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Riassunto del libro "Psicologia dello sviluppo" di John W. Santrock IV edizione, Appunti di Psicologia dello Sviluppo

Riassunto del libro integrato con appunti presi durante la lezione.

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 29/05/2023

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Scarica Riassunto del libro "Psicologia dello sviluppo" di John W. Santrock IV edizione e più Appunti in PDF di Psicologia dello Sviluppo solo su Docsity! CAPITOLO 1 →INTRODUZIONE Cosa è lo sviluppo umano? Lo sviluppo è costituito dalle dinamiche di quel processo di cambiamento che inizia con il concepimento e termina alla fine dalla vita (prospettiva life-span). La riflessione sulla crescita dello sviluppo umano ha seguito una storia ed è stata legata a dimensioni più filosofiche per passare poi a una dimensione più scientifica a partire da fine dell’800. Tra i primi autori che hanno fornito un orientamento scientifico allo studio dello sviluppo infantile ricordiamo: Alfred Binet famoso per aver strutturato i primi test di misurazione dell’intelligenza e di memoria; Arnold Gesell ha portato un nuovo metodo dello studio della psicologia dello sviluppo ovvero la cupola di Gesell in cui un bambino viene messo all’interno di una cupola e poi osservato da altri studiosi (laboratorio per osservazioni non intrusive); Hall il primo ad aver sviluppato uno studio stadiale. PROCESSI CHE DETERMINANO LO SVILUPPO UMANO o Processi biologici → Tutti quei processi che producono cambiamenti nel corpo dell’individuo. Per esempio cambiamenti che avvengono durante la crescita, sonno, droghe, mangiare, assumere sostanze di vario tipo, psicopatologie, la sessualità e la riproduzione. o Processi cognitivo →Quei processi che si riferiscono ai cambiamenti nel pensiero, nell’intelligenza e nel linguaggio dell’individuo. Per esempio quando impariamo qualcosa, immaginazione, pensiero divergente, apprendimento, ragionamento. o Processi socio-emotivi → Includono cambiamenti nelle relazioni dell’individuo con altre persone, cambiamenti nella sfera emotiva e cambiamenti nella personalità. Per esempio quando stringiamo rapporti di amicizia, gestione emotiva, appartenenza, tratti di personalità, empatia. Questi tre processi sono fortemente correlati fra di loro. Attualmente le connessioni tra processi biologici, cognitivi e socio-emotivi è particolarmente evidente in due campi di studio emergenti: le neuroscienze cognitive dello sviluppo che esplorano i collegamenti tra sviluppo, processi cognitivi e il cervello e le neuroscienze sociali dello sviluppo che esaminano le connessioni tra sviluppo, processi socio-emotivi e il cervello. La scoperta dei neuroni specchio ha dato un notevole impulso agli studi neuroscientifici applicati allo sviluppo infantile. Questi neuroni, infatti, essendo attivati sia durante il compimento di un’azione sia durante la sua osservazione forniscono il corrispettivo neuronale di diversi fenomeni cognitivi e socio- emotivi dello sviluppo, dall’immaginazione al riconoscimento delle emozioni altrui, fenomeno alla base dell’empatia. In molti casi i processi biologi, cognitivi e socio-emotivi sono bidirezionali. Per esempio i processi biologici possono influenzare quelli cognitivi e viceversa. PERODI EVOLUTVI o Periodo pre-natale che va dal concepimento alla nascita. o Periodo della prima infanzia ovvero dalla nascita ai 18-24 mesi. In alcune classificazioni questo periodo è diviso in due: periodo neonatale equivalente al primo mese di vita e infanzia da un mese a un anno e mezzo circa. La prima infanzia è un momento di assoluta dipendenza dagli adulti. o Periodo della seconda infanzia periodo che va dai 2 ai 6 anni quindi l’età prescolare. Durante questa fase i bambini imparano a diventare più autosufficienti e a prendersi cura di sé stessi, sviluppando le capacità che serviranno a scuola e trascorrono molto tempo impegnati nel gioco e con i loro coetanei. L’ingresso a scuola segna la fine di questo periodo. o Periodo della fanciullezza periodo che va dai 6 ai 11 anni quindi età scolare. I bambini si impadroniscono delle capacità di leggere, scrivere e contare e vengono esposti ufficialmente al mondo esterno e alla propria cultura. o Periodo dell’adolescenza che va dai 11 ai 18/22 anni che si divide nell’adolescenza propriamente detta ovvero lo status sociale da bambino ad adulto e la pubertà ovvero condizione fisiologica di bambino ad adulto. Il desiderio di indipendenza e la ricerca della propria identità sono aspetti fondamentali di questo periodo evolutivo. o Periodo dell’adultità emergente che va dai 18/22 ai 30 anni. o Periodo dell’età adulta vera e propria che va dai 30 ai 50 anni. o Periodo dell’età anziana che va dai 56 anni in poi. Tutti i periodi evolutivi sono il prodotto dell’interazione fra processi biologici, cognitivi e socio-emotivi. QUESTIONI RELATIVE ALLO SVILUPPO: DIBATTITO NAURA E CULTURA → La contrapposizione natura- cultura è alla base del dibattito che cerca di stabilire se lo sviluppo è influenzato in maniera preponderante dalla natura o dalla cultura. Il termine “natura” si riferisce all’eredità biologica di un organismo, “cultura”, invece, si riferisce all’influenza dell’ambiente. I sostenitori della “natura” affermano che l’influenza più significativa sullo sviluppo è l’eredità biologica, mentre i sostenitori della “cultura” affermano che sono le esperienze derivate dall’ambiente a rappresentare l’influenza più importante. CONTINUITA’ E DISCONTINUITA’ → Il dibattito continuità-discontinuità è volto a determinare se lo sviluppo è costituito da cambiamenti graduali e cumulativi o da fasi distinte tra loro. Generalmente gli studiosi dello sviluppo che evidenziano l’aspetto culturale tendono a considerare lo sviluppo un processo graduale e continuo. Quelli che sottolineano gli aspetti naturali, ereditari dello sviluppo, tendono, invece, a descriverlo come una serie di fasi distinte. Dal punto di vita della discontinuità, ciascuna persona viene considerata in transizione attraverso una serie di fasi durante le quali il cambiamento è qualitativo piuttosto che quantitativo. LE PRIME ESPERIENZE E LE ESPERIENZE SUCCESSIVE → Il dibattito prime esperienze-esperienze successive si concentra nella misura in cui le prime esperienze o le esperienze successive siano fattori chiave nello sviluppo infantile. Per coloro che accentuano l’importanza delle prime esperienze, la vita è un percorso ininterrotto nel quale una certa qualità psicologica può essere ricostruita a partire dalle sue origini. Sono più importanti le esperienze di vita della prima infanzia, in particolare dei primi mille giorni di vita, in cui il cervello è elastico e acquisisce con facilità una grande quantità di informazioni e si sviluppano moltissime sinapsi. Le sinapsi del cervello continuano a formarsi per tutta la vita ma è molto più difficile produrne di nuove rispetto ai primi anni di vita. Esiste un nuovo filone di ricerca che sostiene la tesi per cui anche i neuroni possono nascere in un secondo momento dello sviluppo, ma non è una ricerca ancora verificata, e soprattutto ancora non si sa in quale parte del cervello questi nuovi neuroni possano collocarsi e in quali quantità rispetto ai primi anni di vita. Per contro coloro che sottolineano l’importanza delle esperienze successive, lo sviluppo è come un fiume che scorre ininterrottamente. Inoltre ritengono che i bambini sono malleabili durante tutto il loro sviluppo e che le cure sensibili, durante la prima infanzia, non sono più importanti di quelle successive. La contrapposizione tra prime esperienze ed esperienze successive ha una lunga tradizione e continua a essere motivo di accesi dibattiti tra gli studiosi dello sviluppo. Il buon senso, in generale, ci dice che la verità sta nel mezzo e che si devono evitare estremismi, poiché anche fattori apparentemente biologici determinati geneticamente possono essere influenzati dall'ambiente, quindi si deve fare attenzione ad evitare gli estremismi. Ciò comporta interazionismo dinamico ovvero uscire da una visione causale lineare ed adottare una prospettiva di interazionismo dinamico. SVILUPPO INFANTILE E LE TEORIE: TEORIE PSICOANALITICHE DI FREUD → La teoria psicoanalitica descrive lo sviluppo come prevalentemente inconscio e influenzato dalla sfera emotiva. I comportamenti non sono altro che caratteristiche di superficie e che per raggiungere una vera comprensione dello sviluppo è necessario analizzare i significati simbolici del comportamento e i meccanismi profondi della mente. Sottolineano, inoltre, come le prime esperienze con i genitori influenzino lo sviluppo in maniera significativa. o Fase della terza età (65+) → In questa fase si tende a integrare gli stadi precedenti cercando di capire quello che è stato fatto. Il conflitto di base è fa integrità dell’Io e dispersione. L’evento cruciale è la riflessione e l’accettazione della propria vita. L’epilogo è l’accettazione di sé e un senso di realizzazione personale. CONFRONTO TRA FREUD E ERIKSON → Le fasi di Freud sono definiti psico-sessuali e la libido ovvero un’energia di vita è considerato il motore del comportamento. Maggiore importanza dei primi 5 anni di vita. Le fasi di Erikson sono psico-sociale. La socialità è il primo motore del comportamento. Lo sviluppo avviene dopo tutta la vita e ciascuna fase è importante in sé in quanto può essere un momento di integrazione. CONTRIBUTI SIGNIFICATIVI DELLE TEORIE PSICONALITICHE o Le prime esperienze giocano un ruolo importante nello sviluppo. o Le relazioni familiari sono un elemento centrale nello sviluppo. o L’approccio evolutivo fornisce un modello per comprendere la personalità. o Devono essere considerato anche gli aspetti inconsci della mente. I cambiamenti avvengono tanto nell’età adulta quanto nell’infanzia, nella visione di Erikson. ASPETTI CRITICI DELLE TEORIE PSICOANLITICHE o Molti concetti sono difficili da testare scientificamente. o Dati poco accurati. o Eccessiva importanza verso aspetti sessuali dello sviluppo (specialmente nella teoria di Freud). o Il lato inconscio della mente ricopre un ruolo troppo preponderante nell’influenzare lo sviluppo. o Presentano un’immagine troppo negativa dell’uomo. o Sono influenzate dall’ambiente culturale e sono discriminanti nei confronti delle donne (Freud in particolare è stato considerato maschilista). TEORIA DELL’ AREA COGNITIVA: LA TEORIA DI PIAGET → Queste teorie vanno a studiare come si sviluppa il nostro modo di capire il modo. Le teorie dell’area cognitiva più importanti sono le teorie di Piaget sullo sviluppo cognitivo, la teoria di Bruner, la teoria socio-culturale di Vygotskij e la teoria dell’elaborazione delle informazioni. La teoria di Piaget afferma che i bambini costruiscono attivamente la loro conoscenza del mondo attraverso l’azione e l’interazione (costruttivismo). Piaget è famoso per i suoi stadi sullo sviluppo cognitivo, ne individuò quattro. I due processi di base che guidano lo sviluppo sono l’organizzazione e l’adattamento. L’adattamento si raggiunge per mezzo di assimilazione e accomodamento. QUATTRO STADI DI PIAGET o Fase sensomotorio (0-2 anni) → In questa fase il bambino costruisce la sua visione del mondo coordinando le esperienze sensoriali con le azioni fisico motorie. o Fase preoperatorio (2-6 anni) → In questa fase i bambini cominciano ad andare oltre la semplice connessione di informazioni sensoriali con azioni fisiche e a rappresentare il mondo attraverso parole, immagini e disegni. In questa fase si sviluppa il pensiero simbolico ovvero la capacità di pensare gli oggetti. o Fase operatorio concreto (6-12 anni) → In questa fase i bambini possono svolgere delle operazioni e il ragionamento può essere applicato a esempi specifici e concreti. o Fase operatorio mentale (dai 12 anni) → In questa fase gli individui vanno oltre le esperienze concrete e pensano in modo più astratto e logico. Come conseguenza di un pensiero astratto, gli adolescenti creano immagini di situazioni ideali. LA TEORIA DI VYGOTSKIJ → Vygotskij sostiene che i bambini costruiscono attivamente le loro conoscenze. Tuttavia, Vygotskij attribuisce un ruolo molto importante alle interazioni sociali e alle attività culturali di quanto non faccia Piaget. La teoria di Vygotskij è una teoria cognitiva socio-culturale che mette in evidenza il modo in cui la cultura e le interazioni sociali guidano lo sviluppo cognitivo. L’autore descrive lo sviluppo del bambino come inseparabile dalle attività sociali e culturali. Secondo Vygotskij l’interazione sociale con adulti o pari più competenti è indispensabile al loro sviluppo cognitivo. Attraverso questa interazione, essi imparano a usare gli strumenti che li aiuteranno ad adattarsi ad avere successo nella loro cultura. In questa ottica la conoscenza non è generata all’interno dell’individuo ma è costruita attraverso l’interazione con le altre persone e con gli oggetti che fanno parte della cultura (artefatti culturali). LA PSICOLOGIA CULTURALE DI BRUNER → La sua psicologia viene definita psicologia culturale che studia in che modo la società e la cultura influenzano lo sviluppo culturale della persona. La realtà viene codificata in tre forme: esecutiva, iconica e simbolica vero e proprio che può avere una forma diversa dall’oggetto che vuole richiamare. Bruner ha identificato anche due forme di pensiero, il nostro cervello ha due modalità di funzionamento: il pensiero scientifico e narrativo. Vivono entrambe in ciascuno di noi ma servono a funzioni diverse. LA TEORIA DELL’ELABORAZIONE DELLE INFORMAZIONI→ La teoria dell’elaborazione delle informazioni è una teoria che deriva dal cognitivismo, e sottolinea il fatto che gli individui manipolano le informazioni, le controllano e fanno scelte strategiche a partire da esse. Questa teoria non descrive lo sviluppo come suddiviso in stadi ma, secondo questa teoria, gli individui sviluppano una crescente abilità nell’elaborazioni delle informazioni che consente loro di acquisire conoscenze e capacità sempre più complesse. Robert Siegler sostiene che il pensiero consiste nell’elaborazione di informazioni. In altre parole quando le persone percepiscono, codificano, rappresentano, immagazzinano e richiamano informazioni esse stanno pensando. Siegler enfatizza che un importante aspetto dello sviluppo consiste nell’apprendimento di buone strategie per l’elaborazione delle informazioni. CONTRIBUTI DELLE TEORIE COGNITIVE o Importanza del pensiero consapevole; o Costruzione attiva della conoscenza da parte dell’individuo (costruttivismo ovvero costruzione attiva della propria conoscenza); o Attenzione ai cambiamenti evolutivi nel pensiero dei bambini; o La teoria dell’elaborazione delle informazioni offre una descrizione dettagliata dei processi cognitivi; CRITICHE ALLE TEORIE COGNITIVE o Scetticismo circa l’universalità e la “costanza” degli stadi piagetiani; o Scarsa attenzione alle varianti individuali nello sviluppo; o I teorici della psicanalisi obiettano che le teorie cognitive non danno sufficiente credito agli aspetti inconsci; TEORIE COMPORTAMENTISTE: TEORIA SOCIO-COGNITIVA DI BANDURA → La teoria socio-cognitiva sostiene che comportamento, ambiente e cognizione sono fattori importanti nello sviluppo. Bandura enfatizza il fatto che i processi cognitivi hanno un importante collegamento con l’ambiente e con il comportamento. Le sue prime ricerche si concentravano in maniera significativa sull’apprendimento osservativo ovvero un tipo di apprendimento che si verifica attraverso l’osservazione di ciò che fanno gli altri. I teorici socio-cognitivi ritengono che le persone acquisiscono una vasta gamma di comportamenti, pensieri ed emozioni attraverso l’osservazione dei comportamenti altrui e che queste osservazioni rappresentano una grande parte dello sviluppo infantile. CONTRIBUTI DELLE TEORIE COMPORTAMENTISTE o Enfasi sull’importanza della ricerca scientifica; o Focus sulle determinanti ambientali del comportamento; o Spiegazione dell’apprendimento per imitazione (Bandura, bobo doll); o Enfasi sui fattori cognitivi della persona (teoria socio-cognitiva) CRITICHE ALLE TEORIE COMPORTAMENTISTE o Poca considerazione dei processi cognitivi; o Troppa enfasi sulle determinazioni ambientali in senso meccanico; o Poca attenzione ai cambiamenti evolutivi; o Inadeguata considerazione della spontaneità e della creatività umane; TEORIA ETOLOGICA → L’etologia è la scienza che si occupa del comportamento animale, uomo compreso, al fine di interpretare i caratteri tipici di una specie. La teoria etologia sostiene che il comportamento è fortemente influenzato dalla biologia e dall’evoluzione ed è caratterizzato da periodi critici e sensibili. Questi sono specifici periodi di tempo durante i quali, in accordo con gli etologi, la presenza o l’assenza di certe esperienze hanno un’influenza a lungo termine sugli individui. L’approccio etologico di Lorenz spinse gli psicologi dello sviluppo americani a riconoscere le basi biologiche del comportamento. Lorenz formulò il termine imprinting per indicare il rapido e innato processo di apprendimento limitato a un breve periodo critico che produce attaccamento nei confronti del primo oggetto in movimento visto. La teoria dell’attaccamento di Bowlby applica i principi della teoria etologica allo sviluppo umano. Questa teoria sostiene che l’attaccamento alla persona che si prende cura di noi nel primo anno di vita ha importanti conseguenze lungo tutto l’arco della nostra vita. Se questo attaccamento è positivo e sicuro, l’individuo disporrà di solide basi grazie alle quali potrà svilupparsi in un individuo competente che stabilisce relazioni sociali positive ed è emotivamente maturo. Se l’attaccamento è insicuro, il bambino, crescendo, avrà più difficoltà nello stabilire relazioni sociali e nell’affrontare le sue emozioni. In questa teoria si ritiene che il primo anno di vita è un periodo sensibile per lo sviluppo delle relazioni sociali. CONTRIBUTI DELLA TEORIA ETOLOGICA o Aver incrementato il focus sulle basi biologiche ed evoluzionistiche dello sviluppo o Utilizzare osservazioni accurate in situazioni naturalistiche o Enfasi sui periodi sensibili dello sviluppo CRITICHE DELLA TEORIA ETOLOGICA o I concetti del periodo critico e di periodo sensibile sono ancora troppo rigidi o Si dà troppa enfasi alle basi biologiche dello sviluppo o Si dà poca attenzione alla cognizione o La ricerca è stata più efficace nel produrre ricerche sugli animali che sugli esseri umani TEORIA ECOLOGICA DI BRONFENBRENNER → La teoria ecologica di Bronfenbrenner afferma che lo sviluppo è influenzato da diversi sistemi ambientali. L’idea di base che sta dietro la sua teoria è persona-nel- contesto, si può capire il comportamento umano solo nel contesto in cui è inserito. Lo sviluppo è concepito come una modificazione permanente del modo in cui l’individuo percepisce ed affronta il suo ambiente ecologico. L’ambiente ecologico è concepito come un insieme di strutture incluse l’una nell’altra. L’ecologia dello sviluppo umano è dunque una teoria delle interconnessioni ambientali e del loro impatto sulle forze che influiscono in modo diretto sulla crescita. Nell’ambiente ecologico il primo livello è la situazione ambientale “immediata” che comprende direttamente l’individuo in via di sviluppo (casa, scuola, laboratorio di psicologia etc.). Il secondo livello invece trascende le singole situazioni ambientali perché si possono essere spiegati da una teoria diversa da quella di riferimento. Questa validità è minacciata soprattutto da una non chiara definizione del fenomeno oggetto di indagine. La validità ecologica è la corrispondenza tra la realtà sottoposta a verifica empirica e quella a cui i risultati dovrebbero essere generalizzati. In linea massima si ritiene che una ricerca condotta nell’ambiente controllato del laboratorio possa portare a risultati difficilmente generalizzati nell’ambiente naturale. METODI DI RICERCA→ Osservazione naturalistica ovvero ci si immerge consapevolmente in ambienti naturali (esempio etnografia). Osservazione in laboratorio ovvero un setting controllato nel quale sono eliminati molti dei fattori complessi del mondo reale (esempio Gesel). Le interviste contatto diretto con il soggetto; possibilità di interagire e stabilire un rapporto di fiducia e dare chiarimenti; codifica più complessa. I questionari raggiungono un numero elevato di persone, possono essere a risposta aperta o chiusa e non sempre i partecipanti dicono la verità (desiderabilità sociale); non sempre le domande vengono comprese; possono essere fraintesi; contatto indiretto; codifica semplice. I Test standardizzati sono una procedura uniforme e “scientificamente valida” (evidence based), si usano per raccogliere informazioni su un dato aspetto della personalità. Mi dice anche quale è il valore medio di quell’aspetto nelle persone. Il vantaggio è che ci permettono di fare studi di tipo comparativo. Si usano per diagnosi cliniche. I risultati del test sono confrontabili tra gruppi diversi. I risultati che abbiamo sono misure quantitative cioè cercano di dare un numero ad un aspetto della nostra quotidianità. Lo stato è la situazione temporanea, il tratto è una situazione tendenzialmente stabile della mia persona. Le domande che misurano lo stato o il tratto sono domande completamente diverse. Il grosso problema di questi test è il fatto che trascurano le differenze culturali e contestuali. Ignorano, inoltre, i comportamenti effettivi quelli non previsti dai test, divergenti. L’altro grosso problema è che ignorano tutti quei comportamenti che non sono previsti dal costrutto teorico da chi ha generato il test. Spesso il test è costruito per rispondere a necessità statistiche, trascurando i bisogni delle persone. Le misurazioni fisiologiche valutano il funzionamento del sistema nervoso centrale, del sistema nervoso autonomo e del sistema endocrino. Per esempio l’indice di cortisolo è un indicatore dello stato di stress dell’individuo che si verifica attraverso la saliva. Il vantaggio è quello di poterle usare con i bambini piccoli che ancora non parlano. Lo studio di caso che è l’opposto dello studio psicometrico. Lo studio di caso raccoglie molte informazioni anche profonde ma soltanto di una o due persone. Dallo studio di caso non posso fare delle generalizzazioni ma posso riuscire ad apprendere informazioni molto personali delle persone. Analizzano quindi in profondità la storia di un singolo individuo per scoprire la storia personale e le ragioni di un dato atteggiamento o comportamento. La biografia e il metodo autobiografico appartengono a questo filone di studi e si rifanno al pensiero narrativo di Bruner. Il disegno di ricerca dipende dalla teoria e dal quesito di ricerca. Ogni ricerca parte da un quesito a cui si vuole dare risposta. Sara quindi il quesito a guidare il disegno di ricerca e poi il metodo di raccolta dati. I tre tipi principali di disegno di ricerca sono: la ricerca descrittiva, la ricerca correlazionale e quella di natura sperimentale. La ricerca descrittiva o osservazione ha lo scopo di osservare e registrare il comportamento, un pensiero, un atteggiamento e può rilevare informazioni importanti sullo stato attuale di un gruppo di persone con caratteristiche omogene. Tuttavia non mi permette di capire le cause della questione che ho rilevato, non mi permette di mostrare relazioni causa-effetto. Per esempio come hanno vissuto il lockdown i bambini italiani? Con un disegno osservazionale ha trovato cosa ha fatto bene ai bambini nello stare a casa. La ricerca di correlazione descrive l’esistenza e l’intensità di una relazione tra due o più variabili, eventi o caratteristiche. Il coefficiente di correlazione varia tra -1 e +1 che sono dei limiti. Un numero negativo indica una correlazione inversa (all’aumentare di un fattore diminuisce l’altro). Un numero positivo indica una correlazione positiva. Ovviamente la correlazione non significa causalità, la correlazione mi dice solo che due cose hanno un grado di collegamento, quando cambia una tende a cambiare anche l’altra ma non mi dice chi è la causa e chi l’effetto. La causalità indica una relazione tra due variabili in cui determina l’altra. La ricerca sperimentale c’è un gruppo di partecipanti iniziali che viene diviso in due sottogruppi ovvero il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo. Al gruppo sperimentale faccio fare un trattamento sperimentale allo stesso tempo al gruppo di controllo faccio un altro trattamento che presumo non abbia gli stessi effetti del trattamento del gruppo sperimentale. Alla fine confronto i risultati ottenuti dai due gruppi. Nel trattamento sperimentale manipolo la variabile indipendente ovvero la causa e vado a cercare effetti in quella che è definita variabile dipendente che è l’effetto. Si parla di disegno quasi sperimentale quando non ho un gruppo di controllo. Il placebo è un trattamento neutro. Più siamo convinti che quella cosa funziona più tenderà a funzionare. L’approccio trasversale è una strategia di ricerca di base alla quale soggetti di età diverse vengono messi a confronto in uno stesso momento. Nello stesso istante controllo la stessa variabile su gruppi diversi. Questo mi permette di fare un confronto fra gruppi diversi. L’approccio longitudinale è una strategia di ricerca in base alla quale gli stessi soggetti vengono studiati a lungo. La ricerca deve seguire tutta una serie di norme a carattere etico. Alcuni elementi chiave della ricerca etica sono il consenso informato ovvero la persona mi deve dare il consenso della ricerca, liberta nella persona di ritirarsi dalla ricerca senza dover dare spiegazioni al ricercatore, la riservatezza dei dati, diffusione dei risultati delle ricerche dobbiamo garantire che avviene solo nelle sedi scientifiche. I LIMITI DEL METODO TRADIZIONALE IN PSICOLOGIA→ Non tutto è riducibile con metodo scientifico in psicologia. Esistono una serie di aspetti determinanti dalla cultura e da esperienze individuali che necessitano di metodi qualitativi per essere compresi. La ricerca evidance based, in psicologia, non è in grado di rappresentare adeguatamente gli aspetti culturali, contestuali e locali di un fenomeno. CAPITOLO 3 → DAGLI INIZI BIOLOGICI ALLA NASCITA La selezione naturale è il processo evolutivo che favorisce quegli individui della specie che sono più adatti a sopravvivere e a riprodursi. La psicologia evoluzionistica evidenzia l’importanza dell’adattamento, della riproduzione e della sopravvivenza del più forte nel determinare il comportamento. Il processo evolutivo della selezione naturale ha favorito quei comportamenti che migliorano il nostro successo riproduttivo, la nostra capacità di trasmettere i nostri geni alla generazione successiva. David Buss ha suscitato particolare interesse riguardo ai modi in cui l’evoluzione può spiegare il comportamento umano. Egli sostiene che allo stesso modo in cui è responsabile delle nostre caratteristiche fisiche, come la forma fisica e l’altezza, l’evoluzione influenza profondamente il modo in cui prendiamo le decisioni, la nostra aggressività, le nostre paure e le nostre dinamiche di accoppiamento. Albert Bandura riconosce che l’evoluzione ha avuto una grossa influenza sull’adattamento umano. Tuttavia, egli rifiuta quello che chiama “evoluzionismo unilaterale”, il quale considera i comportamenti sociali un prodotto dell’evoluzione biologica. Un’alternativa potrebbe essere la prospettiva bi-direzionale, in cui l’ambiente e le caratteristiche biologiche si influenzano a vicenda. Secondo questo punto di vista, le spinte legate all’evoluzione hanno permesso ai nostri antenati di manipolare l’ambiente, creando nuove condizioni ambientali. A loro volta queste novità nell’ambiente hanno prodotto nuovi processi selettivi che hanno portato all’evoluzione di sistemi biologici specializzati per la coscienza di sé, il pensiero e il linguaggio. La genetica comportamentale è quella disciplina che intende determinare l’influenza dei fattori ereditari sulle differenze individuali nelle caratteristiche umane e nello sviluppo. Per studiare l’influenza dei fattori ereditari sul comportamento, gli studiosi della genetica comportamentale si servono dei gemelli o di persone adottate. Nei classici studi sui gemelli le somiglianze nel comportamento dei monozigoti sono confrontate con quelle dei gemelli dizigoti. I gemelli monozigoti si formano da un unico ovulo fecondato che si divide in due copie geneticamente identiche, ciascuna delle quali diventerà una persona. I gemelli dizigoti, invece, si formano da due ovuli e da due spermatozoi differenti e di conseguenza non sono geneticamente più simili tra di loro di quanto non lo siano due fratelli o sorelle nonostante condividano lo stesso utero. Negli studi sui figli adottivi i ricercatori tentano di stabilire se i comportamenti e le caratteristiche psicologiche dei bambini adottati sono più simili a quelle dei genitori adottivi, i quali hanno determinato il loro ambiente domestico, o a quelle dei genitori biologici che hanno contribuito alle loro caratteristiche ereditarie. Un altro tipo di studio a riguardo fa un confronto tra figli adottivi e figli biologici. CORRELAZIONI TRA FATTORI EREDITARI E AMBIENTE → La studiosa di genetica comportamentale Sandra Scarr ha descritto tre modi in cui i fattori ereditari e l’ambiente sono correlati.  Le correlazioni passive genotipo-ambiente → Correlazioni che si verificano quando i genitori biologici, i quali sono imparentati geneticamente con il bambino, costruiscono un ambiente educativo per il bambino; i bambini ereditano le proprie tendenze genetiche dai genitori e i genitori offrono loro un ambiente che sia compatibile con le loro tendenze genetiche.  Le correlazioni evocative genotipo-ambiente → Correlazioni che si verificano quando le caratteristiche di un bambino provocano un certo tipo di ambiente fisico e sociale;  Le correlazioni attive genotipo-ambiente (“trovare la propria nicchia”) → Correlazioni che si verificano quando un bambino ricerca un ambiente che trova stimolante e compatibile con le proprie attitudini. Trovare la propria nicchia ambientale significa trovare un ambiente che sia adatto alle proprie capacità. I bambini selezionano dall’ambiente circostante gli aspetti ai quali reagire, quelli che impareranno e quelli che ignoreranno. Le loro selezioni attive dell’ambiente sono collegate a un particolare genotipo. La Scarr è convinta che l’importanza relativa delle tre correlazioni genotipo-ambiente cambi man mano che i bambini passano dalla prima infanzia all’adolescenza. Nella prima infanzia, la maggior parte degli ambienti è messa a disposizione degli adulti. Dunque, le correlazioni passive genotipo-ambiente sono più frequenti nei primi anni dell’infanzia rispetto all’adolescenza; i bambini più grandi e gli adolescenti possono allargare le loro esperienze al di là dell’influenza della famiglia e creare il proprio ambiente in maniera più significativa. Le esperienze ambientali condivise sono le esperienze in comune tra fratelli, come la personalità o le attitudini intellettuali dei genitori, lo status socioeconomico della famiglia e il quartiere in cui vivono. Le esperienze ambientali non condivise, invece, sono le esperienze uniche proprie del singolo bambino, sia all’interno sia al di fuori della famiglia, che non sono condivise con il fratello. Lo studioso di genetica comportamentale Robert Plomin ha scoperto che l’ambiente condiviso ha un’influenza molto limitata sulle variazioni di personalità e interessi nei bambini. In altre parole, anche se due bambini vivono sotto lo stesso tetto con gli stessi genitori, le loro personalità sono spesso molto diverse tra loro. Inoltre Polmin afferma che i fattori ereditari influenzano gli ambienti non condivisi del bambino attraverso la correlazione fattori ereditari-ambiente descritta in precedenza. La prospettiva epigenetica è quell’approccio che sottolinea come lo sviluppo sia il risultato di uno scambio continuo e bidirezionale tra fattori ereditari e ambiente. In conclusione l’eredità genetica e le esperienze ambientali sono influenze determinanti per lo sviluppo. Ma lo sviluppo del bambino non è solo il risultato delle loro eredità e del loro ambiente; i bambini sono anche autori di una traiettoria evolutiva unica, sono creature e creatori del loro mondo. Rispetto allo sviluppo perciò, le interazioni tra fattori ereditari e ambiente sono “filtrate” dalle scelte, dalle speranze, dalle aspettative che ciascuno elabora attivamente. Quando gli adolescenti maturano prima o dopo rispetto ai coetanei è possibile che abbiano una diversa percezione di sé stessi. E il loro ritmo di maturazione è collegato allo sviluppo socio-emotivo e al fatto che abbiano o no dei problemi. Tendenzialmente per i maschi uno sviluppo precoce spesso ha livelli positivi a livello psicologico ed è facile che lo porti ad un maggior successo nelle relazioni con i coetanei. Nelle femmine invece è più complesso: gli studi correlazionali evidenziano una serie di problemi come una maggiore vulnerabilità socio emotiva, un anticipo di comportamenti a rischio come fumo, alcol, depressione. C’è anche una richiesta di indipendenza dai genitori, e l’anticipazione di esperienze sentimentali e sessuali. IL CERVELLO → Anche il cervello ha uno sviluppo fisico. Le sue strutture aiutano a regolare il comportamento, il metabolismo, il rilascio di ormoni e altri aspetti della fisiologia del corpo. In passato era diffusa l’idea che la struttura del cervello fosse determinata geneticamente e che il cervello fosse immutabile dopo l’infanzia. In realtà ad oggi gli studi hanno dimostrato che il cervello è plastico e il suo sviluppo dipende dal contesto. Ciò che noi facciamo cambia lo sviluppo del nostro cervello. Il cervello ha due emisferi, l’emisfero destro e l’emisfero sinistro, ed ogni emisfero ha quattro aree principali chiamati lobi. Sebbene i lobi generalmente lavorino insieme, ognuno ha una funzione primaria: i lobi frontali che si trovano nella nostra fronte sono importante nei movimenti volontari, nel pensiero, nell’intenzionalità, nella presa di decisioni ecc. È la parte evolutivamente più nuova del cervello; i lobi occipitali hanno funzione nella visione; i lobi temporali hanno un ruolo attivo nell’udito, nell’elaborazione linguistica e nella memoria; i lobi parietali hanno un ruolo importante nel registrare la posizione spaziale, l’attenzione e il controllo motorio. IL NEURONE → Il neurone è la cellula che controlla, crea e compone il nostro cervello. Ha delle strutture che lo rendono simile alle altre cellule ma anche caratteristiche specifiche che lo rendono unico. Alcune parti importanti dei neuroni sono i dendriti e gli assoni. I primi ricevono informazioni dagli altri neuroni, dai muscoli e dalle ghiandole; i secondi trasmettono le informazioni lontano dal corpo della cellula. All’estremità dell’assone vi sono delle diramazioni terminali o “bottoncini” che rilasciano sostanze chimiche chiamate neurotrasmettitori nelle vescicole sinaptiche che sono minuscole aperture attraverso le fibre dei neuroni. Interazioni chimiche nelle sinapsi connettono assoni e dendriti permettendo il passaggio di informazioni da un neurone all’altro. Molti psicofarmaci e molte droghe vanno ad amplificare o bloccare il transito dei neurotrasmettitori e possono quindi accendere o spengere alcune nostre emozioni e sensazioni. Gli assoni sono ricoperti di una guaina di mielina, che è uno strato lipidico di cellule. La guaina aiuta gli impulsi a viaggiare più velocemente attraverso gli assoni, incrementando la velocità di trasmissione delle informazioni da un neurone all’altro. Nel corso dello sviluppo del bambino cambia la rete sinaptica, il potenziale evolutivo è massimo a due anni di età. Ci sono tante sinapsi ma non sono coordinate tra di loro. I circuiti sinaptici che non vengono usati tendono a cadere mantenendo invece i circuiti sinaptici legati ad azioni che svolgono spesso questo è il fenomeno che viene definito potatura delle sinapsi. LA PLASTICITA’ DEL CERVELLO → La plasticità del cervello diminuisce con l’invecchiamento ma non scompare mai. I neuroni si ristrutturano di continuo, ed oggi sappiamo anche che nuove cellule nervose vengono create lungo tutto l’arco della vita. Il cervello sa riprogrammarsi in tempo quasi reale, cambiando modo di funzionare. Secondo la regola di Hebb le cellule che si attivano insieme cioè che scaricano impulsi elettrici nello stesso momento tendono a legarsi tra di loro. Ogni volta che compiamo una azione o riceviamo una sensazione che sia fisica o mentale, un insieme di neuroni si attiva contemporaneamente nel nostro cervello. Se essi sono vicini, si uniscono e comunicano attraverso il passaggio di alcuni neurotrasmettitori negli spazi sinaptici. Quando l’esperienza si ripete, i legami sinaptici si rafforzano e si moltiplicano, sia con la crescita di nuove terminazioni (sinapsi e dendriti) che con la generazione di nuovi neuroni per rafforzare ulteriormente quella funzione. Gli effetti dell’esperienza sul cervello sono simili a quelli dell’acqua sul terreno. L’acqua che scorre scava un canale che si allarga e si approfondisce; se si ferma e riprende, torna ad usare i canali che ha formato in passato. Similmente, gli stimoli sensoriali ripetuti vanno a forgiare “tracciati vitali” nel sistema nervoso. Questi tracciati si ri-attivano e rafforzano in presenza dello stimolo. (Caso clinico di una ragazza con metà cervello, video visto in classe) Prime esperienze e cervello: o I bambini che crescono in un ambiente deprivato possono avere anche delle conseguenze sullo sviluppo del cervello. o La neuroplasticità lascia sempre spazi di recupero, pur all’interno di determinai vincoli biologici. o Le esperienze del bambino determinano come si organizzeranno diverse reti neurali. o Prima della nascita sembra che siano principalmente i geni a dirigere i pattern di connessione tra le cellule nervose, dopo la nascita, gli stimoli esterni aiutano le connessioni neurali del cervello a prendere forma. L’assenza di stimoli esterni può determinare un ritardo dello sviluppo del cervello. SECONDA INFANZIA → Il cervello nella seconda infanzia non cresce rapidamente come nella prima infanzia. Ciononostante i cambiamenti anatomici nel cervello dei bambini tra i 3 e i 15 anni sono impressionanti. Il collegamento tra i cambiamenti del cervello dei bambini e il loro sviluppo cognitivo implica l’attivazione di aree del cervello, mentre in alcune aree aumentano le attivazioni in altre diminuiscono. La potatura (pruning) indica che le connessioni che vengono usate sopravvivono e sono rinforzate, mentre quelle non usate sono sostituite da altre o eliminate. ADOLESCENZA → Anche il cervello cambia durante l’adolescenza. Il cervello dell’adolescente subisce significativi cambiamenti strutturali. Il corpo calloso, dove fasci di fibre nervose connettono gli emisferi destro e sinistro, si infittiscono; questo migliora l’abilità dell’adolescente di elaborare informazioni. La corteccia prefrontale non termina la maturazione prima dell’inizio dell’età adulta o dopo, ma l’amigdala matura prima della corteccia prefrontale. Alla fine dell’adolescenza gli individui avranno minori connessioni neurali, ma più selettive e efficaci di quante non ne avessero da bambini. Sebbene gli adolescenti siano capaci di emozioni molto forti, la loro corteccia prefrontale non è sviluppata al punto da permettere loro di controllare queste emozioni. È come se il cervello dell’adolescente non avesse i freni per far andare piano le sue emozioni. Non hanno la capacità di ragionare sulle conseguenze di possibili azioni. CAMBIAMENTI EVOLUTIVI → Due sono gli sviluppi chiave durante questi primi due anni, uno implica la guaina mielinica mentre l’altro le connessioni tra i dendriti. Lo studio delle tappe di maturazione del cervello ripercorre le tappe della mielinizzazione ovvero il processo di rivestimento degli assoni con la guaina di mielina, che consente la trasmissione più veloce ed efficiente delle informazioni (inizia dopo la nascita e va avanti fino all’adolescenza). I fasci nervosi delle vie visive si ricoprono di mielina entro i primi sei mesi di vita, mentre quelli delle vie uditive raggiungono un elevato grado di maturazione tra i 4 e 5 anni. Prima degli 8 anni maturano le aree associative dei lobi occipitale, temporale, parietale e frontale, incluse le aree del linguaggio. Infine alcuni aspetti di mielinizzazione continuano ancora durante l’adolescenza, in particolare nei lobi frontali. Lo sviluppo del cervello nel corso dei primi due anni di vita è caratterizzato dall’incremento importante delle ramificazioni dendritiche (in ingresso) e delle sinapsi (sinaptogenesi ovvero la creazione di nuove sinapsi). Le connessioni non usate vengono potate (pruning). Il picco massimo di produzioni di sinapsi avviene dopo i tre anni di età. Nei processi di mielinizzazione e di sinaptogenesi sono implicate sia natura sia cultura. IL SONNO → Il sonno è uno stato fisiologico caratterizzato da un'interruzione dei rapporti sensoriali e motori che legano l'organismo al suo ambiente (Galimberti). Secondo la teoria dell’auto stimolazione, mentre si dorme, i neuroni si ristrutturano e si ricostruiscono. È fondamentale per processi vitali. Nel primo trimestre di vita il 70% del tempo (16-17 ore al giorno) il bambino lo trascorre dormendo. Mentre dal terzo mese il sonno diventa prevalentemente un’attività notturna. La progressione verso l’alternanza sonno-veglia è una caratteristica universale, mentre il ritmo con cui si verifica è influenzato dal comportamento dei genitori e da aspetti connessi con la cultura di appartenenza. La sequenzialità degli stati di coscienza del neonato è regolata dall’attività dei genitori. Questi stati si ripetono in modo ciclico durante la giornata senza sequenzialità. Esistono cinque stati di coscienza del neonato: il sonno regolare, il sonno irregolare, veglia tranquilla, veglia attiva e pianto, irrequietezza. Durante il sonno REM l’attività del cervello è simile a quando siamo rilassati ma svegli. Gli occhi hanno rapidi movimenti e si ha un sogno attivo. Il neonato raggiunge il 50% del tempo totale di sonno. A 6 mesi il sonno REM si riduce al 25,30%. Mentre nell’adulto costituisce il 21% del totale. Un evento drammatico che può avvenire durante il sonno del neonato è la sindrome della morte improvvisa o morte in culla, la cui origine resta sconosciuta: è la condizione che accade quando il neonato cessa di respirare, solitamente durante la notte, e improvvisamente muore senza una causa apparente. I ricercatori hanno trovato che la SIDS diminuisce quando gli infanti dormono sulla schiena piuttosto che sulla pancia o sul fianco. Tra le ragioni per cui dormine proni rappresenta un fattore di rischio per la SIDS vi è il fatto che questa posizione limita l’attivazione del neonato e restringe la sua abilità a deglutire efficacemente. I ricercatori hanno notato che si presenta più frequentemente negli infanti con anomalie nel funzionamento del cervello e scarsa produzione di serotonina: il cervello dei neonati morti per la SIDS produce poca serotonina, neurotrasmettitore importante, tra le sue diverse funzioni, nel controllo del respiro, del battito cardiaco e del sonno. SVILUPPO MOTORIO: TEORIA DEI SISTEMI DINAMICI → Gesell propone che le pietre miliari dello sviluppo motorio, come gattonare, afferrare e camminare, si sviluppano attraverso un piano genetico cioè per maturazione dell’organismo guidata su basi genetiche. Secondo la teoria dei sistemi dinamici (teoria proposta da Esther Thelen), i neonati accostano le capacità motorie al fine di percepire e agire. Secondo questa teoria, infatti, percezione e azione si presentano in coppia: per poter sviluppare le capacità motorie, i bambini devono percepire qualcosa nel loro ambiente che li motivi ad agire e a usare le loro percezioni per affinare i propri movimenti. Le abilità motorie rappresentano per i bambini il raggiungimento dei loro obiettivi. Secondo questa teoria, quando i bambini sono motivati nel fare qualcosa è possibile che sviluppino un nuovo comportamento motorio. Il nuovo comportamento è il risultato di vari fattori combinati: lo sviluppo del sistema nervoso, le proprietà fisiche del corpo e le sue possibilità di movimento, l’obiettivo che motiva l’attività del bambino e il sostegno presente nel contesto per il raggiungimento dell’obiettivo. La teoria dei sistemi dinamici sostiene che lo sviluppo motorio non sia un processo passivo nel quale i geni determinano lo sviluppo di una sequenza di abilità nel corso del tempo. Piuttosto, il neonato crea attivamente un’abilità per raggiungere un obiettivo all’interno dei limiti determinati dal corpo e dall’ambiente del bambino. Natura, cultura, bambino e ambiente sono tutti elementi che insieme contribuiscono allo sviluppo, in quanto parti di un sistema in continuo cambiamento. I RIFLESSI DEL NEONATO → Il neonato è dotato di alcuni riflessi fondamentali. I riflessi sono reazioni istintive a degli stimoli: controllano i movimenti del neonato, che sono automatici e al di fuori del controllo del neonato stesso. I riflessi sono meccanismi di sopravvivenza geneticamente tramandati, che permettono ai bambini di rispondere al loro ambiente attraverso una prima forma automatica di adattamento, prima ancora di cominciare ad apprendere. o Riflesso di rooting → Se viene toccato sulla guancia, gira la testa verso il lato stimolato e poi la gira verso l’altro, cercano qualcosa da succhiare; o Riflesso di suzione → Quando la bocca viene a contatto con qualcosa che può essere succhiato e automaticamente iniziare a succhiare l’oggetto; I neonati rispondono agli stimoli tattili. La ricerca ha ormai dimostrato che i neonati provano dolore e distinguono odori diversi. La sensibilità al gusto può presentarsi anche prima della nascita. PERCEZIONE INTERMODALE → L’abilità di integrare le informazioni provenienti da due o più modalità sensoriali diverse come per esempio l’integrazione fra la vista e l’udito. Anche i neonati presentano forme rudimentali ed esplorative di percezione intermodale. COPPIA PERCETTIVA-MOTORIA → Percezione e azione sono da considerarsi in coppia. I bambini coordinano i loro movimenti con le informazioni percettive. L’azione sostiene la percezione, ad esempio, muoversi nell’ambiente fornisce insegnamenti ai bambini su come oggetti e persone appaiano diversi se guardati da punti di vista differenti, o se una superficie sosterrà il loro peso o meno. Gli individui percepiscono al fine di muoversi e si muovono al fine di avere percezioni. Un bambino che agisce con un oggetto rappresenta una unità funzionale. In un certo senso bambino ed oggetto sono un tutt’uno con l’azione che svolgono. Per avere senso, i tre elementi vanno a considerarsi assieme e non più separatamente. CAPITOLO 5 → APPROCCIO ALLO SVILUPPO COGNITIVO LA TEORIA DI PIAGET (1886-1980) → La teoria di Piaget è la storia di un processo di ricerca delle influenze che biologia ed esperienze ambientali hanno sullo sviluppo cognitivo. Partendo da una predisposizione genetica, il bambino costruisce attivamente la propria mente attraverso l’esperienza (costruttivismo). Un principio che regola la nostra vita come individui è l’adattamento cioè uno dei principi che sostiene la vita nel nostro pianeta. Quando nella relazione con l’ambiente un organismo perde uno stato di equilibrio (ad esempio a causa delle modifiche dell’ambiente) si adatta per cercare un nuovo stato di stabilità. Anche la mente si adatta, quando si trova in uno stato di disequilibrio tra stati interni e informazioni o richieste che provengono dall’ambiente. INVARIANTI FUNZIONALI → L’obiettivo fondamentale di Piaget è considerato lo studio dell’intelligenza vista come uno dei modi che un organismo ha a disposizione per interagire con l’ambiente. Alla base dei processi cognitivi ci sono gli invarianti funzionali. Un invariante funzionale è un meccanismo biologicamente predeterminato di funzionamento generale dell’organismo, che governa tutte le azioni della persona, che non varia con l’età e che è presente in tutti gli esseri viventi. Non sono comportamenti osservabili, ma principi generali che sottostanno ai comportamenti e che agiscono in forma immutata lungo tutto l’arco della vita. Nella teoria di Piaget tra gli invarianti funzionali che caratterizzano lo sviluppo troviamo l’adattamento, che regola le interazioni tra l’organismo e l’ambiente, e l’organizzazione, che regola il modo in cui le strutture mentali funzionano come delle totalità coerenti. Secondo Piaget i due processi alla base dell’adattamento di un individuo al proprio ambiente sono l’assimilazione e l’accomodamento. La forma più alta di adattamento, e cioè quella in cui l’assimilazione e accomodamento realizzano il miglior equilibrio è l’atto di intelligenza. SCHEMI → Piaget sostenne che quando il bambino tenta di costruirsi una comprensione del mondo, il cervello in via di sviluppo crea degli schemi. Il concetto di schema venne utilizzato per la prima volta dal neurologo Henry Head per indicare l’immagine corporea che ciascuno si costruisce di sé stresso. Piaget riprese il concetto di schema per intendere un modello di pensiero o azione che il bambino usa per organizzare, rappresentare e interpretare la realtà e le proprie conoscenze. Lo schema riesce ad operare solo su un certo tipo di informazioni. Per esempio nello schema “Giocare a calcio” il concetto di palla richiama alla rotondità, al rotolare alla leggerezza. Ci sono poi le azioni svolgibili come il correre dietro, il lanciare, l’afferrare, il calciare e i contesti di utilizzo come il campo da calcio. Secondo la teoria di Piaget gli schemi comportamentali o schemi d’azione (attività fisiche) caratterizzano la prima infanzia mentre gli schemi mentali (attività cognitive) si sviluppano nella seconda infanzia. Gli schemi si costruiscono per processi di adattamento, funzione che regola l’interazione tra individuo ed ambiente e consente il raggiungimento di nuove forme di equilibrio. ASSIMILAZIONE E ACCOMODAMENTO → L’equilibrio si può raggiungere attraverso due modalità, due operazioni mentali: l’assimilazione ovvero cercare di dare un senso, processare la realtà utilizzando uno schema che già possiedo nella mia mente. Per Piaget l’assimilazione consiste nella “incorporare le cose e le persone all’attività propria del soggetto, assimilando quindi il mondo esterno alle strutture giù costruite”. L’altra modalità è l’accomodamento che consente di riadattare le strutture e gli schemi mentali quando ci troviamo di fronte a situazioni nuove, che non possono essere assimilate perché ignote. Lo schema nella mia mente si accomoda per essere in grado di processare nuove informazioni dalla realtà esterna. Una volta effettuato l’accomodamento avviene nuovamente l’assimilazione. L’assimilazione incorpora, nei propri schemi mentali preesistenti, i dati dell’esperienza e tende alla conservazione dello schema. L’accomodamento invece modifica i propri schemi per adattarli ai nuovi dati, c’è quindi una novità. Lo scopo finale di tutto questo è trovare un nuovo stato di equilibrio da parte dell’organismo ovvero l’adattamento. I due processi concettualmente sono distinti per spiegare come le nuove informazioni vengono trasformate per adattarsi alla conoscenza pre-esistente e come questa si adatti alle nuove informazioni, ma nella realtà hanno luogo contemporaneamente. Inoltre, anche se in alcuni casi prevale l’assimilazione, questi due processi sono complementari e tendono all’equilibrio garantendo le interazioni dell’organismo con l’ambiente e determinandone l’adattamento. Per assimilare l’ambiente, l’azione e il pensiero, devono continuamente aggiustarsi in base alle informazioni che trovo nell’ambiente esterno. Lo sviluppo mentale quindi non è altro che una catena di assimilazioni ed accomodazioni. La realtà tuttavia continua a cambiare e questo richiederà nuovi accomodamenti. Per poter raggiungere nuovi adattamenti, il bambino opera attivamente sul mondo esterno, per mezzo dell’azione. L’azione consente alle informazioni provenienti dal mondo di divenire realtà interna. EQUILIBRAZIONE → È il processo che permette di raggiungere l’equilibrio cognitivo integrando in totalità unificate e stabili la varietà di esperienze vissute. Per Piaget il sistema cognitivo è tendenzialmente sempre in disequilibrio per effetto del processo di assimilazione che lo vincola a interagire con l’ambiente appropriandosene, ma lo stato di disequilibrio è temporaneamente eliminato dalla riorganizzazione della struttura interna operata dall’accomodamento. Quando, interagendo con l’ambiente, riceviamo informazioni che non corrispondono al livello di conoscenza che possediamo, allora si crea una condizione di disequilibrio che solo il cambiamento delle strutture cognitive e il passaggio al livello superiore fa terminare. L’equilibrazione è il processo continuo e dinamico in cui, a partire dal quale, il sistema si autocorregge. Nel processo di aggiustamento di vecchi sistemi e sviluppo di nuovi, il bambino organizza e riorganizza i vecchi e i nuovi schemi finché la nuova organizzazione diventa fondamentalmente diversa dalla vecchia. L’ORGANIZZAZIONE → È il modo con cui i bambini danno senso al loro mondo. Secondo Piaget infatti l’organizzazione è il raggruppamento di comportamenti e pensieri isolati, in sistemi di ordine superiore. L’organizzazione è un principio di costruzione olistica: le trasformazioni riguardano la struttura nel suo insieme e non parti specifiche e isolate di essa, e le trasformazioni a una parte comportano sempre cambiamenti qualitativi a tutta la struttura. Il fine dell’organizzazione è promuovere l’adattamento attraverso le due modalità complementari dell’assimilazione e dell’accomodamento. Per esempio lo schema della suzione più lo schema della prensione ci porta ad essere capace di afferrare il ciuccio e portarlo alla bocca. STADI DI SVILUPPO → Il risultato degli invarianti funzionali, secondo Piaget, è che gli individui percorrono quattro stadi di sviluppo, ciascuno dei quali è legato all’età e consiste in modi diversi si pensare. Nella teoria di Piaget il concetto di stadio è definito da alcuni criteri: 1. Lo stadio individua cambiamenti qualitativi cioè la cognizione è qualitativamente diversa nei diversi stadi; 2. A ogni stadio gli schemi si trasformano; 3. Gli stadi si integrano gerarchicamente cioè passando a un nuovo stadio, i “vecchi” schemi non sono abbandonati ma integrati nei nuovi, e inoltre, organizzati gerarchicamente; 4. Gli stadi rispettano un ordine logico; 5. Il passaggio da uno stadio all’altro non è subitaneo ma graduale; A ogni stadio corrisponde una diversa organizzazione mentale, e pertanto, un diverso adattamento. Nonostante Piaget ritenesse che la successione stadiale dipenda sia da processi di maturazione determinati biologicamente sia dall’esperienza postula una fondamentale universalità: tutti i bambini attraversano la medesima sequenza stadiale indipendentemente dalla cultura di appartenenza e dal contesto educativo . Piaget denominò i quattro stadi dello sviluppo cognitivo: sensomotorio, preoperatorio, operatorio concreto e delle operazioni formali. LO STADIO SENSOMOTORIO (nascita-2 anni) → In questo stadio il bambino non “pensa” nel senso che intendiamo noi, ma sviluppa l’azione-pensiero agendo in modo fisico sul mondo. Cioè gli infanti si costruiscono una comprensione del mondo coordinando esperienze sensoriali con azioni fisiche e motorie. Secondo Piaget, questo stadio è caratterizzato dalla comparsa dell’intelligenza in una forma pratica, sensomotoria, in quanto le strutture cognitive sono schemi di azione legati al funzionamento dei sensi e della motricità: il bambino conosce il mondo mediante le attività motorie che lo mettono in relazione con la realtà e generano effetti sensoriali regolari. Piaget ha una visione gerarchica di questo stadio, diviso in dei sotto-stadi che descrivono il passaggio graduale del bambino da organismo riflesso a individuo riflessivo: 1. Riflessi innati ovvero le sensazioni e l’azioni sono primariamente basate su comportamenti riflessi; 2. Prime abitudini e reazioni circolari primarie: in questa fase il bambino coordina le informazioni provenienti dagli organi di senso e due tipi di schemi: quello di abitudini e quello delle reazioni circolari primarie. Un’abitudine è uno schema basato su un riflesso che diventa completamente indipendente dal suo stimolo elicitante. Il concetto di reazioni circolare indica un meccanismo di fissazione dell’esperienza attraverso la ripetizione, che sfocia in un nuovo comportamento o schema d’azione. Abitudini e reazioni circolari primarie sono stereotipate cioè il neonato le ripete ogni volta allo stesso modo; 3. Reazioni circolari secondarie: in questa fase il bambino diventa più orientato verso degli oggetti e le azioni che vengono ripetute sono orientate verso l’ambiente. Il bambino imita solamente le azioni che è già in grado di riprodurre. Nonostante siano diretti verso oggetti del mondo esterno, in questo momento, gli schemi del bambino non sono né intenzionali né orientati a uno scopo; 4. Coordinazione delle relazioni circolari secondarie: in questa fase le azioni diventano più dirette verso l’esterno. Per passare a questa fase il bambino deve coordinare vista e tatto, mani e occhi, infatti i cambiamenti più significativi di questo stadio coinvolgono la coordinazione degli schemi e l’intenzionalità. Gli infanti combinando e ricombinano prontamente schemi appresi precedentemente in modo coordinato. I bambini diventano capaci di coordinare azioni diverse orientate intenzionalmente verso una meta; 5. Reazioni circolari terziarie, novità e curiosità: in questa fase i bambini sono affascinati dalle molte caratteristiche degli oggetti e delle molte cose che possono fare con essi. Le reazioni circolari terziarie sono schemi in cui il bambino intenzionalmente esplora nuove possibilità con gli oggetti, OPERAZIONI LOGICHE: L’OPERAZIONE INRC → In questo periodo scompaiono i fenomeni di animismo, finalismo e artificialismo causati dall’egocentrismo che fanno posto a spiegazioni per mezzo di rapporti causali. L’operazione concreta sono azioni mentali reversibili che riguardano oggetti reali, concreti, immediatamente disponibili davanti al bambino. La reversibilità per inversione (ogni operazione è annullata da un’operazione inversa) ci sono azioni identiche ovvero azioni che ripetono un’azione precedente. Poi c’è l’azione inversa che la annulla. ELEMENTI CARATTERIZZANTI IL PENSIERO OPERATORIO-CONCRETO→ Molte delle operazioni concrete identificate da Piaget implicano i modi attraversi i quali i bambini ragionano sulle proprietà degli oggetti. Una capacità importante che caratterizza i bambini operatorio concreti è quella di classificare gli oggetti e di consolidare le loro relazioni. La classificazione consiste nella capacità di individuare proprietà invarianti in oggetto diversi e di paragonare la classe con le sue sottoclassi senza confonderle. Questa capacità implica sia l’identificazione della proprietà o il criterio attraverso il quale costruire una classe, sia la capacità di compiere sulle classi operazioni di addizione o moltiplicazione logica. La seriazione è la capacità di ordinare oggetti in base ad una proprietà quantificabile da essi condivisa in misura diversa. La transitività è la capacità di ragionamento logico e combinazione di relazioni. LO STADIO LOGICO-FORMALE (DAGLI 11 ANNI) → Qui gli individui passano oltre le esperienze concrete e pensano in modo più astratto e logico. La capacità di astrazione permette all’adolescente di ragionare con simboli che non si riferiscono a oggetti del mondo reale. Le operazioni logiche vengono trasposte dal piano concreto-immediato a quello delle idee pure (ragionamento ipotetico-deduttivo) il pensiero ipotetico può anche essere fantastico. La logica proposizionale consiste nel collegare tra loro delle situazioni o degli eventi tramite degli operatori logici. Appare con il pensiero logico-formale. Esempi di alcuni operatori logici: implica, comprende, allora, e, oppure. EGOCENTRISMO ADOLESCENZIALE→ È stato rivelato una nuova forma di egocentrismo. Negli adolescenti la maggiore coscienza di sé si riflette sulla convinzione che gli altri siano interessati a loro, al loro senso di unicità ed invincibilità. Ci sono due espressioni dell’egocentrismo adolescenziale: pubblico immaginario ovvero assumere comportamenti per richiamare l’attenzione su di sé e la fiaba personale ovvero la sensazione di unicità e di invincibilità. CAMPI DI APPLICAZIONE DELLA TEORIA DI PIAGET: L’EDUCAZIONE o Assumere un approccio “costruttivo”, il bambino costruisce una costruzione della realtà. o Facilitare l’apprendimento piuttosto che dirigerlo. o Considerare le conoscenze e il livello di pensiero del bambino. o Utilizzare valutazioni continue. o Promuovere la salute intellettuale degli studenti. o Trasformare l’aula in un setting di esplorazione e scoperta. CONTRIBUTI GENERALI DELLA TEORIA DI PIAGET o I bambini sono pensatori attivi e costruttivi; o Nuovi mod di osservare i bambini e di allestire situazioni sperimentali per scoprire come essi agiscono a si adattano al mondo; o Bisogni di assimilazione (far quadrare le cose in base ai propri schemi) e di adattamento (adattare i propri schemi al mondo esterno); o I cambiamenti cognitivi avvengono più facilmente se il contesto è strutturato in modo da permettere un graduale movimento al livello successivo più elevato; ASPETTI CRITICATI DELLA TEORIA DI PIAGET o Alcune abilità cognitive emergono prima rispetto a quello che pensava Piaget. Altre capacità possono emergere più tardi; o Alcuni bambini che si trovano a uno stadio cognitivo possono essere educati a ragionare ad uno stadio cognitivo più alto; o Cultura ed educazione esercitano influenze più forti sullo sviluppo rispetto a quanto pensava Piaget; o In particolari contesti sono possibili “salti in avanti” e ritorni temporanei a stadi precedenti; PIAGET DOPO PIAGET: I NEOPIAGETIANI o Gli autori neo-piagetiani si impegnano a proseguire e correggere la teoria di Piaget. Alcuni dei settori di studio riguardano: attenzione, memoria e strategie per elaborare informazioni. o Conflitto socio-cognitivo ovvero l’interazione sociale può produrre a certe condizioni un disequilibrio cognitivo che induce la ricerca di un’organizzazione mentale di ordine superiore. LA RICERCA CONTEMPORANEA: CONPETENZE AVANZATE DEI BAMBINI o Grazie a metodi di indagine non disponibili ai tempi di Piaget; o Abilità sempre più avanzate e precoci mei bambini; o Infanti di 7 mesi comprendono le interazioni dell’adulto; o Possesso del concetto di numero; LA TEORIA DI VYGOTSKIJ → Anche Vygotskij sottolineò il fatto che i bambini costruiscono attivamente la loro conoscenza. Secondo lui, però, le funzioni mentali hanno connessioni sociali. Lo sviluppo cognitivo degli individui dipende dagli strumenti messi a disposizione dalla società e la loro mente prende forma a partire dal contesto culturale in cui vivono. Per Vygotskij l’evoluzione della mente avviene tramite l’acquisizione di strutture psichiche a complessità crescente: funzioni psichiche inferiori e superiori. Lo sviluppo biologico trova espressione nelle funzioni psichiche inferiori; grazie al linguaggio le funzioni psichiche inferiori diventano funzioni psichiche superiori. In questa transizione ha un ruolo importante il linguaggio in quanto è attraverso l’acquisizione del sistema linguistico che le funzioni inferiori preesistenti si interiorizzano trasformandosi in funzioni psichiche superiori. Grazie al linguaggio il bambino si può allontanare dalla situazione concreta, può decontestualizzare la sua conoscenza. Le funzioni psichiche superiori implicano, infatti, la modificazione strutturale dei processi cognitivi e la relativa perdita del loro primario carattere immediato, dipendente dalla realtà. Ci troviamo di fronte quindi a un pensiero opposto a quello di Piaget che invece dava importanza ai geni piuttosto che alla cultura. Il linguaggio egocentrico e il linguaggio interiore guidano l’elaborazione di piani per agire nella realtà pratica, fanno sì che l’azione sia governata dall’intenzione e da progetti razionali e perciò sia innalzata a un livello superiore. Parlando, usando parole, il bambino accompagna le sue azioni, le guida, le riorganizza, le pianifica svincolandole dalla realtà, in quanto mentre parla sono le parole la realtà oggettiva di riferimento. Il linguaggio per Vygotskij serve sì per la comunicazione e l’interazione sociale ma è anche strumento interno che guida il pensiero: il linguaggio interiorizzato diventa pensiero. Vygotskij sosteneva che i bambini sviluppano concetti più sistemateci, logici e razionali a seguito del dialogo con un abile interlocutore che li sostiene. La teoria di Vygotskij, dunque, sostiene che le altre persone e il linguaggio giochino un ruolo importante nello sviluppo cognitivo di un bambino. I MEDIATORI SIMBOLICI (ARTEFATTI) → I mediatori simbolici sono sistemi di segni (parole, numeri) appresi non per imitazione o condizionamento, ma come il prodotto dello sviluppo storico culturale, ecco perché sono anche chiamati mediatori culturali (derivano dall’appartenere a una cultura e ne mediano l’acquisizione da parte del singolo). A livello interpersonale regolano le attività sociali, le interazioni, gli scambi; a livello intrapersonale, una volta interiorizzati guidano il pensiero e il comportamento del singolo. ZONA DI SVILUPPO PROSSIMALE → Per Vygotskij lo sviluppo cognitivo ha luogo come risultato dell’interazione del bambino con altre persone più competenti che trasmettono gli strumenti culturali necessari per l’attività intellettuale. Perciò lo sviluppo cognitivo è un’impresa cooperativa tra adulto e bambino e il bambino è una sorta di apprendista che si sviluppa seguendo la guida dell’adulto. La zona di sviluppo prossimale (ZPD), definita anche area di sviluppo potenziale o prossimo, è il termine usato da Vygotskij per riferirsi alla differenza tra il livello di sviluppo effettivo di un individuo, manifestato quando risolve un compito da solo, e il suo livello di sviluppo potenziale che si potrebbe esprimere se il compito fosse risolto con le indicazioni e i suggerimenti di un altro soggetto più competente. Questo partner esperto, che si colloca a un livello di sviluppo superiore, può essere un adulto, un genitore, o un insegnante, ma anche un coetaneo o bambino più grande, che promuove la trasformazione delle potenzialità in capacità effettivamente esibite grazie all’impiego di strumenti culturali. Quindi il limite più basse della ZPD è quello raggiunto dal bambino che lavora da solo, mentre il valore più alto è quello della responsabilità aggiuntiva che il bambino può raggiungere con l’assistenza di una guida abile. Per Vygotskij occorre quindi studiare le abilità cognitive del bambino in modo dinamico, poiché secondo lui esisterebbe un potenziale intellettivo che non viene messo in luce con strumenti di misura tradizionali. Il prossimale mi consente di fare ipotesi evolutive di lavoro. Cosa occorre perché una competenza che oggi si trova nella zona di sviluppo prossimale divenga effettivo? Ci deve essere un passaggio dal sociale al mentale, prima le cose vengono messe in atto grazie ad una situazione sociale poi queste cose arrivano dentro la mia mente e diventano sviluppo effettivo. L’interiorizzazione è quel passaggio che consente il trasferimento di quegli elementi che stano nella zona di sviluppo prossimale alla mia mente. Il primo indicatore che mi indica che questo passaggio è avvenuto è l’autonomia cioè da solo riesco ad attivare quelle abilità, trasferibilità ovvero divento capace di trasferire queste competenze a situazioni nuove e quindi riesco a muovermi in contesti diversi perché ormai sono interiorizzate nella mia mente e infine posso aiutare altri che sono più indietro nelle loro tappe evolutive prestandogli le mie competenze e le mie conoscenze. All’interno della zona di sviluppo prossimale, insegnamento e apprendimento dipendono dall’interazione sociale. Questa interazione è resa possibile dagli artefatti (qualunque prodotto del lavoro umano ed è sempre culturale ovvero porta con sé elementi della cultura) e l’artefatto più importante e potente di cui dispone l’uomo è il linguaggio. ZSP COME INTERAZIONE DI 3 ATTIVITA’ UMANE: o Attività dell’insegnante o Dimensione culturale o Attività del bambino L’intersezione fra questi insiemi è la zona di sviluppo prossimale. La distanza tra il livello di sviluppo così come è determinato da problem-solving autonomo e il livello di sviluppo potenziale così come è determinato attraverso il problem-solving sotto la guida di un adulto o in collaborazione con i propri pari più capaci. L’apprendimento risveglia una varietà di processi evolutivi interni capaci di operare solo quando il bambino sta interagendo con persone del suo ambiente e in cooperazione coi suoi compagni. LA RICERCA DI LURIJA E VYGOTSKIJ → Siamo in Uzbekistan nel 1932 mentre si stava attuando il passaggio delle forme di economia agricola tradizionale a quelle socialiste, accompagnato da profonde trasformazioni La teoria dell’elaborazione delle informazioni analizza come le persone manipolano le informazioni, le monitorano e creano strategie per gestirle. Secondo questa teoria, lo sviluppo cognitivo dei bambini è il risultato delle loro capacità di superare le limitazioni dell’elaborazione attraverso l’incremento dell'esecuzione delle operazioni di base. Alcuni dei concetti tipici di questo campo di studi sono: attenzione, memoria e ragionamento. Secondo la Teoria dell’elaborazione delle informazioni, per risolvere per esempio un’equazione ho: o Processo di selezione delle informazioni; o Attenzione rivolta all’equazione; o Comprensione del linguaggio e delle richieste; o Selezione di informazioni rilevanti; o Memoria di lavoro per trascrivere il testo; o Ragionamento e selezione di procedure esecutive; o Risultato; o Output; EVENTO ESTERNO → ATTENZIONE → CODIFICA → MEMORIA → PENSIERO → OUTPUT La capacità e la velocità di elaborazione aumentano nel corso dell’infanzia e adolescenza. Cambiamenti a livello del cervello forniscono le basi biologiche per i cambiamenti di sviluppo delle capacità cognitive. A livello di capacità, l’aumento si riflette nella capacità dei bambini più grandi di ricordare più dimensioni di un solo argomento contemporaneamente. Il compito sui tempi di reazione è stato spesso usato per determinare la velocità di elaborazione. Quest’ultima continua a migliorare nella prima adolescenza. MECCANISMI DI CAMBIAMENTO (SIGLER, 1963) → Secondo Sigler esistono tre sistemi capaci di generare cambiamenti nelle capacità cognitive dei bambini: o Codifica: processo per il quale le informazioni passano nella memoria. Si impara a codificare informazioni rilevanti e ignorare quelle superflue; o Automatizzazione: la capacità di elaborare informazioni con poco o nessuno sforzo. La pratica permette ai bambini di codificare sempre più informazioni automaticamente; o Costruzione della strategia: la scoperta di nuovi procedimenti per l’elaborazione delle informazioni; Inoltre Siegler sostiene che l’elaborazione di informazioni dei bambini è caratterizzata dall’auto-modifica. I bambini imparano a utilizzare ciò che hanno appreso in circostanze precedenti adattando le loro risposte alla nuova situazione. Parte di questa auto-modifica dipende dalla metacognizione ovvero cognizione della cognizione che significa sapere di sapere. Al contrario della teoria di Piaget, l’approccio dell’elaborazione delle informazioni non pensa che lo sviluppo avvenga in diversi stadi. Piuttosto questa teoria sostiene che gli individui sviluppano conoscenze e abilità sempre più complesse. L’ATTENZIONE → L’attenzione è la messa a fuoco di risorse mentali. Migliora l’elaborazione cognitiva di molti compiti come per esempio afferrare un giocattolo. Sia i bambini sia gli adulti possono prestare attenzione solo ad un numero limitato di informazioni. o Allerta: quantità di attenzione legata alla novità; o Consapevolezza: coscienza ed importanza dello stimolo; o Detenzione: processi di memorizzazione; o Attivazione: percorsi neuronali specifici e sistema di codifica interno; o Orientamento: il corpo si orienta allo stimolo, la coscienza al significato; Ci sono vari tipi di attenzione: l’attenzione sostenuta (vigilanza) è l’abilità di mantenere l’attenzione sullo stimolo selezionato per un prolungato periodo di tempo; l’attenzione selettiva ovvero selezionare un singolo stimolo (interno o esterno) al quale prestare attenzione trascurando il resto; l’attenzione divisa ovvero concentrarsi su più di un’attività o stimolo contemporaneamente e infine l’attenzione esecutiva che implica l’azione di pianificare, distribuire l’attenzione ai diversi obiettivi, monitorare i progressi sui compiti, trattare circostanze nuove o difficili. SVILUPPO DELL’ATTENZIONE: PRIMA INFANZIA→ L’attenzione nel primo anno di vita è dominata da un processo di orientamento. Questo processo implica il dirigere l’attenzione a localizzazioni potenzialmente importanti nell’ambiente e il passare in ricognizione gli oggetti e le loro caratteristiche come colore e forma. Dai 3 ai 9 mesi di età, i bambini possono dispiegare la loro attenzione più flessibilmente e rapidamente. L’abituazione è la diminuzione di una risposta ad uno stimolo dopo ripetute presentazioni dello stesso. Nei bambini piccoli il tempo di attenzione ad uno stimolo diminuisce se lo stimolo è ripetuto più volte. La disabituazione è il recupero della risposta originale dopo un cambiamento di stimolo. L’attenzione degli infanti è governata dalla novità e dall’abituazione, tale per cui quando uno stimolo diventa familiare, l’attenzione diminuisce e i bambini sono più vulnerabili alla distrazione. I ricercatori studiano l’abituazione per determinare come gli infanti possono prestare attenzione a immagini, suoni, odori o contatti fisici ripetuti. Un altro aspetto dell’attenzione che è importante nello sviluppo infantile è l’attenzione congiunta o condivisa in cui individui focalizzano l’attenzione sullo stesso oggetto o evento; richiede l’abilità di identificare la traiettoria del comportamento di un altro, dirigere l’attenzione di una persona e avere un’interazione reciproca. Forme emergenti di attenzione congiunta si presentano tra i 7 e gli 8 mesi, ma non è prima della fine del primo anno che le abilità di attenzione congiunta possono essere osservate frequentemente. L’attenzione congiunta gioca un ruolo importante in molti aspetti dello sviluppo infantile e aumenta in modo considerevole l’abilità del bambino di imparare da altre persone. Uno degli ambiti dello sviluppo in cui è più evidente il ruolo dell’attenzione condivisa messa in atto negli interscambi tra caregiver e bambino, è lo sviluppo del linguaggio. Quando caregiver e bambino si impegnano frequentemente in episodi di attenzione condivisa, gli infanti dicono le loro prime parole più precocemente e sviluppando un vocabolario più ampio. In bambini di 18 mesi l’assenza dell’attenzione congiunta di è dimostrata essere un indicatore chiave di un successivo sviluppo dell’autismo. SECONDA INFANZIA E ADOLESCENZA → L’attenzione dell’infante è correlata allo sviluppo cognitivo nella prima infanzia, ma i cambiamenti più importanti nell’attenzione avvengono durante la seconda infanzia. I bambini in questo periodo fanno progressi soprattutto in due aspetti dell’attenzione: attenzione esecutiva e attenzione sostenuta. Con l’aumento dell’attenzione esecutiva si ha un incremento nelle capacità di autocontrollare l’impegno e lo sforzo sul compito. Anche la comprensione e lo sviluppo del linguaggio traggono beneficio dai miglioramenti dell’attenzione. Alcune strutture neuronali coinvolte nell’attenzione subiscono cambiamenti fino alla pubertà e questo spiega i cambiamenti nella durata attentiva nel corso della seconda infanzia e come mai i bambini piccoli abbiano tempi di attenzione brevi. Generalmente gli adolescenti hanno abilità attentive migliori di quelle dei bambini. L’attenzione sostenuta e l’attenzione esecutiva sono aspetti molto importanti dello sviluppo cognitivo dell’adolescente. Un incremento dell’attenzione esecutiva supporta il rapido incremento di autocontrollo rispetto allo sforzo richiesto in compiti accademici complessi. LA MEMORIA → La memoria è la capacità di trattenere informazioni nel corso del tempo. Ha tre processi fondamentali: la codifica ovvero la capacità di trasferire informazioni nella memoria, l’accumulo o l’immagazzinamento ovvero la capacità di trattenere informazioni nel tempo e il recupero capacità di ricercare ed utilizzo delle informazioni. Vi possono essere mancanze a ciascuno di questi livelli. La memoria a breve termine (MBT) è un sistema di memoria con una limitata capacità di ritenzione delle informazioni (circa 15-30 minuti) a meno che non si adottino delle strategie per ritenerle più a lungo. Il concetto di memoria a breve termine (una sorta di magazzino transitorio di informazioni) è stato sostituito da quello di memoria di lavoro che è un sistema attivo e dinamico molto simile all’hardware del calcolatore. La memoria a breve termine può contenere solo pochi chunk (pezzi) alla volta. Il chunk è un’unità, un blocco di informazioni che riescono ad essere elaborate insieme. Può contenere tante o poche informazioni a seconda di come si opera il chunking, e cioè a seconda di come si impacchettano i dati. Nella MBT si trovano dai 5 ai 9 elementi. La memoria a lungo termine (MLT), invece, è un tipo di memoria relativamente permanente ed “illimitata”. Contiene anche gli schemi e i concetti complessi appresi dunque i mattoni della nostra intelligenza. Secondo il modello di Baddeley della working memory, questa è una sorta di “banco di lavoro” mentale dove gli individui manipolano e assemblano le informazioni mentre prendono decisioni, risolvono problemi e comprendono il linguaggio orale o scritto. La working memory è formata da tre elementi: il loop fonologico e il taccuino visuo-spaziale si comportano da assistenti, aiutando il sistema esecutivo centrale a eseguire il suo compito. Il taccuino visuo-spaziale serve a trattenere le informazioni ricevute per mezzo del canale visivo, mentre la memoria fonologica è specializzata nelle informazioni raccolte per mezze del canale uditivo. È compito dell’esecutivo centrale, che corrisponde al sistema centrale di controllo consapevole, monitorare e controllare il sistema, cioè decidere quali informazioni sono immagazzinate, mettere in relazione le informazioni della memoria a lungo termine con quelle della memoria a breve termine e spostare le informazioni nella memoria a lungo termine. Il sistema esecutivo centrale ha anche il compito di attuare delle procedure per mantenere più a lungo le informazioni nella memoria a breve termine. Una di queste, per esempio è la ripetizione. LA COSTRUZIONE DEI RICORDI → Secondo la teoria degli schemi le persone “modellano” le informazioni in modo che queste calzino con le informazioni già presenti nella loro mente. Questo processo è guidato da degli schemi, ossia una struttura mentale che organizza concetti e informazioni. Gli schemi quindi influiscono sul nostro modo di codificare, dedurre e recuperare le informazioni. Gli schemi sono legati alla cultura. I ricordi dell’uomo vengono continuamente costruiti e ricostruiti. La teoria della traccia debole sostiene che quando si codificano le informazioni si creano due tipi di rappresentazioni mnemoniche: tracce verbatim composta da dettagli precisi (“quantitativa”) e tracce fuzzy (sfuocate) che si riferiscono all’idea centrale dell’evento (“qualitativa”). Per questo tali tracce sono anche chiamate gist e cioè il succo centrale dell’evento. Secondo Brainerd e Reyna, i bambini in età scolare che utilizzano la memoria gist hanno una memoria migliore perché i ricordi basati sulle tracce sfocate sono meno facilmente dimenticabili rispetto ai ricordi basati sulle tracce verbatim. I bambini prescolari, quindi, ricordano di meno un evento perché da una parte hanno difficoltà a esternare il succo centrale e dall’altra ricordano più aspetti verbali che decadono rapidamente, occorre tener conto quando i bambini sono chiamati a ricordare un evento in quanto testimoni. CONTENUTO DI CONOSCENZE ED EXPERTISE → La capacità di ricordare nuove informazioni dipende molto dalle nostre conoscenze pregresse in un dato settore. Gli esperti dimostrano una memoria incredibile nella loro area di expertise. L’expertise ha a che fare con la costruzione di una conoscenza particolarmente estesa e approfondita relativamente ad uno specifico argomento o dominio. MEMORIA IMPLICITA E MEMORIA ESPLICITA → La memoria implicita (non dichiarativa) è priva di una ricostruzione conscia; si tratta delle memorie di capacità o procedimenti routinari che vengono eseguiti automaticamente (per esempio andare in bicicletta); La memoria esplicita (dichiarativa) si riferisce alla memoria consapevole di fatti ed esperienza. È definita dichiarativa perché so manifesta con ricordi risultato - che sono importanti per mettere in atto un comportamento flessibile e orientato al futuro. Mediante l’acquisizione di queste capacità i bambini imparano a inibire le risposte immediate e pianificare e indirizzare il pensiero. Le funzioni esecutive implicano la gestione dei propri pensieri per impegnarsi in un comportamento diretto agli obiettivi e per esercitare l’autocontrollo. Nella prima infanzia le funzioni esecutive riguardano in particolare i progressi nell’inibizione cognitiva, nella flessibilità cognitiva (come spostare l’attenzione su un altro oggetto o argomento), nella definizione degli obiettivi (come condividere un giocattolo) e nel ritardo della gratificazione. Durante la prima infanzia, il bambino relativamente stimolato vene trasformato in un bambino capace di un problem solving flessibile e mirato caratteristico del funzionamento esecutivo. IL PENSIERO CRITICO → Quando si parla di pensiero critico si intende pensare riflessivamente e produttivamente e valutare le prove (non le apparenze) dei fatti. Ellen Langer ritiene che un importante aspetto del pensiero critico sia la mindfulness e cioè l’essere cognitivamente flessibili e consapevoli dei propri pensieri, delle azioni, delle motivazioni, mentre di svolgono le attività e i compiti della vita di ogni giorno. Gli individui mindful creano nuove idee, sono aperti a nuove informazioni e possono agire sulla base di più di una prospettiva. Al contrario gli individui con basse capacità di mindful (mindless) sono intrappolati nelle loro idee, intraprendono automaticamente i loro comportamenti sempre uguali e agiscono in base a una sola prospettiva. Poche scuole insegnano agli studenti a pensare in modo critico, piuttosto si spinge perché venga data una sola risposta corretta invece che incoraggiarli a trovare nuove idee e ripensare le conclusioni. Uno dei modi per incoraggiare gli studenti a pensare in modo critico è quello di presentare loro degli argomenti contradditori oppure due spiegazioni di una stessa questione da esaminare. IL PENSIERO SCIENTIFICO → Il pensiero scientifico mira ad individuare relazioni di tipo causale. La comprensione infantile delle cause degli eventi si basa molto di più su supposizioni personali ed impressioni percettive. A differenza degli scienziati i bambini sono più influenzati da eventi causali e mantengono le loro convinzioni anche a fronte di prove contrarie. I bambini inoltre incontrano difficoltà nella progettazione di esperimenti che indagano tra possibili cause alternative. Come aiutare i bambini nel problem solving? o Delineare la strategia appropriata; o Verbalizzare procedimenti; o Guidare i bambini nel perseguirle attraverso la pratica; La maggior parte dei bambini trae beneficio dall’utilizzo di una varietà di strategie alternative e dalla sperimentazione di diversi approcci a un problema; in questi modi scoprono cosa funziona meglio, quando e dove. La chiave dell’educazione è aiutare gli studenti a imparare un ricco repertorio di strategie per la risoluzione dei problemi. Pressley ritiene che quando ai bambini vengono date istruzioni rispetto a strategie efficace, spesso riescono a utilizzare strategie mai usate da soli fino a quel momento. Per adottare efficacemente una strategia è necessario che venga depositata nella memoria a lungo termine e che ne sia fatta molta pratica. Per un effettivo mantenimento e applicazione, i bambini dovrebbero essere incoraggiati a osservare l’efficacia della nuova strategia confrontando la loro stessa prestazione in esami e altri compiti. IL PENSIERO IN ADOLESCENZA → Due aspetti importanti del pensiero in adolescenza sono il pensiero critico e la presa di decisioni. Ciononostante non sempre gli adolescenti manifestano questi importanti progressi cognitivi nei contesti del mondo reale, specialmente nelle situazioni intense dal punto di vista emotivo oppure in presenza d pressioni di parte dei pari. Il pensiero critico misura se nell’infanzia si sviluppa una solida base di capacità fondamentali. Durante l’adolescenza c’è un aumento nella velocità, nell’automaticità e nella capacità di elaborazione delle informazioni, una maggiore conoscenza di diversi argomenti e in una varietà di domini, uso maggiore e spontaneo delle strategie, maggiore considerazione delle alternative e monitoraggio cognitivo. Aumenta anche la volontà e la capacità di prendere decisioni. Gli adolescenti si formano delle opinioni, esaminano le situazioni da diversi punti di vista, anticipano le conseguenze, considerano la credibilità delle fonti. Le emozioni dell’adolescente potrebbero anche soffocarne la capacità di prendere una decisione. LE MACCHINE BANALI → Von Foerster (1987) definisce macchina banale ogni entità (meccanica o astratta) che sia caratterizzata da una relazione univoca tra il suo input (stimolo, causa, dato) e il suo output (risposta, effetto, risultato). È questa relazione invariabile a costruire “la macchina”. La relazione causa- effetto in una macchina banale è determinata una volta per tutte. In una macchina non banale invece l’output dipende da una combinazione degli output precedenti, dell’input attuale e dello stato interno della macchina stessa, che può variare. La macchina non banale è retroattiva: ogni nuova relazione è determinata dai passi compiuti in precedenza. Il cervello umano è un tipico esempio di macchina non banale. Il suo output, la sua risposta è determinata da un intreccio molto complesso di risultati precedenti (i miei apprendimenti passati) con lo stato interno (chimico, fisico ed emotivo) della macchina stessa. Di fronte allo stesso stimolo la mia risposta può essere diversa. LA METACOGNIZIONE IN BAMBINI E ADOLESCENTI → La metacognizione è la cognizione della cognizione, ossia “sapere di sapere”. È una funzione dell’esecutivo centrale. Entro i 5-6 anni i bambini sanno che concetti familiari sono più facili da apprendere rispetto a concetti non familiari, elenchi brevi sono più facili di lunghi elenchi, il riconoscimento è più facile del ricordo, e dimenticare diventa più facile col passare del tempo. Entro il quinto anno di scuola si comprende che ricordare il contenuto è più facile della ripetizione. Entro i 7-8 anni cominciano ad apprezzare l’importanza dei sistemi per sostenere la memoria. Per apprendimento auto-regolato si intende un’auto-generazione e auto-monitoraggio di pensieri, sentimenti e comportamenti intrapresi per raggiungere un obiettivo. Gli adolescenti sono più abili dei bambini nel gestire e monitorare le loro attività di pensiero. Gli adolescenti hanno un miglior meta-livello di comprensione delle strategie, cioè hanno la capacità di riconoscere la miglior strategia da utilizzare e il momento in cui utilizzarla. Inoltre sono più introspettivi, possono valutare i propri pensieri e le proprie emozioni per riuscire al meglio nelle prestazioni di apprendimento. LA TEORIA DELLA MENTE → La teoria della mente si riferisce alla consapevolezza dei propri processi mentali, di quelli degli altri e la capacità di distinguerli. Insieme complesso di competenze che permette di attribuire stati interni quali credenze, emozioni, desideri, intenzioni, pensieri o conoscenze, a sé stessi e agli altri, sulla base dei quali è possibile interpretare e prevedere il comportamento proprio e altrui (compito della falsa credenza). La teoria della mente è un’abilità che tutti noi usiamo quotidianamente quando ci rapportiamo con gli altri: la cosiddetta psicologia del senso comune o psicologia intuitiva che consiste appunto nella tendenza dell’essere umano a spiegare le interazioni quotidiane, piuttosto che in termini di comportamenti osservabili, facendo riferimento agli stati interni che le hanno determinate. Il compito della falsa credenza è un paradigma sperimentale usato allo scopo di verificare le capacità dei bambini di attribuire agli altri stati interni e, perciò, di avere una teoria della mente.si definisce compito di falsa credenza di primo ordine poiché implica solamente la capacità di attribuire a un’altra persona uno stato mentale al contrario dei più complessi compiti di falsa credenza di secondo ordine che richiedono la comprensione delle credenze sulle credenze (compito di falsa credenza di Sally e Ann). Mentre i compiti di primo ordine corrispondono a un livello di età mentale di 3-4 anni, i compiti di secondo ordine non vengono risolti prima dei 6-7 anni. I PRECURSORI DELLA TEORIA DELLA MENTE → Molti studiosi si sono occupati di indagare quali elementi potessero essere considerati degli indicatori precoci della comparsa di una teoria della mente. I precursori più studiati sono: o L’attenzione condivisa ovvero quel meccanismo che consente di capire se il bambino e un’altra persona stanno osservando lo stesso oggetto, focalizzando entrambi l’attenzione su di esso. Le esperienze di attenzione condivisa implicano che il bambino si renda conto del fatto che una persona può comunicare con un’altra persona attraverso dei segnali, che nel caso specifico sono rappresentati dallo sguardo diretto verso lo stesso oggetto, oppure da particolari gesti, quali il protendere la mano nel tentativo di raggiungere un oggetto o il gesto di indicazione con funzione richiestiva di cui il bambino si serve per ottenere l’oggetto desiderato attraverso l’adulto. La relazione da diadica diventa triadica (bambino-madre-oggetto), compaiono le triangolazioni (il bambino guarda un oggetto perché lo guarda la madre). o La comunicazione intenzionale: Il gesto di indicazione rappresenta una delle prime forme di comunicazione intenzionale. Il gesto di indicazione dichiarativo può essere considerato un precursore della comparsa della teoria della mente perché per rivolgere una richiesta comunicativa è necessario che il bambino sia in grado di rappresentare l’adulto come dotato di stati mentali influenzabili e capace di comprendere gli stati mentali altrui. o L’imitazione e il gioco simbolico: i giochi di imitazione dipendono dal fatto che i bambini percepiscono una somiglianza tra sé stessi e le altre persone, e per questo tendono a comportarsi in modo simile. I giochi di finzione fanno la loro comparsa piuttosto presto, e i bambini già intorno ai 15-16 mesi mostrano di avere delle capacità elementari relative al “gioco del far finta”, per esempio bere un bicchiere vuoto. Tra 2-3 anni i bambini cominciano a comprendere tre stati mentali: percezione, desideri ed emozioni. Tra 4- 5 anni i bambini cominciano a capire che la mente può rappresentare gli oggetti e gli eventi in modo dettagliato o impreciso. Nella seconda infanzia o fanciullezza i bambini concepiscono la mente con un’attività costruttrice di conoscenza o centro di elaborazione. Comprendono il concetto di soggettività ed interpretazione: capiscono che lo stesso evento può essere interpretato in modi diversi da persone diverse. AUTISMO E TEORIA DELLA MENTE → I bambini con autismo mostrano un certo numero di comportamenti differenti dai bambini della loro età, soprattutto nella sfera dell’interazione sociale e della comunicazione, oltre a comportamenti stereotipati. Il Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM-5) inserisce l’autismo tra i disturbi del neuro sviluppo e lo definisce nei termini di Disturbi dello Spettro Autistico a indicare una classe di disturbi caratterizzata a livello clinico da anormalità nella reciprocità sociale, nella comunicazione non-verbale, da aderenza rigida e inflessibile a comportamenti e modalità di pensiero ripetitive e ristrette. La disabilità intellettiva è presente in alcuni bambini con autismo ma non in tutti. Molto frequenti sono disturbi del linguaggio e a esserne colpiti sono soprattutto i maschi. Le cause dell’autismo sono a tutt’oggi sconosciute, perché per le loro caratteristiche questi disturbi chiamano in causa la complessa rete di relazioni tra mente e cervello. In base alle attuali conoscenze, l’autismo è una patologia con un elevato tasso di ereditabilità e con una significativa concordanza nei gemelli monozigoti. Uno studio recente ha rivelato che una mutazione del cromosoma 16 può aumentare il rischio di sviluppare i disturbi autistici. I bambini con autismo mostrano un deficit importante a lungo termine nello sviluppo di tutte le abilità sociali, di natura verbale e non verbale, che non si sviluppano tipicamente sino al raggiungimento di un’età mentale compresa tra i 17 e i 30 mesi e che rappresentano i precursori della teoria della mente. In questi bambini le atipicità presenti oltre che noi compiti di teoria della mente anche in quelli relativi ad altri ambiti cognitivi, come quelli delle funzioni esecutive, suggeriscono l’eventualità di uno sviluppo dominato da meccanismi generali. Un’ipotesi suggestiva è che i bambini con autismo non sviluppano affatto o sviluppano in modo assai anomalo la loro teoria della mente. Il bambino autistico sarebbe “mentalmente cieco”, incapace di comprendere e riflette sugli stati mentali, sia propri che degli altri. CAPITOLO 7 → APPROCCIO PSICOMETRICO I test d’intelligenza sono soggetti a bias culturali e cioè a errori sistematici e costanti, dovuti alle diversità tra la “cultura del soggetto” e la “cultura del test”. Il bias culturale si manifesta sia nel confronto fra soggetti di culture diverse, sia fra membri di uno stesso contesto appartenenti a diverse sub-culture. Per ovviare al problema dei bias culturali si possono usare test culture-free, liberi da influenze culturali perché costituiti solo da prove non verbali, oppure test culture-fair. MISURARE L’INTELLIGENZA NEI BAMBINI → Arnold Gesell (1934) creò un metodo di misurazione che aiutava a distinguere bambini “normali” (bambini a sviluppo tipico) da quelli potenzialmente “anormali” (bambini con sviluppo atipico). Il quoziente di sviluppo (QS) è un risultato unico di sviluppo che assembla risultati ottenuti nelle categorie motoria, linguistica, di adattamento e personale sociale nel test di valutazione infantile di Gesell. Le scale dello sviluppo infantile di Bayley (1969, 1999) sono state sviluppate per valutare il comportamento dell’infante e predire lo sviluppo successivo. È la valutazione di bambini da 1 a 42 mesi di vita per diagnosticare ritardi nello sviluppo e pianificare strategie di intervento. Le scale hanno tre componenti: una Scale Mentale, una Scala Motoria e il Profilo Comportamentale del Bambino. I risultati generali non hanno correlazioni significative con risultati di QI ottenuti nella seconda infanzia Test d’intelligenza infantile di Fagan (1992) si concentra sulla precoce capacità di elaborazione delle informazioni dei bambini. Elicita risposte simili in bambini di culture diverse. Correla con la misurazione di intelligenza in bambini più grandi. Comprova che i gradi di abituazione e disabituazione influiscono sull’intelligenza futura. L’INTELLIGENZA È STABILE?? SI E NO → Esiste una forte correlazione tra risultati di QI ottenuti alle età di 6, 8 e 9 anni e i valori raggiunti a 10 anni in (studi longitudinali con gruppi di bambini). Studi longitudinali individuali: l’intelligenza di 1 bambino su tre variava di 40 punti durante il periodo di sviluppo. RITARDO MENTALE → Il ritardo mentale è una condizione di limitata capacità mentale per cui l’individuo ha un valore di QI basso, solitamente al di sotto di 70, ha difficoltà di adattamento nella vita di tutti i giorni e comincia a mostrare queste caratteristiche entro i 18 anni perché questo ritardo è facilmente rilevabile da profonde difficoltà a livello scolastico. Alcuni casi di ritardo mentale hanno cause di tipo organico (ad esempio genetico) altri casi hanno un’origine socio-culturale familiare. La scala del Q.I. in età evolutiva: o Normale: tra 85 e 105 o Funzionamento intellettivo limite: da 84 a 71 o Ritardo mentale lieve: da 70 a 51 o Ritardo mentale moderato: da 50 a 36 o Ritardo mentale grave: da 35 a 20 o Ritardo mentale gravissimo: < 20 I bambini plus-dotati hanno un QI molto al di sopra della media (superiore a 130 o 140, cioè il 2% oppure lo 0,5 % di una popolazione normale). Sono dotate di talento particolare in uno specifico campo, come ad esempio la musica o la matematica. La plus dotazione è stata inserita da poco all’interno dei bisogni educativi speciali (BES). LA CREATIVITA’ → La creatività richiede ciò che Guilford (1967) ha definito il pensiero divergente. Il pensiero divergente è un pensiero che produce diverse risposte allo stesso problema ed è caratteristico della creatività. Il pensiero convergente, invece, è un pensiero che produce una risposta corretta ed è caratteristico del tipo di pensiero richiesto dai test d’intelligenza convenzionali. È importante ricordare che i test del QI non riconoscono la creatività. Maschi e femmine differiscono in specifiche abilità intellettuali: i punteggi dei maschi sono migliori di quelli delle femmine in alcune aree non verbali, mentre i punteggi delle femmine sono più alti in alcune aree verbali. CAPITOLO 8 → LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO Il linguaggio è una forma di comunicazione, parlata, scritta o a gesti, basata su un sistema di simboli. Consiste in parole usate da una data comunità e nelle regole per modificarle e combinarle tra loro. Il linguaggio non serve solo a comunicare ma anche a pensare e ragionare. Tutti i linguaggi umani hanno caratteristiche comuni, tra lui le regole della generatività e dell’organizzazione. La generatività infinita è la capacità di produrre un numero infinito di frasi di senso compiuto a partire da un numero infinito di parole e regole. Quando si parla di “regole” intendiamo che il linguaggio è un sistema ordinato e coerente che combina le parole in base a regole specifiche e le regole semplicemente descrivono il modo in cui questo sistema funziona. SISTEMI DI REGOLE DEL LINGUAGGIO: o FONOLOGIA → La fonologia è il sistema dei suoni di una lingua, cioè i tipi di suoni esistenti e le loro possibili combinazioni. La fonologia però non studia i suoni dal punto di vista delle loro caratteristiche fisiche, ma per la funzione che hanno all’interno del sistema linguistico. Contiene le regole fonotattiche, ossia regole che governano le combinazioni dei suoni che possono occorrere in sequenze all’interno di una parola e le restrizioni presenti all’interno del sistema linguistico in questione. o MORFOLOGIA → La morfologia è quella parte della linguistica che studia la struttura delle parole, i loro cambiamenti di forma e i loro processi di formazione, per cui il suo oggetto di studio è l’insieme delle unità di significato implicate nella formazione della parola. Un morfema è un’unità minima dotata di significato; è una parola, o una parte di una parola, che non può essere suddivisa in parti significanti più piccole. o SINTASSI → La sintassi è il modo in cui le parole sono combinate tra loro per ottenere frasi e sintagmi accettabili. A partire dalla conoscenza sintattica che abbiamo, riconosciamo quando una frase è corretta grammaticamente e quando è inaccettabile e ambigua. o SEMANTICA → La semantica fa riferimento al significato di parole e frasi e alla corrispondenza tra parole e significati. Ogni parola ha una serie di caratteristiche semantiche o di attributi legati al significato. o PRAGMATICA → La pragmatica fa riferimento all’uso appropriato del linguaggio in contesti diversi. Comprende aspetti diversi. Quando ci si dà il cambio di turno nel parlare in una discussione o si usa una domanda per comunicare in ordine si mostra una conoscenza pragmatica. COME SI SVILUPPA IL LINGUAGGIO? → I bambini producono attivamente suoni fin dalla nascita. L’obbiettivo di queste prime forme di comunicazione è quello di attirare l’attenzione di chi si prende cura di loro e di chi li circonda. I vocalizzi dei bambini seguono questa sequenza durante il primo anno di vita.  Piangere  Tubare  Babbling o lallazione (a metà del primo anno di vita i bambini cominciano a balbettare, combinando tra loro sequenze di vocali e consonati) Le vocalizzazioni comprendono una varietà di suoni che non hanno struttura propria del linguaggio e interlocuzioni che non assolvono alcuna funzione linguistica precisa. Nelle prime due/ tre settimane dopo la nascita, il bambino produce solo suoni di natura vegetativa e suoni legati al pianto. Gradualmente questi suoni, definiti pre pianto, si staccano dal loro contesto originario e iniziano ad essere prodotti dal bambino quando è in uno stato di calma o di benessere: si parla di vocalizzazioni non di pianto per definire le situazioni in cui il bambino inizia a giocare coi suoni ripetendoli in modo sistematico. Tra i 2 e 3 mesi compaiono le imitazioni vocaliche nelle situazioni interattive diadiche, cioè i suoni del bambino si inseriscono tra i turni verbali del genitore, come se il bambino rispondesse vocalizzando al genitore che gli parla. Il termine lallazione indica la sequenza di sillabe, consonati e vocali, ripetute due o più volte che il bambino comincia a produrre a circa 4-6 mesi di vita. In termini evolutivi si distingue una lallazione canonica o reduplicata consistente nella ripetizione di sequenze consonante-vocale semplici o ripetute e lallazione variata e cioè la produzione di sequenze di sillabe via via più lunghe e complesse che incorporano consonanti diverse. Gli infanti cominciano ad usare i gesti, per esempio mostrare o indicare, a circa 8-10 mesi. Si definiscono gesti comunicativi tutte le azioni corporee che, a differenza di altri comportamenti gestuali che il bambino produce nello stesso periodo, hanno le seguenti caratteristiche: sono usate con intenzione comunicativa, sono convenzionali, si riferiscono a un oggetto o evento esterno. All’inizio vengono prodotti gesti definiti gesti performativi o deittici che esprimono l’intenzione comunicativa del bambino e che li usa per riferirsi a oggetti/eventi esterni, mentre il referente di tale comunicazione è dato interamente dal contesto in cui è inserito. Si tratta fondamentalmente di tre gesti: indicare, mostrare e richiedere. Negli ultimi anni, la letteratura si è soffermata in particolare sul gesto di indicazione (pointing). Per Vygotskij il pointing può avere un’origine strumentale, può cioè derivare da un’abbreviazione del gesto di afferrare che riceve un cambiamento di significato a causa dell’interpretazione che riceve dall’ambiente sociale. Altri gesti ( gesti simbolici, referenziali, rappresentativi o iconici) compaiono fra i 12 e i 18 mesi. Questi hanno un referente specifico indipendente dal contesto: rappresentano azioni che si compiono su un oggetto o azioni che il bambino compie sul proprio corpo. Contemporaneamente alla produzione di questi gesti, compaiono anche le prime parole, cosicché a 16 mesi il numero di gesti e di parole è circa lo stesso, ma, man mano che il linguaggio verbale si consolida e si raggiungono le 50 parole, l’uso dei gesti referenziali diminuisce gradualmente fino a scomparire. ATTENZIONE CONDIVISA → L’attenzione condivisa o congiunta è il fenomeno in base al quale il bambino e l’adulto “condividono l’attenzione”, cioè guardano lo stesso oggetto/evento esterno alla diade e, allo stesso tempo, mantengono un coinvolgimento sociale reciproco. Gli episodi di attenzione condivisa diventano frequenti a partire da 6 mesi di vita, quando il bambino inizia a guardare alternativamente l’adulto e l’oggetto esterno e l’interazione da diadica diventa triadica. RICONOSCIMENTO DEI SUONI DEL LINGUAGGIO → Molto prima di imparare le parole, i bambini possono operare raffinate distinzioni tra i suoni di una lingua. Hulk analizzò il modo in cui gli infanti percepiscono i suoni del linguaggio tramite un esperimento durante il quale sottoponeva i bambini all’ascolto di fonemi pronunciati da speaker di lingue da tutto il mondo. La ricerca di Hulk ha dimostrato che dalla nascita fino ai 6 mesi di vita i bambini riconoscono i cambiamenti di suono la maggior parte delle volte, a prescindere dalla lingua di provenienza dei suoni. Nel corso dei successivi 6 mesi di vita, i bambini migliorano la propria percezione dei cambiamenti di suono della loro “propria” lingua, quella parlata dai loro genitori e gradualmente perdono la capacità di riconoscimento dei cambiamenti di suono che non esistono nella loro madrelingua. Inoltre l’ambiente linguistico orienta in modo selettivo le disposizioni innate del neonato; da un lato, restringendo il suo orizzonte percettivo iniziale con eventuali disattivazioni di abilità; dall’altro, accentuando e affinando specifiche capacità discriminative, in modo coerente e uniforme con la comunicazione verbale della propria comunità culturale. lingua, perciò, cambia tra adulti e bambino: i bambini sono meno sensibili al feedback, meno propensi a utilizzare strategie esplicite e più inclini ad apprendere una seconda lingua da una grande varietà di input. ADOLESCENZA → Lo sviluppo linguistico durante l’adolescenza include una più alta raffinatezza nell’uso delle parole. Sviluppando il pensiero astratto, gli adolescenti diventano molto più bravi dei bambini nell’analisi della funzione delle parole nelle frasi. Gli adolescenti, inoltre, sviluppano capacità più raffinate nell’uso delle parole e nella comprensione del linguaggio figurato come le metafore. In termini di scrittura, sono più abili nell’organizzazione delle idee prima di scrivere e nella distinzione tra elementi generale e specifici mentre scrivono, ma anche a legare tra loro frasi che insieme hanno un senso e a organizzare la scrittura nella struttura diversificata di introduzione, corpo del testo e conclusione. FATTORI BIOLOGICI E AMBIENTALI → Vi è la dimostrazione del fatto che specifiche zone del cervello sono predisposte per essere usate dal linguaggio. Queste prove derivano da studi compiuti su persone soggette a danni cerebrali che rivelarono due principali zone di interesse: l’area di Broca e l’area di Wernicke. L’ area di Broca è una zona situata nel lobo frontale sinistro del cervello che controlla il movimento muscolare coinvolto nell’articolazione e nei processi grammaticali. L’area di Wernicke è una zona dell’emisfero sinistro del cervello del lobo temporale coinvolto nella comprensione del linguaggio. Danni a una di queste aree provocano un tipo di afasia, che rappresenta una perdita delle capacità di elaborare le informazioni linguistiche. Le persone con danni all’area di Broca hanno difficoltà nel produrre le parole correttamente, mentre gli individui che presentano un danno nell’area di Wernicke spesso producono un linguaggio scorrevole ma incomprensibile e hanno difficoltà nella comprensione delle parole. Il linguista Chomsky sosteneva che gli esseri umani sono biologicamente predisposti per imparare il linguaggio in un determinato momento e modo nel corso della loro vita. Secondo Chomsky i bambini vengono al mondo dotati del dispositivo di acquisizione del linguaggio (LAD), cioè un dispositivo innato, una dotazione biologica dell’uomo che permette al bambino di acquisire le caratteristiche e le regole del linguaggio, incluse la fonologia, la sintassi e la semantica. Il LAD presiede allo sviluppo del linguaggio e a partire dal numero limitato di principi contenuti nella grammatica universale, guida il bambino nell’elaborazione e nella verifica di ipotesi sulla forma che il linguaggio può assumere nella propria lingua madre. Questo dispositivo agisce in modo autonomo e indipendente dallo sviluppo contemporaneo delle altre capacità di natura cognitiva dell’individuo. I bambini sono quindi già preparati dalla natura a distinguere i suoni del linguaggio. Il LAD di Chomsky è un concetto teorico, non è una parte individuata nel cervello. Esiste prova dell’esistenza del LAD? I sostenitori di questa tesi citano a riprova dell’esistenza del LAD l’uniformità delle tappe di sviluppo del linguaggio in lingue culture diverse, prove del fatto che i bambini creano il linguaggio anche in assenza di chiari input o di un sostegno biologico linguistico. I comportamentisti pensavano che il linguaggio fosse composto da catene di risposte acquisite attraverso meccanismi di rinforzamento. Secondo loro il linguaggio è una capacità acquisita complessa, tanto quanto suonare il pianoforte o ballare. Questo approccio ha però vari punti problematici. Per prima cosa esistono prove che i bambini imparano la sintassi della loro madrelingua anche se non vengono rinforzati nel farlo. Secondariamente, la teoria comportamentista non riesce a spiegare il grande ordine tipico del linguaggio. Il momento in cui i bambini apprendono un determinato aspetto del linguaggio, secondo questa prospettiva, dovrebbe dipendere dal fatto che i genitori o altri adulti abbiano fornito loro ricompense o punizioni per espressioni da loro pronunciate. Però, alcuni studiosi hanno fatto notare che non sempre i genitori rinforzano le produzioni corrette dei loro bambini. Molti genitori rinforzano, non correggendoli, enunciati scorretti prodotti dai loro figli. La prospettica comportamentista non è più considerata una possibile spiegazione di come i bambini acquisiscono il linguaggio. Le influenze dell’ambiente circostante sono evidenti nelle differenze di sviluppo linguistico di bambini esposti o meno a diversi ambienti linguistici familiari. Il discorso rivolto al bambino è quella lingua parlata con toni più alti del normale e con parole e frasi semplici. Gran parte di questo meccanismo è del tutto automatico e molti genitori non se ne accorgono neppure. Questo tipo di discorso ha la funzione di catturare l’attenzione del bambino e mantenere la comunicazione. La prospettiva interazionista sostiene che biologia ed esperienza contribuiscano entrambe allo sviluppo linguistico. Questa interazione di biologia ed esperienza può essere vista nelle variazioni nell’acquisizione del linguaggio. I bambini variano nella loro abilità di acquisire il linguaggio e questa variazione non può essere spiegata unicamente sulla base delle differenze negli input ambientali. Lo psicologo Bruner suggerisce che il contesto socio-culturale sia estremamente importante nella comprensione dello sviluppo linguistico del bambino. Lo psicologo sottolinea il ruolo dei genitori e degli insegnanti nella costruzione di ciò che egli chiama il sistema di supporto per l’acquisizione del linguaggio (LASS). Il concetto di LASS si riferisce all’insieme degli scambi sociali e comunicativi, che è concettualizzato da Bruner come motore sia dello sviluppo linguistico sia della struttura di pensiero che va sotto il nome di pensiero narrativo. Lo sviluppo del linguaggio, secondo questa tesi, è quindi un processo a basi neurologiche, dinamico e mediato da interazioni sociali e comunicative di routine. Le interazioni con le altre persone di cui Chomsky aveva negato l’importanza, qui diventano veri e propri precursori interattivi del linguaggio. CAPITOLO 9 → LO SVILUPPO EMOTIVO ED AFFETTIVO L’emozione è un sentimento, uno stato affettivo che si presenta quando una persona si trova nel corso di un evento, di un’interazione che riveste una particolare importanza, specialmente per il suo benessere. La presenza di un’emozione è rivelata della manifestazione del comportamento esteriore, che riflette il piacere o il dispiacere dello stato d’animo o del momento che la persona sta vivendo, ma le componenti che definiscono l’emozioni non sono tutte oggettive e tangibili. Le emozioni vanno distinte dagli stati d’animo, in quanto questi ultimi non sempre seguono eventi precisi e corrispondono a un umore diffuso, ci cui si ha una consapevolezza più sfuocata e imprecisa, generalmente non accompagnato da modificazioni fisiologiche. Esistono varie tipologie di emozioni: o Emozioni positive come entusiasmo, gioia e amore; o Emozioni negative come ansia, rabbia, senso di colpa e tristezza; Le emozioni sono influenzate dalla base biologica e dall’esperienza. Darwin (1872) sosteneva che le espressioni facciali delle emozioni negli umani sono innate, non apprese, universali e uguali in tutte le culture del mondo; esse hanno una base evoluzionistica, cioè servono alla sopravvivenza dell’individuo e della specie e si sono evolute dalle emozioni degli animali. Tutte le emozioni sono parte naturale dell’uomo e sono parimenti utili per lo sviluppo. Le emozioni sono collegate con le regioni del sistema nervoso umano. La capacità degli infanti di mostrare angoscia, eccitazione e rabbia riflette la comparsa precoce di questi sistemi cerebrali emozionali biologicamente radicati. Progressi significativi nelle risposte emotive dei bambini si verificano durante l’infanzia e l’età prescolare come il risultato di cambiamenti nei sistemi neurobiologici che possono esercitare un controllo sul più primitivo sistema limbico. Man mano che i bambini si sviluppano, la maturazione della corteccia cerebrale permette un decremento dei cambiamenti dell’umore imprevedibili e un incremento dell’autoregolazione delle emozioni. Durante l’adolescenza, però, i cambiamenti d’umore tornano ad aumentare per effetto dello sviluppo dell’amigdala (che è coinvolta nei processi emozionali) e del protratto sviluppo della corteccia frontale (che è fortemente coinvolta nel ragionamento e nei processi di autoregolazione). EMOZIONI TRA BIOLOGIA E CULTURA → Si ritiene che le emozioni “fondamentali” abbiano una base biologica; la regolazione e l’espressione delle emozioni sono modellate da caregivers e fattori culturali. I caregiver giocano un ruolo importante nella regolazione delle emozioni del bambino. D’altra parte i genitori sono anche portatori di valori culturali che trasmettono ai loro figli nel corso delle interazioni, facendo così in modo che nelle emozioni dei bambini fattori biologici e culturali compenetrino gli uni negli altri. Le regole di espressione (display rules) e anche gli stimoli capaci di scatenare determinate emozioni sono dettate dalla cultura. La cultura è molto più importante di quello che si pensa perché essa influenza sia il modo di esprimere l’emozione che quello di riconoscerla. L’APPROCCIO FUNZIONALISTA DELL’EMOZIONE → Per l’approccio funzionalista le emozioni sono fenomeni relazionali piuttosto che strettamente interni e intrapsichici. La loro analisi va svolta assieme al contesto che le ha causate. L’espressione emotiva segnala agli altri come ci si sente e regola il comportamento di ognuno rispetto a sé stesso. COMPETENZA EMOTIVA → La competenza emotiva si riferisce all’abilità di affrontare in maniera funzionale le proprie emozioni e quelle degli altri nell’ambito della vita quotidiana, mantenendo o modificando in modo adeguato e socialmente appropriato gli scambi con l’ambiente. L’adeguatezza dell’intervento sulle emozioni proprie e altrui è prima di tutto determinata dalla cultura: a seconda del contesto culturale in cui ci si trova, una determinata manifestazione emotiva può essere più o meno adeguata. Carolyn Saarni ritiene che per diventare emotivamente competenti sia necessario sviluppare un certo numero di abilità in contesti sociali. Queste abilità della competenza emotiva definiscono le componenti ma non è detto che siano tutte presenti contemporaneamente: si può raggiungere la competenza in una componente e non in un’altra e ciascuna si sviluppa indipendentemente dalle altre. Man mano che i bambini acquisiscono queste abilità nei vari contesti, possono gestire con efficacia le loro emozioni, diventare più resilienti nel far fronte a circostanze stressanti e sviluppare delle relazioni positive. Denham riassume le abilità necessarie per essere emotivamente competenti in: o Espressione delle emozioni → Abilità di comunicare gli stati emozionali attraverso il linguaggio verbale e non verbale. Il linguaggio verbale è riconosciuto come mezzo più sofisticato della trasmissione di concetti, idee, conoscenze, ma le persone producono quotidianamente comportamenti non verbali attraverso i quali manifestano i loro stati emotivi. La mimica facciale rappresenta la modalità espressiva privilegiata: è attraverso il volto che “diciamo” quale emozione stiamo provando. È a partire dall’espressione facciale delle emozioni che Izard (1977) nella sua teoria differenziale spiega lo sviluppo emotivo: le emozioni sono “pacchetti” innati, ciascuno con una configurazione specifica di sintomi fisiologici e con un’espressione facciale distintiva. A questa posizione innatista risponde Sroufe (1995) con la sua teoria della differenziazione, secondo la quale le emozioni non insorgono all’improvviso, ma per differenziazione da sistemi-precursori: il piacere come sistema per lo sviluppo della gioia, la circospezione per la paura e la frustrazione per la rabbia. In questa visione, il neonato con le sue espressioni facciali non esprime già emozioni vere e proprie, ma un precursore delle emozioni. L’espressione delle emozioni è governata dalle cosiddette regole di espressione o display rules che, sula base delle convinzioni socio-culturali a cui si fa riferimento, dicono come le emozioni devono essere espresse affinché un individuo sia adeguato al contesto da un punto di vista emotivo. Le regole di espressione si riferiscono a quando, dove e come le emozioni dovrebbero essere espresse; non sono universali, ma dipendono dalle diverse culture. o Comprensione delle emozioni → Capacità di dare significato a eventi emotivi propri e altrui, anche riconoscendone le cause. Queste possono essere sia esterne alla persona, sia interne come desideri, credenze, ricordi e valori morali. Capire le emozioni che si stanno provando e quelle degli altri serve per partecipare a scambi sociali adeguati. Importanti elementi che fanno parte della comprensione emotiva sono: la comprensione delle espressioni facciali, la comprensione e l’utilizzazione del lessico psicologico che comprende un vocabolario emotivo, la comprensione delle emozioni complesse, la comprensione della possibilità di poter provare più emozioni contemporaneamente in alcuni casi in conflitto tra loro. utilizzano per descrivere le emozioni: Dai 4/5 anni, mostrano un incremento nella capacità di riflettere sulle emozioni. Le emozioni giocano un forte ruolo sul successo delle relazioni tra pari. ETA’ SCOLARE: CAMBIAMENTI IMPORTANTI → Nella seconda infanzia e nella fanciullezza i bambini mostrano una preoccupazione crescente circa il controllo e la gestione delle emozioni per soddisfare i modelli sociali. In questo periodo, i bambini accrescono anche la comprensione delle emozioni complesse come orgoglio e vergogna e si rendono conto che in un particolare situazione può essere espressa più di una emozione. Tengono sempre più in considerazione gli eventi che conducono a una reazione emotiva, sopprimono e nascondono le loro emozioni e avviano delle strategie per ridirigere le loro emozioni. Lo stress è la risposta dell’individuo a circostanze ed eventi che minacciano e mettono alla prova le sue abilità di coping. Il coping è un concetto strettamente connesso a quello di stress, infatti indica l’insieme delle strategie messe in atto da una persona per fronteggiare una situazione di stress. Alla base dello stress dei bambini possiamo trovare fattori socio-culturali o particolari venti della vita come l’essere oggetto di abuso ma anche aventi della vita di ogni giorno. Lazarus ha formulato l’espressione di valutazioni cognitive per indicare le interpretazioni che gli individui fanno degli eventi della loro vita come dannosi, minacciosi o provocatori e la loro determinazione ad affrontarli. Il coping si riferisce sia a ciò che un individuo fa effettivamente per affrontare una situazione difficile, fastidiosa o dolorosa o a cui comunque non è preparato, sia al modo in cui si adatta emotivamente a tale situazione; nel primo caso si parla di coping attivo, nel secondo caso di coping passivo. In generale il coping attivo è più efficace dal punto di vista dell’adattamento, mentre il coping passivo lo è quando la fonte di stress non è evitabile o il soggetto non ha alcuna influenza su di essa. Il processo di coping può essere suddiviso in due componenti distinte: la gestione dei problemi e la gestione delle emozioni. La prima consiste nel cercare di liberarsi del problema; la seconda, nel cercare di liberarsi dalla sofferenza causata dal problema. I disagi socio-emozionali consistono in problemi seri e persistenti che comportano aggressività, depressione e paure associate con i contesti personali e scolastici, ma anche altre caratteristiche socio- emotive inappropriate. I disturbi emotivi e comportamentali possono essere distinti in due categorie: i disturbi esternalizzati e quelli internalizzati. Nella prima categoria rientrano disturbi in cui il bambino manifesta il suo disagio all’esterno, per esempio attraverso l’aggressività e la tendenza alla trasgressione delle norme sociali e a volte anche legali. La seconda categoria è costituita da disturbi internalizzati, in cui il disagio del bambino resta interiore e spesso passa inosservato. Tipici disturbi interiorizzati sono l’ansia e la depressione. La fobia o il rifiuto scolare si esplica in un disagio provocato da ansia e/o timore eccessivi, che coglie il bambino al momento di andare a scuola o durante le ore scolastiche. IL TEMPERAMENTO → Il temperamento è uno stile di comportamento individuale e una risposta emotiva caratteristica della persona. Per sua definizione, il temperamento indica fattori costituzionali, presenti alla nascita ed ereditari. Relativamente ai collegamenti che ha con le emozioni, il temperamento implica differenze individuali nella velocità e nell’intensità con cui sono manifestate le emozioni e nella velocità con cui svaniscono. Il temperamento è strettamente collegato alla personalità, ossia all’insieme delle caratteristiche personali durature di un individuo. Indicatori tipici del temperamento sono il “livello di attività” e l’”emozionalità”. I ricercatori hanno descritto e classificato il temperamento degli individui in modi diversi: La classificazione di Chess e Thomas (1977, 1991)  Bambino Facile (40%): questo bambino generalmente ha un umore positivo, routinario, si adatta facilmente alle nuove esperienze.  Bambino difficile: (10%): è un bambino che reagisce negativamente, piange spesso, routine quotidiane irregolari, è lento ad accettare i cambiamenti.  Bambino “lento a scaldarsi” (15%): questo bambino ha un basso livello di attività, poco reattivo, mostra un umore “piatto”.  Altre tipologie: 35% L’inibizione comportamentale di Kagan (1997, 2000, 2002, 2003) Un altro modo per classificare il temperamento si focalizza sulle differenze tra un bambino timoroso, pacato, timido e un bambino socievole, estroverso e sicuro di sé. Kagan considera la timidezza verso gli estranei come un aspetto di un’ampia categoria di caratteri chiamata inibizione verso l’estraneo: aspetti come evitamento/socievolezza, ansia/tranquillità o sottomissione/estroversione sono relativamente stabili nell’infanzia; Pfeifer (2002) ha classificato i bambini in 3 gruppi: molto inibiti, intermedi, disinibiti La classificazione di Rothbart e Bates (2004, 2006)  Estroversione-disinibizione: include l’anticipazione positiva, l’impulsività, l’attività e ricerca di sensazioni.  Affettività negativa: include l’irritabilità e la paura. Bambini agitati e spesso piangenti.  Capacità di controllo (autocontrollo): include “focalizzazione e spostamento dell’attenzione sensitività percettiva, piacere a bassa intensità”, strategie per calmarsi. Caratteristiche fisiologiche diverse (livello di cortisolo, ritmo cardiaco attività lobo frontale destro), sono state collegate a temperamenti differenti. In particolare un temperamento inibito è associato a un modello fisiologico unico che comprende un ritmo cardiaco alto e stabile, un alto livello dell’ormone del cortisolo e un’alta attività del lobo frontale destro del cervello. Questo modello può essere legato all’eccitabilità dell’amigdala, una struttura del cervello che gioca un ruolo importante in paura e inibizione. Un temperamento inibito o effettivamente negativa può anche essere legato a un basso livello del neurotrasmettitore serotonina che può aumentare la vulnerabilità individuale verso la paura e la frustrazione. Gli studi sui gemelli e sui bambini adottati indicano una moderata ereditarietà del temperamento quindi sono moderatamente simili gemelli omozigoti sottoposti a stimoli diversi. Il temperamento è sì una caratteristica del comportamento a base biologica ma che si evolve con lo sviluppo. Molti genitori tendono a reagire in maniera diversa al temperamento di un bambino a seconda che sia maschio o femmina. Le risposte sociali al temperamento di un bambino dipendono in parte anche dalla cultura (Erikson ha svolto, nei suoi anni di studio, un lavoro comparativo andando a studiare alcune tribù di indiani americani con caratteristiche diverse studiando per esempio il modo in cui allevavano i figli). Il concetto di goodness of fit (compatibilità, adattabilità) si riferisce al rapporto tra il temperamento di un bambino e le richieste ambientali a cui il bambino deve far fronte. La consonanza ottimale può essere un aspetto importante delle capacità di adeguamento del bambino. Sebbene i risultati della ricerca siano ancora incompleti, si possono fornire ai caregiver alcune raccomandazioni generali, essi dovrebbero essere: sensibili alle caratteristiche individuali, flessibili nel rispondere a queste caratteristiche e evitare di affibbiare etichette negative al bambino. SVILUPPO SOCIALE PRECOCE: RIFERIMENTO E COMPRENSIONE SOCIALE→ Fin dall’inizio del loro sviluppo, i bambini sono attratti dal loro mondo sociale. Le maggiori abilità socio-cognitive dei bambini vanno a costituire i prerequisiti per la costruzione di un legame di attaccamento con il caregiver. Quando l’infante ha circa 2-3 mesi di età, le interazioni con il caregiver iniziano a essere caratterizzate frequentemente dal gioco face-to-face, nel quale l’interazione sociale focalizzata include vocalizzazioni, carezze e gesti. Questo gioco è parte integrante della motivazione materna a creare uno stato emotivo positivo con il proprio bambino. Quando i bambini sviluppano la capacità di gattonare, camminare e correre, essi diventano anche abili a esplorare ed espandere il proprio mondo sociale. Queste nuove competenze di locomozione permettono di iniziare in modo indipendente dall’adulto più frequenti scambi sociali. L’attenzione condivisa e la capacità di seguire lo sguardo aiutano il bambino a capire che le altre persone hanno delle intenzioni. Un’altra importante conquista socio-cognitiva nell’infanzia è il riferimento sociale o social referencing: è il termine usato per descrivere la “lettura” dei segnali emotivi degli altri al fine di decidere come agire in una particolare situazione di incertezza. Lo sviluppo del social referencing aiuta i bambini a interpretare più accuratamente situazioni ambigue, per esempio, se un estraneo che incontrano sia o meno una persona da temere. Il social referencing è un fenomeno complesso che coinvolge diversi ambiti dello sviluppo: il più evidente collegamento lo stabilisce con lo sviluppo socio-emotivo. Per riuscire a usare la reazione emotiva di un’altra persona come “bussola” per decidere come comportarsi di fronte a un oggetto o evento non familiare, occorre che il bambino sappia: discriminare tra le diverse espressioni facciali, assegnare a ciascuna espressione un diverso significato in termini di esperienza emotiva, attuare il comportamento congruente con l’emozione espressa. LA TEORIA DELL’ATTACCAMENTO → Quale è il significato biologico del legame che si instaura tra un bambino e il suo caregiver? Quale contributo offre questo legame alla sopravvivenza individuale e della specie? Il legame tra bambino e caregiver viene considerato il risultato di una serie di schemi comportamentali aventi radici innate, negli animali prende il nome di imprinting (Lorenz) mentre negli esseri umani di attaccamento. L’attaccamento è uno stretto legame emotivo tra due persone. Nel senso più specifico, il termine indica il legame particolare che unisce stabilmente il bambino alla madre o al caregiver. Non è tanto legame di dipendenza del bambino dalla madre, quanto un legame affettivo, intimo, costante e duraturo che lega i due membri della diade in modo da garantirne vicendevolmente vicinanza, protezione e sicurezza; si basa sulla tendenza a cercare una base sicura; se interrotto, provoca ansia da separazione. Per Freud, il bambino si lega a chi fornisce nutrimento e soddisfazione orale. Per il comportamentismo, invece, l’attaccamento al caregiver deriva dalla soddisfazione di bisogni primari. Secondo Harlow (1958) il calore affettivo è più importante del nutrimento (esperimento con neonati di scimmia, i quali preferivano passare il loro tempo a contatto con una madre di stoffa, senza badare se a nutrirli era una madre di cavi o di tessuto). Per Erikson, il conflitto Fiducia Vs sfiducia e benessere fisico e cure sensibili, sono le chiavi per stabilire una fiducia di base nei neonati. Secondo Lorenz (fondatore dell’etologia moderna) l’imprinting è la fissazione di un istinto innato su un determinato oggetto. Per molti anni condusse delle osservazioni su vari animali e in particolare su delle papere. Dopo un po' notò che, poche ore dopo la nascita, i cuccioli di papera identificavano come proprio punto di ancoraggio il primo oggetto in movimento, di dimensioni rilevanti che capita loro di incontrare. L’apprendimento per imprinting è una forte forma di associazione mentale complessa, che si determina in base a meccanismi psicologici innati di risposta comportamentale. L’effetto principale dell’imprinting si sostanzia nella identificazione di un soggetto vivente a cui affiliarsi nel periodo della crescita (imprinting verso il genitore-tutore). L’ATTACAMENTO SECONDO BOWLBY E COLL → Bowbly ritiene che sia i neonati sia chi si prende primariamente cura di loro sono biologicamente predisposti a sviluppare degli attaccamenti; Questa predisposizione attiva dei comportamenti di attaccamento ovvero azioni pre-programmate messe in atto dal bambino per conquistare e mantenere la prossimità ed il contatto con la madre. Alcuni di questi comportamenti sono distali (seguire, gattonare, piangere) altri prossimali (succhiare, sorridere, aggrapparsi). Inoltre sono attivati da fattori interni (fame, fatica, disagio) ed esterni (partenza, assenza, ritorno della figura di attaccamento). L’attaccamento non emerge improvvisamente, ma si sviluppa piuttosto un una serie di fasi che partono da una generica preferenza del neonato per gli esseri umani, fino al legame con il caregiver primario. Gli studi condotti da Elizabeth Meins rappresentano un importante contributo che unisce i presupposti della teoria di Bowbly dell’attaccamento alle concezioni teoriche di Vygotskij. La studiosa ritiene che lo sviluppo delle competenze cognitive del bambino, tra cui quelle legate alla teoria della mente, si verifichi all’interno delle relazioni triadiche (madre-bambino-oggetto) e che in particolare dipenda dalla capacità della madre di inserirsi nella Zona di sviluppo prossimale del proprio bambino, individuando dunque con precisione il suo livello di competenze e conformandosi accuratamente ad esso. La sensibilità della madre nell’individuare il livello di competenza del proprio figlio è quindi fondamentale affinché possa rispondere ai feedback del piccolo calibrando i suoi interventi. Questo atteggiamento genitoriale favorisce la propensione del bambino a comprendere séstesso e gli altri aumentando di conseguenza il senso di autoefficacia e diminuendo l’ansia sociale. Il concetto chiave alla base della prospettiva di Meins è quello di maternal mindmindedness e si riferisce alla propensione materna a considerare il proprio bambino come soggetto separato da sé e dotato di una mente; cioè capace di rappresentare sé stesso e gli altri come dotati di stati mentali. Il modo in cui la madre commenta gli stati mentali del bambino e utilizza in particolare termini riferiti a stati interni ha un ruolo di primaria importanza nello sviluppo della capacità del bambino di comprendere gli stati mentali propri e altrui, e di utilizzare a sua volta un linguaggio riferito a stati interni. La sensibilità materna è rivisitata e inserita in una rete di relazioni reciproche tra mindmindedness genitoriale, attaccamento e sviluppo della comprensione sociale del bambino. L’attaccamento insicuro può influenzare la regolazione dello stress. Esso infatti aumenta la percezione soggettiva di stress (auto-percezione di vulnerabilità) comporta tanto un aumento dell’intensità e della durata della risposta fisiologica allo stress quanto l’insuccesso del supporto sociale come protettore dagli effetti dello stress. Può danneggiare la corretta utilizzazione di regolatori affettivi esterni. È correlato all’adozione di comportamenti a rischio (dal consumo di alcool all’attività sessuale a rischio) Ragazze adolescenti con anoressia o DCA descrivono i propri genitori come eccessivamente preoccupati e iper- protettivi. NEUROSCIENZE SOCIALI DELLO SVILUPPO E ATTACCAMENTO → Le neuroscienze sociali dello sviluppo indagano i collegamenti tra processi socio-emotivi e cervello nel corso dello sviluppo. Sembra che possono essere identificate precise aree del cervello che giocano un ruolo importante nell’attaccamento materno infantile. Le ricerche sul ruolo degli ormoni e dei neurotrasmettitori, invece, hanno enfatizzato l’importanza di due ormoni, l’ossitocina e la vasopressina, nella formazione del legame madre-bambino. L’ossitocina, in particolare, è rilasciata durante l’allattamento al seno. La sensibilità materna è predetta da alti livelli di ossitocina, che così ci suggerisce una base biologica al legame di attaccamento. LA DEPRESSIONE → La depressione è uno stato d’animo durevole, caratterizzato da tristezza, demoralizzazione, noia e da una visione pessimistica della vita. Le cause possono essere fattori biologici, cognitivi, ambientali, eventi della vita. Spesso si può confondere con altri sintomi come problemi comportamenti, di apprendimento, aggressività, ansietà, isolamento condotte antisociali. C’è una maggiore frequenza durante l’adolescenza rispetto all’infanzia ed è maggiore l’incidenza nelle ragazze, per vari motivi come per esempio la maggiore introspezione, l’immagine di sé e il sé corporeo delle ragazze è più negativo che quello dei ragazzi, le ragazze sono più soggette a fenomeni di molestie sessuali ed abuso; la pubertà, con i cambiamenti fisici e psicologici che comporta, riguarda prima le ragazze che i ragazzi. Lo sviluppo della depressione può essere influenzato da fattori familiari (es. presenza di un genitore depresso), l'indisponibilità emotiva dei genitori, i conflitti coniugali e i problemi economici dei genitori. Gli adolescenti che hanno scarsi contatti col gruppo dei pari, esperienze di rifiuto o che non hanno un “migliore amico” sono a più elevato rischio di depressione. IL SUICIDIO → Il suicidio è la seconda causa di morte tra i giovani dai 15 ai 25 anni dopo gli incidenti (ma alcune morti sono difficili da classificare). Il fenomeno è più diffuso tra i maschi, soprattutto con un alto grado di istruzione, anche se i tentativi di suicidio sono più numerosi tra le femmine. Fattori di rischio includono familiarità, l’abuso di alcool o di sostanze stupefacenti, la depressione. CAPITOLO 10 → IL SE E L’ACQUISIZIONE DELL’IDENTITA’ La comprensione del sé è la rappresentazione cognitiva che un bambino ha di sé stesso, la sostanza e il contenuto della concezione di sé di un bambino. Studiare il sé nell’infanzia è difficile principalmente perché gli infanti non possono dirci come si percepiscono. Essi non possono esprimere verbalmente la loro visione di sé. Una rudimentale forma di auto riconoscimento si presenta per la prima volta a circa 3 mesi di età. Ciononostante, un indice più evidente e completo di auto riconoscimento in quanto abilità di riconoscere il proprio aspetto fisico, non emerge prima del secondo anno. Una soluzione ingegnosa per verificare l’auto riconoscimento visivo da parte del bambino, consiste nell’usare la tecnica del riconoscimento allo specchio, nella quale la mamma di un infante da una macchia rossa sul naso del bambino. Un osservatore guarda per vedere quante volte il bambino si tocca il naso. Poi, il bambino viene messo di fronte a uno specchio e l’osservatore controlla se il bambino tocca di più il suo naso. L’idea è che il bambino, toccandosi di più il naso rispetto a quanto non facesse prima, riconosca sé stesso nello specchio e cerchi di toccare o togliere il rosso perché il rosso viola la visione di sé del bambino. L’aumento dell’azione di toccarsi il naso indica che il bambino realizza che è sé stesso quello nello specchio, ma che c’è qualcosa di sbagliato dato che il sé reale non ha una macchia rossa sul naso. Quindi secondo gli studiosi i bambini cominciano a sviluppare una comprensione di sé rudimentale, nella forma di auto riconoscimento, a circa 18 mesi d’età. Durante il secondo anno e all’inizio del terzo, i bambini mostrano altre forme di autoconsapevolezza che riflettono un senso di “me”. Durante il secondo anno i bambini sviluppano la consapevolezza del proprio corpo. Questo cambiamento evolutivo segna l’inizio della rappresentazione infantile della propria forma e del proprio aspetto tridimensionale. SECONDA INFANZIA → Nella seconda infanzia, poiché i bambini possono comunicare verbalmente, la ricerca sulla comprensione di sé non è limitata all’auto riconoscimento visivo. I bambini piccoli generalmente confondono il sé, la mente e il corpo. La maggior parte dei bambini piccoli immaginano il sé come una parte del corpo, che generalmente viene identificato con la testa. I bambini in età prescolare si pensano e si descrivono in termini concreti. A 4-5 anni via via che essi ascoltano gli altri usare termini riferiti a tratti psicologici e a emozioni, iniziano a impiegarli anch’essi nelle descrizioni di sé stessi. I bambini piccoli possono distinguere sé stessi dagli altri in base a numerosi attributi fisici. Inoltre i bambini si descrivono in termini attivi ovvero attraverso azioni che sanno fare. Le valutazioni di sé durante la seconda infanzia spesso sono irrealisticamente positive e rappresentano una sovrastima delle qualità personali. Queste supervalutazioni positive irrealistiche del sé si verificano perché i bambini piccoli hanno difficoltà a differenziare tra le loro capacità reali e quelle desiderate e inoltre non riescono ancora a generare un sé ideale distinto dal sé reale e raramente si impegnano nei confronti sociali, cioè in paragoni con gli altri. FANCIULEZZA → Nella fanciullezza, soprattutto tra gli 8 e gli 11 anni di età, i bambini propendono a definire sé stessi in termini di caratteristiche e tratti psicologici contrariamente ai bambini piccoli che invece utilizzano descrizioni di sé stessi più concrete. Nella fanciullezza i bambini, nelle loro auto descrizioni, cominciano a includere aspetti sociali quali i riferimenti a gruppi sociali. La comprensione del sé dei bambini in questo periodo include un maggiore riferimento al confronto sociale. A questo punto dello sviluppo è più facile che i bambini distinguano sé stessi dagli altri in termini comparativi piuttosto che assoluti. Cioè i bambini in età scolare tendono a pensare a ciò che riescono a fare in confronto agli altri. I bambini cominciano a distinguere tra il sé reale e il sé ideale. Questo implica la differenziazione selle loro reali capacità da quelle che aspirano ad avere e che pensano siano le più importanti. Nell’età scolare l’autovalutazione dei bambini diventa più realistica. Questo accade grazie all’incremento del confronto sociale e all’acquisizione di prospettive diverse. ADOLESCENZA → In adolescenza, lo sviluppo della comprensione del sé è complesso e coinvolge diversi aspetti del sé. Quando si chiede agli adolescenti di descrivere sé stessi, è più probabile che utilizzino etichette astratte ed idealistiche. Gli adolescenti hanno più probabilità dei bambini di avere consapevolezza di sé e di preoccuparsi della comprensione di sé stessi. Questa consapevolezza e preoccupazione di sé riflette l’egocentrismo dell’adolescente. Inoltre iniziano a differenziare il loro concetto di sé in ruoli multipli all’interno di differenti contesti relazionali, ma anche a sentire che tra i loro differenti sé vi possono essere contraddizioni. La conoscenza di sé dell’adolescente fluttua attraverso le situazioni e il tempo. Il sé dell’adolescente continua a essere caratterizzato da instabilità fino a quando egli costruisce una teoria di sé più consolidata; generalmente non accade fino alla tarda adolescenza o alla prima maturità. La crescente abilità dell’adolescente di costruire un sé ideale da aggiungere a quello reale può lasciarlo perplesso e tormentato. Da un certo punto di vista, un aspetto importante del sé ideale o immaginario è il sé possibile o potenziale ovvero quello che un individuo potrebbe diventare, ciò che vorrebbe diventare e ciò che teme di diventare. LA COMPRENSIONE DEGLI ALTRI → Il termine cognizione sociale si riferisce ai processi coinvolti nella conoscenza del mondo che ci circonda, con riferimento al modo con cui comprendiamo noi stessi e al modo con cui pensiamo e ragioniamo sulle altre persone. Negli anni prescolari, i bambini fanno progressi nella loro conoscenza degli altri. A circa 4-5 anni i bambini non solo iniziano a descrivere sé stessi in termini di tratti psicologici, ma iniziano anche a percepire gli altri in quanto portatori di tratti piscologici. Nello sviluppo della comprensione degli altri è importante la scoperta da parte dei bambini che le persone non sempre danno un’esposizione veritiera delle loro credenze. I bambini, cioè, sebbene piccoli sanno già distinguere le bugie dalla verità e il fatto che si può dire di credere una cosa anche se non è vero, se è per raggiungere uno scopo. Sebbene in molti casi i bambini diano prova di essere abbastanza precisi nell’identificare ciò a partire dal quale dubitare della presunta verità, in alcuni casi mostrano anche segni di ingenuità. Durante la fanciullezza i bambini mostrano un amento nel perspective taking cioè nell’abilità di assumere la prospettiva di un’altra persona e di comprenderne i suoi pensieri e sentimenti. Selman (1980) ritiene che l’abilità di perspective taking dei bambini, si sviluppi attraverso cinque stadi. La capacità di perspective taking aumenta l’autocomprensione e migliora lo status nel gruppo dei pari e la qualità delle amicizie. Il role-taking (“assunzione di ruolo”) si tratta della capacità di assumere il punto di vista e il ruolo dell’altro, per riuscire a comunicare ed entrare in relazione con lui in maniera adeguata alla sua posizione. AUTOSTIMA E CONCETTO DI SÉ → Il termine autostima so usa per riferirci al valore e all’immagine che una persona ha di sé, una valutazione globale del sé. Usiamo invece il termine concetto di sé per riferirci alle valutazioni in domini specifici del sé (es. concetto di sé come giocatore di calcio). In breve l’autostima si riferisce alla dimensione valutativa globale del sé, quanto si ritiene di valere ed è detta anche “immagine di sé”, il concetto di sé invece alle valutazioni più legate a campi specifici. Misurare l’autostima e il concetto di sé non è stato sempre così facile. L’assessment o valutazione dell’autostima, intanto, presuppone ce la si definisca in quanto concetto uni o multidimensionale. Un esempio di strumento utile per misurare l’auto valutazione dei bambini è il Profilo dell’autopercezione per bambini di Susan Harter. Considera il valore di sé e il concetto di sé per 5 ambiti specifici: resa scolastica, performance atletica, accettazione sociale, aspetto fisico e condotta comportamentale. La Harter ha sviluppato anche una scala separata per gli adolescenti, chiamata il Profilo di autopercezione per adolescenti, che valuta il valore di sé globale e i 5 ambiti testati per i bambini più 3 campi addizionali: amicizia, attrazione amorosa e competenza lavorativa. Anche il TMA (test di valutazione multidimensionale dell’autostima) di Bracken consiste in uno strumento di assesment, che può essere utilizzato con bambini e adolescenti da 9 a 19 anni, in cui l’autostima è considerata multidimensionale e riferita a concetto globale sul sé. In questo test le dimensioni valutative sono sei: area interpersonale, area scolastica, area emozionale, area familiare, area corporea, area del controllo dell’ambiente. L’autostima sembra avere un legame particolarmente stretto con la percezione di sé soprattutto in un ambito ovvero l’aspetto fisico. I ricercatori hanno visto che l’autostima è alta nell’infanzia, declina in adolescenza e aumenta in età adulta fino alla tarda età quando declina nuovamente. L’autostima dei maschi è più alta di quella delle femmine La teoria dello schema di genere afferma che l’attenzione e il comportamento di un individuo sono guidati da una motivazione interna a conformarsi agli standard e agli stereotipi socioculturali basati sul genere. Questa teoria enfatizza il ruolo della cognizione nello sviluppo di genere. STEREOTIPI DI GENERE, SIMILITUDINI E DIFFERENZE → Gli stereotipi di genere sono assai diffusi in tutto il mondo. Essi enfatizzano il potere dei maschi e il maternage delle femmine. Lo stereotipo di genere cambia con lo sviluppo; è presente anche a 2 anni ma aumenta considerevolmente durante la prima infanzia. Nella fanciullezza i bambini diventano più flessibili nelle loro attitudini di genere ma lo stereotipo di genere aumenta di nuovo nella prima adolescenza. Le differenze fisiche e biologiche tra maschi e femmine sono sostanziali. I maschi spesso sono migliori nelle abilità matematiche e visuo-spaziali. Tuttavia, alcuni esperti, come Hyde, sostengono che le differenze cognitive tra maschi e femmine sono state esagerate, i maschi sono più aggressivi fisicamente e più attivi delle femmine, mentre le femmine mettono in atto comportamenti più sociali, hanno un interesse più forte per le relazioni sociali e sono più orientate al successo nella scuola rispetto ai maschi. Ci sono notevoli controversie su quanto siano simili o diversi femmine e maschi in varie aree. CAPITOLO 11 →LO SVILUPPO MORALE Lo sviluppo morale implica dei cambiamenti nei pensieri, sentimenti e comportamenti che riguardano il principio di giusto e sbagliato. Ha una dimensione intrapersonale, che regola le attività di una persona quando non è impegnata in relazioni sociali, e una dimensione interpersonale che regola le interazioni sociali e arbitra i conflitti. Per comprendere lo sviluppo morale dobbiamo prendere in considerazione cinque questioni di base: 1. Come ragionano e cosa pensano i bambini e gli adolescenti rispetto alle decisioni morali? 2. Come si comportano realmente i bambini e gli adolescenti in circostanze morali? 3. Come si sentono i bambini e gli adolescenti rispetto alle questioni morali? 4. Cosa caratterizza la personalità di bambini e adolescenti con riferimento alla moralità? 5. In che modo il dominio morale è diverso da quello sociale, convenzionale e personale? IL PENSIERO MORALE: LA TEORIA DI PIAGET → Piaget ha stimolato l’interesse sul modo di pensare dei bambini rispetto alle questioni morali, a partire da un grande lavoro di osservazione e di interviste a bambini dai 4 ai 12 anni. Piaget osservava i bambini mentre giocavano a biglie per capire come usavano le regole del gioco e cosa ne pensavano. Faceva domande ai bambini su questioni etiche. Concluse che i bambini, nella loro idea di moralità, passavano attraverso due distinti stadi:  Il primo stadio dello sviluppo morale nella teoria di Piaget è rappresentato da una moralità eteronoma (dai 4 ai 7 anni). I bambini pensano che la giustizia e le regole siano proprietà immutabili del mondo, sui cui le persone non hanno controllo.  Dai 7 ai 10 anni, i bambini sono in transizione e mostrano alcuni aspetti del primo stadio del ragionamento sociale e alcune fasi del secondo stadio, la moralità autonoma.  Dai 10 anni circa, i bambini rivelano una moralità autonoma. I bambini diventano consapevoli che le regole e le leggi sono create dalle persone e che, nel giudicare un’azione, si dovrebbe tenere presenti le intenzioni di chi la compie così come le conseguenze. Nel passaggio dei bambini alla moralità autonoma, le intenzioni assumono un’importanza preminente. Il pensatore eteronomo ritiene che le regole siano immutabili e che siano decise da autorità potenti. Inoltre crede nella giustizia immanente, il concetto che se si rompe una regola, la punizione viene assegnata immediatamente. Il bambino piccolo crede che la violazione sia automaticamente collegata ad una punizione. Perciò, spesso si guarda attorno preoccupato dopo aver fatto qualcosa di sbagliato, aspettandosi un inevitabile castigo. I bambini più grandi, che hanno una moralità autonoma, riconoscono che la punizione arriva solo se qualcuno ha visto l’infrazione e che, anche in quel caso, la pena non è inevitabile. Piaget sosteneva che i bambini, crescendo, diventavano più sofisticati nel pensiero che riguarda le questioni sociali, specialmente rispetto alle possibilità e alle condizioni della cooperazione. Piaget riteneva che questa comprensione sociale avvenisse grazie al dare e avere reciproco nelle relazioni tra pari. Nelle relazioni genitore-bambino, in cui i genitori hanno potere mentre i bambini non ne hanno, è meno probabile che ci siano progressi nel ragionamento morale, poiché le regole sono spesso imposte in maniera autoritaria. Tuttavia i bambini piccoli non sono così egocentrici come riteneva Piaget. Thompson (2012) sostiene che nella ricerca recente i bambini piccoli spesso mostrano una consapevolezza non egocentrica degli obiettivi, dei sentimenti e dei desideri degli altri e di come tali stati interni siano influenzati dalle azioni degli altri. Questi nessi tra i progressi nella comprensione morale e la teoria della mente indicano che i bambini piccoli possiedono risorse cognitive che consentono loro di essere consapevoli delle intenzioni degli altri e di sapere quando qualcuno viola un divieto morale. LA TEORIA DI KOHLBERG → Kohlberg suggerisce sei stadi universali per lo sviluppo morale. Secondo lo studioso il passaggio da uno stadio all’altro è incoraggiato dalle opportunità di prendere la prospettiva delle altre persone e di esprimere il conflitto tra uno stadio corrente di pensiero morale e il tipo di ragionamento previsto dallo stadio più alto. Kohblerg arrivò a questa conclusione dopo 20 anni di utilizzo di un’intervista originale con i bambini. Nell’intervista ai bambini venivano presentate delle storie in cui i protagonisti si trovavano a far fronte a dei dilemmi morali. Basandosi sulle risposte che gli intervistati davano su questi dilemmi morali, Kohlberg ha descritto tre livelli di pensiero morale, ognuno dei quali è caratterizzato da due fasi. Il livello del ragionamento preconvenzionale è il livello più basso nella teoria di Kohlberg sullo sviluppo morale. Il ragionamento morale dell’individuo è controllato principalmente da premi e punizioni esterni. Questo livello consiste in due stadi:  Stadio 1. Moralità eteronoma (punizione e orientamento all’obbedienza). A questo stadio il pensiero morale è legato alla punizione. Si ubbidisce alle regole per evitare punizioni e conseguenze negative;  Stadio 2. Individualismo, scopo strumentale e scambio. In questo stadio gli individui pensano che sia giusto perseguire i propri interessi, ma lasciano che gli altri facciano la stessa cosa. Perciò ritengono che ciò che è giusto implichi uno scambio equo. Essi presumono che se sono gentili con gli altri, gli altri in cambio saranno gentili con loro; Il livello del ragionamento convenzionale è il secondo livello intermedio della teoria dello sviluppo morale. A questo livello gli individui tengono fede a certi standard ma sono gli standard di altri, come i genitori o le leggi della società. Anche questo livello consiste in due stadi:  Stadio 3. Aspettative interpersonali reciproche, relazioni e conformità interpersonale. In questo stadio gli individui danno valore alla fiducia, all’altruismo, alla lealtà verso gli altri come fondamento dei giudizi morali; i bambini e adolescenti spesso adottano modelli morali dei loro genitori, cercando di far sì che i loro genitori li considerino “bravi/e ragazzi/e”;  Stadio 4. Moralità volta al mantenimento del sistema sociale. In questo stadio i giudizi morali sono basati sulla comprensione dell’ordine sociale, della legge, della giustizia e del dovere; Il livello del ragionamento post-convenzionale è il livello più alto della teoria. A questo livello, la moralità è del tutto interiorizzata e non è basata sugli standard degli altri. Anche questo livello consiste di due stadi:  Stadio 5. Contratto sociale o utilità e diritti individuali. In questo stadio gli individui ritengono che i valori, i diritti e i principi o stanno alla base o scavalcano la legge. Una persona soppesa la validità delle leggi reali, e i sistemi sociali possono essere esaminati in base al grado in cui preservano e proteggono diritti e valori umani fondamentali;  Stadio 6. Principi etici universali. A questo stadio, la persona ha sviluppato un modello morale basato sui diritti umani universali. Quando si trova a far fronte a un conflitto tra legge e coscienza, la persona ritiene che si dovrebbe seguire la coscienza, anche se la decisione potrebbe far correre rischi. Kohlberg riteneva che questi livelli e stadi si presentassero in sequenza e fossero legati all’età. Prima dei 9 anni la maggior parte dei bambini usa il livello 1, quello preconvenzionale, nel giudicare delle scelte morali sulla base di rinforzi e punizioni esterni. Nella prima adolescenza pensano in modo convenzionale. La maggior parte degli adolescenti si situa nello stadio 3, con alcune caratteristiche degli stadi 2 e 4. Nella prima maturità, un piccolo numero di individui ragiona in modo post-convenzionale. Kohlberg sosteneva che i progressi nello sviluppo cognitivo dei bambini non assicuravano uno sviluppo morale. Piuttosto, il ragionamento morale riflette anche le esperienze dei bambini nell’affrontare questioni e conflitti morali. Lo studioso riteneva che l’interazione fra pari e l’assunzione di prospettive altrui fossero una parte importante della stimolazione sociale che sollecita i bambini a cambiare il loro ragionamento morale. Mentre gli adulti tipicamente impongono norme e regolamenti ai bambini, il dare e avere tra i pari fornisce ai bambini l’opportunità di considerare le prospettive degli altri e di creare democraticamente delle regole. Kohlberg sottolinea che in linea di principio gli incontri con i pari possono produrre delle opportunità di acquisizione di prospettive che possono far avanzare il ragionamento morale dei bambini. CRITICHE MOSSE CONTRO LA TEORIA DI KOHLBERG → La teoria di Kohlberg è stata criticata per aver posto troppa enfasi sul pensiero morale e non abbastanza sul comportamento morale. Le ragioni morali qualche volta possono essere un rifugio per il comportamento immorale. Il disimpegno morale è un processo psicologico che permette agli individui di distinguere il sé dagli effetti dannosi dei comportamenti. Incolpando le vittime e diffondendo le responsabilità, gli individui possono continuare a sentirsi bene con sé stessi mentre compiono azioni immorali. Alcuni teorici dello sviluppo criticano la sua ricerca e ritengono che si dovrebbe dedicare più attenzione al modo in cui viene valutato il ragionamento morale. Sono stati criticati soprattutto i dilemmi che Kohlberg usava per valutare il ragionamento morale. I ricercatori hanno visto che i dilemmi usati dallo studioso non corrispondevano ai dilemmi morali a cui molti bambini e adulti si trovano a far fronte nella vita di tutti i giorni. La maggior parte delle storie di Kohlberg si focalizza sulla famiglia e sull’autorità mentre in realtà, attraverso una ricerca, gli adolescenti presentavano dilemmi più ampi, focalizzandosi su amici, conoscenti e altre questioni oltre alla famiglia e all’autorità. Kohlberg sottolineava che i suoi stadi di ragionamento morale erano universali, ma alcuni critici hanno replicato che la sua teoria è condizionata dalla cultura e che contrariamente a quanto pensava lui, la cultura influenza lo sviluppo morale. Kohlberg sosteneva che i sistemi familiari non fossero particolarmente importanti per lo sviluppo morale dei bambini. Egli sosteneva che la relazione genitore-bambino in genere desse poche opportunità ai bambini di sperimentare la situazione dare-avere e di acquisire prospettive diverse. Kohlberg diceva che i bambini avevano più opportunità nelle relazioni con i loro pari. Molti psicologi dello sviluppo evidenziano che la conversazione dei bambini con i genitori sui dilemmi morali nel corso della vita quotidiana sono importanti per lo sviluppo morale, e che gli atteggiamenti morali di base dei genitori influenzano il pensiero morale dei bambini. Da questo punto di vista sembra essere importante che le famiglie mettano i bambini in collegamento con organizzazioni religiose, opportunità di servizio alla comunità e altre esperienze che possono favorire lo sviluppo morale e ridurre i comportamenti antisociali. Gli esemplari morali sono le persone che hanno vissuto una vita esemplare. Inoltre, hanno una personalità morale, identità, carattere e un set di virtù che riflettono l’eccellenza e l’impegno morali. TEORIA DEL DOMINIO SOCIO-COGNITIVO → Judith Smetana ha proposto la teoria del dominio socio- cognitivo, che afferma che esistono diversi domini della conoscenza e del ragionamento sociale, inclusi i domini morale, socio-convenzionale e personale. Nella teoria del dominio socio-cognitivo, la conoscenza e il ragionamento morale, socio-convenzionale e personale di bambini ed adolescenti emergono dai loro tentativi di comprendere il comportamento e mantenere il sistema sociale. Le regole stesse sono arbitrarie. Al contrario, il ragionamento morale si concentra su questioni etiche e regole di moralità. A differenza delle regole convenzionali, le regole morali non sono arbitrarie. Sono obbligatorie, ampiamente accettate e in qualche modo impersonali. I giudizi morali implicano concetti di giustizia, mentre i giudizi socio- convenzionali sono concetti che si riferiscono all’organizzazione sociale. I problemi personali, invece, includono il controllo sul proprio corpo, la privacy e la scelta di amici e attività. CONTESTI DELLO SVILUPPO MORALE → Diverse ricerche rivelano che sia i genitori sia i pari contribuiscono al raggiungimento della maturità morale dei bambini. Il parenting, inteso come quel processo biologico e sociale che implica l’allevare e l’educare un individuo dalla nascita fino all’età adulta, pertanto è inevitabilmente coinvolto nello sviluppo morale: i genitori per il fatto stesso di allevare ed educare in qualche modo i propri figli contribuiscono allo sviluppo della loro moralità. La relazione genitore-figlio introduce i bambini negli obblighi e nei doveri reciproci delle relazioni strette. In termini di qualità relazionale, l’attaccamento sicuro gioca un ruolo importante nello sviluppo morale dei bambini. Un attaccamento sicuro, infatti, può mettere il bambino sulla buona strada per interiorizzare obiettivi di socializzazione e i valori famigliari trasmessi dai genitori. Le tecniche di disciplina usate dai genitori possono essere classificate in: rifiuto affettivo ovvero una tecnica di disciplina in cui il genitore sottrae attenzione e affetto al figlio nel tentativo di controllarne il comportamento; affermazione dell’autorità cioè una tecnica in cui il genitore cerca di ottenere il controllo sul comportamento del figlio attraverso l’uso arbitrario di premi e punizioni cioè punendolo oppure minacciando punizioni o ancora promettendo premi; induzione ovvero una tecnica in cui il genitore usa il ragionamento e spiega al figlio come le sue azioni possono avere effetti sulle altre persone. Il genitore cioè induce il figlio a riflettere sulle proprie azioni e sulle conseguenze che possono avere sulle altre persone. Secondo Hoffman sia il rifiuto affettivo sia l’affermazione dell’autorità sono dannosi allo sviluppo morale del bambino, in quanto entrambe le tecniche evocano nel bambino emozioni negative che da una parte indeboliscono la relazione genitore-figlio e dall’altra possono portare il bambino ad assumere altri comportamenti inadeguati. Al contrario l’induzione è più probabile che produca nei bambini un moderato livello di attivazione emotiva, che permette loro di prestare attenzione al ragionamento offerto dai genitori. Un importante strategia genitoriale consiste nel prevenire proattivamente potenziali comportamenti inadeguati dei bambini prima che questi abbiano luogo. Con i bambini piccoli essere proattivi significa distrarre la loro attenzione oppure orientarli verso attività alternative. Con i bambini grandi, invece, si potrebbe parlare con loro dei valori che i genitori considerano importanti. Trasmettendo valori familiari si aiutano i bambini più grandi e adolescenti a resistere alle tentazioni che inevitabilmente emergono nei contesti frequentati. Curriculum nascosto→ L’educatore Dewey osservò che spesso, quando le scuole non hanno specifici programmi di educazione morale, questa viene perseguita per mezzo di un curriculum nascosto cioè è veicolata dall’atmosfera morale che caratterizza la scuola. Educazione al carattere → È un approccio educativo diretto che implica insegnare agli studenti un “alfabetismo morale” di base per prevenire il loro coinvolgimento in comportamenti immorali o che facciano del mare a sé stessi o agli altri. Chiarimento dei valori → È un approccio in cui si aiutano le persone a chiarire il senso della loro vita e il valore di ciò che fanno. Un altro approccio all’educazione morale è l’educazione cognitivo-morale che è basata sulla credenza che gli altri studenti dovrebbero imparare il valore delle cose come la democrazia e la giustizia, nel momento in cui sviluppano il ragionamento morale. Molti programmi di questa educazione sono ispirati alla teoria di Kohlberg. COMPORTAMENTI PROSOCIALI E ANTISOCIALI → Le forme più pure di comportamento prosociale sono motivate dall’altruismo, una partecipazione disinteressata nell’aiutare l’altra persona. Alcune persone sostengono però che il vero altruismo non esiste perché dietro ogni azione si possono vedere i vantaggi per la persona che la compie e perciò non è reale disinteresse. Che questo sia vero o no, molti comportamenti prosociali che sembrano altruistici sono di fatto motivati dal principio della reciprocità, che è l’obbligo di restituire favore con favore. Imparare a condividere è un altro aspetto importante del comportamento prosociale. William Damon ha descritto una sequenza di sviluppo attraverso la quale i bambini imparano la condivisione. La maggior parte delle condivisioni durante i primi 3 anni di vita vengono fatte per ragioni non empatiche. Si verificano perché i bambini imitano gli altri o perché condividere permette loro di godere il piacere del gioco sociale. A circa 4 anni, una combinazione di consapevolezza empatica e d’incoraggiamento degli adulti produce un senso di obbligo da parte del bambino a condividere con gli altri. Tuttavia la maggior parte dei bambini di 4 anni non sono altruisti virtuosi. Quello che dal punto di vista dello sviluppo è importante è che il bambino abbia imparato che la condivisione è un aspetto obbligatorio della relazione sociale e implica un principio di giusto e sbagliato. A partire dagli anni della scuola primaria, i bambini cominciano a esprimere emozioni più complicate di ciò che è giusto. I consigli e gli stimoli dei genitori certamente promuovono modelli di condivisione, ma il dare e avere nelle richieste e nelle discussioni con i pari forniscono lo stimolo più immediato alla condivisione. Gustavo Carlo e colleghi hanno individuato al presenza di sei tipi di comportamento prosociale nei giovani adolescenti nelle famiglie americane ed europee:  Altruismo  Pubblico  Emotivo  Diretto  Anonimo  Conforme In questo studio, le ragazze adolescenti hanno riferito di essere più emotive, compiacenti ed altruiste nel loro comportamento rispetto ai ragazzi, mentre i ragazzi si sono impegnati in un comportamento più pubblico. Comportamenti compiacenti, anonimi e altruistici sono positivamente correlati con la religiosità. Altri due aspetti del comportamento prosociale sono il perdono ovvero un aspetto che si verifica quando la persona offesa libera colui che ha fatto l’offesa dalla possibile vendetta e la gratitudine ovvero un sentimento di riconoscenza e apprezzamento provato soprattutto in risposta a qualcuno che ha fatto qualcosa di buono o che ha dato il proprio aiuto. Con disturbo della condotta s’intendono azioni e attitudini improprie per l’età che violano aspettative familiari, le norme della società e diritti individuali o di proprietà degli altri. I bambini con problemi della condotta mostrano un’ampia gamma di comportamenti che violano le norme. Il disturbo della condotta è molto più comune tra i ragazzi che tra le ragazze. Uno strumento per valutare eventuali comportamenti antisociali in bambini ed adolescenti di età compresa tra i 4 e i 16 anni può essere il questionario SDQ di Godman, nella versione italiana Questionario sui punti di forza e di debolezza. Le 25 domande, a cui può rispondere sia un genitore sia un insegnate, si riferiscono ad attributi positivi o negativi del comportamento, e si suddividono in 5 scale: iperattività, condotta, emotività, comportamenti prosociali e rapporti con i pari. Il questionario non esaurisce la diagnosi di situazioni patologiche, però può essere utile all’insegante in fase di screening e/o di approfondimenti di alcune problematiche comportamentali di alunni difficili. La delinquenza minorile comprende un’ampia gamma di comportamenti, che vanno da comportamenti inaccettabili a reati contro lo status ad atti criminali. Possiamo fare una distinzione tra reati contro la legge ovvero azioni criminali che vengono commesse da minorenni o da adulti che includono atti come rapina, violenza aggravata, stupro e omicidio e reati contro lo status meno gravi dei reati contro la legge, che comprendono la fuga da casa, marinare la scuola, usa di alcolici e incontrollabilità. I maschi sono più inclini a essere coinvolti in eventi di delinquenza che non le femmine. CAPITOLO 12→ LA FAMIGLIA Bronfenbrenner analizza i contesti sociali dello sviluppo in cinque sistemi ambientali:  Microsistema o ambiente in cui vive l’individuo;  Meso-sistema che comprende le relazioni tra microsistemi;  Eso-sistema che comprende le influenze esercitate da ambienti diversi che l’individuo non sperimenta direttamente;  Macrosistema o la cultura in cui vive l’individuo;  Crono-sistema o circostanze storico-sociali; Ogni famiglia è un sistema ossia un insieme complesso fatto di parti che interagiscono e che sono collegate tra loro. Ciò implica: o Scambio sincronizzato: il comportamento di ogni persona dipende dal comportamento dell’altra (ad es. contatto visivo). o Interazione reciproca: le azioni dei protagonisti combaciano come quando uno imita l’altro o quando si sorridono a vicenda. o Scaffolding: aggiustamento del livello di sostegno, guida, aiuto dato dall’adulto per adattarsi alle prestazioni del bambino. o Socializzazione reciproca: processo attraverso cui i bambini socializzano con i genitori, proprio come i genitori socializzano con loro. COGNIZIONE ED EMOZIONE NEI PROCESSI FAMILIARI →Il ruolo della cognizione nei processi familiari si presenta in molte forme: ad esempio le conoscenze dei genitori, le loro convinzioni e i valori rispetto al loro ruolo genitoriale; la percezione, l’organizzazione e la comprensione da parte dei genitori dei comportamenti e delle convinzioni dei loro bambini. La competenza sociale dei bambini è legata anche alla vita emotiva dei loro genitori. Il sostegno e l’accettazione da parte dei genitori delle emozioni dei loro bambini sono collegati all’abilità dei bambini nel gestire le proprie emozioni in modo positivo. GENITORIALITA’ (PARENTING) →Il ruolo parentale può essere ben pianificato e coordinato con altri ruoli della vita oppure essere una sorpresa allarmante; in entrambi i casi, i futuri genitori possono provare un misto di emozioni e di illusioni romantiche sull’avere un bambino. Un modo per concettualizzare il ruolo genitoriale è pensare ai genitori come ad “amministratori” della vita dei bambini (dall’infanzia fino all’adolescenza). Ad avere tale ruolo “manageriale” è più probabile che siano le madri, rispetto ai padri. Il ruolo “manageriale” è particolarmente importante nello sviluppo socio- emotivo del bambino. I genitori-manager guidano il bambino verso occasioni nuove di conoscenza, contatti  le aspettative che possono venire tradite da genitori e adolescenti. Generalmente i conflitti non raggiungono proporzioni esagerate. La maggior parte dei conflitti riguarda la vita familiare di tutti i giorni, come il tenere pulita la propria stanza, l’indossare vestiti puliti, tornare a casa a una certa ora e non stare ore al telefono. I conflitti di tutti i giorni che caratterizzano le relazioni genitore- adolescente possono avere una funzione positiva nello sviluppo nell’aiutare l’adolescente a operare la transizione dalla dipendenza infantile all’indipendenza adulta. L’adultità emergente è il concetto che si riferisce all’adulto in fase di sviluppo e cioè ai giovani dai 18 ai 30 anni spesso inseriti socialmente nel campo degli studi o in un’attività professionale, oppure in situazioni professionali o personali precarie che vivono ancora con i genitori oppure vivono da soli, ma dai genitori sono ancora dipendenti. Non sono più adolescenti ma nemmeno già adulti. L’adultità in fase di sviluppo in cui si trovano questi giovani non può essere concettualizzata né come tarda adolescenza, perché l’adulto in fase di sviluppo gode di maggior libertà dal controllo esercitato dai genitori, né come un’adultità giovane, il primo gradino dell’entrata nella società, perché altrimenti dovremmo definire l’individuo già adulto quando invece non ha ancora raggiunto quelle tappe fondamentali che lo rendono tale. Sull’adultità emergente ha influenza anche la cultura che può agire sia da facilitazione che da ostacolo. L’esperienza degli adulti in fase di sviluppo ci riconduce alla teoria ecologica di Bronfenbrenner secondo la quale la cultura del macrosistema e le circostanze storico-sociali del crono-sistema possono influenzare l’intero sistema di cerchi concentrici in essi contenuti, condizionando lo sviluppo dell’individuo. FRATELLI → I fratelli possono fornire supporto emotivo e comportarsi come rivali o come partner comunicativi. Una combinazione di genitorialità inefficace e conflittualità tra fratelli tra i 10 e i 12 anni è connessa a un comportamento antisociale e a scadenti relazioni tra pari in adolescenza. I bambini interagiscono in maniera più positiva e più varia con i loro genitori che con i loro fratelli, anche se i fratelli possono esercitare delle influenze socializzanti sul bambino più forti di quelle dei genitori. Il fratello più vecchio è più dominante, competente e influente dei fratelli più giovani; è anche più antagonista e più educativo verso i loro fratelli più giovani. I bambini primogeniti sono più orientati verso l’adulto, servizievoli, conformisti, ansiosi e autocontrollati; essi eccellono nei campi accademici e professionali; hanno anche più sensi di colpa, ansia e difficoltà a fronteggiare le situazioni di stress. I figli unici spesso sono orientati al successo e mostrano una personalità piacevole. I critici sostengono che l’ordine di nascita sia stato esagerato o troppo enfatizzato perché sono diversi i fattori che influenzano il comportamento. Le relazioni tra fratelli variano non solo per ordine di nascita, ma anche in base al numero di fratelli, alle loro età, alla differenza di età e al genere. LA FAMIGLIA CHE CAMBIA IN UN MONDO IN CAMBIAMENTO →Il lavoro può produrre effetti sia negativi che positivi sulla genitorialità, in quanto il lavoro può sia intensificare il livello di stress del genitore, sia dargli un senso di soddisfazione che influisce positivamente sulla genitorialità. Adeguati programmi di dopo scuola fanno la differenza nella vita dei bambini i cui genitori lavorano. Non è tanto la presenza della madre accanto al bambino che cresce ad influire positivamente sul suo sviluppo, quanto piuttosto il fatto che quando è presente sia responsiva e sensibile. Tra le nuove famiglie in crescita ci sono anche quelle con un solo genitore, in particolare la madre, derivanti dalle dissoluzioni familiari. L’età del minore influisce sulle scelte dei coniugi e del giudice relative all’affidamento: al crescere dell’età dei figli aumenta la possibilità che sia il padre il genitore affidatario. Il divorzio può essere un bene se pone fine alla sequela di stress e distruzione associata ad un matrimonio infelice. Sono vari i fattori che influenzano la vulnerabilità ai problemi emotivi e sociali che derivano dal divorzio: ad es. personalità, temperamento, stato di sviluppo e genere. CAPITOLO 13 →I PARI I pari sono i bambini che hanno circa la stessa età e lo stesso livello di maturità. Essi svolgono un ruolo unico nello sviluppo del bambino. Una delle loro funzioni più importanti è di fornire una fonte di informazione e confronto rispetto al mondo al di fuori della famiglia. Dal gruppo dei pari i bambini ricevono dei feedback sulle loro capacità ed è a partire da ciò che gli altri bambini valutano sé stessi e le proprie azioni in termini di migliore, uguale o peggiore. Le interazioni con i pari soddisfano anche dei bisogni socio- emotivi. Anna Freud studiò sei bambini di famiglie diverse che si erano ritrovati insieme dopo aver perso i genitori nella Seconda Guerra Mondiale. Ella osservò un attaccamento intenso tra i bambini che formavano un gruppo saldamente unito. Pur avendo perso i genitori, grazie al legame che stabilirono tra loro non divennero né delinquenti né psicotici. Pertanto le buone relazioni tra i pari possono rilevarsi necessarie allo sviluppo socio-emotivo. Le relazioni tra i pari possono essere sia positive sia negative. Sia Piaget sia Sullivan sostengono che è attraverso l’interazione con i pari che i bambini e gli adolescenti imparano a rapportarsi in modo simmetrico e reciproco. Con i pari, i bambini imparano a formulare e a sostenere le loro opinioni, ad apprezzare le prospettive dei coetanei, a negoziare insieme delle soluzioni ai disaccordi e a sviluppare modelli di condotta reciprocamente accettabili. Inoltre Sullivan sostiene che gli adolescenti imparano a essere compagni abili e sensibili nelle relazioni intime, formando delle amicizie strette con i coetanei selezionati. Coltivare queste abilità può essere d’aiuto nel formare la base per successive relazioni sentimentali e matrimoniali. Al contrario alcuni teorici hanno enfatizzato le influenze negative dei pari sullo sviluppo dei bambini e degli adolescenti. Essere rifiutati o trascurati dai pari induce alcuni bambini e adolescenti a sentirsi isolati e ostili. Pertanto, il rifiuto e la trascuratezza da parte dei coetanei sono connessi ad aspetti di salute mentale e a problemi di delinquenza futuri. Alcuni teorici hanno anche descritto la cultura dei pari come un’influenza negativa che mina i valori e il controllo genitoriali. L’interazione tra pari è influenzata dal contesto, il quale può includere il tipo di pari che interagiscono con il bambino o l’adolescente e la situazione o il luogo. A seconda dei diversi contesti nei quali i bambini e gli adolescenti interagiscono con i pari, essi incontrano diversi messaggi e differenti opportunità di essere coinvolti in comportamenti adattivi o no che possono influenzare il loro sviluppo. In termini di contesti, i pari giocano un ruolo importante nello sviluppo individuale in tutte le culture, anche se a seconda delle culture varia il significato del ruolo di socializzazione dei pari. IL CORSO EVOLUTIVO DELLE RELAZIONI TRA PARI → Alcuni ricercatori sostengono che la qualità delle interazioni tra pari nell’infanzia fornisce delle informazioni preziose sullo sviluppo socio-emotivo. Attorno ai 3 anni i bambini preferiscono già passare il loro tempo con compagni di gioco dello stesso sesso piuttosto che dell’altro sesso e questa preferenza aumenta durante la prima infanzia. In questi stessi anni la frequenza dell’interazione tra pari, sia positive sia negative, aumenta considerevolmente. Nella prima infanzia i bambini distinguono tra amici e non amici. Per la maggior parte dei bambini amico è qualcuno con cui giocare. Quando i bambini entrano nella scuola primaria, la reciprocità diventa molto importante negli scambi tra pari. I bambini giocano, stanno in gruppo e coltivano amicizie. La quantità di tempo che i bambini passano in interazione con i coetanei s’intensifica anche durante la fanciullezza e l’adolescenza. I MODI DISTINTI MA COORDINATI DELLE RELAZIONI TRA GENITORI E FIGLI E TRA PARI → I genitori possono influenzare le relazioni tra pari dei loro bambini in molti modi, sia diretti sia indiretti: ad esempio attraverso le relazioni che loro stessi hanno con i figli, il modo di gestire la vita dei figli e le opportunità che forniscono loro. Uno studio ha evidenziato come il calore, il dare suggerimenti e il fornire opportunità da parte sia della madre sia del padre si collegava alla competenza sociale dei figli e conseguentemente all’accettazione sociale. I ricercatori hanno anche trovato che le relazioni tra pari dei bambini solo collegate alla sicurezza dell’attaccamento e alla qualità della relazione coniugale dei genitori. L’attaccamento precoce al caregiver si connette con la relazione tra pari non solo perché crea la base sicura dalla quale i bambini possono partire per esplorare le relazioni sociali al di là della famiglia, ma anche perché mette a disposizione un modello operativo interno delle relazioni. Sebbene le relazioni genitore-bambino influenzino le successive relazioni tra pari, i bambini imparano altri modi di rapportarsi anche attraverso le loro relazioni con i pari e il successo o il fallimento delle relazioni di attaccamento tra adolescente e genitore non necessariamente sono predetti dal successo o dal fallimento delle relazioni tra pari. In breve, i mondi di genitori e figli e dei pari sono coordinati e connessi ma anche distinti. COGNIZIONE SOCIALE ED EMOZIONE→ Le relazioni tra pari non sono fatte solo di emozioni e di comportamenti, ma anche di cognizione rispetto alle situazioni sociali. Quando i bambini iniziano la scuola primaria, aumenta sia l’interazione con i pari sia la loro capacità di acquisire prospettive diverse. L’abilità di perspective taking implica la capacità di assumere la prospettiva di un’altra persona e di comprendere i suoi pensieri e sentimenti. Questa capacità è importante perché aiuta i bambini a comunicare con efficacia. Il ricercatore Kenneth Dodge sostiene che i bambini passano attraverso cinque fasi nell’elaborare l’informazione che riguarda il loro mondo sociale: decodifica degli stimoli sociali, interpretazione, ricerca di una risposta, selezione della risposta ottimale e messa in atto della risposta. Nel corso dello sviluppo bambini e adolescenti acquisiscono sempre più conoscenza sociale e c’è una considerevole variazione individuale in ciò che un bambino o un adolescente sa a proposito di cosa serve per fare amicizia, per convincere i coetanei a piacersi e così via. GLI STATUS TRA PARI → Lo status sociometrico (termine che descrive il grado attraverso cui un bambino piace al gruppo dei pari) generalmente si valuta chiedendo ai bambini di stimare quanto gradiscono o non gradiscono ogni loro compagno di classe. Si può valutare anche chiedendo ai bambini di nominare i compagni che a loro piacciono di più e quelli che piacciono di meno. I teorici dello sviluppo hanno distinto cinque categorie: o I bambini popolari: bambini che sono spesso nominati come migliori amici e raramente sono antipatici ai loro compagni. Questo tipo di bambini hanno molte abilità sociali che contribuiscono al loro essere amati. o I bambini medi: bambini che ricevono un numero medio simile di nomine positive e negative da parte dei loro compagni. o I bambini trascurati: bambini che vengono raramente citati come migliori amici ma non sono rifiutati dai compagni. Questo tipo di bambini hanno una bassa frequenza d’interazione con i loro compagni e sono spesso descritti da quest’ultimi come bambini timidi. o I bambini rifiutati: bambini che sono raramente citati come migliori amici e che sono respinti dai loro compagni. Questo tipo di bambini hanno quasi sempre problemi di adattamento più seri dei bambini trascurati. o I bambini controversi: bambini che sono frequentemente citati sia in qualità di migliori amici di qualcuno sia in qualità di bambini rifiutati. Un’analisi di John Coie fornisce tre ragioni per spiegare i problemi nelle relazioni sociali dei ragazzi aggressivi rifiutati dai pari: 1. I ragazzi rifiutati e aggressivi sono impulsivi e hanno problemi nel mantenere l’attenzione, di conseguenza, è più probabile che siano distruttivi durante le attività in classe e nei gruppi concentrati su un gioco; 2. I ragazzi rifiutati e aggressivi sono emotivamente più reattivi, si arrabbiano più facilmente ed è probabile che abbiano difficoltà nel calmarsi una volta arrabbiati; 3. I bambini rifiutati hanno meno abilità sociali nel trovare degli amici e nel mantenere relazioni positive con i pari. o Il gioco d’esercizio → Gioco che implica la ripetizione di un comportamento quando vengono apprese nuove abilità o quando vengono richiesti un controllo fisico o mentale e la coordinazione per dei giochi o per degli sport. Il gioco senso-motorio, che spesso prevede il gioco applicato, è relegato soprattutto all’infanzia, mentre il gioco d’esercizio può essere utilizzato per tutta la vita. o Il gioco di finzione o simbolico → Si presenta quando il bambino trasforma l’ambiente fisico in qualcosa di simbolico. Questo gioco di finzione appare spesso ai 18 mesi e raggiunge un picco tra i 4 e i 5 anni di età, poi gradualmente declina. Alcuni psicologi dello sviluppo ritengono che il gioco di finzione rappresenti un aspetto molto importante dello sviluppo infantile che spesso riflette progressi nello sviluppo cognitivo, specialmente nella capacità di comprensione simbolica. o Il gioco sociale → Prevede un’interazione con i pari. Il gioco sociale con i pari aumenta moltissimo durante gli anni prescolari e include vari interscambi come l’alternanza dei turni, il conversare su diversi argomenti, i giochi sociali e le routine e il gioco fisico. o Il gioco costruttivo → Gioco che mette insieme le attività senso-motorie con le rappresentazioni simboliche delle idee. Il gioco costruttivo lo fanno i bambini quando si concentrano nella creazione o costruzione autoregolata di un prodotto o nella soluzione di un problema. Il gioco costruttivo aumenta negli anni prescolari quando aumenta il gioco simbolico e diminuisce quello senso- motorio. o I giochi strutturati → Attività in cui ci si impegna per piacere e che prevedono delle regole e spesso la competizione con uno o più individui. I bambini in età prescolare possono cominciare a partecipare a giochi sociali che prevedono delle semplici regole di reciprocità e di alternanza dei turni. L’AMICIZIA→ L’amicizia soddisfa sei funzioni:  La compagnia  La stimolazione  Il supporto fisico  Il supporto all’Io  Il confronto sociale  Intimità/affetto Harry Sullivan è stato il teorico più influente nella discussione sull’importanza dell’amicizia. Egli sosteneva che anche gli amici giocano dei ruoli importanti nella formazione del benessere e dello sviluppo nell’infanzia e nell’adolescenza. Secondo Sullivan, tutti abbiamo dei bisogni sociali di base, inclusi i bisogni di tenerezza, di una compagnia allegra, di un’accettazione sociale, di intimità e di relazioni sessuali. Il fatto che queste esigenze siano o meno soddisfatte determina ampiamente il nostro benessere emotivo. Egli sosteneva che il bisogno di intimità aumenta durante la prima adolescenza, motivando i teenager alla ricerca di amicizie strette. Gli amici spesso hanno attitudini simili verso la scuola, aspirazioni formative simili, amano la stessa musica ecc. Le differenze possono portare a conflitti che indeboliscono l’amicizia. Le priorità cambiano quando i bambini raggiungono l’adolescenza. Nella maggior parte degli studi di ricerca, l’intimità in amicizia è definita come il confidarsi o il condividere dei pensieri privati; come indice d’intimità è stato utilizzato ciò che si sa della vita privata dell’amico. Gli adolescenti che hanno amici più grandi tendono ad essere incoraggiati a intraprendere comportamenti delinquenziali o ad avere relazioni sessuali precoci (comportamenti devianti). Non si sa se sia il compagno più grande a indirizzare l’adolescente verso un comportamento deviante o se l’adolescente abbia con una predisposizione verso un comportamento deviante cerchi l’amicizia dei più grandi. LE RELAZIONI TRA PARI IN ADOLESCENZA → In adolescenza il conformarsi alla pressione dei pari può essere positivo o negativo. I teenager possono arrivare a mettere in atto qualsiasi tipo di comportamento conformista negativo. Tuttavia il conformismo di per sé non è negativo e riflette il desiderio di sentirsi coinvolti nel mondo dei pari. Durante l’adolescenza, soprattutto nella prima adolescenza, ci si conforma di più ai modelli dei pari di quanto si faccia nell’infanzia. Gli adolescenti incerti della propria identità sociale, che possono avere bassa autostima e alta tensione sociale, sono più inclini a conformarsi ai apri. I pari è più probabile che si conformino ai compagni quando sono in presenza di qualcuno il cui status è percepito come più alto del proprio. Il bisogno di fare quello che fanno gli altri può indurre gli adolescenti a cimentarsi in comportamenti a rischio per la salute fisica e, in generale, per il benessere psicologico e sociale. Infatti lo sviluppo dell’identità da una parte e il desiderio di partecipare al gruppo dei pari dall’altra sono all’origine dei più pericolosi comportamenti a rischio diventati sempre più frequenti tra gli adolescenti. I gruppi selezionati sono dei piccoli gruppi che vanno da 2 a 12 persone con una media di 5 a 5 individui. I gruppi scelti possono formarsi per amicizia o perché gli individui si ritrovano in attività simili, i partecipanti generalmente sono dello stesso sesso e hanno pressappoco la stessa età. I gruppi allargati o “compagnie” sono una struttura più grande del gruppo selezionato. Gli adolescenti in genere diventano membri di un gruppo allargato scegliendolo sulla base della sua reputazione e possono o meno passarci molto tempo. Molti gruppi allargati sono definiti in base alle attività che gli adolescenti vi svolgono. CAPITOLO 14 →LA CULTURA Il termine cultura si riferisce all’insieme di comportamenti, modelli, credenze e prodotti di un particolare gruppo di persone che vengono tramandati di generazione in generazione e sono il risultato dell’interazione tra i gruppi di individui e il loro ambiente nel corso di molti anni. Lo studioso cross-culturale Richard Brislin ha descritto varie caratteristiche della cultura:  La cultura è fatta di ideali, valori e assunzioni sulla vita che guidano il comportamento delle persone;  La cultura consiste di quegli aspetti dell’ambiente che sono fatti dalle persone;  La cultura viene trasmessa di generazione in generazione e la responsabilità della trasmissione è assegnata ai genitori, insegnanti e leader sociali;  L’influenza della cultura diventa ben evidente nel confronto tra persone provenienti da background culturali molto diversi;  Nonostante i compromessi, valori culturali permangono;  Quando i valori culturali sono violati o le aspettative vengono ignorate, le persone reagiscono emotivamente;  Non è insolito che le persone accettino un valore culturale a un certo punto della loro vita e lo rifiutino a un altro. La cultura è riflessa negli atteggiamenti delle persone e nei modi attraverso i quali essi interagiscono con i bambini. Nonostante tutte le differenze fra le culture, la ricerca dello psicologo Donald Campbell e dei suoi collaboratori ha evidenziato che le persone di tutte le culture tendono a:  Credere che ciò che accade nella loro cultura sia “naturale” e “giusto” e che ciò che accade nelle culture altrui sia “innaturale” e “sbagliato”;  Percepire le proprie usanze come universalmente valide;  Avere dei comportamenti che favoriscono il proprio gruppo culturale;  Provare ostilità verso gli altri gruppi culturali. Le persone di tutte le culture tendono a essere etnocentriche, favorendo il proprio gruppo culturale a scapito degli altri. Purtroppo l’etnocentrismo ha influenzato anche scienziati e studiosi. Gli studi cross-culturali sono studi che mettono a confronto una cultura con una o più culture diverse. Tali studi forniscono informazioni su quanto lo sviluppo dei bambini è simile, o universale, tra le culture, e quanto è specifico di una determinata cultura. Negli studi sulle culture, la ricerca dei tratti di base si è focalizzata sui concetti di individualismo e collettivismo. o Individualismo: significa dare priorità agli obiettivi personali piuttosto che a quelli del gruppo; enfatizza i valori del servizio del sé, come il sentirsi bene, la differenziazione e il successo personale, e l’indipendenza. o Collettivismo: enfatizza i valori che sono al servizio del gruppo, subordinando gli obiettivi personali alla salvaguardia dell’integrità del gruppo, dell’interdipendenza dei membri e delle relazioni armoniose. I confronti fra culture diverse evidenziano che ai bambini cresciuti in culture individualistiche vengono insegnati valori e concetti di sé diversi rispetto ai bambini cresciuti in culture collettivistiche. I riti di passaggio sono delle cerimonie o rituali che segnano la transizione di un individuo da uno status a un altro, soprattutto allo stadio di adulto. Alcune società hanno riti di passaggio elaborati che segnalano il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, mentre altre non li hanno. In molte culture premoderne i riti di passaggio sono la via attraverso cui gli adolescenti guadagnano l’accesso alle pratiche solenni dell’adulto, al sapere e alla sessualità. Questi riti implicano delle pratiche drammatiche finalizzate a facilitare la separazione dell’adolescente dai familiari più stretti, in particolare dalla madre. La trasformazione generalmente è caratterizzata da alcune forme rituali di morte e rinascita, o tramite il contatto con il mondo spirituale. Si formano legami tra l’adolescente e gli istruttori adulti attraverso riti, pericoli e segreti condivisi che permettono all’adolescente di entrare nel mondo degli adulti. Lo status socio-economico (SES) è la categorizzazione basata sull’insieme di caratteristiche occupazionali, educative ed economiche di una persona. Lo status socio-economico implica diverse diseguaglianze in quanto denota la posizione della persona, o della famiglia, all’interno di un sistema sociale in cui valori della società, come il prestigio professionale, il grado di istruzione, le risorse economiche, il potere e l’accesso alle informazioni, non sono uniformemente distribuiti. Il numero dei differenti status socio-economici dipende dalle dimensioni della comunità e dalla sua complessità. La maggior parte delle ricerche sullo status socio- economico delinea due categorie: basso e medio status. Recentemente lo status socio-economico è spesso assimilato impropriamente al livello socio-culturale (LSC) che, invece, è un costrutto più ampio comprendente anche i concetti di capitale sociale e capitale culturale: il capitale sociale consiste nelle risorse conseguenti alle relazioni e agli scambi con le altre persone, mentre il capitale culturale si riferisce alla conoscenza dei codici culturali rilevanti per la società in cui l’individuo opera e a comportamenti abituali non necessariamente legati alle attività lavorative e di sostentamento. Lo status socio-economico dei genitori è probabile che sia collegato al quartiere e alle scuole in cui il bambino, rispettivamente, vive e frequenta. Per quanto riguarda le differenze socio-economiche nella vita della famiglia, si traducono in differenze nell’accudimento del bambino. Come i loro genitori, i bambini con un background socio-economico basso sono ad alto rischio per la sperimentazione di problemi mentali Vivere in povertà ha molti effetti psicologici sia sugli adulti sia sui bambini.  I poveri sono senza poteri.  I poveri spesso sono vulnerabili ai disastri.  Il range di alternative è spesso ristretto.  Diventare poveri significa avere poco prestigio e questo viene trasmesso dai genitori ai figli.