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riassunto Dal dolore alla violenza-Felicity De Zulueta, Schemi e mappe concettuali di Psicologia Generale

riassunto libro 15 cap in modo chiaro e sintetico

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2017/2018
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Caricato il 04/11/2018

angela.baiata
angela.baiata 🇮🇹

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Scarica riassunto Dal dolore alla violenza-Felicity De Zulueta e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! 1 “Dal dolore alla violenza. Le origini traumatiche dell’aggressività” Felicity de Zulueta Parte prima: Attaccamento andato male I Capitolo: Un caso di violenza Ci sono genitori che non possono attingere come risorsa a nessun ricordo di amore e sicurezza. L’esperienza della crudeltà o dell’indifferenza del proprio caregiver è stata interiorizzata sottoforma di rappresentazioni mentali che persistono nella mente anche se in uno stato inconscio. Sentimenti associati ad esperienze dolorose vengono rimossi nel nostro inconscio come ricordi che possono venire risperimentati successivamente, quando proiettati sugli altri. I genitori riconoscono se stessi da bambini nella sofferenza dei figli, nel loro bisogno disperato di essere consolati e contenuti. Ma, intrecciato con il ricordo di questi bisogni c’è l’altro orribile ricordo di essere stati rifiutati ed essersi sentiti indesiderati. In questo Capitolo viene descritto un caso di maltrattamento e di omicidio di una bambina da parte di suo padre: la figlia, attraverso le sue lacrime, diventa il “mostro” che lui stesso un tempo è stato per i suoi stessi genitori che dovevano controllarlo violentemente. Questo uomo diventa il proprio padre violento con il quale si è identificato e colpisce la figlia finché non muore. A questo punto, la psiche gli viene in soccorso, dimentica, scinde la memoria del passato dalla memoria di ciò che ha appena fatto alla figlia. 2 II Capitolo: Il mito del peccato originale e dell’istinto di morte Secondo Agostino, a causa del peccato originale di Adamo, la razza umana ha dovuto soffrire le frustrazioni dovute al desiderio sessuale e l’angoscia di essere mortale. Tutte le sofferenze sono la prova del deterioramento morale introdotto da Adamo ed Eva. Fairbairn, psicoanalista, chiamò “difesa morale” il bisogno difensivo dell’uomo di sentirsi colpevole di fronte ad un trauma. Accusando se stessa per quanto è accaduto, la vittima ottiene un certo senso di controllo sulla propria vita, invece di sentirsi totalmente impotente. Anche la “pulsione di morte” di Freud libera il genere umano dalle responsabilità personali della crudeltà e della distruttività. L’ “istinto di morte” è significativo nel ristabilire l’idea che l’uomo tende ad essere intrinsecamente distruttivo, con tutte le implicazioni terapeutiche, sociali e politiche che questa corrente di pensiero comporta. III Capitolo: Aggressività e violenza Un dato comune quando si esamina la letteratura sulla violenza umana è la confusione che sembra esistere tra le parole che si riferiscono all’aggressività e quelle che si riferiscono alla violenza. Bowlby definisce come aggressività “semplice” il comportamento comune sia agli animali che all’uomo, come aggressività “trasformata” i sentimenti aggressivi, specifici dell’umanità, rimossi e convertiti. Per aggressività “trasformata” si intende la violenza che può assumere varie forme, come l’odio, che è una miscela di aggressione e vendetta, o la crudeltà, che si riferisce al piacere o all’indifferenza che possiamo sentire nei confronti del dolore di qualcuno. Nel Capitolo segue una rassegna teorica che mette in evidenza la controversia tra coloro che vedono l’uomo come malvagio di natura e coloro che considerano la violenza secondaria a qualche forma di deprivazione psicosociale o fisica. Credere che la violenza sia innata dà senso alla crudeltà del mondo ma nega il nostro bisogno dell’altro che convalida la nostra esistenza personale. 5 VII Capitolo: Il Sé e l’altro In questo Capitolo viene passato in rassegna lo sviluppo delle relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica, da Freud a Kohut. E’ possibile distinguere tra coloro che sostengono un modello delle pulsioni e coloro che sostengono un modello relazionale. Secondo Greenberg e Mitchell, la differenza tra questi due approcci teorici riflette due visioni essenzialmente diverse della natura umana. Nel primo è fondamentale la ricerca del piacere individuale e il bisogno di scaricare i nostri istinti. Il secondo approccio considera importante, per il benessere psicologico e fisico, il nostro bisogno dell’altro: gli esseri umani non esistono al di fuori della società. Ciò che porta frustrazioni, autodistruzione e violenza sono le relazioni insoddisfacenti. Il senso di sé, il Sé, è il prodotto delle nostre varie relazioni con gli altri significativi e ci garantisce il senso di unità e di continuità. VIII Capitolo: In difesa del Sé Come sottolinea Vittorio Guidano in La complessità del Sé: “Qualsiasi interruzione del proprio senso di continuità e unicità connesso alla percezione di sé si accompagna invariabilmente alla perdita del senso della realtà e rappresenta l’esperienza emotiva più disgregante e devastante che un essere umano possa provare nel corso della vita” (p.107). Se la percezione umana dipende dalle strutture psichiche del Sé, gli individui tenderanno a creare un mondo ad immagine di queste stesse strutture psichiche. Il primo stadio dello sviluppo del Sé ha importanti implicazioni per lo studio della violenza umana: i bambini con attaccamento evitante, ad esempio, tendono ad essere aggressivi e mostrano bassi livelli di empatia. Quando il bambino interiorizza la capacità dei propri genitori di sintonizzarsi con i bisogni e i sentimenti altrui, il Sé sviluppa autostima ed empatia, cioè una capacità di entrare in relazione che colma le differenze, risuona nell’altro e rende questa sintonizzazione affettiva una fonte di autostima. Il Sé, allora, con le sue radici nella psicologia delle relazioni di attaccamento, può essere sia l’istigatore che il contenitore dei nostri sentimenti distruttivi. 6 Parte seconda: La psicologia del trauma IX Capitolo: L’indicibile: l’abuso sessuale sui bambini Lo studio del trauma psicologico iniziò quando Freud, nel 1860, presentò il suo articolo Eziologia dell’isteria alla Società di psichiatria e neurologia di Vienna. Così Freud spiega l’origine traumatica dei disturbi funzionali fisici: “…riteniamo che le esperienze sessuali infantili siano la condizione preliminare di base e, per così dire, la disposizione all’isteria, e non producano tuttavia i sintomi isterici immediatamente ma, rimanendo inizialmente inattive esplicano un’azione patogena solo più tardi, quando, dopo la pubertà, vengono ridestate nella forma di ricordi inconsci” (p.352). Nelle relazioni di attaccamento, il risultato dell’abuso è una distorsione della relazione tra il Sé e l’altro. Il Sé è debole, con scarsa autostima e si sente costretto a controllare e usare l’altro per sopravvivere; l’altro diventa un “oggetto” disumanizzato al servizio del Sé patologico. Nel caso dell’abuso sessuale il danno alle relazioni di attaccamento è aggravato dalla natura erotica dell’abuso: tutte le relazioni sono sessualizzate. Le persone abusate tendono a sentirsi sfruttate e trattate come oggetti sessuali, non come esseri umani. D’altro canto si sentono superiori, onnipotenti e perfette. Le loro azioni sono dettate dall’intenso disgusto che sentono per il proprio corpo che spesso sottopongono a implacabili attacchi fisici. I meccanismi di difesa che impiegano sono scissione in oggetti buoni idealizzati e in oggetti cattivi, negazione, dissociazione e identificazione. Si parla di identificazione con l’aggressore che dà alla vittima di abuso un senso di controllo e di forza. Ma l’identificazione implica anche la convinzione che la vittima sia cattiva e si meriti di essere punita. Diventando cattiva rende buoni i suoi oggetti: ottiene una sicurezza esteriore assumendo su di sé la cattiveria delle persone da cui dipende. 7 X Capitolo: Le origini traumatiche della violenza negli adulti La definizione di Lindemann del trauma psicologico come “improvviso, incontrollabile sconvolgimento di legami di affiliazione” riconosce l’importanza delle relazioni di attaccamento. Pierre Janet studiò il fenomeno psicologico della dissociazione che descrisse come un processo attraverso il quale i sentimenti o i ricordi relativi ad esperienze terribili erano scissi dalla consapevolezza e dal controllo volontario, per poi manifestarsi più tardi come automatismi patologici. Janet suggerì che questo accadesse perché l’esperienza traumatica generava nella vittima emozioni così intense che non potevano essere depositate negli schemi esistenti ma dovevano essere scisse e le varie parti che le compongono dovevano essere organizzate ad un livello non-linguistico sotto forma di sensazioni somatiche, rappresentazioni comportamentali, incubi e flashback. Questo fenomeno, chiamato ora “memoria di stato”, è fondamentale per la comprensione del disturbo post-traumatico da stress, una categoria per il trauma psicologico introdotta nel 1980 nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-III). Le persone traumatizzate si trovano a rivivere l’evento traumatico principalmente attraverso pensieri intrusivi o rimessa in scena delle situazioni traumatiche. In queste riproduzioni comportamentali del trauma, l’individuo può interpretare il ruolo della vittima o del vittimizzatore. L’importanza dei legami di attaccamento e delle relazioni sociali sono cruciali nel determinare sia l’incidenza sia la gravità del disturbo post-traumatico da stress. 10 XIV Capitolo: Le origini traumatiche della violenza legittima La ricerca americana Obedience to Authority di Stanley Milgram (1974) prende in considerazione i processi di obbedienza che entrano in gioco quando un individuo è istruito da una figura autorevole: lo studio della violenza legittima nell’obbedienza all’autorità. Questo lavoro si basa sull’ipotesi che la sottomissione all’autorità sia connessa alle esperienze di abuso infantile di queste persone nelle mani dei genitori o degli insegnanti, di figure autorevoli. Dalla ricerca di Milgram emerge che quanto più insicuro è l’adulto, tanto più disperato è il suo bisogno di obbedire all’autorità disumanizzando l’altro, infliggendogli dolore. La vittima non è solo un altro disumanizzato ma funziona da capro espiatorio dei sentimenti dissociati di impotenza, dolore e rabbia dell’aggressore. Il Capitolo prende in considerazione, inoltre, l’ipotesi che la relazione terapeuta-paziente si presti alla rimessa in scena dell’abuso infantile, essendo molto simile alla relazione genitore- figlio. Ci può essere una collusione inconscia con la replica traumatica del paziente stesso, come avviene talvolta con le vittime di abuso sessuale; oppure il terapeuta può inconsciamente imporre la propria esperienza traumatica, riproducendola nel contesto professionale come carnefice piuttosto che come vittima. Un individuo con un sistema di attaccamento danneggiato e la concomitante ferita narcisistica del Sé rischierà sempre di essere una vittima o un carnefice: quest’ultima eventualità è più frequente nel ruolo del terapeuta in quanto figura autorevole. 11 XV Capitolo: Amore e odio Amore e odio possono essere reciprocamente connessi: il comportamento di affiliazione e la distruttività sembrano due diverse manifestazioni dello stesso sistema di attaccamento. L’altruismo e l’aggressione sono due diverse manifestazioni dello stesso fenomeno che rispecchia sia il nostro bisogno dell’altro sia ciò che accade quando questo bisogno non può venire soddisfatto. La convinzione che la distruttività, l’odio, sorga come conseguenza del trauma psicologico si differenzia dall’approccio che percepisce la violenza come innata. Gli uomini e le donne che hanno conosciuto molto dolore e molta paura hanno bisogno di vedere il mondo in modo da dare senso alle loro sofferenze, alle loro esperienze di vita: essi sono convinti perciò che la distruttività sia innata. Coloro che si sentono più sicuri della loro capacità di amare e di essere amati hanno un’altra concezione del mondo e dell’umanità, una concezione che riconosce l’importanza delle relazioni umane e il bisogno di apprezzare l’altro.