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Riassunto del manuale di storia del pensiero politico di C. Galli, Sintesi del corso di Storia Delle Dottrine Politiche

riassunto dettagliato per esame di storia delle dottrine politiche

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019
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Scarica Riassunto del manuale di storia del pensiero politico di C. Galli e più Sintesi del corso in PDF di Storia Delle Dottrine Politiche solo su Docsity! ESAME: “STORIA DELLE DOTTRINE POLITICHE” MANUALE: “MANUALE DI STORIA DEL PENSIERO POLITICO” GALLI C. 3)GLI INIZI DELLA POLITICA MODERNA. L’UMANESIMO POLITICO. Tra il duecento e il trecento, la nascita dei comuni e l’autonomia delle città favorì lo sviluppo della corrente ideologica umanista la quale aveva in Firenze la sua capitale, e nei suoi magistrati come Coluccio Salutati e Leonardo Bruni i suoi maggiori esponenti. Questi contestavano le mire espansionistiche di Milano e dei Visconti. In questi tempi si teorizzava la c.d “ARS DICTANDI” cioè la capacità di redigere testi “persuasivi” in ogni circostanza della vita istituzionale. Fu adottata dalla politica per perfezionare la propaganda dell’autonomia delle singole città e della salvaguardia del valore della libertà. (la retorica fu utilizzata dalla politica e si trasformò da saper parlare e scrivere bene a strumento di diffusione dei valori della cultura classica). Viene anche riaffermata l’eccellenza della vita politica e del suo valore rispetto ad altri ideali di vita quale ad es. quello della contemplativa monastica. Il valore della autonomia etica del singolo e di quella politica della comunità furono difesi riprendendo quegli ideali del “SOMNIUM SCIPIONIS”, propri dell’antichità. In questo racconto si narra del sogno di Publio Cornelio Scipione Emiliano del suo grande avo Annibale, che lo esortava a credere, per rafforzare in lui il senso dello Stato, che per tutti coloro che hanno aiutato a rafforzare e ingrandire la patria, c’è un posto particolare in cielo. Si riscoprì la cultura classica e si contribuiva a formare il concetto di NOBILTA’ DELLA POLITICA e della natura quasi divina dei riformatori degli stati. Gli umanisti fiorentini ereditarono tali valori al punto che per un momento sembrò di rivivere la tradizione antica nella gestione e nella cura della Repubblica Moderna. COLUCCIO SALUTATI, segretario della cancelleria Fiorentina, era l’ideale dell’intellettuale impegnato cioè quello che praticava uno stile di vita politicamente attivo contro il tradizionale modello di vita monastico-contemplativa occupandosi principalmente della difesa dell’ideale della libertà. Per lui i sapienti dovevano occuparsi della politica, considerando queste loro attività quasi divine, poiché svolte a favore di molti, favorendo così la libertà. Il suo programma di difesa della libertà repubblicana fu continuato da LEONARDO BRUNI che gli succedette alla carica di capo della cancelleria nel 1427. Bruni sosteneva la tesi che la virtù degli antichi era sopravvissuta a Firenze e che questa virtù, intesa come libertà, doveva essere il motore della liberazione dell’Italia intera. L’esaltazione della libertà, come indipedenza da ogni potere esterno e come autonomia e autogoverno si accompagnò all’apprezzamento delle virtù repubblicane. La virtù repubblicana 1 consiste nella dedizione alla patria e al bene comune, nella sua difesa attraverso le armi e dunque la concezione di una cittadinanza, non come mera appartenenza ad una città, ma come partecipazione alle sue vicende politiche (concreta possibilità di costruzione dei suoi destini). Questa esaltazione della libertà e dei valori degli antichi portò ad un cambiamento spirituale promuovendo una filosofia dell’azione individuale nella società. Questa era la rinascita della virtù secondo la visione romana cioè quella forza interiore a cui ciascuno poteva tendere se ricercata, non più considerata come bene individuale ma anche come fattore sociale. Di conseguenza la nobiltà di nascita, ma anche quella di denaro, perdevano la loro posizione di rilievo a favore del prestigio di coloro che lavoravano per il bene pubblico secondo virtù. L’umanesimo fu una giustificazione teorica per la nascita di nuove classi, capaci di scuotere gerarchie consolidate. POGGIO BRACCIOLINI sostiene gli ideali di azione sociale, di vitalità mondana e offre una versione positiva dell’avarizia intesa come ricerca del denaro, poiché quel denaro sarà poi la salvezza della nazione, poiché “il motore dal quale lo stato è sostenuto”. Questa esaltazione della mondanità continuerà con LEON BATTISTA ALBERTI (bisogna unire la ricerca dei beni materiali con quella dell’onore e della virtù) e con PALMIERI (la vita solitaria è meno elevata di quella civile infatti nulla è più apprezzato da Dio che il governare con giustizia la moltitudine di uomini). Questa armonia si dimostra incrinata già agli inizi del ‘500 quando il privato diventa un valore in grado di fronteggiare la vita pubblica. Questo cambio di rotta è dato da una mutata situazione storica e una nuova attitudini degli intellettuali verso la vita politica. A Firenze, nel 1430, si viveva sotto COSIMO DE’ MEDICI mentre intorno si fortificavano le signorie o i regni. Perciò fattori esterni, ma anche interni, spingevano gli umanisti ad aderire al PRINCIPATO pur tenendo sempre presente quella virtù che tutti gli umanisti avevano esaltato come unica forma di “nobilitazione”. COLUCCIO SALUTATI, leader del repubblicanesimo, si orienterà ad inizio ‘400 verso l’apprezzamento del principe e della sua capacità di interpretare i bisogni profondi della società. Egli da rilievo al tema del consenso analizzando la trasformazione delle istituzioni repubblicane in vere e proprie Signorie o Principati fondati sul consenso popolare. Egli vedeva nei principati, che molti contemporanei consideravano un abuso di potere, qualcosa di positivo. Per lui dietro il potere del tiranno poteva scorgersi il consenso espresso o tacito del popolo. Dunque il tiranno che avesse assunto il suo ruolo senza legittimazione poteva essere ucciso da ogni cittadino. Da queste considerazione emerge una svalutazione dei criteri base dell’ideologia repubblicana come identificazione della libertà con l’autogoverno. La tradizione repubblicana non era finita ma inizia una serie di trattati sul principe 2 della plebe, inventato a salvaguardia della libertà, consentendo di tenere la nobiltà a freno. Si è posta la libertà nelle mani della plebe. Machiavelli crede che il popolo intero sia più saggio del singolo principe, questo perché i grandi hanno sempre il desiderio di dominare più degli altri e non perché il popolo è pieno di bontà. Sia il popolo che i grandi hanno una malvagità naturale, ma le risorse economiche rendono i nobili più pericolosi, ecco perché Machiavelli preferisce una Repubblica atta ad ingrandirsi militarmente avendo come obiettivo la potenza e la gloria con un popolo armato e difficilmente manovrabile da parte dei grandi. Il popolo è difficilmente manipolabile e adattabile ad obbedire ai nobili ma armare il popolo significa rischiare di creare tumulti interiori, eliminare questi tumulti disarmando il popolo equivarrebbe ad eliminare anche la potenza militare della Repubblica. Il punto fondamentale di tutto ciò è il saper incanalare le energie conflittuali in meccanismi (come le istituzioni) che possono utilizzare politicamente, impedendo che la contesa assume carattere privato. L’unità della forma politica è necessaria, ad es. nel caso della Repubblica Romana essa è dovuta anche alla religione che per i romani ebbe significato civile e non privato, assumendo così il ruolo di pubblico di tutela della sacralità dei giuramenti privati e dell’intangibilità della legge. La virtù politica è fragile, tende ad essere erosa dagli egoismi degli uomini. La corruzione è l’insorgere della malattia nel corpo politico, è il disprezzo delle leggi, l’allontanamento dai principi della Costituzione, la ricerca del bene di una parte invece che di tutta la Repubblica, è quindi la fine della virtù politica. Nel caso romano e fiorentino la corruzione ha portato alla rottura dell’uguaglianza degli uomini e alla crisi della libertà. Per realizzare un fine buono come quello di riordinare una città è necessario un uomo REO cioè violento e malvagio che diventasse principe della sua repubblica la quale diverrebbe monarchia perché raramente un uomo buono vorrà farsi reo per realizzare i propri fini buoni. Il limite della realizzabilità della repubblica è dato dalle condizioni strutturali del territorio e dei rapporti di forza. Machiavelli penserà sempre che la repubblica è l’organismo politico più vivo e più capace di durata e di espansione perché le diverse virtù dei molti sono più adatte a fronteggiare la fortuna e i casi della storia rispetto alla sola virtù del principe nel principato. La politica moderna è priva dell’ETHOS antico (forza emotiva) e lo stato efficiente può essere costruito solo se gli interessi e gli appetiti dei singoli non cancellano l’etica pubblica che deve continuare ad animare lo stato. Il cuore della politica sarà buoni cittadini armati, buone leggi e buoni ordini. Il Principe 5 Nel Principe Machiavelli tenta di individuare la forma politica capace di avere in sé la virtù e di agire efficacemente in un mondo insicuro. Nei primi 11 cap. Machiavelli analizza i diversi tipi di principato che, insieme alla Repubblica, è una forma di “Stato”. Il solo principato che interessa a Machiavelli è il PRINCIPATO NUOVO: è da un principe nuovo che egli si aspetta l’abbreviazione dei processi che portano al formarsi della virtù politica nelle repubbliche (ideale politico di M.). Il Principe Nuovo, non deve essere tiranno, deve armare i suoi sudditi per perseguire la gloria e la potenza della nazione e non gli interessi personali, condanna l’utilizzo delle milizie mercenarie favorendo le armi proprie per garantire la partecipazione politica (al contrario, nel governo tirannico di HOBBS il leviatano disarma i suoi sudditi perseguendo gli interessi personali). Dunque il principe, per Machiavelli, deve imparare a poter essere “non buono”, raccomandando al principe, non lo splendore, la magnificenza ma la parsimonia (moderato nell’uso del denaro, deve essere forte come un leone e astuto come un lupo), non la fede ad ogni costo ma la simulazione e la dissimulazione, non la sicurezza fondata sull’onore ma quella fondata sulla forza. In alcuni casi il principe deve essere falso e crudele per il bene di tutti, il male a volte e necessario per affrontare le imprevedibilità (fortuna) quindi a volte per salvare lo stato bisogna rinunciare all’etica religiosa. Anche l’attenzione a rapporti sociali è per Machiavelli un fattore di limitazione all’agire politico del principe. Si diventa principe o con l’appoggio dei grandi o con quello del popolo. Con l’appoggio dei grandi non si potrà comandarli o manipolarli nè si potrà soddisfare onestamente le loro voglia, essi chiedono di opprimere il popolo mentre questo chiederà di non essere oppresso. Machiavelli invita quindi il principe ad avere il popolo amico in quanto solo così il principe nuovo potrà essere anche capo militare del suo popolo, ARMANDOLO SENZA DOVERLO TEMERE. “NELL’ARTE DELLA GUERRA” Machiavelli esalta l’utilizzo delle milizie proprie realizzando un esercito del popolo animato da una salda disciplina, impedendo che la guerra diventi una professione. Ciò può essere fatto solo da un PRINCIPE NUOVO. Nelle “ISTOLE FIORENTINE” Machiavelli mostra di aver perso la speranza in una renovatio e riflette sulla storia della sua città, interrogandosi sui motivi della sua decadenza. A Firenze le divisioni non solo crescevano coinvolgendo tutti gli strati del tessuto sociale ma avvenivano su un terreno privato ed economico diverso da quello pubblico di Roma, dove proprio perché istituzionalizzato, il conflitto era stato produttivo di virtù. Infine a Firenze le leggi non costituivano un punto di mediazione tra interessi diversi ma esprimevano la volontà del vincitore di cancellare l’avversario. 6 Gucciardini Filo-aristocratico, al contrario di Machiavelli, che aveva posto il controllo politico nelle mani del popolo, lui lo pose nelle mani dell’aristocrazia (ottimati) in quanto più prudente e con maggiori qualità rispetto alla plebe ignorante e confusa. LORENZO IL MAGNIFICO aveva iniziato a tirameggiare escludendo i nobili quindi bisognava restituire la guida alla classe aristocratica custode di saggezza e di prudenza. Si focalizza sul CONSIGLIO (potere legislativo) composto dagli addetti alla cittadinanza, deve giudicare le leggi nuove e correggere quelle vecchie ma le deliberazioni più importanti devono essere fatte da un consiglio più ristretto dotato di prudenza in quanto devono essere trattate in modo segreto e rapido, cosa che non avverrebbe con il consiglio esteso, ma anche perché, vista la natura popolare dei consiglieri, le cose importanti potrebbero non essere capite o esaminate bene. Successivamente riterrà inutile il sapere dei savi e dei prudenti ma la prudenza non è completamente corrosa poiché grazie alla forza e alla fortuna può avere un ruolo importante in quanto consente di mantenere un atteggiamento dubbioso verso le apparenze e le alleanze ma rispetto alla sorte non sarà mai protagonista negli eventi politici. 4) LA RIFORMA L’UMANESISMO si sviluppa in Europa nel ‘500 e provocò cambiamenti radicali anche nella sfera della spiritualità. Erasmo Nacque a Rotterdam nel 1466, dominò la scena culturale del ‘500 finché la rivoluzione luterana non pose fine al suo programma di evangelismo politico. Egli promosse una riforma religiosa per ricondurre il Cristianesimo alla purezza delle sue 7 necessaria perché questo equivarrebbe a sciogliere le catene alle bestie selvagge e feroci che potrebbero sbranare chiunque. La riforma generò una serie di conflitti a sfondo religioso che spinse molti uomini a fuggire dalla propria patria rifugiandosi in città conformi al proprio credo. I sorciniani per es. elaborarono una teoria della “tolleranza” per porre fine a questi scontri. Con il sacerdozio universale e la Bibbia tradotta la riforma aveva chiamato tutti, anche gli umili ad un protagonismo fino ad allora immaginabile che si basava anche sul malcontento degli stati inferiori della popolazione. Questi soggetti svilupparono idee ugualitarie auspicando un ritorno alla chiesa primitiva. Furono chiamati ANABATTISTI cioè “ribattezzatori” perché ribattezzavano gli adulti che si erano associati alla chiesa degli eletti. Essi erano nemici della guerra e dei giuramenti, formavano una chiesa pericolosa perché basata su un’ansia di rigenerazione totale della società per determinare l’uguaglianza tra gli uomini. La libertà del cristiano non fu più recintata nella teologia ma attraverso la riforma si eliminarono le servitù terrene come quella della GLEBA. MUNTZER, a differenza di Lutero, volle unificare quei due regni che Lutero aveva distinto: 1) LIBERTA’ INTERIORE; 2) OBBEDIENZA ESTERIORE. Per rendere quello temporale del tutto plasmabile da quello spirituale Lutero si troverà a elidere quella distinzione da lui stabilita. Arriverà a formulare la teoria del MINISTERO DELLA SPADA secondo cui un principe potrà guadagnarsi il paradiso più facilmente spargendo sangue, piuttosto che pregando. Calvino Nato nel 1509, le sue idee lo resero sospetto a Parigi e iniziò così a vagabondare stabilendosi a Ginevra. Secondo lui la vita del cristiano è scandita dal riconoscimento dell’assoluta onnipotenza divina e dal assoggettamento al volere e alla provvidenza di Dio. Condivide con Lutero la critica radicale della chiesa gerarchica e abbraccia la teoria che la salvezza arriva solo per grazia divina quando Dio entra nel cuore del credente. Questi ha il dovere di assoluta dedizione alla volontà nascosta di Dio, senza sfociare in quietismo ossia placida accettazione degli eventi. Anzi l’uomo deve agire per compiere la volontà di Dio WEBER legge Calvino e inizia a pensare che il CALVINISMO sia la base del CAPITALISMO. Mostra come il lavoro regolato in una professione diventa 10 eticamente significativo per il calvinismo che lo interpreta come impegno individuale nel mondo. Da qui deriva anche un’etica morale: il principio di rinuncia a sé stessi per preferire gli altri a noi. È proprio l’atteggiamento caritatevole e operoso con cui l’individuo organizza la propria professione, che è anche la sua “vocazione terrena”. Dunque la realizzazione della gloria di Dio è aperta a chiunque, nell’ambito dell’esercizio della propria funzione. La chiesa di Calvino non conosce la gerarchia presente in quella romana, non conosce l’autorità che media tra cielo e terra ma solo i pastori che devono diffondere il Verbo (messaggio di Dio), i quali venivano eletti all’interno della comunità secondo principi “democratici”. Calvino introduceva elementi democratici nella vita religiosa e politica e ha anche una forte teoria dell’obbedienza nei confronti dell’autorità: come Lutero, Calvino intende due regni (1) una dimensione spirituale; 2) un’altra esteriore terrena). Secondo lui bisogna sempre ubbidire ma sempre nei limiti delle norme religiose. Infatti, poiché il compito del potere civile è tutelare la tranquillità pubblica, secondo Calvino bisogna obbedire a qualsivoglia autorità ci governi nel luogo dove viviamo. È ammessa una disubbidienza passiva, una non collaborazione con l’ordine solo se guidata da motivi religiosi. L’ideale politico a cui tendere è quello di una sorta di democrazia religiosa, dell’autogoverno dei giusti, dove il giusto non può farsi imporre comandi ingiusti in materia di religione. Questi comportava problemi in termini di tolleranza. Anche la riforma condivideva l’idea che solo l’unicità della fede avrebbe dato agli organismi politici l’unità necessaria per sopravvivere e fiorire. Così i riformati non pensavano fosse possibile che su uno stesso territorio convivessero più fedi o che lo stato proclamasse la propria neutralità in materia religiosa. C’era un elemento in comune tra cattolicesimo e riforma: l’intolleranza verso gli eretici. Calvino era favorevole alla punizione degli apostati cioè chi rifiuta la propria religione a favore di un’altra. CASTELLION cerca di smontare il concetto di eresia, dovuto al fatto che la verità non sia poi così certa e che dalle scritture si possa evincere con chiarezza una volontà univoca. Egli avanza l’idea di atteggiamenti di prudenza nei confronti della religione e delle punizioni. 11 5) COSTITUZIONE, RIVOLUZIONE, REPUBBLICA E UTOPIA. Se nel mondo romano la legge EX DE IMPERIO diceva che ciò che piace al principe ha valore di legge, nel mondo germanico barbarico e feudale si dà più rilevanza al popolo in quanto la cessione dei propri diritti al re non è vista come alienazione (trasferimento di un diritto) ma come affidamento temporaneo condizionato all’esercizio del potere che è di origine popolare e il suo esercizio è frutto di un patto, di un consenso. Questo modo di concepire la legge come ISTUM cioè giustizia e non come IUSSUM cioè comando porta allo sviluppo del COSTITUZIONALISMO MEDIEVALE. La legge va scoperta e non costruita, non è in possesso del legislatore, della sovranità e non può essere da lui forgiata a piacimento ma è espressione della società, dei rapporti razionali che esistono prima della legge stessa. Bracton 12 cappeggiata da CROMWELL che capì che un esercito di uomini liberi e umili natali, disciplinato e convinto della bontà della causa per cui combattere era meglio di un esercito formato da professionisti della guerra. Questo fu dimostrato nel 1645 con la vittoria dell’esercito parlamentare su quello monarchico, ciò portò all’abolizione della monarchia con la condanna a morte di Carlo I nel 1647, alla promulgazione di una costituzione repubblicana nel 1653 e così Cromwell divenne lord protettore di Inghilterra, Scozia e Irlanda ma questa repubblica non durò molto perché nel 1660 fu restaurata di nuovo la monarchia. Pochi anni prima di questi eventi ci fu un dibattito per la richiesta del suffragio universale maschile, rifiutato per il timore che questo potesse trasformarsi in un attacco dei nullatenenti nei confronti del principio di proprietà. Nei suoi discorsi Cromwell cita spesso le posizioni dei LIVELLATORI e dei ZAPPATORI. I Livellatori I LIVELLATORI il cui leader fu LILLBURNE era un movimento interessato alla politica e al diritto, identificarono i loro avversari prima nei privilegi nobiliari poi nel Parlamento stesso. Ciò che si intendeva livellare ed eguagliare era il PESO POLITICO DEI CITTADINI d’Inghilterra e non la ricchezza e la proprietà privata, si voleva combattere il dispotismo e il privilegio. Lillburne cerca da una parte di rifondare il potere e dall’altra di limitarne la sfera di competenza attraverso la certezza del diritto (ritorno al diritto di natura). Il loro punto cardine era che il potere e le cariche fossero legittimate secondo il principio di rappresentanza eletta a suffragio universale maschile e che gli eletti dovevano rivestire cariche temporanee che dopo averle esercitate devono ritornare all’uguaglianza naturale di tutti i cittadini. Gli zappatori Gli ZAPPATORI si chiamano così perché si impegnarono a coltivare un terreno pubblico come sostentamento per i poveri, infatti il loro obiettivo e quello del loro leader WINSTANLEY era quello di portare all’estremo compimento la rivoluzione eliminando qualunque forma di potere sia monarchico che parlamentare infatti l’ Inghilterra doveva essere una libera repubblica in cui andava attuato il COMUNISMO che redistribuisse le terre, infatti criticava la proprietà che era fonte di ineguaglianza e il sistema delle recinzioni, utilizzato in Inghilterra nel ‘500, con cui i proprietari sottraggono la terra all’uso comune per essere destinata al pascolo delle pecore. Winstanley analizza le forme di governo dividendole in base a come è gestita la terra: 15 a. IL GOVERNO REGALE: è fondato sulla volontà del re in cui i sudditi sono litigiosi a causa della divisione ineguale della terra; b. IL GOVERNO REPUBBLICANO: in cui regna la libertà grazie a leggi emanate dal Parlamento e tutti si organizza secondo le logiche del comunismo. Il Repubblicanesimo In Inghilterra tra il 1649-1660 si consolida un gruppo di pensatori che si concentra sulle dinamiche politico-istituzionali. I REPUBBLICANI erano accomunati da un’opzione repubblicana che garantisse la libertà personale, la partecipazione diretta e attiva alla vita politica, ossia l’autogoverno collettivo. Apprezzano il governo misto (come garanzia di partecipazione di tutti), cercano di annullare le differenze tra la forma regale e la degenerazione tirannica e mostrano l’incompatibilità tra monarchia e libertà. Ritengono che la Repubblica è l’unica forma che permette la libertà e che l’autogoverno è possibile solo se la virtù politica è diffusa tra i cittadini. Milton MILTON fu difensore della libertà repubblicana. In “AEROPAGITICA” difese la tolleranza e la libertà contro un decreto parlamentare che censurava la libertà di stampa. Lui è convinto che non vi è la LIBERTA’ POLITICA e morale senza il CONFRONTO di opinioni diverse. Infatti lui è un paladino della molteplicità e delle differenze. Critica la chiesa di stato mostrando il legame tra dispotismo e inquisizione. L’obiettivo di Milton nella sua critica alla monarchia era provare la legalità della deposizione e dell’uccisione di un tiranno o di un re malvagio da parte del popolo anche se i magistrati non lo approvassero perché il re e i magistrati non sono padroni e signori dei popoli ma sono vincolati al rispetto delle leggi. Egli rivendica un’originaria appartenenza del potere al popolo e che esso quando decide di trasferire questo potere al re, non lo aliena ma lo affida nella forma di un rapporto fiduciario. Per lui c’è poca differenza tra un tiranno e un re, il tiranno non è solo il re che si macchia di delitti ma è il re come tale perché la monarchia trasforma un funzionario dello stato nel padrone dello stato portando il re al venir meno dei patti, ponendolo in una posizione di superiorità. Quindi la deposizione del sovrano è necessaria per realizzare il volere politico della libertà che avviene attraverso la riappropriazione popolare della sovranità. Per lui la Repubblica ha un valore morale perché oltre a realizzare la giustizia e la libertà, induce alla nobiltà d’animo, dà valore all’uguaglianza e al pubblico e all’universale rispetto del privato. Milton ritiene che per organizzare politicamente la libertà bisogna creare un CONSIGLIO GENERALE composto da uomini saggi, che deve occuparsi degli affari pubblici per 16 il bene comune. Si tratta di una sovranità delegata e mai trasferita. Il consiglio deve essere affiancato da poteri locali e federativi in grado di bilanciarlo (stato misto). Harrington HARRINGTON apprezza il governo misto. Secondo lui la struttura politica deve rispecchiare la STRUTTURA SOCIALE e l’organizzazione della proprietà terriera. L’eguaglianza è il valore a cui tendere. Egli lega la libertà con la proprietà, non può esistere l’una senza l’altra, la proprietà deve diventare lo strumento per l’affermazione della libertà. Il sistema da lui immaginato si fonda su una LEGGE AGRARIA capace di fissare un limite ai possessi (in senso graduato e non egualitario) senza che pregiudichi l’attribuzione dei poteri politici (cittadinanza). Inoltre pone al centro del suo progetto il principio dell’ELEGGIBILITA’ E SCRUTINIO SEGRETO per tutti i membri del Parlamento e il principio della ROTAZIONE (cambiare ogni anno 1/3 degli eletti), affianca al Senato una Camera che ha il potere di accettare o rifiutare le proposte legislative avanzate dal Senato ma che non ha il potere di discutere. Ritiene che il popolo deve essere armato per garantire la libertà e questo non ha solo il compito di selezionare la classe dirigente con proprio voto ma anche di costruire la propria libertà attraverso l’approvazione o il rifiuto delle leggi. Moro MORO nel 1516 scrive l’opera “L’UTOPIA” in cui indica un luogo che non esiste, in cui c’è benessere, felicità e giustizia. Il libro è diviso in due parti: 1) nella prima parte critica lo stato miserabile in cui versa la società inglese, opponendosi alla brama del possesso tipico della proprietà privata; 2) nella seconda parte descrive un nuovo mondo da lui visitato cioè un’isola utopica dove il segreto della felicità è MANCANZA DELLA PROPRIETA’ PRIVATA E DEL DENARO. Abolendo la proprietà privata, gli abitanti praticheranno a rotazione l’agricoltura e gli altri mestieri necessari, ognuno prende ciò di cui ha bisogno, si consumano pasti in comune, quindi la felicità si fonda su una vita vissuta secondo natura e virtù e sulla restaurazione dei legami sociali basati sulla solidarietà. Nell’isola le cariche sono elettive con un forte dialogo tra popolazione e istituzioni. Per Moro la politica è mescolata alla morale. Nell’Utopia non c’è un’analisi dei mezzi, non è un progetto ma l’espressione di un’esigenza che non si sa come realizzare. 17 Bodin difende rigorosamente il diritto privato, l’intangibilità della proprietà e della giustizia, distinguendo tra sovranità assoluta e arbitrio. Il suo pensiero segue due principi: quello dei diritti irrevocabili della famiglia e quello del potere legislativo assoluto del sovrano. Quindi lo STATO per Bodin è quello MONARCHICO in cui il potere è uno, legittimo e regale (quindi legale) in cui i sudditi devono obbedire alla legge del re ma anche alla legge della natura mantenendo la loro libertà e la proprietà dei loro beni (MONARCHIE RAYALE). Anche i magistrati, cioè ufficiali che hanno il potere di comandare, devono sempre obbedire agli ordini ricevuti, altrimenti la maestà del principe sarebbe illusoria. Quindi per Bodin ogni mistione dei poteri produce confusione e debolezza all’interno dello stato. Bodin distingue: • LE FORME DI STATO: sono 3 e riguardano l’individuazione del soggetto della sovranità; • LE FORME DI GOVERNO: sono molteplici e riguardano la modalità con cui viene esercitata la sovranità. Ci sono tre FORME DI GIUSTIZIA tipiche dei tre REGIMI POLITICI: • ARITMETICA O COMMUTATIVA: tipica degli stati popolari in cui vi è la divisione uguale delle cariche, degli orari, degli uffici, dei benefici e dei denari; • DISTRIBUTIVA O GEOMETRICA: tipica degli stati aristocratici in cui si distribuiscono gli onori, la dignità e i benefici agli aristocratici, mentre gli uffici comportano meno potere al popolo; • REGIA O ARMONICA: che tenuto conto delle esigenze dei ceti si fa in modo che l’onore e la dignità vadano ai ricchi e i profitti ai poveri. Althusius Se Bodin incarna l’ideale dello Stato accentrato con una sovranità indivisibile, ALTHUSIUS propone un’alternativa FEDERALE. Egli dice che la sovranità appartiene al popolo il quale non può mai rinunciare a questo diritto e trasferirlo definitivamente ad altri. La realtà politica è contrassegnata dal privato dell’ASSOCIAZIONE cioè un patto tacito o espresso con cui gli uomini si obbligano a comunicare su ciò che è necessario alla vita sociale e a conseguire beni finalizzati alla vita buona. Alla base ci sono le forme di associazione storiche come la famiglia, le corporazioni fino ad arrivare a quelle pubbliche come le città e l’associazione politica in generale cioè lo Stato. Nelle associazioni pubbliche, così come avviene in quelle private, si entra attraverso un patto e nelle quali viene istituito un RETTORE che è superiore ai singoli membri ma inferiore rispetto 20 all’associazione nel suo complesso in quanto vi è il primato dell’associazione sui singoli privati che ne fanno parte. L’associazione politica non può essere concepita senza la titolarità della sovranità, così il potere del governo nell’associazione generale è sempre concesso dal popolo. Althusius ricorda che il fondamento del potere supremo è la legge naturale e che la potestà del monarca deve essere ricondotta all’associazione generale cioè allo Stato, ma la sovranità dello Stato è federale perché è fondata su un patto delle associazioni minori. Ad esercitare la sovranità non è il popolo (insieme delle associazioni minori) ma i ministri da esso scelti e ai quali trasferisce la sua autorità, il suo governo. Al vertice della PIRAMIDE AMMINISTRATIVA ci sono due POTERI: 1. Il SOMMO MAGISTRATO; 2. Gli EFORI: eleggono il sommo magistrato e collaborano con esso, hanno funzione di rappresentanza, limitano e impediscono l’arbitrio del sommo magistrato, deponendolo se necessario. I Libertini e Pascal Il libertinismo si afferma in Francia e in Europa nel ‘600. I LIBERTINI erano portatori di un nuovo pensiero libero da pregiudizi e tradizioni, pur riconoscendo che le leggi del dominio politico sono artificiali non chiesero mai un ritorno a uno stato di natura. Con i libertini si inizia a complicare il rapporto tra lo Stato e i soggetti moderni che giustificano il potere chiedendo salute e benessere ma che se non lo ottengo sono disposti ad abbatterlo. PASCAL riconosce il diritto e lo Stato come necessari ma non razionalmente giustificabili. La Ragion di Stato La RAGION DI STATO è una dottrina politica che ha lo scopo di garantire che la politica non abbandoni i riferimenti etici religiosi e che da questo legame non tragga debolezza ma forza. Botero BOTERO critica Machiavelli il quale aveva detto che il cristianesimo impedisce il successo militare perché secondo lui la FEDE piò fare miracoli in battaglia garantendo la superiorità delle milizie cristiane su quelle pagane quindi ricongiunge il rapporto tra potenza militare e la fede. Nel 1589 nella sua opera “DELLA RAGION DI STATO” lui presenta una nuova scienza politica, individua tutte le specifiche tecniche e i mezzi che sono necessari al principe per mantenere o ampliare il suo 21 dominio. Secondo lui la PRUDENZA POLITICA dirige tutte le azioni politiche del principe, è una tecnica di governo che deve essere capace di adattarsi ai luoghi e ai tempi delle persone. La Ragion di Stato è una sorte di trasgressione alle leggi ordinarie in virtù del Bene Pubblico partendo dal presupposto che il bene e il benessere dello stato sono lo scopo di ogni azione politica prudente. Parola chiave del pensiero di Botero è l’INTERESSE. Solo con l’interesse come scopo e la prudenza come mezzo si arriva al bene vero. L’interesse da unità alle diverse strategie di governo che mirano, oltre a mantenere la pace pubblica, eliminando le cause del malcontento, anche ad accrescere le ricchezze e il benessere dei sudditi e del regno. È proprio all’interno di questa strategia che bisogna operare un GOVERNO ECONOMICO DELLA SOCIETA’ che, non solo salvaguarda l’iniziativa economica assicurando il non intervento del sovrano, ma spinge lo stesso principe a regolare il gioco economico. Per mantenere il popolo nell’obbedienza il principe deve procurargli il benessere ma soprattutto deve mirare all’ingrandimento dello Stato. Lo STATO per Botero è il dominio fermo sugli uomini e al contrario di Macchiavelli il quale ritiene che lo Stato si conserva ma che difficilmente si accresce, Botero ritiene che la conservazione dello Stato è difficile perché bisogna lottare contro la naturale decadenza delle cose umane ma anche perché per la conservazione occorre sapienza che è difficile da trovare. Naudé Più tardi si iniziò a distinguere una buona e una CATTIVA RAGION DI STATO. Quella cattiva è considerata tirannica, legata al concetto di ARCANA IMPERII cioè quel principio che permette al principe di compiere atti EXTRA LEGEM. Ciò che NAUDE’ definisce COUP D’ETAT cioè azioni che sono permesse solo se necessarie al bene dello Stato. Quindi il principe in caso di necessità pubblica può violare le leggi del diritto e divincolarsi da ogni rapporto giuridico o alleanza proprio sulla base dell’interesse collettivo, del bene comune. È un erede di Machiavelli perché dà per scontata la discrepanza tra ragione politica e ragione morale. La scienza dello Stato Botero ritiene che per permettere ad ogni organismo di perseguire il proprio interesse bisogna individuare la loro natura, lo spazio dello Stato e la moltitudine degli abitanti. È necessaria una SCIENZA DELLO STATO che individui le fonti di ricchezza pubblica e privata e i mezzi per incrementare questa ricchezza. Una città per essere grande deve essere ricca e per essere ricca deve soddisfare alcune condizioni (come la posizione geografica, la fertilità del suolo) utili per l’affluenza del denaro. Per lui governare significa intervenire sulle DINAMICHE DI DIFFUZIONE DELLA 22 più alto che esista, che signoreggia (comanda, governa) e tiene a freno le arroganze, è un essere con cui non si può stringere patti. Queste sono le caratteristiche dello STATO MODERNO indicato, non come un mostro, ma come un grande uomo artificiale infatti nell’introduzione del Leviatano viene illustrato un GIGANTESCO UOMO il cui corpo è costituito da molti uomini, che ha un atteggiamento protettivo verso il paese che domina e ha in una mano la spada (cioè il potere politico) e nell’altra mano il pastorale (cioè il potere spirituale). All’origine dello Stato hobbesiano c’è una nuova lettura della natura umana. Per Hobbes il conflitto non avviene tra gruppi ma tra singoli individui che sono gli attori primari della politica. La natura è assenza di ordine, in essa non ci sono gerarchie, tutti gli individui sono uguali da un punto di vista fisico e intellettuale e l’uomo è una parte disordinata della natura in quanto anche se gli uomini sono naturalmente uguali essi sono animati dall’ ENERGIA VITALE che è il diritto naturale, cioè dalla LIBERTA’ intesa come insieme di mezzi che ciascuno dispone per soddisfare i propri interessi e rimanere in vita, quindi l’uomo cerca sempre di esercitare il proprio diritto, di seguire la propria naturale inclinazione del desiderio di ricchezza, di onore e di comando, cercando di sopraffare gli altri. Tutto questo crea competizione, guerra e inimicizia rendendo l’UOMO NATURALMENTE CONFLITTUALE. Hobbes parla di “homo homini lupus” cioè uomo lupo degli altri uomini. Quindi la natura, attraverso la competizione e la vanagloria ha dissociato gli uomini, rendendoli incapaci di stare in compagnia e inclini al conflitto fondato sul diritto di tutti su tutte le cose. L’assenza di cooperazione e l’alto tasso di conflitto rendono NECESSARIA L’USCITA DALLO STATO DI NATURA che avviene grazie alle LEGGE NATURALE cioè un comando della ragione che vieta all’uomo di fare ciò che è lesivo per la sua vita (paura della morte) facendo capire l’importanza della pace. (Mentre in Machiavelli lo scopo della politica era la ricerca della virtù e della gloria, in Hobbes è la conservazione della vita umana e la costruzione dell’ordine politico). La legge naturale si specifica in 19 leggi, le prime tre sono: 1. Ogni uomo deve ricercare la pace; 2. Quindi ogni uomo deve lasciare cadere il suo diritto su tutte le cose in misura pari gli altri; 3. Questa mutua cooperazione deve essere rispettata perché solo così c’è giustizia. 25 La politica ha l’obiettivo di costruire le condizioni che consentono di obbedire alle leggi di natura e a vivere in pace (UNITA’ POLITICA ARTIFICIALE). Per realizzare ciò gli uomini, nello stato di natura, devono autorizzare (conferire la loro autorità) un ATTORE che agisce come loro rappresentante, questo attore è il SOVRANO che è frutto di un PATTO (patto suggestionis). E proprio attraverso la logica del patto e della rappresentanza politica che permette al Leviatano, dio mortale che rappresenta tutti, di garantire la sicurezza e di rendere la vita associata stabile e pacifica. Nonostante esso è generato dal patto, non ne prende parte. Qualsiasi azione e legge del sovrano NON E’ MAI INGIUSTA, quindi non c’è diritto di resistenza, non si può disubbidire allo Stato perché la resistenza e la disubbidienza fanno tornare gli uomini allo Stato di natura (per Hobbes non c’è differenza tra regno legittimo e tirannide) quindi è la politica che trasforma i lupi in uomini civili. Hobbes è il padre del REALISMO POLITICO MODERNO perché fa della politica una scienza applicata finalizzata alla costruzione della sovranità. Per Hobbes il SOVRANO è RAPPRESENTATIVO perché ha il potere di tutti senza aver stretto patti con nessuno, è titolare di un potere indivisibile, incondizionato e irresistibile. Ogni possibilità di separazione dei poteri è esclusa in quanto il sovrano ha il diritto di scegliere i ministri, di dichiarare la guerra, non deve rispondere a nessuno del suo operato, instaura la proprietà privata che non è un diritto naturale ma un’istituzione resa possibile dalla politica. il sovrano è l’UNICO LEGISLATORE, le sue leggi non so legittimate dal contenuto, ma dall’essere prodotte dall’unico che ha il potere di legiferare, è solo attraverso la legge che si realizza l’obiettivo della pace motivo per il quale il Leviatano è stato creato. Il sovrano non è soggetto alle leggi civili che lui crea, la sua è una SOVRANITA’ LEGISLATIVA ASSOLUTA MA NON ARBITRARIA perché è vincolata sempre alla difesa della vita e alla pace dei sudditi. Infatti il Leviatano non può comandare a un cittadino di uccidersi e non può metterlo a morte legalmente a meno che dalla morte di esso non dipende la vita del Leviatano, lo stesso vale per la guerra, i cittadini possono rifiutarsi tranne quando dalla sconfitta dipende la vita le Leviatano. Per Hobbes la LIBERTA’ esiste solo nello stato di natura, la legge è una restrizione della libertà naturale, essenziale per ottenere la pace, l’unica libertà che si ha nello Stato è l’AUTODIFESA. Lui ritiene che obbedire non è credere in quanto la legge e lo Stato si rivolgono solo ai comportamenti esteriori lasciando libera l’interiorità dell’uomo. Con Hobbes e il suo Leviatano nasce la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata. Hobbes vede nell’incomprensione della necessità dell’assolutezza del potere del sovrano e dell’obbedienza che gli è dovuta e nella pretesa del soggetto di avere diritti che precedono lo Stato (libertà) la causa della DISSOLUZIONE DELLO STATO. 26 Hobbes analizza il RAPPORTO TRA TEOLOGIA E POLITICA, lui ritiene che tutte le religioni hanno origine nella superstizione e nell’ignoranza dei fenomeni scientifici. Lo Stato non è un’entità che prescinde dalla religione, egli nasce solo dalla giusta comprensione del comando divino, deve presentarsi infatti come STATO CRISTIANO e la politica laica e razionalistica deve presentarsi come TEOLOGIA POLITICA in quanto di fonda sull’assenza di Dio come fondamento della politica. Hobbes critica il mondo protestante secondo cui i giuristi godono di un rapporto con Dio e la religione cattolica che si rapporta a Dio attraverso la mediazione gerarchica ecclesiastica, in quanto per lui è il sovrano e quindi lo Stato che ha il rapporto diretto con Dio, il sovrano è infatti il vicereggente di Dio sulla terra. Dio regna indirettamente sugli uomini attraverso le LEGGI alle quali bisogna obbedire per rendergli onore e poiché il centro della legge divina e naturale è la pace, l’unico modo per raggiungerla è obbedire al Leviatano. Per lui la terra è in mano agli uomini, pertanto non bisogna credere ai profeti che insegnano al popolo a disubbidire al sovrano perché il vero profeta di Dio è il sovrano. Hobbes pensa a una POLITICIZZAZIONE DELLA RELIGIONE, il controllo dello Stato sulla religione serve a impedire che essa abbia effetti politici conflittuali. La religione è politica divina cioè ricerca del modo migliore di obbedire a Dio, realizzando la pace. Per lui la Chiesa esiste solo per insegnare la parola di Cristo, qualunque atto fuori da questa logica è sbagliato. Locke Mentre l’obiettivo politico di Hobbes era costruire uno stato assoluto che neutralizzi le guerre civili di religione, quello di LOCKE è la RIVOLUZIONE ANTI- ASSOLUTISTICA. Locke costruisce un modello di ordine politico che consente di limitare il potere a beneficio del cittadino e della società, introducendo la ripartizione delle funzioni del potere e il rispetto dei diritti naturali degli uomini, cioè due concetti cardine del LIBERALISMO e COSTITUZIONALISMO MODERNO. I suoi “TRATTATI SUL GOVERNO” (1690) sono il manifesto della gloriosa Rivoluzione del 1689, dell’affermazione del partito Whig, del parlamentarismo e della limitazione del potere regale contro l’assolutismo cattolico degli Stuart, cacciati dal paese da Giacomo II per aver infranto il patto tra il re e il popolo. Il suo obiettivo nel PRIMO TRATTATO SUL GOVERNO è colpire la modernità cattolica di Filmer, estranea al contratto mentre nel SECONDO TRATTATO SUL GOVERNO è quello di rendere le dottrine moderne del contratto (avanzato da Hobbes con esiti assolutistici) adatte a ospitare le libertà individuali e sociali. 27 conservare il proprio essere avendo come fondamento la ricerca del proprio utile. Il suo pensiero politico ha come oggetto d’indagine non le forme di stato ma quelle di LIBERAZIONE perché lui vive nell’Olanda del XVII sec, percorsa dallo sviluppo del capitalismo, teatro di lotte politiche e spirituali. Per Spinoza non esiste potestà superiore a quella del popolo, il popolo (elemento costituente) è superiore all’autorità (elemento costituito). La sua ideologia è che vi è UN’UNICA SOSTANZA E UN’INFINITA’ DI MODI CHE DETERMINA FIGURE SEMPRE NUOVE DELL’ESSERE, ciò fa della sostanza, dell’essere una potenza di esistere e agire di cui l’uomo è un modo. Spinoza rifiuta il dualismo mente-corpo, vede le passioni come qualcosa di insito nell’uomo e identifica la natura dell’uomo nello sforzo che il corpo e la mente fanno per conservare il proprio essere, distingue due classi di affetti: 1. La LETIZIA (conatus assecondato) incremento della potenza individuale; 2. La TRISTEZZA (conatus ostacolato). Vede la schiavitù come l’impotenza umana nel moderare e reprimere gli affetti e la ragione come comprensione razionale degli affetti. Questo rapporto complesso tra affetti e ragione è la filigrana del rapporto tra natura e politica. Gli uomini tendono ad associarsi e comporre un solo corpo, così con il reciproco aiuto possono procurarsi facilmente ciò di cui hanno bisogno. La SUMMAS POTESTAS di Spinoza si basa su un aggregato collettivo di potenze individuali che la costituiscono attraverso un movimento percorso dalla persistenza degli antagonismi naturali e quindi aperto a possibili trasformazioni. Spinoza nota il legame stretto tra TIMORE, SUPERSTIZIONE E MONARCHIA che tiene gli uomini nell’inganno e utilizza la religione per produrre obbedienza e suggezione nelle mosse, quindi come strumento di controllo. Al regime monarchico contrappone la LIBERA COMINITA’ DEMOCRATICA fondata sulla pubblica libertà e sul libero giudizio del singolo. Secondo lui ogni ordine politico non può prescindere dalla condivisione di un “COMUNE ORIZZONTE DI SENSO” prodotto dall’IMMAGINAZIONE da parte di coloro che sono ad essi soggetti. L’immaginazione è l’elemento costitutivo della democrazia. Ritiene che il cristianesimo ha il merito di aver innescato, con l’avvenuta di Cristo, l’universalizzazione e l’interiorizzazione della fede cioè la legge divina vale per tutti gli uomini ed è iscritta nel cuore di ognuno. Per Spinoza la DEMOCRAZIA è l’ordinamento che più avvicina l’uomo alla sua condizione di libertà perché l’individuo aliena il suo potere al corpo sociale di cui è parte. Il potere democratico si fonda sullo spostamento delle potenze individuali in un’unica POTENZA COLLETTIVA, quindi il suo patto si basa 30 sull’immaginazione, la razionalità e le passioni che costringono gli uomini ad unire le forze per raggiungere l’utilità cioè ottenere vantaggi materiali e la liberazione della paura. Per indicare il soggetto della potenza collettiva che determina la sovranità usa il termine MOLTITUDO cioè un corpo politico collettivo la cui forma non è mai definitiva in una rappresentazione. 8)L’ANTICO REGIME E L’ILLUMINISMO. Nella metà del XV sec. (1400) si sviluppa, soprattutto in Francia di Luigi XIV e in Prussia degli Hohenzollern, l’ANTICO REGIME il cui obiettivo era il superamento della frammentazione politica del sistema feudale. Ciò che lo contraddistingue è la concezione organica della società (senza suddivisioni per ceti: nobiltà, clero e Terzo Stato) nella quale il potere esiste per natura e non per contratto e la conseguente assenza di una sovranità rappresentativa della volontà dei consociati nel corpo politico. L’antico regime raggiunge il suo massimo apogeo nel XVII sec. (1600) ma entrerà in crisi verso la metà del ‘700 con la nascita dei Lumi e con la produzione industriale. 31 L’assolutismo in Francia Data centrale dell’Antico Regime è il 1624, quando sotto il regno di Luigi XIII, il CARDINALE RICHELIEU entra a far parte del consiglio superiore (organo del consiglio della monarchia) e inizia un processo di centralizzazione e assolutizzazione dello Stato, che sarà continuato con Luigi XIV, infatti egli nelle sue LEGGI FONDAMENTALI DEL REGNO rafforzò il proprio potere attraverso la creazione di un esercito permanente, delle Corti di Giustizia regie e del controllo monarchico sulla Chiesa di Stato. I Parlamenti Il sistema francese dell’antico regime era così organizzato: • Il RE: il cui potere era assoluto e indipendente da ogni altra autorità; • Gli ORGANI DI CONSIGLIO (stati generali, parlamento): avevano il potere solo su delega del re. I parlamentari avevano il diritto di RIMOSTRANZA cioè il diritto di veto sulle decisioni del re e il diritto di REGISTRAZIONE secondo il quale ogni atto regale aveva vigore solo se registrato dal Parlamento. Le loro decisioni erano revocabili da un atto del consiglio del re (organo supremo di giustizia). Questo intreccio di potere legislativo ed esecutivo portava i Parlamenti a fungere da contropotere della monarchia. Per questo nel XVII sec. furono istituite le figure degli intendenti di giustizia di politica e di finanza, si tratta di dipendenti del re al fine di controllare il potere dei Parlamenti. In risposta a ciò i Parlamenti organizzarono nel 1648 un periodo di FRONDA PARLAMENTARE atta a far valere i propri diritti, che durò sino a quando non salì al potere Luigi XIV. Solo dopo la sua morte i Parlamenti riacquistarono un ruolo centrale nella gestione dello Stato (1715). Bossuet BOSSUET è un teorico dell’ASSOLUTISMO MONARCHICO per diritto divino del re. Ritiene che la monarchia francese è stata istituita per volontà divina al fine di conservare l’eredità romana carolingia e realizzare la volontà di Dio. La MONARCHIA è la migliore forma di governo perché rappresenta il governo di Dio sugli uomini. Il Liberalismo Nobiliare 32 loro politica c’è il riconoscimento dei DIRITTI NATURALI E INNATI e l’esistenza di uno STATO INIZIALE DI NATURA superato con la stipulazione di un contratto sociale tra individui. È il contratto che sancisce l’obbligazione politica nelle forme dello stato. Il diritto naturale vuole essere la fonte di legittimazione per l’ordine politico e non può fare a meno della politica per essere fattuale. Grozio GROZIO pone il DIRITTO NATURALE come fondamento del diritto riconosciuto valido tra gli uomini. Ritiene che gli uomini sono naturalmente socievoli e che attraverso il CONTRATTO RAZIONALE danno origine all’associazione politica fondata sul riconoscimento di un diritto comune il cui rispetto è garantito dalla presenza di un sovrano a cui i consociati hanno delegato la sovranità. Il suo obiettivo è fondare la validità del diritto naturale anche in assenza di Dio. Il diritto naturale non basta a garantire il rispetto delle norme infatti istituisce il DIRITTO VOLONTARIO prodotto dalla volontà del sovrano che assume la forma della legge. L’età dei Lumi L’ILLUMINISMO è l’uscita dell’uomo della condizione di minorità, è il rischiarare con il LUME DELLA RAGIONE dalle tenebre dell’ignoranza. Data di inizio è il 1680, anno di apogeo (punto più alto) dell’assolutismo di Luigi XIV e del dominio francese in Europa in cui risulta evidente la crisi della civiltà che sfocerà nella Rivoluzione Francese. Gli Illuministi ritengono che bisogna reinterpretare tutti i concetti-chiave della tradizione alla luce della RAGIONE. Per loro l’uomo conosce il mondo ed elabora la realtà senza dipendere da un modello, da leggi trascendentali, attraverso la ragione infatti la sua mente è una tabula rasa, non ci sono idee innate, così, superato il concetto della natura come creazione di Dio, nasce la necessità di ridare all’uomo cartesiano (armato solo della ragione) di un posto riconoscibile nell’universo. Vi è l’IDEOLOGIA DEL PROGRESSO cioè il percorso da compiere verso la via della ragione affinché trionfi sulle tenebre del male. I tre precetti dell’Illuminismo sono: fiducia nella ragione, ottimismo verso il futuro, sentimenti di umanitarismo. I PHILOSOPHES, gli intellettuali moderni, prendono il posto dei chierici medievali, diventando custodi dei valori soprattutto quella della LIBERTA’ UNIVERSALE DELL’INDIVIDUO (si sviluppa l’UNIVERSALISMO cioè l’uguaglianza di tutti gli uomini che porterà la nascita della civitalizzazione). I Philosophes sono un gruppo sociale libero da ogni influenza il cui scopo è influenzare il potere politico e la società. Così nasce la sfera dell’OPINIONE PUBBLICA, luogo di discussione delle idee nei saloni, caffè. 35 Gli Illuministi CRITICANO L’ASSOLUTISMO DELL’ANTICO REGIME per la sua struttura gerarchica improntata sul modello feudale che non garantisce stabilità. Lo scopo degli Illuministi è individuare un potere unico, stabile, si passa dallo Stato Assoluto a un NUOVO REGIME CHE AFFIANCA AL POTERE DEL SOVRANO VARIE FORME ECONOMICHE, POLITICHE E INTELLETTUALI, perché la politica non è più appannaggio del governo ma della società. Lo Stato a cui pensano gli Illuministi è fondato sui principi di libertà e di uguaglianza. Gli Illuministi si dovettero confrontare con la monarchia. Si palesò l’impossibilità di conciliare i dettami della Ragion di Stato con un’idea di politica fondata sulla potenza. La polemica illuminista verte contro tutte le religioni confessionali che impongono dogmi ai propri credenti, oscurandone la ragione. Si sviluppa il DEISMO che rifiuta quello che delle scritture non è razionalmente comprensibile. Unico vero credo è la religione naturale cioè una religione priva di dogmi, prevede un essere supremo che non interviene nelle vicende umane, creatore del mondo e ispiratore degli uomini di una ragione e morale comune. Gli Illuministi cercavano di fondare una nuova ETICA LAICA per i nuovi ceti borghesi. L’Illuminismo Francese Il movimento francese fu quello guida dell’Illuminismo. Al suo interno ci furono due posizioni: i PHILOSOPHIQUES e il gruppo dell’ENCYCLOPEDIE di DIDEROT e D’ALAMBERT. L’Enciclopedia (1751) fu fondamentale per la costruzione dei Lumièrs, l’obiettivo era porre il sapere a disposizione del maggior numero di persone. Diderot DIDEROT afferma che il fondamento del potere di un re è il contratto stipulato per l’utile della società. È essenziale il CONSENSO come base del potere politico, perché gli uomini si uniscono nella società per sviluppare la felicità e i sovrani sono stati scelti per consentire la conservazione della felicità. Promuove il tema della RAPPRESENTANZA dei cittadini nel governo infatti egli promuove una MONARCHIA COSTITUZIONALE secondo cui i cittadini hanno il diritto di partecipare alla politica mediante i loro rappresentanti. Riconobbe come unico SOVRANO il POPOLO e il suo diritto a condannare il sovrano che va contro la volontà generale. 36 Voltaire VOLTAIRE è il capo dei Philosophes, è un rivendicatore della TOLLERANZA attraverso la quale egli affronta temi come la nazione, la storia e l’economia. Ritroviamo un REALISMO POLITICO cioè ogni Stato deve avere la forma di governo che meglio rispetta i costumi e lo spirito della nazione. Lo Stato è per Voltaire l’ordine politico fondato sulla libertà della legge che è la base dell’uguaglianza fra tutti i cittadini. La storia intesa come STORIA UNIVERSALE è letta secondo un ordine secolarizzato, profano e laico ponendo maggiore attenzione ai rapporti economici. Illuminismo Scozzese A partire dal 1720 emerse in Scozia una cultura laica, moderata e tollerante che portò alla nascita dell’ILLUMINISMO SCOZZESE cioè un nuovo modo di pensare al rapporto tra etica, economia e politica che determina la nascita dell’ECONOMIA POLITICA. Hume Secondo HUME alla base dell’ordine politico e sociale non c’è un contratto ma un’evoluzione umana ossia il processo naturale che determina, attraverso la storia e le regole di comportamento, le fondamenta dell’ordine legale ed economico della società. Per Hume l’uomo di natura non è egoista ma è caratterizzato da SOCIEVOLEZZA verso gli altri e SIMPATIA. Dunque egli identifica l’uomo sociale con l’uomo di natura ed è nella società che vengono educati gli istinti della natura umana. La simpatia e la socievolezza risultano deboli per garantire un ordine pacifico e si ha la necessità di un governo che tuteli soprattutto la PROPRIETA’. Il consorzio politico non nasce dal contratto ma è un miglioramento di ciò che è in natura in quanto si passa da virtù naturali e istintive ad un insieme di virtù civili che permettono di vivere in una comunità pacifica. Smith ADAM SMITH riprende il concetto di Hume di simpatia al quale affianca quello di PROPRIETA’ che definisce il rapporto di adeguatezza o inadeguatezza tra l’affezione provocata da un soggetto e l’oggetto che la causa. Smith riconosce la “NATURALITA’ DELLA SOCIETA’” in quanto è manifestazione della specificità umana. Accanto alla proprietà affianca la PRUDENZA cioè la virtù morale che sta a 37 “DISCORSO SULLE SCIENZE E SULLE ARTI” pone in antitesi la natura e la civiltà, confronta il mondo delle città-stato greche o romane caratterizzate da virtù con il MONDO CIVILIZZATO caratterizzato dal lusso e ricchezza che genera corruzione e disuguaglianza. Per spiegare l’origine delle disuguaglianze degli uomini ricostruisce la storia dell’umanità partendo da uno Stato di Natura che non è la base naturale su cui sorge lo Stato, come ritengono i giusnaturalisti, cioè la condizione di indipendenza degli uomini che attraverso un contratto alienano il diritto di comandare all’autorità politica, costruendo così l’istituzione del governo civile. Per lui i giusnaturalisti hanno proiettato nello Stato di Natura le istituzioni e i modi di pensare agli uomini primitivi, ritiene che essi non hanno distinto gli impulsi primitivi con le passioni fattizie che sono prodotte dall’incivilimento e non hanno considerato lo Stato di Natura come una condizione di dispersione e isolamento. Infatti Rousseau parte dall’idea dell’UOMO NATURALE ISOLATO che vive senza contatti con i suoi simili, senza riconoscere l’appartenenza alla stessa specie, è un uomo libero in quanto non sottomesso a nessuno e indipendente dalle istituzioni, è un essere amorale dotato di istinto primordiale all’autoconservazione, capacità di condividere le sofferenze dei propri simili e dotato di LIBERTA’ DI VOLERE cioè la capacità di concorrere alle proprie scelte. Passando dallo Stato di Natura allo Stato Civile, il diritto naturale si modifica insieme all’evoluzione dell’umanità, ciò che nello Stato d Natura era istinto e bontà, nello Stato Civile diventa giustizia e ragione. Ad ogni stadio dell’evoluzione corrisponde un perfezionamento dell’uomo non dipese dalla fatalità o dalla provvidenza divina ma dalla sua perfettibilità che rende gli uomini capaci di evolversi, ma anche di corrompersi. Secondo Rousseau ci sono state DUE RIVOLUZIONI nella storia umana: la prima si è compiuta nello Stato di Natura e ha portato alla nascita della FAMIGLIA; la seconda è stata la divisione del lavoro che ha segnato l’avvento della PROPRIETA’ PRIVATA in quanto alla coltivazione delle terre è seguita la spartizione e l’impossessamento che è culminata con il processo di accumulazione delle ricchezze sociali. Quindi lo stato di guerra non coincide con le società primitive delle origini ma con la società, umanità civilizzata. All’origine delle relazioni sociali e della società civile non vi è il contratto, ma gli uomini hanno dovuto abbandonare il loro isolamento iniziale e la società da essi creata è ingiusta e piena di inimicizie, quindi per evitare la guerra di tutti contro tutti hanno dovuto stringere convenzioni e sottomettersi a una sovranità comune. Questo patto di unione giustifica l’azione di rapine praticate dai ricchi verso i poveri ed è all’origine dell’istituzione di sorpruso e sfruttamento che è lo stato, il quale ha incrementato il processo di decadimento attraverso la fondazione della legge e del diritto di proprietà, l’istituzione della 40 magistratura e la trasformazione del potere legislativo in potere arbitrario producendo così il dispotismo e la schiavitù politica. Per Rousseau la sovranità appartiene al popolo, alla totalità dei cittadini, considerati come un corpo solo. La SOVRANITA’ NON è RAPPRESENTABILE e istituzionabile, non si può alienare a un’istituzione sovrana, è per questo che gli uomini devono creare UNA FORMA DI ASSOCIAZIONE, un patto sociale. Ogni individuo deve cedere nel PATTO SOCIALE i propri diritti presociali alla comunità. La persona pubblica che si crea dal patto è la Repubblica o il corpo politico. Obbedire alla volontà generale significa obbedire a sé stessi, quindi è una forma di autogoverno e autogestione e l’alienazione dei diritti naturali implica la loro trasformazione in diritti civili. Dopo il patto ognuno resta libero, come nello Stato di Natura senza rinunciare ai propri diritti inalienabili come la libertà, l’uguaglianza, la sicurezza, si è eliminata la possibilità che un consociato diventi vittima del dominio di un altro. Quindi il patto sociale permette all’uomo di ritornare ad essere protagonisti della propria vita e riprendere la libertà di persa con il primo patto. L’unico fondamento di uno Stato basato su un patto di equità è la volontà generale che coincide con l’interesse comune e quindi giusta perché tende sempre all’uguaglianza, che è diversa dalla volontà di tutti che è la somma degli interessi individuali e che genera privilegi. Il contratto di Rousseau è un PATTO DI ASSOCIAZIONE e non si sottomissione, in quanto non implica l’alienazione parziale o totale della propria libertà a un terzo nato dal patto, come accade con il Leviatano, ma è un patto di unione orizzontale finalizzato alla DISALIENAZIONE DELL’UOMO cioè alla sua liberazione perché non genera un’istituzione sovrana ma una COMUNITA’. Questo contratto non serve ad uscire dallo Stato di Natura ma a correggere il corso corrotto della storia, egli vuole offrire all’uomo l’integrità che la storia gli ha tolto. Secondo Rousseau qualunque sia la forma di governo la Costituzione dello Stato deve essere DEMOCRATICA E REPUBBLICANA, essendo che la sovranità appartiene al popolo e che questa non è rappresentativa, la volontà del Parlamento si configura come una volontà particolare in quanto i deputati eletti non sono altro che COMMISSARI e non rappresentanti. A loro spetta la proposta di legge, mentre al popolo spetta il diritto di ratificarle o di respingerle. Per questo Rousseau introduce la figura del LEGISLATORE che propone al popolo la costituzione formale. Egli si limita solo ad agevolare l’espressione della volontà generale, quindi il popolo non tiene sempre la libertà di accettare o meno la proposta del legislatore. Rousseau distingue: 41 • La SOVRANITA’: cui spetta l’emanazione delle leggi; • Il GOVERNO: spetta l’esecuzione delle leggi, è il ministro del popolo che non deriva da un patto ma dalla legge. Rousseau individua tre possibili forme di governo: • DEMOCRAZIA: forma di autogoverno popolare in cui il legislativo e l’esecutivo tendono a coincidere, è irrealizzabile fino in fondo perché necessita della presenza simultanea di uno stato composto da dimensioni limitate, uomini virtuosi e uguaglianza economica. È adatta a stati piccoli; • MONARCHIA: in cui il governo è a capo di uno solo. È adatto a stati grandi; • ARISTOCRAZIA: in cui il governo è a capo di una minoranza. È adatta a stati medi. Rousseau attribuisce grande valore alla RELIGIONE CIVILE posta sotto il controllo dello Stato in quanto garantisce che gli impegni morali assunti col patto siano mantenuti e quindi garantisce la solidità dello Stato. La Rivoluzione Francese Prima della Rivoluzione, l’assolutismo monarchico poggia ancora sulla società divisa per ceti: clero, nobiltà e terzo stato, in cui la corona non è in grado di gestire gli squilibri di queste società e le cattive pratiche di governo. La RIVOLUZIONE FRANCESE è una Rivoluzione CONTRO L’ANCIEN REGIME e CONTRO LA SOVRANITA’ DEL RE per affermare quella del popolo. Essa è il tentativo di realizzare i presupposti del RAZIONALISMO POLITICO cioè di fare della politica una costruzione razionale, basata sulla ragione, un es. sono le Dichiarazioni dell’uomo e la Costituzione. Però la stessa Rivoluzione ha prodotto il superamento del razionalismo politico perché l’azione rivoluzionaria non si svolge attraverso il singolo ma attraverso il popolo o la nazione. Il popolo combatte i propri nemici dentro e fuori le frontiere e questi aspetti contrastano con quelli del razionalismo politico cioè la costruzione rappresentativa dell’ordine politico e l’esclusione del conflitto della politica interna. Quindi la rivoluzione è contraddittoria. La rivoluzione mira all’affermazione dei principi di LIBERTA’, UGUAGLIANZA e FRATELLANZA, questi principi universalistici porteranno allo sviluppo del NAZIONALISMO. La rivoluzione pur andando contro l’alleanza tra il trono e l’altare cioè contro la legittimazione religiosa della politica assolutistica, ripropone la salvezza tipica della religione. 42 Il senso dell’Illuminismo è portare la ragione dove non c’è che riesca a colmare la mancanza di libertà dovuta ai pregiudizi e false credenze. Per lui la vera risoluzione non è politica ma è nella mente della gente. Kant distingue: • USO PUBBLICO DELLA RAGIONE: quello che una persona fa in qualità di libero cittadino (piena libertà); • USO PRIVATO DELLA RAGIONE: quello che una persona fa nell’esercizio specifico di determinate funzioni (obbligo e obbedienza) Kant è illuminista e liberale, ha una propria idea di libertà e felicità che è individuale, nella quale nessuno può interferire. L’etica Kantiana nasce da un presupposto: la realtà che noi vediamo è effettivamente così com’è? Per lui esiste: • Il FENOMENO: quello che noi vediamo, l’uomo fenomenico è considerato come l’uomo naturale; • Il NOUMENO: è la realtà in sé, l’uomo noumeno ha in sé la capacità di pensare a sé stesso come essere libero. La MORALE KANTIANA si basa sulla perfetta coincidenza tra libertà assoluta e dovere incondizionato che trovano espressione nell’IMPERATIVO CATEGORICO. La morale è una regola universale che ha origine nella ragione e non deriva dall’esperienza, il dovere si configura come la forma imperativa della legge morale. Il soggetto morale, con la sua volontà libera, è orientato al dovere e non alla felicità. In quanto neumenici ed esseri morali, gli uomini sono liberi e indipendenti, ma essendoci anche la componente fenomenica, cioè la dimensione empirica dell’esistenza, che organizza la convivenza delle diverse individualità, l’uomo appartiene a due mondi: oltre ad ESSERE RAZIONALE è anche un ESSERE SENSIBILE e determinato da inclinazioni naturali. L’uomo deve agire nel realizzare nella realtà l’IDEA MORALE DI LIBERTA’ cioè trasformare la politica da amorale a un regno del diritto che rispetta la destinazione morale dell’umanità. Ciò significa che il potere deve essere sottomesso al DIRITTO che regola la convivenza degli individui. Il diritto funge da ponte tra politica e libertà, tra individui esteriormente liberi, in quanto sottomessi al comando della legge e individui interiormente liberi in quanto aderenti all’imperativo categorico. LA POLITICA DEVE SVOLGERSI SECONDO RAGIONE sia pratica (morale) e sia politica (diritto). Lo Stato organizza però la libertà esteriore, giuridica e fenomenica e non quella interiore, morale e noumenica. Lo Stato di Natura corrisponde all’orizzonte del diritto privato, ma in esso manca un’autorità legittima che risolve le controversie in maniera giuridicamente vincolante quindi è necessario superare lo Stato di Natura 45 con la ragione. Ciò coincide con l’affermazione di una VOLONTA’ GENERALE il cui esercizio del potere è legittimato dalla legge, così si entra nello STATO CIVILE, STATO DI DIRITTO in cui la decisione del diritto è affidata al potere pubblico. Kant ricorre al CONTRATTO ORIGINARIO che stabilisce una costituzione universalmente giuridica tra gli uomini che hanno deciso di uscire dallo Stato di Natura e determina l’unione delle volontà private nella volontà pubblica che si esprime attraverso la RAPPRESENTANZA che consiste nella costruzione di un potere pubblico per contratto, nel quale la legge è frutto della volontà razionale del sovrano, riconosciuta come giusta e come propria dai cittadini che non hanno il diritto di resistenza e di disobbedienza, a loro è concesso di criticare il sovrano attraverso la LIBERTA’ DELLA PENNA cioè attraverso un’espressione pubblica del motivato dissenso. Per Kant lo Stato deve garantire la LIBERTA’ di ogni membro della società, critica infatti l’imperium paternale cioè il governo paterno che ratta di sudditi come figli minorenni incapaci di decidere, deve garantire l’UGUAGLIANZA di ogni membro davanti la legge e offrire a ogni individuo l’opportunità di godere della propria INDIPENDENZA economica, della propria PROPRIETA’. Per lui la proprietà permette agli uomini di essere liberi e autonomi dagli altri, solo il proprietario è il vero cittadino che partecipa alla vita politica. Kant accoglie il principio della SEPARAZIONE DEI POTERI, distingue tre forme di Stato (monarchia, aristocrazia e democrazia) e le forme di governo (quella repubblicana e quella dispotica). Per lui il regime ideale è quello repubblicano perché si fonda sulla separazione dei poteri, mentre critica la democrazia in cui ognuno vuole essere signore e ciò rende impossibile il sistema rappresentativo, degenera quindi in dispotismo. Kant critica la Rivoluzione per gli aspetti violenti ma la sostiene per l’innovazione egualitaria e razionalistica che ha portato. Considera la guerra un mezzo distruttivo della cultura, la pace perpetua è il frutto di una libera federazione tra gli Stati che rinunciano a farsi guerra tra di loro. Infatti propone un DIRITTO COSMOPOLITICO cioè un diritto universale, né degli Stati, né dei popoli ma delle singole persone. Per lui la politica è un agire libero, comune e pubblico. 46 10) L’OTTOCENTO E LA DIALETTICA. Oltre al versante razionalistico di Hobbes, Locke e Rousseau e al versante dell’empirismo scozzese di Hume e Smith si impone il versante DIALETTICO di FICHTE, HEGEL E MARX. Il pensiero dialettico trae le sue origini delle contraddizioni del pensiero razionalistico, soprattutto quella tra la libertà individuale e la necessità dell’ordine politico. E’ impossibile, all’interno del razionalismo, conciliare la piena libertà dell’individuo interiore con l’ordine politico. La dialettica critica il razionalismo e l’illuminismo per la loro astrattezza che ne causa il fallimento ritiene che bisogna reinterpretare queste contraddizioni verso una maggiore CONCRETEZZA. Fichte In lui il dovere morale kantiano diviene un principio di azione politica e propulsore di una storia concepita come affermazione della libertà. FICHTE sostiene una CONCEZIONE CONTRATTUALISTICA E ANTIDISPOTICA DELLO STATO. La libertà è difesa attraverso la distinzione di diritti alienabili e inalienabili. Vuole mostrare la LEGITTIMITA’ DELLA RIVOLUZIONE che deriva dal diritto inalienabile degli uomini a modificare la propria volontà, la costituzione di uno Stato. La legge positiva è obbligatoria solo perché gli uomini se la impongono. Lo Stato è lo strumento per affermare la volontà libera degli uomini ed è un sistema coercitivo solo esteriore, uno strumento per fini superiori come quello di realizzare una società di esseri liberi e razionali. Per realizzare questo scopo è necessaria la mobilitazione dei DOTTI cioè maestri ed educatori del genere umano. E’ forte in lui la tensione tra ESIGENZA DI ORDINE E LIBERTA’ cioè l’esigenza di uscire dalla logica della politica come coercizione con l’uso della morale e il riconoscimento della necessaria supremazia della legge generale. Primo tentativo di conciliare queste tendenze è la distinzione di QUATTRO CERCHIE CONCENTRICHE, dalla più ampia esterna cioè la COSCIENZA, la legge morale alla più piccola interna cioè il CONTRASTO STATALE che fa nascere lo Stato e l’uomo diventa cittadino. L’ingresso nello Stato, più che frutto della libera volontà, è un atto necessario per salvaguardare i “DIRITTI ORIGINARI” ma anche se egli parla di diritti originari 47 11)L’ORDINE DOPO LA RIVOLUZIONE. La cultura europea degli anni della Restaurazione voleva rimediare alla rottura rivoluzionaria. La prima strategia controrivoluzionaria è individuare un principio di stabilità del potere politico che ne fornisca basi immutabili, cioè la TRADIZIONE capace di ristabilire un ordine gerarchico basato sulla fedeltà dei sudditi al sovrano e nella religione. La seconda strategia è raffreddare i radicalismi della rivoluzione attraverso un LIBERISMO MODERATO che bilanci la sovranità del re con un limitato principio rappresentativo, garantito dalla Costituzione. I CONTRORIVOLUZIONARI ritengono che la rivoluzione ha un carattere distruttivo e che la stabilità va cercata nei processi di lunga durata. Burke La riflessione sulla Rivoluzione Francese di BURKE è la prima opera della letteratura controrivoluzionaria. La Rivoluzione Francese è considerata come evento INNATURALE E DISTRUTTIVO, a differenza della Rivoluzione Inglese (1688) che si è limitata a ripristinare la tradizione costituzionale, quella francese ha cercato di fare TABULA RASA DEL PASSATO e di ricostruire dal nulla un nuovo ordine basato su principi logici astratti e privi di spessore storico. Per Burke non è la ragione astratta a governare la vita associata degli uomini, ma lo SCORRERE DELLE GENERAZIONI legate tra loro da un contratto originario. Per lui l’uguaglianza morale dell’umanità poggia non sui diritti naturali dell’uomo, ma sulle virtù dei singoli. Dunque il pensiero controrivoluzionario dissocia la natura della ragione e l’associa alla storia e alle sue caratteristiche. I Controrivoluzionari Cattolici I CONTRORIVOLUZIONARI CATTOLICI contestano il pensiero illuminista e rivoluzionario. Per loro DIO E’ IL FONDAMENTO ULTIMO DELLA POLITICA, che abbandona l’ordine politico alle leggi della natura, questo nega la possibilità di costruire la politica e la libertà su elementi razionali. Il potere unico è indivisibile, non vi è nessuna possibilità di intervento autonomo da parte degli uomini. Dunque è inutile cercare di sostituire gli uomini e Dio per legittimare la politica perché così facendo si produce disordine. Il sovrano agisce per mandato di Dio come ministro per la stabilità dell’ordine. Importante a dare stabilità alla società è la religione. 50 Maistre MAISTRE sostiene che la RAGIONE INDIVIDUALE E’ IMPOTENTE capace cioè di produrre solo opinioni divergenti. Egli afferma che ci deve essere una RELIGIONE NAZIONALE cioè POLITICA, resa obbligatoria dal sovrano per favorire la coesione interna. Fondamento della politica non è l’uomo ma Dio, la provvidenza esige che l’uomo sia capace di governare e che la sovranità sia fondata sul sacrificio e sulla punizione, più che sulla razionalità. In quest’ottica effettua un elogio al boia e alla guerra. La Rivoluzione Francese è la manifestazione dell’impossibilità dell’uomo di essere artefice della storia attraverso la ragione. I rivoluzionari non potrebbero sovvertire con le loro forze l’ordine prodotto da Dio, quindi la rivoluzione è opera di Satana. Liberalismo e Positivismo in Francia Il LIBERISMO CONTRORIVOLUZIONARIO pone l’accento sul fatto che i pericoli per la libertà possono derivare dalle leggi che dovrebbero garantirla, quindi libertà e democrazia possono essere in contraddizione. Costant Secondo COSTANT il DISPOTISMO può esercitarsi attraverso la legge e l’autorità legittima dello Stato, quindi l’autentica libertà si colloca al di fuori della legge. Lui effettua un RIPENSAMENTO DELLA RIVOLUZIONE, se da un lato valorizza principi, dall’altro vede nel terrore un sistema fondato sulla tirannia. Ritiene che il primato della SOVRANITA’ POPOLARE come fondamento dell’ordine politico, non può più essere rimesso in discussione e che l’errore della rivoluzione sta nel trasformare questo primato in una forma di sovranità illimitata, per questo la sovranità popolare deve essere limitata e strutturata in forme costituzionali. La sovranità popolare è ammissibile come supremazia della volontà generale sulle altre volontà. Emerge così la preoccupazione liberale di tutelare l’individuo e la società dal dominio della ragione politica. Il potere va limitato da altri poteri, suddividendo la sovranità in un SISTEMA DI PESI E CONTROPESI ISTITUZIONALI. A questo scopo Costant delinea un modello di società dove è possibile il PIENO ESERCIZIO DEI DIRITTI INDIVIDUALI e che sia in grado di difendersi dagli abusi dello stato. Pertanto organizza la sovranità in senso costituzionale distinguendo CINQUE POTERI: 1. POTERE NEUTRO DEL MONARCA: che fa in modo che la sovranità di basi sulla volontà generale e mantiene gli altri poteri nella legittimità; 51 2. POTERE ESECUTIVO DEI MINISTRI; 3. POTERE RAPPRESENTATIVO DUREVOLE; 4. POTERE RAPPRESENTATIVO DELL’OPINIONE; 5. POTERE GIUDIZIARIO. La PROPRIETA’ è un pilastro della politica e ciò spinge Costant a escludere gli indigenti dal godimento dei diritti politici, solo la proprietà rende gli uomini capaci di esercitare poteri politici. Lui non concepisce la proprietà come qualcosa di preesistente alla società, essa esiste perché è frutto della convivenza sociale. Saint-Simon L’esigenza di trovare una risposta alla crisi dell’ordine politico innescata dal disordine del periodo rivoluzionario, porta a individuare un modello alternativo al liberalismo, cioè il POSITIVISMO di cui SAINT-SIMON è il profeta. Si tratta di costituire la “FELICITA’ SOCIALE” per mezzo della politica, della morale e della filosofia individuando la garanzia nell’INDUSTRIA. La società industriale è dotata del PRINCIPIO POSITIVO DI AZIONE cioè la produzione di beni in cui la società lacerata trova organizzazione. La filosofia positiva è in grado di individuare le vere leggi della società. La politica va organizzata sulla base delle opinioni di intellettuali e scienziati. Questa prospettiva ha come scopo accrescere la RICCHEZZA NAZIONALE MEDIANTE LA PRODUZIONE e trova fondamento nella cooperazione sociale. Per Saint-Simon il problema sociale è il conflitto tra ceti produttivi e non. Propone l’amore del prossimo come nuova religione. Comte Il sistema della società industriale è destinato a poggiare sulla CONCILIAZIONE TRA ORDINE E PROGRESSO. Secondo COMTE ciascuna società segue tre tappe: 1. STADIO TEOLOGICO: l’uomo per spiegare quello che accade fa riferimento alla divinità, l’uomo passa dalla natura alla cultura, 2. STADIO METAFORICO: si spiegano le cose con le entità astratte del pensiero filosofico, 52 ostacoli alla libertà economica perché ogni minaccia alla sicurezza della proprietà o al mercato è una minaccia al bene pubblico. 12)SOCIETA’ E NAZIONE. Nel 1832 la parola PROLETARIATO riguarda la professione di coloro che vivono del loro lavoro privi di diritti politici, così si afferma la QUESTIONE SOCIALE, la miseria adesso riguarda i lavoratori dai quali dipende parte della ricchezza del mondo industriale, la CLASSE OPERAIA diventa una minaccia per l’ordine. STEIN dice 55 che i proletari si differenziano dai poveri perché anche se non dispongono di proprietà hanno la forza lavoro da usare per guadagnarsi il sostentamento, quindi è necessario edificare una scienza della società che favorisca l’inserimento del proletariato nell’ordine sociale, privandolo dei caratteri minacciosi. Lui propone come modello la MONARCHIA SOCIALE. Marx MARX dedicò la sua vita all’analisi e alla crisi del modo di produzione capitalistico. Egli introduce il concetto di CLASSE, asserisce che la società moderna non è basata sull’egoismo privato, ma è percorsa dall’ANTAGONISMO SOCIALE TRA CLASSI cioè tra borghesi e proletari, quindi la società è teatro di questo scontro. Marx inizia a indagare non più sulla politica ma anche sull’economia, definita come mezzo che permette di capire chi ha il potere in un momento storico. Lui ritiene che l’emancipazione politica non porta ad un’emancipazione umana, che quindi lo Stato può essere libero senza che l’uomo sia libero. Lui ritiene che l’ALIENAZIONE è economia e che dipende dalla condizione di miseria, è convinto che nella moderna società capitalistica si sarebbe dovuta formare una nuova classe cioè il PROLETARIATO, simbolo della società sofferente e alienata, che sarebbe stata in grado di effettuare una RIVOLUZIONE che abolisce il dominio delle classi e dissolvendole, promuovendo così l’emancipazione umana e liberando l’uomo dalle catene. Ciò porta Marx a ritenere che la SOCIETA’ COMUNISTA è l’unica che consente lo sviluppo libero degli individui perché il comunismo è un movimento reale che punta all’abolizione della PROPRIETA’ PRIVATA che consentiva alla borghesia di appropriarsi del lavoro altrui, quindi nega l’alienazione e consente l’appropriazione da parte dell’uomo di sé stesso. Marx concepisce la STORIA come una perenne lotta di classi, alla base della storia c’è il lavoro. Lui distingue tra FORZE PRODUTTIVE che sono gli elementi necessari al processo di produzione e i RAPPORTI PRODUTTIVI che sono i rapporti che si stabilirono tra gli uomini durante il processo di produzione. L’insieme dei rapporti di produzione costituisce la STRUTTURA cioè la base economica della società sulla quale si erge una SOVRASTRUTTURA cioè le idee, il diritto che secondo il materialismo storico è il riflesso della base economica della società, quindi cambiando essa, cambia la sovrastruttura. La storia è il frutto dell’interazione tra la struttura e la sovrastruttura. Nelle sue opere emerge il concetto di IDEOLOGIA la cui funzione è quella di legittimare i rapporti di dominio che caratterizzano lo stato di cose presenti, ritiene che le idee sono della classe dominante, cioè della borghesia. L’ opera “IL MANIFESTO DEL PARTITO COMUNISTA” è scritta nel 1848 (alla rivoluzione e il massacro degli operai nel 1848), in quest’opera in primo luogo critica 56 il socialismo dei movimenti rivoluzionari contemporanei che si basa sulla nostalgia delle condizioni dei lavoratori in epoca pre-capitalistica, in quanto nessuna nostalgia si profila nel comunismo, la cui rivoluzione è esito della lotta tra borghesia e proletariato, in secondo luogo critica il socialismo utopistico, perché seppur abbiano difeso gli interessi degli operai, essi sono accusati di aver privilegiato il capitalismo anziché porre al centro dell’attenzione l’azione storica del proletariato e il suo movimento politico. Il Manifesto è frutto della convinzione di un’imminente crisi del capitalismo, grazie a cui si sarebbe determinata una situazione favorevole alla PRESA DI POTERE DEL PROLETARIATO (dittatura) superato con l’abolizione delle classi sociali, una riorganizzazione dello Stato che porterà al vero comunismo. Tutto ciò portò Marx ad abbandonare l’impegno politico e a dedicarsi all’economia politica. L’obiettivo del “CAPITALE” è avviare una comprensione dei processi di produzione capitalistici. Marx definisce la società capitalistico- borghese come una raccolta di merci. La merce possiede un VALORE D’USO cioè l’utilità del bene per soddisfare un bisogno e un VALORE DI SCAMBIO cioè la quantità necessaria di lavoro umano in esso contenuto che si oggettivizza ed è espresso attraverso il prezzo in denaro. Lui ritiene che alla base di questo tipo di produzione c’è lo SFRUTTAMENTO DELLA FORZA LAVORO dell’operaio, da un’aspirazione al profitto che dipende dal PLUSVALORE che è il profitto che il capitalista guadagna dal PLUSLAVORO cioè dal lavoro in più che fa l’operaio senza essere retribuito, cioè porterà a una lotta di classi, alla guerra del proletariato che porterà alla proprietà collettiva dei mezzi di produzione e alla distribuzione della ricchezza in proporzione al lavoro. Tocqueville Nel pensiero di TOCQUEVILLE sulla repressione del moto operaio del 1818 possiamo scorgere un elemento di trasformazione del paradigma liberale e, in quanto nascevano nuovi pericoli dati dagli stati inferiori e dai loro movimenti politici, i liberali si sono opposti all’allargamento del suffragio. Tocqueville studiò in America e descrisse la DEMOCRAZIA vista, non più come un regime applicabile solo nelle repubbliche di piccole dimensioni e non più come una forma di governo, ma come insieme di dinamiche politiche fondate su uno stato sociale, cioè sull’UGUAGLIANZA DELLE CONDIZIONI che non è un livellamento della ricchezza ma il venir meno dei ceti sociali, infatti nella democrazia americana c’è NOBILTA’ SOCIALE, tutti i cittadini diventano protagonisti della società. Le minacce alla libertà di questo regime esistono in quanto è possibile cadere nella mediocrità e nel conformismo ciò che lui chiama LIVELLAMENTO CULTURALE. In questo clima di uguaglianza, ognuno pensa a sé stesso ed è indifferente al destino della collettività, ciò può creare una sorta di DISPOTISMO 57 13)LA CRISI DELL’ORDINE POLITICO MODERNO. Verso la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 entra in crisi il modello di stato liberale, messo alla prova dall’avanzare della democrazia di massa e dalle contraddizioni di classe, c’è una crisi del soggetto e della razionalità che porta a una svolta nichilista. L’irruzione nella politica delle masse organizzate in partiti segna il tramonto del legame ottocentesco tra Stato e individuo. Viene segnata la fine dell’egemonia del potere legislativo e il prevalere di quello esecutivo. Nietzche-il Nichilismo Per NIETZCHE il NICHILISMO è la condizione di mancanza, di nullità di senso che si fa strada quando le risposte tradizionali al perché della vita perdono forza. Questo è dovuto al fatto che nel processo storico i VALORI TRADIZIONALI (Dio, il bene, la verità) hanno perso forza e ciò coincide col processo di decadenza. Egli 60 teorizza che la TRAGEDIA è la massima espressione della civiltà ellenica perché in esse si incontrano le due forze che animano lo spirito greco: l’APOLLINEO dio della luce e delle forme che rappresenta il sogno e il DIONISIACO dio della morte e dell’ebrezza che rappresenta gli istinti. La tragedia muore suicida quando la filosofia impone i propri valori sul caos della vita. È con la filosofia razionalistica che inizia il processo di decadenza. Il NICHILISMO CONTEMPORANEO è quel processo con il quale questi valori si sono rilevati essere il nulla, finzioni e invenzioni, quindi l’uomo non potendo affidarsi a questi valori avverte il vuoto e il nulla. La metafisica, Dio e lo Stato si rivelano il nulla. La RELIGIONE è espressione della paura davanti alla conflittualità dell’essere e della vita. Il Cristianesimo è una religione del risentimento dei deboli verso i forti che si traduce nel tentativo di sottomettere i forti con valori opposti a quelli vitali. L’EVIDENZA DELLA MORTE DI DIO cioè la fine del valore supremo che giustificava i valori anti-vitali dei deboli. La decadenza e la svalutazione dei valori tradizionali è per Nietzche un NICHILISMO INCOMPLETO perché ancora dominato dal bisogno di verità che si traduce nella credenza in nuove verità, ideali che sono il nazionalismo, socialismo e la DEMOCRAZIA la quale è sinonimo di mediocrità e conformismo di massa. È l’emergere dell’evidenzia dell’essere, il nulla della ragione occidentale. Questa evidenzia può essere vissuta o come decadenza o come potenza. È questo il NICHILISMO ESTREMO grazie al quale viene distrutto il mondo dei vecchi valori e il loro posto affinché questi non siano sostituiti con quelli nuovi. Per condurre a compimento l’ipotesi nichilista è necessario pensare all’esistenza senza senso e senza scopo, ma ritornante. Con l’ETERNO RITORNO Nietzche indica il passaggio tra l’uomo che dice no e colui che ha imparato a dire si al tempo che ritorna, è legato alle scelte cioè al ripetersi di ciò che si è affermato positivamente. Il SUPERUOMO è l’unico in grado di dire si alla vita, accettando la dimensione tragica dell’esistenza e facendo propria la prospettiva dell’eterno ritorno, di reggere la morte di Dio e lo smarrimento delle certezze assolute, è un uomo nuovo. Il PENSIERO ANTIDEMOCRATICO E ANTIEGUALITARIO di Nietzche intende evidenziare l’eccezione del superiore che si oppone al gregge degli inferiori. La volontà di potenza con la volontà redentrice che si identifica con il modo di essere del superuomo e con l’essenza dell’eterno ritorno. Weber WEBER è l’autore e sociologo più importante del ‘900. Lui compì il primo passo verso un’analisi storico-sociale del diritto, si interessò alle condizioni che hanno reso 61 possibile l’affermarsi del capitalismo in Europa. Lo fece studiando le dinamiche agricole dei contadini prussiani (quelli dell’antica Germania) all’est dell’Elba, nato come gli junkers si erano trasformati da ceto nobiliare in classe imprenditoriale capitalistica che aveva come scopo il profitto. Qui scoprì il CAPITALISMO che si presentò come una potenza sovversiva e nichilista che si sarebbe affermato dissolvendo i legami personali e sostituendoli con una mediazione del salario monetario. Un universo di valori tramontava sotto la PROLETARIZZAZIONE DELLE MASSE che poneva le basi per un odio di classe, vi è una componente soggettiva. La DOTTRINA DELLA PREDESTINAZIONE ha generato nel credente il bisogno di trarre conferma dalla propria elezione, indirizzandolo verso un disciplinamento dei propri impulsi attraverso il lavoro. Può accadere una ritorsione, la soggettività borghese viene nullificata dal capitalismo, impugnandola in una GABBIA DI ACCIAIO. Il soggetto moderno cede il posto al suo stesso lavoro che si è reso autonomo da lui. Inizia così a determinarsi un interesse della tecnica che porterà ad una burocratizzazione universale, tipica dell’impresa capitalistica e dello Stato moderno. Nello “STATO NAZIONALE E LA POLITICA ECONOMICA TEDESCA” si concentra sulla COMPOSIZIONE SOCIALE DELLA NAZIONE TEDESCA, secondo lui l’affermazione del capitalismo nelle campagne pone in crisi il ruolo degli junkers, apre il problema di un rinnovamento della classe dirigente che deve guidare la Germania nello sviluppo capitalistico. Emergeva la necessità di un lavoro di educazione politica per far uscire la borghesia tedesca dalla sua condizione di minorità e farla diventare una guida del paese. Si concentra anche sul PROCESSO DI UNIFICAZIONE NAZIONALE del 1871 che coincideva con la formazione degli ostacoli alla democratizzazione interna del paese. La politica è connotata dalla lotta tra diverse posizioni ideali, c’è un POLITEISMO DI VALORI. Weber distingue tre tipi di potere legittimato in base alle motivazioni dell’obbedienza: 1. POTERE TRADIZIONALE: la legittimazione si basa sulla convinzione che chi lo esercita ha un’autorità derivante dal carattere sacro delle tradizioni valide da sempre; 2. POTERE RAZIONALE: è legittimato dal fatto che l’autorità deriva dal mandato formale e dalla legalità degli ordinamenti statuiti. Favorisce le tendenze alla tecnicizzazione e alla burocratizzazione. 3. POTERE CARISMATICO: è legittimato dal riconoscimento da parte dei sudditi nel carattere straordinario del capo. 62 Lenin Nell’ottobre 1917 in Russia la RIVOLUZIONE MARXISTA, ma il paese è ancora un impero autocratico, privo di istituzioni parlamentari e di libertà politiche e civili, poco evoluto dal punto di vista dell’economia capitalistica. Ci sono due blocchi: il PARTITO MENSCEVICO riteneva che, essendo la Russia un paese ancora arretrato, avrebbe dovuto attendere il suo sviluppo economico prima della rivoluzione e nella trasformazione in partito socialista; il PARTITO BOLSCEVICO riteneva che il potere andasse preso immediatamente attraverso un potere dittatoriale, diretto dal vertice del partito in funzione della rivoluzione socialista. LENIN (bolscevico) ritiene che la POLITICA PROLETARIA debba far scomparire la politica delle istituzioni cioè quella statuale, sostituendola con la DIRETTA PARTECIPAZIONE DELLE MASSE attraverso i SOVIET cioè i consigli, che diversamente dal Parlamento, non esprimono una rappresentanza politica formale ma l’immediatezza del potere operaio. Per valorizzare questa immediatezza è necessario passare per un momento di mediazione politica attraverso il PARTITO il cui compito è quello di lottare contro lo spontaneismo cioè contro forme di rivendicazione sindacale, in modo da imprimere alle lotte economiche una direzione specifica disciplinata dall’organizzazione politica, affidata ai RIVOLUZIONARI DI PROFESSIONE. Lenin riteneva il PARTITO COMUNISTA l’unico motore rivoluzionario possibile poiché le masse vanno educate al comunismo e guidate politicamente. Lui ritiene che le trasformazioni che avrebbero dovuto permettere la modernizzazione politica ed economica del paese in senso democratico e capitalistico, sarebbero dovute essere promosse da un’alleanza tra la classe operaia come dirigente e le masse dei contadini e dei piccoli borghesi urbani. Quindi la rivoluzione avrebbe dovuto essere opera non della borghesia ma del proletariato contro la borghesia stessa. La Repubblica democratica avrebbe dovuto assumere il profilo di una dittatura degli operai e dei contadini. Così la DITTATURA DEL PROLETARIATO (forma del comunismo) sarebbe diventata DITTATURA DEL PARTITO. Nel periodo di transazione tra capitalismo e comunismo, lo Stato sarà necessario, ma transitorio, fino a quando la borghesia non si estinguerà. Alla fine del 1920, solo quando la dittatura del partito avrà preso consistenza. Lenin riconoscerà l’IMPOSSIBILITA’ DI UNA DITTATURA DEMOCRATICA e dell’istituto della democrazia diretta. L’URSS diventa così una dittatura politica del partito. Il Nazionalismo Tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900 la dissoluzione della razionalità politica liberaldemocratica e parlamentare comporta la diffusione di PROPOSTE RIVOLUZIONARIE e IMPULSI IRRAZIONALISTICI, ANTIBORGHESI E 65 ANTILIBERALI. Così si sviluppa soprattutto in Germania e Italia, dove la società civile è debole e le istituzioni politiche sono fragili. Il NAZIONALISMO porta con sé un’ideologia che divide le NAZIONI IN RAZZE. CORRADINI ritiene che così come esistono classi proletarie, esistono anche nazioni proletarie sottomesse ad altre, quindi il nazionalismo non è altro che il trasferimento delle lotte di classe a quelle delle nazioni. In Francia il nazionalismo è una sorta di reazione contro gli ideali universalistici della rivoluzione del 1789, nasce come rivincita contro la Germania e anche qui si svilupparono antisemitismo e razzismo. Si afferma il movimento del PERSONALISMO DI MOUNIER in cui c’è la volontà di istituire una nuova cristianità fondata sulla centralità della persona nelle strutture sociali, in grado di superare la democrazia anarchica dell’individualismo liberale. Il Pluralismo Alla fine dell’800 il liberalismo inglese era impegnato nella trasformazione in NEW LIBERALISM, si voleva costruire una democrazia industriale anche col PLURALISMO. La dottrina pluralista muove CRITICHE ALLO STATO, propone una SOCIETA’ DI PIU’ GRUPPI o centri di potere non necessariamente in pieno accordo tra di loro, basati su legami volontari in cui nessuno è interamente sovrano che contribuiscono a ridimensionare l’autorità dello Stato. Queste sono le associazioni economiche, sociali, religiose che occupano lo spazio intermedio tra i due poli: Stato-individuo. Lo Stato ha il compito di articolare i diversi interessi che si manifestano in questi corpi collettivi volontari c’è bisogno di una COSTITUZIONE FEDERALE che superi il monismo giuridico. Si tratta di un DECENTRAMENTO FUNZIONALE (cioè di interessi) perché lo stesso Stato dovrebbe affidare alcune sue funzioni alle associazioni rappresentative dei diversi interessi. Vi sarà quindi una PLURALITA’ DI FORME DI RAPPRESENTANZA. Politica ed Economia Tra le due guerre, si determinano oltre che le teorie economiche, anche una serie di risposte pratiche, che modificano il rapporto moderno tra POLITICA ED ECONOMIA e che portano alla nascita di uno STATO INTERVENTISTA CHE ASSUME UN RUOLO DIRETTO NELL’ECONOMIA. Questo processo di ECONOMICIZZAZIONE E SOCIALIZZAZIONE dello Stato avviene in maniera diversificata: i Bolscevichi, incorporano direttamente nello Stato i mezzi di produzione; i Fascisti e i Nazisti attribuiscono allo Stato un ruolo di integrazione della forza lavoro, per mantenere gli equilibri capitalistici. Tuttavia con la CRISI 66 DEL ’29 che determinò una brusca interruzione della crescita economica e la grave crisi di sovrapproduzione industriale si rende necessario un INTERVENTO PIU’ MASSICCIO DELLO STATO. È da qui che si inizia a pensare alla PIANIFICAZIONE: viene lanciata la politica dei PIANI QUINQUENNALI: controllo pianificato dallo Stato per trovare una soluzione alla contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione. Ad es. fu attuato il NEW DEAL che venne introdotto negli Stati Uniti da Roosvelt per affrontare la CRISI ECONOMICA DEL ’29 e per SOSTENERE LA DOMANDA. Secondo il New Deal il rilancio economico è possibile solo RILANCIANDO LA DOMANDA INTERNA mediante un piano di interventi sociali che favorisca la ripresa delle attività produttive e dia inizio ad una sorta di “circolo virtuoso”. Il New Deal si basava principalmente su quattro punti: 1. Riduzione delle ore di lavoro (salari minimi ma aumento dei posti di lavoro); 2. Controllo federale sulle banche per evitare speculazioni finanziarie e quindi un nuovo crollo delle borse; 3. Sovvenzioni ai disoccupati; 4. Dare inizio a opere pubbliche che stimolassero l’economia e diminuissero la disoccupazione. Questo fu un grande tentativo di riformare il sistema capitalistico in crisi e consolidare la democrazia ponendo così le basi per costruire uno stato sociale negli USA. Keynes ritiene che le crisi di sovrapproduzione fanno parte del sistema capitalistico, bisogna sostenere le domande attraverso un’autorità capace di regolare il sistema. Lo strumento più adeguato è la manovra di spesa pubblica e la tassazione. I Totalitarismi Sono stati il più grande tentativo di RIORGANIZZARE IL RAPPORTO TRA INDIVIDUO E STATO, TRA ECONOMIA E POLITICA, basandosi sull’IDEOLOGIA. Tra gli anni 20 e 30 del ‘900 questi regimi proponevano la politica come dimensione totale, capace di penetrare in tutta la società, annullandone la separazione tra ambiti (economico, religioso, culturale ecc) e di coinvolgere l’individuo. I totalitarismi furono: il comunismo stalinista e il nazismo mentre il fascismo fu autoritario. Questi due regimi tuttavia non amavano definirsi totalitari. Infatti il comunismo parlava più di sistema rivoluzionario, mentre il nazismo faceva leva su un regime razziale e popolare. Le CARATTERISTICHE di un REGIME TOTALITARIO sono: 67 divulgare, che indeboliscono la razza superiore. Si tratta così di una sorta di NICHILISMO COMPIUTO. Inoltre con il piano quadriennale del 1936, il partito arriva ad influenzare molto anche l’ECONOMIA attraverso le CORPORAZIONI. La fonte dell’ideologia è il MEIN KAMPF di Hitler che ne racchiude i principi. Lo Stato per lui è STATO DI POPOLO, sulla base di una concezione darwinista, con la legge del più forte, lotta vinta dalla civiltà pura e persa da quelle imbastardite. Il FHURERPRINZIP è il funzionamento di questo sistema politico, infatti c’è SOLO UN CAPO UNICO E RESPONSABILE. (nel caso di Hitler, si tratta di una DESIGNAZIONE PROVVIDENZIALE in quanto egli concentra in sé tutti i poteri, dopo aver unito anche le cariche di presidente e di cancelliere). Filosofia e Politica: il Pensiero Dialettico Le esperienze totalitarie sono la forma del COLLASSO dei concetti tipici del razionalismo moderno, illuministico e liberale. La politica sembra sottrarsi alla ragione umana attraversata dal CONFLITTO. CROCE vuole affermare una concezione DIALETTICA DEL LIBERALISMO, riconoscendo che attraverso i conflitti si compie lo SVILUPPO DELLA STORIA CHE CONSISTE IN OPPOSIZIONI E CONTRADDIZIONI. Le contraddizioni NON POSSONO ESSERE RISOLTE UNA VOLTA PER TUTTE mediante una razionalità pianificatrice o essere affidata alla provvidenza. La verità è l’operare umano del corso della storia. Lui sposa una concezione più MORALISTICA della politica, auspica una RELIGIONE DELLA LIBERTA’ poiché è forza creatrice della storia ed è il vero e proprio soggetto. Espressione di un ideale di morte è dunque il totalitarismo, che vuole risolvere le questioni politiche solo con l’uso della forza. In GRAMSCI subentra la consapevolezza che la rivoluzione DEBBA ESSERE UN PROCESSO DI LUNGO PERIODO. Per lui sarà necessario un organismo collettivo, il PARTITO COMUNISTA, che saprà affrontare la transizione dalla vecchia alla nuova società. Fondamentale in Gramsci è il concetto di EGEMONIA ossia la capacità di direzione ideale verso le altre classi. Le ideologie sono per lui strumenti di influenza intellettuale. Il proletariato DEVE PROPRIO PUNTARE SU QUESTA CAPACITA’ DI ESERCITARE EGEMONIA, verso tutta la società civile, organizzandosi nel partito comunista, che rappresenta la totalità degli interessi dei lavoratori e guida le decisioni utili per l’intera società. La borghesia italiana, ha mostrato un deficit di egemonia, ha portato al fascismo, dunque per lui solo il PROLETARIATO INDUSTRIALE SOCIALISTA PUO’ UNIFICARE E MODERNIZZARE IL PAESE con una strategia unitaria tra operai e contadini. Egli definisce il partito comunista come il MODERNO PRINCIPE. 70 La SCUOLA DI FRANCOFORTE fa riferimento a quei pensatori che fanno capo all’ISTITUTO PER LA RICERCA SOCIALE sorto nel 1924, cercando di capire la trasformazione del capitalismo, dalla sua fase liberale a quella democratica e monopolistica e dello stato che da borghese diviene totalitario. Si genera un dibattito sul rapporto tra POLITICA ED ECONOMIA: c’è chi sostiene che esista una distinzione tra le economie autoritariamente statalizzate e le classiche economie politiche del capitalismo concorrenziale liberista e chi invece ritiene che non esista una distinzione tra il capitalismo di Stato e quello classico. I Pensatori radicali della crisi I PENSATORI RADICALI DELLA CRISI hanno in comune la rinuncia a un’interpretazione razionalistica o dialettica delle contraddizioni del presente, assumendole come un DESTINO TRAGICO e quindi insuperabili e immodificabili dalla ragione. Questi pensatori sono antiliberali e antimarxisti. Al principio di ragione contrappongono l’EROISMO e la DECISIONE esaltando il dominio e la violenza. Tema centrale è la TECNICA vista non più come strumento della borghesia ma come un soggetto impersonale che impone le sue logiche coattive alla società. In questi pensatori regna un PESSISISMO RADICALE, ritengono che la civiltà moderna ha perso le sue finalità umanistiche a causa della ragione e della tecnica a cui il soggetto affida il proprio progetto di liberazione. Si rivela così la decadenza del progresso. Arendt La ARENDT critica la filosofia politica, contrapponendone la politica intesa come AZIONE COLLETTIVA. Nell’”ORIGINE DEL TOTALITARISMO” il concetto di totalitarismo ha un’origine politica ed è un regime del tutto nuovo. Il totalitarismo è opposto allo Stato ma comunque deriva da esso in qualche modo. Le “Origini del Totalitarismo” si suddivide in tre parti: nella prima parte dedicata all’ANTISEMITISMO dice che all’interno dello Stato moderno si producono dinamiche di esclusione che contraddicono la pretesa di universalità inclusiva della cittadinanza, come l’antisemitismo. Infatti sostiene che gli ebrei furono costretti a perdere la propria identità per essere ritenuti cittadini uguali agli altri, ma ciò nonostante furono considerati sempre diversi. Nella seconda parte dedicata all’IMPERIALISMO l’autore mostra che alla fine dell’800 lo Stato scelse la via dell’imperialismo per le conquiste di nuovi mercati. L’imperialismo è frutto dei panmovimenti. Lo Stato dimostra di non poter garantire ordine e stabilità ma di essere costretto per sopravvivere a muoversi, i ceti social medio-bassi cercano appartenenze in presunte identità di sangue. Lo Stato anziché tutelare le persone devo fornire l’appartenenza nazionale. Nella terza parte l’autore sostiene che il 71 totalitarismo è provocato dalla MASSIFICAZIONE DELLA SOCIETA’ in quanto le masse si organizzano tramite la PROPAGANDA. Il totalitarismo non può limitarsi a conservare l’ordine ma deve mobilitare e distruggere le proprie stesse istituzioni, il nemico interno, attraverso il TERRORE E LA VIOLENZA esercitati dagli oppositori politici. Il totalitarismo è un REGIME NICHILISTICO privo di forma, costretto all’instabilità permanente. La spiegazione delle dinamiche nichiliste del totalitarismo è individuata nell’IDEOLOGIA: cioè l’energia, l’idea che applicata alla realtà politica né distrugge la concretezza. Nella VITA ATTIVA distingue tre funzioni: lavorare, operare e agire, accanto a questa c’è la vita contemplativa. Schmitt SCHMITT critica sia il LIBERALISMO, che sostiene che un ordine politico stabile abbia origine dal singolo individuo, sia il PENSIERO GIURIDICO, che crede che la politica sia riducibile al sistema delle norme giuridiche poste dallo Stato. Le istanze che critica sono le componenti che costituiscono lo Stato moderno. ESALTA IL CATTOLICESIMO razionale perché grazie al suo rapporto con la trascendenza riesce a realizzare la propria autorità. L’origine dell’ordine politico è nell’ASSENZA DI ORDINE RAZIONALE. Parla di DITTATURA SOVRANA cioè la decisione di un’autorità concreta e personale di creare un ordinamento razionale a partire dall’assenza di ordine. La politica è quindi un ATTO CREATIVO che fa nascere l’ordine dal nulla. L’atto creativo è la DECISIONE che si deve confrontare con l’ECCEZIONE, l’assenza di sostanza e il nichilismo. Affida la costruzione dell’ordine alla decisione del sovrano. Nell’opera “IL CONCETTO DI POLITICO” afferma che il concetto di Stato presuppone quello di POLITICO, che consiste nel riconoscere e nel distinguere l’amico/nemico ed è all’origine della politica. La guerra è fondamentale nei rapporti internazionali ed è una funzione della politica. Secondo l’autore per fronteggiare il politico, la guerra civile è necessaria un’istanza politica che sia in grado di decidere sull’amico e sul nemico. Ciò significa che l’ordine interno viene creato dal conflitto, che viene conservato attraverso la continua vigilanza volta ad escludere il potenziale nemico interno e non neutralizzando mai completamente il politico. Ecco perché più che di Stato l’autore preferisce parlare di COSTITUZIONE come un’unità politica concreta di un popolo, che nasce dalla decisione di un potere costituente, quindi prima delle norme esiste un soggetto pubblico dotato di volontà. La COSTITUZIONE WEIMAR è per l’autore il frutto di una vera decisione politica del popolo tedesco, che volle realizzare un compromesso tra il principio della rappresentanza liberale e quello opposto alla presenza democratica. La Costituzione weimariana è divisa in due parti: 72