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Riassunto del libro Introduzione ai Media Digitali | Arvidsson & Delfanti, Appunti di Sociologia Dei Media

Riassunto dettagliato e chiaro del libro "Introduzione ai Media Digitali" degli autori Adam Arvidsson & Alessandro Delfanti. Ideale per esame universitario. - Alma Mater Studiorum – Università di Bologna (UNIBO)

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 13/11/2022

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Scarica Riassunto del libro Introduzione ai Media Digitali | Arvidsson & Delfanti e più Appunti in PDF di Sociologia Dei Media solo su Docsity! SOCIOLOGIA DEI NUOVI MEDIA LIBRO 1 : INTRODUZIONE AI MEDIA DIGITALI I. MEDIA E TECNOLOGIE DIGITALI 1.1.L’ambiente digitale Le società contemporanee sono caratterizzate dall’onnipresenza dei media nella loro vita quotidiana  si parla di un fenomeno definito mediatizzazione : le persone vivono in flussi di comunicazione continui. La diffusione dei media digitali è cresciuta costantemente a partire dagli anni ’80 del XX secolo, con la messa in commercio di computer basati su microprocessori a basso prezzo e pensati per un mercato di massa, e dall’introduzione del world wide web negli anni ’90. Negli anni 2000 si è assistito all’emergere del web collaborativo, cioè software e piattaforme online che permettono agli utenti di produrre e distribuire contenuti in prima persona e delle tecnologie mobili come smartphone e tablet, che hanno trasformato l’esperienza della rete da quotidiana a totale. Ecologia dei media : usando questa metafora, si vuole intendere che si assiste all’evoluzione di nuove forme di vita, come i motori di ricerca, i social network, i pubblici connessi o gli operatori di telefonia mobile che forniscono servizi di connessione alla rete. Inoltre si arricchisce di nuove strategie di sopravvivenza : i social network forniscono servizi gratuiti in cambio di dati degli utenti, i partiti politici usano la rete per sperimentare nuove forme di comunicazione e per accumulare consenso, i governi mettono in atto nuove forme di strategia di censura e controllo nei confronti delle proprie popolazioni. Bakler parla della nascita di un <<ambiente di rete>>, caratterizzato dalla maggior possibilità che gli individui possono assumere un ruolo più attivo all’interno del sistema dei media. Questo ambiente però, allo stesso tempo, è denso di scontri ad esempio sul copyright, gestione e proprietà delle infrastrutture tecnologiche, informazione e censura. I media digitali, inoltre, sono terreno di scontro tra diverse visioni del mondo che si contrappongono. Perciò: - da un lato le tecnologie sono dipinte come portatrici di democrazia, giustizia, uguaglianza, come mezzi per superare la rigidità delle società industriali e allargare la Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 cerchia di persone che possono partecipare liberamente e attivamente alla vita pubblica e produttiva; - dall’altro sono una minaccia per l’ordine sociale, come potenziali distruttrici degli equilibri su cui si fondano le società complesse, come strumenti di sfruttamento e prevaricazione o come strumenti per la conservazione e l’irrigidimento delle gerarchie e le disuguaglianze. 1.2.Nuovi e vecchi media I media digitali sono un insieme di mezzi di comunicazione basati su tecnologie digitali e che hanno caratteristiche comuni che li differenziano dai mezzi di comunicazione che li hanno preceduti. I nuovi media sono tutte le tecnologie di comunicazione basate sui computer e sulle reti che si sono diffuse a partire dagli ultimi decenni del XX secolo affiancando o poi integrandosi con i mass media tradizionali, come televisione, giornali o radio. Sono costituiti da tecnologie eterogenee e molto diverse tra loro. I media basati sui computer sono ormai diffusi da diversi decenni e sono diventati gli strumenti predominanti nel panorama dei media, fino ad interagire con tutti quelli precedenti. I media basati su tecnologie recenti conservano similitudini e analogie con i media precedenti. Quando un nuovo media viene introdotto, esso non sostituisce i vecchi media ma li integra e li modifica  processo di rimediazione. I nuovi media non nascono dal nulla ma evolvono da pratiche e tecnologie mediali preestistenti. L’evoluzione dei media è un processo continuo e non lineare che può avvenire in diverse direzioni: nuove e vecchie forme mediali continuano ad influenzarsi reciprocamente. Fase della crisi d’identità : le prime fasi della vita dei media emergenti sono caratterizzate dall’incertezza sul loro ruolo sociale  i nuovi media non sono accettati subito come naturali, e il loro significato resta aperto e contestato. Questa fase è risolta quando una nuova tecnologia diviene un prodotto di consumo di massa. In un processo di domesticazione, la nuova tecnologia viene accettata all’interno della società, risulta comprensibile e tende a non causare forme di rifiuto o paura rispetto ai comportamenti o usi che rende possibili. L’archeologia dei media si occupa di studiare tecnologie un tempo dimenticate o cadute in disuso che vengono rivitalizzate e spesso tramite pratiche di valenza artistica o politica. Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205  Alcune prospettive vedono la tecnologia come un fattore esogeno, una forza esterna il cui sviluppo è indipendente dai fenomeni sociali. Perciò non importa chi sviluppa una tecnologia ma quale funzione specifica essa assolva per lo sviluppo di una società.  Un altro approccio di questo tipo è il determinismo tecnologico, secondo il quale le tecnologie sono fattori indipendenti in grado di determinare lo sviluppo delle società umane. Le caratteristiche dei media digitali determinano il modo in cui gli individui interagiscono tra loro. Per Karl Marx (*) le tecnologie hanno il potere di strutturare i rapporti di produzione. Posizioni simili sono state assunte da alcuni studiosi dei media. Secondo Marshall McLuhan <<il medium è il messaggio>>, cioè la tecnologia mediatica utilizzata ha un impatto determinante sulla società. Questo è più importante del contenute delle comunicazioni scambiate tramite essa. La prospettiva determinista resta uno dei principali modi di interpretare la dimensione sociale ed economica dei media digitali. Questa visione è ritenuta troppo monodimensionale in quanto nega la complessità del rapporto tra tecnologia e società. Ci sono versioni moderate di questo approccio, le quali riconoscono che gli individui e i gruppi sociali contribuiscono a determinare il ruolo assunto dalle tecnologie all’interno di una società.  Una prospettiva opposta a questa è la costruzione sociale delle tecnologie, in base alla quale la struttura e il successo di una tecnologia dipendono dalla forza, dai bisogni e dai valori del gruppo sociale che lo promuove. Le persone, perciò, partecipano attivamente all’evoluzione delle tecnologie. Si considerano le tecnologie non naturali o esogene ma dipendano dai processi sociali dai quali hanno origine e in cui sono immerse le persone che le sviluppano. Chi utilizza i media digitali può farne usi non previsti o diversi da quelli immaginati da chi li ha progettati. Secondo la definizione di Langdon Winner [1980] le tecnologie hanno una <<politica>> : il modo in cui sono progettate o la decisione di adottarle o meno possono avere il fine di ribadire una forma di potere o autorità.  Altre teorie sociali parlano della coproduzione di tecnologia e società, invitando a focalizzarsi su un solo legame causa/effetto: non è la società a plasmare le tecnologie e non solo le tecnologie a determinare la società, ma esse si influenzano e modificano reciprocamente.  La sociologia utilizza il termine affordance (preso dall’ingegneria), per descrivere le possibilità offerte e i limiti imposti da uno strumento tecnologico a chi lo utilizza. Le Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 tecnologie possono offrire soluzioni e rendere possibili nuove forme di azione, ma ciò solo all’interno dei confini e secondo le modalità della tecnologia stessa. II. LA SOCIETA’ DELL’INFORMAZIONE II.1. Informazione e società Con l’espressione <<società dell’informazione>> si intende una forma di società caratterizzata dall’importanza della produzione e gestione di informazione, sapere e conoscenza. In questa società le tecnologie sono pervasive e influenzano i processi produttivi, sociali e politici. La nascita e l’affermazione della società dell’informazione non sono legate solo alla diffusione delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione digitale, ma anche a cambiamenti economici e politici epocali avvenuti negli ultimi decenni del XX secolo, come l’affermarsi dei fenomeni di globalizzazione e la nascita di paradigmi produttivi. Il concetto di <<società dell’informazione>> comincia a diffondersi negli anni ’90, sia nel dibattito pubblico, sia in quello accademico. Alle visioni di trasformazione economica si aggiungono speranze di natura utopica che attribuiscono alla natura democratica, trasparente e aperta di internet effetti sociali più ampi. Si arriva a parlare della nascita della società dell’informazione come di una terza rivoluzione industriale, basata sulle tecnologie di gestione e trasmissione dell’informazione. Il cambiamento non è limitato solo al settore terziario ma si estende anche ai settori agricolo e industriale. Il sistema economico che emerge da questa trasformazione si caratterizza per essere informazionale, globale e a rete (Manuel Castels). II.2. Economia in rete e globalizzazione In un’economia informazionale, cioè basata sull’informazione, la produttività, la competitività e la reddittività dipendono dalla capacità di generare e gestire informazione e conoscenza. La ricerca e lo sviluppo diventano cruciali per l’impresa. Nella società dell’informazione i diritti di proprietà intellettuale acquistano importanza. Per un’azienda che produce beni ad elevato contenuto di informazioni, possedere brevetti o diritti d’autore diventa cruciale. A partire dagli anni ’80 i diritti di proprietà intellettuale si espandono alla ricerca scientifica nelle università pubbliche e a nuovi tipi di beni informazionali, divengono più lunghi e vengono regolati in modo più stretto a livello nazionale e globale. Le risorse principali dell’impresa smettono di essere le fabbriche e i macchinari, per diventare quelle Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 legate all’informazione : brand, brevetti, design, marketing. Le imprese madri possiedono la proprietà intellettuale e gestiscono la ricerca tecnologica , il marketing, la comunicazione, le reti di fornitori e quelle commerciali. Nell’economia globale (o globalizzata) le grandi istituzioni economiche hanno la capacità organizzativa e tecnologica di operare su scala globale. Con la società dell’informazione la globalizzazione diventa uno dei fenomeni economici principali e si basa anche sulla nascita di nuovi soggetti: si affermano le imprese multinazionali, che usano i media digitali per controllare i processi produttivi e organizzativi complessi e transnazionali. Nasce così una cultura di consumo globale in cui merci, stili di vita, e forme di consumo si diffondono in tutto il mondo e vengono adattati in contesti locali diversi. Si affermano i mercati finanziari globali, che vengono gestiti tramite media digitali e tecnologie di rete. Aumenta l’importanza di entità e trattati sovranazionali che comprendono insiemi di nazioni o intere regioni. L’economia in rete è caratterizzata da forme di produzione più flessibili. Dalle gerarchie rigide del lavoro di fabbrica e delle organizzazioni burocratiche della società industriale si passa ad un paradigma di organizzazione dei processi produttivi a rete, basato su un decentramento e autonomia delle unità produttive. Nascono reti di imprese formate da fornitori, subfornitori, produttori, imprese di distribuzione e reti commerciali. Con l’avvento della società industriale nel XIX secolo, le economie di scala basate su organizzazioni burocratiche e centralizzate si sono dimostrate più efficienti delle reti preesistenti e si sono affermate come la principale forma di organizzazione economica. Con l’emergere della società dell’informazione, le reti sono tornate ad essere competitive. Le tecnologie dell’informazione permettono di organizzare in modo estremamente efficiente attori che non rispondono ad una gerarchia piramidale ma hanno parziale autonomia di decisione. Le reti tornano così ad essere un’alternativa alle organizzazioni burocratiche. II.3. Le teorie sulla società dell’informazione La figura di maggior rilievo sul dibattito sulla società dell’informazione è stata il sociologo Manuel Castells, la cui teoria risulta influenzata dal concetto di determinismo tecnologico. Teorizza l’importanza economica, sociale e politica dell’informazione in una società di trasformazione. Si passa dall’importanza degli oggetti, in una società industriale, all’importanza dei beni informazionali o intangibili nella società dell’informazione. Il brand, l’innovazione e il sapere determinano il successo economico, anche dell’individuo. Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 destinati alle medie imprese e all’amministrazione statale, Intel inventò il microprocessore e questa innovazione rivoluzionò il mercato dei computer, riducendo drasticamente il prezzo e dimensioni migliorando le prestazioni. La maggior accessibilità portò la diffusione del computer nelle organizzazioni e nelle imprese ed ebbero un impatto crescente sull’organizzazione economica. A fine anniì70 si poteva parlare dell’emergere di una nuova società dell’informazione basata sui computer. Negli anni’60 negli Stati Uniti si era formata una cultura di giovani ingegneri e studenti informatici, che si sentivano vicini alle controculture che dominavano i campus americani e sarebbero sfociate nel 68: le prima comunità di Hacker. Queste persone vedevano i sistemi gerarchici e il rigore formale che circondava i computer nelle grandi università e nei centri di ricerca come una sfida da contrastare. Essi proponevano un utilizzo diverso da quello per cui era stato costruito, infatti furono loro gli artefici dei primi videogiochi. Cercavano di sovvertire i sistemi tecno-economici tramite interventi di manipolazione tecnologica. Il loro primo bersaglio fu la rete telefonica americana monopolizzata, nella quale riuscirono a trovare il modo per effettuare telefonate gratuite e avere conversazioni di gruppo. Dal matrimonio fra hacker e controculture tecnologiche nacquero i primi personal computer destinati a un uso familiare. Da luoghi come la Silicon Valley ai fondatori di Apple, emersero nuovi linguaggi di programmazione come il Basic di Microsoft e Apple II, lanciato nel 77 il primo computer con un sistema operativo interfaccia grafica basato sull’uso dei mouse e diretto dal mercato di massa. I personal computer cominciavano a entrare nelle piccole imprese, ad essere utilizzati da professionisti e artigiani. Sistemi operativi come Mac, Windows e Microsoft Office aumentarono il potenziale dei computer per famiglie. La trasformazione del computer da tecnologia burocratico-militare a elettrodomestico e centro di intrattenimento per le famiglie fu quindi il frutto dell’appropriazione e della riconfigurazione delle nuove tecnologie da parte di attori come hacker, attivisti del movimento del 68 e imprenditori della Silicon Valley. Interne ha una storia simile. 2.5. L’evoluzione delle reti Negli anni’50 e ’60 si cominciò a pensare al computer come uno strumento non più per fare solo calcoli, ma anche per comunicare. il progetto di comunicazione fu intrapreso per la prima volta dall’antenato di internet: la rete Arpanet , che collegava i supercomputer presenti nelle università e in alcuni centri militari. Arpanet si basava sulla tecnologia packet switching, che scompone ogni messaggio in una serie di pacchetti che trovano la loro Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 strada nella rete indipendentemente dagli altri. Si tratta dunque di un’architettura distribuita dove non esiste un nodo centrale e lo spegnimento di un singolo computer non pregiudica il funzionamento della rete. Il progetto lanciato dall’agenzia di ricerca militare Arpa era partito come competizione alla tecnologia dell’Unione Sovietica dopo il lancio dello Sputnik (il primo satellite). Anche nel caso della rete si può identificare una linea parallela e convergente con quella militare-industriale. Arpanet era stata pensata in origine come un canale di comunicazione militare da usare per coordinare le comunicazioni dell’aeronautica e solo successivamente i ricercatori delle università statunitensi ne influenzarono lo sviluppo e ne cambiarono la destinazione. Oltre ad Arpanet troviamo anche altre reti, che trasformarono la rete da una semplice tecnologia per connetter i computer alla possibilità di far comunicare e propagare contenuti. Negli anni’90 alcune innovazioni diedero vita alla rete che conosciamo oggi: • furono resi noti i linguaggi e gli standard del World Wide Web; • il sito info.cern.ch fu il primo sito a basarsi sull’Html (Hyper Text Mark-Up Language: usato per mettere on-line documenti ipertestuali, tag, inserendo etichette, potendo cambiare colori, dimensioni, link…); • escono gli Url (Uniform Resourch Locator), cioè indirizzi riconoscibili che identificano un contenuto presente su un server e permettono ad un pc che ne faccia richiesta di accedervi; il sistema Url rende i siti indipendenti dalla collocazione fisica ad esempio: una web page può avere un Url italiano (.it) ma essere collocata fisicamente su un server a Hong kong; • il protocollo http (Hyper Text Transfer Protocol) è il sistema di trasmissione delle informazioni utilizzato sul web. Berners-Lee decise di rilanciare queste innovazioni senza restrizioni, in modo tale che chiunque potesse utilizzarle. Questo facilitò la diffusione di una nuova rete di siti linkati fra loro, il World Wide Web (www). Gli standard e i linguaggi del Www e la diffusione dei protocolli aperti come il Tcp/Ip , permisero l’unificazione delle varie reti in internet: la rete delle reti. Alla diffusione delle reti e alla nascita del web contribuirono anche scelte politiche: nel corso degli anni 80 gli operatori telefonici conoscono una prima ondata di liberalizzazioni che aprono alla concorrenza in un mercato tradizionalmente monopolistico. Successivamente America ed Eu lanciano politiche per la costruzione di infrastrutture tecnologiche per l’informazione e per la deregolamentazione ulteriore del mercato delle telecomunicazioni. Tra le altre innovazioni troviamo il Digital Millenium Copyright Act che protegge i diritti degli autori. Un esempio l’impedimento do copiare dvd o usarli al di fuori Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 delle zone in cui sono stati comperati. Queste e altre legislazioni hanno tutelato i grandi produttori di contenuti come le case discografiche o cinematografiche stimolando il loro interesse per il web come possibile piattaforma di business. Sempre negli anni’90 il web si diffonde e comincia a rappresentare un’industria in espansione, nascono le cosiddette <dot-coms>, cioè portali commerciali come Amazon o Ebay è la cosiddetta new economy. Alla fine del millennio qualsiasi attività online avrà il suffisso <.com> (che sta per commerciale) e sarà in grado di attirare investimenti spropositati, nuove proposte di business, spesso irreali e basate su aspettative gonfiate che, in termini finanziari si chiamano bolla speculativa , cioè un aumento sconsiderato dei costi delle azioni delle aziende di commerci online, con una mole di investimenti finanziari di dimensioni troppo elevate rispetto al valore reale della azienda. Lo scoppio di questa bolla, avvenuto negli anni 2000 portò al fallimento di gran parte delle aziende della rete. 2.6. Il futuro della società dell’informazione Le nuove tecnologie informatiche hanno avuto alcune conseguenze sociali fondamentali. Nella produzione industriale rendono possibile l’automazione e l’organizzazione della produzione in reti globali di piccole fabbriche connesse tra loro. Questo tende a diminuire sia il costo della produzione materiale, sia il potere contrattuale della classe operai, mentre la produzione di beni immateriali come innovazioni, organizzazione e brand diventano più importanti. Si diffondono forme di organizzazione sociale a rete diversa dal mercato e dalle organizzazioni gerarchiche. Sembra essere sconfitta l’ipotesi della natura egualitaria della nuova società dell’informazione; dalla metà degli anni 70 si assiste una crescente disuguaglianza salariale, con la discesa della classe operaia industriale e la sua sostituzione con il nuovo proletariato dei servizi concentrato nei call center, nelle vendite e nei servizi alla persona. Vi è anche una disuguaglianza globale, con l’accentuarsi della divisione del lavoro tra le regioni che producono materie prime o beni materiali e quelle che gestiscono i processi di innovazione. Il futuro della società dell’informazione dipende da molte variabili e lo sviluppo tecnologico è solo una tra le tante; un campo altrettanto importante è quello delle politiche pubbliche a livello nazionale e sovranazionale riguardante le regolamentazioni sulle telecomunicazioni, sull’architettura della rete e i diritti sulla proprietà intellettuale. III. CULTURE E IDENTITA’ Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 servizi del sito. Non tutti i media sono creati a scopo di profitto. Lo studio dei social network permette di comprendere come questi assumono un loro ruolo nello strutturare nuove forme di relazioni sociali e contribuiscono alla costruzione delle identità personali e di gruppo che avvengono in rete. Tuttavia i media sociali hanno il potere di strutturare il tipo di azione che gli utenti possono mettere in atto, dato che le tecnologie che li costituiscono offrono possibilità ma anche limiti entro i quali è possibile utilizzarli. III.3. Media e identità I media digitali sono importanti strumenti in cui gli individui mettono in atto strategie attive di costruzione della propria identità. I rituali di presentazione del sé, studiati dal sociologo Goffman, attraverso i quali le persone si rappresentano in pubblico e costruiscono nelle pratiche la propria identità, devono essere ricalibrati per adattarli ai media digitali e alle possibilità offerte dalle piattaforme sociali. Goffman usava la metafora del teatro per descrivere il modo in cui le persone costruiscono la propria identità in pubblico. Seguendo questa metafora possiamo sostenere che i media digitali, e soprattutto quelli sociali, siano uno dei palcoscenici contemporanei da cui gli individui rappresentano la propria identità tramite un lavoro di continua costruzione. I media digitali forniscono agli individui un controllo elevato su questa continua costruzione identitaria. Il tipo di informazioni che vengono pubblicate può variare all’interno di contesti diversi, cioè piattaforme rivolte a scopi e pubblici diversi. Nei media sociali, che sono basati sulla capacità di attivare e rendere visibili i legami sociali degli individui, il contenuto dell’informazione pubblicata può essere meno rilevante rispetto al contesto in cui avviene la comunicazione. Tuttavia i media sociali non determinano completamente l’identità di una persona ma piuttosto la incorniciano. Molti dei comportamenti di costruzione dell’identità in rete sono identici a quelli offline. Nel passato erano molto usati i nickname (o pseudonimi), in modo da mascherare la propria identità o crearne altre, oggi, invece, la maggior parte degli utenti della rete usa il suo vero nome. I media sociali sono anche degli spazi utilizzati spesso per esprimere in forma anonima lati della propria identità ritenuti socialmente inaccettabili o censurati (es. uso di Tumblr Instagram). Questo fenomeno, chiamato thinspiration, si è dimostrato resistente ai tentativi di censura dato che gli individui usano una miriade di # che cambiano di continuo per evitare che le piattaforme web blocchino i post contenenti un # segnalato come improprio. L’importanza dei media sociali per l’identità delle persone è evidenziata anche da fenomeni come il cosiddetto aldilà digitale. Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 Con la definizione nativi digitali sono stati descritti i giovani nati a stretto contatto con i computer e internet, con cellulari, tablet e console per i videogiochi connesse alla rete. I <<nativi>> sarebbero abituati a leggere su schermi, a interagire online con i loro coetanei, a scrivere, giocare, imparare, interagire per mezzo della rete, dato che sono la generazione che non ha mai conosciuto il mondo come esisteva prima della diffusione di massa delle tecnologie digitali. I migranti digitali sono le persone che sono nate prima dell’avvento di internet e si sono formate in un mondo dominato da carta stampata e televisione. Ad un certo punto della loro vita adulta hanno dovuto adattarsi alle tecnologie digitali e imparare questo linguaggio. III.4. Pubblici o comunità? La teoria sociologica classica distingue due forme di relazioni sociali :  Relazioni comunitarie  caratterizzate da alti livelli i fiducia e di conoscenza reciproche. Queste si articolano nella forma della comunità, in cui il gruppo viene prima dell’individuo e le norme che regolano la vita sociale sono molto forti e a volte oppressive.  Relazioni sociali tipiche della modernità  caratterizzate dall’importanza di associazioni dotate di regole formali ed esplicite, come le organizzazioni burocratiche, i partiti politici, i sindacati o le associazioni professionali. I diritti e i doveri sono regolati da leggi e regole formalizzate e l’equilibrio tra autonomia individuale e norme sociali è più bilanciato. La diffusione dei media sociali è stata interpretata come l’emergere di una terza forma di relazioni sociali, che è stata chiamata individualismo in rete. Questo è il risultato della coordinazione di una grande quantità di opportunità e scelte individuali abilitate dai media digitali. L’individuo tende ad appartenere ad una moltitudine di reti sociali diverse, spesso non connesse tra loro. In ogni rete l’individuo può mostrare o sviluppare un aspetta particolare della sua identità. Le persone hanno la possibilità di agire attraverso le proprie scelte per definire una serie di riferimenti plurali che le caratterizzano e danno forma alla loro identità complessiva. Simmel, studiando le relazioni sociali che si sviluppavano nelle grandi città agli inizi del XX secolo, evidenzia come l’esperienza individuale tipica della modernità sia caratterizzata dalla contemporanea appartenenza a diverse cerchie. Le persone costruiscono la propria dimensione identitarie sull’appartenenza a gruppi anche molto differenti tra oro, caratterizzati da codici e norme distinti. Internet rende molto più facile indentificare e contattare persone con cui si condividono passioni, interessi e valori e Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 organizzare con loro una rete di interazioni. Esso rende più semplice la proliferazione di gruppi organizzati intorno ad interessi o stili di vita comuni, tanto da far parlare di nuove forme di collettivismo in rete in cui gruppi di persone sono tenute assieme da legami deboli. Per sottolineare la differenza rispetto a gruppi che condividono legami più forti altri autori hanno descritto queste nuove forme di socialità basate sui media digitali come pubblici connessi, invece che come comunità. In sociologia il termine <<comunità>> implica una forte densità relazionale : i membri di una comunità interagiscono gli uni con gli altri e condividono significati, pratiche, valori e norma anche vincolanti. Non tutte le appartenenze costruite attraverso i media digitali possono essere descritte con i termini della comunità. spesso si tratta di individui che non si conoscono direttamente e condividono solo alcuni interessi o comportamenti. Castells ha chiamato queste forme di interazione autocomunicazione di massa: ognuno comunica con il pubblico che lo circonda, generando un’opinione e informazioni comuni. Il termine pubblico indica che queste collettività sono meno dense e totalizzanti rispetto alle comunità. Allo stesso tempo, però, i pubblici connessi sono più densi delle reti. Una <<rete>> è semplicemente un termine tecnico che indica un insieme di legami. Il pubblico può essere caratterizzato da un immaginario sociale vasto, che implica anche scelte di natura etica o politica. I pubblici anche se sono meno densi e meno vincolati per la costruzione delle identità personali, offrono ai propri membri un riconoscimento del proprio contributo a questa causa comune. I pubblici dei media digitali possono essere entità sociali dotate di una particolare visione del mondo. Le comunità tendono a durare nel tempo conservando gli stessi membri. Uscire da una comunità può essere difficile, proprio a causa dei legami profondi che vi si creano. I pubblici connessi, invece, possono essere più fluidi e transitori. In questo senso, il pubblico può essere un fenomeno sociale molto più transitorio della comunità. Nelle comunità postmoderne l’identità delle persone era dettata dalla tradizione. Nel caso dell’individualismo in rete, l’identità viene costruita tramite una serie di scelte, come i pubblici cui appartenere, con quale grado di coinvolgimento e quanto dare importanza a questi pubblici per la propria identità. Perciò l’identità è il risultato complessivo di queste appartenenza. III.5. Reputazione e influenza L’emergere dei pubblici connessi e l’importanza dei media digitali come strumenti di costruzione di relazioni sociali sono intimamente legati a cambiamenti nel modo in cui si forma la reputazione personale degli individui. La reputazione è un giudizio sulle qualità di Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 assorbiti in un mondo parallelo fatto di msg e immagini. I media sociali ci proietterebbero così in un mondo in cui saremo insieme ma soli. Le ricerche empiriche effettuate fin dagli anni ’90 concordano nel tracciare un quadro differente. Le persone che usano la rete tendono ad vere reti sociali più estese e diversificate rispetto alle persone che non utilizzano tecnologie digitali. Gli utenti di internet non sono di per sé meno inclini a far visita ai vicini e hanno in media una vita associativa più ricca rispetto alle persone che non usano i media digitali. L’utilizzo di internet può essere considerato un fattore che alimenta la ricchezza della vita sociale delle persone così come il loro capitale sociale. I media non impoveriscono la vita sociale e relazionale delle persone. È piuttosto il modo in cui le persone interagiscono tra loro a cambiare con l’uso di queste tecnologie. la proliferazione delle appartenenze a diversi ambienti mediatici può avere degli effetti importanti anche sulla privacy delle persone. Le piattaforme dei media sociali hanno scardinato la concezione della privacy basata sul diritto ad una vita privata non visibile in pubblico, un fenomeno che aveva in un certo senso già colpito le persone famose e i politici con l’avvento della televisione. L’idea che esistano due sfere completamente separate – pubblica e privata – non descrive in modo accurato le forme di socialità in rete. Se da un lato hanno parzialmente rinunciato ad una concezione della privacy come diritto ad una sfera privata non accessibile, che pregiudicherebbe la possibilità di partecipare a pieno titolo alle dorme di socialità in rete, oggi le persone sanno negoziare i livelli di privacy per creare un controllo attivo sulle informazioni che le riguardano o sulle interazioni che mettono in atto. IV. COLLABORAZIONE ONLINE 4.1. I media collaborativi Tra le trasformazioni tecnologiche, economiche e organizzative della società dell’informazione, un posto di rilievo è occupato dai fenomeni di partecipazione attiva e cooperazione alla produzione dei contenuti e informazioni prodotta dagli utenti della rete e che hanno avuto ripercussioni su tutti i settori, dalla produzione culturale, alla produzione di software e marketing. Gran parte dei servizi presenti sulla rete sono infatti interattivi e permettono la partecipazione degli individui o addirittura si basano su forme di produzione affidate completamente agli utenti, come ad esempio le piattaforme, semplici da usare perché non richiedono competenze tecniche specifiche e si basano su processi di cooperazione. Strumenti come blog, wiki, sistemi di tagging e di condivisione di Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 informazione sono alla base di questa trasformazione e di queste piattaforme. Le nuove forme cooperative di comunicazione si caratterizzano per offrire ai clienti di formare loro i contenuti, in prima persona. Gli esempi di questo fenomeno esploso a partire dagli anni 2000 sono molti e basta aver la possibilità di esser connessi ad una rete per potervi accedere e creare. Il passaggio da forme più statiche e unidirezionali di comunicazione al web collaborativo, che oggi viene dato per scontato e appare e viene dato per acquisito, ha cambiato in profondità i media e l’industria culturale. I media broadcast, come la televisione e la stampa, sono diretti da un centro che invia il messaggio a molti ricevitori, qui il pubblico può scegliere quali contenuti leggere o guardare, ma non può contribuire a fornire feedback e produrre contenuti, al contrario avviene in queste piattaforme. Oggi il livello di interazione è maggiore tra gli utenti e il servizio stesso, l’utente assume un ruolo centrale. I blog sono diari o giornali online, che danno vita alla blogosfera, cioè un ambiente a rete formato da blog in comunicazione dove troviamo anche i social network. Produrre un sito web personale non richiede competenze informatiche specifiche dato che può farlo chiunque ed è molto easy. La pubblicazione online non è più riservata soltanto agli informatici, giornalisti o scrittori ma a tutti gli utenti. Troviamo anche i wiki, software di scrittura collettiva, che permettono a più persone di lavorare contemporaneamente a uno stesso testo o documento, l’esempio più concreto è Wikipedia, allo stesso modo troviamo anche Youtube anche se in forma differente. Il successo di questi servizi è dovuto oltre che all’uso di software collaborativi, anche alla diffusione di strumentazione a basso costo come telecamere o macchine fotografiche. Altri servizi commerciali sono Ebay, Amazon, Google Maps o sistemi di rating (trip Advisor) dove poter votare o recensire ristoranti o altri servizi. Questo nuovo mondo, il web collaborativo è formato da utenti che sono i primi a formare contenuti, a svincolarsi dalla dinamiche canoniche dell’industria culturale. Il pubblico che prima riceveva i messaggi passivamente, veicolati dai broadcast si trasforma in pubblico attivo, passano da solo consumers a prosumers (letteralmente si riferisce ad un utente che, svincolandosi dal classico ruolo passivo, assume un ruolo più attivo nel processo che coinvolge le fasi di creazione, produzione, distribuzione e consumo), cioè da produttori/consumatori (ad esempio sono i remake dei videoclip di artisti famosi, reinterpretati dai fan o da semplici utentifandom). 4.2. Il dilemma della partecipazione Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 Le prime ricerche sul web collaborativo e sulla cultura della partecipazione tendevano a dipingere questi processi di produzione collettiva tramite i media digitali come forme di democratizzazione dell’ambiente dei media. Criticata per la mancanza di attenzione alle dinamiche di potere che sottostanno al web collaborativo. Nella teoria politica moderna, il concetto di partecipazione sottointende una distribuzione del potere verso i cittadini tramite processi decisionali democratici e relazioni di potere egualitarie. Gli utenti contribuiscono solo marginalmente ai processi decisionali, e quindi che le forme di collaborazione gestite dalle industrie culturali o dalle grandi imprese del web non sono pienamente partecipative. Analizzare alcuni dei fattori organizzativi e politici che determinano la differenza tra semplice condivisione o produzione di contenuti da parte degli utenti e forme di collaborazione in cui si può parlare di vera e propria partecipazione ad un progetto collettivo:  Intenzionalità : i partecipanti sono consapevoli di rendere parte ad una collaborazione e hanno obiettivi condivisi oppure i contenuti da loro creati vengono aggregati o gestiti da altri?  Controllo delle modalità : gli utenti possono mettere in discussione le regole della partecipazione oppure le accettano passivamente?  Proprietà : chi può partecipare e come?  Uguaglianza : ci sono delle gerarchie o tutti i partecipanti hanno lo stesso peso nei processi decisionali? Le imprese web tendono a definirsi piattaforme non solo per descrivere il proprio funzionamento dal punto di vista tecnologico, ma anche per ribadire l’apertura di questi servizi agli utenti, che possono usarli per produrre o condividere contenuti creati da loro stessi. La parola <<piattaforma>> richiama uno spazio aperto, sopraelevato e orizzontale su cui salire. Tramite questa metafora i servizi basati sui contributi degli utenti si presentano esplicitamente come spazi neutrali e democratici che facilitano la comunicazione. Creatività e partecipazione ai processi di produzione collettiva online fanno parte di un’ideologia alimentata a scopi commerciali. Le stesse strategie economiche messe in atto da questi servizi si basano sullo sfruttamento dei contenuti prodotti dagli utenti, come foto, video, testi. Questi servizi usano la retorica di neutralità per evitare di essere ritenuti responsabili per eventuali contenuti illegali pubblicati dagli utenti. Le piattaforme si basano sulla partecipazione collettiva degli utenti in rete rendono possibili nuove forme di cooperazione che possono essere messe in atto per fini non Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 basati sul copyleft rappresentano la maggioranza nel settore dei server e ancora solo una piccola fetta, ma in crescita, in quello dei personal computer. 4.4. Open source e innovazione Dall’esperienza del software libero è nato l’open source, un movimento che dalla fine degli anni ’90 ha cercato di rendere appetibile per le imprese commerciali il modello aperto rappresentato dal copy left. È stato un successone e molte imprese informatiche hanno adottato principi open source per i loro prodotti: un esempio su tutti è Ibm. L’innovazione basata sui diritti di proprietà intellettuale alternativi, partecipazione aperta e disponibilità del codice sorgente è stato applicato in svariati settori, da quello automobilistico, scienza, musica al design. Il caso più noto è quello della condivisione delle risorse di calcolo .SETI@home che è una sorta di <computer virtuale> (dove installando il software SETI@HOME su un personal computer, quest’ultimo viene inserito in una rete di processori che lavorano l’analisi di segnali radio provenienti dallo spazio. Ogni utente che installa questo programma concederà parte della propria potenza di calcolo del suo pc e l’aggregazione di migliaia di utenti risulta in grado di competere con i computer normalmente utilizzati per questi calcoli). Naturalmente una caratteristica importante della peer production è la sua capacità di intercettare motivazioni individuali che spingono le persone a dare contributi o che hanno progetti simili. Altre caratteristiche sono la modularità e la granularità, cioè rispettivamente la possibilità di suddividere il progetto in più parti, appunto moduli che possono essere sviluppati indipendentemente dalle altre parti (in un sistema operativo ci si può concentrare solo sul <modulo scheda video> o qualsiasi altro) e la possibilità di dividere il compito in parti, anche molto piccole che invoglia tutti gli utenti a dare un contributo, anche se piccolo (come ad esempio su Wikipedia dove qualunque persona può modificare una voce e persino una virgola). Queste forme di partecipazione aumentano il controllo individuale sui processi produttivi e la produzione sociale online aumenterebbe anche l’efficienza dei processi produttivi grazie ai bassissimi costi di transazione e la capacità di coinvolgere un numero elevato di individui. L’open source è diventato anche un fenomeno commerciale: sempre più imprese dei media digitali aprono le porte del loro sistema di innovazione e sviluppo al contributo degli utenti della rete tramite strategie di coinvolgimento dei clienti o di attori esterni al fine di migliorare i propri prodotti. Ad esempio, creano piattaforme online in cui gli utenti possono suggerire innovazioni al prodotto o modifiche che sarebbero opportuno apportare e creare soluzioni nuove che successivamente l’azienda userà nel processo produttivo. Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 Questo fenomeno chiamato crowdsourcing, cioè di esternalizzare un processo produttivo alla “folla”, permette di risparmiare denaro ma soprattutto di raccogliere suggestioni ed idee che sarebbero difficili se non quasi impossibili da sviluppare in azienda. Un particolare esempio molto vicino a noi lo troviamo nel mondo della telefonia mobile, con la Apple e il suo iPhone che ha permesso a chiunque di sviluppare applicazioni secondarie come giochi, servizi, screensaver. Tuttavia la vendita e la distribuzione delle applicazioni stesse vengono controllate dall’azienda stessa. La risposta di Google è stata Android. L’innovazione con metodi open source è applicabile alla progettazione e al design di qualsiasi oggetto materiale e non e in alcuni settori, queste soluzioni cominciano ad avere un ruolo commerciale. 4.5. Il valore nell’economia della condivisione Secondo alcuni autori il P2P :  Metterebbe nelle mani dei lavoratori i mezzi di produzione insieme alle possibilità di controllare gli input e gli output del processo produttivo; questo favorirebbe la redistribuzione di ricchezza creata al di fuori delle forme di sfruttamento e proprietà privata del capitalismo;  Rappresenterebbe un aumento di autonomia e libertà individuale, grazie al controllo esercitato dagli utenti, alla dissoluzione delle gerarche in favore di forme decisionali orizzontali, alla maggiore flessibilità e alle nuove forme di democrazia basate su piattaforme collaborative;  Risponderebbe a obiettivi di sviluppo, mettendo a disposizione dei paesi più poveri nuove risorse informazionali. In effetti il software libero e altre forme di produzione peer-to-peer si sono diffuse in settori cruciali dell’economia dell’informazione e hanno avuto una forte influenza culturale e politica in molte sfere delle società contemporanee. Coesistono e sono complementari a processi produttivi di tipo commerciale che rispondono a logiche di mercato e si basano su forme proprietarie di gestione dell’informazione. Diversi autori di ispirazione marxista hanno criticato l’idea che la cooperazione in rete sia di per sé foriera di giustizia distributiva. Tiziana Terranova sottolinea come le imprese sfruttino la collaborazione degli utenti per fare profitti. A fronte della possibilità di godere dei servizi gratuiti forniti dalle aziende del web e dei social network, gli utenti svolgerebbero <<lavoro gratuito>>. Pur non essendo retribuiti, gli individui che collaborano a progetti commerciali basti sull’aggregazione di Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 contenuti creati dagli utenti fornirebbero all’azienda forza lavoro a costo zero ogni volta che postano una foto o un commento. Lo studio della produzione di valore tramite la partecipazione online presenta diverse contraddizioni: - l’esperienza d’uso di Facebook è molto diversa dall’esperienza del lavoro salariato: l’uso dei social media non viene vissuto da parte degli utenti come una forma di sfruttamento simile a quello subito dai lavoratori; - l’idea di una relazione lineare fra valore e tempo di lavoro, sulla quale si basa la teoria del valore di Marx, si scontra con la natura non lineare della creazione di valore online; - il valore realizzato direttamente dal lavoro degli utenti di internet è piuttosto ridotto: le imprese del web si basano principalmente sulla capacità di raccogliere capitali finanziari, e non sulla capacità di generare profitti. Anche l’ipotesi secondo la quale la cooperazione in rete è guidata da un’economia del dono in cui i guadagni materiali sono poco importanti ignora il fatto che le nuove economie collaborative rimangono molto inique per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza. Le forme di calcolo del valore all’opera nell’economia capitalista contemporanea potrebbero non essere in grado di cogliere questa complessità. Inoltre le forme di cooperazione flessibile preconizzate dal software libero sono state adattate per interagire con l’economia di mercato e le grandi imprese multinazionali. La sharing economy o economia della condivisione è composta da piattaforme online tramite le quali le persone possono instaurare processi di scambio di beni, di servizi o di saperi. Frutto del successo tecnologico delle piattaforme di social media e soprattutto delle app per le tecnologie mobili, la sharing economy ha acquistato una forte visibilità pubblica. Le nostre società sarebbero entrate in una nuova <<epoca della condivisione>>. Nell’ultimo decennio vi è stato un fiorire di piccole piattaforme non profit di condivisione di ospitalità, come la condivisione di favori o servizi come la banca del tempo digitale TimeRepublik. Tuttavia il fenomeno si è presto evoluto verso il consolidarsi di pochi giganti multinazionali, come Airbnb o Uber. Queste imprese non posseggono automobili o immobili, ma usano algoritmi sofisticati per controllare e strutturare le transizioni tra persone dotate di un bene o disposte a fornire un servizio e possibili clienti. Le piattaforme esercitano anche un’influenza molto forte sulle relazioni sociali che si formano fra gli utenti. Queste piattaforme realizzano i loro guadagni tassando le transizioni quotidiani di milioni di utenti. Le imprese di sharing economy sostengono che le persone che forniscono servizi tramite la loro app non siano lavoratori dipendenti. Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 di potere nelle mani dei produttori di informazione (il cosiddetto quarto potere) fa si che i mass media controllino i flussi di informazione, con la possibilità di filtrarlo e dirigerlo secondo i loro benefici e scopi politici. In questo senso i media digitali, come ogni nuovo media, hanno trasformato il funzionamento della sfera pubblica. La rete diversifica le fonti di informazione. Gli individui hanno accesso ad una molteplicità di fonti, anche indipendenti da quelle alternative dei mass media, che possono essere difficilmente controllate dalle autorità statali o dalle grandi imprese di informazione. Troviamo nuove forme, più accessibili e trasparenti da cui attingere informazioni. Nei processi di trasformazione della sfera pubblica dell’era digitale troviamo vari fenomeni: • la disintermediazione: cioè l’aumento di indipendenza da figure professionali che storicamente hanno avuto un ruolo di intermediari tra il pubblico e l’informazione. Grazie alle tecnologie digitali, gli individui hanno accesso diretto a duna mole immensa di informazioni che prima erano nelle mani di pochi esperti. Questo fenomeno ha trasformato anche il mondo del giornalismo, soprattutto nella produzione e distribuzione dell’informazione. La diponibilità di pubblicare contenuti da chiunque e in maniera semplice ha portato alla nascita di nuovi fenomeni di produzione di informazione quali news, che hanno arricchito l’ecologia dei media; • il citizen journalism: è la produzione e la distribuzione di notizie da parte di individui che non sono giornalisti professionisti e che si muovono su canali alternativi da quelli istituzionalizzati dai broadcast. Uno degli strumenti principali è il blog, ma troviamo anche i siti di informazione e quest’evoluzione ha portato cambiamenti nei giornali tradizionali che si sono dovuti adattare al cambiamento, aprendo sezioni online, cambiando strumenti (siti web, edizioni per smartphone e tablet) e portando l’interazione con i lettori al centro dell’attività comunicativa. I giornali integrano le news online con sistemi di interazione con i lettori, come blogging, rating, commenti agli articoli e uso dei social network. Questi strumenti e queste pratiche hanno modificato in profondità il sistema con cui le notizie vengono prodotte e distribuite. • il gatekeeping: cioè il potere da parte dei principali giornali (o broadcast) di selezionale quali notizie rendere visibili al pubblico e quali no. Ora il gatekeeping non è più così saldamente nelle mani di questi colossi dell’informazione, ma è piuttosto distribuita nelle mani degli utenti; • anche il ruolo dei mass media è cambiato, da detentori di agenda setting: cioè la capacità di dettare l’agenda del dibattito pubblico scegliendo le notizie su cui si parlerà. La sfera pubblica in rete sarebbe così in grado di garantire i filtri di attendibilità e rilevanza Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 un tempo riservati ai mass media che oggi non sono più gli unici intermediari tra cittadini e informazione. La rete ha anche favorito l’emergere di attori come WikiLeaks: (nata nel 2006) si tratta di una piattaforma per la pubblicazione dei “leaks”, cioè perdite o fughe di notizie; WikiLeaks è un’organizzazione no-profit internazionale basata sulla raccolta di documenti riservati o coperti dal segreto di stato che le persone possono fornire in maniera anonima, grazie ad un programma di criptazione. Dopo aver verificato l’autenticità della notizia, questa viene pubblicata in forma anonima sul portale. I suo scopo è quello di aumentate la trasparenza dei governi e delle imprese tramite una forma di controllo del loro operato messa in atto d tutti gli utenti della rete. La maggior parte delle interazioni all’interno della sfera pubblica in rete avvengono su piattaforme digitali sviluppate, possedute e controllate da attori privati. Ricerche sui blog effettuate negli anni ’90 hanno dimostrato che la cosiddetta blogsfera era caratterizzata da fenomeni opposti come l’omofilia: i blog tendono a linkare fonti di informazione del proprio campo politico, riducendo così la diversità e il confronto tra idee. Questi spazi tendono a favorire la polarizzazione del dibattito, dando vita a rischi di cyberbalcanizzazione cioè la creazione di piccole enclave fortemente omogenee al proprio interno e in perenne lotta tra loro. La blogsfera politica americana è fortemente polarizzata : chi legge i blog di orientamento repubblicano, generalmente tende a non leggere i blog democratici. In questo modo possono venire a mancare il confronto e il dibattito fra orientamenti e prospettive diversi che caratterizzano una sfera pubblica virtuosa. 5.3. Politica e democrazia le relazioni di potere sono ormai sistematicamente organizzate anche intorno alle reti, alla capacità di determinare chi vi può accedere, alla loro programmazione e alla gestione dei flussi di informazione. Nella società in rete, il potere diventa <<potere della comunicazione>> e si incarna nell’architettura stessa della rete. Questo fenomeno è trasformato e rafforzato dell’emergere della sfera pubblica in rete. A partire dagli anni ’90 c’è stato un aumento progressivo di cittadini che si informano o partecipano al dibattito politico tramite i media digitali ma sono diminuiti coloro che utilizzano soltanto altri media come i giornali, la radio e la televisione. Gli effetti di questi cambiamenti sulla sfera pubblica dipendono anche dal tipo di società in cui si verificano. Nei paesi autoritari l’architettura distribuita della rete può rendere difficile il controllo dei flussi di informazione Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 e quindi quello della sfera pubblica. Questa difficoltà può tradursi in un aumento della libertà di espressione a sostegno di movimenti sociali che possono prendere la parola in contesti in cui il dibattito pubblico è completamente controllato da un regime, ma questo cambiamento può anche dare ai regimi autoritari nuove forme di controllo, in quanto le attività in rete sono facilmente tracciabili. Nonostante interne possa ampliare la partecipazione dei cittadini alla sfera pubblica, l’accesso alle tecnologie digitali è diseguale: il divario digitale è la differenza di accesso alle tecnologie di rete che si verifica tra paesi ricchi e poveri, o tra diverse classi sociali o generazioni all’interno dello stesso paese. Importanti sono le politiche legate ai problemi dell’accesso e della trasparenza dell’informazione. I governi mettono in campo iniziative per controllare l’accesso alle informazioni e sono spesso riluttanti a concedere maggiore trasparenza. I governi non democratici possono arrivare ad esercitare un controllo molto stretto sull’informazione. Agli utenti della rete di quel paese, inoltre, è precluso l’accesso a diversi siti e risorse online. Anche i paesi democratici possono ricorrere a censure, filtri e provvedimenti che limitano la libertà di espressione tramite i media digitali. La stessa attività politica è influenzata da media e sistemi di gestione dell’informazione. Nelle società avanzate, le pratiche politiche dipendono in modo rilevante dalla capacità di analizzare l’elettorato con tecniche derivate dalle scienze sociali al fine di produrre strategie di marketing politico mirate sui diversi media utilizzati. Le tendenze più ottimiste vedono in internet un mezzo per creare forme di democrazia diretta destinate a soppiantare le istituzioni della democrazia rappresentativa, mentre quelle più pessimiste vi vedono solo un rinforzo delle gerarchie esistenti, è probabilmente più corretto affermare che la rete rende possibili nuove e diverse strategie di mobilitazione e partecipazione. Inoltre i partiti sviluppano le proprie piattaforme per raccogliere dati sui propri elettori e simpatizzanti, raccogliere donazioni, e comunicare i propri contenuti politici. Allo stesso tempo iniziative indipendenti che nascono in rete possono diventare persino più importanti dei canali di comunicazione ufficiali. La piattaforma liquidfeedback fornisce a partiti e associazioni strumenti per implementare sistemi di voti sul modello della democrazia liquida. Questo modello parte dal presupposto che i partecipanti abbiano opinioni diverse che non devono essere annullate ma rappresentate in modo accurato. Ogni membro può pubblicare la propria opinione o proposta, che viene poi messa al voto tramite sistemi che coinvolgono gli altri partecipanti. Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 5.6. Cultura civica e informazione L’emergere di forme di organizzazione politica tramite strumenti e piattaforme online ha fatto parlare della nascita di una nuova cultura civica. Si sottolinea che il coinvolgimento civico delle popolazioni occidentali è in declino da decenni e le organizzazioni, i sindacati hanno sempre meno partecipanti, sempre meno persone votano alle elezioni o partecipano alla vita attiva dei partiti politici. Parte di questo è dovuto al consumo televisivo, parte alle nuove forme di aggregazione online. I pubblici costituiti da aggregati di persone che attraversano i media digitali si dedicano a perseguire una meta comune, dalla creazione di un software libero, all’elaborazione di uno stile di vita, di un brand o la protesta contro il riscaldamento globale, forniscono un’educazione civica in quanto membri della stessa virtù, condivisione, solidarietà e impegno per una causa comune e spesso queste forme di collaborazione portano alla creazione di opinioni etiche e politiche. Questa forma di attivismo in rete, stimola la formazione di una nuova cultura civica ma d’altra parte tende a togliere l’elemento di dibattito e interazione con persone di idee differenti, il confronto e la diversità vengono meno e con essi anche la vita politica. Molte critiche hanno fatto notare però che la rete non è per sua natura democratica, nonostante la sua architettura distribuita e i suoi protocolli aperti e lo sviluppo della società dell’informazione andrà in direzione di una maggior democratizzazione o meno in base, oltre che agli sviluppi tecnologici, soprattutto a quelli politici e sociali. VI. ECONOMIE DIGITALI E LAVORO 6.1. I modelli economici del web Internet e i media digitali hanno una grande rilevanza economica. Le tecnologie di rete rappresentano un mercato di prodotti di consumo a diffusione globale. Questo mercato sostiene le economie dei paesi di produttori di componenti e hardware, come quelli asiatici e nordici, e dei paesi che gestiscono i processi di innovazione e marketing, come gli Stati Uniti o la Cina. Inoltre sui media digitali si basa un’economia sviluppata direttamente della rete, in termini di servizi venduti o mercato pubblicitario. Con la diffusione di massa dall’accesso a internet avvenuta nella seconda metà degli anni ’90 si sono scatenate ondate successive di investimenti e sono sorti nuovi modelli economici che sostengono le imprese del Web. Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 La coda lunga è il modello su cui si basano giganti come libreria online Amazon, e si riferisce alla massa di opportunità marginali che con i media digitali diventa possibile gestire. Amazon realizza gran parte dei suoi guadagni vendendo poche copie ciascuno di moltissimi libri che rappresentano la <<coda>> del mercato e non la sua vetta. Il successo della coda lunga per la società online dipende dal fatto che internet facilita la scoperta e l’integrazione di informazioni e permette all’azienda di accumulare i libri in giganteschi magazzini automatizzati e gestiti per via informatica, dato che il consumatore non deve recarsi in libreria ma può effettuare acquisti dal catalogo online. L’idea alla base delle aziende cosiddette <<dot-com>> degli anni ’90 era che la rete fosse una sorta di <<biblioteca di contenuti>> che potevano essere visionati dagli utenti ma solo raramente prodotti da loro. L’idea dei content provider, cioè fornitori di contenuti, era quindi quella di far pagare l’accesso ai contenuti online. I sistemi di file sharing ( come eMule e i torrent), e i siti di streaming video online hanno reso difficile il controllo della diffusione e circolazione dei contenuti prodotti dall’industria culturale come musica e film. Con la nascita del web collaborativo all’inizio degli anni 2000 la rete non si fonda più solo sul sito come raccoglitore di contenuti, ma anche su altre piattaforme come siti di streaming video, wiki e media sociali, che invitano ad una maggiore partecipazione da parte degli utenti non solo in termini di architettura tecnologica ma pure come modello di business. I modelli economici di molte aziende del web si basano sulla cocreazione da parte degli utenti. TripAdisor chiede agli utenti di creare gran parte dei contenuti principali del suo sito, come le recensioni e i rating, cioè i voti alla qualità di un servizio o di un esercizio commerciale. Un altro ramo dell’economia del web è composto dai motori di ricerca. Se la prima impresa commerciale di successo fu Netscape all’inizio degli anni ’90, oggi il mercato è dominato da Internet. Alla base del funzionamento di Google vi è un software chiamato page rank  analizza i link creati dagli utenti del web per determinare la rilevanza di un sito rispetto ai termini e alle parole chiave cercate dall’utente. Google fornisce una classifica in cui il sito che è più in alto nei risultati di ricerca è quello più linkato da parte di altri siti. Google è in grado di offrire servizi gratuiti perché usa le informazioni raccolte sugli utenti. Grazie a questa attività di profilazione i software di Google conoscono l’età, i gusti, le abitudini di consumo dei suoi utenti, perciò tiene conto delle storie di ricerca individuali. Quindi esso non è solo un fornitore di servizi: dal punto di vista economico si tratta della più grande agenzia pubblicitaria al mondo. Il mercato pubblicitario sostiene che l’economia del web è profondamente diverso da quello tradizionale. Inizialmente i siti web pubblicavano annunci Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 il cui costo dipendeva dal numero di visitatori del sito, esattamente come accade nell’editoria. Attraverso sistemi di click through gli inserzionisti pagano sulla base di quanti visitatori di un sito cliccano sulla pubblicità e accedono effettivamente ai suoi contenuti. Uno dei modelli prevalenti di sostentamento economico del web è la fornitura di servizi gratuiti resi possibili dalla raccolta di introiti pubblicitari massicci. Le tecnologie digitali hanno permesso anche l’emergere di grandi imprese che si basano sulla cosiddetta sharing economy, o economia della condivisione. Queste imprese sono basate su applicazioni web o mobili che mettono in contatto domanda e offerta e trattengono un profitto su tutte le transazioni economiche. Il crowdfunding, letteralmente <<finanziamento della folla>>, è un sistema di raccolta fondi per progetti no profit o per imprese start-up basato su piattaforme online. I servizi basati su questo modello offrono la possibilità di pubblicizzare progetti per cui vogliono raccogliere un capitale di partenza. Gli individui possono contribuire con finanziamenti anche molto limitati, dato he questi servizi puntano su grandi numeri di persone disposte a donare piccole somme e non su grandi finanziatori. 6.2 Produzione immateriale: brand e finanza Nell’economia dell’informazione la creazione di valore si sposta dalla produzione di beni materiali alla produzione di beni immateriali. Nell’economia dell’industria l’attività centrale era la lavorazione e la trasformazione delle materie prime in oggetti materiali (frigoriferi, automobili) destinati ad un mercato di massa; nell’economia dell’informazione questa centralità è occupata dalle risorse intangibili, ciò non significa che non si producono beni materiali, anzi se ne producono di più, ma le maggiori fonti di lavoro diventano attività che richiedono particolari competenze di elaborazione dell’informazione: • l’innovazione: è la capacità di creare continuamente novità sia tecnologiche, sia design e di stili di consumo (questo è il segreto e il successo di Apple); • la flessibilità: è la capacità di rispondere rapidamente alla domanda di mercato in modo che il numero pressoché esatto di meri si trovi al posto giusto nel momento giusto (questo è il segreto di Ikea); • il brand: non è solo il marchio di un prodotto ma piuttosto la capacità di generare la percezione pubblica di una differenza fra prodotto e un altro. (Nike ad esempio è in grado di creare la percezione che le sue scarpe siano radicalmente diverse da altre scarpe da ginnastica). Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 sono superati grazie alla deregolamentazione del mercato del lavoro e finanziario, all’indebolimento degli stati nazione e all’evoluzione delle tecnologie informatiche. Le teorie più affermate sono spesso di matrice marxista  l’accumularsi di teorie e definizioni sulle trasformazioni del <<capitalismo digitali>> rappresenta un tentativo di spiegare l’evoluzione della società di informazione in una fase in cui il cambiamento continuo rende il terreno instabile e soggetto a mutamenti repentini. Con la definizione capitalismo delle piattaforme alcuni autori hanno sottolineato la capacità del capitale contemporaneo di utilizzare le piattaforme web alfine di organizzare processi produttivi basati su forme di cooperazione sociale e ricavarne un profitto. Il ruolo delle piattaforme digitali come strumento per la creazione di profitti fa parte di un cambiamento tipico dell’emergere della società di informazione, cioè lo spostamento dai processi di produzione materiale a quelli immateriali basati sul controllo dell’informazione. Le imprese del capitalismo delle piattaforme non possiedono altro che un servizio web che mette in contatto produttori e clienti, e profittano su una posizione di monopolio e controllo. Altri hanno parlato della nascita di una capitalismo comunicativo in cui le capacità affettive e comunicative rappresentano gli elementi principali della produzione capitalista. In questo modello le attività di comunicazione sarebbero merci come tutte le altre e la loro caratteristica principale sarebbe la circolazione in spazi mediati dalle tecnologie digitali più che il contenuto delle comunicazioni stesse. Il capitalismo cognitivo, sono influenzati dal famoso <<frammento sulle macchine>> in cui Marx aveva profetizzato forme di automazione che avrebbero liberato l’umanità dal lavoro. Secondo le teorie sul capitalismo cognitivo, le tecnologie informatiche sviluppate dal capitalismo digitale sono costruite per sfruttare i processi cognitivi e cooperativi degli individui connessi in rete. Le tecnologie non sono neutrali ma sono progettate e adottate per addomesticare e controllare il lavoro anche al di fuori dei luoghi adibiti alla produzione nell’era industriale. Il capitale avrebbe conquistato la stessa intelligenza e socialità umane. La produzione P2P che avviene in forme no profit in molte istituzioni della rete fornirebbe così una vera e propria infrastruttura culturale che insegna ai lavoratori le forme di produzione di innovazione cooperativa e socializzata che hanno luogo nelle imprese del web. In risposta allo sfruttamento della cooperazione in rete da parte delle imprese del web o della sharing economy stanno emergendo proposte per la creazione di alternative. Una queste si ispira alla storia del movimento dei lavoratori: si tratta dell’idea di fondare cooperative gestite dai lavoratori stessi e basate su piattaforme digitali che organizzano e Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 mettono a valore la cooperazione sociale degli individui al di fuori del controllo dell’impresa. 6.5 Disuguaglianze globali e sviluppo Nonostante la retorica dell’uguaglianza e della democrazia che circonda i media digitali, nella società dell’informazione le risorse sono tutt’altro che distribuite equamente. Il digital divide, o divario digitale, è la disparità tra chi ha accesso ai media digitali e chi no; questa disparità non riguarda solamente chi ha o non ha accesso alla rete, ma è più complessa perché vi può essere o meno la disponibilità della banda larga, delle disponibilità di tecnologie mobili. La disuguaglianza nell’accesso ai media digitali è considerata una fonte di disuguaglianza a livello sociale ed economico, dato che incide sulle qualità degli individui e sulla partecipazione mondiale dei paesi sottosviluppati. La disparità più visibile è appunto quella tra i paesi ricchi e quelli poveri (può esserci questo divario anche tra regioni come in Italia Nord/Sud). Oltre alle aree geografiche vi sono altri fattori che determinano un accesso ineguale alle tecnologie digitali: • ostacoli di natura politica: paesi come Cina e Iran limitano l’accesso a siti e servizi online d’informazione, ritenuti pericolosi per la stabilità politica; • imposizioni dall’esterno: Il caso di Cuba, che ha avuto un accesso limitato alla banda larga a causa dell’embargo statunitense; • la capacità di usar le tecnologie: questo deficit è determinato dai fattori culturali e di educazione; • la classe sociale: i ceti meno abbienti hanno meno possibilità di accesso; • il genere può essere un altro fattore di disparità dato che in alcune aree del mondo le donne hanno meno accesso degli uomini alle tecnologie. Il divario digitale è legato allo sviluppo economico, anche se resta ancora da chiarire il rapporto causa/ effetto: se il sottosviluppo è causa dello scarso accesso ai media digitali o la mancanza di accesso è causa di mancato sviluppo. Sono state adottate varie strategie per cercare di risolvere il problema e la stragrande maggioranza delle iniziative si basa sul fornire più accesso alle tecnologie di informazione a un paese povero: • la distribuzione di tecnologie come One Laptop per Child: si proponeva di costruire e distribuire un piccolo computer a un basso costo ai bambini dei paesi in via di sviluppo, dotato di particolari caratteristiche come ad esempio un sistema operativo open source, software per l’uso scolastico e la collaborazione online, resistente agli urti, e fornito di batteria ricaricabile a manovella (questo progetto e simili hanno avuto un effetto limitato); Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205 • la creazione di notebook, cioè personal computer piccoli e a basso costo sono stati rilevanti nei paesi ricchi. Secondo alcuni sarebbe molto più importante porre l’accento sull’accesso all’informazione e non solo alle tecnologie. Un eccessivo sviluppo delle proprietà intellettuali, da quelle farmacologiche ai sistemi operativi, alla conoscenza scientifica è sempre stato indicato come una delle problematiche maggiori dei paesi più poveri, che sono dei grandi importatori di informazione e non possono permettersi di pagare le royalty necessarie per avere accesso all’informazione protetta. Soluzioni necessarie sono basate sui beni comuni, che si fondano sull’accesso all’informazione. Un paese che non può permettersi di acquistare licenze Microsoft per sistemi operativi di computer usati per la pubblica amministrazione, dalle scuole o dall’università piò decidere di adattare sistemi operativi open source come Ubuntu, che sono gratuiti e liberamente modificabili. Tuttavia le risposte al problema del divario digitale non sono ancora soddisfacenti. Il digital divide è un fenomeno complesso e stratificato che si compone di differenze economiche, politiche e infrastrutturali, culturali e sociali. Scaricato da pedro infante ([email protected]) lOMoARcPSD|15341205