizzazione del RAV infanzia, inteso come opportunità di miglioramento della qualità delle scuole, anche alla luce dell’attenzione mostrata dal legislatore della Buona scuola al Sistema integrato infanzia 0-6 anni delineato con il decreto 65/2017. Il RAV va pubblicato nella sezione portale “scuola in chiaro” dedicata alla valutazione. 7. L’autovalutazione delle scuole: il Piano di miglioramento (PDM) Una volta chiuso e pubblicato il RAV la fase successiva prevede la formulazione e l’attuazione del Piano di miglioramento (PDM) che indica il percorso che la scuola intende affrontare per raggiungere i traguardi relativi alle priorità indicate nel RAV. Il PDM è curato, come il RAV, dal DS e dal NIV costituito per la compilazione del RAV. Fondamentale per l’attuazione del PDM è il coinvolgimento di tutta la comunità scolastica, che deve essere resa partecipe degli obiettivi e dei traguardi che la scuola si è prefissata. E’ compito del NIV stabilire le modalità di tale coinvolgimento attraverso delle strategie di condivisione che devono essere esplicitate nel documento. L’INDIRE fornisce un modello di PDM basato su due principi di interventi: le pratiche educative e didattiche e le pratiche gestionali ed organizzative. Esso è suddiviso in quattro sezioni: 1. scelta degli obiettivi di processo più utili alle priorità individuate nel RAV (opzionale); 2. individuazione delle azioni da mettere in atto per raggiungere gli obiettivi prefissati (opzionale); 3. pianificazione degli obiettivi di processo (obbligatoria); 4. valutazione condivisione e diffusione del lavoro svolto dal NIV (obbligatoria). Come per la compilazione del RAV anche quella del PDM è facilitata dalla presenza di domande guida. Attualmente si deve ritenere, in linea con la previsione dell’offerta formativa triennale, che anche il PDM, obbligatorio dall’anno scolastico 2015/2016, debba essere sviluppato in questo lasso temporale, per la sua compilazione non è prevista però alcuna scadenza es esso è sempre modificabile. 7.1 Un piano di miglioramento efficace Ma come costruire un piano di miglioramento efficace? Il punto di partenza deve essere sempre quanto emerso dal rapporto di autovalutazione. Naturalmente il PDM deve essere attuabile, per cui partendo dalla situazione esistente come emersa dal RAV, si individua l’obiettivo ossia la situazione desiderata e solo questo punto si può sviluppare un piano operativo che abbia come obiettivo un miglioramento ‘sostenibile’. per cui la situazione desiderata deve essere calata nella realtà dell’istituzione scolastica. Una possibile scaletta operativa, potrebbe essere la seguente: lOMoARcPSD|3193911 - priorità strategica (es. innalzare l’esito delle prove standardizzate); - obiettivo di miglioramento (es. innalzare gli esiti delle prove di matematica, diminuire la varianza tra le classi nelle prove di italiano); - traguardo di un lungo periodo (es. aumentare del 3% gli esiti di matematica, mantenere i livelli di italiano e diminuire del 26 la varianza tra le classi). Facendo sempre riferimento alle priorità strategiche è necessario individuare gli obiettivi di processo per il triennio, relativamente a ciascuna delle sette aree indicate (che sono ovviamente le stesse indicate nel RAV). Ad esempio per la priorità sopra indicata nell’area “integrazione con il territorio e rapporti con le famiglie” un obiettivo di processo potrà essere il coinvolgimento delle famiglie e la responsabilizzazione sull’importanza della partecipazione degli alunni alle prove standardizzate. In ogni caso, la scelta degli obiettivi di processo deve essere congruente con le priorità/traguardi, devono cioè avere un possibile impatto concreto. Bisogna comunque evitare di indicare troppi obiettivi e concentrarsi su pochi fattibili. Il PDM richiede l’indicazione delle azioni che la scuola intende compiere per il raggiungimento degli obiettivi, queste azioni devono potenzialmente avere ricadute positive. Esse devono essere tali da innescare un meccanismo di cambiamento radicale e duraturo all’interno della scuola e devono connettersi agli obiettivi individuati nel quadro normativo di riferimento (L. 107/2015). Dopo la descrizione delle azioni si devono individuare le risorse materiali e umane a disposizione della scuola, interne e ove necessario anche esterne e la tempistica per l’attuazione delle attività descritte, che deve essere strutturata come un vero e proprio ‘cronoprogramma’ aggiornabile e modificabile in qualsiasi momento, infatti il PDM è in continuo divenire. altra sezione importante è quella dei monitoraggi la scuola deve costantemente verificare lo stato dell’arte ovvero l’avanzamento delle attività e dei risultati raggiunti infatti occorre distinguere il monitoraggio dei processi che riguarda l’efficacia delle azioni e il monitoraggio degli esiti che è sui risultati. Il controllo sull'andamento del piano di miglioramento è affidato al NIV. In sintesi un corretto PDM dovrà evidenziare le relazioni tra gli obiettivi di processo come emergono dal RAV, le azioni e i risultati attesi, le risorse e i tempi dovranno essere adeguati agli obiettivi. 7.2 Rapporti tra PDM e PTOF Il PTOF rappresenta, come è noto, il documento fondamentale della scuola, in esso vi è indicata la progettazione curricolare, extracurricolare e organizzativa adottata dalla scuola dell’autonomia; esso, in quanto tale, non può prescindere dal PDM e deve essere con esso integrato. Anche nel PTOF dovranno, quindi, essere indicati priorità, traguardi, e obiettivi di processo, come individuati nel RAV e nel PDM. Nel PTOF devono essere esplicitate e pianificate le azioni finalizzate al raggiungimento dei traguardi previsti. 8. La valutazione esterna L’organizzazione della valutazione esterna delle scuole, è affidata alla Conferenza per il coordinamento funzionale del Sistema nazionale di valutazione, organismo di coordinamento tra i tre enti che concorrono al processo valutativo (INVALSI, INDIRE, e corpo ispettivo) che ha la funzione di adottare protocolli di valutazione e il programma delle visite delle scuole, formulare proposte in merito all’individuazione delle priorità strategiche della valutazione. La valutazione esterna delle scuole è finalizzata: - miglioramento della qualità dell’offerta formativa e degli apprendimenti; - alla riduzione della dispersione e delle differenze tra scuole e aree geografiche; - al rafforzamento delle competenze di base degli alunni; - alla valorizzazione degli esiti a distanza. La valutazione esterna è affidata ai Nuclei di valutazione esterna (NEV) costituiti da ispettori (dirigenti tecnici) che ne assumono il coordinamento e da esperti in materia di valutazione esterna dei sistemi lOMoARcPSD|3193911 Il Testo unico istruzione (D.Lgs. 297/1994) stabilisce, all’art. 605, che “Il Ministro della pubblica istruzione provvede, mediante i suoi uffici centrali e periferici, ai servizi relativi all’istruzione materna, elementare, media, secondaria superiore e artistica”. Il Ministro ha il fondamentale compito di promuovere l’istruzione sociale e pubblica e di sovrintendere al corretto andamento dell’intero sistema scolastico (e universitario)”. Il Ministro, nominato dal Presidente della Repubblica su designazione del Capo del Governo, è l’organo di direzione politica del Ministero. Al Ministro, in particolare, spetta: - la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l’azione amministrative; - l’individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale. In particolare, assegna tali risorse ai dirigenti preposti alle rispettive amministrazioni e provvede alle variazioni delle assegnazioni; - la definizione dei criteri e dei parametri per l’organizzazione della rete scolastica; - la valutazione del sistema scolastico; - la determinazione e l’assegnazione delle risorse finanziarie dello Stato al personale e alle istituzioni scolastiche; - le funzioni relative ai conservatori di musica, alle Accademie di belle arti, agli istituti superiori per le industrie artistiche, all’Accademia nazionale d’arte drammatica, all’Accademia nazionale di danza, alle istituzioni culturali straniere in Italia. 2.2 Conferenza permanente dei capi Dipartimento e dei direttori generali I capi dei dipartimenti, i dirigenti preposti agli uffici di livello dirigenziale generale compresi nei dipartimenti i dirigenti titolari degli uffici scolastici regionali, si riuniscono in Conferenza per trattare le questioni attinenti al coordinamento delle attività dei rispettivi uffici e per formulare al Ministro proposte per l’emanazione di indirizzi e direttive, per assicurare il raccordo operativo tra i dipartimenti e lo svolgimento coordinato delle loro funzioni. La Conferenza in seduta plenaria è presieduta dai capi Dipartimento che provvedono a convocarla periodicamente con cadenza almeno semestrale. 3. Altri organismi collegati all’amministrazione centrale A) Il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione (CSPI) istituito dall’aprile 2015 è un organo collegiale di supporto tecnico-scientifico, composto da 36 membri (rappresentanti delle scuole, esponenti del mondo culturale e dell’arte etc.) il cui compito principale è formulare proposte al Ministero sulle politiche da perseguire in materia di istruzione universitaria, ordinamenti scolastici, programmi scolastici, organizzazione generale dell’istruzione scolastica e stato giuridico del personale. E’ chiamato in alcuni casi ad esprimere pareri obbligatori, anche se non vincolanti per il Ministero. B) L’Osservatorio per l’edilizia scolastica promuove iniziative di studio, di ricerca e di sperimentazione, relativamente alla riqualificazione e manutenzione delle scuole, ai criteri di progettazione, ai costi, alla sicurezza degli edifici scolastici. C) L’istituto nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI) è un ente di ricerca che si occupa, come abbiamo già visto, tra l’altro di: - effettuare verifiche periodiche sulle conoscenze e abilità degli studenti e sulla qualità complessiva dell’offerta formativa delle scuole (cd. prove INVALSI; lOMoARcPSD|3193911 - studiare le cause dell'insuccesso e della dispersione scolastica con riferimento al contesto sociale ed alle tipologie dell’offerta formativa; - promuovere periodiche rilevazioni nazionali sugli apprendimenti che interessano le istituzioni scolastiche. D) L’istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa (INDIRE) è un ente di ricerca che, sappiamo, si occupa di definire e attuare i piani di miglioramento della qualità dell’offerta formativa e dei risultati degli apprendimenti degli studenti che le istituzioni scolastiche autonomamente adottano. 4. Amministrazione scolastica periferica: gli Uffici scolastici regionali (USR) Il MIUR è articolato, a livello periferico, in Uffici scolastici regionali (che dal 1999 sostituiscono i vecchi Provveditorati e le Sovrintendenze scolastiche). In ciascun capoluogo di regione ha sede un Ufficio scolastico regionale (in realtà gli uffici sono 18 in quanto mancano quelli di Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige che hanno un bacino di popolazione studentesca più basso). L’Ufficio scolastico regionale si configura alla stregua di un ministero regionale con poteri autonomi, in quanto persegue lo scopo primario di realizzare una pianificazione delle scelte educative e organizzative integrata con la programmazione dell’offerta formativa della Regione, nonché di vigilare sul rispetto delle norme generali dell’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni, sull’attuazione degli ordinamenti scolastici, sui livelli di efficacia dell’azione formativa e sull’osservanza degli standard programmati. Esercita inoltre la vigilanza sulle scuole non statali paritarie e non paritarie, nonché sulle scuole straniere in Italia, assegna alle istituzioni scolastiche le risorse finanziarie nonché le risorse di personale. In ciascun ufficio scolastico regionale operano due organi collegiali: - un organo collegiale a composizione mista, con rappresentanti dello Stato, della Regione e delle autonomie territoriali interessate, cui compete il coordinamento delle attività gestionali di tutti i soggetti interessati e la valutazione della realizzazione degli obiettivi programmati; - il Consiglio regionale dell’istruzione con competenze consultive e di supporto all’amministrazione a livello regionale. 5. Gli ambiti territoriali La Riforma della Buona scuola (L. 107/2015) definisce la composizione dell’organico e individua anche il meccanismo per la sua ripartizione fra le Regioni, tra ambiti territoriali, nonché le singole istituzioni scolastiche. Il comma 66, infatti, dispone che i ruoli del personale docente sono regionali. articolati in ambiti territoriali, suddivisi in sezioni separate per gradi di istruzione, classi di concorso, tipologie di posti. Ma in cosa si identificano gli ambiti territoriali? La loro ampiezza è inferiore alla Provincia o alla Città metropolitana, avendo considerazione oltre che della popolazione scolastica, della prossimità delle scuole e delle caratteristiche del territorio, anche della specificità delle aree interne e montane e delle piccole isole, della presenza di scuole negli istituti penitenziari, nonché di ulteriori situazioni o esperienze territoriali già in essere. Gli ambiti territoriali sono definiti dagli USR che li elaborano tenendo conto delle osservazioni dei sindacati. In base alle indicazioni del Ministero (nota 726/2016) gli ambiti: - devono avere una dimensione sub provinciale e non comprendere scuole di province diverse; - comprendono scuole sia del primo che del secondo ciclo in modo da garantire un’ampia offerta formativa; - non possono prevedere una popolazione scolastica superiore a 40.000 alunni nè inferiore a 22.000 alunni. Per le aree metropolitane si potrà arrivare fino a un massimo di 70.000. lOMoARcPSD|3193911 6. Le competenze in materia di istruzione degli enti territoriali Mentre lo Stato che è l’ente pubblico per eccellenza ha competenza su tutto il territorio nazionale, numerosi sono gli enti territoriali che operano, invece, nell’ambito di un territorio circoscritto, per perseguire i fini istituzionali pertinenti in tale territorio. Tra questi vi sono le Regioni, le Province, i Comuni e le Città metropolitane (art. 114 Cost.). Per quanto riguarda le regioni, in materia di istruzione l’art. 117 Cost. prevede la potestà legislativa esclusiva dello Stato in tema di norme generali: es. la definizione degli ordinamenti scolastici, gli ordini e i gradi delle istituzioni scolastiche, la durata della scuola dell’obbligo etc. L’art. 117 Cost. attribuisce alle regioni, invece, la competenza legislativa esclusiva sul sistema di formazione e istruzione professionale. I livelli essenziali di prestazione che le Regioni devono garantire comprendono il rispetto degli standard formativi minimi (durata dei corsi, validità nazionale delle certificazioni, valore legale dei titoli, obiettivi di apprendimento, crediti), le Regioni hanno poi alcune materie di competenza concorrente legislativa: lo Stato stabilisce per esempio i principi generali (durata e tipologia dei corsi) e le Regioni l’organizzazione sul territorio. In particolare è stato demandato alle regioni il compito di determinare il calendario scolastico e programmare l’offerta formativa integrata tra istruzione e formazione professionale. Per quanto riguarda le competenze degli enti locali: - le principali competenze del Comune in materia di istruzione riguardano: l’educazione degli adulti, l’orientamento scolastico e professionale, il supporto alle strategie di continuità orizzontale e verticale etc.; - le province in materia di istruzione hanno competenze solo in materia di scuole secondarie: istituzione, fusione e soppressione delle scuole, fornitura di edifici, arredi e strumenti per le scuole secondarie superiori, cura della rete di trasporti scolastici etc. 7. Comunità scolastica e vicende degli organi collegiali territoriali Come sancito dall’art. 3 del T.U 297/1994, l’istituzione in ambito scolastico degli organi collegiali soprattutto territoriali risponde all’intento di favorirne la gestione sociale, o meglio di non relegare in uno sterile isolamento l’istituzione scolastica e coloro che in essa vi operano, nel delicato compito di trasmissione della cultura e di elaborazione della stessa e nel processo del quotidiano sviluppo della personalità dell’alunno. E’ parso, dunque, più che mai necessario il coinvolgimento nella gestione della scuola di tutte le componenti della società al fine di consentire l’adeguamento continuo alle mutevoli e contingenti esigenze sociali. In particolare sull’onda delle istanze politiche e partecipative sollecitate dai movimenti studenteschi alla fine degli anni Sessanta nacque l’esigenza di dar vita ad organismi rappresentativi degli interessi non solo pedagogici, ma anche più squisitamente politici e sociali di cui si fa portatrice una collettività locale organizzata. Con la legge 477/1973 si sovvertì l’assetto piramidale originariamente strutturato in Ministero a livello nazionale, provveditorati agli studi a livello principale e presidi a livello scolastico, fino ad allora esistente e in cui i genitori e studenti non avevano alcun ruolo istituzionale. Furono così istituiti il Consiglio nazionale della pubblica istruzione (C.N.P.I.) destinato ad affiancare il Ministro, il Consiglio scolastico provinciale (C.S.P.) che affiancava il provveditorato agli studi, il consiglio di circolo o d'istituto che si affiancava, in ogni scuola, al direttore didattico o preside. Successivamente anche il D.Lgs. 297/1994 si fece carico di siffatte istanze provvedendo a suddividere il territorio regionale in comprensori, detti distretti scolastici (con estensione non superiore a quella provinciale) nell’ambito dei quali doveva essere assicurata la compresenza di ogni ordine e grado di scuola (escluse università, belle arti, e conservatori). Organo di governo del distretto scolastico era il consiglio scolastico distrettuale. qualche anno dopo in attuazione della delega di cui la legge 59/1997, venne emanato il D.Lgs. 30 giugno 1999, n. 233 per la Riforma degli organi collegiali territoriali della scuola, che lOMoARcPSD|3193911 di competenza. Gli elenchi aggiornati dei libri di testo (di nuova adozione o di conferma) vanno compilati e presentati il giorno dei Consigli ed in questa sede si approverà la proposta alla presenza dei genitori rappresentanti, i quali insieme ai docenti controfirmeranno il prospetto generale. L’adozione dei libri di testo è deliberata dal Collegio dei docenti nella seconda decade di maggio, su proposta formale di delibera dei Consigli di classe. La segreteria dell’istituzione scolastica provvede poi ad inviare, per via telematica, gli elenchi dei libri, deliberati dal Collegio dei docenti, all’AIE (Associazione Italiana Editori). In seguito, l’elenco dei libri di testo definitivi viene pubblicato sul sito Internet dell’istituto e sul portale ministeriale «Scuola in chiaro». Il vincolo pluriennale di adozione è stato abolito (art. 11, L. 221/2012), nello specifico, il vincolo temporale di cinque anni per la Scuola primaria e di sei anni per la scuola secondaria (introdotto dall’art. 5 D.L. 137/2008, conv. in L. 169/2008) di sei anni di adozione dei testi scolastici, così come il vincolo quinquennale di immodificabilità dei contenuti dei testi sono abrogati. Pertanto, le scuole possono confermare i testi già in uso, anche nella prospettiva di limitare, per quanto possibile, i costi a carico delle famiglie, oppure provvedere all’adozione di nuovi testi: - per le classi prime e quarte della scuola primaria, - per le classi prime della scuola secondaria di primo grado, - per le classi prime e terze della scuola secondaria di secondo grado. Il D.M. 781/2013 ha individuato tre tipologie di libri di testo: a) versione cartacea con contenuti digitali integrativi; b) versione cartacea e digitale con contenuti digitali integrativi; c) versione digitale con contenuti digitali integrativi. Lo stesso decreto consiglia la soluzione mista di tipo b), in quanto più funzionale. I libri di testo adottati si distinguono dai testi consigliati. I testi consigliati (art. 6, co. 2, L. 128/2013), infatti, possono essere indicati dal Collegio dei docenti solo nel caso in cui rivestano carattere monografico o di approfondimento delle discipline di riferimento. Come è noto, i docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado, sono tenuti a mantenere il costo dell’intera dotazione libraria di ciascuna classe entro determinati «tetti di spesa» indicati con decreto del MIUR. Nella scuola primaria, invece, tutti i libri di testo sono gratuiti (o meglio sono a carico del Comune di residenza degli alunni, D.Lgs. 297/1994) e possono essere acquistati dalle famiglie utilizzando l’apposita cedola libraria fornita dal Comune alle scuole. La cedola infatti, viene fornita a tutti gli alunni residenti che frequentano scuole statali e paritarie, indipendentemente dal reddito. Ad inizio anno, la scuola consegna agli alunni (ai genitori) una cedola libraria con il timbro della scuola e la firma del Dirigente scolastico, contenente l’indicazione dei testi scolastici adottati dal collegio docenti per la classe frequentata. La cedola ritirata dal genitore va poi consegnata in libreria. 11. Il consiglio di circolo e di istituto Ai sensi dell’art. 10 del T.U. in materia di istruzione il Consiglio di circolo (nella scuola primaria) o d’istituto (nella secondaria) è l’organo cui è affidato il governo economico-finanziario della scuola. L’organo è composto da 14 membri negli istituti con popolazione scolastica fino a 500 alunni e da 19 membri negli istituti con popolazione scolastica superiore a 500 alunni. Di esso fanno parte i rappresentanti del personale docente e quelli del personale non docente, i rappresentanti dei genitori degli alunni, i rappresentanti degli studenti, nonché il DS. Possono essere chiamati a partecipare alle riunioni del Consiglio anche gli specialisti che operano in modo continuativo nella scuola con compito medico-psico-pedagogici e di orientamento, i quali, però partecipano soltanto a titolo consultivo. Il Consiglio è presieduto da uno dei suoi membri eletto lOMoARcPSD|3193911 tra i rappresentanti dei genitori degli alunni a maggioranza assoluta nella prima votazione ea maggioranza relativa nelle successive, le funzioni di segretario sono affidate dal presidente a un membro del Consiglio stesso. L’organo dura in carica tre anni scolastici nel corso dei quali i membri che perdono i requisiti di eleggibilità vengono sostituiti dai primi non eletti nelle rispettive liste, i rappresentanti degli studenti vengono eletti anno per anno. Il Consiglio di istituto svolge fondamentali funzioni deliberative o di amministrazione attiva e consultiva, deliberando sull’organizzazione e la programmazione della vita e dell’attività della scuola. Svolge un ruolo fondamentale nell’individuazione degli obiettivi che la scuola si propone di raggiungere. In particolare il Consiglio di istituto: - approva il Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF); - approva il bilancio preventivo e il conto consuntivo; - adotta il Regolamento di istituto che disciplina il complesso delle attività della scuola, l’uso delle attrezzature e delle risorse umane; - adatta il calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali, - determina i criteri per la programmazione e l’attuazione delle attività para, extra, interscolastiche (attività di recupero, sostegno, viaggi di istruzione, visite guidate etc.) nonché in merito alla partecipazione ad attività culturali, sportive, ricreative; - promuove i contatti con altre scuole al fine di realizzare scambi di informazioni e di esperienze e di intraprendere eventuali iniziative di collaborazione; - adotta le iniziative dirette all’educazione della salute e alla prevenzione delle tossicodipendenze. Gli atti deliberativi dell’organo come di tutti gli organi collegiali della scuola, sono atti definitivi impugnabili, non per via gerarchica, ma con ricorso al TAR o con ricorso straordinario al capo dello Stato. Per quanto concerne l’attività consultiva il Consiglio esprime pareri circa l’andamento generale didattico e amministrativo, inoltre indica i criteri generali relativi al coordinamento organizzativo dei Consigli di intersezione, di interclasse o di classe, stabilisce criteri per l’espletamento dei servizi amministrativi ed esercita le competenze in materia di uso delle attrezzature e degli edifici scolastici. Il consiglio si riunisce in un orario non coincidente con quello delle lezioni e comunque compatibile con gli orari di lavoro di ciascun componente. I Consigli di circolo o d'istituto eleggono al proprio interno una Giunta esecutiva della quale fanno parte il DS che la presiede, nonché il capo dei servizi di segreteria (DSGA) della scuola che svolge pure le funzioni del segretario della Giunta. Di essa fanno parte anche un docente, con la precisazione che negli istituti di istruzione secondaria ed artistica la rappresentanza dei genitori si riduce ad un solo membro, con un rappresentante degli studenti chiamato a prendere il posto vacante. La Giunta resta in carica tre anni, e nei suoi confronti si applicano le disposizioni esaminate per il Consiglio, essa svolge compiti preparatori ed esecutivi nei riguardi del Consiglio. 11.1 Regolamento di istituto Il Regolamento d’istituto è un documento emanato dal Consiglio di istituto che disciplina le attività quotidiane della scuola. Il riferimento normativo è costituito dall’art. 10 D.Lgs. 297/1994. In genere il documento si compone di più parti in relazione alle diverse componenti della scuola: esso infatti si rivolge agli alunni e alle relative famiglie ma anche ai docenti. Il regolamento comprende, le norme riguardanti: - la vigilanza sugli alunni; - il comportamento degli alunni; - la regolamentazione di ritardi, uscite, assenze, giustificazioni; - l’uso degli spazi comuni, dei laboratori, della biblioteca; - la conservazione delle strutture e delle dotazioni; - la mensa; - le disposizioni relative all’uso dei dispositivi multimediali e/o smartphone; - l’assicurazione; lOMoARcPSD|3193911 - i viaggi di istruzione. Nel regolamento d’istituto sono altresì definite: - le modalità di comunicazione con studenti e genitori con riferimento ad incontro con docenti, di mattina e di pomeriggio; - il calendario di massima delle riunioni e degli incontri scuola-famiglia, e la pubblicizzazione degli atti; - le regole relative al funzionamento degli organi collegiali. 12. Il Comitato per la valutazione degli insegnanti La L. 107/2015 con il comma 29, ha sostituito interamente l’art. 11 D.Lgs. 297/1994 in merito al Comitato per la valutazione dei docenti che coadiuva il DS nell’assegnazione del ‘bonus’ per il merito ai docenti. In base al nuovo art. 11, il Comitato è costituito presso ogni istituzione scolastica, ha durata triennale ed è presieduto dal DS. Il comitato è composto da: - tre docenti, due scelti dal Collegio docenti e uno dal Consiglio d’istituto; - due rappresentanti dei genitori nella scuola dell’infanzia e nel primo ciclo di istruzione; - un rappresentante degli studenti e uno dei genitori per il secondo ciclo, scelti dal Consiglio di istituto; - un componente esterno scelto dall’ufficio scolastico regionale. Il Comitato è poi chiamato ad esprimere il proprio parere sul superamento del periodo di formazione e prova del personale docente ed educativo. 13. L’assemblea dei genitori L’art. 12 T.U. Dispone che “gli studenti della scuola secondaria superiore e i genitori degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado hanno diritto di riunirsi in assemblea nei locali della scuola”. Le assemblee studentesche di classe e d'istituto sono proprie della scuola secondaria superiore. L’importanza del riconoscimento operata dal predetto articolo si comprende appieno nell’ottica della cd. istituzionalizzazione dei rapporti scuola e famiglia che segna un ribaltamento del tradizionale ruolo rivestito dai genitori degli alunni: da meri spettatori dell’azione educativa a titolari di diritti di partecipazione marginale alla vita della scuola ad attori e promotori di un processo formativo più completo, coinvolgente tematiche più complesse e frutto di cooperazione. Come assemblee degli studenti, le assemblee dei genitori possono essere di classe e d'istituto. Alle assemblee di classe partecipano i genitori degli alunni iscritti alla classe., a quelle di istituto i genitori degli alunni iscritti alla scuola. Tutte devono svolgersi al di fuori dell’orario delle lezioni. Tipiche della scuola dell’infanzia sono poi le assemblee di sezione in cui si riuniscono i genitori dei bambini di una stessa sezione, per discutere di problemi che riguardano l’attività, l’organizzazione dei servizi e i rapporti tra scuola e famiglia. L’assemblea di sezione o di classe è convocata su richiesta dei genitori eletti nei Consigli di intersezione, di classe e di interclasse. L’assemblea di istituto è convocata: - su richiesta del Presidente dell’assemblea, ove sia stato eletto; - dalla maggioranza del Comitato dei genitori, qualora i rappresentanti dei genitori nei Consigli di intersezione, di classe e interclasse abbiano costituito tale organo; - da almeno cento, duecento, o trecento genitori a seconda che le popolazioni scolastiche siano composte da un numero di alunni fino a 500, a 1000 e oltre 1000. lOMoARcPSD|3193911 Con regionalismo si intende quel processo politico parziale avviato negli anni Settanta in cui si sono costituite in Italia le Regioni, applicando la Costituzione dopo oltre venti anni dalla sua promulgazione. Fu messo in atto allora un processo di articolazione della territorialità all’interno di uno Stato-Nazione rimasto nella sostanza piuttosto integro. Come visto, con l’applicazione dell’articolo 117 della Costituzione sono stati assegnati poteri decisionali ad aree geopolitiche subnazionali (20 regioni) seppur sottoposte ad alcune limitazioni. Dopo la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 ha modificato l’art. 117 della Costituzione mantenendo allo stato la potestà legislativa per quanto riguarda le “norme generali sull’istruzione” cioè i cosiddetti principi fondamentali. La potestà legislativa statale, invece, diventa concorrente in materia di istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione dell’istruzione e formazione professionale (quest’ultima che spetta alle regioni); ciò significa che la potestà legislativa per la materia ‘istruzione’ vede concorrere lo Stato e le Regioni. 3. Il principio di sussidiarietà 3.1 Aspetti generali La prima elaborazione esplicita e articolata del concetto di sussidiarietà si deve alla Chiesa cattolica nel contesto della sua ‘dottrina sociale’ di cui tale principio costituisce uno dei pilastri portanti. Il principio di sussidiarietà afferma che gli enti di ordine superiore devono aiutare, sostenere e promuovere lo sviluppo di quelli minori (per esempio la famiglia, le associazioni etc.) che si trovano in qualche modo tra il singolo cittadino e lo Stato e che vengono definiti corpi intermedi. E’ nella seconda metà degli anni ‘80 che il concetto giuridico di sussidiarietà fa il suo ingresso ufficiale nell’Unione Europea, così come ridisegnata dal trattato di Maastricht. In tale nuovo contesto il principio di sussidiarietà assume il ruolo di un criterio regolatore di competenze tra più enti appartenenti a diversi livelli di governo: Unione Europea (livello sovranazionale), Stato membro (livello nazionale). In questo livello l’ente sovraordinato svolge una funzione sussidiaria rispetto a quello più vicino al cittadino (singolo stato membro). Premesso che di sussidiarietà si cominciò a parlare con la legge Bassanini (legge 59 del 1997) quando il Parlamento si proponeva di realizzare la massima espressione possibile di regionalismo avanzato a Costituzione invariata, il punto di partenza vero e proprio del principio può essere considerato il progetto di riforma licenziato dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali culminato con la stesura dell'art. 118 della Cost., approvato da entrambi i lati del Parlamento ed attualmente vigente. In concreto, il principio di sussidiarietà colloca l’attuazione delle funzioni amministrative al livello di governo più vicino ai cittadini, tenendo conto delle effettive dimensioni e potenzialità locali. L’art. 118 attualizza il processo che va ad incrociarsi con l’affermazione di uno Stato funzione in grado di sostituirsi allo Stato persona. tale tipo di stato deve essere costituito da istituzioni che svolgono un doppio ruolo: operano con “soggettualità autonoma” e nel contempo costituiscono la piattaforma del sistema, in grado di dare unità e identità allo sviluppo di tutti i soggetti. L’autonomia funzionale riconosciuta alle istituzioni scolastiche si inserisce nel nuovo disegno del sistema dell’istruzione evidenziando la relazione funzionale tra i diversi soggetti: Ministero, Uffici scolastici regionali, istituzioni scolastiche. Non si tratta di una forma di dipendenza gerarchica bensì di coordinamento, nella logica di un sistema che riconosce l’ufficio scolastico regionale come autonomo centro di responsabilità amministrativa. 3.2 Gli obiettivi della sussidiarietà Gli obiettivi della sussidiarietà sono sostenuti da cinque obiettivi: - apertura; - partecipazione; - responsabilità; - efficacia; lOMoARcPSD|3193911 - coerenza. Questi principi si applicano a tutti i livelli di governo: europeo, nazionale, regionale, locale. Per quanto concerne l’apertura essa consiste nella comunicazione istituzionale affidata a tutti i soggetti pubblici. La scuola, in particolare, deve spiegare all’utenza qual è la sua azione, come viene costruita etc. Vanno sicuramente riguardati e rivalutati i documenti comunicativi che la scuola produce sulla Carta dei servizi, ma anche di altri documenti che ad oggi vengono utilizzati quasi esclusivamente ad uso interno. Nel momento in cui questi documenti servono a documentare l’operare della scuola, il linguaggio deve essere accessibile, proprio al fine di avviare un processo di fiducia nelle istituzioni scolastiche. La partecipazione, invece, deve essere la più ampia possibile dal momento dell’elaborazione al momento dell’esecuzione. La responsabilità va individuata facendo una distinzione tra responsabilità amministrativa e professionale, poiché da queste dipende la qualità del servizio. Per quanto concerne l’efficacia, le politiche scolastiche devono essere efficaci e tempestive, infine la coerenza riguarda le politiche dei soggetti che si occupano della scuola che devono essere tra loro connessi e coerenti. Nel sistema scolastico la sussidiarietà verticale si riconosce, nell’allocazione delle diverse funzioni, da quella legislativa all’erogazione dei servizi, a quattro livelli: nazionale, regionale, territoriale, singola scuola. Il principio di sussidiarietà orizzontale, nell’istruzione, è stato consolidato con la Legge n. 62 del 2000, la cosiddetta Legge sulla parità scolastica, oggi di fatto l’interesse pubblico è sostituito con l’interesse della collettività. Di fatto la sussidiarietà orizzontale si attua attraverso una libera scelta della famiglia, che valuta il livello dell’offerta formativa da parte della scuola pubblica o privata ed esercita il suo diritto di scelta. 4. Glocalismo e analisi del territorio Il termine glocalismo è un neologismo che nasce dalla fusione linguistica di globale e locale. Da esso deriva l’espressione “pensare globalmente e agire localmente”. Nel campo scolastico rappresenta l’impegno della scuola su tematiche generali radicate, però, nel territorio di cui vanno analizzate le dimensioni fondamentali: quella economica, demografica e socio-culturale. Per cogliere la vitalità economica del contesto del territorio è importante: - conoscere i dati relativi alla popolazione attiva, non attiva, tassi di disoccupazione ed inoccupazione; - stimare le risorse economiche investite nel territorio da parte di Enti locali a favore dell’istruzione; - conoscere il sistema produttivo del territorio, le tipologie produttive, gli investimenti; - verificare la possibilità di stringere alleanze con il mondo economico. 5. Disegnare la mappa dell’identità socio-culturale di un territorio 1) stimare il livello di istruzione della popolazione e dei genitori (possesso di licenza, diploma, laurea); 2) acquisire elementi circa le domande di formazione di persone in età non scolare interessate alla cosiddetta manutenzione delle conoscenze; 3) rilevare la diffusione di strumenti culturali e di accesso individuale alla cultura (lettura di quotidiani, possesso del pc); 4) conoscere la distribuzione delle strutture che contribuiscono alla diffusione della cultura (biblioteche, teatri, cinema etc.); 5) evidenziare particolari bisogni linguistici di minoranze; 6) stimare il rischio alfabetico (rischio di atrofizzazione delle competenze alfabetiche); 7) censire ed intercettare le associazioni che si occupano di free time, della cura di sè, e che esplicano volontariato; lOMoARcPSD|3193911 8) individuare la diffusione di agenzie nei settori culturali. In questo modo il territorio potrebbe essere rappresentato come una sorta di mappa valida da cui può scaturire la riflessione circa il Piano dell’offerta formativa. Sono sorti centri intermedi di servizio i quali hanno una funzione di start up nei territori dove i centri di servizio non ci sono o sono carenti. I centri di servizio vivono di linfa vitale pseudo-spontanea, i centri intermedi di servizio invece servono più che altro a valutare se i centri di servizio sono esaustivi per il territorio o ancora di più quali sono state le ricadute dei loro servizi sull’utenza. 6. Le principali forme di collaborazione interistituzionale 6.1 I partenariati educativi Con l’espressione partenariato si intende la realizzazione di un confronto tra più soggetti diversi coinvolti nello stesso settore i quali cercano una soluzione comune, che raggiunga il massimo consenso, per il raggiungimento di obiettivi condivisi. Le istituzioni scolastiche operano generalmente per la realizzazione di patti formativi-educativi sul territorio, attraverso partenariati locali, cioè partenariati interistituzionali, tra soggetti istituzionali che si fanno portatori delle istanze locali, o misti (associazioni etc.). Le scuole possono promuovere, o aderire a partenariati già costituiti, a diversi livelli: - locale; - regionale; - nazionale; - europeo. L’integrazione tra la scuola e le istanze presenti sul territorio trova il suo riferimento normativo nell’art. 8 del Regolamento sull’autonomia scolastica (D.P.R. 275/1999) secondo il quale la determinazione del curricolo della singola istituzione scolastica va definito anche attraverso “un'integrazione tra i sistemi formativi sulla base di accordi con le regioni e gli enti locali”. L’integrazione tra la scuola e il territorio poi è esplicitamente richiamata anche dall’art. 9 che afferma: “le istituzioni scolastiche, singolarmente, collegate in rete o tra loro consorziate, realizzano ampliamenti dell’offerta formativa che tengano conto delle esigenze del contesto culturale, sociale ed economico delle realtà locali (...).” I protocolli d’intesa, le convenzioni, gli accordi, i consorzi di scuole sono gli strumenti più utilizzati nella creazione delle reti di scuole. Le varie forme di partenariato educativo prevedono la partecipazione di diverse componenti, tra le quali: - enti locali (Comuni, Province, Comunità montane); - organismi di partecipazione decentrata sul territorio (Consigli di Circoscrizione etc.); - Camere di commercio; - associazioni culturali; - musei, biblioteche; - istituti di ricerca, università, CNR etc.; - privato sociale, terzo settore; - Centri ed Enti di formazione professionale; - ordini e associazioni professionali, rappresentanze di interessi; - servizi assistenziali e socio-sanitari. Il partenariato educativo rappresenta uno strumento di cooperazione tra diverse istituzioni per la gestione dell’offerta formativa sul territorio e si pone inoltre come un’occasione di confronto di esperienze, d i approcci culturali e prospettive diversi, dunque, un’opportunità per favorire il processo di condivisione degli obiettivi da perseguire. Definendo strategie integrate, unendo le risorse a disposizione nella ricerca di lOMoARcPSD|3193911 Nel D.P.C.M. 7 giugno 1995 venne precisato fra i documenti di cui la scuola si doveva dotare vi era anche il cosiddetto Progetto educativo d’istituto il quale conteneva le scelte educative e organizzative delle risorse e costituiva un impegno per l’intera comunità scolastica. 2. Elaborazione e struttura del PTOF Tutte le scuole devono predisporre, entro il mese di ottobre dell’anno scolastico precedente al triennio di riferimento, il Piano triennale dell’offerta formativa. Il Piano è elaborato dal Collegio dei docenti, sulla base degli indirizzi e delle scelte di gestione e amministrazione definiti dal DS che a tal fine tiene conto, tra l’altro, delle proposte formulate dalle associazioni dei genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti. Il piano è approvato dal Consiglio di circolo o d'istituto e, come detto, è pubblicato sul sito della scuola. Gli ambiti di intervento del PTOF, in ottemperanza agli obiettivi formativi previsti dalla legge di riforma della Buona scuola, possono riguardare, oggi come in passato, aspetti fondamentali della vita dell’istituzione scolastica, e declinarsi in attività quali per esempio: - predisposizione del curricolo verticale, linguistico, matematico, tecnologico e digitale o altre priorità della scuola; - progettazione di attività didattiche curricolari ed extracurricolari in coerenza con i risultati di apprendimento degli alunni, con i contenuti e i traguardi fissati nelle indicazioni nazionali; - individuazione del fabbisogno dei posti comuni e di sostegno dell’organico dell’autonomia, dei posti per il potenziamento dell’offerta formativa, dei posti del personale ATA; - promozione di iniziative volte a contrastare le disuguaglianze socio-culturali e territoriali, l’abbandono e la dispersione scolastica al fine di determinare una scuola inclusiva; - pianificazione di attività che comportino concretamente lo sviluppo delle otto competenze chiave di cittadinanza così come indicate dalla Raccomandazione UE del 2006 e ora del 2018; - attuazione dei principi di pari opportunità sulla base di determinate iniziative educative programmate dell’istruzione scolastica, allo scopo di promuovere la parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e tutte le discriminazioni (co. 16 L. 107/2015). Le iniziative da incrementare con l’offerta formativa devono anche scaturire dalle risultanze del Rapporto di autovalutazione RAV di cui al D.P.R. 80/2013 e del relativo Piano di miglioramento che è allegato al Piano triennale dell’offerta formativa. Quanto alla struttura, il PTOF può articolarsi di 4 parti: 1) le fonti, in cui si descrivono la situazione dell’istituto, l’esperienza passata e le prospettive di sviluppo, si fa riferimento alla situazione locale, ai bisogni formativi e alle aspettative degli studenti, genitori e docenti; 2) le offerte e i programmi, si tratta della parte centrale e più qualificante del PTOF, quella che lo contraddistingue e che racchiude appunto le offerte e i programmi della scuola: la didattica, l’orario, il curricolo, l’integrazione, gli impegni relazionali; 3) il regolamento, ossia l’autoregolamentazione di cui la scuola si dota al fine di disciplinare i diritti e i doveri di docenti e alunni e il rapporto reciproco tra gli stessi e tra docenti e genitori; 4) la valutazione, nella quale vengono elencati i metodi, le modalità di verifica e le valutazioni delle presentazioni scelte al fine di verificare il grado di raggiungimento degli obiettivi ed evitare eventuali errori. 1.2 Le modifiche al PTOF Se durante l’anno emergono criticità, è possibile apportare al PTOF delle modifiche: queste possono essere apportate ogni anno entro il 30 ottobre. Le modifiche da apportare presuppongono: - l’analisi del RAV già predisposto e del relativo Piano di miglioramento; lOMoARcPSD|3193911 - l’analisi del programma annuale e la verifica del livello di attuazione dei progetti; - l’ascolto dei docenti, dei collaboratori, dei coordinatori dei progetti coinvolti dalle criticità; - lo studio dello stato delle attrezzature didattiche etc. 3. Gli obiettivi formativi del PTOF La Legge 107/2015 individua alcuni obiettivi formativi che le istituzioni scolastiche dell’autonomia possono inserire nel PTOF, potendo avvalersi a tal fine anche dell’organico potenziato (ora organico dell’autonomia). L’art. 1, co. 7 della legge n. 107 elenca alcuni possibili obiettivi formativi da inserire nel PTOF (indicati dalla legge come prioritari): a) valorizzazione e potenziamento delle competenze linguistiche, con particolare riferimento all’italiano nonché alla lingua inglese e ad altre lingue dell’Unione europea, anche mediante l’utilizzo della metodologia CLIL; b) potenziamento delle competenze matematico-logiche e scientifiche; c) potenziamento delle competenze nella pratica e nella cultura musicali, nell'arte e nella storia dell’arte mediante il coinvolgimento di musei; d) sviluppo delle competenze in materia di cittadinanza attiva e democratica attraverso la valorizzazione dell’educazione interculturale e alla pace, il rispetto delle differenze e il dialogo tra le culture; e) potenziamento delle conoscenze in materia giuridica ed economico-finanziaria; f) sviluppo di comportamenti responsabili →legalità, sostenibilità ambientale, patrimonio e attività culturali; g) alfabetizzazione all’arte, alle tecniche e ai media per la produzione di immagini; h) potenziamento delle discipline motorie con particolare attenzione all’alimentazione; i) sviluppo delle competenze digitali, con particolare riguardo al pensiero computazionale; j) potenziamento delle attività di laboratorio; k) prevenzione e contrasto di ogni forma di dispersione scolastica, di ogni forma di bullismo anche informatico; l) valorizzazione della scuola intesa come comunità attiva e aperta al territorio; m) apertura pomeridiana delle scuole e riduzione del numero di alunni e studenti per classe o per articolazioni di gruppi classe; n) incrementazione dell’alternanza scuola-lavoro nel secondo ciclo dell’istruzione; o) valorizzazione di percorsi formativi individualizzati; p) valorizzazione del merito; q) perfezionamento attraverso corsi e laboratori della lingua italiana per studenti non italiani da organizzare in collaborazione con enti locali; r) definizione di un sistema di orientamento. A differenza che per RAV e PDM, per il PTOF non esiste una forma prestabilita ciò per evitare la scuola di ingabbiarsi in parametri troppo rigidi, dunque il MIUR fornisce solo delle linee guida. Con nota 11-12-2015, n. 2805 il MIUR ha fornito alcune indicazioni operative e orientamenti per la redazione del PTOF, sempre nel rispetto dell’autonomia delle scuole, affinché lo stesso sia coerente con il procedimento di valutazione. Il PTOF deve essere coerente, innanzittutto, con l’autovalutazione, (il RAV) quindi contenere le stesse priorità, gli stessi obiettivi e gli stessi traguardi di processo, da realizzarsi anche attraverso forme di flessibilità didattica. Con la nota 16-10-2018, n. 17832, il MIUR ha indicato la procedura da seguire per rinnovare il PTOF al termine del primo triennio di vigenza e a valere per il triennio 2019/2022. A tal fine è stata predisposta un’apposita area applicativa SIDI, la piattaforma PTOF, per le istituzioni scolastiche che possono modificare il modello. La compilazione on line è facoltativa ma risponde all’esigenza di supportare lOMoARcPSD|3193911 le scuole con riferimenti comuni ai fini dell’autovalutazione del miglioramento, della progettualità triennale, della rendicontazione. Il documento compilato sul modello della piattaforma può essere stampato (PDF) e sottoposto alla delibera del Consiglio di istituto. 4. Il curricolo della scuola Nel PTOF le scuole determinano il curricolo obbligatorio per i propri alunni (art. 8 D.P.R. 275/1999) . Il curricolo è il percorso educativo didattico che la scuola, all’interno del suo PTOF, progetta e segue per garantire il successo formativo degli alunni, ossia per far conseguire gradualmente agli alunni gli obiettivi di apprendimento e le competenze specifiche delle varie discipline. Il curricolo è elaborato dal Collegio dei docenti, in sinergia con le famiglie e le componenti civili e sociali del territorio. Il curricolo può essere costruito in verticale per vedere come si articola gradualmente il percorso per raggiungere le mete che l’istituto propone ai suoi alunni, ma può essere visto anche in orizzontale tra le varie discipline per evitare la frammentazione dei saperi. L’adozione di un curricolo verticale un ‘indicazione degli allievi da 3 fino a 14 anni, unitaria e organica, organizzata per competenze chiave, articolate in abilità e conoscenze e riferito ai traguardi delle indicazioni nazionali. La scelta del curricolo è a discrezione della scuola che autonomamente può scegliere il percorso da seguire in funzione delle varie esigenze degli alunni che frequentano la scuola, delle competenze messe a disposizione e delle risorse presenti. Il curricolo è dunque il piano di studi della singola scuola che deve essere elaborato nel rispetto del monte-ore stabilito a livello nazionale. Può contemplare, oltre alle discipline fondamentali, discipline alternative integrative. In tal modo ogni scuola cerca di creare un’offerta formativa diversificata in funzione del tessuto sociale in cui opera. In ogni curricolo c’è una quota obbligatoria di attività e discipline stabilite a livello nazionale e una quota definita autonomamente /cd. riservata) da ogni istituto come ampliamento dell’offerta formativa (che comprende le discipline e le attività scelte liberamente dalle scuole). 4.1 La programmazione curricolare Ogni scuola predispone un curricolo rispettando le finalità, i traguardi per lo sviluppo delle competenze e gli obiettivi posti dalle Indicazioni nazionali: “nel rispetto e nella valorizzazione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, le indicazioni forniscono un quadro di riferimento per la progettazione curricolare affidata alle scuole” (Così recita l’incipit delle Indicazioni nazionali 2012 nel cap. L’organizzazione del curricolo). Dunque il curricolo si articola attraverso: - i campi di esperienza nella scuola dell’infanzia; - le discipline nella scuola del primo ciclo; - l’individuazione dei traguardi per lo sviluppo delle competenze, ossia ciò a cui tende l’azione educativa; - gli obiettivi di apprendimento, ossia le conoscenze e le abilità indispensabili al raggiungimento delle competenze attese. 5. Attività di programmazione nella scuola Una volta definito il curricolo, si avvia l’attività di programmazione della scuola che si esplica in tre momenti fondamentali: - la programmazione d’istituto, elaborato dal Consiglio d’istituto, che individua le finalità educative generali dopo aver acquisito tutte le informazioni provenienti dal contesto territoriale su cui si insedia la scuola, e le risorse interne a disposizione della stessa. Ad esempio: lOMoARcPSD|3193911 stato” si afferma che: “L’analisi e la verifica della preparazione di ciascun candidato tendono ad accertare le conoscenze generali e specifiche, le competenze in quanto possesso di abilità, anche di carattere applicativo, e le capacità elaborative, logiche e critiche acquisite”. Nella legge di riforma Berlinguer/De Mauro del 2000, le competenze diventano elementi fondanti tanto che all’art. 1 “Sistema educativo di istruzione e formazione” si legge: “(..) La Repubblica assicura a tutti pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali e di sviluppare le conoscenze, le capacità e le competenze, generali e di settore, coerenti con le attitudini e le scelte personali (...)”. La legge di riforma n. 53 del 2003, all’art. 2 “Sistema educativo di istruzione e formazione” ribadisce che: “E’ promosso l’apprendimento in tutto l’arco della vita e sono assicurate a tutti pari opportunità di raggiungere livelli culturali alti per un adeguato inserimento nella vita sociale e lavorativa (...)”. Nel profilo educativo, culturale e professionale dello studente (D.Lgs. 19 febbraio 2004, n. 59) vengono precisate le competenze che dovrebbe possedere uno studente alla fine del primo ciclo di istruzione. Un ragazzo è riconosciuto come competente quando utilizza tutte le conoscenze e le abilità apprese per: - esprimere un personale modo di essere e proporlo agli altri; - risolvere problemi che di volta in volta incontra; - riflettere sul proprio processo di crescita e saper chiedere aiuto quando occorre; - comprendere per il loro valore, la complessità dei sistemi simbolici e culturali; - maturare il senso del bello; - conferire senso alla vita. In seguito alla raccomandazione europea del 2006 le competenze sono definitivamente state recepite nel nostro ordinamento scolastico attraverso le indicazioni nazionali. 3. Le competenze chiave per l’apprendimento permanente (Racc. 18 dicembre 2006) L’Italia fa parte dell’Unione Europea e quindi pur avendo il compito di elaborare le proprie politiche, è soggetta alle indicazioni che l’Unione dà in materia di istruzione e formazione. I settori di istruzione e formazione non sono di competenza dell’Unione Europea ma questa fissa alcuni obiettivi comuni a tutti gli Stati membri, al fine di garantire un livello di ricerca e istruzione uniforme per tutti. Gli Stati, quindi, rimangono sovrani in materia di istruzione e formazione e l’Unione svolge prevalentemente un ruolo di sostegno alle politiche nazionali. Partendo dall’autonomia scolastica che caratterizza il nostro sistema di istruzione, a livello europeo essa riflette un processo che, avviato alla fine degli anni Ottanta, ha poi ricevuto un forte impulso dalla sottoscrizione del Trattato di Maastricht nel 1992, col quale venne stabilito che la Comunità Europea contribuisce all’incremento di una istruzione di qualità nel pieno rispetto delle diversità culturali degli Stati membri. L’art. 126 del TUE (Trattato sull’Unione europea) stabilisce infatti che “La comunità contribuisce allo sviluppo di un’istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra gli Stati membri, e se necessario sostenendo ed integrando la loro azione (...)”. Il miglioramento del livello formativo generale è stato successivamente ribadito in diversi orientamenti comunitari, fino al Vertice di Lisbona del 2000 (cd. Strategia di Lisbona) incentrato sull'evidenziazione degli obiettivi da raggiungere entro il 2010, tra i quali figuravano: - l’aumento della qualità e dell’offerta dei sistemi di istruzione e formazione; - la facilitazione dell’accesso ai sistemi di istruzione e formazione; - l’apertura dei sistemi di istruzione e formazione al mondo esterno, in particolare agli adulti (lifelong learning). Il 3 marzo 2010 la Commissione europea propose una nuova Strategia per l’Europa, denominata Europa 2020 che, approvata formalmente nel giugno 2010, rappresentava la prosecuzione della Strategia di Lisbona, ormai giunta al termine nel 2010. Europa 2020 è incentrata sugli ambiti elemento chiavo che lOMoARcPSD|3193911 possono migliorare la collaborazione tra UE e stati membri. In tale nuovo quadro strategico, la Commissione ha individuato tre motori di crescita dell’Europa: - crescita intelligente, promuovendo la conoscenza, l’informazione, l’istruzione e la società digitale; - crescita sostenibile, rendendo la produzione dell’Europa più efficiente sotto il profilo delle risorse; - crescita inclusiva, incentivando la partecipazione al mercato del lavoro, l’acquisizione di competenze e la lotta alla povertà. L’obiettivo della strategia di Lisbona del 2000 era quello di rendere entro il 2010 il sistema economico europeo basato sulla conoscenza, competitivo e dinamico. Per garantire a tutti l’accesso alle competenze base (conoscenze, abilità e attitudini) e favorire l’apprendimento continuo. Furono così definite le competenze chiave che ogni alunno deve raggiungere al termine del periodo obbligatorio di istruzione o di formazione, e che sono necessarie per la realizzazione e lo sviluppo della personalità, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione. Con la Raccomandazione del Parlamento e del Consiglio 18 dicembre 2006 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente (sostituita nel 2018 da una nuova Raccomandazione), l’Unione europea ha così invitato gli Stati membri a sviluppare, nell’ambito delle loro politiche educative, le strategie per assicurare che: - l’istruzione e la formazione iniziali offrano a tutti i giovani strumenti per sviluppare le competenze chiave a un livello tale che li preparino alla vita adulta e costituiscano la base per ulteriori occasioni di apprendimento; - si tenga debitamente conto di quei giovani che, a causa di svantaggi educativi determinati da circostanze personali, sociali, culturali o economiche, hanno bisogno di un sostegno particolare per la realizzazione delle loro potenzialità; - gli adulti siano in grado di sviluppare e aggiornare le loro competenze chiave in tutto il corso della vita (lifelong learning), con un’attenzione particolare per i gruppi di destinatari riconosciuti prioritari nel contesto nazionale, regionale e/locale. Le competenze chiave indicate dalla Raccomandazione 2006 sono 8 (le analizzeremo in comparazione con quelle del 2018 nel pr. 4): 1) comunicazione nella madrelingua 2) comunicazione nelle lingue straniere 3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia 4) competenza digitale 5) competenze sociali e civiche 6) imparare ad imparare 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità 8) consapevolezza ed espressione culturale L’Italia si è uniformata nel tempo alle istruzioni della Raccomandazione del 2006 nelle Indicazioni nazionali e Linee guida attualmente vigenti per tutti gli ordini e gradi di scuola, mentre la Commissione europea continua a portare avanti un lavoro di monitoraggio costante, per valutare i progressi che vengono fatti nella realizzazione degli obiettivi stabiliti a Lisbona. I risultati del monitoraggio vengono resi noti attraverso la pubblicazione di rapporti periodici. Ricordiamo che le raccomandazioni europee costituiscono (al contrario del regolamento e delle direttive UE) atti non vincolanti per gli Stati membri, ma sono finalizzate a sensibilizzare gli Stati ad adottare certi comportamenti considerati di interesse per l’intera comunità europea. Nonostante questo carattere non vincolante, stante l’importanza del tema, l’Italia da subito ha recepito nel proprio ordinamento gran parte dei contenuti della Raccomandazione europea del 2006, nelle Indicazioni nazionali. lOMoARcPSD|3193911 3.1 Le competenze chiave di cittadinanza In Italia le competenze precisate dalla Raccomandazione europea sono state, inoltre, richiamate nell’ambito del decreto 22 agosto 2007, n. 139 (Regolamento recante norme in materia di adempimento dell’obbligo di istruzione) che ha individuato le competenze chiave di cittadinanza che ogni cittadino dovrebbe possedere dopo aver assolto il dovere all’istruzione. Esse sono: - imparare ad imparare: appropriarsi del proprio metodo di studio; - progettare: sapersi dare obiettivi significativi e realistici; - comunicare: comprendere e produrre messaggi; - collaborare e partecipare: interagire con gli altri; - agire in modo autonomo e responsabile: riconoscere il valore delle regole; - risolvere problemi; - individuare collegamenti e relazioni; - acquisire e interpretare l’informazione. 4. La Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente del 2018 Il 22 maggio 2018 il Consiglio dell’Unione Europea ha adottato una nuova Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente: essa rinnova e sostituisce la precedente Raccomandazione del 2006. Anche questa Raccomandazione, in quanto atto non vincolante, fornisce agli Stati membri solo orientamenti. Gli Stati restano i soli responsabili dell’organizzazione del loro sistema di istruzione e dei contenuti dell’insegnamento. Tenendo conto delle profonde trasformazioni economiche, sociali e culturali degli ultimi anni nonché delle gravi difficoltà nello sviluppo delle competenze di base dei più giovani, il documento fa emergere una crescente necessità di maggiori competenze imprenditoriali, sociali e civiche. Parallelamente viene sottolineata l’importanza del sostegno al lavoro degli insegnanti, da realizzare attraverso diversi canali. Il Pilastro europeo dei diritti sociali, adottato dall’UE il 17 novembre 2017 durante il vertice di Goteborg, sancisce come suo primo principio che ogni persona ha diritto a un'istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente che consentono di partecipare pienamente alla società. Il documento afferma inoltre il diritto di ogni persona a un’assistenza tempestiva e su misura per migliorare le prospettive di occupazione o di attività autonoma, alla formazione e riqualificazione. Promuovere lo sviluppo delle competenze è quindi uno degli obiettivi della prospettiva di uno spazio europeo dell’istruzione che possa sfruttare a pieno le potenzialità rappresentate da istruzione e cultura quali forze propulsive per l’occupazione, la giustizia sociale e la cittadinanza attiva. Nel contempo, molte indagini nazionali indicano che una quota costantemente elevata di adolescenti e adulti dispone di competenze base insufficienti. Nel 2015 uno studente su cinque aveva gravi difficoltà nello sviluppo di competenze sufficienti in lettura, matematica e scienze (OCSE indagine PISA 2015). In alcuni Paesi fino a un terzo degli adulti possiedono competenze alfabetiche e aritmetico.matematiche solo ai livelli più bassi. Il 44% della popolazione dell’Unione possiede competenze digitali scarse, e il 19% nulle. E’ pertanto diventato più importante che mai per l’UE investire nelle competenze di base né deve sorprendere che l’UE dopo poco più di un decennio abbia voluto rivedere il quadro di riferimento delle competenze chiave del 2006: una società sempre più mobile e digitale deve sempre esplorare nuove forme di apprendimento., abilità quali pensiero critico, risoluzione di problemi, creatività, cooperazione etc. In questo contesto sociale dinamico anche le competenze devono essere tali e non statiche. In un mondo in rapido cambiamento ed estremamente interconnesso, ogni persona avrà la necessità di possedere un ampio spettro di abilità e competenze che dovrà sviluppare ininterrottamente nel corso della sua vita. 4.1 Le nuove Competenze chiave lOMoARcPSD|3193911 - attività di insegnamento in senso stretto; - attività funzionali all’insegnamento, come ad esempio la preparazione delle lezioni e delle esercitazioni; la correzione degli elaborati ecc; - attività aggiuntive→ Sono quelle prestate in aggiunta all’orario di lavoro obbligatorio, per realizzare attività previste dal PTOF. Queste ultime sono sempre volontarie e vengono retribuite con le risorse del Fondo di istituto. La legge prevede alcune situazioni d’incompatibilità tra la funzione docente e altre attività: - divieto di impartire lezioni private ad alunni della propria scuola o istituto o a quanti intendono sostenere esami nell’istituto in cui i docenti prestano la loro attività; - cumulo di impieghi →l’ufficio di docente non è cumulabile con altro rapporto di impiego pubblico. 1.1 Il nuovo contratto collettivo per il comparto “Istruzione e ricerca” Con l’accordo raggiunto tra ARAN e sindacati (C.C.N.Q. 15-7-2016), è stata data attuazione alla disposizione introdotta dalla riforma Brunetta del 2009 di riduzione dei comparti di contrattazione collettiva nazionale in quattro aree. Le nuove aree sono: Funzioni centrali, Funzioni locali, Istruzione e ricerca, Sanità. In data 19 aprile 2018 è stato firmato il CCNL relativo al personale del Comparto Istruzione e ricerca per il triennio 2016-2018. Con la riduzione dei comparti di contrattazione, la scuola è confluita nel comparto Istruzione e ricerca che racchiude anche i precedenti comparti: Enti di ricerca, Università, Accademie e conservatori. Il relativo contratto collettivo nazionale, firmato il 19 aprile 2018, dopo un’attesa durata anni, presenta dunque, un’articolazione diversa rispetto ai precedenti: - una parte comune, valida per tutte le sezioni; - una sezione scuola che disciplina docenti, educatori, personale ATA; - una sezione Università e Aziende ospedaliero-universitarie che disciplina dirigenti, elevate professionalità e personale amministrativo; - una sezione ricerca che disciplina personale amministrativo e tecnico, tecnologi e ricercatori di 21 enti; - una sezione AFAM che disciplina direttori, docenti, coordinatori, assistenti, coadiutori. L’art. 1 del CCNL, infatti, al co. 10, chiarisce che, per gli aspetti non trattati nel nuovo contratto, restano valide le disposizioni contrattuali previste nel precedente CCNL. La chiave di lettura del nuovo contratto risiede nella previsione contenuta nel nuovo art. 2, co. 2, D.Lgs. 165/2001, come modificato dal D.Lgs. 75/2017, in base al quale ogni norma di legge o regolamento, o di contratto precedente, può essere modificato dal contratto nelle materie che sono oggetto di contrattazione. Ciò vale anche per la L. 107/2015 nonostante il fatto che essa preveda espressamente la sua inderogabilità. Dunque la contrattazione nazionale diviene la sede naturale per la disciplina del rapporto di lavoro. Emerge il concetto di scuola come comunità educante di dialogo, di ricerca, di esperienza sociale, improntata ai valori democratici, il cui valore è determinato anche dalla partecipazione delle sue componenti→il nuovo sistema delle relazioni sindacali è improntato alla massima partecipazione e dialogo possibili. 2. Reclutamento del personale docente lOMoARcPSD|3193911 Come per tutti gli impieghi pubblici, il concorso costituisce l’ordinario metodo di reclutamento dei docenti (art. 97 Cost.). In passato, non sempre per insegnare era richiesto il superamento di un concorso. Con il solo possesso del titolo di studio si poteva chiedere di essere inclusi nelle graduatorie d’istituto di III fascia, che vengono tuttora utilizzate dalle scuole per l’assunzione dei supplenti in sostituzione dei docenti assenti. La disciplina del percorso formativo per diventare insegnanti, così come previsto nel sistema della Buona scuola è la seguente: - per la scuola dell’infanzia e per la scuola primaria, è richiesto un corso di laurea magistrale quinquennale a ciclo unico e il superamento del concorso. Per infanzia e primaria valgono sempre i titoli di cui alla legge 341/1990: possono partecipare ai concorsi a cattedra i laureati in Scienze della Formazione. Possono partecipare anche i diplomati degli Istituti Magistrali e Scuole Magistrali entro il 2001/2002. - per la scuola secondaria di primo e secondo grado, è previsto un corso di laurea (integrato da 24 CFU) e il superamento di un successivo concorso. Il sistema di reclutamento dei docenti delle secondarie è stato radicalmente riformato dal D.Lgs. 59/2017 di attuazione della Buona scuola. Il cit. D.Lgs. 13 aprile 2017, n. 59, contenente le nuove regole del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria, suddivide nelle seguenti fasi il percorso per diventare docenti di posto comune e di sostegno nella scuola secondaria di I e II grado: - il conseguimento della laurea nelle discipline specifiche (il corso di laurea, come detto, deve essere integrato da 24 CFU il cui conseguimento è disciplinato dal D.M. 10 agosto 2017, n. 616); - concorso pubblico nazionale, indetto su base regionale o interregionale. Il superamento del concorso permette l’accesso a un successivo percorso di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione docente (FIT), differente fra posti comuni e di sostegno, che ha durata triennale, con prove di verifica intermedie e finali; - accesso ai ruoli a tempo indeterminato, dopo il superamento delle valutazioni intermedie e finali del FIT. 3. Il contratto di lavoro e il periodo di formazione e di prova Il rapporto di lavoro del docente è regolato contrattualmente in forma scritta, di un contratto individuale di lavoro, a tempo pieno o a tempo parziale, nel quale sono indicati: - tipologia del rapporto di lavoro; - data d’inizio; - data di cessazione del rapporto di lavoro per il personale a tempo determinato, salvo risoluzione automatica del rapporto, senza preavviso, in caso di rientro anticipato del titolare; - qualifica di inquadramento professionale e livello retributivo iniziale; - compiti e mansioni corrispondenti alla qualifica di assunzione; - durata del periodo di prova, per il personale a tempo indeterminato; - sede di prima destinazione, ancorché provvisoria, dell’attività lavorativa; - condizioni risolutive del rapporto di lavoro. il Dirigente scolastico provvede alla stipula e alla sottoscrizione dei contratti per l’assunzione di personale di ruolo e non di ruolo. Si può dunque affermare, in estrema sintesi, che il Dirigente scolastico è datore di lavoro nella gestione del personale, nelle fasi che vanno dalla costituzione fino alla risoluzione del rapporto lavorativo. 3.1 La certificazione anti pedofilia lOMoARcPSD|3193911 Prima di stipulare un contratto di lavoro che preveda lo svolgimento di attività professionali a stretto contatto con i minori, il datore di lavoro è tenuto obbligatoriamente a richiedere un certificato anti pedofilia. La normativa di riferimento è contenuta nel D.Lgs. 39/2014.Tale prescrizione trova applicazione anche per le assunzioni del personale della scuola, sia docente che ATA. Traslando questo adempimento alla dimensione scolastica, pertanto, sarà obbligatorio presentare tale certificato al momento dell’assunzione. 3.2 Il periodo di formazione e prova Per quanto concerne la formazione in ingresso, il personale docente ed educativo si intende confermato in servizio ed immesso in ruolo solo all’esito del superamento del periodo di formazione e prova, subordinato allo svolgimento del servizio effettivamente prestato per un periodo di almeno 180 giorni, di cui almeno 120 in attività didattiche (commi 115 e ss. L. 107/2015 e D.M. 850/2015). Il Dirigente scolastico affida ogni neo-assunto ad un altro docente al quale sono attribuite funzioni di «tutor» (art. 1, co. 117, L. 107/2015) nell’attività di formazione. Il docente tutor, ai sensi del D.M. 27-10-2015, n. 850 di attuazione del co. 118 della Buona scuola, è designato dal Dirigente scolastico. Il suo ruolo emerge al termine del periodo di prova, quando esprime il suo parere sul docente al Dirigente, ma la sua azione è rilevante soprattutto nel dispiegarsi dell’anno scolastico durante il quale la sua funzione è la supervisione e il tutoraggio del docente affidatogli. Lo scopo del periodo di prova è quello di verificare la padronanza degli standard professionali e delle competenze culturali e relazionali dei neo-assunti. Il tutor lavora preferibilmente nello stesso plesso del docente e non può avere più di tre docenti affidatigli. La programmazione didattica e metodologica del docente viene da lui condivisa con il tutor che preferibilmente appartiene alla stessa classe di concorso del docente. Al termine dell’anno di formazione e prova, nel periodo intercorrente tra la fine delle attività didattiche e la conclusione dell’anno scolastico, il Dirigente scolastico, sentito il parere del Comitato di valutazione (obbligatorio ma non vincolante), esprime la valutazione, positiva o negativa, sul periodo di formazione e prova: a) in caso di valutazione positiva, il DS emette provvedimento motivato di conferma in ruolo; b) in caso di valutazione negativa, il personale docente ed educativo è sottoposto ad un secondo periodo di formazione e di prova, che però non è rinnovabile (art. 1, co. 119, L. 107/2015) individua, inoltre, i criteri per valutare i docenti in prova. Si ricordi, inoltre, che nel corso del periodo di formazione il docente neo-assunto deve predisporre un proprio portfolio professionale, in formato digitale, in cui dovrà elaborare un proprio bilancio delle competenze e documentare le proprie attività. 4. La mobilità 4.1 Definizione Con l’espressione «mobilità» si fa riferimento ad una serie di cambiamenti suscettibili di aver luogo all’interno del rapporto di lavoro. Si pensi, in particolare, al passaggio di un singolo lavoratore da un ente ad un altro, all’interno di una medesima amministrazione — mobilità individuale —, disciplinata per il pubblico impiego in generale dall’art. 30 D.Lgs. 165/2001). 4.2 Mobilità territoriale, professionale e intercompartimentale Nella scuola, la mobilità è disciplinata dalla contrattazione collettiva nazionale relativa al comparto scuola con la quale sono stati fissati i principi generali sulla mobilità territoriale e professionale (art. 10, CCNL lOMoARcPSD|3193911 8. I diritti sindacali. Il diritto di sciopero Il docente ha il diritto di partecipare, durante l’orario lavorativo (e senza perdere la retribuzione), alle assemblee sindacali, concordate con il datore di lavoro: in un anno scolastico, per ciascun docente, il numero totale è di 10 ore (2 ore per ogni assemblea) e non più di due al mese. Le assemblee sindacali sono disciplinate dalla contrattazione collettiva nazionale (art. 23 CCNL 2016-2018). Il docente medesimo, inoltre, ha il diritto di sciopero (art. 40 Cost.) fatti salvi i servizi pubblici essenziali (L. 146/1990, modif. dalla L. 83/2000) che devono essere sempre assicurati. Non sono possibili scioperi a tempo interminato; in ogni caso, gli scioperi medesimi, con particolare riferimento alle attività d’insegnamento e a quelle relative al funzionamento in generale della scuola, non possono avere una durata superiore a: - 8 giorni per ciascun anno scolastico (40 ore individuali): nelle scuole materne ed elementari; - 12 giorni di anno scolastico (60 ore individuali) nelle altre scuole o negli altri istituti d’istruzione; - due giorni consecutivi. 9. La cessazione del rapporto d’impiego Il rapporto d’impiego del personale docente della scuola cessa a seguito di: - collocamento a riposo per limiti di età; - risoluzione consensuale: la risoluzione consensuale avviene con la presentazione delle dimissioni, che decorrono normalmente al primo settembre successivo a quello in cui sono state presentate; - decadenza: può essere disposta nei casi di mancata cessazione della situazione di incompatibilità trascorsi 15 giorni dalla diffida; mancata assunzione o riassunzione in servizio, senza giustificato motivo nel termine prefissato; assenze ingiustificate dal servizio per un periodo non inferiore a 15 giorni; conseguimento dell’impiego mediante produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile; perdita della cittadinanza italiana; accettazione di incarichi o missione all’estero senza autorizzazione; - dispensa dal servizio, che può essere pronunciata per inidoneità fisica, incapacità persistente, insufficiente rendimento. Si tenga presente, tuttavia, che il personale cessato dal servizio per dimissioni, per collocamento a riposo o per decadenza dall’impiego, può essere riammesso in servizio con provvedimento del dirigente scolastico regionale. 10. Le supplenze del personale docente Nel caso in cui non sia possibile assegnare alle cattedre e ai posti disponibili personale di ruolo, le istituzioni scolastiche provvedono ad individuare i docenti per le classi ricorrendo all’istituto delle supplenze. La disciplina delle supplenze è dettata da un apposito Regolamento (D.M. 131/2007) che indica quali posti coprire con le supplenze che durano fino al 31 agosto (cd. supplenze annuali) e quali con le supplenze fino al 30 giugno, cioè fino al termine delle attività didattiche. Le supplenze annuali coprono il periodo che va dal 1° settembre al 31 agosto e sono utilizzate per la copertura delle cattedre e dei posti vacanti, cioè privi di titolare, che rimangono, ad esempio, dai trasferimenti. I contratti fino al 30 giugno vengono utilizzati per la copertura delle cattedre e dei posti non vacanti, cioè coperti da titolari in servizio altrove ma comunque per tutta la durata dell’anno scolastico, fino al 30 giugno. La differenza tra una supplenza annuale ed un contratto fino al 30 giugno è in primo luogo di tipo economico; un’altra differenza è data dalla monetizzazione delle ferie. lOMoARcPSD|3193911 Per l’attribuzione delle supplenze annuali, si utilizzano le graduatorie ad esaurimento (gli elenchi provinciali di docenti abilitati che si sono formati nel corso degli anni, ancora valide fino al loro definitivo esaurimento). Gli incarichi su tutti i posti vacanti o di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell’anno scolastico (supplenze annuali e fino al 30 giugno), sono conferiti dall’Ufficio Scolastico Territoriale competente utilizzando le graduatorie ad esaurimento di cui all’art. 2 del D.M. 131/2007. In questo caso, cioè, se scorrendo la graduatoria ad esaurimento la cattedra continua ad essere scoperta, si può ricorrere alle graduatorie di istituto: qui la competenza passa ai Dirigenti scolastici i quali per la copertura di tali posti dovranno utilizzare le graduatorie di istituto (a partire dalla prima fascia) della scuola ove si verifica la disponibilità. Le graduatorie di istituto sono elenchi costituiti presso ogni istituto scolastico e hanno validità triennale (l’aggiornamento avviene su domanda dei docenti e l’ultimo è stato previsto per il triennio 2017-2020 con il D.M. 374/2017). Le graduatorie di istituto sono articolate in tre fasce: - la prima fascia comprende i docenti iscritti nelle graduatorie ad esaurimento per il medesimo posto o classe di concorso cui si riferisce la graduatoria di istituto; - la seconda fascia comprende i docenti in possesso di abilitazione ma non iscritti nelle graduatorie ad esaurimento; - la terza fascia comprende gli aspiranti docenti di scuola secondaria di primo e secondo grado non abilitati, in possesso del titolo di studio valido per l’accesso all’insegnamento. Il Dirigente scolastico quindi può attingere dalle graduatorie di istituto per le supplenze annuali e per le supplenze fino al termine delle attività didattiche per posti che non sia stato possibile coprire con il personale incluso nelle graduatorie ad esaurimento. La Buona scuola aveva introdotto il limite massimo dei 36 mesi per la copertura dei posti vacanti e disponibili del personale docente ed amministrativo (art. 1, co. 131, L. 107/2015). → La disposizione del 2015 era stata introdotta al fine di recepire la pronuncia della Corte di giustizia europea del 26 novembre 2014 (cosiddetta sentenza Mascolo) con la quale la giurisprudenza europea aveva dichiarato incompatibile con le norme dell’UE l’assenza di un limite massimo di durata dei rapporti a termine nella scuola, senza fissare tempi certi per i concorsi pubblici, condannando di conseguenza lo Stato italiano a risarcire il danno al personale di fatto ormai precarizzato. Infine, la Corte costituzionale (sentenza 187/2016) ha ribadito l’illegittimità delle norme nazionali. Nel 2018 il limite massimo di durata dei contratti a termine nella scuola introdotto con la Buona scuola è stato rimosso con l’articolo 4bis D.L. 87/2018, consentendo di fatto la prosecuzione dei contratti a tempo determinato anche oltre i 36 mesi, creando una disparità con il settore privato per il quale il decreto citato prevede invece, il limite della durata massima dei contratti a termine di 12 mesi, fatta eccezione per i casi di allungamento sino a 24 mesi qualora ricorrano esigenze particolari. Inoltre, dalle graduatorie di istituto vengono assegnate anche le supplenze brevi per far fronte alla sostituzione del titolare assente ad esempio, per malattia, per maternità e così via, oppure per posti che si sono resi disponibili dopo il 31 dicembre. Il Dirigente scolastico ha anche un’altra possibilità: con il co. 85, art. 1, della L. 107/2015, si è previsto che il Dirigente scolastico possa effettuare sostituzioni di docenti assenti per la copertura di supplenze temporanee fino a dieci giorni con personale dell’organico dell’autonomia che, ove impiegato in gradi di istruzione inferiore, conserva il trattamento stipendiale del grado di istruzione di appartenenza. La sostituzione tramite un docente dell’organico dell’autonomia di un collega temporaneamente assente, però, incontra il limite temporale dei dieci giorni: a partire dall’undicesimo giorno si deve fare ricorso alla supplenza. 11. Bonus docenti lOMoARcPSD|3193911 Dirigenti scolastici, in quanto datori di lavoro, operano un’attività di valutazione sul personale docente: in questa prospettiva, la Buona scuola introduce l’assegnazione del bonus ai docenti da parte del Dirigente scolastico. Si tratta di una forma di retribuzione accessoria (dunque sottoposta alla corrispondente tassazione) mirata a valorizzare il merito dei docenti di ruolo. Il Dirigente scolastico, sulla base dei criteri individuati dal Comitato per la valutazione dei docenti, assegna annualmente al personale docente una somma (bonus) del fondo destinato alla valorizzazione del merito del personale docente istituito presso il MIUR (co. 127, L. 107/2015). Il Comitato individua i criteri facendo riferimento a: - qualità dell’insegnamento; - risultati ottenuti dai docenti; - responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo. In base ai suddetti criteri e con motivata valutazione il Dirigente scolastico individuerà discrezionalmente i docenti cui attribuire il premio. I diritti dei bambini nella Costituzione e nelle Carte Internazionali 1. Scuola ed educazione nella costituzione italiana 1.1. Costituzione e organizzazione statale dell’istruzione In rapporto all’organizzazione statale i principi fondamentali sono: 1) l’insegnamento è libero; 2) la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione; 3) il sistema scolastico è pluralistico; 4) la scuola è aperta a tutti→ articolo 34; 5) l’istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita; 6) è garantito il diritto allo studio, in applicazione dell’art. 3, 2° comma. 1.2 Costituzione e ordinamento familiare In relazione all’ordinamento familiare i principi fondamentali sono, invece: 1. i genitori hanno il diritto di educare e di istruire i figli (art. 29, 1° e 2° comma; art. 30, 1° e 2° comma; a norma di quest’ultimo articolo, i figli nati fuori dal matrimonio sono equiparati a quelli legittimi per quanto riguarda il diritto-dovere dei genitori di assicurare l’educazione e l’istruzione necessarie); 2. è garantita ai genitori la scelta della scuola per i figli; 3. sono assicurate alle famiglie bisognose le provvidenze necessarie per l’educazione e l’istruzione dei figli; 4. gli inabili e i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale (art. 38 Cost.). 2. Diritti dei bambini e delle bambine nelle Carte internazionali Nella storia dei diritti umani possiamo individuare quattro fasi: - la prima di riconoscimento dei «diritti umani classici» con l’affermazione dei diritti di difesa contro uno Stato autoritario e paternalistico; lOMoARcPSD|3193911 paragrafo 2), sancisce il divieto di qualsiasi forma di discriminazione fondata sull’età (art. 21) nonché il divieto di sfruttamento del lavoro minorile (art. 32). - il Trattato di Lisbona (entrato in vigore il 1° dicemnre 2009) ha introdotto importanti cambiamenti istituzionali, procedurali e costituzionali nell’UE modificando il TUE e il precedente Trattato che istituisce la Comunità europea, ora «Trattato sul funzionamento dell’Unione europea», TFUE). - gli «Orientamenti dell’UE in materia di promozione e tutela dei diritti del bambino» (10 dicembre 2007) sanciscono la definitiva integrazione dei diritti dei minori in tutte le attività svolte dall’UE con i Paesi terzi. Analogamente, nel 2011 la Commissione ha adottato il Programma UE per i diritti dei minori, che delinea le principali priorità per lo sviluppo della legislazione e della politica sui diritti dei minori negli Stati membri dell’UE. lOMoARcPSD|3193911 SEZIONE II – LA NORMATIVA SULL’INCLUSIONE Capitolo 1: La normativa sull’integrazione degli alunni disabili: storia ed evoluzione 1. Dall’integrazione all’inclusione Nel linguaggio comune spesso si tende ad usare i termini integrazione e inclusione, in riferimento al mondo della scuola, come sinonimi. In realtà, possiamo dire che l’integrazione è un concetto superato, anche se innovatore rispetto all’impostazione originaria che riteneva che i disabili dovessero seguire percorsi di istruzione separati da quelli ordinari. Esso fa riferimento, infatti, a un modello risalente agli anni ‘70 in cui si incentivava l’inserimento del disabile in una classe comune, in una classe però pensata per alunni normodotati. Nel 2009 in seguito ad alcuni interventi normativi, si è passati al concetto di inclusione: non è l’alunno con problemi che deve ‘integrarsi’ all’interno di una classe di normodotati, ma è la scuola, la classe che deve includerlo, accoglierlo, rimodellando il suo stesso approccio didattico e valorizzando la diversità che diventa risorsa anche per il gruppo. Le sole norme però non bastavano a risolvere il problema dell’inclusione che investe la sfera della didattica ma anche quella psicopedagogica, antropologica, e culturale. Essa richiede un impegno faticoso, in cui la posta in gioco non è solo la convivenza di soggetti diversi l’uno dall’altro, ma la progressiva capacità di intendersi, condividere progetti, coltivare speranze comuni. Per parlare di inclusione è necessario il riconoscimento e il rispetto di attitudini personali, di storie e di tradizioni. L’inclusione degli allievi stranieri, per esempio, potrebbe essere per la scuola una preziosa occasione per mettere a confronto storie diverse, recuperare il senso della nostra memoria e di quella altrui. Ad una società segnata da una molteplicità di significati e dall’indebolimento dei valori tradizionali, dovrebbe far riscontro una scuola che faccia riscoprire alle nuove generazioni innanzitutto il senso della memoria, vale a dire quel patrimonio simbolico, ricco di significati, elaborato dalle generazioni precedenti, che pur non essendo più presente, costituisce tuttavia un elemento fondante ed integrante del tessuto delle relazioni sociali. Sappiamo infatti che una persona, una comunità cresce e si sviluppa se sa raccontare la sua storia. Storia in senso proprio. Storia che non serve per conoscere soltanto il passato, ma per indirizzare il presente verso il futuro caratterizzato da evoluzione e apertura. Partire dalla propria storia non significa solo dire chi siamo stati e capire chi siamo adesso, definire il proprio sé, ma anche ricavare dall’intreccio biografico di esperienze passate e presenti i segni che ci indichino quali sono le nostre attitudini e quali direzioni intraprendere. Solo se siamo consapevoli della nostra storia, potremo confrontarci ed accogliere altre storie collettive, altre esperienze culturali, nella prospettiva della valorizzazione del diverso. Ciò richiede per i docenti un profondo cambiamento di stile e di comportamento e una precisa capacità di progettare percorsi formativi in stretta collaborazione con tutti coloro che sono responsabili dell’educazione dei giovani, famiglie, territorio, enti locali, sviluppando una struttura formativa sistemica in cui tutti i soggetti preposti alla formazione dei giovani si configurino come decentrati, proiettati cioè verso un altro diverso da sé. La scuola così diviene il luogo in cui si creano le basi motivazionali e strumentali per costruire un processo evolutivo continuo, in modo che la conoscenza dia un vero significato al vivere e all’agire umano. 2. L’integrazione scolastica in Italia L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità è un processo avviato da oltre trent’anni, radicato nella scuola italiana e dinamico perché necessita di continui interventi di riprogettazione finalizzati all’adeguamento di casi sempre diversi. L’idea di una “scuola aperta a tutti” nasce in Italia negli anni che seguono la contestazione giovanile del 1968, quando in Europa i movimenti studenteschi diedero vita ad accese manifestazioni, che misero in discussione il mondo sociale, politico, culturale e il sistema dell’istruzione. In Italia il primo obiettivo contro cui si scagliava la protesta studentesca era la scuola, istituzione che rifletteva le profonde differenze sociali del mondo borghese. L’impegno politico fu una lOMoARcPSD|3193911 caratteristica costante degli studenti, così come la ricerca dei modi per esprimere la propria “diversità” dal mondo degli adulti. Le lotte studentesche (che si riaccesero negli anni successivi con movimenti come “i ragazzi dell'85” o la “Pantera” del ‘90) comunque diedero una spallata alle arretrate strutture scolastiche e universitarie e sensibilizzarono la collettività nei confronti di alcune contraddizioni di fondo della società occidentale, contribuendo a modificare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni. In tale contesto, alcuni pedagogisti e insegnanti si posero il problema che la scuola democratica e accessibile a tutti i componenti della società dovesse esserlo soprattutto per gli alunni svantaggiati, e ai disabili, fino a quel momento relegati nelle scuole speciali. 2.1 Dall’insegnamento all’integrazione: la L. 118/1971 Con la L. 30 marzo 1971, n. 118, di conversione del D.L. 5/1971, si introduce per la prima volta il principio secondo il quale per i minori invalidi civili l’istruzione obbligatoria debba avvenire nelle classi normali della scuola pubblica, salvi i casi di gravi deficienze intellettuali o menomazioni fisiche tali da impedirne l’inserimento (art.28). L’art. 28 della L. 118/1971 si pone così come presupposto normativo per l’inserimento scolastico degli alunni portatori di qualsiasi tipo di handicap, con le eccezioni già citate, nella scuola elementare e nella media. Si interrompeva così per la prima volta quel ciclo di norme che riguardavano le categorie via via diverse di invalidità, così da far entrare questi alunni in classi comuni. L’applicazione di questa norma si estende anche alle scuole superiori e universitarie, per le quali si dispone che la frequenza degli alunni invalidi e mutilati civili debba essere facilitata, e agli istituti scolastici del doposcuola. La definizione di invalidi e mutilati civili è contenuta nell’art. 2 del comma 2: “Cittadini affetti da minoranze congenite o acquisite, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico e dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e da funzioni che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo o, se minori di anni 18, che abbiano difficoltà presenti a svolgere compiti e le funzioni della propria età.” L’art. 28, al comma 1, contiene inoltre delle misure per garantire la frequenza scolastica degli alunni non autosufficienti: a) il trasporto gratuito dalla propria abitazione alla sede della scuola o del corso e viceversa, a carico dei patronati scolastici o dei consorzi dei patronati scolastici o degli enti gestori dei corsi; b) l’accesso alla scuola mediante adatti accorgimenti per il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche che ne impediscono la frequenza; c) l’assistenza durante gli orari scolastici degli invalidi più gravi; sono previste anche ulteriori misure dirette ad assicurare il diritto allo studio per minori con handicap nei centri di degenza e recupero (art.29). 2.2 Il documento Falcucci (1975) Il testo che racchiude l’essenza della filosofia dell’integrazione scolastica e che apre la strada alla frequenza degli alunni disabili nelle classi comuni è il cd. Documento Falcucci del 1975. Tale importante testo, nella forma della “Relazione conclusiva della Commissione Falcucci” sui problemi degli alunni handicappati, fu allegato alla C.M. 8 agosto 1975, n. 227, “Interventi a favore degli alunni handicappati”, al fine di garantire una sua più ampia diffusione e condivisione da parte di tutto il personale scolastico. La circolare 227/1975 è stata la prima delle circolari seguite nel 1976 e 1977, più dettagliate, a recepire le disposizioni introdotte dalla L. 118/1971. Nello stesso documento si parlava per la prima volta di Progetto educativo, un modello di insegnamento che superava il concetto dell’unicità del rapporto insegnante-classe attribuendo a un gruppo di insegnanti interagenti la responsabilità globale verso un gruppo di alunni, con la conseguente necessità di programmare, attuare e verificare il progetto educativo, servendosi anche della collaborazione degli specialisti. Resta ferma la responsabilità giuridica, nei confronti dei singoli alunni, degli insegnanti ai quali essi si sono affidati nei diversi tempi scolastici. Il superamento del rapporto dualistico prevede, per la lOMoARcPSD|3193911 prefigurata dall’art. 21 L. 59/1997 ed attuata con il D.P.R. 275/1999, è stato introdotto il principio della flessibilità oraria dei docenti e, parallelamente, il concetto di autonomia progettuale della formazione, come garanzia del pluralismo culturale e di libertà di insegnamento. Le attività contenute nel P.O.F. (oggi P.T.O.F.) sono dirette anche ad includere progetti per gli alunni con handicap ai quali l’istituzione scolastica ha l’obbligo di garantire adeguate possibilità di istruzione ed educazione al fine della completa integrazione. Sulla base delle scelte dei progetti educativi per alunni portatori di handicap vengono poi attivati appositi gruppi di lavoro, composti da docenti, insegnanti di sostegno, genitori e operatori della ASL che partecipano alla definizione delle modalità di integrazione dell’alunno e degli strumenti più adatti alle caratteristiche del caso. 4. La L.18/2009 e le Linee guida per l’integrazione degli alunni disabili Nel 2009, a seguito della Legge n. 18 di ratifica della Convenzione ONU approvata il 25 agosto 2006, sono state emanate le Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità nella Nota MIUR 4 agosto 2009, n. 4274. La scuola italiana si caratterizza per il fatto che il diritto allo studio degli alunni ‘disabili’ prevede prima di tutto il loro diretto inserimento nella vita scolastica, stabilendo misure di accompagnamento alle quali concorrono a livello territoriale, nel riparto di competenze, oltre allo Stato anche gli enti locali e il Servizio sanitario nazionale. Il documento richiama esplicitamente la Convenzione ONU e ripercorre le tappe della legislazione italiana in materia di integrazione scolastica, fissandone i principi, presenti sia nell’ordinamento italiano che in quello internazionale. Nel prosieguo del testo, le Linee guida affrontano la pratica della vita scolastica, riconoscendo la responsabilità educativa di tutto il personale scolastico e ribadendo la necessità della progettazione individualizzata corretta e puntuale, in accordo con ASL, enti locali, e famiglie. Si approfondisce, inoltre, in merito alla dimensione inclusiva della scuola, l’aspetto organizzativo, compito prevalentemente del DS, l’aspetto didattico che spetta ai docenti del consiglio di classe, quello più strettamente operativo dei collaboratori scolastici e il contributo partecipativo delle famiglie. Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità A seguito di insistenti richieste delle Associazioni, il Ministero dell’Istruzione ha emanato con la Nota del 4 agosto 2009, le Linee-guida sull’integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Il corposo documento, di quasi 20 pagine, si compone di una premessa e tre parti. Prima parte: “Il nuovo scenario: il contesto come risorsa” Racconta sinteticamente lo sviluppo della normativa italiana in materia di inclusione scolastica, evidenziando l’importanza della L. n° 517/77 e della Sentenza della Corte costituzionale n. 215/87, nonché della Legge-quadro n. 104/92 sino alla L. n° 296/06 che esplicita il diritto al rispetto delle “effettive esigenze” dei singoli alunni con disabilità. È interessante notare come questa normativa venga riletta alla luce sia del nuovo principio costituzionale dell’autonomia scolastica, sia della Convenzione mondiale sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dall’Italia con la L. n° 18/09, sia degli ICF, i nuovi criteri di valutazione del funzionamento del corpo umano nel contesto socioambientale, che hanno superato la unilaterale visione sanitaria della disabilità a seguito di un approccio biopsicosociale, che viene proposto a tutti gli operatori della scuola (vedi scheda n° 255. L’Intesa Stato-Regioni del 2008 per l’accoglienza scolastica e la presa in carico degli alunni con disabilità). Seconda parte: “L’organizzazione” Ricolloca l’integrazione nel nuovo quadro del decentramento del Ministero agli Uffici Scolastici Regionali, proponendo la costituzione di Gruppi di lavoro interistituzionali regionali per coordinare i Gruppi provinciali e possibili nuovi gruppi a livello di piani di zona. lOMoARcPSD|3193911 Terza parte: “Ruolo inclusivo della scuola” È ancor più interessante, perché scende più in dettaglio sui compiti organizzativi prevalenti del Dirigente scolastico, su quelli didattici di tutti i docenti del consiglio di classe, su quelli operativi dei collaboratori e delle collaboratrici scolastiche e su quello partecipativo della famiglia. Il documento si dilunga opportunamente sul ruolo strategico del Dirigente scolastico del quale si ribadiscono i compiti fondamentali, e cioè: della formazione delle classi, della costituzione del Gruppo di lavoro di Istituto (GLHI), di cui all’art. 15, comma 2 della L. n° 104/92, dei Gruppi di lavoro sui singoli casi (GLHO), di cui all’art. 12, comma 5, della L. n° 104/92, dell’organizzazione dell’aggiornamento di tutto il personale operante nella scuola per l’integrazione, anche alla luce della Nota Ministeriale prot. n° 4798/05, della stipula di accordi di programma a livello di piani di zona. Il testo scende in maggiori approfondimenti per ambiti fondamentali, partendo dalla programmazione, che impone la previsione nel POF (Piano dell’Offerta Formativa) delle singole scuole, dei criteri organizzativi di accoglienza degli alunni con disabilità. Tale accoglienza deve essere orientata al lavoro didattico, per quanto possibile, degli alunni con disabilità nella propria classe e nel contesto del programma svolto dai compagni. Solo eccezionalmente può impostarsi collegialmente un PEI che, nell’interesse dell’alunno, preveda l’uscita dalla classe. Ma a tal proposito il documento stigmatizza le prassi negative della costituzione stabile di gruppi laboratoriali di soli alunni con disabilità. Altra prassi condannata è la delega dell’integrazione dei docenti curricolari ai soli docenti per il sostegno. Il Dirigente deve stimolare fin dall’iscrizione la formulazione di PEI orientati al progetto di vita che preveda i possibili sbocchi lavorativi. È importante infine che i Dirigenti scolastici promuovano reti di scuole come punto di riferimento e coordinamento per centri di documentazione, formazione e consulenze. Il testo passa poi a “direttive” relative alla corresponsabilità di tutti i docenti che hanno in classe un alunno con disabilità. Si insiste sul coinvolgimento di tutti i docenti nella presa in carico del processo di insegnamentoapprendimento e sulla valutazione degli alunni con disabilità loro affidati. A tal proposito si sottolinea che “la valutazione in decimi va rapportata al P.E.I., che costituisce il punto di riferimento per le attività educative a favore dell’alunno con disabilità. Si rammenta inoltre che la valutazione in questione dovrà essere sempre considerata come valutazione dei processi e non solo come valutazione della performance.” Segue quindi un apposito paragrafo concernente i compiti di assistenza per l’igiene personale degli alunni con disabilità. Si ribadisce che tale compito è di competenza dei collaboratori e delle collaboratrici scolastiche e che i Dirigenti scolastici debbono predisporre per tempo le procedure per garantire la qualità di tale servizio sulla base della Nota Ministeriale prot. n° 3390/01 e del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro e della contrattazione decentrata. La terza parte ed il documento si concludono con un paragrafetto concernente i diritti di coinvolgimento delle famiglie nel processo di integrazione, ribadendo la norma dell’art. 12, comma 5 della L. n° 104/92 secondo cui le famiglie hanno diritto a partecipare alla formulazione e verifica del Profilo Dinamico Funzionale (PDF) e del PEI. Esse hanno inoltre diritto a consultare la documentazione relativa al processo di integrazione. Le riunioni dei gruppi di lavoro (GLHO) debbono essere convocate in orari compatibili con la necessaria presenza delle famiglie. Dalla didattica a distanza (DAD) alla didattica digitale integrata (DDI) Com’è noto, sin dai primi mesi del duemilaventi, il settore scolastico è stato chiamato a fronteggiare il forte impatto derivante dall’emergenza sanitaria da Covid-19 che ha costretto al distanziamento sociale e quindi alla necessità di sperimentare nuove modalità di insegnamento, tra le quali ha prevalso la cd. “didattica a distanza”. Nella Nota n. 388/2020, il Ministero dell’istruzione ha fornito una definizione tecnica di “didattica a distanza”, intendendo come tale “Il collegamento diretto o indiretto, immediato o differito, attraverso videoconferenze, videolezioni, chat di gruppo; la trasmissione ragionata di materiali didattici, lOMoARcPSD|3193911 attraverso il caricamento degli stessi su piattaforme digitali e l’impiego dei registri di classe in tutte le loro funzioni di comunicazione e di supporto alla didattica, con successiva rielaborazione e discussione operata direttamente o indirettamente con il docente, l’interazione su sistemi e app interattive educative propriamente digitali”; precisa poi che la DAD non deve ridursi al mero invio di materiali o assegnazione di compiti che non siano preceduti da una relativa spiegazione o che non prevedano un intervento successivo di chiarimento, poiché tali mezzi non stimolano l’apprendimento. Con il decreto del 26 giugno 2020, n. 39 sono state emanate le Linee guida sulla didattica digitale integrata. Esse hanno delineato un quadro di riferimento entro cui progettare la ripresa delle attività scolastiche nel mese di settembre, con particolare riferimento alla necessità per le scuole di dotarsi di un Piano scolastico per la didattica digitale integrata. Le Linee guida forniscono indicazioni per la progettazione del Piano scolastico per la didattica digitale integrata (DDI) da adottare, nelle scuole secondarie di secondo grado, in modalità complementare alla didattica in presenza. Il Collegio docenti è chiamato a fissare criteri e modalità per erogare didattica digitale integrata, adattando la progettazione dell’attività educativa e didattica in presenza alla modalità a distanza, anche in modalità complementare. Nei casi di alunni con disabilità, va privilegiata la frequenza scolastica in presenza, con inserimento in turnazioni che prevedano alternanza tra presenza e distanza solo d’intesa con le famiglie. I docenti per le attività di sostegno, sempre in presenza a scuola assieme agli alunni, curano l’interazione tra tutti i compagni in presenza e quelli eventualmente impegnati nella DDI, nonché con gli altri docenti curricolari; le famiglie sono opportunamente informate e le scuole devono operare frequenti monitoraggi per poter attivare tutte le azioni a garanzia della fruizione delle attività didattiche. Per gli alunni con BES, il punto di riferimento rimangono i Piani Didattici Personalizzati. In seguito agli sviluppi dell’emergenza da Covid-19 e alla conseguente necessità di proseguire le attività didattiche a distanza, la nota del Ministero dell’Istruzione del 5 novembre 2020 in merito alle disposizioni del D.P.C.M. 3 novembre 2020, comunica che: “In materia di inclusione scolastica per tutti i contesti ove si svolga attività in DDI il DPCM, nel richiamare il principio fondamentale della garanzia della frequenza in presenza per gli alunni con disabilità, segna nettamente la necessità che tali attività in presenza realizzino un’inclusione scolastica “effettiva” e non solo formale, volta a “mantenere una relazione educativa che realizzi effettiva inclusione scolastica”. 5. La normativa su DSA e BES: L.170/2010 e agli altri provvedimenti L’attenzione verso i bisogni educativi speciali (BES) si è sviluppata nel nostro Paese all’indomani della Direttiva ministeriale del 27 dicembre 2012 “Strumenti di intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica” ed è proseguita con l’importante C.M. 8/2013. Attraverso questo documento, la scuola italiana ha recepito l’apporto fornito dal modello diagnostico ICF (International Classification of Functioning) dell’OMS che ha permesso di individuare i cosiddetti BES a carico dell’alunno. Nel testo della Direttiva si legge “In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale, disturbi specifici dell’apprendimento, e/o disturbi specifici evolutivi, difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse. Nel variegato panorama delle nostre scuole la complessità delle classi diviene sempre più evidente. Quest’ampia area dello svantaggio scolastico, che comprende le problematiche più diverse, viene indicata come area dei bisogni educativi speciali. Vi sono comprese tre grandi sotto-categorie: - quella della disabilità (L. 104/1992 e D.Lgs. 66/2017) - quella dei disturbi evolutivi specifici - quella dello svantaggio socio-economico, linguistico e culturale lOMoARcPSD|3193911 8. Lo scenario internazionale: Convenzione ONU ratificata con la Legge 3 marzo 2009, n. 18 e ICF La Convenzione ONU per i diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la legge 3 marzo 2009, n. 18, impegna tutti gli Stati firmatari a prevedere forme di integrazione scolastica nelle classi comuni. L’Italia è stata tra i primi Paesi al mondo ad attuare l’integrazione degli alunni con disabilità nella scuola di tutti. Nella parte introduttiva della Convenzione ONU si va affermando “il modello sociale della disabilità” secondo cui la disabilità è dovuta dall’interazione fra il deficit di funzionamento della persona e il contesto sociale. Si passa quindi a verificare la qualità della vita della persona disabile. In linea con questi principi si trova l’ICF (International Classification of Functioning) che, si propone come un modello di classificazione biopsicosociale decisamente attento all’interazione fra la capacità di funzionamento di una persona e il contesto sociale, culturale e personale in cui essa vive. L’International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) deriva dalla classificazione ICIDH del 1980 e completa la classificazione ICD-10 che fornisce informazioni sulla diagnosi e sull’eziologia della patologia. L’ICF non contiene riferimenti alla malattia, ma si concentra sul solo funzionamento. Applicando l’ICD-10 e l’ICF in modo complementare, è possibile ottenere un quadro globale della malattia e del funzionamento dello stato di salute dell’individuo. Il funzionamento e la disabilità sono viste come una complessa interazione tra le condizioni di salute dell’individuo e l’interazione con i fattori ambientali e personali. Nella prospettiva adottata dall’ICF, questi aspetti sono considerati come dinamici e in interazione tra loro. Il linguaggio dell’ICF, sempre neutrale rispetto all’eziologia, è stato creato appositamente per essere utilizzato a livello internazionale sia in ambito clinico sia in quello degli studi epidemiologici e di politica della salute. Essendo neutrale, il linguaggio utilizzato è stato specificato fin nei minimi dettagli per chiarire al meglio il significato della terminologia utilizzata nel contesto specifico della valutazione del funzionamento. Nella seconda parte della Convenzione, l’attenzione si concentra sull’integrazione scolastica, evidenziando le problematiche e formulando proposte di intervento concernenti vari aspetti e soggetti istituzionali coinvolti nel processo di integrazione. In particolare, si riconosce la responsabilità educativa di tutto il personale della scuola e si ribadisce la necessità della corretta e puntuale progettazione individualizzata per l’alunno con disabilità, in accordo con enti locali, ASL, e le famiglie. 8. La strategia europea sulla disabilità La strategia europea sulla disabilità (2010-2020) nasce nell’ambito della più ampia strategia politica Europa 2020 “misure e sostegno dell’occupazione, della produttività e della coesione sociale in Europa”, allo scopo di implementare l’inclusione dei soggetti disabili. Più in generale, la Strategia Europa 2020 è mirata a far crescere i paesi dell’Unione sotto tre profili: - dell’intelligenza, promuovendo lo sviluppo delle conoscenze e dell’innovazione; - della sostenibilità, con un’economia sempre più orientata alla sostenibilità; - dell’inclusività, e dunque volta a promuovere l’occupazione, la coesione sociale e territoriale. Per raggiungere tale obiettivo, è necessaria un’azione integrata tra diversi paesi che hanno condiviso e circoscritto il documento. La Strategia sulla disabilità ha infatti dichiarato l’intento di promuovere un’Europa senza barriere, all’interno della quale possano trovare piena partecipazione alla vita sociale ed economica, così come previsto dai documenti ufficiali, quali la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei diversamente abili, la Carta Europea dei diritti fondamentali e il già citato Trattato di Lisbona. Nell’elaborare la strategia, la Commissione europea ha individuato otto aree d’azione congiunta tra gli stati membri dell’UE: lOMoARcPSD|3193911 1. Accessibilità: i disabili devono poter fruire liberamente di beni, servizi e dispositivi di assistenza specifica alla propria patologia. Naturalmente va garantita loro la possibilità di accedere ai trasporti, alle strutture e alle tecnologie; 2. Partecipazione: i soggetti disabili devono poter vedere riconosciuto il pieno esercizio dei diritti fondamentali legati alla cittadinanza dell’Unione. A tal fine, la Strategia si propone di contribuire a: • rimuovere gli ostacoli alla mobilità, • assicurare la qualità dell’assistenza ospedaliera e dell’accoglienza in strutture specializzate, • promuovere l’accessibilità di strutture non solo mediche, ma anche centri sportivi, ricreativi e culturali. 3. Uguaglianza: la Commissione si impegna a far sì che i paesi membri diano piena applicazione della legislazione europea in materia di contrasto alle discriminazioni fondate sulla disabilità; 4. Occupazione: occupazione per disabili e miglioramento dei posti di lavoro; 5. Istruzione e formazione: i ragazzi disabili devono poter inoltre avere libero accesso ai programmi di mobilità studentesca promossi dall’UE nell’ambito dell’iniziativa Gioventù in movimento; 6. Protezione sociale: tutte le misure messo in atto per evitare rischi di disparità di reddito, povertà ed esclusione sociale; 7. Salute: il documento prescrive ai Paesi membri di adeguare i costi accessibili e prestazioni idonee al soggetto che vi ricorre; 8. Azione esterna: il raggio d’azione delle politiche promosse è internazionale, dunque, l’UE si impegna a sostenere lo sviluppo e l’aiuto ai paesi membri mediante finanziamenti e istanze internazionali. Capitolo 2: Centri territoriali e gruppi di lavoro per l’inclusione 1. Centri territoriali di supporto (CTS) e Centri territoriali per l’inclusione (CTI) Come si legge all’interno della Direttiva del 27 dicembre 2012, i Centri territoriali di supporto (CTS) sono stati istituiti dagli Uffici scolastici regionali in accordo con il MIUR mediante il Progetto nuove tecnologie e Disabilità al fine di renderli punti di riferimento per le scuole. Secondo la direttiva i CTS informano i docenti, gli alunni, gli studenti, e i loro genitori delle risorse tecnologiche disponibili, sia gratuite che commerciali. Per tale scopo organizzano incontri di presentazione di nuovi ausili, ne danno notizia sul sito web. I CTS organizzano iniziative di formazione sui temi dell’inclusione scolastica e sui BES, e circa le tecnologie per l’integrazione, rivolte al personale scolastico, alunni e famiglie. La consulenza offerta dai centri riguarda anche le modalità didattiche da attuare per inserire il percorso di apprendimento dello studente che utilizza le tecnologie per l’integrazione nel più ampio ambito dell’attività di classe e le modalità di collaborazione con le famiglie. La consulenza si estende gradualmente a tutto l’ambito della disabilità e dei disturbi evolutivi specifici, non soltanto alle tematiche connesse all’uso delle tecnologie. I CTS possono infine promuovere intese e accordi territoriali con i servizi sociosanitari del territorio, al fine di elaborare procedure condivise per l’integrazione dei servizi. Per quanto riguarda la loro formazione in ogni CTS dovrebbero essere presenti tre operatori fra i docenti curricolari e di sostegno tenuti a partecipare a eventi formativi; la direttiva prevede poi che ad un livello territoriale meno esteso che può coincidere con il distretto socio-sanitario operano altre scuole come polo per l’inclusione: i centri territoriali per l’inclusione (CTI) al fine di assicurare la massima ricaduta possibile delle azioni di consulenza. Il ruolo strategico del CTS è poi ribadito nella circolare n.8/13 in cui si evidenzia la centralità del loro accordo con le azioni dei gruppi lOMoARcPSD|3193911 di lavoro provinciali e regionali istituiti presso gli uffici scolastici, in essa si evidenzia inoltre il lavoro direte che devono svolgere i CTI. 2. I gruppi di lavoro per l’inclusione Al fine di coordinare le politiche di inclusione, è rinnovato l’assetto dei Gruppi per l’inclusione previsti dalla legge n.104/1992 con il nuovo art.15: 1) il GLIR (Gruppo di lavoro interistituzionale regionale) istituito presso ogni ufficio scolastico regionale, ha compiti di consulenza e proposta all’USR per la definizione, l’attuazione e la verifica degli accordi di programma per l’inclusione; 2) il GIT (Gruppo per l’inclusione territoriale) Istituito a livello provinciale e non più per ambiti territoriali, è composto da un nucleo di docenti esperti con il compito di supportare le scuole nella redazione del Piano educativo individualizzato (PEI). Per quanto riguarda le funzioni, tale organo svolge funzioni di consulenza esperta nella verifica della congruità della richiesta complessiva dei posti di sostegno che il DS invia all’Ufficio scolastico regionale, confermandolo o meno. Per lo svolgimento di ulteriori compiti di consultazione e programmazione delle attività, il GIT è integrato dalle associazioni maggiormente rappresentative delle persone con disabilità nell’inclusione scolastica e dagli enti e aziende sanitarie locali; 3) Il GLI (Gruppo di lavoro per l’inclusione) ha compiti di supporto al Collegio dei docenti nella definizione del Piano di inclusione, composto originariamente da docenti curricolari, docenti di sostegno e personale ATA e specialisti ASL, è allargato ai genitori e alle associazioni di persone con disabilità solo per consulenza e supporto nella definizione e attuazione del Piano per l’inclusione che viene predisposto nel mese di ottobre contestualmente al PTOF. Il GLI ha tra i suoi nuovi compiti anche il supporto ai docenti contitolari e ai consigli di classe nell’attuazione del PEI; 4) il GLOI (Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione che sostituisce il GLHO) è composto da tutti i docenti della classe ed è presieduto dal DS; i docenti di sostegno in quanto contitolari fanno parte del consiglio di classe. Al GLOI partecipano anche i genitori dell’alunno con disabilità, delle figure professionali specifiche, di un rappresentante designato dall’ente locale, opera in sinergia con il GLI e svolge importanti compiti concernenti la redazione del PEI e la formulazione di una proposta di quantificazione delle ore di sostegno per l’anno successivo. 3. Il piano per l’inclusione Sulla base dei singoli PEI di ogni alunno, infine, ogni scuola, nell’ambito del Piano triennale dell’offerta formativa (PTOF) predispone il Piano per l’inclusione nel quale sono definite le modalità per l’utilizzo coordinato delle risorse umane, strumentali, finanziarie disponibili, delle misure di sostegno al fine del superamento delle barriere e dell’individuazione dei facilitatori del contesto di riferimento, nonché per il miglioramento della qualità dell’inclusione (art.8 D.Lgs. 96/2019). Capitolo 3: Le tappe dell’integrazione scolastica e il Piano educativo individualizzato 1. L’accertamento della disabilità lOMoARcPSD|3193911 La sentenza del TAR, nello specifico, ha accolto i motivi di ricorso. Il primo è fondamentale ed è relativo al fatto che l’attuazione della delega non poteva essere effettuata con un semplice decreto interministeriale, ma doveva essere effettuata con Regolamento, il che comporta una procedura molto più complessa ma di maggiore garanzia. vengono accolte le censure relative agli interventi restrittivi operati dalle Linee guida allegate al D.I. 182/2020, in particolare: • alla composizione del GLO, con riguardo al previsto divieto di partecipazione di più di un professionista segnalato dalle famiglie e al divieto di partecipazione di professionisti retribuiti dalle famiglie; • alla previsione di un possibile esonero dallo studio di una disciplina per gli studenti delle scuole superiori con PEI differenziato, come pure alla possibile riduzione di orario per essi. Tali previsioni, secondo il TAR, sono in contrasto col diritto allo studio previsto dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità (L. 18/2009). 1.2 Le indicazioni del Ministero Con la nota n. 2044, il Ministero ha sottolineato in maniera immediata quanto sia necessario “dare continuità all’azione educativa e didattica” e rispettare l’“assoluta preminenza del diritto allo studio” per gli alunni con disabilità. Specificamente, in assenza dei modelli ormai annullati, per elaborare i PEI, le scuole potranno ricorrere alla modulistica adoperata nell’anno scolastico 2019-2020, riadattandola alle disposizioni contenute agli artt. 7 e 9 del D.Lgs. 66/2017, prestando attenzione a non contrastare con i motivi di censura indicati nella sentenza, tra i quali: a) composizione e funzioni del GLO; b) possibilità di frequenza con orario ridotto; c) esonero dalle materie per gli studenti con disabilità; d) assegnazione delle risorse professionali per il sostegno e l’assistenza. La Circolare del Ministero fornisce le seguenti indicazioni di massima, al fine di ottemperare a quanto disposto dal TAR: 1. composizione e funzioni del GLO: si ritiene opportuno che nel funzionamento di tale organismo non siano poste limitazioni al numero degli esperti indicati dalla famiglia, anche se retribuiti dalla stessa; 2. possibilità di frequenza con orario ridotto: non può essere previsto un orario ridotto di frequenza alle lezioni dovuto a terapie e/o prestazioni di natura sanitaria — con conseguente contrasto con le disposizioni di carattere generale sull’obbligo di frequenza. 3. esonero dalle materie per gli studenti con disabilità: non può essere previsto un esonero generalizzato degli alunni con disabilità da alcune attività della classe, con partecipazione ad attività di laboratorio separate, in contrasto con le disposizioni di cui al D.Lgs. 62/2017, in cui la possibilità di esonero è contemplata per i soli studenti con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), qualora siano presenti ulteriori comorbilità adeguatamente certificate, e soltanto per le lingue straniere, previo assenso della famiglia e deliberazione del Consiglio di classe; 4. assegnazione delle risorse professionali per il sostegno e l’assistenza: in assenza di una modifica effettiva delle modalità di accertamento della disabilità in età evolutiva e delle discendenti certificazioni. Pertanto, non si possono predeterminare, attraverso un “range”, le ore di sostegno attribuibili dal GLO, con stretto legame dello stesso rispetto al “debito di funzionamento ed esautorazione della discrezionalità tecnica dell’organo collegiale” 3. La progettazione del PEI lOMoARcPSD|3193911 Per elaborare un PEI efficace e funzionale occorre sapere cosa l’alunno sa fare, cosa non sa fare e cosa potrebbe fare. L’insegnante di sostegno, sin dal primo momento, deve fornirsi di tutte le informazioni necessarie alla buona riuscita del progetto e soprattutto deve coinvolgere i docenti della classe e tutto il personale che opera nella scuola nel progetto d’integrazione scolastica. I documenti necessari all’elaborazione del Piano educativo individualizzato sono: 1. relazione finale del PEI anno precedente 2. programmazione didattica individualizzata 3. profilo di funzionamento 4. verbali delle riunioni previste dalla 104/92 5. eventuale progetto continuità (C.M. 1/88) 6. progetti di Tempo integrato per attività educative con l’extrascuola, progetti rieducativi 7. progetti significativi per l’integrazione e presenti nel PTOF Il PEI deve essere stilato seguendo la classificazione ICF alla luce delle abilità possedute dall’alunno. Deve tener conto di tutti i progetti in cui è coinvolto l’alunno, le attività extrascolastiche sportive, laboratoriali e ricreative. Il PEI appare subito un progetto articolato che coinvolge più operatori. 3.1 Osservazione sistematica L’osservazione sistematica dovrà interessare varie dimensioni: • relazione, integrazione e socializzazione • comunicazione e linguaggio • autonomia e orientamento • cognitiva, neurologica e dell’apprendimento Per ciascuna delle dimensioni devono individuarsi: • obiettivi ed esiti attesi • interventi didattici e metodologici (attività, strategie e strumenti) Nella stesura del PEI provvisorio si utilizza il modello nazionale e si seguono le indicazioni dettate dal Ministero dell’Istruzione nelle Linee guida che prescrivono la compilazione delle seguenti Sezioni: 1. Quadro informativo (sez.1) 2. Elementi generali desunto dal Profilo di funzionamento (sez.12) 3. Osservazioni sull’alunno per progettare gli interventi di sostegno didattico (sez.4) 4. Osservazioni sul contesto: barriere e facilitatori (sez.6) Le dimensioni individuate dal D.Lgs.66/2017 divengono fondamentali nella redazione del progetto inclusivo da parte di tutta la comunità scolastica. 3.2 Definizione degli obiettivi educativi e didattici La programmazione è un complesso di operazioni che gli insegnanti elaborano nell’ambito della loro attività all’interno della scuola, per la buona riuscita dell’azione formativa. E’ una pratica utilizzata dagli insegnanti, in tutti gli ordini scolastici, e prevede la pianificazione delle attività, la scelta dei contenuti, dei metodi, dei tempi, degli strumenti per raggiungere gli obiettivi. Gli obiettivi di una programmazione sono di due tipi: - educativi; sono trasversali a tutte le discipline e sono formativi (formazione dell’uomo e del cittadino); lOMoARcPSD|3193911 - didattici (specifico disciplinare) sono specifici di una o più discipline e devono tradursi in conoscenze, competenze e capacità. Fanno parte della programmazione: - contenuti - tempi - metodi - strumenti - verifiche - valutazione. 3.3 La progettazione didattica La progettazione del PEI per l’alunno con difficoltà di apprendimento si inserisce all’interno della programmazione della classe e segue le stesse regole progettuali della programmazione, con la sola differenza di essere rivolta al singolo e non al gruppo classe. La progettazione didattica però deve tener conto degli interventi di inclusione attuati sul percorso curricolare della classe e dell’alunno con disabilità, indicando le modalità di sostegno didattico, obiettivi, strategie e strumenti nelle diverse aree disciplinari, a partire dalla scuola primaria. Con riguardo alla progettazione disciplinare, è indicato: - Se l’alunno con disabilità segue la progettazione didattica della classe, nel qual caso si applicano gli stessi criteri di valutazione; - Se rispetto alla progettazione didattica della classe sono applicate personalizzazioni in relazione agli obiettivi specifici di apprendimenti e ai criteri di valutazione e, in tal caso, se l’alunno con disabilità è valutato con verifiche identiche o equipollenti; - Se l’alunno con disabilità segue un percorso didattico differenziato; - Se l’alunno con disabilità è esonerato da alcune discipline di studio. Inoltre, nel PEI è indicato il tipo di percorso didattico seguito dallo studente, specificando se si tratta di: - Percorso didattico ordinario, conforme alla progettazione didattica della classe; - Percorso didattico personalizzato in relazione agli obiettivi specifici di apprendimento e ai criteri di valutazione; - Percorso didattico differenziato (sulla base di un PEI differenziato). 3.4 Metodi e strumenti Il metodo o i metodi utilizzati modificano la relazione educativa, gli apprendimenti, il processo di insegnamento/apprendimento. Il lavoro di gruppo, la didattica come ricerca, il metodo della ricerca-azione cambiano il setting operativo. Rispetto alla lezione tradizionale, il metodo della ricerca-azione implica una diversa articolazione del materiale, l’identificazione di contenuti culturali che presentino una impostazione sufficientemente problematica, tale da consentire l'articolazione di ricerche specifiche. La ricerca-azione è caratterizzata da una continua evoluzione metodologica volta all’analisi dei bisogni formativi degli alunni e della ricerca appunto di risposte metodologiche e azioni concrete finalizzate al raggiungimento di adeguate competenze specifiche e sociali. La scelta dei criteri da adottare per la valutazione e le procedure di verifica, alla fine delle unità di apprendimento didattico, sono fondamentali nella programmazione curricolare e soprattutto nel PEI. Il sistema di verifica e valutazione va programmato nel quadro della programmazione didattica generale del contesto classe; non si può, infatti pensare ai contenuti senza porsi il problema dei criteri di valutazione. un aspetto fondamentale della programmazione riguarda la relazione tra gli obiettivi programmati e i destinatari dell’azione didattica. Il processo progettuale implica la conoscenza del livello di lOMoARcPSD|3193911 2. I percorsi di specializzazione 2.1 Le prove di accesso e la formazione della graduatoria I percorsi di specializzazione sono corsi istituiti ed attivati dagli Atenei, anche in convenzione tra di loro, nel limite dei posti autorizzati per ciascun Ateneo con decreto del Ministero, secondo le modalità e i requisiti previsti con decreto ministeriale e previa autorizzazione del MIUR. Per l’accesso ai corsi, ciascun Ateneo emana un bando che può prevedere, tra l’altro, il numero dei posti disponibili per ciascun percorso, i programmi su cui vertono le prove di accesso e le modalità di presentazione delle domande di partecipazione alle procedure selettive. L’accesso al corso annuale di specializzazione per le attività di sostegno è subordinato, infatti, al superamento di una serie di prove scritte ovvero pratiche, una prova orale. In generale, il test preliminare è costituito da 60 quesiti formulati con cinque opzioni di risposta, fra le quali il candidato ne individua una soltanto. Almeno 20 dei predetti quesiti sono volti a verificare le competenze linguistiche e la comprensione di testi in lingua italiana. La risposta correlata a ogni domanda vale 0.5 punti, la mancata risposta o errata equivale a 0, e il test dura due ore. E’ ammesso alle prove successive un numero di candidati pari al doppio dei posti disponibili nella singola sede per gli accessi. Sono altresì ammessi alla prova scritta coloro che all’esito della preselettiva, abbiano conseguito il medesimo punteggio dell’ultimo degli ammessi. Sulla base dei risultati si formerà una graduatoria: nel caso in cui la graduatoria dei candidati ammessi risulta composta da un numero inferiore al numero dei posti messi a bando, si procede ad integrarla con soggetti collocati in posizione non utile nelle graduatorie di merito degli Atenei, che ne facciano specifica richiesta, a loro volta graduati e ammessi dagli atenei fino a esaurimento dei posti disponibili. A tal fine, preso atto che la valutazione dei titoli è demandata alle autonome scelte delle sedi, gli Atenei provvedono a rivalutare i titoli dei soggetti di cui al presente comma in conformità ai propri bandi. 1.1 Le competenze richieste Le prove di accesso ai corsi di specializzazione, predisposte dalle singole università, sono dirette a verificare, insieme alla capacità di argomentazione e al corretto uso della lingua, il possesso da parte del candidato di: - competenze socio-psico-pedagogiche - competenze su intelligenza emotiva - competenze su creatività e pensiero divergente - competenze organizzative 1.2 Le attività Il corso di specializzazione per il sostegno didattico è articolato nelle seguenti attività: - Insegnamenti - attività laboratoriali - attività di tirocinio diretto e indiretto Le attività del laboratorio sono realizzate privilegiando modalità di apprendimento cooperativo e collaborativo, ricerca-azione, apprendimento metacognitivo attraverso: - lavori di gruppo, simulazioni, approfondimenti - esperienze applicative relative ad attività formative nei settori disciplinari caratterizzanti la classe Le attività di tirocinio sono dirette alla verifica della professionalità del docente, in particolare della capacità di rielaborazione dell’esperienza personale ed organizzazione delle competenze professionali. Il tirocinio diretto è da espletarsi in non meno di cinque mesi e viene effettuato presso le istituzioni scolastiche, è seguito dal tutor dei tirocinanti, scelto tra i docenti dell’istituzione scolastica. Le attività di tirocinio diretto possono prevedere modalità operative basate sulla ‘progettualità’ proposte dagli Atenei ovvero dalle lOMoARcPSD|3193911 istituzioni scolastiche. Le progettazioni sono coerenti con le finalità del percorso formativo di specializzazione per le attività di sostegno, con particolare attenzione alla crescita professionale degli operatori attivi nelle Istituzioni coinvolte nel processo. Il tutor dei tirocinanti è un docente individuato fra coloro che prestano servizio presso l’istituzione scolastica sede del tirocinio diretto. Il tirocinio indiretto comprende attività di supervisione da parte dei docenti del corso ovvero dei docenti dei laboratori e dei tutor dei tirocinanti, rispettivamente presso gli Atenei e presso le sedi di tirocinio, tali attività riguardano: - rielaborazione dell’esperienza professionale; - rielaborazione dell’esperienza professionale da un punto di vista personale e psicomotivazionale. Nell’attività di tirocinio indiretto è compresa un’attività pratica sull’utilizzo delle nuove Tecnologie, applicate alla didattica speciale (TIC). 3. Utilizzo del titolo di specializzazione Una volta acquisita la specializzazione per le attività di sostegno didattico, in primo luogo il docente può partecipare al concorso, il diploma può servire ai fini della mobilità, e si possono ottenere incarichi di supplenza nel momento dell’aggiornamento delle graduatorie (triennale). Il titolo di sostegno acquisito da un docente già inserito nelle graduatorie ad esaurimento può essere utilmente inserito sia nel momento dell’aggiornamento triennale, che nel momento dell'aggiornamento annuale; infine è possibile inviare le MAD. I primi ad essere contattati dalle scuole sono coloro presenti in GAE, in seguito prima, seconda e terza fascia, e infine tramite MAD. 4. Il profilo professionale del docente specializzato L’insegnante di sostegno è un docente in possesso di specializzazione per le attività di sostegno, che viene assegnato alla classe in cui è stato inserito almeno un alunno con disabilità, egli dovrà stilare il PEI. Il profilo di tale docente è delineato nell’allegato A al decreto ministeriale 30 settembre 2011, richiamato nei diversi bandi universitari dando attuazione al decreto n.249 del 2010. Nello specifico il docente specializzato: - assume la contitolarità della sezione e della classe in cui opera insieme agli altri docenti disciplinari; - partecipa alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenze dei Consigli di interclasse, dei Consigli di classe e dei Collegi dei docenti - si occupa delle attività educativo-didattiche attraverso le attività di sostegno alla classe al fine di favorire e promuovere il processo di integrazione di alunni con disabilità - offre la sua professionalità e competenza per apportare all’interno della classe un contributo a supporto della collegiale azione educativo-didattica. Nel 2012 l’Agenzia europea per lo sviluppo dell’istruzione degli alunni disabili ha pubblicato inoltre il Profilo dei docenti inclusivi, un documento nato da un progetto triennale realizzato per individuare le competenze, il bagaglio formativo e culturale, i comportamenti e i valori necessari a tutti coloro che intraprendono la professione docente a prescindere dalla materia e dal grado di scuola. Il profilo si fonda su quattro aree fondamentali: - valorizzare la diversità dell’alunno - sostenere gli alunni, coltivando aspettative alte rispetto ai loro successi - lavorare con gli altri, ovvero con il team docente, le famiglie e le istituzioni - sviluppo e aggiornamento professionale, nell’ottica della formazione come lifelong learning. lOMoARcPSD|3193911 5. Il ruolo del docente di sostegno all’interno del Consiglio di classe Il docente di sostegno è una figura specializzata alla quale è affidato il compito di essere il riferimento professionale per la progettazione, la realizzazione e la verifica degli interventi necessari per affrontare in maniera positiva le situazioni di disabilità presenti in una classe, nell’interesse dell’intera classe. Il docente di sostegno infatti è, come anticipato, assegnato alla classe e opera alla pari dei docenti di posto comune con i quali condivide i medesimi diritti e doveri. Egli non si limita ad occuparsi dell’alunno interessato, ma di tutti gli alunni e le alunne della classe, mostrando loro interesse ed eventualmente interagendo con loro. Egli assume la contitolarità della sezione o della classe del circolo o istituto in cui opera e partecipa alla programmazione educativa e didattica e alla elaborazione e verifica delle attività di competenza dei Consigli di intersezione, di interclasse e di classe e dei Collegi dei docenti (art. 315, comma 5, D.Lgs. 297/1994). Inoltre egli partecipa agli incontri con i genitori. la normativa stabilisce infatti che nella scuola dell’infanzia e primaria, fanno parte del Consiglio di intersezione, di interclasse e di classe anche i docenti di sostegno, e nella scuola secondaria di primo e di secondo grado, fanno altresì parte del Collegio dei docenti, i docenti di sostegno (art. 7 comma 1, D.Lgs. 297/1994). Dunque il docente di sostegno fa parte dei Consigli di classe, interclasse e intersezione come ribadito dall’O.M. 90/2001, all’art. 15 comma 10 e partecipa pertanto a pieno titolo alle operazioni di valutazione. Il D.Lgs. 62/2017 ha confermato questa affermazione disponendo in riferimento al primo ciclo di istruzione, che i docenti di sostegno partecipano alla valutazione di tutte le alunne e gli alunni della classe, nel caso in cui a più docenti di sostegno sia affidato, nel corso dell’anno scolastico, la stessa alunna e lo stesso alunno la valutazione è espressa congiuntamente. Si ricorda che il Consiglio di classe convocato per lo svolgimento dello scrutinio di valutazione, intermedio o finale, è un organo collegiale perfetto; esso cioè esige la presenza di tutti i suoi componenti per la legittimità delle decisioni assunte all’unanimità o a maggioranza. Pertanto in quella sede il Collegio deve essere formato in maniera perfetta, cioè devono essere tutti presenti pena annullabilità delle decisioni prese. 6. I compiti del docente di sostegno Il docente di sostegno rappresenta una risorsa per la classe in quanto fornisce il proprio supporto per il PEI. Il suo lavoro si compone di momenti diversi: di impegno diretto con l’alunno, di collaborazione con i colleghi, osservazione e documentazione. A livello relazionale: - cura i rapporti con le famiglie; - partecipa alla relazione con gli altri soggetti per la realizzazione del progetto educativo, come l’ente locale, l’ASL, i servizi socio-assistenziali e gli enti locali; - collabora con le scuole in rete. Il docente prende visione di tutta la documentazione e le iniziative che l’istituzione scolastica ha attivato sull’inclusione (PAI, PTOF, Patto di corresponsabilità, RAV, Regolamento d’istituto) e della documentazione relativa all’alunno con disabilità (certificazione di disabilità, PEI precedenti). Il docente di sostegno partecipa alla redazione del Profilo di funzionamento, propedeutico e necessario alla predisposizione del PEI e del Progetto individuale che oggi costituisce e ricomprende il Profilo dinamico funzionale e la Diagnosi funzionale. Il docente di sostegno fa parte del Gruppo di lavoro operativo per l’inclusione degli alunni di cui all’art. 9, comma 10 D.Lgs. 66/2017, nominato dal DS, che ha il compito di redigere e predisporre il Piano educativo individualizzato e di verificarne l’applicazione e l’efficacia. In base al principio di contitolarità, ed al PEI sottoscritto dal Consiglio di classe, egli collabora con gli altri colleghi docenti: - nell’elaborazione della programmazione didattico-educativa