Scarica Riassunto del libro “Ragione e Fede”, Teologia I e più Dispense in PDF di Teologia solo su Docsity! 1) LA BIBBIA Introduzione • La Bibbia è il libro più famoso e più tradotto al mondo. • La Bibbia si è formata all’interno di una specifica cultura e di una specifica civiltà: quella ebraica. • La Bibbia, come ogni documento scritto, ha avuto una storia nella quale si è formata dando vita al risultato che oggi sta sotto ai nostri occhi. • All’origine delle testo c’è innanzitutto la storia che un popolo ha vissuto, successivamente questa storia è stata tramandata attraverso tradizioni orali ed infine si è arrivati a una codificazione scritta di queste tradizioni. Modulo 1: che cos’è la Bibbia? Bibbia = insieme di libri —> il termine “Bibbia” infatti è un nome plurale poiché deriva dal greco tà biblià (“i libri”). Nelle lingue moderne si indica la Bibbia anche con i termini “Scrittura” o “Sacra Scrittura”. Struttura e suddivisone della Bibbia: La Bibbia cristiana si suddivide in 2 grandi parti: Antico Testamento e Nuovo Testamento. “Testamento” —> deriva dalla parola ebraica berít che significa “alleanza” o “patto” e più precisamente un patto tra 2 persone di rango diverso (es: re e vassallo) —> le 2 parti della Bibbia perciò si potrebbero chiamare “Antica Alleanza” e “Nuova Alleanza”; infatti esse indicano rispettivamente il patto che Dio stabilì con il popolo d’Israele e quello che Dio, attraverso Gesù, stabilì con tutti i popoli. Fino alla fine del II sec. d.C. —> no Antico e Nuovo Testamento, si indicava la Bibbia con il termine generico “Scritture” (graphài). Di recente si è diffusa la preferenza ad usare i termini “Primo Testamento” e “Secondo Testamento” —> termini neutri che indicano semplicemente la successione cronologica delle 2 parti. Gli aggettivi “antico” e “nuovo” danno l’idea di una differenza qualitativa —> quasi come se si dovesse preferire la la cosa nuova a quella vecchia. In realtà le 2 parti della Bibbia hanno eguale importanza e valore e si chiariscono e spiegano a vicenda. L’Antico Testamento: La prima parte della Bibbia cristiana coincide con la Bibbia ebraica. Si tratta perciò di un testo ch ebrei e cristiani hanno in comune. La Bibbia ebraica Al termine “Bibbia” nell’ ebraismo si preferiscono le seguenti espressioni: 1 • “lettura” (miqrà) —> che allude alla proclamazione pubblica del testo biblico durante la preghiera in sinagoga. • “libri di santità” (sifré ha-qodésh) —> che si riferisce al fatto che il testo biblico è stato ispirato da Dio. • TaNaK —> sigla ottenuta unendo le lettere d’iniziali delle 3 parole che indicano rispettivamente le 3 parti in cui la Bibbia ebraica è suddivisa: Torah (Legge), Nevim (Profeti), Ketuvim (gli Scritti). Ecco come si articola la Bibbia ebraica che comprende 24 libri: a) Torah (la Legge) —> comprende 5 libri: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio b) Nevim (i Profeti) —> comprende 8 libri suddivisi in 2 gruppi: - Profeti anteriori: Giosuè, Giudici, Samuele, Re - Profeti Posteriori: Isaia, Geremia, Ezechiele, 12 profeti minori c) Ketuvim (gli Scritti) —> comprende 11 libri: Salmi, Giobbe, Proverbi, Rut, Cantico dei Cantici, Qohelet, Lamentazioni, Ester, Daniele, Esdra e Neemia, Cronache La Bibbia Cristiana L’Antico Testamento comprende 46 libri così suddivisi: a) Pentateuco —> comprende i primi 5 libri della Bibbia: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio b) Libri Storici —> 16 libri: Giosuè, Giudici, Rut, 1 Samuele, 2 Samuele, 1 Re, 2 Re, 1 Cronache, 2 Cronache, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester, 1 Maccabei, 2 Maccabei c) Libri Sapienziali —> 7 libri: Giobbe, Salmi, Proverbi, Qohelet, Cantico dei Cantici, Sapienza, Siracide d) Libri Profetici —> 18 libri suddivisi in due gruppi: - Profeti Maggiori: Isaia, Geremia, Lamentazioni, Baruc, Ezechiele, Daniele - Profeti Minori: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia La differenza tra la Bibbia ebraica e l’Antico Testamento cristiano consiste nel numero dei libri: 24 in quella ebraica e 46 nell’ Antico Testamento. Questa disparità si spiega sostanzialmente per 3 motivi: 1) Il cristianesimo antico ha incluso nella Bibbia 7 libri che non sono invece compresi in quella ebraica —> Tobia, Giuditta, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide e Baruc. 2) Alcuni libi della Bibbia cattolica che sono distinti costituiscono invece nella Bibbia ebraica un solo libro —> es: Samuele, Re, Cronache, Esdra/Neemia. 2 Modulo 2: la trasmissione della Bibbia Il testo della Bibbia: Di nessun testo antico è giunto fino a noi l’originale. I documenti più antichi in nostro possesso sono copie (apografi), spesso distanti dall’originale (autografo) alcuni secoli —> vale anche per la Bibbia Il continuo processo di copiature perché i manoscritti si deterioravano con facilità e in breve tempo hanno causato una notevole quantità di errori di trascrizione e di varianti. Critica testuale = scienza biblica che si occupa di capire se il testo biblico in nostro possesso oggi sia sufficientemente fedele all’originale, ma anche di ricostruire la forma più vicina possibile al testo originale o autografato. Materiale e tecniche di scrittura: • Primi documenti scritti —> Sumeri —> tavolette d’argilla • Egiziani —> introdussero un nuovo materiale vegetale: il papiro —> i rotoli di papà iro divennero il materiale di scrittura comune anche nell’antico Israele. • I secolo a.C. —> Persiani —> uso della pergamena (fogli di pelle animale) • I secolo d.C. —> codice —> vantaggi di praticità: si poteva scrivere su entrambi i lati del foglio, si poteva consultare il foglio con estrema facilità e velocità. Sia gli originali che le coppie più antiche dei libr biblici furono scritte utilizzando come supporto materiale il papiro o la pergamena e come forma di rilegatura i rotoli o i codici. • VIII secolo d.C. —> fu introdotta la carta —> usata per i manoscritti della Bibbia solo dal XIII secolo in avanti. Il testo dell’Antico testamento: La storia della costituzione e della trasmissione del testo dell’Antico Testamento si suddivide in 3 periodi: 1) Fino al I secolo a.C. Circolarono molte versioni tra loro differenti dell’Antico Testamento in lingua ebraica e la situazione era del tutto instabile. Da una di queste versioni fu realizzata nel III secolo a.C. Una traduzione greca (detta LXX) molto importante perché fu il testo di riferimento per i primi cristiani. 2) A partire dal I secolo a.C. Si impose la necessità di procedere a una fissazione più precisa del testo biblico. Secondo numerose testimonianze del periodo si può affermare che una prima forma testuale precisa cominciò a riscuotere una certa unanimità, affermandosi sulle alte. Il testo in questione oggi è definito testo protomasoretico. 3) Dal 500 al 900 d.C. si giunge alla versione definitiva dell’Antico Testamento in ebraico e aramaico detta testo masoretico —> fu il risultato di un lavoro immane nel quale gli scribi ebrei 5 stabilirono e fissarono non solo la forma scritta del testo ma anche la sua corretta pronuncia. Per fare questo essi introdussero dei nuovi segni grafici per indicare le vocali (trattini e puntini posti sopra e sotto le vocali), visto che l’alfabeto e la scrittura ebraica erano composti solo da consonanti. Infatti le vocali, che nella lingua ebraica esistevano come suoni, venivano aggiunte al momento della lettura di ciascuna parola. Il testo del Nuovo Testamento: Già molto presto sono documentate 4 grandi versioni in lingua greca del testo del Nuovo Testamento: 1) Testo alessandrino —> formatosi in Egitto, testo più breve e più vicino all’originale 2) Testo occidentale —> in uso nelle comunità cristiane d’Occidente 3) Testo cesariense —> risale al III secolo d.C. Ed è di origine medio-orientale 4) Testo bizantino —> in uso nelle comunità orientali, la sua esistenza è documentata con una certa unanimità a partire dal V secolo d.C. Già molto presto si sentì la necessità di avere una traduzione del Nuovo Testamento in lingua latina: • A partire dal II secolo d.C. È documentata l’esistenza e la diffusione di una versione latina detta Vetus latina —> predisposta e utilizzata nella penisola italica e in Africa dove la maggior parte della popolazione parlava sempre meno il greco. Questa versione ci è giunta in forma solo parziale e frammentaria. Non è chiaro se in questo periodo esistessero più versioni del Nuovo Testamento in latino: in tal caso con Vetus latina si indicherebbe un insieme di versioni differenti e non un testo ben preciso. • Alla fine del IV secolo d.C. San Girolamo realizzò una nuova versione in latino detta Volgata, basandosi sul testo ebraico dell’Antico Testamento e sulle versioni greche del Nuovo Tetsamento. A partire dal VIII-IX secolo d.C. La Volgata si impose sulla Vetus latina. Nel 1546 il Concilio di Trento la dichiarò testo di riferimento per la Chiesa cattolica. I testimoni dell’Antico Testamento: “Testimoni” = scritti più antichi giunti sino a noi, riportanti in tutto o in parte il testo della Bibbia. Essi si dividono in: • Testimoni diretti —> manoscritti che rimportano lunghe parti testuali, legionari che riportano porzioni più brevi di testo. • Testimoni indiretti —> citazioni bibliche contenute in opere letterarie di scrittori antichi. Testo pre-masoretico = testo in circolazione nei primi 2 periodi della storia di costituzione del testo dell’Antico Testamento. 6 I manoscritti più importanti che riportano il testo pre-masoretico sono i manoscritti di Qumran: • Scoperta più sensazionale del XX secolo per quanto riguarda il testo della Bibbia • Ritrovati nel 1947 da un pastore che scoprì per caso, sulla riva occidentale del Mar Morto, alcune grotte che nascondevano delle giare contenenti diversi rotoli di pergamena. • Questi manoscritti risalgono al periodo che va tra il 150 a.C. e il 68 d.C. —> ci consento di care un salto all’indietro di quasi 1000 anni. • Vennero ritrovati i rotoli completi del libro di Isaia e dei Salmi. • Questa scoperta consente di vedere come il testo masoretico esistesse già in epoca pre- cristiana come una delle tante versioni del testo pre-masoretico, ma senza essere la versione prevalente. Testo masoretico = testo in circolazione nel terzo ed ultimo i periodo di formazione del testo dell’Antico testamento. I manoscritti più importanti che riportano il testo masoretico sono: • Codice di Pietroburgo —> più antico manoscritto intero della Bibbia ebraica, risale al 1008-1009 d.C. E di torva al British Museum. • Codex Prophetarum —> contiene solo i profeti anteriori e posteriori, risale all’895 d.C. E si trova al Cairo. • Codice di Aleppo —> parzialmente distrutto, risale al 925-930 d.C. e si trova all’Università ebraica di Gerusalemme. Per quanto riguarda le edizioni nuove dell’Antico Testamento: solo nel XVIII secolo si avvertì l’esigenza di confrontare tra loro le diverse varianti contenute nei diversi manoscritti conservati. L’enorme lavoro di catalogazione dei vari manoscritti e di registrazione delle loro varianti (collazione) fu condotto in modo massiccio durante il XIX secolo. Solo nel XX secolo di giunse alle prime edizioni critiche della Bibbia = edizioni nelle quali ci si basa su un unico manoscritto, ma riportando nelle note a piè di pagina le principali varianti documentata e dagli altri manoscritti. La principale edizione critica oggi disponibile è la Biblia Hebraica Stuttgartensia, curata da K. Ellinger e W. Rudolph e pubblicata nel 1997. Essa si basa sul codice di Pietroburgo, attualmente è in pubblicazione una nuova edizione critica curata dall’Università ebraica di Gerusalemme che si basa sul codice di Aleppo. I testimoni del Nuovo Testamento: Il numero di manoscritti ad oggi disponibili riguardo il testo del Nuovo Testamento è di 5000 documenti. Tra questi vi sono 2 gruppi di manoscritti di grandissima importanza: 1) I papiri —> sono circa 96, provengono dall’Egitto e datano tra il II e l’VIII secolo. Si indicano con la lettera “P” seguita da un numero ad esponente (es: P45). I più importanti sono: 7 I manoscritti antichi non presentano alcuna suddivisione del testo biblico in capitoli o versetti. Nei manoscritti antichi non vi è nemmeno la punteggiatura che fu aggiunta molti secoli più tardi. Modulo 3: la formazione della Bibbia Per poter capire come si è formata la Bibbia è necessario conoscere gli eventi salienti della storia d’Israele, cioè di quel periodo nel quale il testo biblico si è andato formando, a partire dalle tradizioni orali sino alla fissazione scritta definitiva. La parte di storia del popolo ebraico che ci interessa è quella prima lunga porzione di storia che va dalle origini del popolo alla diaspora del 135 d.C. e che prende il nome di “fase biblica” della storia di Israele. Storia di Israele: La fase biblica della storia di Israele si divide in 3 grandi periodi: 1. Periodo pre-monarchico (dalle origini al XI secolo a.C.) Solitamente si indica questo periodo come la serie di avvenimenti legati ai patriarchi e più tardi alla figura di Mosè. All'origine del popolo ebraico starebbe la figura di Abramo, collocata nel 1800 a.C. migrato dalla Mesopotamia alla terra promessa, di suo figlio sacco e del figlio di questi, Giacobbe. I figli di Giacobbe, famoso è Giuseppe, si sarebbero poi stabiliti in Egitto dove nel corso del tempo sarebbero divenuti una discendenza sfruttata, dedita a lavori pesanti e poco retribuiti, finché uno di loro, Mosè, attorno al 1250 a.C. avrebbe liberato il popolo dagli Egizi conducendolo di nuovo nella terra di Canaan. Qui avrebbe avuto luogo la conquista faticosa del territorio sotto la guida prima di Giosuè e poi dei Giudici, sino alla costituzione della monarchia nel 1030 a.C. Durante il ritorno in patria, Mosè avrebbe ricevuto da Dio le tavole dell'alleanza. Questa versione dei fatti e però una tradizione religiosa, cioè una rilettura che il popolo fece del proprio passato alla luce della propria fede. Non si tratta di una ricostruzione storica, poiché di questi fatti mancano documenti che ci aiutino a capire cosa possa essere accaduto e a datare i fatti con una certa precisione. Quali dati storici si possono riconoscere dietro queste tradizioni dei patriarchi e di Mosè? La testimonianza storica più antica riguardo agli ebrei è la stele di Merenptah, faraone dal 1213 a.C. al 1203 a.C., ritrovata nel 1896, dove si riporta la vittoria del faraone in una campagna militare nella terra di Canaan e si menziona il popolo ebraico, il cui nome è associato ad un ideogramma che veniva utilizzato dagli Egizi per identificare le popolazioni nomadi. L'evento militare di cui si parla è datato dalla stele attorno al 1209-1208 a.C. Si può perciò facilmente dedurre che il popolo di Israele abbia avuto origine da una serie di tribù seminomadi stanziatesi in Canaan. 10 • La migrazione in Egitto, cosi come la successiva "uscita", dovettero riguardare poche tribù e non avvennero in un giorno solo. • È poco probabile che l'intero esercito egizio si sia mobilitato in massa per inseguire dei gruppi etnici di dimensioni modeste. • Non è possibile individuare con certezza il tragitto esatto seguito da questi gruppi per tornare in Canaan. • Per quanto riguarda l'occupazione della terra non si trattò di una campagna militare: le testimonianze archeologiche dell'epoca ci presentano infatti un territorio poco abitato, con le grandi città (Arad, Ai, Gerico) ormai disabitate. Sono state elaborate negli ultimi decenni tre grandi ipotesi storiche per spiegare la conquista della terra di Canaan: 1. Alla fine degli anni '30 s'impose la teoria dell'infiltrazione graduale e pacifica (A. Alt e M. Noth): gruppi di tribù seminomadi si sarebbero insediati gradualmente e senza scontri nelle zone meno popolate della regione. 2. Negli anni ’60 si formulò la teoria della rivoluzione sociale (G.E. Mendenhall e N. K. Gottwald): classi contadine si sarebbero rese indipendenti dalle città-stato e dal loro sistema sociale con cui si erano andate trovando sempre più in contrasto, dando, cosi vita gradualmente al popolo di Israele. Qui non vi sarebbe stata né una conquista, ne un' infiltrazione. 3. Recentemente è stata proposta la teoria dello sviluppo sociale (N.P. Lemche): un’ evoluzione della società avrebbe portato le classi contadine a lasciare le pianure e a trasferirsi nelle zone montagnose fondando nuove comunità agricole e dando vita ad una nuova coscienza della propria identità di gruppo sociale. Le scoperte archeologiche testimoniano in ogni caso un grande cambiamento avvenuto attorno al XIII secolo a.C. con un significativo declino delle città organizzate ed un conseguente sviluppo delle campagne organizzate in modo tribale. 2. Periodo monarchico (1030-587 a.C.) La nascita della monarchia fu un'esigenza dettata dalla necessità per le tribù, ancora relativamente autonome tra loro, di trovare un'unità e una forte coordinazione a causa della minaccia esterna rappresentata dalla presenza sempre più problematica dei Filistei, il cui bisogno di espansione era pari alla loro superiorità militare dovuta all'uso del ferro nella costruzione delle proprie armi. Poche notizie ci informano del primo re, Saul, che non poteva ancora disporre di un esercito né di una vera e propria organizzazione statale. 11 Alla sua morte gli succedette come re David (1010 a.C.) che seguì una politica dell’unificazione tra i due grandi gruppi di tribù: quello del sud (Giuda) e quello del nord (Israeliti). L'unificazione fu cercata proponendo il culto di Jhwh come divinità nazionale (non erano ancora monoteisti ma erano enoteisti ovvero ritenevano che ci fosse una divinità più importante tra le altre) e scegliendo come capitale del regno Gerusalemme, città situata geograficamente in posizione strategica e che non era ritenuta propria né dalle tribù del sud, né da quelle del nord, in modo da non creare rivalità tra i due gruppi. Uno dei numerosi figli di Davide, Salomone, gli succedette al trono alla sua morte (970 a.C.). Egli fece costruire 'imponente tempio di Gerusalemme che conferì alla capitale un'indiscussa importanza religiosa e sviluppò un notevole apparato amministrativo ed organizzativo. Tensioni sociali dovute alla sua particolare politica fiscale e alla sua eccessiva indulgenza verso i culti pagani riattizzarono le rivalità tra gruppi del sud e del nord. Cosi alla sua morte (930 a.C.) il regno si divise in due. Si arrivo cosi alla creazione di due piccoli stati indipendenti: il regno di Giuda a sud, il regno di Israele al nord. Al nord i sovrani erano per lo più scelti dai profeti e ciò rese Israele una monarchia elettiva, con qualche eccezione dovuta a pochi casi in cui si arrivo ad imporre, ma per poche generazioni, una successione di tipo dinastico. La vicina potenza degli Assiri divenne minacciosa quando essi sotto il regno di Tiglat- Pilezer III (745-727 a.C.) intrapresero una aggressiva politica espansionistica. Israele divenne uno Stato vassallo, ma i rapporti peggiorarono e il re assiro Sargon Il nel 721 a.C. invase il regno di Israele trasformandolo in una provincia assira, deportando parte della popolazione in Assiria, introducendo popolazione non israelita sul territorio e modificando usi e costumi, secondo una prassi assira ben collaudata che aveva lo scopo di minare l'identità etnica e nazionale dei territori conquistati per sventare eventuali sentimenti di rivolta e di indipendenza (come Putin sta facendo oggi). Nel 721 a.C. il regno del nord cessava perciò di esistere. Il regno del sud riuscì a mantenere il proprio ruolo di Stato vassallo degli Assiri, finché questi nel 612 furono sconfitti dai Babilonesi che subentrarono loro modificando cosi il quadro geopolitico della regione del Vicino Oriente. Il regno di Giuda si venne così a trovare tra due grandi regni: l' Assiria e l'Egitto. Tutta la politica dei sovrani che si avvicendarono al sud oscillò continuamente tra il vassallaggio nei confronti di uno o dell'altro impero, cercando sempre un delicato equilibrio che però era impossibile da raggiungere. All'inizio del VI secolo a.C. prevalse alla corte dell'ultimo re di Giuda, Sedecia, che era filo- egiziano. Il re babilonese Nabucodonosor decise di intervenire e dopo due anni di assedio conquistò Gerusalemme nel 587 a.C. Gran parte della popolazione venne esiliata (esilio babilonese) , la città fu devastata e il tempio venne distrutto. A Babilonia la condizione dei deportati era tutt'altro che negativa, consentendo agli ebrei notevole libertà e possibilità di emancipazione sociale ed economica. Tuttavia questa esperienza muto radicalmente la religione e la cultura ebraica: per salvaguardare la propria specificità etnico-religiosa tra gli ebrei s'intensificarono e acquisirono un'importanza 12 invaso dagli Assiri si sarebbe costituito il nucleo di questa tradizione che sarebbe poi stato rivisto e integrato dopo la caduta di Gerusalemme. - Durante l'esilio (VI secolo a.C.), stimolata dalla tragicità dei fatti storici in corso, nasce una nuova riflessione sul passato che spinge ad operare una nuova rilettura della storia d'Israele, dalla creazione fino alla morte di Mosè: si tratta della tradizione sacerdotale, cosi chiamata perché nata all'interno dei circoli sacerdotali. Caratteristica distintiva di questa rilettura è l'individuazione nella storia passata di tre fondamentali alleanze: Noè, Abramo, Mosè. L'osservanza delle feste e dei riti religiosi assume un ruolo di primo piano; si tratta infatti di salvaguardare l'identità etnico-religiosa del popolo ebraico nella nuova situazione storica dove non vi sono più né una terra, né un preciso luogo di culto. - Le leggi cultuali vengono raccolte nel libro del Levitico ( uno dei libri più difficili da leggere). - In questo periodo sono attivi i profeti Ezechiele e il Deutero-Isaia. - Dopo l'esilio, durante il V secolo a.C., viene compiuto un enorme lavoro di fusione delle quattro tradizioni esistenti (jahwista, elohista, deuteronomista, sacerdotale), mantenendo come traccia di base il filo conduttore della tradizione sacerdotale. Da questo lavoro nasce l'attuale Pentateuco (Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio). - Alla fine del V secolo a.C. si rilegge l'intera storia di Israele alla luce degli ultimi eventi (il ritorno in patria dopo l'esilio): nasce la redazione storica del cronista (1-2 Cronache, Esdra, Neemia) che comprende il periodo che va dalla creazione alla ricostruzione avviata dopo il ritorno dall'esilio. - L’idea teologica che caratterizza quest'opera è la centralità del culto come fonte di vita e di salvezza per il popolo ebraico. - Nel periodo post-esilico la letteratura sapienziale, che già esisteva prima, conosce uno sviluppo significativo e una nuova fioritura. Si completano e si fissano le raccolte dei Proverbi e dei Salmi, vengono scritti il libro di Giobbe e il Cantico dei Cantici. Si sviluppa il genere letterario detto Midrash, cioè il racconto che unisce liberamente dati storici e leggenda, con intento morale, didattico ed edificante (Rut, Tobia, Giuditta, Ester, Giona). - Nel IV secolo a.C. con la figura del Deutero-Zaccaria termina l'esperienza della profezia nella storia dell'ebraismo. - Nel II secolo a.C. si scatena la persecuzione religiosa di Antioco IV Epifane, re della Siria. I libri dei Maccabei narrano queste vicende (167-135 a.C.). Nasce in questo periodo anche la letteratura apocalittica (Daniele). - Dal III al I secolo a.C. infine, nell'ambito di una cultura ormai ellenistica vengono scritti il Qohelet, il Siracide e l'ultimo libro dell'Antico Testamento: la Sapienza. 15 La formazione del Nuovo Testamento: - Anche nel caso del Nuovo Testamento un periodo di tradizione solo orale ha preceduto la redazione dei testi. I primi scritti sono quelli di Paolo: vengono composte tra il 50 d.C. e il 60 d.C. la 1-2 Tessalonicesi, la 1-2 Corinti, la lettera ai Filippesi, ai Galati e ai Romani. - Agli inizi degli anni '60 Paolo scrive la lettera a Filemone. Di poco successive all'anno 63 d.C. (morte di Paolo) sono le lettere ai Colossesi e agli Efesini, scritte però da discepoli di Paolo. - Poco prima della distruzione di Gerusalemme (70 d.C.) viene scritta la lettera agli Ebrei, che non ha un rapporto diretto con la tradizione paolina e che ha l'obiettivo di rinsaldare nella nuova fede i cristiani di origine ebraica, tentati di ritornare alla religione di origine. - Dal 65 al 70 d.C. viene composto il Vangelo di Marco, negli anni '70 si scrive il vangelo di Matteo, mentre negli anni '80 viene redatta l'opera lucana, composta dal Vangelo di Luca e dagli Atti degli Apostoli che, nonostante nelle nostre Bibbie appaia come un libro a se stante, costituisce la seconda parte e la prosecuzione naturale del Vangelo di Luca. - Alla fine del I secolo d.C. risalgono le lettere cattoliche (=universali), chiamate cosi perché non destinate ad una comunità precisa, ma scritte perché circolassero nelle diverse comunità. Si tratta delle lettere di Giacomo, Giuda, 1-2 Pietro, 1-2-3 Giovanni, che portano il nome di personalità autorevoli, cioé di apostoli, per conferire importanza al testo, secondo quel procedimento letterario diffuso nella letteratura antica e noto come pseudoepigrafia. - Dello stesso periodo sono le lettere pastorali (Timoteo e Tito), chiamate così perché destinate a responsabili di comunità. - Sia le lettere cattoliche che quelle pastorali riflettono la situazione storica ed ecclesiale delle comunità cristiane cosi come si trovavano alla fine del I secolo d.C. - Tra gli scritti più tardivi, collocabili anch'essi verso la fine del I secolo d.C., troviamo quelli che costituiscono la tradizione giovannea: il Vangelo di Giovanni, che rispecchia la predicazione dell' apostolo di cui porta il nome, e l'Apocalisse, anteriore di qualche anno al quarto Vangelo, nata anch'essa nella cerchia dei discepoli dell' apostolo Giovanni. Alla tradizione giovannea appartengono anche le tre lettere di Giovanni che abbiamo già citato nel gruppo delle lettere cattoliche. Modulo 4: l’interpretazione della Bibbia La Bibbia: Quale verità? Già l’ebraismo aveva notato nella Bibbia delle problematiche discordanze: com’era possibile che il testo biblico, che contiene ciò che la ragione considera come la verità, presentasse delle contraddizioni al suo interno? Anche il cristianesimo si è trovato di fronte allo stesso problema. Luogo i secondi il problema della verità della Bibbia è stato affrontato dai cristiani in 3 modi diversi: 16 1. Atteggiamento dogmatico (dalle origini al XVI secolo) Alcuni intellettuali pagàni (Celso, Porfirio) mossero ai cristiani l’obiezione di riferirsi a un testo colmo di affermazioni in contrasto tra loro. Le stesse obiezioni furono mosse anche da ebrei colti, come per esempio Trifone, che constatarono ai cristiani la presenza di diversi punti in cui i testi del Nuovo Testamento di trovavano il contraddizione con l’Antico Testamento. La risposta cristiana a tutte queste obiezioni era che: - Era impossibile che nella Bibbia vi fossero contraddizioni - Le contraddizioni di cui parlavano erano contraddizioni solo “apparenti” dovute alla l’imputata capacità di comprensione dell’uomo. Presupposto indiscutibile della convinzione cristiana era che poiché la Bibbia era un testo ispirato da Dio, fosse impossibile per essa incorrere in errori. 2. Atteggiamento apologetico (secoli XVII-XIX) Un serio invito a riflettere sul problema della verità della Bibbia arrivò in epoca moderna da 2 episodi di portata decisiva: I. XVII secolo —> nascita delle scienze moderne che cominciarono a contestare alla Bibbia ogni competenza in ambito scientifico poiché essa conteneva evidenti affermazioni che andavano contro l’evidenza delle nuove scoperte, per esempio il testo sacro presuppone pacificamente una visione del mondo basata sul sistema geocentrico —> caso di Galileo Galilei, lo scienziato propose di togliere alla Bibbia ogni pretesa di verità scientifica per riconoscerle invece competenza nell’ambito della fede. Scrisse “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano”. Lo pubblica ma non piacerà al Santo Ufficio. Comunica con Papa Urbano con il quale si confronta sulla concezione tolemaica e copernicana. 1633 condanna d’inquisizione. Nel XIX secolo la Chiesa rispose alla scienza con il “concordismo” = convinzione che i nuovi dati della scienza moderna si accordavano perfettamente con le affermazioni bibliche; anzi si trovavano confermati e anticipati dalla Bibbia, anche se espressi in forma metaforica. II. XIX secolo —> sviluppo delle scienze storiche —> grazie a queste discipline divenne chiaro come molte affermazioni bibliche erano in contraddizione con i dati delle scoperte storiche e archeologiche —> scoppiò la cosiddetta “questione biblica” La reazione della Chiesa cattolica fu la chiusura in un atteggiamento di difesa, la cui idea di fondo era riassunta dal concetto di “inerranza” della Bibbia, cioè l’impossibilità di cadere in errori in forza della sua ispirazione divina 3. Atteggiamento storico (dal Concilio Vaticano II) La questione biblica viene interrotta dalla Chiesa con lo scoppio della controversia modernista. I modernisti erano storici e sostenevano che la Bibbia deve essere interpretata. Un primo segnale di ripresa si ebbe con l’enciclica Divino Afflante Spiritu di Pio XII nel quale si sottolineava la necessità di tener conto dei generi letterari del testo per determinare meglio il tipo di inerranza della Bibbia. Su questa scia il mondo cattolico riprende a discutere la Bibbia. 17 3. La critica storica si occupa invece di stabilire quanto, di ciò che viene narrato dalla Bibbia, sia storicamente attendibile e verificabile. Alla Bibbia infatti non interessa l'aderenza ai fatti storici, poiché essa propone innanzitutto una lettura di quanto accaduto in base alla propria esperienza di fede. Ma appunto se si conoscono i fatti a cui la Bibbia si riferisce, si può meglio ricostruire che tipo di rilettura religiosa il testo biblico proponga. • Metodi sincronici: considerano il testo non nella sua dimensione storica, ma a partire dalla sua forma finale ed attuale. Dal testo non si deve uscire, nemmeno con considerazioni storiche. Ciò che serve a comprendere il testo si trova nel testo stesso, che viene considerato come una totalità unitaria. • Così esistono dei metodi sincronici di analisi letteraria, che leggono il testo tenendo conto che si tratta di un messaggio che vuole persuadere i destinatari (analisi retorica); o che lo leggono come una narrazione, dove il significato emerge dal rapporto che esiste tra ciò che viene narrato, i personaggi e il narratore (analisi narrativa); o ancora che chiariscono il testo cercandone la struttura più profonda, gli elementi sui quali è costruito - le figure, i concetti, i vocaboli - e le relazioni che intercorrono tra di loro (analisi strutturalista o semiotica). • Poi vi sono metodi sincronici che si servono dei contributi delle scienze umane, poiché i testi biblici sono prodotti culturali di gruppi sociali ed umani (analisi sociologica, antropologica, psicologica e psicanalitica). • Infine vi sono metodi sincronici di tipo contestuale, il cui criterio di interpretazione del testo è dato dalla particolare situazione sociale, politica ed economica del lettore, leggendo la Bibbia come se contenesse un messaggio di speranza e di trasformazione della società rivolto ai popoli oppressi nel mondo (approccio liberazionista); oppure interpretando la Bibbia a partire dalla condizione della donna, oppressa da secoli di società e religione patriarcali e fondate sulla centralità e superiorità del genere maschile (approccio femminista). Infine si deve ricordare che esistono oggi molti gruppi religiosi, spesso anche nuovi movimenti, che rifiutano in qualsiasi modo di interpretare la Bibbia: questo atteggiamento è noto come fondamentalismo. Esso si basa sull'idea che la Rivelazione divina non sia ciò che il testo narra e testimonia, ma che essa sia invece il testo stesso. 20 2. GESÙ CRISTO Modulo 1: Gesù nelle religioni non cristiane La figura di Gesù non appartiene solo al cristianesimo ma è presente anche in altre religioni. Come considerano esse la personalità di quest’uomo che fa discutere ormai da più di 2000 anni? L’ebraismo: • Il cristianesimo nasce dalla figura di Gesù di Nazareth, che era un ebreo, cresciuto nell'osservanza della religione ebraica e delle sue tradizioni, educato alla conoscenza delle scritture ebraiche, alla frequentazione della sinagoga e della liturgia ebraica. I primi cristiani appartenevano alla comunità e alla religione ebraica. Pur nella sua parziale "dissidenza" nei confronti di alcuni aspetti della religione del suo tempo, per i primi 2 secoli Gesù è stato percepito come un figlio del popolo ebraico, uno dei tanti maestri e predicatori, per la verità non particolarmente originale rispetto a molte altre figure della tradizione rabbinica. • III-XI secolo —> nuova fase della ricezione ebraica di Gesù —> la svolta è dovuta agli sviluppi della primitiva teologia cristiana, in particolare con la nuova idea dell’incarnazione di Dio e dello sviluppo del concetto della divinità di Gesù Cristo. L’idea che Dio si possa incarnare in forma umana appare assurda e blasfema alla mentalità ebraica. Con questa nuova idea si consuma il distacco netto del cristianesimo dall’ebraismo, con il quale si inizia a contrapporre il Nuovo Testamento all’Antico e a vedere nell’uomo-Dio la rottura rispetto alla Torah —> sorgere di un atteggiamento denigratorio della cultura ebraica nei confronti del personaggio di Gesù. • Dal V secolo —> le circostanze della morte di Gesù diventano un pretesto per la diffamazione degli ebrei e di vere e proprie persecuzioni da parte dei cristiani. • Dal XVIII secolo —> gli ebrei colti e e dediti allo studio delle scienze storiche iniziano a dedicarsi allo studio della figura di Gesù con interesse scientifico e critico, contribuendo a delinearne i primi contorni storici. • Dal XX secolo —> svolta radicale: grazie al mutato atteggiamento della Chiesa cattolica nei confronti del l’ebraismo e all’apertura al dialogo interreligioso, sia da parte cristiana che da parte ebraica si depongono pregiudizi secolari —> l’ebraismo si rivolge allora alla figura di Gesù con interesse rinnovato e in un clima di maggiore serenità —> vengono scritti importanti libri che ricostruivano la vita e la personalità di Gesù di Nazareth nei quali l’ebraismo ritrova una profonda sintonia con la figura di Gesù e in cui si sottolinea l’appartenenza al popolo e alla vicenda storica degli ebrei, il suo radicamento nella fede ebraica, nel giudaismo del I secolo. L’islam: • In diversi passi (circa 93 versetti) il Corano pagarla di Gesù e di Maria. • Gesù è considerato come un profeta, ma Maometto gli è superiore avendo portato la rivelazione definitiva di Dio. • Nel Corano si parla delle missione di Gesù e della chiamata dei discepoli. 21 • L’Islam professa un monoteismo nel quale Dio sta assolutamente al di là dei mondo perciò l’idea che Dio possa incarnarsi e apparire in forma umana è blasfema e assurda per i musulmani. • Anche il dato della crocifissione di Gesù viene respinto in quanto eccessivamente infamante per un profeta. La tradizione islamica afferma piuttosto che Gesù, essendosi trovato in un momento di serio e reale pericolo per la sua incolumità, viene liberato e innalzato al cielo —> non infatti possibile che un testimone di Dio possa soccombere alle forze del male. • Anche la resurrezione è un evento non accolto dalla tradizione islamica. • Sono parte integrante della venerazione islamica per Gesù: - La nascita vaginale da Maria - I suoi miracoli • La fede islamica professa che Gesù ritornerà sulla terra alla fine dei tempi e prima del giorno del giudizio per portare giustizia e pace nel mondo. Lo hinduismo: • Recenti atteggiamenti di interesse nei confronti della figura di Gesù: - ammirazione per i suoi insegnamenti compresi come indicazioni etiche - stima per la sua persona considerata come simbolo dei valori che dovrebbero animare il comportamento reciproco degli esseri umani • La figura di Gesù nello hinduismo appare fortemente idealizzata. • È assente ogni tipo di interesse per l’esistenza e per l’attività storica di Gesù —> la religione hinduista tende a sottolineare la separazione tra dimensione terrena e dimensione assoluta, con una leggera svalutazione della prima a favore della seconda. • Gli hindù non possono accettare l’idea teologica dell’incarnazione di Dio in un essere umano, infatti abbassare l’assoluto o introdurlo al livello della storia significa, in questa tradizione religiosa, sottrarre all’assoluto perfezione e purezza, che non appartengono alla dimensione storica. • È respinta anche l’unicità di Cristo, cioè il fatto che sia l’unica via di salvezza per gli uomini. • Nello hinduismo popolare —> Gesù è riconosciuto come un avatara = idea che un dio possa periodicamente apparire in forma umana prendendo le sembianze di un eroe salvatore. • Nello hinduismo colto —> Gesù è compreso come uno degli uomini che sono riusciti a realizzare in maniera perfetta questa unione-fusione ed è pertanto considerato un grande maestro spirituale o guru. La sua morte e resurrezione sono interpretate in modo allegorico come momenti necessari del cammino spirituale di ogni uomo. 22 2. La prima fase del matrimonio (Qiddushin): tutti gli accordi preliminari presi con il fidanzamento, che erano normalmente basati sulla parola data, venivano poi redatti per iscritto in un vero e proprio contratto ufficiale al quale veniva allegata una dichiarazione legale di "acquisto" della fidanzata. Questa seconda fase, che costituiva l'ufficializzazione vera e propria degli accordi matrimoniali, poteva avvenire in tre modi: il fidanzato consegnava, in presenza di due testimoni, un oggetto di valore come dono alla ragazza, pronunciando la formula ufficiale "Sii mia moglie". L'accettazione del dono da parte della fidanzata valeva come consenso alla proposta proclamata; il fidanzato consegnava, in presenza di due testimoni, un documento nel quale erano riportati i nomi dei due fidanzati e tutte le condizioni precedentemente stabilite. L'accettazione del documento da parte della ragazza valeva come consenso ufficiale; il fidanzato, dopo aver rivolto alla ragazza la proposta ufficiale sempre in presenza di due testimoni, sanciva la validità del procedimento mediante un atto sessuale con la fidanzata. Dopo i Oiddushin tuttavia i fidanzati non vivevano ancora insieme, non potevano avere rapporti sessuali e l'uomo non aveva l'onere di mantenere economicamente la donna. 3. La fase definitiva del matrimonio (Nissu'in): si teneva un anno dopo i Qiddushin se la donna era vergine, trenta giorni dopo se era vedova o divorziata, e consisteva nell'ingresso ufficiale della sposa nella casa dove i due avrebbero vissuto insieme.
Si trattava di una cerimonia di carattere civile, un corteo accompagnato da musiche, nel quale lo sposo accompagnava nella propria casa la sposa. Questa era velata, portava gioielli ed era circondata dalle amiche. Il banchetto nuziale durava una settimana, cominciava dopo il tramonto e durava tutta la notte. Il matrimonio così concluso cessava solo per la morte del coniuge o in caso di divorzio (ripudio). Il divorzio poteva essere chiesto solo dal marito e i possibili motivi erano così ampi da rasentare l'arbitrarietà. Ciò ovviamente non tutelava la donna che, se ripudiata, veniva "risarcita" con una irrisoria somma di denaro. La religione: Al tempo di Gesù e a partire almeno dal II secolo a.C. La situazione all’interno del giudaismo era molto variegata —> esistevano 3 grandi gruppi che in passato si era contesi il potere con contrasti molto forti, ma che al tempo di Gesù erano caratterizzati orami solamente da una rivalità di tipo i dottrinale e teologico. Questi 3 gruppi sono: 1) I farisei • Farisei = separati —> sta ad indicare la loro volontà di distinguersi dal resto del popolo che essi disprezzavano ritenendolo non abbastanza impegnato nell’osservanza delle prescrizioni religiose. 25 • Il loro fanatismo nell’osservanza della Legge veniva spesso ostentato in pubblico con l’intenzione di dare testimonianza della loro fede. • I farisei erano persone sinceramente religiose e oneste e per questo erano in genere stimati dal popolo. • La loro scrupolosa ossessione nell’osservanza religiosa riguardava sopratutto 2 ambiti: la purità rituale delle persone e degli oggetti di ogni tipo, il pagamento delle decime (tassa). • Praticavano un digiuno volontario di 2 giorni alla settimana. • Evitavano con attenzione la frequentazione di persone ritenute peccatrici (es: pubblicani) poiché avrebbero comportato la perdita di purità e le complicate pratiche per riconquistarla. • In politica i farisei erano nazionalisti e ostili all’occupazione romana, alla quale tuttavia non sia opponevano in maniera violenta. • Credevano nell’immortalità dell’anima e nella resurrezione dei corpi, professavano l’esistenza di angeli e demoni, ritenevano che Dio intervenisse nei mondo ma erano convinti dell’importanza della libertà e delle scelte personali nella costruzione della vita di una persona. • Nei Vangeli canonici i farisei sono descritti come i più acerrimi nemici di Gesù ma in realtà il rapporto fra di essi deve essere stato meno problematico di un’auto riportato nei testi biblici. In effetti Gesù aveva molte idee religiose in comune con i farisei. • Ai farisei appartenevano anche gli scribi o dottori di Legge. • Zeloti = corrente particolarmente estremista all’interno del fariseismo —> ritenevano legittimo e doveroso l’uso della violenza per opporsi all’occupazione romana —> tra i discepoli di Gesù erano zeloti Simone e probabilmente anche Giuda iscariota. 2) I sadducei • Il nome deriva da Zadok (sommo sacerdote al tempo di Salomone). • Erano sacerdoti o persone appartenenti a famiglie nobili o comunque a famiglie che detenevano il potere politico ed economico. • In politica erano opportunisti e in genere disposti a tutto, soprattutto a scendere a patti con l'invasore, per mantenere il potere e i propri privilegi. • Negavano l'immortalità dell'anima, la resurrezione dei corpi e l'esistenza di un mondo angelico. Limitavano drasticamente la possibilità di intervento da parte di Dio nella vita quotidiana ed assolutizzavano invece il ruolo. delle decisioni umane. • Tra i libri sacri dell'ebraismo ammettevano solo la Torah, rifiutando tutti gli altri. 26 • Il contrasto con Gesù deve essere stato piuttosto di tipo politico, benché vi fossero anche delle notevoli divergenze teologiche. 3) Gli esseni • Solo recentemente, grazie alle scoperte di Qumran, si è precisata la figura di questo terzo gruppo, che diede vita a delle comunità sul mar Morto che vivevano isolate dalla società e con uno stile di tipo monastico • Sulla loro origine non si sa molto • La vita quotidiana era normata da una regola scritta • Si veniva ammessi a questo gruppo solo dopo un lungo e rigoroso periodo di prova. • L'organizzazione del potere, come del resto i rapporti reciproci, erano strutturati in maniera fortemente gerarchica. • La vita quotidiana si divideva tra lavoro agricolo ed artigianale, studio delle Scritture, preghiera e vigeva la comunione dei beni. • Nella loro pratica liturgica non ammettevano il sacrificio di animali • Si attendeva come imminente l'avvento di un messia e di un radicale cambiamento della storia. • Dal punto di vista religioso essi credevano all'immortalità dell'anima, ma disprezzavano il corpo dal quale l'anima stessa doveva liberarsi. • Il ruolo dell'azione e dell'intervento di Dio era enfatizzato, svalutando in maniera significativa lo spazio e l'importanza dell'iniziativa umana. • Scomparvero insieme ai sadducei con la prima guerra giudaica e la conseguente distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C. Modulo 3: Gesù nel cristianesimo L’affermazione centrale e più importante del cristianesimo è sicuramente “tale religione si basa sulla resurrezione di Gesù di Nazareth dopo la sua morte in croce” —> il cristianesimo è nato da questa convinzione che è anche il messaggio centrale del Nuovo Testamento. La resurrezione: Ripercorriamo le prime testimonianze della resurrezione di Gesù nell'ordine cronologico con cui sono sorte. Bisogna partire dagli strati più antichi del Nuovo Testamento arrivando sino alle ultime espressioni più elaborate. 27 è riconosciuta da Dio stesso come l'unico tipo di vita in cui l'uomo possa pienamente realizzarsi. Così la resurrezione rivela come deve essere l'uomo, cioè come Dio vuole che l'uomo viva: la realizzazione definitiva della nostra esistenza passa per l'unica strada, quella di una vita vissuta sul modello di quella di Gesù. Ogni altra strada o promessa è vana. 2. Questo modello, questa possibilità offerta all'uomo, mantiene la sua validità anche di fronte alla sconfitta subita nella storia a causa del male, dell'incomprensione, della prevaricazione, ecc. proprio come è accaduto a Gesù di Nazareth. La resurrezione testimonia che il male nell'esistenza umana non può avere l'ultima parola. 3. Ciò che è accaduto a Gesù testimonia che l'esistenza dell'uomo non è condannata a terminare con la morte, ma che è destinata ad una condizione di realizzazione definitiva ed eterna. 4. La resurrezione rivela anche chi è Gesù di Nazareth. Infatti con tale evento Dio opera nella storia umana il suo più importante intervento. Questo conferma il ruolo unico di Gesù, della sua esistenza e della sua missione, e suscita la domanda circa la sua identità, unica nella storia della salvezza, non paragonabile a quella di un uomo, un inviato da Dio o un profeta. 5. A questo proposito, non si deve dimenticare che la resurrezione di Gesù non è la rianimazione di un cadavere, non si tratta di un semplice ritorno alla vita storica, terrena, né della sua semplice prosecuzione dopo l'incidente della morte, bensì è l'ingresso in una situazione nuova e definitiva che è il compimento della vita terrena. 6. La resurrezione non è un fatto storicamente documentabile o empiricamente verificabile. Essa non appartiene all'ambito di ciò che è storicamente o empiricamente dimostrabile, ma si tratta di una professione di fede da parte di alcune persone che sostengono di esserne state testimoni (benché non testimoni oculari, cioè non testimoni diretti del fatto, ma indiretti, ovvero testimoni delle apparizioni del risorto) e che hanno sperimentato un cambiamento radicale della loro vita. È un evento che si può accettare e sperimentare mediante la fede. IL PUNTO DI PARTENZA: LA RESURREZIONE Stando alla testimonianza biblica (Nuovo Testamento) la Risurrezione - è al centro del messaggio di fede annunciato dal NT - è il punto di partenza storica del cristianesimo - è la prospettiva fondamentale in base alla quale rileggere e comprendere tutta la vicenda di Gesù! La morte: Perché Gesù morendo ha salvato l'umanità? Possiamo rispondere fissando alcune considerazioni che, una dopo l'altra, consentono di chiarire il problema: 30 1. Molto spesso si legge nei testi biblici che Gesù "doveva" morire per salvare gli uomini. Che cosa significa? Con questa espressione non si vuol dire che esisteva un piano prestabilito da Dio Padre che prevedeva sin dall'eternità che Gesù, una volta incarnatosi, avrebbe dovuto seguire quel destino violento che poi effettivamente gli toccò in sorte. Dio non manda il Figlio perché soffra e muoia in croce. Dio I’ha mandato innanzitutto per rivelarsi agli uomini e parlare a loro in maniera definitiva. Di fatto però, cioè storicamente, le cose andarono in modo - per così dire - imprevisto e questo perchè l'offerta di Dio si è intenzionalmente rivolta alla libertà dell'uomo, ma così facendo si è anche consegnata alle decisioni degli uomini per quanto riguarda la propria riuscita. Storicamente l'uomo non ha risposto come Dio avrebbe desiderato, anzi ha accolto con ostilità la proposta di Dio. Questa ostilità si è tradotta in una tale opposizione a Gesù che per lui, nell'ultimo periodo della sua predicazione pubblica, si decise la morte. 2. Gesù ha avuto modo di rendersi conto di quanto stava accadendo e, ad un certo punto, ha dovuto decidere se accettare il corso degli eventi e quindi una quasi certa condanna a morte oppure se sottrarsi fuggendo o in qualche altro modo. La sua fine non è stata perciò un destino inevitabile, ma il frutto di una libera, e senza dubbio non semplice, decisione. 3. La decisione di andare incontro alla morte ha confermato la coerenza di ciò che Gesù aveva predicato di Dio: in questo modo Gesù ha voluto confermare lui per primo, e sino alla morte: A. l'immagine di Dio che aveva insegnato e rivelato: un Dio che ama infinitamente l’uomo e che per amore è disposto a prendere su di sé la violenza che la libertà umana gli infligge come risposta. Se Gesù si fosse sottratto alla sua sorte, tutta la sua predicazione e la sua persona avrebbero perso credibilità e con essa anche tutta l'immagine di Dio faticosamente rivelata non sarebbe stata ritenuta credibile; Ù B. di nutrire fiducia in Dio. Infatti nulla poteva garantire a Gesù che il suo sacrificio avrebbe effettivamente "salvato" tutto ciò che aveva rivelato di Dio. Per quanto Gesù ne poteva sapere, la sua morte avrebbe potuto comunque non essere sufficiente a garantire credibilità al suo messaggio e all'immagine di Dio in esso contenuta. Accettando la sua sorte Gesù ha deciso di "fare la sua parte" di tentare tutto il possibile, nella fiducia che Dio avrebbe fatto il resto. Gesù ha voluto ribadire la sua fiducia che Dio sarebbe in qualche modo intervenuto a suo favore nonostante quegli eventi drammatici e che si sarebbe servito anche di quella circostanza per salvare l'umanità. Tutto questo complesso di elementi, che costituisce l'interpretazione cristiana della morte di Gesù, è in effetti ben sintetizzato da due modi di leggere questo evento che sono già presenti nel Nuovo Testamento: si tratta di due categorie interpretative della morte di Cristo che hanno avuto anche una grande fortuna in tutta la storia del cristianesimo, poiché si ritrovano spesso nel linguaggio liturgico e catechistico, benché oggi spesso il loro significato rischi di non essere pienamente compreso. 31 - La prima categoria è quella della morte di Cristo come sacrificio —> morendo Gesù si è sacrificato per l'umanità, ha sacrificato se stesso affinché gli uomini potessero avere di Dio la vera immagine e potessero avere anche un modello coerente di esistenza umana al quale rifarsi. - La seconda categoria è quella della morte di Gesù come riscatto o redenzione —> Cristo, morendo in quel particolare modo e in quelle particolari circostanze, ci ha anche liberato dalla condizione di non-salvati, donandoci appunto la salvezza. E questo non solo perché ha liberato da tutte le false immagini di Dio e dell'esistenza umana che le persone sino a quel momento potevano avere, ma anche perché ha lasciato con fiducia l'ultima parola a Dio Padre, gli ha consentito di completare la salvezza operando la resurrezione di Gesù. La vita pubblica: L'esperienza della resurrezione ha consentito a primi cristiani di interpretare la morte di Gesù, che senza resurrezione sarebbe rimasta il segno più chiaro del totale fallimento di tutta l’attività e la predicazione di Gesù e nello stesso tempo la più grande delusione per coloro che l’avevano seguito. Ma c'è dell'altro. La resurrezione ha spinto i discepoli a rileggere con occhi nuovi quanto era accaduto prima, cioè l'intera vita pubblica del maestro, arrivando finalmente a capire in modo pieno quanto avevano visto e sentito e che spesso era rimasto per loro non del tutto chiaro. La predicazione di Gesù: Che cosa ha annunciato e insegnato Gesù durante il periodo della sua attività pubblica? Esiste un messaggio centrale nei suoi insegnamenti che permetta di dare un significato più chiaro a tutto quanto ha proclamato? Questo messaggio esiste: Gesù in tutta la su predicazione non ha fatto altro che annunciare l'imminente realizzarsi del Regno di Dio. Cosa significa questa espressione? In epoca antica (sec. X-VI a.C.) il popolo d'Israele aveva conosciuto l'esperienza politica della monarchia e nei secoli successivi il Giudaismo conservò sempre una forte nostalgia per quel passato di indipendenza e libertà. Al tempo di Gesù i Giudei aspettavano un intervento liberatore di Dio, che essi intendevano soprattutto in senso politico, come una liberazione dall'occupazione romana. Questo intervento sarebbe stato il segno che Dio era tornato a regnare su di loro, cioè a manifestare la sua presenza amorevole per il suo popolo. Bisogna tener conto di questa attesa, viva nell'Ebraismo dell'epoca, per comprendere l'annuncio di Gesù. Anche Gesù, infatti, intende per "Regno di Dio" un intervento liberatore da parte di Dio, una speciale manifestazione della sua presenza, come non si era mai verificata prima nella storia del popolo ebraico e quindi dell'umanità intera. 32 espressione, ma andando anche al di là di esse. Tale operazione ha dato vita a un'articolata discussione nota agli studiosi come "dibattito sul Gesù storico". La prima ricerca (1778-1906): La prima fase del dibattito è nota con il nome tedesco di Leben-Jesu-Forschung (ricerca sulla vita di Gesù). L'orizzonte culturale in cui la discussione si muove è l'Illuminismo e la sua separazione tra ragione e fede: la vera possibilità di conoscere Dio spetta alla ragione, mentre la fede delle religioni tradizionali sarebbe solamente una visione costruita su dogmi e incrostazioni storiche, adatta alla mentalità popolare (= razionalismo). L'obiettivo di questa prima fase è perciò quello di smontare il "Cristo della fede" per ricostruire una sua figura più attendibile grazie ai più razionali metodi storici. Hermann Reimarus (1679-1768) - Profondo conoscitore di lingue orientali e di critica testuale. - È considerato l'iniziatore del dibattito sul Gesù storico. - Egli era un deista, cioè era convinto dell'esistenza di Dio, dell'immortalità dell'anima e dei valori morali universali, ma riteneva che i dogmi cristiani (trinità, divinità di Cristo) fossero un'invenzione degli apostoli —> Gesù credeva davvero di essere il Messia, ma la sua era un'illusione, mentre invece l'inganno degli apostoli sarebbe stato intenzionale e ben più grave. In ogni caso la ragione, mediante i metodi storici, ci mostrerebbe la separazione radicale tra il Gesù della storia, predicatore ebreo andato incontro a un destino tragico, e il Cristo inventato dalla fede. David Friedrich Strauss (1808-1874) Per Strauss, teologo e filosofo tedesco, tutti gli elementi dei racconti dei Vangeli che sono in palese contrasto con la razionalità, cioè tutti gli elementi soprannaturali, non hanno valore storico, ma solamente filosofico. Essi sono "mito", cioè esprimono significati universali che riguardano l'umanità in generale. Se si tolgono dai Vangeli tutti questi elementi, si ottiene la figura storica di Gesù, che però è meno importante dei significati mitici, e della quale Strauss diede nel corso della sua vita descrizioni diverse. Infatti dapprima egli sostenne che Gesù era un predicatore convinto dell'imminente fine del mondo, poi più tardi negò che in lui vi fosse una convinzione di questo genere e lesse la sua predicazione come un insegnamento di tipo tendenzialmente morale. L'opera più famosa di Strauss resta la Vita di Gesù (1835) insieme alla quale bisogna ricordare anche la Vita di Gesù per il popolo tedesco (1864). La seconda ricerca (1920-1980): La prima ricerca aveva messo in atto una fuga dalla fede per rifugiarsi nei risultati della ragione e della storia. Questa tendenza si era rafforzata quando nel XIX secolo si 35 svilupparono le scienze storiche che presero come modello le scienze naturali basandosi su un ideale di assoluta oggettività dei propri risultati e del proprio metodo. Nel 1906, nella sua monumentale opera Storia della ricerca sulla vita di Gesù, il teologo e pastore riformato Albert Schweitzer (1875-1965) mostrò come il bilancio della ricerca fino ad allora condotta fosse da ritenersi insoddisfacente, soprattutto per due motivi: in primo luogo ogni studioso aveva costruito un Gesù storico che stranamente presentava sempre le caratteristiche umane e culturali dello studioso stesso, quasi come se ognuno avesse proiettato se stesso nella figura che doveva essere storicamente ricostruita. Inoltre i diversi profili di Gesù proposti come le figure storicamente più plausibili apparivano sempre più lontani e insignificanti per la fede. Ciò portò a un cambiamento di paradigma nella ricerca su Gesù: si avvertì l'esigenza di allontanare la fede dalla ricerca storico-critica. Rudolf Bultmann (1884-1976): - Teologo luterano tedesco - Egli pone innanzitutto due esigenze come premessa: A. la fede non deve trovare certezze, non deve fondarsi né sulla ragione né sulla storia; B. l'esistenza umana funziona in maniera tale che ha bisogno di trovare un senso nelle cose: per questo essa si progetta continuamente e prende decisioni. Tutto quanto si trova nei testi del Nuovo Testamento - soprattutto gli elementi mitici e soprannaturali, ma non solo essi - ha l'unica funzione di rivolgersi all'esistenza, la interpella a progettarsi non in modo autonomo, cioè in base alle proprie idee o esperienze, ma esclusivamente in base all'amore e all'obbedienza verso Dio. Tutto ciò che leggiamo nei testi biblici ha così un valore kerygmatico: non vuole informare su fatti o trasmettere notizie, ma interpella ogni uomo in prima persona, chiede alla sua esistenza di decidersi per Dio. Da qui Bultmann sviluppa la celebre tesi della demitizzazione del Nuovo Testamento. Esso deve essere interpretato in modo esistenziale, cioè tutti i fatti raccontati, i miracoli, le guarigioni, la morte, la resurrezione, le apparizioni del risorto, gli eventi razionalmente inspiegabili devono essere letti per quello che in realtà intendono essere: significati per l'esistenza di ogni uomo, analisi dell'esistenza umana e risposte ai suoi problemi di senso. La resurrezione, ad esempio, significherebbe che, solo vivendo secondo il modello proposto da Gesù nei Vangeli, l'esistenza di ognuno di noi troverebbe salvezza e realizzazione. La conseguenza di tutto ciò è che: 1) non sappiamo né mai sapremo nulla sulla persona e sulla vita del Gesù storicamente esistito; 2) questa impossibilità non ha alcuna importanza: ciò che importa è il messaggio dei
Vangeli e il loro significato esistenziale per l'uomo. 36 In questo modo Bultmann sottraeva il cristianesimo all'avanzare impetuoso delle scienze storiche: qualunque cosa esse scoprano sul Gesù realmente esistito non può più avere alcun valore per la fede, poiché Dio non si è rivelato nella persona e nella vicenda storica di Gesù di Nazareth, ma nel messaggio biblico che è arrivato fino a noi, è disponibile nei testi sacri ed è frutto della riflessione e della predicazione della generazione degli apostoli e dei loro discepoli. La terza ricerca (1985-): A partire dagli anni '80 del secolo scorso si è giunti a un nuovo cambiamento di paradigma nella ricerca, nel quale è riconoscibile lo sforzo di ridurre il fossato che nella fase precedente era stato creato tra il Gesù della storia ed il Cristo della fede. A caratterizzare il nuovo paradigma sono alcuni cambiamenti fondamentali che si possono sintetizzare nei punti seguenti: 1) Dal punto di vista storico: è mutata la concezione della scienza storica. Mentre alla fine del XIX secolo questa scienza era convinta di lavorare con un metodo neutrale e di pervenire a una realtà oggettiva, ora essa matura l'idea che una perfetta neutralità sia impossibile nel lavoro storico e che ogni ricostruzione storica sia inevitabilmente un'interpretazione. In secondo luogo sono mutate le nostre conoscenze del mondo giudaico del I secolo, precedente la distruzione del tempio del 70 d.C.: ciò che appare sempre più chiaramente è la fragilità dell'immagine che tradizionalmente si aveva, quella cioè di un giudaismo come realtà religiosa unitaria, monolitica e compatta. In realtà è sempre più evidente che quella realtà è stata di un'estrema complessità. 2) Dal punto di vista metodologico: si ricorre ampiamente all'uso di nuove discipline scientifiche come la sociologia e l'antropologia culturale, che hanno consentito di accumulare una mole impressionante di dati sulla realtà sociale, politica e religiosa della realtà contemporanea a Gesù. Ciò ha portato a un cambiamento dei criteri adottati: nelle fasi precedenti infatti si privilegiava il criterio della discontinuità, quindi si riteneva che nella figura di Gesù fosse storicamente attendibile ciò che si discostava dall'ebraismo e dal cristianesimo primitivo, cioè tutto quanto non era riconducibile appunto a tali realtà. Ora invece si tende a privilegiare il criterio della continuità, cioè appare con buona plausibilità come storico tutto ciò che si colloca e si contestualizza nella realtà socio-politica e religiosa del tempo. 3) Dal punto di vista teorico: due sono le nuove premesse fondamentali che guidano il lavoro degli studiosi: - In primo luogo si è imposta l'idea che i risultati della ricerca sul Gesù storico non possano che essere parziali e frammentari. Nessuno di essi sarebbe in grado di delineare con completezza ed esaustività la figura storica di Gesù, perciò andrebbero confrontati ed integrati a vicenda. - In secondo luogo si tende a concedere un notevole grado di attendibilità alla catena di testimonianze che a partire dai fatti accaduti sono arrivate sino a noi attraverso i 37 • il termine politeismo (dal greco polys + theoi cioè "molti del") si è diffuso in Francia a partire dal XVIII secolo. • Esso indica quelle religioni che credono nell'esistenza di più divinità. Generalmente ciascuna divinità ricopre un preciso ruolo e possiede una specifica competenza su un determinato ambito della realtà. Enoteismo: • Enoteismo (dal tedesco henotheismus, a sua volta dal greco es + cheós "un dio") fu un termine inaugurato dal filosofo tedesco Friedrich Schelling (1775-1854) nel 1842, nella sua opera Philosophie der Mythologie und der Offenbarung. Con esso Schelling designava la primissima e rudimentale forma di monoteismo che sarebbe poi evoluta in una forma più complessa ed elaborata di monoteismo e nel politeismo. • Più tardi Friedrich Max Müller (1823-1900), storico tedesco delle religioni, utilizzò questo termine per indicare la pratica tipica del Rigveda nello hinduismo, dove nelle invocazioni rituali ci si rivolgeva solitamente a una divinità scelta tra tutte. • Il termine indica oggi tutte quelle forme di culto in cui, pur ammettendo l'esistenza di più divinità, se ne privilegia una rispetto alle altre, considerandola in qualche modo superiore. Deismo: • Il termine deismo (dal francese déisme, a sua volta dal latino deus) fu introdotto da Pierre Viret (1511-1571), teologo calvinista svizzero di lingua francese, nel 1564: nella sua Instruction chrétienne lo utilizzò per identificare la posizione di tutti coloro che non si potevano definire "ateisti" e che egli descrisse come coloro che, pur credendo in un Dio unico e creatore, non avevano alcuna fede in Gesù Cristo. • Successivamente il termine fu utilizzato nel 1682 da John Dryden (1631-1700), poeta inglese, che in Religio Laici definì il "Deismo" come la fede in un Dio creatore, rifiutando però gli insegnamenti della tradizione e della rivelazione cristiana. • Solo nel 1697 però il termine divenne corrente grazie a Pierre Bayle (1647-1706) che nel suo Dictionnaire historique et critique riprese la definizione di Viret e la rese normativa. • Sono quattro gli elementi che concorrono a identificare una posizione deista: 1. credenza in un Essere supremo privo delle caratteristiche che sono tipiche di un essere dotato di personalità (es. intelletto e volontà); 40 2. credenza in un Dio, privo però di ogni rapporto con il mondo e l'uomo, quindi disinteressato alla loro esistenza e alla loro sorte; 3. fede in un Dio, ma negazione della prosecuzione della vita dopo la morte; 4. credenza in un Dio, ma rifiuto di tutti gli altri articoli di fede comunemente protessati da religioni organizzate in comunità e pratiche religiose. • Il deismo fu la posizione culturale degli illuministi del Settecento, di molti filosofi e scienziati dell'epoca moderna. • Sono forme di deismo anche il culto dell'Essere supremo che si sviluppò durante la Rivoluzione Francese e la posizione religiosa della Massoneria. Panteismo: • Il termine panteismo (dal greco pan + theós cioè "tutto Dio") è da intendere nel senso di "tutto è Dio". • Esso fu introdotto nel 1705 dal filosofo irlandese John Toland (1670-1722) nel suo Socinianism Truly Stated. By a pantheist, e si diffuse rapidamente in Europa. • Oggi con "panteismo" si designano tutti quei sistemi religiosi o filosofici per i quali tutta la realtà ha carattere divino oppure la divinità compenetra ogni aspetto e luogo del rondo conferendo così una qualità sacra a tutto ciò che esiste. Nel panteismo, Dio e mondo si identificano, benché poi la forma di questa identificazione possa avere versioni diverse. Trascendenza: • Il termine trascendenza (dal latino trans + scandere cioè "salire oltre") designa ogni condizione di esistenza che si colloca al di là della nostra dimensione abituale, nella quale viviamo e facciamo esperienza di tutte le cose e le persone che incontriamo. • Come tale esso è l'esatto contrario del termine immanenza che invece sta ad indicare tutto ciò che permane entro l'ambito dell'esistenza e della conoscenza umana. • Nei grandi monoteismi, Dio è trascendente e proprio per questo deve rivelarsi all'uomo se vuole essere conosciuto. Panenteismo: • Il termine (dal greco pan + en + theós cioè "tutto in Dio") fu coniato dal filosofo tedesco Karl Krause (Lezioni sul sistema della filosofia, 1828) per indicare la propria posizione di 41 pensiero riguardo a Dio e in seguito fu usato per designare ogni posizione analoga in teologia e in filosofia. • Il panenteismo afferma che Dio include in sé il mondo o che il mondo si trova unito a Dio in un legame stretto e inscindibile, ma sostiene anche che Dio non è il mondo, anzi si distingue da esso conservando una propria identità. • In questa visione si ammette perciò la relativa trascendenza di Dio rispetto alla realtà e nello stesso tempo si sottolinea anche la parziale immanenza di Dio nel mondo stesso. • In diversi sistemi religiosi si distingue in Dio da un lato un aspetto eterno, perfetto e assoluto che non è toccato dall'esistenza del mondo, dall'altro invece una parte che è per necessità legata ad esso poiché ha bisogno del cosmo e della storia umana per realizzarsi. Mistica: • Nel cristianesimo, a partire dal XVII secolo, il termine mistica, divenuto un sostantivo, indica comunemente stati eccezionali di esperienza, legati a visioni, estasi, esperienze soprannaturali con le quali in via del tutto straordinaria viene abolita la separazione tra l'assoluto divino e il piano umano e naturale. • Ma non è questo il significato originario della parola. Essa infatti, nota fin dal mondo greco pre-cristiano, e un aggettivo che qualifica un tipo di esperienza e di conoscenza che non esprimono in realtà uno stato eccezionale, ma la condizione di chi vive una normale condizione spirituale di unità con Dio o la realtà divina in generale. In questo senso, essa è presente in quasi tutti i sistemi religiosi. Si tratta, in altre parole, dell'esperienza di un'unità profonda tra uomo e realtà divina, finito e infinito, mondo e Dio. La modalità concreta con cui questa unità viene sperimentata e vissuta varia poi nei diversi e singoli casi. • Non stupisce comunque che da parte delle religioni che si fondano su una concezione forte della trascendenza di Dio tale esperienza sia stata spesso e venga tuttora considerata con sospetto come una forma di panteismo. Antropomorfismo: • Si tratta della tendenza ad attribuire alla o alle divinità una serie di caratteristiche tipiche dell'essere umano, che possono essere fisiche e psicologiche, esteriori e interiori. Tali caratteristiche possono consistere nella forma corporea, nei sentimenti e nelle emozioni, nei pregi e nelle virtù ma anche nei difetti e nei vizi. 42 Modulo 2: Dio nei monoteismi non cristiani Quando sentiamo parlare di "monoteismo" non dobbiamo dimenticarci che si tratta di un concetto che caratterizza diverse religioni. I tre monoteismi senza dubbio più noti sono, in ordine cronologico: - Ebraismo - Cristianesimo - Islam. Naturalmente il fatto che si tratti di tre religioni accomunate dal monoteismo non esclude che tra loro esistano delle distinzioni e che ciascuna presenti una propria originalità, soprattutto quando a essere in questione è il concetto stesso di Dio, la sua persona e tutto ciò che la caratterizza. Per rendersi conto di questo, bisogna ora considerare più da vicino il monoteismo ebraico e quello islamico. L’ebraismo La struttura teologica dell’ ebraismo: L'intero complesso edificio dell'ebraismo poggia su tre grandi pilastri: 1. La concezione di Dio 2. La concezione dell'uomo 3. La concezione del loro rapporto • Innanzitutto la professione di fede ebraica pone al centro Dio, di cui sottolinea le principali caratteristiche: - Dio è unico: quella dell'ebraismo è una concezione monoteistica della divinità. Lo si può vedere già dalla più antica professione di fede, lo Shemà Israel (= ascolta Israele). Questa idea si oppone ad ogni forma di politeismo. Gli ebrei però non furono sempre monoteisti, infatti lo divennero in modo esplicito ed esclusivo solo dopo l'esilio babilonese (VI secolo a. C.). In epoca pre-esilica la concezione dominante fu piuttosto enoteista, cioè JHWH era ritenuto il Dio più importante tra tutte le divinità, delle quali, però, si ammetteva comunque l'esistenza. - Dio è trascendente: cioè sta oltre la dimensione in cui viviamo, oltre le nostre possibilità di conoscenza e di percezione. Egli non coincide con la natura o il cosmo. Nulla nel mondo è una parte di Dio o ha caratteristiche divine, piuttosto esso è un prodotto di Dio, ne è la creazione. Ciò comporta come conseguenza importante la "desacralizzazione" della natura, che invece in molte religioni antiche aveva appunto caratteri divini. 45 - Dio è creatore: tutto ciò che esiste deve la propria esistenza a un atto libero e volontario di Dio. Anche a questa idea l'ebraismo giunse chiaramente solo in epoca post-esilica, in seguito all'esperienza della liberazione dall'esilio babilonese e alla riflessione teologica su questo evento. A partire dall'intervento liberatore di Dio nella storia, maturò infatti l'idea che Egli avesse potere anche sul cosmo e sulla natura, un potere tale da indurre a pensare che Dio fosse anche l'autore dell'universo. - Dio è personale: è cioè una persona con cui si può vivere una relazione di amicizia e che ha perfino un nome proprio. Questo nome è indicato dal cosiddetto tetragramma sacro: JIWH. Il suo significato nella lingua ebraica è una sorta di gioco di parole ossia "io sono colui che sono". Esistono diverse interpretazioni di che cosa questa espressione voglia dire. Per alcuni significa “io sono colui che è presente, che c'è" alludendo alla presenza salvifica e amorevole di Dio in mezzo agli uomini, mentre secondo altri essa sarebbe semplicemente una tautologia, cioè una definizione nella quale il predicato ripete quanto già è espresso nella parola che funge da soggetto e quindi non dà alcuna informazione nuova rispetto a quanto già si conosce. Si tratterebbe di una risposta che non è davvero tale o di un modo per non rispondere veramente, quasi come se Dio non volesse dire il proprio nome o se l'uomo non potesse conoscerlo. E questo si capirebbe se si pensa che nella cultura ebraica far conoscere o rivelare il proprio nome significa esporsi al potere degli altri e alla loro volontà di disporre di noi. In questo caso la definizione che Dio nella Bibbia da di sé esprimerebbe l'impossibilità per l'uomo di avere qualsiasi potere su Dio. • La concezione ebraica dell'uomo chiarisce ulteriormente la natura e il ruolo di Dio. All'uomo Dio affida la creazione, non tanto con l'intento di renderlo semplicemente un custode e un guardiano del creato, ma conferendogli un ruolo centrale e decisivo, quello di portare a termine la creazione che Dio ha posto in opera, di esserne cioè il continuatore. Tale ruolo rende peraltro unica la posizione dell'uomo nel mondo. • La relazione tra Dio e l'uomo prende il nome di alleanza (Berît) e rappresenta un concetto centrale nella religione ebraica. Il racconto più importante nella Bibbia che riguarda l'alleanza è il dono delle tavole dei comandamenti o della legge che ebbe come protagonista Mosè. Questo patto è descritto nella Bibbia prendendo come modello la realtà giuridica e politica dei patti di vassallaggio tra i sovrani del vicino Oriente e i loro fedeli collaboratori. Nell'alleanza le due parti s'impegnano in un rapporto di fedeltà reciproca: - Dio garantisce agli uomini la sua premurosa assistenza, 46 - mentre questi da parte loro s'impegnano a vivere e a modellare il proprio comportamento sulla base del decalogo. • Decisamente interessante nel concetto teologico di alleanza è il fatto che proprio così, cioè vivendo secondo i comandamenti, gli uomini adempiono alla loro missione più profonda, cioè quella di portare a compimento la creazione. Infatti compiere o completare la creazione significa in sostanza rendere presente Dio in essa e questo lo può fare solo l'uomo comportandosi secondo i comandamenti. Testimoniare Dio con la propria vita pratica vuol dire manifestarlo al mondo. Proprio per questo l'aspetto etico- morale ha sempre mantenuto nell'ebraismo un ruolo estremamente importante. I principi di fede dell'ebraismo: Non è tuttavia impossibile cercare di definire gli elementi di fede dell'ebraismo, anzi il tentativo migliore è quello del filosofo ebraico medievale Mosè Maimonide (Cordova 1135- Il Cairo 1204) che formulò un celebre credo articolato in 13 articoli di fede: 1. L'esistenza di Dio. 2. La sua unità. 3. La sua incorporeità e spiritualità. 4. La sua eternità. 5. Il dovere di adorare solo Lui. 6. La verità delle parole dei profeti. 7. La superiorità di Mosè su tutti gli altri profeti. 8. L'origine divina della Torah o Legge rivelata. 9. Il suo valore eterno. 10. L'onniscienza di Dio. 11. L'esistenza della retribuzione o punizione finale. 12. L'arrivo futuro del messia. 13. La fede nella risurrezione dei morti. È sostanzialmente ispirato ai 13 articoli di Maimonide anche il tentativo, nel 1425, del filosofo e rabbi spagnolo Josef Albo (1380-1444) di codificare la fede ebraica in alcuni principi, dai quali derivano ogni volta determinate conseguenze: 1. Principio dei principi: esistenza di Dio —> da cui derivano 4 "radici": - sua unità - sua incorporeità - sua temporalità - sua perfezione 2. Secondo principio: origine divina della Torah —> da cui derivano 3 "radici": 47 Una conseguenza della trascendenza di Dio è l'aniconismo (dal greco a + eikòn, cioè "non immagine"), ossia il divieto di raffigurare la divinità. Tale proibizione, vigente anche nell'ebraismo, sta a significare che Dio sfugge alla capacità umana di conoscere in modo esaustivo e alla tentazione umana di dominarlo. Dio si sottrae così alla volontà dell'uomo. Nella tradizione islamica però l'aniconismo subisce una radicalizzazione poiché viene esteso a tutte le creature viventi: è proibito raffigurare l'uomo e ogni altro essere vivente. Che significato ha questa radicalizzazione? Essa intende evitare ogni pericolo di idolatria, dal momento che la presenza di raffigurazioni antropomorfe o zoomorfe distrae il sentimento religioso dell'uomo, portato a concentrare la propria attenzione su di esse, anziché dirigersi ad Allah. La guerra santa: combattere per Dio? Negli ultimi anni gruppi di fanatici religiosi di matrice islamica si sono resi responsabili di attentati e di azione terroristiche nei confronti del mondo occidentale. A muoverli è, a detta loro, la "guerra santa" che deve essere condotta contro gli infedeli. In questo modo tale espressione è divenuta l'emblema fondamentale delle paure e dei pregiudizi comuni alla maggior parte della popolazione occidentale. Il concetto islamico di "guerra santa" non ha però, a ben vedere, nulla a che fare con ciò che queste organizzazioni terroristiche sostengono e divulgano, approfittando spesso dell'ignoranza e della poca informazione anche dei propri stessi seguaci. Innanzitutto la traduzione "guerra santa" è fuorviante: il termine arabo jihad significa infatti propriamente "sforzo per raggiungere un determinato obiettivo". In un primo significato, di tipo ascetico, tale parola indica la lotta spirituale contro se stessi per migliorarsi. In un secondo senso, jihad si riferisce allo sforzo per diffondere la fede islamica e la Parola di Dio nel mondo impegnandosi in uno slancio missionario nei confronti di quelle culture e religioni diverse dalla propria, soprattutto quelle che ignorano la fede in un unico Dio. N.B. Occorre ricordare che ebraismo e cristianesimo sono esclusi da questo sforzo missionario, in quanto religioni monoteiste. 50 In un terzo significato, la guerra santa è intesa come azione militare e armata, ma lecita solamente nel caso in cui un territorio di fede islamica o una comunità subisca un'aggressione bellica alla quale è connesso il tentativo di privare le persone della libertà di praticare la propria fede islamica. Accade anche che alcuni movimenti tradizionalisti e radicali si servano dell'idea di "guerra santa" per sostenere la legittimità di accompagnare lo slancio missionario - che in sé dovrebbe essere un'azione pacifica - con la forza militare. Questa strumentalizzazione del concetto religioso di "guerra santa" è purtroppo l'unico significato con cui in Occidente i mezzi di comunicazione e i talk-show televisivi si ostinano a farci conoscere il complesso mondo e le variegate posizioni teologiche dell'islam. La maggioranza delle scuole e dei giuristi islamici sottolinea inequivocabilmente l'aspetto pacifico e religioso del jihad. Modulo 3: Dio nelle religioni orientali Religioni appartenenti alla tradizione orientale del continente asiatico = tradizioni religiose del subcontinente indiano, della civiltà cinese e di quelle giapponese. Per la mentalità e la cultura occidentali non è semplice capire questi modi di vedere il mondo: essi sono radicalmente diversi da tutto ciò che siamo abituati a pensare e da tutte le categorie culturali con le quali ogni giorno guardiamo la realtà che ci circonda e diamo una struttura familiare al mondo. L’hinduismo: • La religione hinduista presenta un'articolazione estremamente varia e complessa, tanto da far pensare piuttosto a un insieme di esperienze religiose, affini e tuttavia distinte. • Di questa religione non si conosce l'inizio preciso e non si può neppure individuare un fondatore. • Si tratta piuttosto di una tradizione culturale antichissima i cui primi documenti sono i Veda, testi redatti più tardi, ma risalenti a una lunga e complessa tradizione orale che rimonta almeno al 1500 a.C. La religione popolare: • A livello popolare è diffusa una forma di politeismo nel quale bisogna distinguere un livello che accomuna tutti i fedeli e uno invece a carattere locale e regionale che varia spesso da villaggio a villaggio. 51 • Tra le divinità comuni a tutti spicca una triade (trimurti) alla quale viene attribuito un ruolo di particolare importanza: Brahma, Vishnu, Shiva. • Nella concezione del mondo, propria di questo tipo di hinduismo, esistono molti universi in successione e ciascuno ha una nascita, una durata e una fine. • Colui che dà origine a ogni universo, conferendogli ordine e forma, è Brahma: egli non crea dal nulla, ma ogni volta plasma di nuovo la realtà. Si tratta cioè di un "demiurgo", non tanto di un "creatore" nel senso in cui i monoteismi occidentali intendono questo termine. • Vishnu è una divinità buona ed è considerato il "conservatore", cioè colui che preserva i fedeli dal male e dalle disgrazie. Una caratteristica originale di questa divinità è quella di apparire in forma umana o di animale in determinate circostanze, quando cioè nel corso del tempo alcuni momenti di crisi mettono in pericolo l'ordine delle cose nel mondo, della vita umana, della società. Queste manifestazioni di Vishnu dette avatara sono finora state nove, cinque in forma umana e quattro in forma non umana. • Shiva è il dio distruttore, colui che porta morte e devastazione. A lui viene spesso associata la figura della dea Kali, divinità femminile malvagia che lo affianca nell'opera di diffusione del male. Essa è raffigurata con quattro braccia e grondante del sangue delle sue vittime. I monoteismi: • A partire dal V-IV secolo a. C. nei Veda si nota la formazione di un filone monoteista. • Tutte le diverse funzioni attribuite alle differenti divinità del pantheon politeista vengono ora concentrate in una sola figura, creatrice, conservatrice, onnisciente, immortale. • I precedenti elementi politeistici vengono recuperati introducendo divinità minori e ausiliarie a servizio dell'unico Dio e che a differenza di questo non esistono da sempre. • Tre sono le principali forme di monoteismo sorte all'interno dell'esperienza hinduista: 1. Il Vishnuismo, che venera come unico Dio Vishnu, ma è un monoteismo che si articola a sua volta in tre grandi tradizioni. I vishnuiti si dividono infatti in: adoratori di Vishnu, di Krishna e di Rama, dove nel secondo e nel terzo caso Vishnu è venerato nella forma del suo avatara ritenuto più importante. Le tre diramazioni del Vishnuismo hanno sviluppato una diversa teologia, una propria struttura rituale e propri principi di riferimento; si rifanno inoltre a maestri diversi. La libertà di 52 • Alla base di ogni società vi devono essere buoni rapporti tra tutti i cittadini; un retto comportamento morale dei singoli risolve ogni problema sociale. • Per quanto riguarda la nozione di Dio, Confucio riprende gli elementi fondamentali della tradizione antica. • Si possono individuare nella concezione confuciana tre ordini di divinità: Al vertice sta il dio del cielo (Tien) e la terra che ha carattere sacro e divino. Vi sono poi numerose divinità associate ad elementi cosmici o a luoghi. Infine c'è il culto degli antenati, gli spiriti dei propri defunti che divengono protettori della famiglia. • Non vi è nel confucianesimo una precisa dottrina riguardante l'anima o la vita nell'aldilà. • l'importanza del culto religioso risiede nel comportamento pratico a cui i fedeli possono essere educati. • Non si insiste nemmeno sul rapporto personale del fedele con le divinità, poiché la preminenza viene data al legame del singolo con il gruppo sociale a cui appartiene: è alla società che l'individuo deve rendere conto delle proprie responsabilità. Il taoismo: • Il taoismo, insieme al confucianesimo e al buddhismo, rappresenta una delle anime religiose della cultura cinese. • Anche nell'esperienza taoista incontriamo una realtà stratificata e diversificata di concezioni del divino. • Al vertice sta una concezione del divino come Tao (= "cammino" o "via"), non un dio personale ma l'energia cosmica che è all'origine di tutto e che tutto pervade. • Il Tao ha dato origine a due principi opposti che governano l'universo, lo Yang e lo Yin. Dalla loro interazione e costante mescolanza deriva l'armonia e il continuo mutamento dell'universo. Ogni cosa contiene il proprio opposto: non vi sono mai nette e antitetiche opposizioni, ma in ogni cosa c'è la presenza contemporanea di polarità opposte. 55 • Dal Tao e dai suoi due principi si origina ogni cosa, la natura, il mondo. • Esiste però un livello di esistenza superiore a quello umano: si tratta di quello delle divinità (shen) distinte in più categorie e livelli: Vi sono innanzitutto le divinità celesti che hanno un ruolo di protezione nei confronti degli uomini; A un livello inferiore ci sono gli spiriti della natura che s’identificano con fenomeni atmosferici o abitano determinati luoghi; Le entità demoniache; infine vi sono gli spiriti di esseri umani divenuti immortali. Lo shintoismo: • Lo shintoismo rappresenta la tradizione religiosa del Giappone, civiltà in cui comunque ha avuto una notevole importanza anche il buddhismo. • Il culto praticato è una forma di politeismo in cui trova spazio una serie innumerevole di divinità (Kami). Le più importanti sono legate a grandi figure cosmiche (sole, mare, vento, fuoco, ecc.), tra cui spicca Amaterasu, dea del sole, da cui discende la famiglia imperiale. • Particolare importanza ha per i fedeli il culto degli antenati o dei defunti, poiché è convinzione comune che questi ultimi continuino a vivere come spiriti. • È assente l'idea di una retribuzione nell'aldilà, come pure mancano concezioni che prevedano una situazione di eterna beatitudine o dannazione. • Lo spirito umano è considerato come eterno. • L'aldilà però non è un vero e proprio mondo separato da noi: si tratta piuttosto di una condizione superiore di esistenza, alla quale si accede, ma che è profondamente unita alla nostra realtà e coesiste con questo nostro mondo, anche se essa e chi vi si trova risultano a noi invisibili. • Un valore centrale di questa tradizione religiosa è il carattere sacro della natura: essa rappresenta ciò che è divino ed esige pertanto un grande rispetto. 56 • La preghiera si svolge nei templi o in casa propria, dove ognuno può allestire dei piccoli altari. Ma luoghi naturali e spazi aperti sono luoghi altrettanto sacri dei templi, poiché permettono di percepire chiaramente la dimensione divina dell'universo. • I sacerdoti sono uomini che hanno una famiglia propria e una professione: il loro incarico implica dei compiti relativamente modesti, come celebrare alcuni riti, soprattutto in occasione di feste particolari. Durante lo svolgimento di atti cultuali indossano il proprio abito tipico che consiste in un'ampia veste bianca con maniche molto larghe e un berretto nero. • Gli atti di culto si dividono in tre grandi tipologie: riti di purificazione, cerimonie familiari, riti funebri. Modulo 4: Dio nel cristianesimo Due sono i punti fondamentali su cui si sorregge la concezione cristiana di Dio: 1. la predicazione di Gesù, ciò che egli ha detto di Dio, qualcosa che in parte riprende la concezione ebraica e in parte la modifica; 2. la rilettura della vicenda e della storia personale di Gesù, operata dai suoi discepoli dopo l'esperienza della sua resurrezione. Il rettorato ebraico di Gesù: • Quando Gesù parla di Dio si riferisce sempre al Dio dell'ebraismo, della Bibbia ebraica. Facendo questo, Gesù si riconosce e si colloca nella tradizione ebraica di cui condivide i punti fondamentali. Questi sono essenzialmente: 1. Dio è uno e unico. JHWH è l'unico Dio, ma questa convinzione monoteista si è affermata in Israele esplicitamente solo dopo l'esilio babilonese. L'ebraismo pre-esilico professa piuttosto una fede enoteista, dove cioè JHWH è considerato il più grande rispetto alle altre divinità, delle quali però si ammette l'esistenza. 2. Dio è un essere personale, con cui si può entrare in relazione, a cui si possono rivolgere preghiere e di cui la persona umana è immagine. 3. Dio è trascendente, cioè è distinto dalla natura e dal mondo, sta in una dimensione diversa dalla nostra. Anzi è creatore del mondo. 57 sempre più nitidamente l'identità divina di Gesù, chiamato fin da presto con l'appellativo "Cristo". 2) Inoltre tutta la vicenda accaduta con Gesù viene sempre di più percepita come l'impresa di un unico Dio che si è rivelato all'umanità in una complessa e intrecciata storia nella quale sono stati decisivi i ruoli di Dio Padre, di Gesù - cioè il Dio Figlio - e dello Spirito. In altre parole nella vicenda di Gesù si vede ormai chiara l’opera di un unico Dio che si manifesta nel “gioco di squadra” di 3 entità tra loro distinte. È così delineata la particolare e originale concezione cristiana di Dio, cioè Dio- Trinità: - non si tratta più di un monoteismo sul modello di quello ebraico, dove Dio si identifica esclusivamente con JHWH, cioè il Padre degli uomini, - ma non si tratta nemmeno di un politeismo dove vengono adorate tre divinità. - Dio non è più tanto una persona, quanto piuttosto una comunità di persone che si amano a tal punto da poter essere considerate un'unica entità divina. I fondamenti della concezione trinitaria: La rilettura della storia di Gesù da parte dei discepoli e dei primi cristiani ha consentito loro di vedere in tale vicenda la rivelazione definitiva di Dio all'umanità e di considerare questa rivelazione come la salvezza operata dal Padre, mediante il Figlio, nello Spirito Santo. La testimonianza più antica, e insieme normativa, di questa reinterpretazione dei fatti, alla luce dalla resurrezione, si è sedimentata nel Nuovo Testamento, nei cui testi il cristianesimo trova i fondamenti della propria concezione trinitaria di Dio. La riflessione più matura e sviluppata si trova senza dubbio negli scritti neotestamentari che appartengono alla tradizione giovannea. Questa rilettura dei primi cristiani si è subito estesa a quella che era la Scrittura Sacra che essi continuavano ad utilizzare, cioè la Bibbia ebraica. Si cominciò perciò subito a rileggere l'Antico Testamento alla luce di quanto era accaduto con Gesù, cercando anche in esso le tracce di un'azione trinitaria di Dio che fino ad allora non era stata pienamente riconosciuta. Queste tracce furono ben presto individuate in tre figure significative della tradizione veterotestamentaria: 1) Soprattutto nella letteratura sapienziale, ma non solo in essa, spicca la figura della Sapienza di Dio. Si tratta di una qualità di JHWH che esprime un importante elemento della sua essenza e della sua persona e che si manifesta nella creazione. 60 Un'importanza particolare assunsero per i primi cristiani quei passi dell'Antico Testamento nei quali la Sapienza di Dio viene personificata e descritta quasi come un essere personale dotato di qualità divine che opera accanto a Dio e che lo ha affiancato nella creazione del mondo, prima della quale già esisteva. 2) Anche la Parola di IHWH nell'Antico Testamento viene spesso personificata. Essa indica l'azione potente di Dio nel mondo. Questa figura attirò enormemente l'attenzione dei primi cristiani: infatti essi notarono subito una somiglianza fortissima tra la loro fede e le idee fondamentali di quella filosofia che allora era il pensiero culturale più diffuso, cioè il cosiddetto medio platonismo. In questa visione filosofica vi è una figura importantissima chiamata "Logos", che fa da mediatrice tra Dio e il mondo. Le prime comunità cristiane identificarono così ben presto Gesù con il Logos. Logos però in greco significa, tra le altre cose, anche "parola". Perciò la personificazione della Parola di Dio che si incontra nell'Antico Testamento esercitò su di loro un fascino indiscutibile. 3) Infine nella tradizione veterotestamentaria si parla molto dello Spirito di JHWH. Esso è a servizio di Dio, opera nella creazione e nella storia, è messaggero di Colui che lo invia. È sottolineata l'importanza della sua azione sugli uomini, sui profeti e il futuro Messia ne sarà ricolmo e ne sarà un portatore privilegiato. Anche nel caso dello Spirito di Dio, si trovano numerosi passi nell'Antico Testamento dove esso viene personificato, proprio come la Sapienza e la Parola di JHWH. In questi elementi della tradizione veterotestamentaria, che per l'ebraismo non rappresentavano tuttavia degli esseri veri e propri accanto a Dio, i primi cristiani trovarono la conferma alla loro rilettura della vicenda di Gesù e degli eventi della storia della salvezza iniziata da Dio con la sua rivelazione al popolo ebraico. Lo sviluppo della concezione trinitaria: I primi cristiani vivevano nella società, si confrontavano con la cultura del loro tempo e avevano contatti con molte persone. Da tutto ciò nacque l'esigenza di esprimere sempre meglio e in modo sempre più preciso quanto avevano compreso e sperimentato di Dio attraverso la vicenda di Gesù. Ci vorrà però del tempo perché si giunga a una soddisfacente definizione del Dio cristiano: era necessario un linguaggio appropriato e dei concetti adatti per dire chi erano il Padre, il Figlio e lo Spirito. Bisognava esprimere bene la distinzione rispetto al semplice monoteismo ebraico, ma senza creare l'equivoco di apparire come una sorta di politeismo. Alla fine del II secolo d. C. Teofilo di Antiochia coniò il fortunato termine "Trinità" e successivamente la riflessione teologica scelse il linguaggio e i concetti del pensiero filosofico greco. Due di essi furono decisivi per il delicato compito di chiarire l'idea di Dio: 1. "natura" —> fu utilizzato per esprimere ciò che Padre, Figlio e Spirito hanno in comune 61 2. "persona" —> venne usato per spiegare ciò che li rende distinti tra loro e unici. Due momenti di importanza fondamentale nella storia dell'elaborazione cristiana dell'idea di Dio come Trinità furono le definizioni date dai primi Concili ecumenici: • 325 d.C. Concilio di Nicea —> stabilisce la divinità di Cristo: “Il Figlio è della sostanza del Padre” • 381 d.C. Concilio di Costantinopoli —> stabilisce la divinità dello Spirito: “Lo Spirito procede dal Padre ed è adorato insieme al Padre e al Figlio” 62