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Riassunto del Manuale di educazione al genere e alla sessualità | Corbisiero e Nocenzi, Appunti di Sociologia

Riassunto chiaro e dettagliato del Manuale di educazione al genere e alla sessualità degli autori Fabio Corbisiero e Mariella Nocenzi

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 24/03/2024

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Scarica Riassunto del Manuale di educazione al genere e alla sessualità | Corbisiero e Nocenzi e più Appunti in PDF di Sociologia solo su Docsity! COME SI DEFINISCE IL GENERE Le teorie classiche Il concetto di genere è stato definito dalle scienze sociali in modo puntuale solo nel corso del XX secolo, ma un9analisi di tipo scientifico rispetto alle differenze fra uomini e donne si Ë affermata a partire dalla seconda met‡ del XIX secolo. Il termine inglese gender, però, descrive due categorie di un9entità sessuale e non come il suo equivalente termine italiano genere che, polisemicamente, si riferisce a diversi ambiti disciplinari (genere letterario, genere nelle scienze fisiche ecc.). Per questo motivo diverse discipline suggeriscono di utilizzare il termine in lingua originale, avendo un unico significato relativo alla costruzione sociale dell9identità sessuale. Nel corso del XX secolo questa accezione sarebbe stata ripresa in modo specifico dalla corrente della sociobiologia, che intese contrapporsi a quelle che erano divenute le tre prevalenti prospettive di analisi della trasformazione delle differenze sessuali in differenziazioni di ruolo, di identit‡ e di aspettativa sociale. La prima puÚ essere definita una prospettiva conflittualista e la si puÚ considerare alle origini di un pensiero scientifico sul processo di costruzione sociale dell9identità di genere (gender*). Infatti, già nel Seicento si deve all9osservazione di pensatori quali Poullain de la Barre e un secolo dopo al marchese de Condorcet la rivoluzionaria affermazione secondo la quale l9opinione dell9inferiorità della donna era basata su un9effettiva inconsistenza scientifica e, quindi, sul pregiudizio alimentato da una cultura prevalente maschile. Questo pregiudizio era stato la causa, ma anche la conseguenza di una produzione di leggi e norme che nella prima met‡ del XIX secolo il filosofo Claude de Saint-Simon aveva definito tipicamente maschile, al punto da precludere alle donne gran parte dei diritti spettanti, anche quelli pi˘ fondamentali, inalienabili per una persona umana, come la Rivoluzione francese aveva sancito. Si affermava, cosÏ, una visione della societ‡ moderna secondo la quale ruoli e funzioni erano determinati da una cultura orientata da squilibri nell9accesso alle risorse economiche, politiche, sociali a favore degli uomini, che perpetuavano questo sistema per preservare la propria posizione dominante. Questa prospettiva, sulla quale nel corso del XX secolo si sarebbe innestata la lettura femminista dei fenomeni sociali, fu al centro delle riflessioni di molti studiosi sociali e, fra questi, anche di donne pioniere come Mary Wollstonecraft e Harriet Martineau. Se la prima gi‡ nel corso del XVIII secolo sottolineava che le donne non erano inferiori per natura agli uomini, alla pensatrice americana Martineau si deve un9attenta riflessione in Society in America sull9inadeguatezza del sistema democratico, perché non garantiva l9uguaglianza fra i membri di una società, se differenti per sesso, e un pari accesso ai diritti di formazione, lavoro, rappresentanza politica, famiglia e salute. Si vedr‡ come anche questi principi, al pari di quelli emergenti dalla Rivoluzione francese, si sarebbero tradotti nelle idee a fondamento di movimenti di pensiero e azione quali quelli per l9emancipazione femminile, votati a definire e stabilire l9uguaglianza economica, politica e sociale dei sessi. Fra questi uno dei più noti fu quello delle suffragette. La seconda prospettiva Ë quella riconducibile alla corrente funzionalista, che guarda alle differenze biologiche e culturali fra uomini e donne come a loro attributi costitutivi e identitari. In particolare, ogni individuo, attraverso il percorso di socializzazione, apprende e interiorizza dal proprio contesto di riferimento quelle regole, valori e aspettative di ruolo che ne costruiranno l9identità di genere. Per i teorici del funzionalismo il margine di cambiamento sociale Ë limitato a quanto necessario per assicurare il perfetto funzionamento del sistema sociale, ossia il suo ordine, riproduzione e adattamento assicurati dalla divisione sociale dei ruoli, anche essa fondata sulle caratteristiche biologiche, anatomiche, fisiologiche maschili e femminili e sul loro valore sociale. La terza prospettiva di analisi è quella proposta dalla fenomenologia e dall9etnometodologia, secondo la quale a determinare le differenze di genere sono le pratiche e i comportamenti che uomini e donne mettono in atto interagendo e utilizzando le risorse a disposizione. Rispetto alla visione conflittualista e funzionalista della costruzione del genere da parte della societ‡, quella feno-etnometodologica punta sull9azione di ogni individuo che pone in essere servendosi del corpo, del linguaggio, della posizione sociale per produrre e riprodurre la propria identit‡ di genere. Il livello di conformit‡ o, al contrario, di rifiuto individuale dei modelli forniti dalle agenzie di socializzazione rende proprio gli individui i promotori delle identit‡ entro un ordine di genere che definisce ciÚ che Ë maschile e ciÚ che Ë femminile con il fluire delle relazioni sociali. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Le letture femministe Considerando quella femminile come la condizione tradizionalmente pi˘ svantaggiata rispetto al genere maschile, questa posizione critica verso la societ‡ Ë stata riconosciuta con il nome di femminismo. In esso confluiscono le proposte di studio, ideologiche e politiche di un complesso e articolato movimento sviluppatosi a partire dalle richieste per il riconoscimento del diritto di voto alle donne nella Francia della Rivoluzione francese. Si deve alla pensatrice e attivista Hubertine Auclert il primo riferimento al termine femminismo in un suo articolo per la sua rivista ´La Citoyenneª nel 1881. In questo articolo Auclert, denunciate le asimmetrie fra la condizione di vita di uomini e di donne e le dinamiche di oppressione di genere, propose un modello sociale le cui leggi, norme e pratiche non assumessero il sesso biologico come fattore per modellare l9identità sociale e l9accesso ai diritti della persona. Gli women’s studies Il femminismo ha portato un modo nuovo di vivere, pensare e vedere il mondo, prima di tutto da parte delle donne stesse. Inoltre, ha affermato la necessit‡ di trovare una propria tradizione di conoscenze, pratiche politiche e saperi. Alla fine degli anni Sessanta, con lo sviluppo del femminismo negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei, sono nati e si sono sviluppati i corsi di women9s studies, basati sulle teorie, sulle metodologie e sulle pratiche femministe. Un approccio multidisciplinare, in ambito accademico, che voleva rispondere a quel vuoto di conoscenze che una cultura maschile e patriarcale aveva prodotto. Negli anni Novanta lo storico Georges Duby e la storica Michelle Perrot curavano la pubblicazione di un9importantissima opera storica che si può definire corale e considerare una pietra miliare in Italia e nel resto del mondo: Storia delle donne in Occidente. L9indagine e la conoscenza in questo campo hanno avuto come obiettivo principale l9individuazione e l9analisi delle false rappresentazioni delle donne su cui si basava la cultura dominante. I programmi dei corsi e dei seminari di women9s studies sono, quindi, il risultato del lavoro portato avanti nell9ambito di associazioni, collettivi e organizzazioni femministe che, grazie alle stesse accademiche, in varie aree del sapere, hanno trovato spazio per dare valore all9esperienza diretta delle donne, anche a livello scientifico, facendo emergere il pregiudizio maschilista. Con lo studio e la ricerca hanno combattuto una discriminazione sistemica rispondendo con impegno nella societ‡ e nell9ambito della cultura e della scienza. Nell9ambito degli studi culturali, gli women9s studies si interfacciano con altre aree della conoscenza che trovano nell9impegno delle femministe la stessa radice: tra questi gli studi di genere, gli studi femministi e gli studi sulla sessualità. Quando ci si riferisce agli women9s studies lo si fa considerando la nascita di un canone condiviso di pubblicazioni, studi, opere e di realt‡ e di luoghi di donne dove ci si incontra, si studia e ci si impegna anche politicamente. Una di queste realtà è la National Association of women9s studies, nata nel 1977 negli Stati Uniti, che diventa subito spazio di incontri, convegni, produzione di saperi. Si scoprono storie e opere che non facevano parte dei canoni tradizionali, vengono esaminate tutte le tematiche che riguardano le donne come le questioni di potere, la divisione dei ruoli, la creazione e la cristallizzazione delle strutture sociali. Tra le prime storiche che si sono particolarmente impegnate in quest9opera di ricerca della verità e di smascheramento di una realt‡ diversa da quella fino ad allora rappresentata, con la conseguente ridefinizione degli ambiti e delle modalit‡ di ricerca, ricordiamo Joan Kelly e Carroll Smith, le quali opposero un secco rifiuto all9uso degli stessi strumenti e approcci di chi aveva agito l9esclusione dal punto di vista scientifico. Il nodo di indagine che soprattutto all9inizio destò maggiore interesse fu il rapporto donna-storia-politica. A questo proposito uno dei primi studi di particolare valore fu la seconda edizione del libro di Eleonor Flexner <Century of Struggle: The Women9s Rights Movement in the United States=. Al centro dell9opera c9è lo stud io del movimento emancipazionista ottocentesco americano. Si tratta del primo studio documentato sulla lotta per il diritto di voto alle donne. Negli stessi anni anche l9antropologa nordamericana Gayle Rubin contribuì in modo significativo con il suo volume a esplorare le origini dei meccanismi di oppressione delle donne. In particolare, la studiosa evidenzia la funzione centrale del genere, che trasforma la differenza sessuale biologica in un risultato dell9attività umana e attribuisce determinati ruoli in base al sesso di appartenenza, perpetuati dagli individui nel corso della loro vita secondo le aspettative sociali. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Studi LGBT+ A partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso la sociologia ha progressivamente ampliato il proprio focus, concentrandosi sulle diverse componenti dell9identità sessuale, considerata come un complesso intreccio di sesso, genere e orientamento sessuale. CiÚ ha portato alla nascita di quelli che sono stati definiti gay and lesbian studies. La pubblicazione dei primi studi sociologici che hanno focalizzato la propria attenzione sull9orientamento omosessuale è costituita da indagini che si sono concentrate principalmente sulla composizione e sull9organizzazione della popolazione omosessuale residente nei grandi centri urbani del Nord America. L9idea alla base di tale filone di ricerca, di natura positivista, era che l9omosessualità fosse una pratica diffusa, capace di incentivare e produrre, a seconda dei contesti culturali e territoriali entro cui si inserisse, cambiamento sociale. Queste prime indagini americane di matrice funzionalista sono state volte a soddisfare due esigenze conoscitive: da un lato, queste erano interessate a studiare la funzione della comunit‡ omosessuale in societ‡, investigando dinamiche, relazioni ed esperienze interne alla comunit‡ gay, insieme alla natura e alle caratteristiche delle relazioni intrattenute con gli altri membri della città; dall9altro, l9approccio positivista intendeva rilevare le condizioni di vita della comunit‡ gay degli anni Cinquanta, con un focus particolare sullo stigma vissuto o percepito dalle persone omosessuali per il fatto di appartenere a una minoranza. In America prima, e in molti altri contesti territoriali del mondo occidentale poi, uomini e donne omosessuali e bisessuali, insieme alle persone transgender, hanno iniziato cosÏ a riconoscersi come comunit‡ al di fuori degli schemi dell9eterosessismo. Entro questa cornice, l9acronimo «LGBT++» ha iniziato ad assumere un sign ificato simbolico e politico. L9emblema della mobilitazione LGBT+ è rappresentato dai cosiddetti moti di Stonewall Inn, che hanno avuto luogo all9alba del 28 giugno 1969, quando la polizia effettuava una violenta irruzione nell9omonimo locale del Village a Manhattan. Il raid si Ë trasformato in una rivolta contro i poliziotti durata diversi giorni, avviata da Sylvia Rivera, donna transessuale che per prima si è ribellata alle forze dell9ordine. Questa data è diventata a livello globale un simbolo per la comunit‡ omosessuale, che ogni anno ancora la celebra attraverso i Gay Pride. Entro la cornice costruttivista, l9attenzione della ricerca sociale sulle identità sessuali si è spostata poi sulla costruzione sociale dell9identità omosessuale e sulle forme attraverso le quali uomini e donne si riconoscono come gay e lesbiche. Pi˘ specificamente, attribuendo grande importanza ai fattori sociali e culturali, le identit‡ omosessuali sono state studiate e analizzate dalle scienze sociali entro i principali ambiti in cui si realizza l9interazione sociale: dalla famiglia di origine al gruppo dei pari, passando per le organizzazioni di appartenenza e gli ambienti di lavoro. La riflessione sociologica costruttivista sulle identit‡ sessuali si Ë inserita entro la cornice di analisi pi˘ ampie, volte a cogliere i principali effetti sociali di alcuni processi allora in corso, quali industrializzazione, razionalismo e individualismo. A partire da questo periodo storico gli studi LGBT+ hanno posto in risalto anche le principali differenze che intercorrono nella costruzione dell9identità omosessuale tra uomini e donne. Il cosiddetto processo di omosessualizzazione viene descritto come un percorso in cui entrano in gioco il proprio sentire, ma anche la forte pressione esercitata da alcuni fattori esterni, che propongono l9eterosessualità come condizione identitaria obbligatoria. Gli anni Ottanta sono stati segnati dalla drammatica diffusione dell9AIDS, ribattezzata in maniera stigmatizzante come ´peste gayª e ´GRIDª. Infatti, nonostante l9elevato numero di contagi anche tra persone eterosessuali, in questo periodo si Ë assistito a una vera e propria criminalizzazione della comunit‡ omosessuale, condotta principalmente da medici ed esperti, supportati dal sistema mediale, secondo i quali gli uomini gay sarebbero stati i principali untori a causa dei loro comportamenti sessuali considerati promiscui. Tale contesto non solo ha stimolato la nascita e la diffusione di importanti campagne di educazione e di prevenzione del rischio sociosanitario condotte negli ambienti omosessuali di tutto il mondo, ma ha anche favorito il proliferare di un filone di ricerca sull9AIDS trasversale a diverse discipline, tra cui la sociologia, la psicologia, l9epidemiologia e la medicina. Contestualmente, in ambito accademico, ha iniziato a farsi sempre pi˘ spazio il gi‡ noto approccio poststrutturalista, che si inserisce all9interno della riflessione sulle conseguenze della società postmoderna. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Le principali caratteristiche della postmodernit‡ possono essere riassunte in: perdita di fiducia nelle grandi narrazioni della modernit‡ (come la religione, la politica, la famiglia); maggiore personalizzazione dei percorsi biografici (resa possibile da un processo di detradizionalizzazione che ha liberato gli attori sociali dagli schemi di aspettative tradizionali); indebolimento degli schemi di orientamento dettati dalla tradizione. All9interno di questo scenario sociale gli attori sociali sono considerati pi˘ liberi di gire e di costruire la propria identit‡, anche sessuale, in quanto le biografie individuali appaiono ormai slegate dai principi universali e unitari tipici della modernit‡. Dunque, con la postmodernit‡ la sessualit‡ si scopre duttile, dal momento che gli attori sociali la vivono in maniera sempre pi˘ soggettiva, indipendentemente da vincoli prescrittivi, come ad esempio quelli riproduttivi. Come esito di queste profonde trasformazioni, nell9ambito della ricerca sulle identità sessuali, a partire dagli anni Novanta si sono fatti spazio sulla scena i cosiddetti queer studies. Il termine, di derivazione tedesca (quer significa obliquo, trasversale), Ë stato utilizzato per la prima volta nel 1990 da Teresa de Lauretis durante una conferenza presso l9Università di Santa Cruz per designare l9insieme delle teorie decostruzioniste dell9identità sessuale. La scelta di utilizzare il termine queer per indicare la direzione di questo approccio rappresenta una svolta linguistica da un forte significato simbolico. Infatti, nel linguaggio comune l9espressione queer era diventata nella lingua inglese del Novecento una sorta di sinonimo di stravagante, bizzarro, ma con un9accezione quasi negativa in riferimento alle identit‡ sessuali non mainstream per insinuare il loro carattere deviante, perverso o anormale. La prospettiva dei queer studies ha fatto proprio il concetto di performativit‡ di genere introdotto da Butler. La studiosa, infatti, ha posto in risalto che la ripetizione ritualizzata di alcune forme di comportamento riconducibili al femminile e al maschile ha prodotto come effetto una visione socialmente condivisa dei generi fondata su un fittizio paradigma eterosessuale. Pertanto, trattandosi di una messa in scena, la rappresentazione del genere non solo Ë da considerarsi come un qualcosa di artefatto, ma, nel contesto postmoderno, non poteva che cedere il passo a una concettualizzazione dell9identità sessuale più composita, non riconducibile a un9unica dimensione. L9assunzione di una prospettiva queer si è posta come possibile strumento utile a compiere un9operazione di decostruzione delle tradizionali categorie sociologiche di sesso, genere e identit‡ sessuale, senza mai pervenire a una sintesi. Dunque, la proposta di introdurre all9interno del panorama scientifico la nozione di comunità queer ha rappresentato una possibile strategia da adottare per studiare e analizzare tutte le soggettivit‡ sessuali che, slegate da specifici fattori da cui partire per imbastire l9analisi, sono accomunate dal proprio essere lontane dalle categorie identitarie considerate omologanti. Le teorie queer hanno dato vita a una serie di studi e di riflessioni volte a mettere in discussione il carattere stabile e definito delle identit‡ sessuali, rifiutando la nozione tradizionale di genere. Di fatto, alla base di tale prospettiva analitica vi è l9idea che occorra abbandonare una visione stereotipata e dicotomica dei sessi, dei generi, delle identit‡ e degli orientamenti sessuali, in favore di forme meno cristallizzate e pi˘ fluide e instabili, perchÈ esposte a riorganizzazioni che possono avere luogo durante tutta la vita delle persone, risultato di fattori sociali, psicologici, culturali e biologici. Utilizzando tale chiave interpretativa, Ë possibile sostenere che i queer studies hanno promosso una decostruzione del gender-polarized world, ossia una concezione nettamente dicotomica della societ‡ sessuata, proponendo, invece, una visione inedita di considerare i modi di vivere il corpo, il desiderio erotico, la femminilit‡ e la mascolinit‡. Pi˘ specificamente, gli studi queer hanno iniziato a incoraggiare riflessioni e analisi sulle questioni che riguardavano le marginalit‡ sessuali con il duplice obiettivo di promuovere la visibilit‡ dei soggetti che si collocano oltre i tradizionali binari, da un lato, e, dall9altro, di riconoscere piena legittimit‡ alle configurazioni identitarie trasversali e ai processi complessi e pluralizzati sottesi. Di conseguenza, la sessualit‡ viene presentata cosÏ un terreno di sperimentazione, per cui l9omosessualità non può essere considerata più come un orientamento oppositivo all9eterosessualità, ma, al contrario, diventa complementare a essa. SESSUALIT¿ La sessualità costituisce un tema d9interesse per la teoria e la ricerca sociologica da qualche decennio. La sessualità puÚ mettere in gioco uno o pi˘ elementi che richiamano l9appartenenza del soggetto alla società al suo legame più profondo con elementi della cultura di riferimento, quali norme e valori (dimensione sociale e culturale). La dimensione sessuale permette di rispondere a un bisogno fondamentale per l9esistenza di una società, ovvero la condizione necessitante di entrare in relazione con l9altro. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Tra le scienze sociali che si occupano della sessualit‡ in termini non necessariamente connessi alla funzione riproduttiva, troviamo l9antropologia, per la quale il controllo della sessualità assume un ruolo centrale nella spiegazione delle genealogie e delle politiche della parentela. L9antropologia ha inoltre consentito di evidenziare come il controllo delle pulsioni sessuali da parte dell9essere umano sia collegato al processo di istituzionalizzazione della societ‡, nella misura in cui la sessualit‡, anche quando considerata come puro istinto, si distinguerebbe da quello animale, che Ë invece orientato al mero fine riproduttivo. La sessualità va canalizzata, direzionata in azioni legittimate socialmente, nella misura in cui, in assenza di queste, c9è il pericolo che l9eccesso pulsionale conduca a un9aggressività reciproca. Anche la psicologia ha trattato a lungo di sessualit‡. Freud ha messo in rilievo la centralit‡ assunta del controllo delle pulsioni sessuali come elemento che contribuisce al processo di civilizzazione. La sua distinzione fra Eros (piacere sessuale) e Thanathos (pulsione distruttiva) costituisce il processo attraverso il quale la psicologia perviene a spiegare l9istituzionalizzazione della vita e i meccanismi che portano alla creazione di una morale condivisa quale processo centrale per la formazione di una civilt‡. Questi spiegano come lo studio della sessualit‡ non puÚ ridursi alle sole manifestazioni fisiologiche e biologiche, ma debba comprendere anche quei meccanismi di regolazione sociale e culturale che da sempre hanno circoscritto i modi di esprimersi di questa funzione cosÏ centrale per la sopravvivenza e la continuazione della specie. Dal punto di vista della sociologia, invece, studiare la sessualit‡ significa considerarla al pari di qualsiasi altro fatto sociale. La sociologia compie un ulteriore passo avanti: analizza l9affrancamento della sessualità dalla riproduzione e secolarizzazione dei valori, la progressiva tolleranza rispetto alle scelte nell9orientamento sessuale, la d ifferenziazione fra sessualit‡ e affettivit‡, la pluralizzazione delle forme in cui gli individui autodefiniscono la propria identit‡ sessuale. Per il Durkheim la sessualità doveva essere circoscritta all9interno di istituzioni specifiche che avevano il compito di predeterminare i comportamenti sessuali attesi di uomini e donne; tra queste istituzioni egli vedeva nel matrimonio quella più importante. La centralità assunta dall9ordine e la stabilità sociale nella sua teoria metteva ai margini le persone la cui sessualit‡ non Ë finalizzata alla riproduzione e quei legami non convenzionali. Influenzato dalla morale del tempo, anche Parsons vedeva nella famiglia un9istituzione fondamentale per la riproduzione sociale e culturale della società. L9attenzione ai processi di socializzazione, in particolare a quelli legati al genere, era centrata, nel porre in evidenza ruoli e compiti differenziati fra i membri della famiglia, lungo le linee rigide delle dicotomie e del dimorfismo sessuale. Nella sociologia di Parsons le donne sono naturalmente predestinate al compito della cura dei figli e del focolaio domestico, che si specializza dunque nelle funzioni affettive a differenza degli uomini che si specializzano nella funzione intellettuale. Alla base di questa specializzazione dei ruoli sessuali c9è un sistema patriarcale e sessista che assegna alla donna una posizione sostanzialmente subalterna all9interno di un ordine di genere e sessuale al cui apice troviamo l9uomo. In questa prima fase del ragionamento sociologico sulla sessualit‡ poca attenzione Ë posta alla condizione della donna, la cui sessualit‡ Ë stata costantemente repressa, associata solo a un fatto procreativo, negandole ogni ambizione al piacere sessuale. L9approccio sociologico funzionalista tenderà a non problematizzare la sessualit‡, dando per scontato che uomini e donne debbano corrispondere a quei ruoli sociali che naturalmente essi sono chiamati a interpretare, proprio sulla base della loro differenza sessuale. La Scuola di Chicago, che tra gli anni Venti e Trenta del Novecento inaugurÚ la prospettiva ecologica e interazionista intorno alla figura di Robert Park, la corrente drammaturgica, il cui principale esponente fu Erving Goffman, e in particolare l9approccio etnometodologico di Harold Garfinkel, getteranno le basi per una nuova ontologia della sessualit‡ e una sua visione che porr‡ particolare enfasi sulle influenze poste dal contesto culturale, ovvero sull9immaginario che si crea, ricrea e si negozia intorno alla sessualità per tramite delle interazioni socio-sessuali, e in particolare attraverso il linguaggio. Nonostante possano riconoscersi molteplici differenze fra questi approcci, tutti hanno in comune una maggiore attenzione a individuare gli ambiti di senso all9interno dei quali l9esperienza sessuale è concretamente vissuta e a collegare aspetti di natura intrapsichica a quegli aspetti di natura culturale che forniscono orientamenti normativi e valoriali utili per l9esplicitazione delle pratiche sessuali. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 l9atteggiamento e le discussioni della madre sul sesso. Per alcune/i di queste/i studiosi/e il precoce debutto sessuale delle figlie di famiglie disgregate, monoparentali e non coniugate era legato alla funzione di regolamentazione dei comportamenti e dunque alla capacit‡ di controllo genitoriale, che si stimÚ fosse maggiore nelle famiglie tradizionali. Altre ricerche hanno evidenziato che gli adolescenti di genitori divorziati possono iniziare prima il processo di individuazione rispetto ai coetanei. Le madri divorziate risultano delegare maggiore responsabilit‡ sia ai figli maschi sia alle figlie femmine. Simon e Furman hanno riscontrato un effetto diretto della separazione dei genitori su una maggiore propensione ad affrontare temi relativi ai sentimenti e alla sessualit‡ in famiglia. Le separazioni si riverberano negativamente nel rapporto genitori-figli, soprattutto laddove si verifica una perdita di autorevolezza da parte dei genitori, con un conseguente aumento dell9influenza del gruppo dei pari. Infine, in accordo con la teoria della maggiore apertura in materia sessuale da parte delle madri, Thorton rilevÚ che le madri in seguito a un divorzio sono pi˘ permissive in campo sessuale. In merito alle possibili spiegazioni del fenomeno, lo studioso ipotizzÚ che le madri di famiglie ricostituite, nella fase post-separazione sono pi˘ attive sessualmente, in quanto intenzionate a intraprendere una nuova relazione trasmettendo ai loro figli un atteggiamento pi˘ aperto e permissivo in materia di relazioni sentimentali. Socializzazione alla sessualit‡ tra pari Il tema della sessualità è affrontato dai ragazzi nell9ambito del gruppo dei pari, ovvero quell9insieme di persone accomunate da caratteristiche similari che costituiscono un frame di riferimento importante per i processi di identificazione, oltre che ambito all9interno del quale i giovani acquisiscono norme, valori e riferimenti per l9agire. All9interno di questa ottica, le amicizie sono pertanto il contesto entro il quale i ragazzi raccolgono informazioni, si scambiano esperienze, sciolgono dubbi, costruiscono le basi rudimentali per la costruzione dei copioni sessuali. La famiglia e la scuola sono identificate dai ragazzi come istituzioni della tradizione, i rapporti amicali invece, anche per il fatto di essere caratterizzati da relazioni orizzontali, diventano ambito elettivo per l9espressione creativa, della libert‡, della sperimentazione. Le ricerche sulla socializzazione alla sessualit‡ sottolineano anche come le amicizie divergano per caratteristiche associate al genere, al ceto sociale di appartenenza, al livello di istruzione. Rispetto al genere, la socializzazione alla sessualit‡ fra pari risente della differenziazione fra maschi e femmine. Questa differenza si evidenzia rispetto ai modi in cui i giovani e le giovani si confrontano sulle prime esperienze sessuali e affettive. La socializzazione alla sessualit‡ tra i maschi costituisce un momento al quale i ragazzi attribuiscono un significato importante per il passaggio all9età adulta, vissuto all9interno delle cerchie amicali con il quale il giovane si confronta. Le amicizie assumono qui la doppia funzione: da un lato costituiscono i riferimenti, dai quali ottenere informazioni utili ad affrontare le prime pratiche ed esperienze sessuali, dall9altro costituiscono una sorta di palcoscenico ideale su l quale i ragazzi inscenano ed esibiscono la capacità d9interpretare i copioni sessuali condivisi. Parlare di sesso Ë tipico degli adolescenti in gruppo e questa attivit‡ si collega direttamente al bisogno di confermare la propria eterosessualit‡. Rinaldi, per esempio, collega questa particolare fase al possibile sviluppo di condotte omotransfobiche: prendere di mira con insulti e atteggiamenti aggressivi quei compagni di scuola o conoscenti con caratteristiche di genere e sessuali non conformi, diventa spesso l9espediente attraverso il quale i maschi confermano agli altri la propria maschilit‡ eterosessuale. Per quanto concerne la socializzazione alla sessualit‡ delle ragazze, sembra ancora prevalere il peso di una morale che limita la sessualit‡ delle donne. Le amicizie dello stesso sesso in epoca adolescenziale costituiscono il principale riferimento entro il quale le giovani ragazze si confrontano, sciolgono dubbi relativamente alle esperienze sessuali quali: il primo bacio, il primo rapporto, mentre maggiormente tabuizzato risulta il tema della masturbazione. Difatti, le confidenze scambiate sembrano focalizzarsi pi˘ sugli aspetti emotivo-sentimentali, che quelli ludico-sessuali. Un ultimo aspetto deve essere dedicato al tema della socializzazione alla sessualit‡ delle persone non eterosessuali, e dunque alle difficoltà che incontrano le persone omosessuali, bisessuali nell9ambito di istituzioni prevalentemente etero normative. Da questo punto di vista le reti amicali costituiscono un fattore fondamentale, spesso suppletivo alle assenze o all9atteggiamento ostativo evidenziato da altre agenzie di socializzazione. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Un9opera recente ha messo in evidenza il ruolo primario che occupano le reti amicali delle persone gay e lesbiche relativamente al processo di costruzione dell9identità omosessuale. Le amicizie fra persone LGBT+ si rivelano un capitale sociale essenziale, giacché all9interno di queste si apprendono quelle che sono le regole e i processi relazionali che caratterizzano i mercati omoerotici. L’invenzione dei corpi La dimensione culturale interviene attribuendo un valore ai corpi e a parti di esso, organizzandone le differenze in una scala gerarchica, dettando funzioni e aspettative su cosa e come dovrebbe apparire, su quando considerarlo sano e quando no, su come dovrebbe muoversi, persino vestirsi o desiderare. Una delle grandi questioni che ruotano attorno alla nostra interpretazione dei corpi (il plurale è d9obbligo) è quella legata alle dimensioni del sesso e del genere: a determinate caratteristiche anatomiche la nostra societ‡ ha attribuito altrettanto determinanti funzioni, aspettative, vincoli e possibilit‡. Eppure, a ben vedere, la categorizzazione di genere che operiamo sui soggetti si basa su considerazioni tutt9altro che basate su caratteristiche fisiologiche: in linea di massima, quando incontriamo una persona non abbiamo accesso alle informazioni relative alla tipizzazione cromosomica o ai suoi genitali. A guidare questo processo sono invece elementi quali gli abiti, il tono della voce, il modo di muoversi, in altre parole i marcatori sociali che, per definizione, variano sensibilmente nel tempo e nello spazio. Nostro malgrado, il corpo parla di noi a prescindere dalle nostre intenzioni, ma il lavoro che operiamo costantemente su di esso puÚ in qualche modo confermare o, al contrario, tentare di decostruire tutta una serie di presunzioni che ci investono. Da un lato, sembrerebbe che non ci si possa esimere dal fare il genere, dall9essere soggetti disabilitati, razzializzati e via discorrendo. Fino alla fine del Settecento il modello attraverso il quale si pensava e rappresentava il corpo era quello monosessuale: il corpo era quello maschile e quello femminile altro non era che una sua versione meno sviluppata. La differenza tra maschile e femminile si basava, invece, su differenze legate a ruoli, condotte e posizioni sociali e agire in modo non conforme rispetto al proprio gruppo di appartenenza poteva incidere sulla materialit‡ del proprio corpo, che si sarebbe modificato di conseguenza; il sesso era dunque una categoria sociologica e non ontologica. A partire dal XVIII secolo, i saperi promossi dalla scienza medica producono un cambio di paradigma: corpi, pratiche e condotte divengono terreno di misurazione, medicalizzazione e classificazione, promuovendo una lettura essenzializzante della sessualit‡ che va dunque a enfatizzare la dimensione biologica. Questo corpus di saperi prenderà il nome di sessuologia. Tale disciplina vedrebbe l9essere umano nascere con una natura sessuale biologicamente data che comprenderebbe, al pari di altri bisogni primari, l9impulso sessuale, inteso come naturalmente eterosessuale Il sesso diviene, secondo Garfinkel, un9attitudine naturale socialmente costruita che definisce i contorni di accettabilit‡ sociale di maschilità e femminilità. Potere e carattere normativo si articolano anche all9interno delle femminilità e all9interno delle maschilità o, ancora, richiedendo correzioni o aggiustamenti per tutti quei corpi che, in qualche modo, vengono percepiti come eccedenti o imprevisti. » questo il caso delle persone intersex, che presentano delle caratteristiche che non permettono la classificazione sessuale in un sistema binario maschile femminile. La loro stessa esistenza metterebbe in qualche modo in discussione la griglia di lettura che applichiamo ai corpi, facendo emergere la presenza di una variet‡ anatomica, ma tale Ë la pervasivit‡ del paradigma binario che la richiesta, Ë quella di agire tempestivamente nei confronti di questa ambiguit‡, attraverso interventi di chirurgia estetica genitale. Si tratta di interventi irreversibili e invasivi che vengono operati su soggetti in et‡ precoce e che nel 2016 sono valsi all9Italia un9ammonizione da parte del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilit‡ perchÈ considerate forme di mutilazione genitale. Così, l9unica modalità di pensarsi sessuali diviene quella eterosessuale, perfettamente integrata nel modello binario che intreccia corpo, genere e sessualit‡. Imparare a essere sessuali significa, dunque, imparare a interpretare parti del corpo, azioni e interazioni come sessuali, a distinguerle da ciÚ che sessuale non Ë. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Simon e Gagnon parlano di copioni sessuali; questi agirebbero su tre livelli: quello degli scenari culturali, quello interpersonale e quello intrapsichico. Ciascun livello non agirebbe in modo isolato nÈ, tantomeno, indicherebbe una serie fissa di istruzioni da seguire senza alcuna possibilit‡ di adattamento, malleabilit‡ e modifica; al contrario, richiederebbero un processo continuo di improvvisazione, interpretazione e negoziazione, agite attraverso e sul corpo. Il livello degli scenari culturali fornisce una serie di significati disponibili, di requisiti da soddisfare, di punti di orientamento per stabilire il chi, dove, quando e come della sessualità. Quello interpersonale, invece, riguarda l9applicazione di tali scenari in una data situazione. L9ultimo livello, quello intrapsichico, si riferisce allo spazio del sé, al luogo di produzione delle fantasie e dei desideri . Smarcare la sessualit‡ da una mera lettura biologica, far emergere il sociale nel sessuale, implica dunque riconoscere che anche il corpo Ë immerso in una ´sofisticata costruzione socialeª. Costruzione sociale che, come abbiamo avuto modo di sottolineare a pi˘ riprese, ordina gerarchicamente tali corpi anche nel loro essere sessuati e nel loro divenire sessuali. All9invenzione dei corpi e delle sessualità partecipano i saperi e le pratiche mediche e scientifiche, le istituzioni, le diverse agenzie di socializzazione e, naturalmente, i mass media e le produzioni culturali. Le pornografie plurali Con il termine pornografia audiovisiva ci riferiamo a delle interazioni sessuali programmate, performate e riprese affinchÈ vengano fruite da terze persone non necessariamente coinvolte e presenti nell9interazione suddetta. La pornografia uno degli scenari culturali pi˘ popolari e diffusi a cui attingere nei processi di costruzione sociale dei generi e delle sessualit‡. Per molto tempo la pornografia Ë stata considerata come un genere prodotto e pensato per un pubblico esclusivamente maschile che riservava alle donne il solo ruolo di performer. Le donne si pensava, semplicemente non potevano essere interessate a quel tipo di prodotto. Prima dell9avvento del videoregistratore, la visione di film porno avveniva principalmente in luoghi percepiti come inaccessibili per le donne. Il dibattito attorno al tema della pornografia Ë stato nel corso del tempo particolarmente vivace e prolifico. Talmente tanto da essere riconosciuto con il termine di sex wars e a scontrarsi due diverse correnti, che vedevano nella pornografia una forma di violenza e uno strumento di oppressione sessuale o, al contrario, un mezzo dal potenziale rivoluzionario per l9emancipazione femminile e la liberazione dei suoi desideri. Tale conflitto ha vissuto una fase particolarmente vigorosa soprattutto durante la cosiddetta golden age dell9industria pornografica, ma, in realt‡, non si Ë mai esaurito. Eppure, proprio a partire dalla prima met‡ degli anni Ottanta, hanno iniziato a farsi strada prodotti che vedevano le donne protagoniste. Da queste prime esperienze il panorama delle pornografie audiovisive ha subito numerosi cambiamenti, tanto dal punto di vista dei processi produttivi che da quello degli immaginari proposti. SOCIALIZZAZIONE, EDUCAZIONE E LINGUAGGIO La socializzazione e il genere sono due aspetti che hanno forti legami con la costruzione dell9identità, che è esito stesso del processo di formazione dell9individuo. Il modo in cui siamo, ci comportiamo e pensiamo Ë il prodotto finale della socializzazione. Attraverso la socializzazione impariamo anche ciÚ che Ë appropriato e improprio per i generi in base alla dimensione di appartenenza sessuale. La socializzazione Ë un processo relazionale tra generazioni differenti e ha come obiettivo la costruzione dell9identità (in questo caso sessuale/di genere). Aspetti della relazione socioeducativa La socializzazione al genere è una dimensione importante nel processo di costruzione dell9identità, in quanto la distinzione fra maschile e femminile è la prima in cui l9essere sociale si trova immerso. Questo tipo di socializzazione è un processo attraverso cui un individuo apprende e rielabora una propria identit‡ di genere, confrontandosi con una cultura comune, con ruoli e attese relative al maschile e al femminile, all9interno di un determinato contesto socioculturale. In questo percorso si acquisiscono le credenze, i valori e le norme riguardo ai ruoli e le aspettative che sono associati a ciascun sesso e ai ruoli di genere. Il processo di socializzazione Ë alla base della vita della societ‡, in quanto Ë il modo attraverso il quale ogni individuo diventa un essere sociale a tutti gli effetti. La socializzazione diversificata in base al sesso Ë una forma pi˘ mirata di socializzazione; Ë il modo in cui le nuove generazioni sono socializzate nei loro ruoli di genere in ogni societ‡. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 I bambini si appropriano della cultura dell9adulto, reinterpretano e ne riproduco i significati traducendola nello spazio, con l9obbietto di riorganizzare i mondi sociali che gli adulti creano. Durante le attività ludiche, a scuola o al nido, i più piccoli si confrontano con gli stereotipi e le aspettative sociali, in un contesto in cui gli spazi sono ben organizzati e differenziati, non neutri rispetto al genere. Importanza dello spazio Lo spazio rappresenta un elemento fondamentale nella vita quotidiana del bambino. Gli spazi per bambini vengono separati da quelli degli adulti e vengono pensati e progettati con una finalit‡ ben precisa: proteggere e prendersi cura dei pi˘ piccoli. Questi spazi che riguardano gli asili nido, le scuole materne, le aeree di gioco, delineano dei confini bene precisi e sottomettono i più piccoli a un controllo vigile e attento dell9adulto. La limitazione nello spazio del bambino rappresenta una sorta di campo sociale obbligatorio attraverso cui confrontarsi con tutta una serie di ruoli imposti dagli adulti. L9organizzazione degli spazi scolastici riproduce e promuove lo svolgimento della mascolinit‡ e della femminilit‡. Nelle aule scolastiche la decisione degli spazi maschili e di quelli femminili Ë uno dei primi elementi che emerge conferendo allo spazio-gioco il ruolo di riproduttore degli stereotipi di genere attraverso spazzi sessuati. CiÚ che si sviluppa Ë una genderizzazione dello spazio del gioco infantile che, di conseguenza ha ripercussioni sulla formazione dell9identità di genere. In termini di analisi critica, la sociologia dell9infanzia suggerisce che gli ambienti scolastici dovrebbero essere quanto pi˘ neutri possibile rispetto alle dimensioni di genere ed essere sensibili e attenti a messaggi di giustizia sociale e di equit‡. Ma, soprattutto, la scuola dovrebbe migliorare i propri percorsi di educazione sul genere. La correlazione tra differenze di genere e gioco infantile Ë oggetto di molte indagini che fanno riferimento non soltanto allo strumento ludico, ma anche agli stili o agli atteggiamenti che questi ultimi adottano. » noto che parlare del gioco nello sviluppo del bambino Ë particolarmente importante in quanto, attraverso questo, i bambini esplorano e provano i ruoli di genere. Nel mondo del gioco il bambino costruisce la propria identit‡, conosce il mondo e fa emergere il proprio sÈ. Il gioco, dunque, Ë uno strumento indispensabile per l9identità di genere. Attraverso il gioco e il sistema di giocattoli l9adulto propone degli schemi di comportamento e trasmette, di conseguenza, dei condizionamenti culturali. Nelle prime indagini in cui si discuteva della correlazione che potesse esistere tra il gioco e il genere emergeva come la differenziazione avveniva soprattutto nel mercato dei giocattoli. Lo stile differenziato, durante le attivit‡ ludiche, resta sempre un tema discusso, poichÈ gi‡ dai primissimi anni, Ë visibile come bambini e bambine giochini in maniere diversa. L9interesse a cose che sono particolarmente associate al loro sesso, permettono al bambino di percepire il genere maschio e femmina, di riprodurlo e di perpetuarlo addirittura. Si ritiene, infine, che le bambine e i bambini scelgano proprio di giocare a cose diverse e in modi diversi e di farlo con compagni del loro stesso sesso. Kilvington e Wood ritengono come nei giochi all9aperto o per strada la segregazione di generi sia molto meno netta rispetto a cui contesti scolastici. E proprio in questi contesti che i bambini giocano con qualsiasi cosa indipendentemente dal colore che viene associato al loro genere. I bambini, infatti, amano anche e soprattutto con elementi della natura che non sono associabili a nessun genere. Favorire un9educazione outdoor non solo consentirà di creare ambienti fisici e sociali pi˘ inclusi in cui possono assimilare insegnamenti d giustizia ed equit‡ sociale ma permetter‡ ai pi˘ piccoli di giocare con la fantasia in un gioco meno condizionato e segregato. Solo di recente si è diffuso un ulteriore filone di studi che celebra, sin dall9infanzia, il diritto all9autodeterminazione e la libert‡ di genere. Sono molti i genitori che riconoscono e considerano la propria bambina o il proprio bambino gender creative. Tale concetto Ë stato introdotto dalla psicologa Ehrensaft per sostenere un modello che consideri una gamma pi˘ vasta di genere. In questo modo, i bambini hanno diritto di definire la loro identit‡ di genere individuale e gli adulti hanno responsabilità di ascoltare quest9ultimi, nonché il dovere morale di sostenere tale libert‡. Le questioni legate alla fluidit‡ di genere dei bambini investono non soltanto il bambino in quanto tale ma, anche, tutta la famiglia, gli educatori e le altre agenzie educative che sono a contatto con l9intero nucleo famigliare. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 La costruzione educativa del genere: il ruolo delle istituzioni Introdurre il tema della costruzione del femminile e del maschile nei contesti educativi significa confrontarsi con la complessit‡ dei processi di socializzazione, con uno sguardo di consapevolezza rispetto alle differenze di genere. » nei diversi livelli della socializzazione che avviene il trasferimento a livello educativo, culturale, psicologico e sociale di differenti modelli ai quali bambini e bambine, uomini e donne si uniformano nel tempo. Nel processo di interiorizzazione dei ruoli di genere, vengono costruite le categorie socioculturali del femminile del maschile, insieme ai cosiddetti stereotipi di genere. L9idea di una società indifferente neutra rispetto al femminile e al maschile socialmente intesi può essere letto come un camuffamento del maschile. Significa pensare che solo il maschile rappresenti il riferimento neutrale e come tale le azioni educative e sociali possano essere indirizzate all9assimilazione del femminile al modello di riferimento maschile. Dalla lingua, ai comportamenti, l9uniformità di genere esiste nei riferimenti ai modelli e ai ruoli proposti dagli uomini: diventare uguali agli uomini. Il divario tra ciò che accade nei luoghi di formazione (nidi, scuole e università) e fuori (famiglia, social media&) rende ancora pi˘ difficile ridurre la complessit‡ dei contesti educativi odierni. Possiamo affermare che fuori dai luoghi della formazione il lavoro per la parit‡ di genere si svolge primariamente sul piano legislativo. Nei contesti educativi e formativi della scolarizzazione, il lavoro da compiere per superare il binarismo maschile/femminile e i conseguenti stereotipi di genere Ë piuttosto problematico, ma anche in questo ambito la legislazione gioca un ruolo preminente, insieme a un impegno delle istituzioni nell9investimento sulla cultura della parità. La femminilizzazione dei luoghi dell’educazione In generale Ë possibile affermare che i luoghi di lavoro dedicati alla cura e alla formazione vedono la prevalenza di figure professionali femminili rispetto a quelle maschili. Una differenziazione marcata dallo stereotipo prevalente per il quale le donne sono pi˘ portate a svolgere lavori di cura rispetto agli uomini. Le donne, inoltre, non riescano ancora a essere presenti nelle posizioni lavorative apicali. Il dibattito sulla prevalenza delle donne nel mondo educativo/formativo non Ë nuovo, sia rispetto alla prevalenza del numero di ragazze che frequentano i diversi gradi d9istruzione, sia per la capacità delle stesse di ottenere risultati e voti migliori in quasi tutte le materie rispetto ai ragazzi. Per trovare una minore presenza del femminile, basta occuparci dei livelli più elevati: all9università le docenti universitarie e le ricercatrici sono il 35% del totale. Questo radicato stereotipo produce un effetto culturale in quanto, a man mano che cresce e si accede ai livelli scolastici superiore, lo studente viene messo di fronte al fatto che pi˘ il contenuto culturale della scuola si eleva e si specializza, pi˘ esso Ë affidato a maschi. Gli uomini vengono dunque percepiti come portatori di una sapienza pi˘ alta, col risultato di svalorizzare ulteriormente il ruolo femminile nell9istruzione. In Italia la vera emancipazione femminile si è realizzata dall9ingresso nell9istruzione media e superiore delle ragazze nel 1963, con la riforma della scuola media, ed esplode negli anni Settanta, quando un numero crescente di donne s9iscrive alle facoltà umanistiche, mentre i maschi si orientano verso indirizzi pi˘ tecnico-scientifici. La costruzione dell9identità femminile e maschile non puÚ quindi prescindere dallo scambio di due mondi in senso simbolico e sociale, nel superamento di stereotipi consolidati e che ancora oggi non si riesce a superare. Le ragioni della segregazione lavorativa delle donne sono diverse, economica e socioculturali in primis, un processo che si scontra con la presenza di evidenti squilibri di genere nel mondo del lavoro e delle professioni, ma le cui origini sono da ricercare nei processi educativi e formativi. Nei due rapporti citati si evidenzia la scarsa attenzione che il nostro Paese pone a tutte le questioni di genere, le quali hanno poi una ricaduta diretta ed evidente nelle disparit‡ di genere sul lavoro (gender gap). Un divario che riguarda non solo l9accesso alle posizioni apicali, ma anche i modi e tempi di ingresso al lavoro, le retribuzioni e la carriera. Il gap di genere si manifesta sin dalla nascita, in quanto le probabilit‡ di realizzazione dei desideri di bambini e bambine si scontrano con la disuguaglianza di genere, rendendo il percorso non lineare per entrambi. » importante porre la nostra attenzione al tema della costruzione sociale e culturale della socializzazione per agevolare il superamento della disparit‡ in termini di opportunit‡. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 La gabbia di genere In questa visione di mondo con forti disuguaglianze di genere come Ë possibile superare le gabbie di genere? Una risposta risiede nella costruzione di una società più equa e paritaria, riconoscendo l9importanza del superamento degli stereotipi di genere. Inoltre, Ë importante creare una societ‡ pi˘ equa tra donne e uomini, in grado di permettere a ciascuno di sviluppare le proprie capacit‡ umane e professionali. Il discorso sull9educazione di genere e volta introdurre sin dai primi anni della scolarizzazione dei bambini e de lle bambine progetti didattico-formativi volti alla conoscenza delle differenze di genere e dell9educazione sessuale. Per riuscire a diffondere una cultura del rispetto dell9altro/a è sempre più necessario divulgare gli studi volti all9approfondimento delle metodologie didattico-educative capaci di incidere positivamente sulla crescita personale e culturale dei bambini e delle bambine, dei ragazzi delle ragazze, ma anche di tutto il personale che lavoro nel mondo dell9educazione. La pedagogista montessoriana Elena Gianini Belotti dimostrÚ che Ë nei processi educativi e formativi che i bambini e le bambine assorbono nel corso del loro sviluppo i modelli che creano la discriminazione fra sessi. I punti pi˘ critici di questo processo sono: • Percorso formativo del futuro insegnante; • Segregazione occupazionale; • Retorica dell9amore materno su cui si fonda la vocazione professionale delle educatrici, maestre e insegnanti. Trattare nei luoghi della formazione scolastica i temi del rispetto e di come superare gli stereotipi di genere Ë un processo ancora difficile. Dentro le istituzioni primarie (famiglia e scuola) il processo Ë ancora pi˘ complesso, in quanto questi sono i luoghi depositari di una cultura ancora pi˘ radicata in modelli tradizionalisti in cui le discriminazioni sono pi˘ resistenti. » necessario continuare a lavorare sul concetto di cittadinanza di genere, nel rispetto di tutte le differenze e disuguaglianze, per la costruzione di un clima educativo e formativo paritario inclusivo. L’espressione linguistica del genere Le profonde trasformazioni in corso nei rapporti tra i generi in campo sociale, culturale ed educativo iniziano a sentirsi in modo significativo anche per quanto riguarda gli usi linguistici. Le altre lingue sono infatti, dei sistemi dinamici che cambiano nel tempo. L9italiano presenta un sistema a due genere, maschile e femminile. Quando ci riferiamo a una inanimata che non ha un suo genere come gli esseri umani o gli animali, pure siamo costretti ad assegnarle un genere. Nel riferirci, invece, a esseri viventi e soprattutto a esseri umani il genere grammaticale riflette il genere che viene attribuito alla persona a cui ci si riferisce. Nonostante la semplicit‡ e la regolarit‡ di questo di assegnazione del genere grammaticale in funzione del genere della persona si sono diffusi in italiano nel corso del XX secolo degli usi non coerenti col modello, che hanno portato in alcuni casi alla soluzione di usare il maschile anche quando si parla di una donna. La linguista Alma Sabatini ha evidenziato tre principali categorie di uso del genere grammaticali che sfuggono all9accordo di genere e ha mostrato come in questi usi non coerenti con la norma si rifletta chiaramente un privilegio sessista e maschilista. • L9uso del maschile come titolo professionale per le donne; • L9uso del maschile per indicare l9insieme dei membri di un gruppo formato da donne e uomini; • L9uso del maschile per designare una funzione astratta che potrà di volta in volta essere ricoperta da una donna o da un uomo. Per quanto riguarda i titoli professionali, si osserva speso ancora oggi una significativa diffusione della forma maschile del sostantivo per tutte le funzioni di maggior prestigio a prescindere dal genere di chi le svolge, mentre nelle funzioni meno alte si usa regolarmente il femminile. Questo la dice lunga sul fatto che la presenza femminile Ë storicamente consolidata e data per acquisita in alcuni ambiti professionali tradizionali non dirigenziali, mentre in quelli di livello culturale superiore la presenza della donna Ë un fatto relativamente recente. Da qualche tempo perÚ le cose stanno lentamente cambiando: questo singolare uso del maschile per le donne non Ë pi˘ un dato indiscusso, anzi la pubblica opinione e i media si interrogano continuamente su questo tema, riflettendo una variet‡ di posizioni. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 A partire dalla met‡ degli anni Novanta sono state messe in luce alcune lacune nella comprensione della violenza sulle donne, in particolare per quanto riguarda le esperienze di donne appartenenti a gruppi marginalizzati. La letteratura sul tema dimostra, che il velo Ë stato introdotto per distinguere tra donne sposate e prostituite, tra il mercato del patrimonio e il mercato delle relazioni di breve durata, con il fine ultimo del controllo del potere procreativo femminile. Il caso del controllo del corpo di una donna, che si traduce nella scelta autonoma di velarsi il volto e i capelli, nasconde di fatto la violenza maschile all9interno di scelte religiose. La violenza nelle relazioni d9intimità e la violenza domestica sono sicuramente le forme di violenza pi˘ diffuse subite dalle donne: la met‡ delle donne uccise a seguito di violenze fisiche o sessuali sono morte per mano del partner o di un familiare. Si tratta di tenere in considerazione il sesso dell9aggressore oltre che quello della vittima. Proprio questa larga divisione di genere nei casi di violenza permette di evidenziare come sia spesso illusorio l9equilibrio tra rappresentazioni della parità e consenso sulla suddivisione di compiti e ruoli. In secondo luogo, sottolinea la dimensione di vicinanza nella relazione tra i soggetti. Le relazioni di prossimit‡, infatti, non sempre riguardano la vita intima e in esse non prevale sempre la violenza contro le donne agita da uomini. Evidenzia piuttosto come essa sia nella stragrande maggioranza dei casi il prodotto di una co-indipendenza, determinata da una prossimit‡ emotiva oltre che fisica tra i soggetti. La violenza di prossimità è perpetrata in situazioni in cui l9amore molesto simula l9amore, fa sÏ che i perpetratori acquisiscono immunit‡ e diritti sulla vittima con il consenso della vittima stessa. » una violenza autosufficiente, autoimmune e che esclude il conflitto. Essa è situata all9interno del contesto oppressivo e definisce le identità reciproche e i ruoli dei soggetti coinvolti, sottolineando l9importanza dell9adesione soggettiva e la condivisibilità di pratiche di sottomissione e normalizzazione della violenza. Alcune criticit‡ sono oggi, inoltre, prettamente connesse alla condizione dell9essere stranieri e soggetti a violenza prossimale, ad esempio, per la mancanza del permesso di soggiorno o la presenza di stereotipi discriminatori. Altre si riferiscono a esperienze di vulnerabilit‡ causate da uno scarso inserimento nelle reti social i. In casi meno frequenti, la categoria della violenza di prossimit‡ puÚ collimare con un approccio gender simmetry, secondo cui un numero comparabile di donne e uomini sarebbero vittimizzati all9interno della relazione di coppia. Gli uomini userebbero prevalentemente la forza fisica, mentre le donne agirebbero soprattutto violenze di tipo psicologico ed emotivo. Metodologie e tecniche per lo studio della violenza Il dibattito scientifico sul fenomeno della violenza Ë molto articolato ed eterogeneo, ricco di differenti approcci teorici. Da una parte viene presa in considerazione lo studio della violenza contro le donne, dall9altra parte lo studio della violenza agita dalle donne in contesti di criminalit‡ organizzata. La prima prospettiva osserva una condizione di violenza subita dalle donne e agita dall9uomo maltrattante; la seconda prospettiva osserva l9azione violenta esercitata dalla donna nelle organizzazioni criminali. Esistono diverse forme di violenza contro le donne che possono essere esercitate in differenti contesti relazionali e in differenti contesti d9azione, sia pubblici si privati. Con la Convenzione di Instabul del 2011, queste forme di violenza sono state riconosciute come violazione di diritti umani fondamentali ed espressione di discriminazione. A livello europeo, l9indagine della European Union Agency for fundamental Rights sulla violenza contro le donne rappresenta in assoluto il primo tentativo di armonizzazione del processo di rivelazione di questo fenomeno. Condotta nel 2012 ha portato alla stima di alcuni dati di prevalenza comparabili tra i paesi dell9unione. In Italia, l9indagine campionaria ISTAT sicurezza delle donne, lanciata per la prima volta nel 2006, ripetuta nel 2014 e riproposta nel 2022, Ë considerata una buona prassi dal punto di vista metodologico. Si tratta di una rilevazione che coniuga le tecniche d9intervista telefonica e quelle face to face, riuscendo a cogliere gran parte delle diverse forme di violenza. Nella nuova indagine in corso di definizione si sta cercando di rilevare anche le mutilazioni genitali femminili. » stato avviato uno studio per la realizzazione di un sistema informativo statistico integrato sulla violenza di genere, basato su un sistema di fonti, consistenti in: indagini campionarie; archivi amministrativi e dataset dei centri antiviolenza e dei numeri di pubblica utilità. Per quanto concerne le indagini campionarie, in Italia all9indagine sulla sicurezza delle donne sono state affiancate altre due rilevazioni campionarie sugli stereotipi di genere. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Anche sugli archivi amministrativi Ë stato effettuato un intenso lavoro di analisi, per individuare vantaggi e svantaggi del loro utilizzo allo studio di aspetti legati alla violenza. Infine, rivestono particolare rilievo i dati raccolti dalle operatrici dei numeri di pubblica utilit‡, relativi alle donne che cercano un primo contatto nella richiesta di aiuto. Il limite di questi archivi Ë che non riescono a restituire un dato affidabile sul numero di donne accolte e accompagnate nel loro percorso, perchÈ, per motivi di privacy, non sono rilevati elementi in grado di riconoscere la persona assistita. Diversamente Ë possibile indagare la violenza contro le donne attraverso la raccolta di dati primari. In questo ambito vanno sempre pi˘ affermando studi di tipo mixed-methods, nei quali si intrecciano e combinano approcci quantitativi e qualitativi volti a integrare l9informazione strettamente statistica con la comprensione profonda dei processi generativi della violenza, attraverso la ricostruzione del vissuto esperienziale delle vittime. Si fa, quindi, strada il ricorso all9approccio biografico, alla raccolta di storie di vita così come all9utilizzo sempre più frequente d9interviste a testimoni privilegiati. Si pensi all9utilizzo del free listing, adatto a favorire l9emersione di aspetti del fenomeno della violenza. Col free listing si chiede alle partecipanti di indicare su un foglio bianco le risposte alle domande poste. Quando poi ci si avvicina a minori o a persone appartenenti a culture in cui la dimensione visiva gioca un ruolo preponderante, Ë possibile ricorrere ai community mapping, dei disegni realizzati dalle rispondenti per rappresentare situazioni contestuali in cui possono realizzarsi fatti o comportamenti violenti. Infine, il body mapping e la photovoicer sono due tecniche che consentono sempre attraverso le immagini, veicolate dal disegno nel primo caso, e dalla fotografia nel secondo, di comprendere in che modo i minori vedono il proprio corpo e le sue funzioni, ovvero di rappresentare la loro vita quotidiana per mettere in luce maltrattamenti esercitate da figure adulte. Per quanto riguarda la violenza agita dalle donne, Ë necessario porsi innanzitutto il problema della definizione concettuale di violenza. In generale, Ë possibile distinguere due diversi aspetti dell9azione femminile che definiscono altrettante differenti immagini della donna: • L9una vicina ai classici stereotipi di genere che la vedono moglie, madre, figlia dedita alle attività educative e di cura; • L9altra, dai contorni più vividi, trova spazio in un mondo prevalentemente maschile. Il ruolo più tradizionale la colloca in una dimensione meno palese dell9azione violenta e la vede impegnata in attività di assistenza dei membri dell9organizzazione e di comunicazione. Più di recente è emerso un rinnovato ruolo della donna che la vede partecipe attivamente al comportamento criminale. Non di rado la donna svolge mansioni tipicamente maschili in caso di detenzione o latitanza del padre o marito, come ad esempio la riscossione dei proventi estorsivi presso i commercianti locali o il coordinamento e l9organizzazione delle attività illecite. Inoltre, come l9esperienza, investigativa ha più volte confermato, non mancarono casi di personalità femminile che assumono veri e propri ruoli direttivi all9interno della cosca. Un aspetto da considerare riguarda le fonti e gli strumenti fi raccolta d9informazioni che è possibile utilizzare, tenendo conto che la criminalit‡ organizzata Ë un fenomeno per sua natura caratterizzato da un certo grado di segretezza. Per quanto riguarda le fonti di raccolta del dato, Ë possibile tratte informazione da documenti personali, da documenti istituzionali o da fonti dirette. Le tecniche di text mining sono strumenti utili per l9analisi delle tracce delle interviste e del testo tratto da fonti documentali. Un percorso di ricerca alternativo prevede l9adozione dell9approccio di rete per indagare i fenomeni criminali di natura associativa, utilizzando le informazioni contenute negli atti giudiziari per costruire le reti di relazioni che si definiscono nelle organizzazioni criminali. A tal proposito, informazioni particolarmente interessanti possono derivare dallo studio della posizione dei soggetti all9interno di una rete. Per individuare ruoli e posizioni strategiche all9interno di una rete si analizza la centralit‡ dei singoli nodi, distinguendo i soggetti importanti dai soggetti marginali. In una recente ricerca sulle cosche Ë emerso sia la presenza di alcune donne popolari o strategicamente posizionate all9interno della rete, sia la presenza di diverse donne che godono di un potere relazionale indiretto, acquisito grazie alla vicinanza a mariti e figli importanti dal punto di vista gerarchico. Indagare la posizione delle donne nelle reti criminali, dunque, permette di far emergere sia l9esercizi di un ruolo attivo sia di un ruolo silente nel contesto criminale. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Modelli di riconoscimento della violenza La violenza di genere non rientra e non trova una spiegazione univoca utilizzando i modelli biologici e ambientali delle teorie criminologiche e della devianza. Anche per queste ragioni il processo di vittimizzazione secondaria Ë molto importante sia in riferimento della coesione sociale, sia nei modi in cui avviene la rappresentazione individuale e collettiva della vittima e del carnefice. La vittimologia Ë considerata da molti una branca della criminologia, la ricerca sulla vittimologia indirizza la propria attenzione verso la vittima del reato. Gli studi hanno così spostato lo sguardo dall9esecutore del reato alla vittima del reato. Allo stesso tempo, emergono interpretazioni teoriche fondate sull9idea che un atto criminale non possa essere disgiunto dal suo autore. La preoccupazione Ë quella di mantenere in rilievo il rapporto fra vittima e autore di reato. Nel riconoscimento del ruolo attivo nella relazione, la vittima recupera la propria dignit‡ rispetto allo studio della dinamica che sottende la relazione vittima-carnefice. In quest9ottica si procede al riconoscimento dei diritti anche della vittima, accompagnandola nel percorso d9uscita dallo stesso ruolo in cui può trovarsi imprigionata. L9attenzione alla vittima e alla sua individuazione come attore all9interno della dinamica vittimologica s9incentra nella necessità di attuare un percorso di sostegno per l9uscita dal ruolo di vittima. Dunque, Ë possibile affermare che la vittima di reato può avere un carattere ambivalente: da una parte c9è una persona che soffre a livello fisico, emotivo, le conseguenze d un9azione criminosa, dall9altra una persona che escogita il modo per ottenere benefici e privilegi di varia natura. Per avviare la specifica lettura delle dinamiche vittimologiche Ë necessario precisare che si Ë arrivati ad una definizione del processo, introducendo una distinzione tra vittimizzazione primaria e vittimizzazione secondaria. In specifico ci occuperemo della vittimizzazione secondaria, in quanto ci offre lo spunto per puntualizzare le difficolt‡ inerenti alla violenza di genere e le sue ripercussioni socioculturali. Se parliamo di violenza di genere, le vittime sono maggiormente donne, che rischiano di divenire vittime una seconda volta nel momento in cui, dopo aver denunciato, vengono giudicate secondo il metro socioculturale che ne caratterizza il contesto di vita. Sappiamo, che le vittime di violenza di genere sono spesso scoraggiate a presentare denuncia per evitare reazioni ancora pi˘ violenti da parte del reo. Per comprendere pienamente il fenomeno e come si può giungere alla vittimizzazione secondaria introduciamo come esempio l9intervento della Corte Europea dei diritti dell9uomo di Strasburgo in merito ad un caso di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una ragazza. L9Italia Ë stata condannata dalla CEDU a risarcire sia perchÈ durante il procedimento le autorit‡ nazionali non hanno protetto la vittima dalla vittimizzazione secondaria sia per le considerazioni poste in merito a come si sono svolti i fatti e al luogo in cui Ë avvenuto il reato. Negli studi sulla relazione tra vittima e l9esecutore del reato sono state individuate peculiarità e condizioni che possono rendere un soggetto maggiormente a rischio nell9assumere il ruolo di vittima. Sono stati individuati dei fattori precipitanti e fattori predisponenti che possono avere una caratteristica generica o specifica. I fattori predisponenti sono diversi: bio-fisiologici, psicologici, economico sociali. Questi studi hanno portato alla distinzione più ampia tra vittime attive o passive, rispetto all9avere partecipato al processo di vittimizzazione con comportamenti di adesione o meno al rapporto con il reo. La vittima non Ë sempre attivamente partecipe ai fatti e non Ë detto che le sue reazioni producono un feedback da parte dell9autore del reato, tanto da poter essere considerata una vittima passiva. Diversi sono stati gli studi incentrati sulla ricerca dei soggetti a maggior o minor rischio di vittimizzazione a causa della propria condizione personologica e in base alla condizione della propria vita quotidiana. Il teorico che maggiormente si Ë occupato di questo approccio ha evidenziato quanto non vi sia un9equa distribuzione nella popolazione del rischio di vittimizzazione proprio a causa dei fattori favorenti. Ci sono vari modelli teorici. Il primo modello di vittimizzazione a cui fare riferimento Ë quello sistematico- lineare che si Ë sviluppato negli anni Ottanta a cura del criminologo Viano. In questo modello l9attenzione è posta sull9analisi della relazione interpersonale che si instaura tra l9aggressore e la vittima. Si tratta di una relazione circolare e per questo vengono posti al centro la posizione e il ruolo delle due parti. L9attenzione viene posta sulla relazione diadica tra i due e non è in questo senso possibile l9analisi delle singole parti senza tenere al cento il tipo di legame esistente. Questo approccio, ponendo al centro la relazione, da significato allo stesso ruolo della vittima, che essa svolga un ruolo attivo o passivo rispetto al reato specifico. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 A differenza di mafia e di 8ndragheta, i clan camorristici non prevedono un reclutamento esclusivamente maschile e quindi nulla impedisce alle donne di occupare posizioni di leadership. Per concludere, gli studi e le ricerche che si sono occupati dell9analisi e della violenza agita utilizzando il genere hanno consentito: di far luce sul ruolo delle donne nelle organizzazioni criminali, di riflettere sui rapporti di genere all9interno delle reti criminali, di analizzare il rapporto tra genere e violenza politica. COMUNICAZIONE E MEDIA Per cominciare ad analizzare, occorre partire da due elementi: il genere e i media. Per quanto riguarda il genere, l9evoluzione degli studi ha evidenziato la progressiva affermazione di un approccio costruttivista in contrapposizione alla prospettiva del determinismo biologico. In questo senso, mascolinit‡ e femminilit‡ sono concepite come norme e convenzioni costruite culturalmente e socialmente con riferimento al comportamento e all9aspetto fisico di donne e di uomini e sono dunque il risultato di processi di negoziazione e interazione che avvengono tra i soggetti presenti in una determinata societ‡. Nell9ambito di questi processi di negoziazione e costruzione sociale, un ruolo sempre più rilevante svolto dai mezzi di comunicazione o media. Questi ultimi possono essere concepiti come apparati che incorporano tecnologie di comunicazione e come dispositivi che veicolano contenuti simbolici attraverso l9uso di linguaggi e codici specifici. Essi sono diventati sempre pi˘ importanti nella nostra vita quotidiana perchÈ ne sono ormai parte integrante. I media ci servono per comunicare con gli altri, ma anche per informarci e intrattenerci, ma soprattutto sono stati riconosciuti come agenzie di socializzazione, costruzione dell9identità e della realtà sociale che affiancano in maniera sempre pi˘ significativa le istituzioni tradizionali, facendo emergere la loro fondamentale funzione di rappresentazione sociale del genere e di socializzazione ruoli di genere. Nell9ambito del percorso di sviluppo dei media, si è registrato un passaggio epocale dei media tradizionali e media digitali sino alle nuove frontiere dei social media, della network society e della cosiddetta platform society. I media tradizionali sono i cosiddetti media di massa, che si sono diffusi a partire dai primi anni del 8900 e che si caratterizzano per un modello broadcast. In questo caso ci riferiamo alla radio e alla televisione, senza dimenticare la stampa di massa e il cinema. A partire dagli anni 70, gli sviluppi nel campo dell9informatica e del le telecomunicazioni hanno determinato il passaggio ai cosiddetti nuovi media, che hanno inaugurato e accompagnato la transizione al digitale. Prima la diffusione di pc e poi quella del World wide web hanno favorito cambiamenti sostanziali nei modelli di consumo. Gli ultimi anni hanno visto un9ulteriore evoluzione per quanto riguarda le caratteristiche dei media. L9arrivo del web 2.0 e dei social media a partire dalla fine degli anni 90 ha determinato un cambiamento fondamentale perchÈ ha inaugurato la stagione dei media partecipativi, contraddistinti dalla possibilit‡ di interagire in modo inedito con i contenuti mediali, modificandoli, remixandoli e producendo nuovi artefatti. Le piattaforme social hanno determinato uno straordinario cambiamento che offre agli utenti la possibilit‡ di produrre contenuti comunicativi sempre pi˘ ricchi e variegati. Per quanto riguarda il rapporto tra genere e media, le principali aree di interesse di analisi scientifica sono le seguenti: rappresentazione, produzione e consumo. Rappresentazione. Il tema della rappresentazione ha a che vedere con le soggettivit‡ che ottengono visibilit‡ all9interno dei media. Le rappresentazioni mediali hanno rilevanza quantitativa, nel senso che hanno a che fare con le percentuali di presenza di donne e uomini nei media, perchÈ si interfacciano con i ruoli e le posizioni rivestite da diversi generi nell9ambito dei media. Produzione. L9area di indagine relativa alla produzione mediale è legata all9industria dei media, che è stata in gran parte condizionata dal di dall9impatto del digitale. Fino agli anni 90 i diversi mezzi di comunicazione quali la stampa, il cinema, la televisione erano considerati come comparti separati. Oggi la convergenza dei processi produttivi e dei contenuti impongono di ripensare in maniera radicale la struttura e funzionamento dell9industria mediale. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Consumo. L9area di analisi relativa al consumo è quella che si occupa del modo in cui i pubblici ricevono il rielaborano le informazioni dei media. Attraverso l9analisi delle teorie degli effetti sociali dei media è possibile individuare un percorso che va da un ricevente sostanzialmente passivo sino a teorie più avanzate come l9approccio usi e gratificazioni o come cultural studies, che riflettono sulla capacit‡ dei pubblici di negoziare i significati mediali. Gli studi sul genere in media si intrecciano con i femminismi. Il legame forte che viene rilevato dalle studiose dei gender media studies Ë quello con il cosiddetto postfemminismo. Potremmo definire il postfemminismo come una tendenza culturale o meglio una sensibilità, come la definisce Rosalind Gill che è rivolta all9analisi de i prodotti culturali e mediali della contemporaneit‡ Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 La rappresentazione del genere nella televisione italiana Ë coincisa per lungo tempo con la rappresentazione della donna. La televisione degli esordi era una televisione definita pedagogica. In questa fase storica la donna in tv coincide quasi esclusivamente con la presentatrice televisiva, la cosiddetta <signorina buonasera= che dava l9annuncio dei programmi televisivi o con la soubrette del varietà in onda il sabato sera: le gemelle Kessler. Inizia, inoltre, l'era delle vallette che fanno da spalla al conduttore principale del programma. Facendo un passo indietro, perÚ, Ë opportuno ricordare che gli anni 70 sono stati caratterizzati dall'emergere della questione dei diritti delle donne. L'introduzione del divorzio e la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza avevano comunque segnato un cambiamento epocale. In quel periodo si segnalano trasmissioni come processo per stupro. Gli anni 80, invece, si distinsero per un cambiamento strutturale. Si avvia un cambiamento nella direzione della cosiddetta neotelevisione. La tv delle reti private Ë una tv che si differenzia da quella precedente soprattutto per un radicale cambiamento dei linguaggi e dei codici comunicativi. Una tv pi˘ spensierata con il quale instaura un rapporto di complicit‡, a partire dai conduttori. In questa situazione sociale si innesta un cambiamento nella rappresentazione della donna virgola in particolare del suo corpo, caratterizzato da un'identit‡ spinta al consumismo e all'individualismo. Sono gli anni in cui si afferma un fenomeno politico, ma anche culturale, che Ë stato definito berlusconismo per indicare una tendenza legata alla personalit‡ dell'ex imprenditore edile Silvio Berlusconi inaugura un impero imprenditoriale basato sul possesso delle televisioni o meglio di un impero mediale, ma soprattutto su una formula basata sulla centralit‡ della triade sesso-potere-denaro, il tutto in una cornice caratterizzata dalla parola d'ordine libert‡. Le tv di Berlusconi ingaggiano immediatamente una sfida nei confronti dell'emittenza Rai, con una vera e propria guerra di ascolti e l'affermazione progressiva dell'emittenza privata su quella pubblica. Tornando alle rappresentazioni di genere, un programma come drive in di Antonio Ricci, rappresenta molto bene la nuova filosofia delle tv berlusconiane. Vediamo qui comparire le ragazze fast food, donne formose che si offrono allo sguardo del politico e che propongono uno stereotipo di donna passiva e compiacente nei confronti degli uomini. Gli anni successivi continuano a essere caratterizzati da questa tendenza, si cerca di proporre una tv basata sull9ironia e l'autodeterminazione femminile. In quegli stessi anni arrivano anche le veline, le showgirl che nella trasmissione Striscia la notizia portavano ai conduttori le veline appunto, cioË le notizie, cosÏ definite in gergo giornalistico. Le veline sono una mora e una bionda, non parlano, sorridono, mettono in scena soltanto balletti e stacchetti, e sono un modello agognato e desiderato da molte bambine adolescenti. Negli anni 90 la situazione non migliora, quanto a modelli di rappresentazione della donna . Soltanto per fare un esempio, un programma come <Non è la Rai= era caratterizzato dalla massiccia presenza di ragazze molto giovani, intende a esibirsi in balletti e canzoni. Soltanto qualche anno dopo <Uomini e Donne= di Maria De Filippi promuove un preciso concetto di femminilit‡ e maschilit‡. L'uomo e la donna possono corteggiare o essere alternativamente corteggiatori e corteggiatrici, ma i modelli estetici proposti sono tutti orientati alla bellezza estetica e a specifici canoni corporei: il ragazzo macho, palestrato e tatuato, la ragazza quasi sempre snella, di gradevole aspetto e vestita all'ultima moda punto Al termine di questa rapida e semplificatoria carrellata, ci chiediamo allora se oggi ci sia ancora spazio per i modelli alternativi di femminilit‡ e soprattutto per altre soggettivit‡ che non devono necessariamente essere ricondotte al modello di uomo forte, direttivo e competente e di donna bella, oggettivata e stupida. Qualche spiraglio puÚ essere rintracciato nella programmazione televisiva più recente. Se da un lato programmi come <Matrimonio a prima vista= ancora non prevedono la presenza di coppie omosessuali, dall'altro trasmissioni come la stessa <Uomini e Donne= o <Primo appuntamento= hanno mostrato di abbandonare i pregiudizi dando spazio anche alla partecipazione delle persone omosessuali. I media digitali La trasformazione digitale permette alla tv di assumere forme nuove. Vengono rinnovati i contenuti seguendo le dinamiche di mercato, si modificano le strategie industriali e cambiano le pratiche spettatoriali, poichÈ si assiste a un mutamento dei luoghi e degli stili di fruizione. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Cyberbullismo omofobico La digitalizzazione dell'informazione e la penetrazione dei social media nei consumi mediali dei giovani hanno rivoluzionato il contesto nel quale si diffondono le prepotenze e i discorsi di odio. Nell'ultimo decennio si Ë consolidata una solida letteratura in tema di bullismo e, pi˘ recentemente, di cyberbullismo. Il bullismo Ë diventato oggi un fenomeno di attualit‡. L'attenzione pubblica in tema di bullismo Ë evidente anche dalle numerose iniziative di comunicazione istituzionale, ad esempio come il telefono azzurro o Save the Children. L'impegno maggiore, tuttavia, Ë stato senz'altro riscontrabile in istituzioni quali il ministero dell'istruzione e la polizia di stato. Nonostante la crescita di attenzione pubblica nei confronti del tema, persiste molta confusione intorno al bullismo. Il termine bullismo viene usato nella letteratura internazionale per connotare il fenomeno delle prepotenze tra pari in un contesto di gruppo. In Italia le ricerche sul bullismo si sono sviluppata solo verso la fine degli anni Novanta e hanno confermato la pervasivit‡ e la gravit‡ del fenomeno. Le tecnologie ampliano le modalit‡ e le caratteristiche del bullismo. Con il termine cyberbullismo, infatti, si intende un atto aggressivo realizzato tramite l'ausilio di mezzi di comunicazione elettronici che puÚ essere individuale o di gruppo, ripetitivo e duraturo nel tempo contro chi non puÚ difendersi. Un esempio Ë il sexting ossia l'invio tramite cellulari o piattaforme mediali di messaggi e immagini sessualmente espliciti ed ha caratterizzato molti noti episodi di violenza psicologia in rete nell'ultimo decennio. Accanto all'invio di messaggi tramite telefono cellulare, messaggi scritti, e-mail, chat e blog, vi sono almeno altre tre modalit‡ possibili attraverso la rete: la comunicazione visiva, attraverso la condivisione e l'invio di video o foto compromettenti; l'esclusione intenzionale di qualcuno da un gruppo online; l'impersonificazione, ovvero la possibilit‡ di prendere o rivelare informazioni personali sfruttando l'anonimato. A caratterizzare il cyberbullismo ci sono, quindi, elementi potenzialmente pi˘ preoccupanti, ossia l'anonimato del molestatore e, quindi, la difficile identificazione di chi compie atti violenti. Questo porta a una modificazione dell'identit‡ stessa del cyberbullo, che non si caratterizza pi˘ per una prevaricazione fisica ma, semmai, per il possesso di skill tecnologiche. Le vittime possono essere raggiunte ovunque dalle intimidazioni attraverso la molteplicit‡ di media portatili che ci rendono in relazione costante con gli altri. Il cyberbullismo presenta peculiarit‡ specifiche che non solo lo differenziano dal bullismo tradizionale, ma che diventano centrali per tutti coloro che operano, a vario titolo, nel contrasto alle discriminazioni basate sulle diversit‡, siano esse di genere, di origine etnica, di abilit‡ fisiche o cognitive. Il bullo che agisce da dietro un computer o uno smartphone puÚ sentirsi ancora pi˘ forte del bullo tradizionale. Nell'analisi del fenomeno, la ricerca si Ë concentrata soprattutto su due variabili che caratterizzano il cyberbullismo: l'et‡ e il genere. La prima variabile Ë stata di particolare interesse per educatori e psicologi, che hanno prestato attenzione al passaggio dalla preadolescenza all'adolescenza individuando caratteristiche e comportamenti differenti in base all'et‡. Sono numerosi gli studi che tentano di restituire uno spaccato delle caratteristiche di genere e di cyberbulli. Anche in Italia sono state condotte indagini di questo tipo che appaiono concordi su un punto: il fenomeno del cyberbullismo coinvolge tutto il complesso mondo della preadolescenza e dell'adolescenza. Ma il tema del genere apre la strada a un'altra specifica categoria di bullismo elettronico. Nello specifico, ci si riferisce a quell'insieme di prepotenze rivolte a ragazzi e ragazze che sono omosessuali in quanto non corrispondono alle aspettative di genere socialmente costruite e che costituiscono la base del fenomeno dell9homophobic cyberbulling Il bullismo omofobico Ë definito come una tipologia di molestia esplicitata dall'uso di etichette peggiorative o frasi denigratorie nei confronti di individui percepiti come appartenenti alla popolazione queer. La ricerca sul cyberbullismo omofobico Ë solo agli albori, sebbene i primi studi evidenzino gi‡ le conseguenze di questa forma di violenza spesso considerata invisibile proprio a causa dell'assenza di un contatto fisico o di ripercussioni direttamente osservabili sulla vittima. Dunque, non Ë solo la popolazione LGBT+ a essere oggetto di queste forme di cyberbullismo, in quanto rientrano anche altre categorie: gli adolescenti che vengono percepiti come omosessuali o con identit‡ di genere non conformi alle norme sociali basate sugli stereotipi vigenti; gli adolescenti con familiari apertamente omosessuali; gli adolescenti eterosessuali che escono fuori dagli schemi e che non vengono considerati conformi alle norme culturali. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Gli studi sul cyberbullismo omofobico evidenziano disagi e disturbi, nelle vittime, simili a quelli che caratterizzano altre forme di bullismo, con due peculiarit‡ che sembrano emergere con maggiore decisione: il ruolo centrale delle immagini e il fenomeno dell'omofobia interiorizzata. Da un lato, le azioni di cyberbullismo basate sul genere e sull'orientamento sessuale si prestano particolarmente all'utilizzo di immagini e video che hanno anzitutto lo scopo di deridere la vittima. D'altro lato, gioca un ruolo importante quella che in letteratura è stata definita omofobia interiorizzata, ovvero il frutto dell9accettazione passiva da parte delle persone omosessuali di tutti i pregiudizi in cui sono immersi. Ad oggi le ricerche sul cyberbullismo omofobico si sono concentrate soprattutto su due aspetti: il ruolo e la capacit‡ di intervento di chi assiste in qualit‡ di spettatore online alle vessazioni; la correlazione alla perdita di inibizioni online e l'aumento di casi di atti di bullismo nei confronti delle minoranze di genere. Negli episodi di cyberbullismo omofobico, dunque, Ë importante il ruolo dei cyberstander, ovvero di chi assiste in rete al sopruso. Gli spettatori delle vessazioni intervengono pi˘ facilmente nelle relazioni online sia in difesa della vittima sia nel ruolo di chi denuncia. Per comprendere e contrastare il cyberbullismo omofobico Ë necessario qualche rielaborazione rispetto alle forme pi˘ tradizionali di cyberbullismo. Prospettive educative e sviluppi futuri In una societ‡ che Ë sempre pi˘ complessa, globale e multiculturale e che recentemente Ë stata colpita anche dall'ondata pandemica, che ha messo a dura prova le nostre numerose certezze e ridefinito i paradigmi di lettura della realt‡ sociale, Ë, infatti, importante anche riconoscere l'esistenza di una gamma sempre pi˘ vasta di soggettivit‡ che chiedono di prendere parola e di potersi esprimere, esercitando il loro diritto di cittadinanza anche attraverso la comunicazione. Come osserva Capecchi, ciÚ significa in primo luogo pensare in modo pi˘ articolato ai pubblici, che sono composti non soltanto da individui di genere maschile e femminile, ma anche da soggetti che non si identificano nella gabbia dicotomica tradizionalmente delimitata dai due generi. Secondo capecchi, pertanto, comunicare in ottica generale significa: • abbandonare una visione della realt‡ presentata come neutra; • accettare la parzialit‡ dei punti di vista maschili sulle realt‡ e dare valore agli altrettanto punti di vista femminili; • considerare il genere femminile e quello maschile in relazione dialettica tra loro; • tendere all'uguaglianza tra uomini e donne; • abbattere gli stereotipi di genere e il sessismo. Nel settore dell'informazione, ad esempio, Ë importante che le notizie siano scelte, scritte e trattate nel rispetto di tutti i ruoli di genere. Tuttavia, si tratta di una professione declinata prevalentemente al maschile, dove soltanto recentemente si sta affermando con particolare forza la presenza femminile. Per quanto riguarda la pubblicit‡ stiamo assistendo anche qui a cambiamenti sostanziali. Pensiamo al fenomeno del femvertising nell'ambito del quale si propongono pubblicit‡ che utilizzano modelli di rappresentazione della donna differenti e alternativi rispetto a quelli tradizionali. In particolare, questo tipo di pubblicità si basa sull9empowerment, sull'idea, cioè che le donne abbiano il controllo delle loro scelte identitarie. Infine, questa sensibilit‡ nei confronti del genere e della prospettiva delle pari opportunit‡ si sta affermando progressivamente anche all'interno delle politiche pubbliche e aziendali. Le amministrazioni pubbliche e le aziende cominciano a comprendere, cioË, quanto l'adozione di una prospettiva di genere possa essere conveniente anche per i loro profitti. La socializzazione ai ruoli di genere Ë un processo molto complesso e articolato che vede concorrere numerose agenzie di socializzazione. Tuttavia, accanto alle agenzie cosiddette tradizionali, da diversi anni Ë emerso con particolare evidenza anche il ruolo dei media nell'ambito dei processi di socializzazione al genere. CiÚ concorre a formare modelli di maschio e di femmina. Il ruolo dei media nella socializzazione al genere Ë il presupposto per riflettere sulla esigenza di promuovere strategie educative legate a un uso corretto e produttivo dei mezzi di comunicazione. A tal proposito, Ë di fondamentale importanza ragionare sulla media education, un ambito interdisciplinare di competenza che parte da alcuni semplici presupposti: Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 • i media sono agenti di socializzazione; • i media non sono trasparenti; • le persone sono ricettive e non passive nei confronti dei media; • Ë possibile educare a un uso critico e responsabile. La media education, inoltre, coinvolge diversi contesti, formali e informali, dalla scuola all'extra scuola, e diverse generazioni, da quelle pi˘ giovani a quelle pi˘ mature. Dal punto di vista linguistico, quando parliamo di media education ci riferiamo, inoltre, a due accezioni: • educazione ai media, termine con il quale si far riferimento al processo di insegnamento e apprendimento centrale sui media; • media literacy, che ne costituisce il risultato La definizione di literacy Ë stata formulata da Sonia Livingstone che distingue l'abilita di accedere, analizzare, valutare e creare messaggi. La media literacy si connette al tema delle competenze, e in particolare, delle competenze digitali. Accanto a competenze relative all'accesso o alla produzione di contenuti, assumono sempre pi˘ importanza le competenze etiche e quelle relative alla gestione del sÈ e delle relazioni sociali all'interno dei social media. Importante Ë anche la competenza legata alla capacit‡ di riconoscere fonti autorevole e meno autorevoli per non incorrere in trappole. Senza dubbio i media hanno contribuito a rendere ancora pi˘ globale la societ‡. Dall'altro canto l'emergenza pandemica ha mostrato da un lato la forza e, dall'altro, la debolezza della comunicazione mediatica. Oltre al pericolo rappresentato dalle fake news, che spesso hanno ostacolato e reso pi˘ difficile la diffusione di una corretta informazione sulle dimensioni e le caratteristiche della pandemia, i media hanno rappresentato la cartina di tornasole degli effetti del covid. Da una parte le donne hanno pagato alto il prezzo dell'emergenza sanitaria, subendo un peso ancora maggiore del lavoro di cura con un aumento esponenziale nelle responsabilit‡ delle attivit‡ domestiche, mentre sull'altro versante i media hanno continuato a offrire una rappresentazione piuttosto squilibrata del loro ruolo nella societ‡. Sugli schermi televisivi si sono avvicendate figure esperte che hanno assunto la caratteristica di detentori della verit‡ e della competenza sui temi scientifici e sull9azione politica legata alla pandemia. La presenza femminile si è limitata a rarissime eccezioni o, quando c9è stata, è stata posta nelle condizioni di essere interprete e modello stereotipato. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 assistiti, al matrimonio, all9adozione sono alcuni dei diritti di cittadinanza di cui le persone omosessuali sono private. Nella battaglia di rivendicazione identitaria anche in Europa, Ë di enorme impulso la graduale influenza delle organizzazioni internazionali per i diritti umani come Human Rights Watch e Amnesty International, che lavorano insieme alle istituzioni europee per contrastare il fenomeno discriminatorio delle ´azioni dei governi nazionali e regionali che violano i diritti degli esseri umaniª. Nonostante la crescente visibilit‡ globale per le persone LGBT+, Ë da almeno un paio di decenni che le scienze sociali denunciano la fine del senso di comunit‡. Le concentrazioni residenziali delle comunit‡ LGBT+ urbane sono ormai sempre più sfumate e l9abitare delle persone omosessuali va oltre la città. Le grandi città vedono la diminuzione dei luoghi di socialit‡ arcobaleno come bar, ristoranti, librerie storicamente collocati entro spicchi urbani circoscritti, mentre si registra un aumento della migrazione residenziale dalle citt‡ pi˘ grandi a quelle pi˘ piccole; cosÏ come l9afflusso degli alleati eterosessuali in quelli che prima erano spazi esclusivamente gay. Le citt‡ arcobaleno Il passaggio dalla modernit‡ alla contemporaneit‡ ha mutato il diritto alla citt‡. Rispetto a ciÚ che la teoria sociologica ci ha raccontato sulla nascita della città gay come punto di non ritorno per l9autodeterminazione e il riconoscimento sociale di gay e lesbiche, oggi il quadro Ë mutato. La narrativa standard delle persone omosessuali che fuggono dalla campagna o dalle aree interne per andare a cercare iconici gayborhood urbani, luoghi in cui possono trovare l9amore, sentirsi normali ed essere circondati da gruppi omofìli è oggi più complessa perché è cambiata la città. D9altronde, essendo una minoranza, le persone omosessuali non hanno mai abitato interamente una citt‡, ma ne hanno segnato alcuni tratti rendendoli prevalenti. L9abitare in certi distretti semiperiferici delle grandi citt‡ americane negli anni Cinquanta, per esempio, ha gettato le basi per la diffusione delle comunit‡ omosessuali nel mondo e ha marcato la differenza rispetto alla citt‡ mainstream, basata sul modello funzionale dell9abitante breadwinner, bianco, eterosessuale, lontano dalla natura selvaggia di chi Ë omosessuale. L9epoca contemporanea registra la presenza di individui e di comunità sempre più interterritoriali e intersezionali. Anche il mondo del lavoro ha contribuito a cambiare il posizionamento delle persone omosessuali. Dato che molti di quegli omosessuali che Florida ha incluso nella classe creativa sono spesso professionisti autonomi, questi sono autosufficienti anche quando si tratta di organizzare la loro mobilit‡ geografica. La questione Ë come queste nuove forme di mobilit‡ contemporanee influenzano il processo di incorporazione dei luoghi che tradizionalmente aveva visto gli stili di vita omosessuali svilupparsi in maniera territorialmente circoscritta. Questa forma di distretto post-gay Ë probabilmente pi˘ vicino alla configurazione che assume oggi in Italia la comunit‡ omosessuale. Alla significazione internazionale dei distretti gay, connotati da targhe celebrative, striscioni, decorazioni e bandiere arcobaleno visibilmente affisse sulle vetrine dei negozi o degli hotel, l9Italia sostituisce un9urbanità LGBT+ poco pronunciata, costituita da gruppi eterogenei di persone che frequentano i pochi luoghi ricreativi ´strettamenteª LGBT+, distribuiti in qualche strada cittadina come nel caso di via Lecco o via San Martini, intorno a Porta Venezia a Milano& A questa concentrazione ri-creativa di natura urbana, si affiancano azioni estemporanee che raramente hanno un radicamento territoriale di lunga durata: progetti, iniziative politiche, culturali o sportive, flash mob, Gay Pride, pagine social ecc. Manca, in Italia, un progetto politico unitario di riconoscimento dei diritti delle persone omosessuali, cosÏ come Ë sempre stato assente un dispositivo di pianificazione democratica della citt‡, che ha, di fatto, trascurato le esigenze specifiche della popolazione LGBT+. Agli omosessuali italiani viene negata la possibilit‡ di posizionamento nello spazio pubblico urbano. Questo freno alla diffusione di distretti gay ha contribuito all9affievolimento del processo di omonormalizzazione urbana, con le sue derive neoliberiste e gentrificatorie che hanno invece preso piede in alcune delle grandi capitali gay-friendly del mondo occidentale. C9è da aggiungere che l9avvento e la crescente diffusione di Internet e dei social media anche in Italia ha in parte eroso la necessit‡ delle persone omosessuali di territorializzarsi, aprendo la strada alla disidentificazione e alla multiplessit‡ delle relazioni omofile. I quartieri gay non sono più aspetti determinanti nell9esplorazione dell9identità sessuale nÈ tantomeno vengono pi˘ associati in maniera cosÏ esclusiva, almeno dai nativi digitali, alla vita arcobaleno. In estrema sintesi il rapporto contemporaneo tra città e mobilità territoriale degli omosessuali è tutt9altro che lineare e unidirezionale e investe invece specifiche costruzioni soggettive e culturali. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 L9obiettivo di queste città italiane è stato quello di fornire alle cittadine e ai cittadini omosessuali la garanzia di uguaglianza, mentre il contenuto materiale dei diritti e la loro applicazione si Ë diversificata in base a necessit‡, dispositivi normativi, aree geografiche. La capacit‡ di queste amministrazioni di progettare e realizzare azioni arcobaleno, efficaci e concertate con le realt‡ associative dei territori e con gli altri livelli di governance urbana appare ora cruciale nel rendere effettiva l9uguaglianza sociale così tenacemente rivendicata nella storia dell9Italia omosessuale. A partire dall9esplosione dei Gay Pride fino ad arrivare alla diffusione dei registri delle unioni civili, le citt‡ arcobaleno di tutta Italia hanno promosso i diritti LGBT+ attraverso una gamma di dispositivi talvolta reali, talvolta simbolici, comuni a molte aree metropolitane e non del mondo occidentale. Eteronormativit‡ e omofobia Il concetto di eteronormatività è stato introdotto nell9ambito delle scienze sociali all9inizio degli anni Novanta del secolo scorso da Warner in una delle prime opere della teoria queer. Con questo termine si fa riferimento a un sistema ideologico-culturale che non solo presuppone una subordinazione naturale delle donne agli uomini, ma che considera anche esclusivamente le relazioni tra persone di sesso diverso come la norma da seguire. L9eteronormatività si basa sull9idea che in natura esistano soltanto due generi, quello maschile e quello femminile, che si allineano perfettamente con i due sessi biologici, e che soltanto le relazioni tra uomini e donne siano socialmente ammissibili. L9egemonia sessista maschile su cui si fonda l9eteronormatività ha prodotto di fatto un modello sociale che si impone come unico. L9assunzione di tale principio ha forti conseguenze sul piano empirico: non solo viene dato per scontato che tutte le persone debbano essere eterosessuali, ma anche le relazioni finiscono per essere ordinate gerarchicamente sulla base dei principi eterosessisti. Infatti, ancora oggi in molti Paesi del mondo godono di legittimit‡ sociale e giuridica soltanto le identità e le relazioni sociali che si muovono entro il perimetro dell9eteronormatività. Tale scenario fa da sfondo a un altro fenomeno, che ne è diretta conseguenza, ossia l9omofobia. Il termine è stato coniato da George Weinberg per definire l9intolleranza e l9odio nei confronti delle persone omosessuali da parte della societ‡ eterosessista. Il discorso si puÚ estendere anche alle altre minoranze sessuali e di genere. Nel caso delle persone bisessuali, ad esempio, si parla di bifobia, cosÏ come a proposito delle persone transgender si puÚ utilizzare il termine transfobia. A volte viene utilizzata la locuzione onnicomprensiva omo-bi-transfobia. Da un punto di vista etimologico, occorre specificare che nonostante il suffisso –fobia richiami il concetto di paura, l9omofobia non si caratterizza per essere un timore irrazionale. Al contrario, essa si fonda su un pregiudizio consapevole. Di conseguenza, gli effetti negativi di tale avversione non ricadono sul soggetto omofobico ma, al contrario, si riversano sulle persone omosessuali. Proprio per questo motivo alcuni ricercatori si sono attivati per proporre dei termini alternativi a quello di omofobia, capaci di descrivere il pregiudizio e la discriminazione nei confronti delle persone omosessuali senza richiamare il concetto clinico di fobia. Tra quelli pi˘ diffusi, vi Ë omonegativit‡. Tuttavia, nel linguaggio comune, l9etichetta omofobia continua a essere quella maggiormente utilizzata e diffusa. L9omofobia si traduce in repulsione, disgusto o chiusura nei confronti dell9omosessualità, che può sfociare, nei casi pi˘ gravi, anche in forme pi˘ o meno accentuate di violenza fisica o verbale. In un discorso pubblico del 1998, l9autrice, attivista e leader dei diritti civili Coretta Scott King ha definito l9omofobia come una forma di fanatismo che, al pari del razzismo e dell9antisemitismo, disumanizza un ampio gruppo di persone, negando la loro dignità e personalit‡. Altre teorie sviluppate nell9ambito della psicoanalisi descrivono inoltre l9omofobia come una risposta agli impulsi omosessuali che un individuo può provare. Sminuire, stigmatizzare e allontanare l9omosessualità, pertanto, si configurerebbe anche come un modo attraverso il quale alcune persone tenterebbero di reprimere o negare una parte di sÈ che non accettano o che hanno timore di esplorare. Esiste poi una forma di omofobia, detta interiorizzata, che prende forma all9interno della stessa comunità omosessuale. Con questa locuzione ci si riferisce infatti a un9avversione agita nei confronti dell9omosessualità proprio da parte di uomini e donne omosessuali. In particolare, le persone omosessuali che accettano o promuovono pregiudizi, etichette negative e atteggiamenti discriminatori verso sÈ e, pi˘ in generale, nei confronti dell9omosessualità sono tendenzialmente quelle che vivono con disagio la propria identit‡ sessuale o che avvertono il bisogno di conformarsi alle aspettative culturali imposte dall9eteronormatività. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Alcuni studi hanno posto in risalto che situazioni di stigma interiorizzato sorgono quando il soggetto sente che il proprio orientamento sessuale Ë in contrasto con la propria immagine idealizzata di sÈ. In situazioni estreme, tale condizione puÚ causare occultamento e repressione della propria identit‡, fino ad arrivare a forme pi˘ o meno acute di depressione clinica. La paura di essere identificati come omosessuali, inoltre, Ë stata definita come una forma di omofobia sociale. Questo spiegherebbe, in parte, come mai l9omofobia sia maggiormente diffusa in alcuni ambienti stereotipicamente considerati maschili, come ad esempio in quelli sportivi. Si utilizza l9espressione omofobia istituzionalizzata in riferimento a tutte quelle forme di disparità di trattamento tra soggetti sulla base dell9orientamento sessuale che sono condotte dalle istituzioni. L9omofobia istituzionale prende forma anche in tutti quei territori in cui alcuni diritti di cittadinanza sono esclusivo appannaggio delle persone eterosessuali, come ad esempio l9accesso al matrimonio, all9adozione o alle pratiche di procreazione medicalmente assistita. Per quanto riguarda l9ambito della religione, molte confessioni contengono insegnamenti antiomosessuali o considerano soltanto le relazioni procreative tra uomini e donne come legittime. La maggior parte delle organizzazioni internazionali per i diritti umani lotta da anni per l9abolizione delle leggi che considerano le relazioni omosessuali tra adulti consenzienti un crimine. Dal 1994, il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite ha anche stabilito che questo tipo di leggi viola il diritto alla privacy. Anche la comunit‡ LGBT+ Ë molto attiva per combattere l9omo-bi-transfobia ed infondere una cultura maggiormente inclusiva pronta a riconoscere valore e dignit‡ a tutte le identit‡. Omofobia nel mondo Nel mondo contemporaneo, le pene a cui le persone omosessuali sono sottoposte cambiano da Paese a Paese. In cinque Stati dell9Africa e dell9Asia l9omosessualità è punita con l9esecuzione capitale. I comportamenti omosessuali sono puniti in 10 Stati e prevedono una reclusione che puÚ andare da un minimo di 14 anni fino all9ergastolo. In altri 55 Paesi del mondo, le persone omosessuali possono essere condannate fino a 14 anni di carcere. Anche la met‡ dei Paesi asiatici ancora criminalizza l9omosessualità e una parte di quelli che non lo fanno compromettono comunque la libert‡ di espressione delle minoranze sessuali e di genere. La retorica promossa da pubblicazioni accademiche, giornalistiche e politiche, nelle quali si Ë insistito sullo scontro fra civilt‡, ha avuto come controreazione lo sviluppo di una serie di studi che si focalizzano sui motivi che hanno prodotto nei contesti delle ex colonie il clima di intolleranza che si respira nei confronti degli omosessuali, motivi che, per questi studiosi, vanno ricercati anche nel retaggio coloniale e nelle pi˘ ampie diseguaglianze sociali ed economiche che si riproducono a livello globale fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Appartengono a questo filone, ad esempio, lo studio di Khaled El-Rouayheb, che nel rintracciare i motivi della supposta incompatibilit‡ fra omosessualit‡ e mondo arabo-musulmano, descrive attraverso una rilettura della storia la tolleranza e l9apertura del mondo arabo-musulmano premoderno verso la diversità di genere e l9orientamento sessuale non eteronormativo, tolleranza perduta per effetto delle politiche di dominazione coloniale. Alla stessa conclusione, giunge lo studio Joseph Massad, che sviluppa un9analisi sistematica e plurisecolare della letteratura e della poesia nel mondo arabo-musulmano, dei romanzi e dei trattati di medicina. L9analisi di Massad sull9evoluzione delle identità sessuali e politiche nel mondo arabo-musulmano si rivela critica nei confronti di quella che egli definisce ´lobby internazionale gayª. Secondo questo autore, a partire dagli anni Ottanta, «l9international gay» avrebbe attuato un9incitazione al discorso sulla sessualità per categorizzare e distinguere le identità sessuali che fino a quel momento erano state abbastanza sfumate nei Paesi arabi. Per questo studioso l9attuale clima di odio nei confronti degli omosessuali in questi Paesi è visto come l9effetto della riproduzione su scala globale della causa degli omosessuali occidentali. In realt‡, gi‡ prima di queste recenti pubblicazioni si evidenziava che il clima di ostilit‡ di questi Paesi verso l9omosessualità fosse un retaggio coloniale, risalente a un9eccessiva preoccupazione che si registrò tra i Paesi europei per le questioni eugenetiche, tra le quali quelle della contaminazione tra le razze e del contagio delle malattie. Ritornando ai tempi recenti, nonostante l9indipendenza acquisita, alcune delle ex colonie, in Asia come nel continente africano, hanno rinforzato l9ordine sociale proprio attraverso un discorso che in parte recupera queste preoccupazioni e che fonda il suo discorso sui valori familiari, sulla promozione del matrimonio monogamico eterosessuale e in particolare sulla criminalizzazione delle sessualit‡ e dei generi non normativi. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Le ricerche su gay e lesbiche migranti Proprio per le premesse teoriche fatte sin qui, le analisi della condizione del migrante LGBT+ devono anche considerare come le diverse soggettività chiamate qui in gioco occupano posizioni differenti lungo l9asse di potere patriarcale ed eteronormativo, al cui apice troviamo il maschio bianco, eterosessuale e di classe media, e a discendere via via i soggetti con un9identità sessuale non eteronormativa. Dal punto di vista teorico, focalizzarsi sulla condizione degli omosessuali migranti maschi in Italia rimanda al significato che assume antropologicamente l9omosessualità maschile nei Paesi dell9area del Mediterraneo (ivi compresa l9Italia) e al più ampio discorso sul concetto di maschilit‡ egemonica. Se nel mondo occidentale ci si confronta con il modello degli omosessuali moderni, ´socialmente visibili e orgogliosi, versatili dal punto di vista del ruolo sessuale assunto, disposti a impegnarsi in relazioni sentimentali di lunga durata, con abbigliamento e movenze adeguati al genere, con un9identità sessuale stabile, attivamente coinvolti in una comunit‡ gay e lesbica urbanaª, altrove possono evidenziarsi, se pur in forma residuale, modelli alternativi, come quelli riscontrabili per esempio in alcuni contesti dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, tra cui quelli del Nord Africa. In questi contesti l9omosessualità è vissuta più in termini di pratica sessuale, che concepita in termini identitari; pertanto termini come omosessualit‡/eterosessualit‡ non assumono grande significato, mentre al contrario le pratiche sessuali informano e rimandano a precise identificazioni di genere alle quali sono associati altrettanti immaginari differenti. Da una ricerca svolta da Masullo (2015), su maschi in gran parte provenienti dai Paesi del Maghreb, si rivela come il modello della sessualit‡ mediterranea costituisca una delle modalit‡ utilizzate dai migranti intervistati per valutare il proprio orientamento sessuale. Gran parte di questi, per lo pi˘ migranti economici, pur riconoscendo le etichette proposte dalla societ‡ occidentale per definire l9identità sessuale, non sempre vi aderiscono, evidenziando un9inclinazione per un9omosessualità occasionale e comunque concomitante a rapporti di tipo eterosessuale. La distanza da tali etichette Ë utilizzata non solo per prendere le distanze verso i modelli di espressivit‡ e le etichette identitarie proposti dal gaylifestyle occidentale, ma anche per valutare gli omosessuali autoctoni, sui quali si applicano spesso visioni dispregiative, che rimandano all9effeminatezza, alla debolezza di carattere, stereotipi che nei Paesi di origine sono applicati all9omosessualità «ricettiva», maggiormente stigmatizzata rispetto a quella insertiva. Il ricorso a stereotipi costituisce una modalit‡ che informa non solo rapporti interetnici fra stranieri e autoctoni, ma costituisce anche una modalit‡ intorno alla quale il migrante straniero, sfruttando le rappresentazioni associate a una sessualit‡ considerata come ´ esotica ª, costruisce un proprio capitale erotico che mette in gioco positivamente nel mercato sessuale, negli incontri con gli omosessuali italiani, trovando conferma di quanto Manalansan indica relativamente alla capacit‡ degli stranieri omosessuali e bisessuali di sfruttare alcune rappresentazioni mainstreaming del desiderio maschile definito da canoni (neo) coloniali, in modo da ottenere benefici sociali e materiali di ritorno. Ponendo attenzione alle dimensioni multiple di discriminazione sperimentate dai migranti all9interno del nostro Paese, Carnassale evidenzia, in una ricerca sui migranti omosessuali provenienti dal Maghreb e dall9Africa sub- sahariana, una spiccata attenzione dei soggetti nel performare un modello di maschilit‡ eterosessuale egemonico a seconda dei contesti nei quali migranti interagiscono e nella scelta dell9invisibilità come armi necessarie alla sopravvivenza nel Paese di immigrazione. CiÚ porta ad una maggiore complessit‡ del loro posizionamento sociale e della loro auto-rappresentazione identitaria, al punto da costruire una nuova immagine della propria maschilit‡ o inventarsene una totalmente nuova, diversa sia da quella performata nel Paese di provenienza, sia da quella assunta dai propri connazionali nel contesto di migrazione. Se la ricerca sull9omosessualità maschile e dei migranti in Italia ha avuto in anni recenti un notevole impulso, lo stesso non puÚ dirsi per la sessualit‡ delle donne lesbiche migranti. Il lesbismo non conosce forme di legittimazione culturale, «essendo le regole di genere centrate sul familismo, sull9onore femminile e, soprattutto, sul pene come centro della sessualit‡, il sesso lesbico semplicemente non Ë contemplato, non viene riconosciutoª. Una recente ricerca condotta da Masullo e Ferrara ha preso in esame le identit‡ sessuali non eteronormative di donne migranti che vivono in Italia, con l9obiettivo di porre in evidenza le strategie identitarie che queste mettono in campo di fronte a situazioni per le quali possono essere discriminate per la loro identit‡ di genere e il loro orientamento sessuale. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 La ricerca ha sfruttato teoricamente alcune intuizioni della teoria postcoloniale intersezionale e queer, all9interno della corrente di ricerca qui definita della queer migration studies. Tali studi, nel prendere in esame la condizione delle persone omosessuali, pongono al centro dei loro interessi la gestione di un9identità doppiamente stigmatizzata che vivono le migranti LBTQ nei contesti di migrazione, facendo leva su un concetto del SÈ posto oltre le logiche binarie: bianco/nero, maschio/femmina, omosessualit‡/eterosessualit‡. Katie Acosta, per esempio, riprendendo il concetto di mestiza, descrive l9esperienza vissuta dalle emigranti lesbiche di origine latina negli Stati Uniti e di come sperimentino ogni giorno la condizione dell9essere mestiza, del muoversi sui confini delle loro diverse appartenenze. I confini sono da queste donne costantemente infranti e rielaborati, in alcuni casi reinventati, con l9obiettivo di vivere liberamente il proprio orientamento sessuale. Il peso delle discriminazioni che queste donne sperimentano dentro la societ‡ statunitense e dentro le comunit‡ etniche di appartenenza le conducono a costruire delle comunit‡ immaginarie entro le quali si sentono loro stesse, offrendo supporto e aiuto a coloro che vivono la loro stessa condizione, di donne migranti e omosessuali. » quanto succede alle donne migranti le cui storie sono prese in esame dalla ricerca di Masullo e Ferrara. Dalle interviste emerge l9opera di ricomposizione del sé che le donne migranti lesbiche, bisessuali e queer applicano nel tentativo di gestire i differenti lati della loro identit‡, evidenziando come la gestione di questi tratti sia strettamente collegata ai diversi ambiti nei quali si relazionano e al valore che questi ambiti assumono per la loro persona. FUTURO Proposto nel 1989 dalla giurista nordamericana KimberlË Williams Crenshaw per definire la sovrapposizione fra diverse identit‡ sociali da cui derivavano subordinazioni, oppressioni e discriminazioni, il termine intersectionality riprende visivamente l'intersezione che in geometria si ottiene nel punto in cui pi˘ rette si intersecano. L9approccio teorico intersezionale sottolinea l'importanza di ogni elemento caratteristico di una persona e della sua totale interazione con tutti gli altri tratti per poter definire perfettamente l'identit‡ dell'individuo. Proprio perchÈ le teorie classiche hanno prevalentemente analizzato processi di esclusione e di discriminazione in modo non integrato -ad esempio l'omofobia, il razzismo o la xenofobia - l'approccio intersezionale puÚ restituire: • La pi˘ reale relazione fra questi processi e ricondurli a un pi˘ generale sistema di oppressione che si manifesta in forme differenti; • Le profonde dinamiche alla base delle rappresentazioni sociali di tratti dell'identit‡ individuale su cui si fonda un processo di discriminazione oppressione, come ad esempio lo sono il genere, la sessualit‡, la classe. Parlare di intersezionalit‡ significa riferirsi a: • Come si determinano le categorie sociali che classificano gli individui; • Quale sia il processo di interazione di queste categorie sociali PerchÈ si possono superare le categorie invalse in una societ‡ da cui derivano rispettive metodologie d'indagine: • individuare una categoria prevalente e ricostruire in linea gerarchica quelle associate; • determinare classi di categorie dominanti, ad esempio perchÈ associate alla gestione del potere; • analizzare i processi di decostruzione delle categorie I contributi teorici Le scienze sociali non sono arrivate del tutto impreparate alla proposta di un approccio intersezionale di analisi della societ‡. Si devono intendere come orientati all'analisi delle interconnessioni studi come quello di Max Weber sul concetto di ceto, cui giunse connettendo fra loro le categorie di classe, stato e appartenenza politica; Ma anche quello di Pierre Bourdieu che proponeva l'approccio metodologico delle multiple correspondence analysis per scomporre in categorie dominanti identit‡ e fenomeni sociali. Si deve all'accademica nera e attivista KimberlË Williams Crenshaw, la prima puntuale definizione dei meccanismi di oppressione e discriminazione, prendendo in considerazione la posizione sociale delle donne nere e intersecando fra loro gi‡ solo le due categorie del genere e della razza. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644 Il contributo di Crenshaw Ë stato decisivo non soltanto per aver ufficializzato questo nuovo paradigma analitico, ma anche per aver portato in superficie il lavoro di diverse altre studiose nere e femministe. Gran parte di queste studiose sono state allieve di esponenti di spicco della seconda ondata del femminismo che avevano individuato nell'approccio teorico e metodologico dell'intersezione di poche ma decisive categorie come il genere, la classe e l'etnia uno strumento scientifico su cui basare concrete strategie di intervento. Alla formalizzazione dell'approccio intersezionale sono state avanzate anche critiche, che si potrebbero riassumere con quella pi˘ argomentata da Barbara Foley secondo la quale una categoria classificatoria come la classe Ë di per sÈ onnicomprensiva di tutti i processi di oppressione e discriminazione. Le altre categorie considerate dall'analisi intersezionale non sarebbero, in realt‡, se non altro che rappresentazioni identitarie. Schemi intersezionali Secondo le teorie elaborate dall'approccio intersezionale, la discriminazione sociale avviene secondo tre dinamiche: • concomitante: due o pi˘ fattori si uniscono a determinare una condizione di esclusione/ oppressione. • Additiva: relativa a specifici ambiti sociali nei quali agiscono due o pi˘ fattori di discriminazione cumulandosi fra loro. • Composta: i fattori di discriminazione si aggiungono l'uno all'altro, ma si rafforzano anche reciprocamente nei diversi ambiti sociali nei quali insistono Le nuove frontiere metodologiche dei gender studies Negli ultimi anni, a un ampliamento degli studi di genere Ë andato accompagnandosi lo sviluppo di nuove metodologie e tecniche per lo studio di molti fenomeni sociali. A tal proposito, trovano spazio le indagini standard di tipo survey, accanto alla conduzione di focus group, d interviste cognitive e testimoni privilegiati, le raccolte di storie di vita e testimonianze di donne impiegare attivamente sul fronte dell9advocacy e della tutela dei diritti umani. Nel contesto dei gender studies Ë utile sollevare una diversa questione metodologica emergente relativa alla raccolta dell'informazione sull'identit‡ di genere e sull'orientamento sessuale. A livello nazionale, il dibattito scientifico- metodologico sulle tecniche di rilevazione del dato sull'orientamento sessuale e sull'identit‡ di genere Ë ancora poco sviluppato. Tuttavia, si fa sempre pi˘ strada l'esigenza di andare oltre la categorizzazione binaria standard, per raccogliere un'informazione pi˘ accurata. La determinazione binaria tende a escludere tutti e tutte coloro che non rientrano nella categoria alternativa di uomo o donna, lasciando poco spazio all'espressione di differenze che possono contribuire a interpretare e comprendere pi˘ efficacemente alcuni fenomeni sociali. L'apertura al non-binario consente di elaborare nuovi strumenti di rilevazione del dato, in grado di superare l'invisibilit‡ statica in cui cadono alcuni gruppi che sfuggono alla definizione binaria standard. Ne consegue che le esperienze di questi individui sono rilegate ai margini dell'analisi o ne sono del tutto escluse. Proseguire nell'utilizzo della sola categoria binaria contribuisce a rendere invisibile una parte della popolazione che non puÚ non essere considerata. Un'opportunit‡ per restituire visibilit‡ a questi gruppi minoritari Ë oggi offerta dall'utilizzo dei big data. Infatti, come dimostrato da Welles, Ë possibile estrapolare da dataset con milioni di osservazioni. I gruppi minoritari sono cosÏ pi˘ facilmente raggiungibili e trattabili staticamente. Bisogna inoltre chiarire in che modo e in base a quali caratteristiche, definire l'identit‡ di genere e l'orientamento sessuale di una persona. A tal proposito si registrano diverse sperimentazioni di sistemi di rilevazione dell'identit‡ di genere, dell'orientamento sessuale e dell'Intersex. Per quanto concerne l'identit‡ di genere si evidenziano essenzialmente tre modalit‡: l'approccio a due passi; l'approccio a item singolo; la valutazione dell'espressione del genere. Il primo metodo risulta combinato di una domanda sul sesso alla nascita e sull9autodichiarazione dell'identit‡ di genere al momento dell'intervista; il secondo metodo prevede che il soggetto intervistato scelga un termine a suo piacimento che meglio descriva la sua identit‡ di genere; il terzo, infine, consiste in una serie di domande volte a valutare i modi in cui il genere Ë espresso. La gender expression puÚ essere rilevata in base all'autovalutazione dell'intervistato o in base a come il rispondente ritiene che gli altri lo vedano. Scaricato da Diego Conte ([email protected]) lOMoARcPSD|18139644