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Riassunto del libro "L'italiano contemporaneo" di Lorenzetti, Sintesi del corso di Linguistica

Riassunto dettagliato del libro L'italiano contemporaneo

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Scarica Riassunto del libro "L'italiano contemporaneo" di Lorenzetti e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica solo su Docsity! L'ITALIANO CONTEMPORANEO Capitolo 1 L’Italia linguistica contemporanea Le lingue ufficiali riconosciute in Italia sono una quindicina. L'italiano è la lingua nazionale e ufficiale della Repubblica italiana e lingua materna e conta 55 milioni di parlanti. Si indicano con il termine alloglotte le comunità che parlano una lingua diversa da quella ufficiale dello Stato. Fino al 1999 le sole lingue minori riconosciute erano il francese, il tedesco e lo sloveno. Tutt’oggi esistono, tuttavia, alcune comunità parlanti lingue “minori” che non sono tutelate (es: i “tabarchini”, le colonie “galloitaliche”, i parlanti dialetti giudeo-italiani, le “minoranze diffuse”, le “nuove minoranze”). | dialetti sono l'integrazione più significativa per quantità e qualità. Spesso sono linguisticamente altrettanto o più distanti dall'italiano di quanto non siano il ladino o il franco-provenzale. Circa il 25% degli italiani apprende un dialetto come lingua materna. Un’indicazione sulla varietà del quadro linguistico italiano è data dall’indice di diversità linguistica”, che misura la probabilità che due cittadini presi a caso in uno Stato abbiano due diverse lingue materne. L’indice va da 1 (massima differenza) a 0 (massima omogeneità). In Italia l'indice è di 0,59, uno dei più alti in Europa (media europea del 0,26). A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, i movimenti migratori hanno portato all’estero ventisei milioni di italiani. La maggior parte di essi aveva, però, un dialetto come lingua madre. L’italiano non si è mai affermato all’estero come “lingua etnica” e di conseguenza ha ceduto alla pressione delle lingue dei paesi d’emigrazione, ben più utilizzabili. Alcune mete importanti dell'emigrazione italiana sono state l’Australia, l'Argentina, il Brasile, il Canada, l'Uruguay, la Germania, la Svizzera e il Belgio. La Svizzera è l’unico Stato estero dove l’italiano è riconosciuto come lingua nazionale e ufficiale. Restano confermate la residualità e la recessività dell'italiano come lingua materna all’estero: l’italiano è lingua materna all’estero solo come relitto dell'emigrazione e comunque va scomparendo e non crescendo. Se si guardano le tendenze, il numero di persone che studiano l’italiano all’estero va lentamente crescendo. L’italiano continua a essere studiato soprattutto nei paesi di forte immigrazione. La motivazione più diffusa per chi studia italiano all’estero è l'arricchimento culturale. Se e quanto l'immigrazione possa influire sull’insegnamento dell'italiano all’estero è impossibile prevederlo, ma influiranno in modo notevole le scelte legislative, la dove ad esempio, in sede di attuazione della recente legge sull’immigrazione si preveda per gli immigrati l'obbligo di una conoscenza elementare dell’italiano per poter ottenere il permesso di soggiorno. Capitolo 2 L'italiano Genealogia. L'italiano è una lingua neolatina (o romanza): appartiene cioè a quel gruppo di lingue derivate direttamente dall'evoluzione del latino che comprende il portoghese, lo spagnolo, il francese, il provenzale e il rumeno. Agli inizi dell’Ottocento, con la nascita della linguistica comparativa moderna, vennero riconosciuti veri e propri rapporti di parentela. L'italiano si può classificare tra le lingue appartenenti alla famiglia indoeuropea (come il latino, il greco, l’albanese, le lingue baltiche, ... e a molte lingue orientali antiche e medievali e moderne, soprattutto quelle dell’India e della Persia). Storia: l'italiano lingua nazionale, parlata, materna. La storia dell'italiano inizia a Firenze tra Duecento e Trecento (importanti furono i contributi di Dante Alighieri, Pietro Bembo, Alessandro Manzoni). Fino all’Unità d’Italia l'italiano visse solo nello scritto e negli usi orali formali e ufficiali. Nel 1861 circa il 2,5% della popolazione era italofona. È improprio parlare di lingua ufficiale. L’unificazione innescò alcuni fattori che ebbero un ruolo decisivo per il conseguimento dell'effettiva unificazione linguistica dell’Italia: - Nascita burocrazia unificata; - Nascita esercito nazionale; - Istruzione elementare obbligatoria e gratuita; - Crescita della stampa quotidiana; -. Inizio moti migratori; - Nascita industria e crescita delle città. Questi fattori provocarono la crescita delle comunicazioni di largo raggio e quindi l'aumento in quantità e qualità della conoscenza e della comprensione dell’italiano parlato. Questa lingua avrà risentito degli effetti dei dialetti, lingue materne di colori che si avvicinavano all’italiano e sarà stata ricca di regionalismi. Tutti i fattori di italianizzazione linguistica, eccetto l'obbligo scolastico, spingevano verso un’acquisizione spontanea piuttosto che verso l'apprendimento guidato dell’italiano, che sarà inevitabilmente un italiano popolare, semplificato e ricco di errori, ossia di deviazioni dalla norma scolastica. Quando si parla di italofoni, quasi nessuno di loro aveva l’italiano come lingua madre, eccetto i toscani e molti abitanti di Roma. Fino alla metà del xx secolo è stata per molti una seconda lingua. L'italiano standard (o normativo). Una lingua o una varietà deve essere: - La varietà di riferimento, quella che costituisce la norma per tutta la società; - La varietà normale in senso statico, cioè la più usata; - La varietà normale in senso sociolinguistico, cioè la meno marcata, la più neutra; - Sovraregionale, cioè non ristretta a un’area specifica; - Descritta e codificata in modo esplicito da grammatiche e vocabolari; - Usata da parlanti appartenenti agli strati sociali superiori; - Utilizzabile in tutti gli usi scritti; - Utilizzabile oralmente in ogni contesto. Le lingue standard non devono soddisfare tutti questi requisiti, ma una lingua che ne soddisfi pochi faticherebbe a essere riconosciuta come varietà standard. La varietà standard dell’italiano scritto esiste dal Cinquecento, modificata nel corso dei secoli con il riproporsi della “questione della lingua”. Secondo alcuni, un italiano standard esiste ed è da identificare, per quanto riguarda la pronuncia, nell’italiano fiorentino contemporaneo. Per quanto riguarda la grammatica, l’italiano standard contemporaneo coinciderebbe con l’italiano normativo otto-novecentesco, postmanzoniano. Altri invece dubitano che una varietà standard esista. Il modello di lingua codificato dalle grammatiche coincide con l’italiano scritto formale ma non rispecchia in maniera analoga le caratteristiche delle varietà parlate. Ma che l’italiano standard non esista come varietà nativa non escluderebbe che una simile varietà nativa sorga davvero nel giro di qualche generazione. L'italiano neostandard. Si tratta di una varietà dell’italiano scritta e parlata che coincide in buona parte con lo standard normativo, ma accoglie una serie molto ampia di fenomeni in passato rifiutati o sconsigliati dallo standard. Altre caratteristiche: - Neostandard: perché si avvierebbe a costituire la base per un futuro nuovo standard normativo; - Comune: si presume che sia la varietà statisticamente preminente in chi parla e scrive italiano; - Dell’uso medio: si tratta di una varietà diffusa soprattutto nell’uso parlato e scritto di media formalità; - Tendenziale: in quanto è costituita da tratti non ancora consolidati; - Senza aggettivi: cioè “italiano” e basta, priva di caratteristiche che possano dirsi nuove rispetto alle tendenze secolari dell'italiano. L'italiano regionale. Lo studio dell’italiano regionale è nato verso il 1960. In un primo momento come “individuazione degli errori” più comuni commessi da persone di modesta cultura che usavano l'italiano, poi come studio delle varietà di italiano derivanti dall'incontro dei dialetti con l'italiano appreso. Secondo alcuni esiste un’analogia genetica tra gli italiani regionali e i dialetti storici: entrambi nati dal contatto di una lingua di prestigio (italiano e latino) con altre lingue usate in precedenza negli stessi territori. Si sottovaluta però il fatto che le differenze tra il latino e le lingue prelatine fossero ben maggiori rispetto a quelle tra l’italiano e i dialetti. Sotto il punto di vista descrittivo (com'è fatto) l'italiano regionale è una varietà coerente di italiano, molto influenzata dal dialetto, che si distingue sia dallo standard sia da altre varietà regionali proprio per elementi locali. L’italiano regionale comprende sia le varietà sviluppate da chi ha o aveva il dialetto come madrelingua sia le varietà apprese direttamente come lingua materna. Nella pronuncia l’italiano regionale colto coincide con l’italiano neostandard parlato. La regionalità nella grammatica, nella sintassi e nella scelta delle parole, invece, è spesso controllabile da parte dei parlanti con un certo grado di istruzione. Gli italiani regionali non sono da considerare come entità omogenee in quanto al loro interno si trovano espressioni che vanno da un massimo a un minimo di regionalità. L'italiano popolare. L’italiano popolare è definito come una varietà d'italiano regionale, parlata e scritta, caratterizzata da una frequenza di elementi rifiutati dallo standard, ma anche da elementi presenti solo in essa. Adoperata prevalentemente da persone con un basso livello d’istruzione. In un primo momento l'italiano popolare è stato definito come il tipo di italiano acquisito in modo imperfetto da chi ha come lingua madre un dialetto. Successivamente si è continuato a considerarlo come una varietà di contatto, nascente dall'incontro continuo di lingua e dialetto ma non viene tramandata di generazione in generazione. Sono, però, molto frequenti i casi di parlanti che hanno un italiano popolare regionale come lingua materna, senza possedere un dialetto (tipicamente lo sono gli emigrati di seconda generazione, sia in Italia che all’estero). È dunque opportuno distinguere un italiano popolare trasmesso come varietà nativa, di generazione in generazione, ed esposto a evoluzioni analoghe a quelle di ogni altra lingua storica, dall'italiano popolare riplasmato di volta in volta dai madrelingua dialetto che si avvicinano alla lingua comune. L’italiano popolare si usa sia nello scritto che nel parlato. Italiano preunitario Italiano postunitario Prevalentemente scritto Sia scritto che parlato Lingua di contatto Lingua materna | “meno colti dei colti” Proletariato urbano e contadino Non si può parlare di italiano popolare parlato unitario: il parlato popolare sarà comunque sempre regionale, dal momento che la dimensione diatopica e quella diastratica sono direttamente dipendenti. Semplificazione linguistica: concordanze tra i vari italiani popolari regionali che possono agire sia a livello testuale che a livello grammaticale. Ciò che distingue più nettamente l’italiano popolare dall’italiano colloquiale e informale è lo status sociolinguistico: l’italiano colloquiale e l’italiano informale non sono vere e proprie varietà, ma registri dell'italiano neostandard, che possono essere scelti dai parlanti per adattarsi a determinate situazioni. Una sottoclasse dei lessici settoriale è costituita dai gerghi. | gerghi sono varietà linguistiche parassite, nel senso che prendono a prestito la grammatica e la sintassi dalle lingue che li “ospitano”. Si distinguono in: - Gerghia base dialettale - Gerghiabase italiana. | gerghi sono varietà a sé che creano le proprie parole modificando quelle correnti nella forma o nel significato. Come si è formato il lessico dell'italiano? Dal punto di vista dei modi di formazione, il lessico italiano può essere diviso in tre parti: - Le parole ereditate dal latino, sia per tradizione diretta (lessemi ereditari o patrimoniali) sia per tradizione indiretta (latinismi o cultismi); - Le parole prese da altre lingue (forestierismi o esotismi); - Le parole formate in italiano (neoformazioni o formazioni endogene). Il latino. La prima componente del nostro lessico sono i lessemi ereditari, le parole che derivano dal latino parlato di tutte le epoche. Hanno subito nel corso del tempo numerose modificazioni di forma e significato. È impossibile sapere quando i latinismi siano entrati nell'uso dell’italiano in quanto esistevano prima della nascita dell’italiano. Costituiscono meno del 15% del lessico globale ma più della metà del vocabolario di base. I latinismi (o cultismi) di tra ine indiretta spesso si riconoscono in quanto la loro espressione è rimasta più simile al modello latino. | Il latino è stata la principale lingua dello scrivere per tutto il Medioevo, fino all’età moderna. L’italiano è la lingua che ha modificato meno la forma delle parole e ha tratto dai cultismi un ulteriore motivo di vicinanza alla madrelingua. Ma abbondano le differenze di significato (es: mandare in lat. “ordinare”). Le due tradizioni di latinismi hanno contribuito a formare famiglie di parole molto complesse: dato un sostantivo non è possibile prevedere con sicurezza quale sarà l’aggettivo corrispondente, che corrisponde a “relativo a X”. I cultismi hanno modificato la fonologia dell’italiano rendendo accettabili combinazioni di suoni che nell’evoluzione popolare si erano semplificate subendo modificazioni regolari (es: nella tradizione diretta: “consonante + L” -> “consonante + 1”). Le altre lingue. “Non esiste una lingua completamente pura”. L’impurità si manifesta con maggiore intensità nel lessico in quanto è più sensibile ai mutamenti culturali (es: prestiti). La lingua straniera che ha “prestato” più lessemi all’italiano è il greco, seguito dall’inglese e dal francese. Nel vocabolario di base i vocaboli di origine straniera sono il 12%. | forestierismi sono lessemi che mantengono un'evidente estraneità alla forma consueta delle parole italiane (hard-disk, jihad, ...). I vocaboli adattati nascono quando le parole originarie vengono adattate alla forma della lingua che le ha ricevute (arancio, bistecca, catrame, caviglia, guerra, ...). Calco: processo secondo il quale vengono tradotti elementi della parola originale con parole italiane (es: dal tedesco Hinterland -> retroterra). Il grado di assimilazione da una lingua all'altra varia notevolmente a seconda del periodo nella quale hanno più influito nella nostra storia: i prestiti antichi sono sempre assimilati mentre in tempi più recenti si è preferito mantenere la forma di partenza piuttosto che assimilarla all'italiano. | settori più aperti al prestito linguistico sono: la moda, la vita di società, la politica, la guerra, l’esercito e la marina, la burocrazia, la filosofia, le scienze, ... Le formazioni italiane. Il 35 % dei lessemi del vocabolario di base italiano è costituito da formazioni italiane, cioè lessemi formati in italiano a partire da altri lessemi già presenti nella lingua. | lessemi di base, detti basi, possono essere ereditari oppure prestiti da altre lingue, adattati o non adattati. Dove sta andando il lessico italiano? Come reagisce il lessico dell’italiano di fronte alla pressione delle altre lingue europee? Esiste un’omogeneizzazione lessicale che però non dipende dallo strapotere di una lingua in particolare. Nel lessico intellettuale sono frequenti i casi di parole che condividono la stessa origine, sono molto simili per forma e per significato e sono diffuse praticamente in tutte le lingue europee. La cristianizzazione dell'Europa occidentale e la composizione neoclassica sono due esempi di motori storici che hanno contribuito ad avvicinare i lessici intellettuali. Già Giacomo Leopardi si era accorto di questi lessemi che aveva nominato “europeismi”, distinguendoli dai “barbarismi”. Gli europeismi sono parole usate in maniera non ambigua con accezioni precise e ben delimitate, che vanno valutate non dal punto di vista estetico ma per la loro utilità nel parlare e scrivere di scienza. I barbarismi invece sono da valutare per la loro maggiore o migliore adeguatezza alle esigenze della scrittura letteraria. La vitalità di una lingua si basa soprattutto in base a tre capacità: - Creare parole nuove; - Assimilare parole nuove; - Assegnare nuovi significati a parole vecchie. Il lessico si rinnova sia prendendo parole da altre lingue e adattandole, sia formando parole nuove al suo interno. Dal punto di vista quantitativo questa tecnica di aggiornamento del lessico è preminente (il vocabolario di base contiene un 35% di lessemi formati in italiano). La suffissazione e la prefissazione hanno pesi diversi nella morfologia italiana: -> 94 prefissi vs 261 suffissi. | suffissi formano prevalentemente nomi e aggettivi (non senza eccezioni importanti, come le 955 formazioni in -izzare che rappresentano verbi nati da suffissazione). | prefissi mostrano una prevalenza per la formazione verbale. La maggior parte dei composti è formata nomi e avverbi. Gli avverbi, però, sono da considerare a parte, in quanto non sono il prodotto di regole morfologiche ma derivano dall'unione delle parole all’interno di espressioni complesse. Tendenza nella formazione delle parole: La grande maggioranza di lessemi dotati di struttura presenti attualmente in italiano (76%) si è formata tra Ottocento e Novecento (quando l’italiano diventa la lingua nazionale). A partire dal Trecento entrano nel lessico di base un maggior numero di lessemi dotati di struttura rispetto a quello dei lessemi semplici. I neologismi contemporanei morfologicamente semplici sono praticamente tutti prestiti da lingue straniere. Il lessico italiano ha aumentato progressivamente la sua regolarità interna, si tratta di: * Paradigmia “ventaglio” es: lavorare -> lavorazione, lavorabile, lavorativo, ... * Paradigmi a “cumulo” es: forma -> formare -> formalizzare -> formalizzazione. Il risultato è un aumento quantitativo e un rafforzamento qualitativo dei rapporti tra le parole già esistenti e quelle di nuova formazione. Affissi, regole e produttività: La produttività degli affissi è molto variabile nel tempo. Per produttività si intende la probabilità che un dato affisso o un dato procedimento formativo possono produrre neologismi all’interno di un periodo storico determinato. Per cui anche suffissi molto numerosi possono rivelarsi poco produttivi. Bisogna considerare anche gli spostamenti di significato che riguardano singoli affissi o interi processi formativi. Es: il suffisso -aio tende a specializzarsi nella formazione di nomi che indicano attività pretecnologiche e che sono dunque recessivi per ragioni storiche, non linguistiche. I suffissi più produttivi furono soprattutto i nomi d’azione (-zione) e d’agente (-ista); i prefissi che tradizionalmente servono soprattutto a significare concetti di spazio e tempo, si specializzano nel formare lessemi che esprimono negazione, privazione, contrarietà e ripetizione. Es: delegitimare, disomogeneo, inqualificabile, ... - Affisso morto: non è più segmentabile all’interno della parola che lo contiene.(es: rapido, timido, umido. Sono parole prive di struttura morfologica per i parlanti comuni che non vi percepiscono un suffisso -ido. Non sono affissi italiani ma affissi latini che non hanno mai avuto vitalità nella lingua italiana. - Affisso non produttivo: appare in formazioni di struttura ben riconoscibile ma non forma più neologismi. Es: rapporto di -icare con neve e zoppo è chiaro ma non sono state create nuove parole negli ultimi 50 anni con questo affisso. - Affisso con produttività regressiva: formano sempre meno parole nel corso del tempo. Es: 80% dei prefissati con tra- si sono formati nel XVI secolo mentre quelli novecenteschi sono un numero veramente piccolo. - Affisso con produttività progressiva: formano sempre più parole nel corso del tempo. Es: due terzi dei suffissati in -izzare sono novecenteschi. La produttività riguarda non solo gli affissi ma anche le regole di formazione: - Un esempio di regole “morte” è l'impossibilità di formare comparativi per suffissazione. - Tra i procedimenti non produttivi può essere annoverata l’unione di elementi che ha prodotto voci come buonanotte, infatti, lassù: lessemi dotati di una struttura ma appartenenti a una classe ormai chiusa, perché il procedimento in questione ha perso la capacità di produrre altre parole del genere. - Le regole con produttività in regresso sono piuttosto numerose. Un esempio è la formazione dei nomi deverbali “a suffisso zero”, così detti perché il passaggio di categoria che produce accordo da accordare avviene senza alcun morfo specifico a segnalarlo. La maggior parte è nata tra il Trecento e il Cinquecento e la produzione dei nomi deverbali sembra diventare sempre più monopolio dei suffissati in -zione e -aggio. Un altro caso di formazione in regresso è quello dei verbi parasintetici, fatti di basi nominali e aggettivali con l'aggiunta di un prefisso e di un “suffisso zero” che serve a far cambiare categoria al neologismo. Es: accordo -> accordare. La parasintesi verbale è tuttora vitale, sebbene produttivamente diminuita. Una variazione selettiva nella produttività di singole regole si vede nei composti verbonominali. Es: portabandiera, reggicalze. Questo profilo compositivo è tra i più produttivi: ciò è corretto nel complesso ma incompleto nel dettaglio in quanto a essere vitali sono solo i nomi di strumento (es: marciapiede, tritatutto, ...) mentre i nomi d’agente appaiono in regresso nel Novecento in quanto indicano soprattutto mestieri di basso prestigio sociale o attività socialmente censurate (portaborse, rompipalle, leccapiedi, ...), mentre i neologismi che indicano nomi di attività socialmente premianti contengono spesso elementi neoclassici (agronomo, radiologo, ...) oppure sono forestierismi (accounting manager, deejay, ...). La composizione neoclassica e la determinazione a sinistra sono tra le tendenze con produttività in progresso. La composizione neoclassica produce fotografia, osteoporosi, ... La determinazione a sinistra comprende sia i derivati che i composti, produce cronotappa, megaconcerto, trimotore, ... Tendenze produttive: Nel Settecento la nascente scienza sperimentale europea sentiva l'esigenza di creare terminologie nuove. Inizia così la diffusione dei composti neoclassici, lessemi composti da due o più elementi non autonomi di origine greca o latina che però non possono costituire da soli un lessema autonomo. La composizione neoclassica ha un ruolo quantitativamente centrale nella formazione delle parole dell'italiano moderno. Un altro vantaggio è la modularità della formazione: molti confissi possono funzionare sia da primo sia da ultimo elemento del lessema, sia da base sia da affisso. Capitolo 5 La sintassi La sintassi è la parte della grammatica che riguarda la struttura delle frasi: studia il modo in cui le parole si combinano per formare le frasi della lingua. Livello intermedio tra le parole e le frasi: sintagmi. Un sintagma può essere costituito da una o più parole e/o da uno o più sintagmi. Ogni sintagma trae il proprio valore sintattico da una delle parole che lo costituiscono: testa del sintagma. Sia le parole che i sintagmi sono dei costituenti: le parole sono costituenti dei sintagmi semplici, i sintagmi semplici sono costituenti dei sintagmi complessi e delle frasi. La sintassi della frase. La struttura dei sintagmi non ha subito modifiche sensibili in seguito all’insorgere dei fattori caratteristici dell’italiano contemporaneo. Le variazioni riguardano le singole costruzioni e non le strutture di base (es: possessivo dopo nome, articolo davanti a nomi propri, ...). L’italiano è classificato sintatticamente come “lingua SVO” (soggetto - verbo - complemento oggetto). L'ordine dei costituenti permette molte variazioni. I movimenti di costituenti più frequenti sono: le dislocazioni, le frasi scisse, e le frasi a tema sospeso o a tema libero. Il tema è “ciò di cui parla” l’enunciato, il rema è “ciò che si dice del tema”. La dislocazione a sinistra è frequente in tutte le varietà. È il procedimento che sposta nella prima posizione della frase il costituente su cui si vuol far porre l’attenzione, trasformandolo in tema, e riprendendolo con un pronome nella seconda parte della frase. Nella dislocazione a destra il costituente è relegato alla fine, in una posizione che può anche essere quella che avrebbe avuto nella struttura della frase normale e un pronome risale verso l’inizio della frase. È frequente nelle domande fatte non per avere una risposta ma per avvertire l'interlocutore che si sta per dire qualcosa di importante. In una stessa frase possono esserci più dislocazioni. Nelle frasi scisse, un costituente viene messo in rilievo attraverso la scissione di una frase in due, la prima con il verbo essere, la seconda introdotta da “che”. L'elemento messo in rilievo è quello che si trova tra il verbo essere e il “che”. Le frasi a tema sospeso sono simili per struttura e funzione alle dislocazioni a sinistra, dalle quali si differenziano perché l'elemento spostato, corrispondente al tema, è dotato di ripresa pronominale ma resta privo di indicazioni che ne specifichino il suolo sintattico. Le frasi a tema libero sono più confinate nelle varietà popolari. In queste frasi lo spostamento del costituente enfatizzato non è segnalato da nessun elemento di ripresa all’interno della frase. Tematizzare un verbo all’infinito per poi riprenderlo all’interno della frase è un altro tipo di anticipazione con ripresa lessicale anziché sintattica. Gli spostamenti di costituenti e le relative riprese nominali contribuiscono alla formazione di alcune costruzioni davvero nuove per la morfosintassi italiana. Esempio: l’accusativo preposizionale. La sintassi del periodo e la struttura del discorso. Il parlato ha una notevole influenza nella costruzione di testi scritti. L’“italiano parlato” non è una varietà dell’italiano comparabile alle altre. La categoria del parlato va incrociata con altre variabili: la regionalità, la popolarità, la formalità. | testi orali sono caratterizzati dalla frammentazione: autocorrezioni, ripensamenti, interruzioni... che rendono difficile la trascrizione e producono una quota di “rumore” informativo nella comunicazione. Compensano questo rumore i segnali o particelle discorsive, che riempiono i buchi che sgranano il testo, garantendone una compattezza accettabile sia sul piano sintattico sia su quello del contenuto. Servono anche ad aprire il contatto con l’interlocutore, a mantenerlo, a richiedere attenzione e ad assicurarsi che l’interlocutore ci stia seguendo, a passare la parola -> a gestire al meglio l'andamento del discorso. Tendenze più o meno costanti nell’articolazione dei periodi: - La lunghezza media delle frasi: minima nei dialoghi e cresce al crescere della formalità e del grado di progettazione del discorso. -_ Ilrapporto tra frasi principali e frasi subordinate: percentuale principali è massima nei dialoghi faccia a faccia e scende al salire della formalità del discorso. - Il grado di “incassamento” delle subordinate: discorso informale -> subordinate di primo grado frequenti; discorso formale -> subordinate più articolate. La categoria di “segnale discorsivo” è una categoria non lessicale ma funzionale: la funzione di segnale discorsivo può essere svolta da molti elementi (avverbi, congiunzioni, interiezioni, sintagmi verbali). L’uso frequente fa sì che un certo elemento si specializzi per una specifica funzione discorsiva e perda in parte o del tutto le sue caratteristiche originarie. Esempio: la forma verbale dice si è ormai specializzata come introduttore di citazione, nello stesso ruolo cioè che i due punti o l'apertura delle virgolette hanno nello scritto. Dice ha perso qui il suo significato lessicale, che è caricato sul sintagma mi hanno chiesto, e ha perso anche la capacità di accordo grammaticale, poiché non può essere flesso né al passato né al plurale. Sintassi popolare e regionale. La componente regionale e quella popolare si sovrappongono sempre nel parlato e frequentemente anche nello scritto, sicché la distinzione tra i due piani si traduce spesso in una questione storico-etimologica piuttosto che funzionale. Nell’italiano popolare si ha, fin dai primi studi, un’incertezza nella scelta dei verbi ausiliari. Anche nell’italiano standard ci sono dubbi a riguardo. Le scelte finali sono orientate da fattori sintattici e semantici sottili, come il soggetto, personale oppure astratto e inanimato, o il controllo del soggetto sull’azione indicata dal verbo. Il fatto che l’uso anomalo di avere sia molto più frequente che quello di essere indica un legame stretto tra queste costruzioni e i rispettivi sostrati dialettali. L'espansione di essere con i verbi transitivi è, invece, arealmente limitato a una fascia dell’Italia peninsulare centro-meridionale. Il fenomeno prevalentemente toscano che riguarda l’uso tendenzialmente obbligatorio del soggetto pronominale è interessante in quanto l’obbligatorietà dei pronomi soggetti è uno dei criteri più usati nella classificazione sintattica delle lingue: grazie a questo criterio si distinguono lingue che non possono in nessun caso omettere il pronome soggetto, come l’inglese o il francese. L’italiano di Toscana una anche pronomi “vuoti”, che non si riferiscono a nessun soggetto, ad esempio con i verbi meteorologici e con gli impersonali (vedi francese). Altre costruzioni (più marcatamente regionali. l'integrazione del verbo con particelle locative (far giù “sciogliere”), lo schema essere dietro/qui/lì + frase (son dietro a lavorare), la costruzione senza articolo dei sintagmi nominali con alcuni nomi di parentela (Mia mamma), la costruzione finale che + sintagma verbale + a fare? (che lo faccio a fare?), l’interrogativa diretta introdotta (che hai da accendere?), la frequenza di verbi pronominali, con valore mediale e non riflessivo (ci siamo morti dalle risate), la prima persona plurale dei verbi costruita con noi + si impersonale (noi si va), l’uso meridionale di costruire transitivamente i verbi scendere, salire, uscire, entrare (mi aiuti a scendere la valigia?), la sintassi del gerundio nell’italiano di Sardegna (l’ho visto camminando), la costruzione con il verbo finale delle interrogative sìi/no (mangiato hai)), l’analoga costruzione nell'italiano di Sicilia non ristretta alle interrogative (Un bravo ragazzo è). Quando sono nati i suoni dell’italiano? Nel passare dal latino al fiorentino e infine all’italiano, la forma fu modificata in maniera più o meno radicale. Si tratta di un fatto del tutto normale nella storia delle lingue, sicché non può essere certo considerato caratteristico dell’italiano, il quale peraltro ne restò coinvolto in misura minore rispetto ad altre lingue. Questa evoluzione è avvenuta in tre modi: 1. Alcuni fonemi si sono persi del tutto Esempio: la /h/ di habere. 2. Altri si sono formati come le consonanti di legno, sciame, gli, zio, vacca, ... 3. Altri singoli fonemi hanno subito delle modificazioni senza che ciò ne cambiasse sensibilmente l'inventario. A risultare modificata è stata la distribuzione dei fonemi nelle parole e nelle frasi. Esempio: strata(m) è diventato strada, senza creare suoni nuovi né eliminarne di vecchi. Per mezzo millennio l'italiano è stato pronunciato, eccetto che in Toscana e a Roma, adattando le lettere al sistema di pronuncia del proprio dialetto materno, ovvero di nuovo per quella minoranza che per motivi professionali era esposta sia al proprio dialetto sia alle varietà delle classi superiori. Quando l’italiano è diventato lingua materna si è cominciato ad assistere a un altro tipo di interferenza, parlata anziché scritta, ma i cui effetti sono simili: la formazione di un tipo di pronuncia che conserva forti elementi locali o regionali. I fonemi Gli studiosi non sono d'accordo sulle consonanti “lunghe”, “doppie” o “intense” (/palla/ -> due fonemi /I/ o uno /I:/?) e le semiconsonanti /j/ e /W/ (o varianti delle vocali /i/ e /u/?). Per lo standard 30 fonemi complessivi. In generale le differenze tra lo standard e le varietà regionali consistono più nella distribuzione dei fonemi che nel loro inventario, il quale è condiviso abbastanza largamente. Consonanti L'italiano standard ha 23 fonemi consonantici. 15 possono comparire sia come brevi sia come lunghi: /pbtdkgtfdsmnfvslr/. 3 sono sempre brevi: ljw z/. 5 sono sempre lunghi: /ts dz n J A/. Occlusive Sono prodotte tramite l'interruzione completa e momentanea del flusso dell’aria proveniente dai polmoni, ottenuta grazie al contatto degli organi articolatori mobili (labbra, lingua) con quelli fissi (denti, alveoli, palato molle e duro). Lo standard è composto da un sistema di 6 elementi formato da 3 coppie di fonemi in opposizione sorda - sonora (i suoni sonori si producono con la vibrazione delle corde vocali, quelli sordi senza). Le opposizioni si vedono attraverso le coppie minime. Bilabiali: /p/, /b/ Dentali (alveolari): /t/, /d/ Velari: /K/, /g/ Nello standard e nelle varietà centrali e meridionali tutte le occlusive possono essere sia brevi o semplici sia lunghe o intense. Le occlusive semplici possono trovarsi sia all’inizio di parola sia in posizione interna. Le occlusive lunghe standard possono trovarsi solo in posizione interna, di parola o di frase, come nel caso di parole che subiscono il raddoppiamento fonosintattico. Quanto alla posizione finale, le regole fonologiche dell'italiano impediscono che essa sia occupabile da un’occlusiva, da un’affricata o da una fricativa, cioè dai tre tipi di consonante che formano insieme la classe delle ostruenti. Le ostruenti finali del latino infatti sono scomparse nel passaggio dal latino all'italiano. Casi simili esistono invece tra i lessemi entrati in italiano come prestiti da altre lingue. Esempio: stop, club, zenit, nord, frac, bulldog, quiz, scotch, autobus. Le realizzazioni fonetiche delle occlusive presentano una certa varietà. Un esempio è costituito dalla “gorgia” toscana, cioè dalla realizzazione delle occlusive sorde /p t k/ come fricative [ 6 h], attraverso un processo di indebolimento articolatorio che può portare fino al dileguo. L’indebolimento si verifica quando l’occlusiva è tra vocali oppure tra una vocale e /r/. Un altro genere di indebolimenti articolatori, le “lenizioni”, porta a realizzazioni diverse di alcune varietà centrali e meridionali. Esempio: nell'italiano romano è diffusa anche a livelli sociali medio-alti una pronuncia lenita di /p t k/ intervocaliche, che provoca un’impressione acustica vicina alla sonorità. Le lenizioni e le “sonorizzazioni” intervocaliche sono provocate dal contesto sonoro, a causa della naturale inerzia articolatoria (le vocali sono sempre sonore in italiano). Per quel che riguarda la lunghezza, molte varietà settentrionali, avendo come base dialetti che non avvertono l’opposizione tra brevi e lunghe, tendono ad annullare anch'esse questa opposizione, di solito accorciando le lunghe, ma anche allungando le brevi. Fricative L’articolazione fricativa si realizza mediante una restrizione del canale orale e il conseguente effetto acustico di frizione, ottenuti grazie all’avvicinamento reciproco degli organi articolatori. In italiano esistono 5 fricative, suddivise in due coppie di sorda - sonora più un elemento isolato, la cui variante fondamentale è sorda. Labiodentali: /f/, /v/ Alveolari: /s/, /z/ Palatale: /J/. Evidente asimmetria: la casella della palatale sonora rimane vuota. L’asimmetria è confermata per quel che riguarda la lunghezza consonantica e la posizione all’interno della parola, a loro volta piuttosto irregolari. > /fvs/sonoi solo fonemi che possono essere sia lunghi che brevi, mentre /2/ si realizza foneticamente solo come breve, // solo come lungo. Per quel che riguarda la distribuzione, tutte le fricative possono trovarsi sia all’inizio sia all’interno di parola, ad eccezione di /z/, che non può trovarsi all’inizio di parola. (Un fono /2/ iniziale di parola è frequente ma solo come variante di posizione di /s/ quando è seguito da consonante sonora). Il carico funzionale di un'opposizione fonologica dipende dal numero e dalla frequenza delle coppie minime che vengono distinte dai fonemi in questione. Nello standard, negli ultimi decenni, si sta imponendo una generalizzazione di [z] come variante intervocalica indiscriminata. L’opposizione /s/ - /z/ esiste, quindi, per pura inerzia dialettale nell'italiano toscano, è in crisi nello standard e non ha alcuna possibilità di espandersi in altre varietà, anche perché non è sostenuta da una corrispondente distinzione nella scrittura. Vibranti Si definiscono vibranti i suoni prodotti da una serie di brevi e velocissime occlusioni intermittenti, ottenute tramite il contatto delle labbra tra loro oppure della lingua con gli alveoli, con il palato o con l’ugola. 1 fonema vibrante: /r/ la cui variante fondamentalmente è alveolare: consonante iniziale di razza, centrale di ora e finale di per. Sensibile all'opposizione di lunghezza, si trova anch'esso in tutte le posizioni della parola. Laterali I suoni laterali sono detti così perché l’aria passa ai lati della lingua, che tocca longitudinalmente il centro e i margini del palato, in posizione più o meno avanzata. 12 fonemi dell'italiano che si oppongono per il luogo di articolazione: Alveolare: /1/ Palatale: /4/. L’alveolare /I/ oppone funzionalmente una variante lunga a una breve. Può comparire anche in posizione finale, non solo in prestiti, ma anche in troncamenti e in parole grammaticali. La palatale /A/, pur essendo di norma lunga, non si distingue in base alla lunghezza. Si trova di preferenza al centro della parola, quasi mai all’inizio e mai alla fine. Approssimanti Si dicono approssimanti i foni prodotti da un restringimento del canale orale più debole di quello che produce i fricativi, senza che gli articolatori arrivino a toccarsi. 2 fonemi approssimanti, entrambi brevi nelle loro varianti fondamentali, opposti solo per il luogo di articolazione: Palatale: /j/ Labiovelare: /w/. I fonemi /j/ e /w/ possono apparire in italiano solo in un preciso contesto: davanti a una vocale interna di una parola. Caratteristiche articolatorie e acustiche pongono questi fonemi al confine tra vocali e consonanti (per alcuni: semiconsonanti). Si tratta di suoni che non subiscono il raddoppiamento fonosintattico. Per quanto riguarda la lunghezza si comportano diversamente: tendenza a realizzare ogni /j/ intervocalica come una consonante lunga, /W/ intervocalica viene sempre trattata come una vocale nelle parole italiane, ma tende a funzionare come una consonante semplice nelle parole di origine straniera. Vocali Le vocali sono suoni prodotti dalla vibrazione delle corde vocali amplificata e modificata dalla bocca, che funziona da risuonatore, un po’ come la cassa armonica di una chitarra, con la differenza importante che la bocca può cambiare forma, e quindi il suono prodotto può cambiare timbro, facendo sì che le vocali si distinguano all'orecchio l’una dall’altra. Le modificazioni della forma della bocca dipendono principalmente dalla lingua, che si sposta orizzontalmente e verticalmente, e dalle labbra che possono sporgersi in avanti allungando così il risuonatore. In base ai movimenti verticali della lingua, le vocali si classificano in: - alte o chiuse: /i/ /u/ - medio-alte o semichiuse: /e/ /0/ - mediobasse o semiaperte: /e/ /0/ - basseo aperte: /a/ In base ai movimenti orizzontali delle labbra si hanno vocali: - centrali: /a/ - posteriori: /u/ /9/ /o/ In base alla posizione delle labbra si hanno vocali: - arrotondate labializzate: /u/ /0/ /9/ - nonarrotondate: /i/ /e/ /e/ /a/ L’arrotondamento delle labbra però non costituisce un tratto distintivo in quanto si realizza automaticamente in tutte le vocali posteriori. Le sette vocali esistono in italiano standard soltanto in posizione tonica, cioè sotto accento. Quando non sono accentate, le vocali si riducono a cinque. Le coppie minime sono, infatti, possibili solo quando le vocali in opposizione sono accentate mentre quando l’accento si sposta la distinzione non funziona più: le coppie si neutralizzano. Le vocali sono tutte sonore. Anche se può succedere che alcune vocali atone, specie in fine di enunciato, vengano prodotte “senza voce” (come sussurro). La lunghezza delle vocali non è distintiva in italiano, differentemente dal latino. Questa differenza non dipende dall'origine latina né è controllabile dai parlanti, ma dipende in primo luogo dall’accento, in secondo luogo dalla natura della sillaba. In sintesi, sono foneticamente lunghe solo le vocali accentate che siano anche finali di sillaba e non finali di parola, mentre sono brevi tutte le altre. Solo la /a/ e la /i/ possono trovarsi in qualunque posizione, siano accentate o atone. /e/ e /9/ si trovano solo sotto accento. /u/ si trova in fine di parola solo se accentata. /0/ si trova in fine di parola solo se non è accentata. CHIUSE AETRR MEDIO-ALTE SEMICHIUSE SEMIAPERTE MEDIO-BASSE APERTE BASSE