Scarica Riassunto del manuale di Storia del pensiero politico e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Pensiero Politico solo su Docsity! Manuale di storia del pensiero politico L’antichità greca e romana Il cerchio rappresenta quel processo che ha permesso di porre il potere in mezzo, al centro della città (polis) e dei cittadini, di fare cioè del potere una questione politica, una cosa pubblica. La decisione politica era disponibile alla volontà dei cittadini, alle loro ragioni e argomentazioni; il comando poteva e doveva essere esercitato nell’interesse di tutti. Per la prima volta l’ordine politico deve legittimarsi per la sua funzione sociale capace di assorbire le dinamiche proveniente da tutte le componenti della società. I greci inventarono così la politica, ma questo spazio circolare come spazio dell’eguaglianza è ricavato dall’esclusione tra liberi e schiavi, tra uomini e donne. La concezione della democrazia consisteva nella partecipazione attiva dei cittadini ai processi di formazione della volontà politica comune. La politica era l’attività pratica più alta che l’uomo potesse svolgere. La sfera del privato era quindi vissuta come una sfera subordinata e residuale rispetto alla pienezza del pubblico. Omero Fu il primo a fornire modelli di virtù e modalità di relazioni etico-politiche tra gli uomini. Le sue opere erano gli studenti privilegiati dell’educazione dei giovani, basata sull’ideale dell’eccellenza della virtù (areté). La virtù eroica di Omero era un valore fisico e morale, equivalente alla violenza (bia); aveva caratteristiche che la destinavano a generare un perenne antagonismo tra gli eroi. La virtù era identificata con la forza e l’onore, mossi dalle logiche del conflitto. L’onore (timè) è il concetto di una riconosciuta eccellenza, che spinge a una perenne messa alla prova di se stessi per evitare il disonore. Per questo la morale eroica si dimostra inconciliabile con il concetto di diritto. Gli eroi hanno bisogno di legittimare continuamente con l’esibizione della forza la propria posizione di eccellenza: e così il potere ha bisogno di altre fonti di legittimazione rispetto alla potenza dell’eroe che lo detiene. Da qui nasce il dualismo tra la virtù individuale, formata da forza, coraggio e il consiglio, e la collocazione di queste in soggetti diversi, che impedisce una completa legittimazione del potere. Erodoto È il padre della politica grazia alla sua classica tripartizione delle forme di governo. La storia da lui raccontata si svolge in Persia. Erodoto finge di riportare le argomentazioni che il consiglio dei sette, che avevano ucciso il Mago, elaborò sulla futura costituzione dello Stato. Otane si lamenta dei pericolo della monarchia: il monarca può fare di tutto senza dover rendere conto a nessuno del proprio operato. Per questo è preferibile l’isonomia, cioè l’uguaglianza di fronte alla legge, che costituisce un governo del popolo, esercitato a turno e sottoposto al rendiconto dell’assemblea. Megabizio propone invece il governo degli uomini migliori a produrre le migliori deliberazioni: è un sostenitore dell’aristocrazia. Infine, Dario sostiene che non ci possa essere di meglio che la monarchia, il governo dell’uno. Democrazia, oligarchia e tirannide I filosofi non amarono la democrazia, mentre questa fu estremamente apprezzata e analizzata dagli storici e dai tragici. Il modello pastorale del potere, per cui il governante è superiore al popolo come il pastore al gregge, è definito come proprio dei barbari, quindi inadatto alla Grecia, che non prevede né accetta forme di soggezione per gli uomini liberi. Euripide, descrivendo la democrazia, elenca i suoi principali vantaggi: l’isonomia, cioè l’uguaglianza davanti alla legge, e l’isegoria, l’uguale libertà di parole e di voto. Ma il vero manifesto del pensiero democratico è costituito dall’epitaffio funebre per i morti del primo anno di guerra nel Peloponneso, scritto da Tucidide e fatto pronunciare a Pericle. Si tratta di una difesa della democrazia ateniese messa a confronto con la condizione politica della rivale Sparta. L’eccellenza della costituzione (politeia) democratica viene individuata nella eguaglianza di tutti davanti alla legge, nel coinvolgimento politico di tutte le classi sociali, nel rifiuto di differenziazioni sociali, nell’accettare la discussione pubblica come la premessa per un’azione corretta ed efficace. Atene è la scuola della Grecia. La democrazia ateniese risultava dall’associazione del principio dell’elezione a quello del sorteggio per la scelta dei magistrati. La democrazia adottò la legge sull’ostracismo, per cui si poteva allontanare dalla città qualsiasi persona sgradita. La democrazia ateniese aveva il suo cuore nell’ecclesia, assemblea di tutti i cittadini che deliberava su politica e governo. L’ordine del giorno dell’ecclesia era definito dalla boulé, consiglio che aveva funzioni di governo. La democrazia sorvegliava l’operato dei magistrati; prevedeva una durata degli incarichi di governo breve e prestabilita, insieme alla rotazione delle cariche. Uno dei principali critici della democrazia ateniese fu Senofonte. Egli tende a squalificare la democrazia vedendovi una guerra civile permanente dei cattivi contro i buoni. Vede l’imperialismo ateniese come una forma di dominio del popolo all’esterno sulle altre città, all’interno sui ricchi. Tra il VII e VI secolo a.C. la tirannide inizia a diffondersi e ad assumere quasi un ruolo positivo -> bella tirannide. Indubbiamente le tirannidi posero fine a periodi di tensioni e conflitti interni alle città, ma in Grecia non verrano mai costituzionalizzate come a Roma. L’immagine del tiranno viene rappresentata come l’incarnazione del male assoluto, della negazione della politica stessa. La tirannide appare come una modalità di governare tipicamente orientale, quindi inadatta al modello politico greco. Augusto Nel 27 Ottaviano assunse il titolo di Augustus. Si presentò fin dall’inizio come restauratore della tradizionale costituzione repubblicana. Proprio nelle Res Gestae Augusto difende il suo potere, in sintonia con le istituzioni e i costumi degli antenati. Tuttavia, sottolinea anche le novità da lui portate: l’ampliamento dei confini dell’impero, la sicurezza sul mare, l’aver trattato il popolo come un padre. Rimane la volontà di presentarsi come colui che restituisce la repubblica al Senato e al popolo, divenendo da allora princeps, quindi superiore a tutti nell’autorictas. Inoltre, era anche pontefice massimo, titolare della tribunicia potestas, per cui aveva diritto di veto su tutte le decisioni delle altre magistrature, e comandante dell’esercito. I romani accettarono il principato perché stanchi delle guerre civili e perché erano ostili al re, e non al potere regio in quanto tale. Cristianesimo e politica La svolta costantiniana Nel 313 d.C. Costantino, imperatore romano, riconosce la religione cristiana: si iniziano a porre le basi per una riflessione che sarebbe stata connotata dalla fine della scienza politica e dalla sua sostituzione con la teologia. Il pensiero politico medievale è opera di autori che hanno in comune dei principi, tra cui l’impossibilità della fondazione e legittimazione del potere al di fuori di del disegno di Dio. Il cristianesimo si “romanizza”, cogliendo dal patrimonio culturale dell’impero l’attitudine ad assumere verso la Bibbia lo stesso atteggiamento che si aveva verso il Corpus Iuris. Teorici della necessità di un profondo rinnovamento della cultura, imbevuti di ideali antichi e pagani, eredi della tradizione rinascimentale, i libertini riconobbero che le leggi del dominio politico sono artificiali, e apportarono nuovi argomenti alla necessità dell’obbedienza. Michael de Montaigne immette nella modernità una soggettività strutturata attorno alle categorie del movimento e della transizione e profondamente scettica, che ha la sola certezza nella percezione dell’unicità e irripetibilità della vita terrena. Da qui il problema di trovare una saggezza pratica capace di garantire la salvezza del singolo. Questo obiettivo si raggiunge con la politica. La politica è una necessità esterna e strumentale, atta a salvaguardare la possibilità della vita e il benessere del singolo. Il potere deve dunque conservare la pace tra gli uomini; ma per conservare l’ordine sociale occorre legittimare l’obbedienza, in mancanza della quale non c’è società. Montaigne analizza le motivazioni all’obbedienza e ne riconosce la debolezza. Tali motivazioni erano due: - Si deve obbedire al principe per la sua maestà; - Si deve obbedire al principe per la razionalità dei suoi comandi. Queste risposte sono poi poste sotto lo scetticismo proprio di Montaigne: la maestà spesso non corrisponde alla natura intima del re; i potenti non sono che personaggi della commedia umana. Montaigne critica poi il fondamento razionale delle leggi. Egli nega ogni possibilità di fondazione razionale alle leggi, riconducendo le loro fonti ai costumi e alle usanze. Eppure le leggi continuano ad apparire irrinunciabili: egli chiede che il singolo si comporti esteriormente in obbedienza a leggi che, pur non essendo né giuste né razionali, esigono che a esse di obbedisca comunque. Attraverso il pensiero di Montaigne nascono i soggetti moderni: sono sì sottomessi al potere, ma ne risultano la vera giustificazione e legittimazione. Altri libertini francesi sono Etienne de la Boétie, il quale mette al centro della propria analisi del potere quel rapporto di co-implicazione tra soggetti e Stato. Ogni potere si fonda su un’obbedienza dei singoli che è volontaria, che nasce da una volontà di schiavitù -> lo Stato moderno esige la presenza di soggetti titolari di diritti ma desiderosi anche di obbedire al potere. Pierre Charron ricostruisce l’ordine politico puntando sulla scissione tra interno ed esterno. L’ordine sarà rifondato solo quando l’obbedienza al potere sarà esterna, dovuta e non intimamente motivata. Pascal incontra il problema dell’ordine ed anch’egli segue la strada dell’obbedienza. Accetta totalmente il diritto e lo Stato, riconoscendoli necessari alle regole del mondo e alla sua sopravvivenza. Egli è intriso del potere religioso e dà vita al movimento dei giansenisti. La corte La corte del re è dove si decidono i destini degli uomini e le fortune dei potenti. Qui il sovrano prende le sue decisioni; la corte è il luogo centrale della formazione dello Stato. ➢ Castiglione Autore del Cortegiano, definisce la migliore formazione dell’uomo di corte. Non solo questo deve essere abile nelle attività sportive, ma deve unire a queste la grazie, ossia la capacità di procurarsi un’eccellenza senza affettazione. La grazia nell’esibire virtù fa sembrare il sapere di chi compie un’azione molto maggiore di quello che è in effetti -> logica del sembrare. L’opera svela una natura politica intrinseca, e da questa nacque una letteratura capace di guardare alle relazioni politiche dal microcosmo di quelle relazioni concorrenziali fra singoli, che generalmente si instauravano all’interno di una corte. ➢ Graciàn La prudenza delle massime dell’Oracolo consiste in una doppia strategia: la segretezza che impedisce agli altri di penetrare nell’intimo della volontà dell’uomo prudente, e la costruzione artificiale di una parvenza di verità. Nel rapporto concorrenziale con gli altri occorre assicurarsi posizioni di vantaggio, purché compatibili con la propria rispettabilità e onorabilità. Da qui discende l’imperativo di non scoprirsi mai del tutto, ma ad essere riservati -> uso del silenzio e del tacere. Ma la legittimazione dell’inganno e della simulazione non equivale a fare del comportamento simulato quello più consigliabile, perché anche la bugia è prevedibile. Graciàn invita dunque a comportamenti accorti e adatti alle circostanze. La scolastica spagnola La scolastica spagnola consiste in grandi giuristi spagnoli che formano una scuola, la quale si richiama alla scolastica medievale (soprattutto a San Tommaso). È un metodo d’insegnamento che presuppone una conoscenza perfetta e completa di quello che si insegna: si deve essere pronti a rispondere a qualsiasi tipo di domanda od obiezione. La scoperta del Nuovo Mondo ha sfidato la cultura europea del ‘500. Si pone il problema di legittimare l’accaduto o di limitare i danni degli eventi che, come la schiavitù, turbavano le coscienze cristiane. Due grandi autori in forte contrasto furono Sepulveda e Las Casas. Il primo sosteneva che nel comportamento degli Indios erano ravvisabili dei motivi per considerarsi diversi dell’umanità europea, e per proclamare contro di loro una guerra giusta. Il secondo sosteneva l’abolizione della schiavitù degli Indios, insistendo sulla naturale mitezza e onestà di queste popolazioni. ➢ Vitoria Affronta il problema del rapporto tra lo Stato spagnolo e i nativi americani: cosa giustifica l’espansione della Spagna? Si confronta con il problema giuridico della legittimità del dominio spagnolo sugli Indios, chiedendosi se questi popoli fossero i veri possessori del loro paese. Né la fede né la grazie conferiscono titolo di legittimità al possesso, ma questo deriva solo dal diritto naturale e quello umano. Quindi gli Indios per diritto naturale sono i padroni dei loro beni. Inoltre, gli Indios sono autosufficienti per natura; il dominio su di loro è stato conferito agli spagnoli dall’imperatore o dal papa, ma Vitoria sostiene che non esiste un sovrano del mondo e che tale non è dell’imperatore e nemmeno del papa. Tuttavia, il diritto degli spagnoli alla conquista delle Americhe è legittimata dal diritto internazionale. Proprio questo legittima il primo “contatto” tra i due e il successivo impossessamento spagnolo della terra indiana, sulla base del fatto che gli Indios avrebbero ingiustamente ostacolato il commercio spagnolo. Per completare la legittimazione del potere spagnolo ci dovrebbe essere un atto volontario. In un’altra opera Vitoria afferma che la concreta individuazione della forma e dei titolari del potere compete solo alla comunità. Ma il processo attraverso il quale il potere si costituisce è un’alienazione: un re è superiore non solamente a ciascuno dei cittadini, ma anche allo Stato tutto intero. ➢ Suarez Suarez esalta il ruolo giocato dal diritto naturale come fondamento dell’autonomia delle comunità politiche, ostile all’assolutismo monarchico. Teorico dello stato di natura, afferma che gli uomini nascono liberi quindi nessuno ha giurisdizione politica o potere sull’altro. Suarez ricostruisce il processo in virtù del quale è avvenuta la transizione dalla società naturale a quella politica, sostenendo che la legge di natura prevede l’originaria libertà dell’uomo e lo spinge a entrare dentro la comunità. Le leggi umane sono necessarie per provvedere al bene comune. Quindi, si è per natura liberi, ma si è condotti a obbedire al potere. È essenziale qui il principio del libero consenso. Suarez capisce che il consenso è dato da individui singoli, e che dalla somma delle loro volontà singole debba derivare una volontà politica generale. La comunità politica che nasce dal consenso è quindi titolare del potere universale su tutti i propri membri. Ogni Stato è indipendente e non deve essere inglobato all’interno del potere universale dell’Impero: qui Suarez riconosce la legittimità della pluralità degli Stati e delle loro sovranità. L’umanità conserva sempre una qualche unità, e questa rende membri di una comunità internazionale dotata di un proprio diritto: il diritto delle genti. Il soggetto e lo Stato Spinoza La filosofia di Spinoza è una filosofia della vita e della gioia: l’uomo libero desidera agire e vivere, avendo come fondamento la ricerca del proprio benessere. Il suo pensiero politico prende come oggetto le forme della liberazione. Spinoza afferma il primato della potentia, intesa come l’elemento costituente della forma politica, sulla potestas, intesa come potere costituito. Il diritto naturale all’interno della civitas non si definisce come il residuo di un’originaria alienazione, ma si presenta nella sua assolutezza proprio dove è assoluta la sovranità: nella democrazia. Nel sistema della filosofia di Spinoza - come esposto nell’Etica - l’identificazione di Dio, sostanza e natura risolve l’essere in una dimensione di assoluta immanenza, a partire dalla rappresentazione di un Dio legislatore e sovrano del mondo. Su queste basi l’antropologia spinoziana è caratterizzata dal rifiuto del dualismo di corpo e mente. Gli affetti, le passioni fanno parte integrante della natura umana. Esistono 2 grandi classi di affetti: gli affetti assimilabili alla Letizia, e gli affetti assimilabili alla Tristezza. La ragione è una facoltà sovraordinata al corpo, in grado di subordinare alle proprie norme il disordine degli affetti. Nel diritto naturale vi è una radice di uguaglianza tra gli uomini, mentre dall’altra vi è la guerra. In questo scenario si vede una spontanea tendenza degli uomini ad associarsi. Da ciò sorge un potere comune che trae la proprie forza da una dinamica di composizione delle potenze individuali. Nel Trattato teologico-politico questa dinamica viene descritta attraverso il lessico e i concetti del contrattualismo, ma la ragione sociale che presiede all’associazione politica radica il proprio diritto in un aggregato collettivo di potenze individuali, che la costituiscono attraverso un movimento percorso dalla persistenza degli antagonismi naturali e aperto alla possibilità di trasformazione. La dimensione collettiva del bene comune si presenta come prodotto di un processo costitutivo sempre aperto, in cui entrano in gioco le passioni, l’immaginazione e la ragione degli uomini. Spinoza suggerisce da una parte un nesso molto stretto tra timore e la superstizione, e dall’altro tra timore-superstizione e regime monarchico. Di contro a questo timore si pone la libera comunità, democratica, che assume a proprio fondamento la pubblica libertà. Per Spinoza la paura non è sufficiente a sostenere nessun regime politico. Porta alla luce un nesso tra politica, immaginazione e animo delle masse; per Spinoza la ragione deve sciogliere dalla tirannia della paura. La superstizione religiosa pone le masse nella soggezione a potenze esterne, mentre la critica alla religione di Spinoza libera gli uomini dall’immaginazione mistificata e rende possibile un uso politico collettivo dell’immaginazione liberata. Il cristianesimo ha permesso la realizzazione della democrazia, in quanto ha reso possibile il superamento della superstizione. Il regime democratico si accosta all’ordinamento naturale e meglio corrisponde alla libertà di ciascuno. La forma democratica è eccellente, perché è quella che maggiormente si avvicina allo stato di natura. Il patto spinoziano risulta da un insieme di cause che costringono gli uomini a unire le proprie forze; il suo criterio istitutivo è l’utilità. L’assolutezza del potere democratico si fonda su uno spostamento delle potenze individuali verso un’unica potenza collettiva. Il potere sovrano esprime proprio lo spostamento dell’ambito di validità del principio dell’identità del diritto naturale dal piano individuale a quello collettivo. Tanto più potente, quanto più sarà democratico. Nel Trattato politico il potere politico si traduce nella programmatica rivendicazione di una metodologia realistica. Ma il materialismo politico di Spinoza trova la propria definizione nel principio per cui il diritto di sovranità è il diritto naturale, determinato dalla potenza della massa. I soggetto della potenza collettiva che determina il diritto di sovranità è la moltitudo. Il fondamento del potere del re è un contratto, come base per rivendicare la libertà del popolo contro l’oppressione del tiranno, e affermare il diritto di resistenza passiva. Diderot sostiene il tema del consenso come base del potere politico. Risulta evidente qui la polemica contro la monarchia francese e dei rischi di degenerazione nel dispotismo. In una riflessione sulla necessità della rappresentanza dei cittadini nel governo, ciò che viene proposto da Diderot è il modello della monarchia inglese, dove tutte le parti della società hanno il diritto a parteciparvi con l’elezione di propri rappresentati. Riconosce come unico sovrano e legislatore il popolo; esalta la rivoluzione inglese e l’indipendenza delle colonie americane. È fortemente influenzato dalla tradizione del repubblicanesimo: sostiene l’idea della libertà repubblicana con la rivendicazione del diritto dei popoli a darsi un regime democratico. ➢ Voltaire Protagonista della lotta illuminista, rivendicò strenuamente la tolleranza e propone continuamente nelle sue opere lo Stato di leggi e la garanzia della libertà politica e di opinione. Il relativismo politico di Voltaire gli fa ritenere che ogni Stato deve avere la forma del governo che meglio rispetta i costumi della nazione. Lo Stato è infatti l’ordine politico fondato sulla libertà della legge. In Voltaire si ritrovano concetti del contrattualismo, ma manca un’esplicita teoria della rappresentanza. Affronta anche temi come nazione, storia ed economia. La storia secondo Voltaire va letta secondo un ordine secolarizzato, profano e laico, che si determina lungo il corso degli eventi e in cui viene posta maggiore attenzione al lavoro e all’economia. La rivoluzione americana Il 4 luglio 1776 a Philadelphia si sancì la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, in cui si affermava la necessità di indipendenza delle colonie. Redatta da Jeffersons, Franklin e Adams, si tratta di un documento politico nuovo, perché distrugge il legame tra monarchia e sudditi proclamando il diritto dei governati di scegliersi il governo, e, per i cittadini, i diritti alla vita, alla libertà e alla felicità. Nella prima parte della Dichiarazione si pongono temi quali l’uguaglianza degli uomini, dei diritti naturali, il consenso dei governati per la legittimità dei governi. Nella seconda parte si trovano le imputazioni rivolte al re Giorgio III e la conseguente necessità di secessione in Stati liberi e indipendenti. In Cato’s letter è centrale il tema della virtù politica e la difesa della libertà contro la tirannide. Si trovano anche temi sul contratto, sul rapporto fiduciario tra governanti e governati, sul controllo su chi esercita il potere. La tradizione giusnaturalistica dell’individuo portatore di diritti naturali si affiancai all’elemento teologico: il patto stretto tra i coloni americani riprende le procedure del patto che nella tradizione biblica lega Dio al suo popolo. La Dichiarazione crea un popolo universale, il popolo americano, e introduce il concetto di nazione. L’idea è di una politica democratica che si sottrae all’unità politica. ➢ Paine Sulla base del principio del senso comune l’autore discute dei rapporti tra madrepatria e colonie, denunciando la tirannide inglese. Distingue tra società e governo: la prima è frutto dei bisogni dell’uomo, il secondo nasce dalla perversità umana. Il governo è un male necessario anche quando è perfetto; se invece è imperfetto, allora diventa un male intollerabile. Il governo migliore è quello repubblicano. Paine propone anche una riflessione sul tema dei diritti degli individui nel segno del concetto di uguaglianza. Ciò che emerge è la centralità del popolo sovrano, che costantemente sottopone a revisione la costituzione che esso stesso si è dato. Qui il concetto fondamentale è quello di rappresentanza democratica, che esprime la volontà di tutta la nazione. Ragione e rivoluzione Kant La morale kantiana si fonda sulla coincidenza tra libertà assoluta e dovere incondizionato, che trova espressione nell’imperativo categorico. La morale consiste nel dovere di agire come se fosse universale e nel trattare ciascun uomo come se fosse un fine a sé. La morale è quindi una regola universale che ha la propria origine nella ragione e da cui è assente ogni riferimento a fine empirico. Il soggetto morale è orientato al dovere e non alla felicità. In quanto uomini noumenici - interiorità - gli uomini sono liberi e indipendenti. Poiché esiste anche l’uomo fenomenico - lato empirico - l’uomo appartiene a due mondi: è essere razionale determinato dalla ragione, ma anche essere sensibile determinato dalle inclinazioni naturali. Accanto all’obbligazione morale Kant introduce un’obbligazione politica che assume la forma del diritto. Questo si riferisce alla libertà esteriore e regola la coesistenza degli individui attraverso una limitazione delle loro libertà. Il diritto è forma e obiettivo della politica. In quanto forma, il diritto è legge, prodotta dallo Stato; il comando della legge è però solo esterno. In quanto obiettivo, vuole realizzare una condizione nella quale sia riconosciuta a ogni individuo una sfera di indipendenza personale protetta da leggi. Kant sostiene che lo Stato deve comportarsi come se fosse nato dal contratto: lo Stato organizza la libertà esteriore, giuridica, fenomenica. Lo stato di natura viene concepito come l’orizzonte del diritto privato, cioè naturale, che è anteriore al diritto positivo dello Stato. Ma nello stato di natura manca un’autorità legittima che dirima le controversie in maniera giuridicamente vincolante: lo stato di natura impedisce al diritto di affermarsi. Di conseguenza, il superamento dello stato di natura è necessario secondo ragione. Questo superamento coincide con l’affermazione della volontà generale. Si deve uscire dallo stato di natura e ci si deve unire con tutti gli altri, al fine di sottomettersi a una cosa, lo Stato civile. Lo Stato di diritto è la comunità razionale che affida la decisione sul diritto al potere pubblico; questo potere pubblico decide attraverso la legge universale. Kant ricorre al contratto originario, promosso dalla volontà generale del popolo. Il contratto originario è un’idea regolativa di origine razionale; ha luogo tra individui che si uniscono attraverso la comune sottomissione alle leggi, ma qui la volontà comune si esprime attraverso il principio di rappresentanza. La rappresentanza moderna ha la conseguenza che la legge è frutto della volontà universale e razionale del re, riconosciuta come propria dai cittadini. Il sovrano è quindi obbligato a fare le leggi come se dovessero derivare dalla volontà comune del popolo. Kant riconosce al popolo diritti inalienabili, ma questi diritti non hanno significato di diritti coercitivi: il popolo non ha quindi alcun diritto di resistenza. Questo però non significa che al cittadino non debba essere riconosciuta la possibilità di esprimere dissenso verso decreti regi. Il sovrano infatti può essere criticato: la libertà della penna è l’unico palladio dei diritti del popolo. Ma se la critica non raggiungesse il suo scopo, l’obbedienza resta dovuta. Kant sostiene la necessità di superare il dispotismo assolutistico: il sovrano deve comportarsi come se fosse legittimato da un patto. L’obiettivo della filosofia politica kantiana è che il potere di conformi alla ragione e si orienti, attraverso il diritto, alla libertà. La politica scaturisce da quella condizione di insocievole socievolezza che spinge l’uomo empirico a uscire dallo stato di natura e ad associarsi. L’idea del contratto ha valore regolativo: serve ad attuare l’idea stessa del diritto. Lo Stato di diritto è tale perché è innanzitutto fondato sul diritto in quanto forma astratta e razionale dove tutti gli uomini sono liberi ed eguali; inoltre, perché è uno Stato che promuove il diritto. La politica è la pratica del diritto, e il diritto rende possibile la conciliazione della politica con la dimensione morale. Kant non delinea il profilo di uno Stato realmente esistente. Lo Stato kantiano è uno strumento funzionale alla garanzia dei diritti soggettivi delle persone. Lo Stato, quindi, deve costituirsi in modo da garantire la libertà di ogni membro della società, l’uguaglianza di ogni membro con ogni loro, e l’indipendenza di ogni membro di un corpo comune. Il principio delle libertà giustifica la critica di un governo paternalistico, il quale indica ai suoi cittadini come debbano essere felici. Questa è la forma peggiore di governo, perché calpesta la soggettività morale degli individui. Secondo il principio dell’uguaglianza lo Stato di diritto deve garantire l’uguaglianza davanti alla legge. Secondo quello dell’indipendenza, lo Stato deve offrire l’opportunità di godere della propria indipendenza economica a ogni individuo. La proprietà ha il fine di assicurare all’individuo il più ampio orizzonte di libertà. La proprietà preesiste allo Stato e si fonda sul possesso. È proprio per tutelare la proprietà che gli uomini passano allo Stato civile; solo il proprietario assume le qualità di autentico cittadino. Qui la prospettiva di Kant è antidemocratica, poiché concepisce lo status economico come presupposto per godere integralmente dei diritti politici. Kant accoglie anche il principio della separazione dei poteri, e distingue tra forma di Stato e forma di governo. Passa poi alla classificazione delle forme di governo. Il regime ideale è quello repubblicano, ossia lo Stato di diritto. Nel regime repubblicano il potere sovrano appartiene al legislativo, che può deporre o riformare l’esecutivo. Ogni forma di governo che non conosce la separazione dei poteri è una non-forma. La democrazia viene avvicinata a una forma di governo repubblicano, come un regime compatibile con il sistema rappresentativo. La democrazia degenera in dispotismo quando vi è identità tra reggitore e legislatore, e quando la volontà unica del popolo pretende di valere immediatamente. Kant ritiene che il cammino dell’umanità verso un ordine civile razionale sia inevitabile: nel corso delle cose umane è possibile scoprire un disegno della natura che fa da principio direttivo della storia, e che si attua attraverso le azioni degli individui e dei popoli. Kant valuta anche gli eventi della rivoluzione francese. Come fatto violento non può essere giustificata, ma come risultato giuridico è la più significativa manifestazione della tendenza storica a una costituzione razionale. Kant, immerso nell’Illuminismo, distingue tra uso pubblico e privato della ragione. L’uso pubblico è l’uso che ne fa uno studioso dinanzi a dei lettori; l’uso privato coincide con l’impiego affidato. In quest'ultimo caso gli studiosi devono ispirare la propria condotta alla volontà del governo: i cittadini, in quanto privati, non possono che obbedire, sempre però con la possibilità di manifestare il proprio pensiero. Il fatto di entrare in uno Stato civile concerne sia i rapporti interni che i rapporti esterni. Gli Stati non hanno necessariamente rapporti pacifici tra di loro. L’ideale della pace si configura come situazione in cui la ragione umana si realizza attuando un’idea di progresso morale. Si deve fare in modo che il diritto internazionale non consista più nello jus ad bellum dei singoli Stati, ma nella sottomissione volontaria della loro sovranità alla razionalità universale della legge internazionale. Vi sono due esigenze: gli Stati devono essere di diritto e razionali; la pace perpetua deve essere una libera federazione di Stati che rinunciano alla guerra. Questa libera federazione di stati è una fase intermedia rispetto alla lega di popoli, cioè una forma di esistenza universale priva della dimensione statuale. Il giudizio politico di Hannah Arendt sull’opera kantiana permette di comprendere l’agire politico a partire dal fatto che la politica sia un agire libero, comune e pubblico. La differenza tra la politica del razionalismo politica e la politica come agire libero comune e pubblico sta nel diverso rapporto tra universale e particolare. Nel primo caso l’universale deve superare il particolare: il soggetto deve farsi universale, deve diventare cittadino razionale dello Stato. Nel secondo caso l’universale politico si costituisce grazie al particolare: qui la politica è l’ambito in cui tutte le opinioni particolari vengono rispettate. La dialettica Fichte Fichte sostiene una concezione contrattualistica e antidispotica dello Stato, mostrandosi sensibile al tema della libertà di pensiero. Fichte critica il meccanicismo assolutistico e l’eudemonismo paternalistico volto a distinguere la felicità, che l’uomo si attende da Dio, dalla protezione dei diritti esterni, che il cittadini si aspettano dal sovrano. Il tema della libertà di pensiero viene sviluppato in base alla distinzione tra diritti inalienabili e diritti assolutamente inalienabili. Tra questi ultimi vi è la libertà critica nella dimensione pubblica: questa non viene considerata conflittuale nei confronti dell’ordine pubblico. ➢ Bonald Il suo pensiero è incentrato sulla critica dell’astrattezza moderna e sulla teoria del linguaggio. In una sua opera nega l’autonomia alla parola e alla ragione umana e dà una spiegazione razionale ai rapporti politivi che governano la storia. La visione delle società di Bonald è una spiegazione che obbedisce a un ritmo ternario: il rapporto tra il potere del re e la società dei sudditi richiede di essere mediato da un ministro. Qui il potere conserva, attraverso i ministri e le istituzioni, la coesione sociale e la legittimazione alla società. Questa regola trinitaria è funzionale allo sviluppo di un sistema della società: per Bonald esiste una società politica, guidata dall’aristocrazia, ed esiste anche una società civile, luogo della produzione. Bonald definisce la rivoluzione come una manifestazione infernale, come la negazione di ogni civiltà, e quindi votata al fallimento. Ma la rivoluzione è anche stata una crisi grazie alla quale la Francia ha espulso da sé vizi. ➢ Lammenais Egli pone al centro della propria argomentazione il senso comune, ossia il principio d’autorità, coincidente con la ragione umana: questa si dà sempre una religione per appagare il proprio bisogno di certezze. Solo Dio è l’autore della società e il cristianesimo politico ne è l’unica garanzia di conservazione. Lammenais è anche convinto dell’instabilità delle istituzioni rivoluzionarie e della Restaurazione: quest’ultima non ha preso a sufficienza le distanze dai principi rivoluzionari. Egli condanna la violenza intrinseca, e la prevaricazione verso la Chiesa. Matura così una radicale ostilità alla gestione borghese della politica post-rivoluzionaria e la condizione di dare vita a un partito cattolico. ➢ Cortés Egli reagisce piuttosto alla rivoluzione europea del 1848. Il punto di partenza teorico è la legge naturale dell’ordine, cioè l’assunto che l’ordine politico possa essere fondato solo su Dio, il quale giustifica le strutture gerarchiche di dominio nella società e nello Stato. Egli condivide anche la spiegazione teologica-politica della storia: al teismo corrisponde l’assolutismo regio, al deismo il liberalismo costituzionale, al panteismo la democrazia, e all’ateismo il socialismo. Si tratta di una decadenza inarrestabile. Consapevole che la rivoluzione del 1789 ha segnato il declino definitivo del principio di legittimità divina dei re, la rivoluzione del 1848 determina la fine di ogni sogno di restaurazione. Egli è consapevole dello stretto rapporto tra ordine religioso e politico. Al nemico assoluto si può rispondere con l’affermazione assolutamente sovrana, con una decisione in favore della dittatura cattolica come risposta alla rivoluzione democratica e socialista. Liberalismo e positivismo in Francia Interpretazione controrivoluzionaria più moderata. Le dinamiche politiche della rivoluzione hanno rivelato che libertà e democrazia entrano in reciproca contraddizione: un governo democratico può trasformare le beffi in ostacoli alla libertà. ➢ Saint-Simon Vuole gettare le basi di una costruzione nuova, in grado di riportare la politica al suo fine di costruire la felicità sociale, individuandone la garanzia nell’industria. La società industriale è l’unica dotata di un principio positivo di azione, ossia la produzione di beni. In questo la società può trovare una base di unità e di organizzazione. Questa prospettiva si inquadra all’interno di una filosofia della storia che si basa sull’alternarsi di epoche organiche, in cui i rapporti politici e sociali sono armonici e integrati. Il progresso scientifico ha invece privato di legittimità l’organizzazione sociale del Medioevo e dell’età moderna; l’epoca contemporanea ha quindi bisogno di un nuovo ordine. La filosofia positiva è quella scienza che individua le vere leggi fondamentali della natura e della società. La politica è una parte della scienza generale e va riorganizzata in conformità con lo spirito del nuovo sistema scientifico. Si profila così il sogno di una politica perfettamente conoscibile, certa e stabile, che affida a una classe il compito di anticipare il trionfo politico del sapere. Questa prospettiva ha come scopo di accrescere la ricchezza nazionale con la produzione e trova il suo principio nella cooperazione sociale. La società industriale è concepita come un’età positiva e scientifica. Per Saint-Simon il principale problema sociale consiste nel conflitto tra ceti produttivi e ceti improduttivi. Questi ultimi sono forti dai ceti tradizionali che si distinguono per i privilegi o la gloria, e non per il sapere. Il governo diventa così semplice amministrazione delle cose; la vittoria dei ceti produttivi consiste nell’edificazione di una società senza Stato, in cui solo il lavoro e il sapere sono i fattori di ascesa sociale. ➢ Comte Afferma che il sistema di società industriale è destinato a poggiare sulla conciliazione tra ordine e progresso, che può essere assicurata dal potere degli scienziati positivo e degli industriali. Comte afferma la priorità dello sviluppo intellettuale su quello politico: nel momento in cui tutte le scienze avranno raggiungo lo stato positivo, allora ci sarà la completa edificazione della società industriale. Lo stadio positivo si configura come la conclusione di un processo storico articolato in 3 età - teologica, metafisica e scientifica - a cui corrispondono tre stadi di evoluzione delle scienze: 1. Lo stadio teologico o fittizio segna il passaggio dell’uomo dalla natura alla cultura. Qui la società è fondata sul lavoro degli schiavi e sulla guerra, mentre il governo è teocratico e militare. 2. Lo stadio metafisico o astratto afferma l’individualismo, l’egoismo, l’utilitarismo che esprimono una società basata su un astratto patto sociale che attribuisce la sovranità al popolo. 3. Lo stadio scientifico o positivo è promosso dalla filosofia positiva, la quale realizza una scienza della società, la sociologia, condizione di una società pacifica e produttiva. Si oppongo poi una tendenza disorganica e una organica all’interno della società. L’antagonismo tra imprenditori e lavoratori viene ricondotto alla incompiutezza della società industriale; per questo è necessario il coordinamento e la promozione della società industriale come il sistema definitivo di organizzazione sociale. La filosofia positiva si trasforma in una religione positiva. L’equilibrio tra ordine e progresso pone la morale e la religione al vertice di un sapere rivolto alla comprensione dell’umanità, intesa come grande essere. Il positivismo diventa così una religione dell’umanità. Società e nazione John Mill L’attenzione agli aspetti qualitativi della felicità sono rimasti elementi costanti nella sua produzione filosofica. Egli si differenziava dall’utilitarismo precedente nel tentativo d introdurre una gerarchia dei piaceri che riconosceva la superiorità delle disposizioni intellettuali e sociali sulla ricerca del piacere sensibile. Si ha quindi una diversa concezione del rapporto tra benessere individuale e benessere collettivo. Inoltre, Mill aderisce a posizioni proprie del radicalismo. Egli fu molto interessato per la questione sociale e le condizioni delle classi lavoratrici, accentuato dal confronto con le rivendicazioni politiche del movimento cartista. Nei Principi di economia politica apporta una modifica essenziale al liberalismo economico: distingue tra sfera della produzione e sfera della distribuzione e dello scambio. Si apre così la possibilità teorica di un intervento redistributivo dello Stato, teso a moderare i contrasti di classe. Diventa così difficile circoscrivere le funzioni del governo tra sfera pubblica e privata. Mill afferma che i governi assumo poteri che possono essere giustificati solo dal fatto che corrispondono alla convenienza generale. Simile a questo criterio vi è il criterio dell’autoprotezione: lo scopo per il quale l’umanità è giustificata a interferire nella libertà d’azione di chiunque è quello di autoproteggersi. Ma la tirannia della maggioranza è come una tirannia sociale più potente di qualsiasi oppressione politica, e coincide con le pressioni esercitate sul singolo individuo dall’opinione pubblica. La triplice definizione della libertà - di coscienza, di seguire i propri gusti, di associazione - presuppone un modello di autonomia individuale. Lo spazio pubblico dell’opinione si rivela il luogo di formazione di una mediocrità collettiva, la quale tende a soffocare il carattere dell’individuo. In Considerazioni sul governo rappresentativo Mill riconosce l’importanza delle opinioni e convinzioni di personalità influenti. La riflessione intellettuale, il coraggio, sono elementi fondamentali del carattere che il governo rappresentativo deve promuovere. Qui Mill sostiene inoltre l’inopportunità di limitare il suffragio, se non alla base del principio per cui i titolari del diritto di voto sono coloro che pagano le tasse. Egli quindi non mette in discussione il principio essenziale per cui i diritti politici non possono essere riconosciuti a chi non è in grado di mantenersi da solo; si pone così il rischio di una legislazione di classe imposta da una maggioranza numerica che appartiene a una sola classe sociale, quella dei lavoratori manuali. Per risolvere questo problema Mill ritiene necessaria la garanzia della rappresentanza delle minoranze adottando il sistema proporzionale. Egli insiste sulla necessità di prevedere un criterio di differenziazione del peso dei singoli elettori, attribuendo una pluralità di voti ai membri di determinati gruppi sociali. I rischi del governo rappresentativo possono essere contrastati da una rappresentanza privilegiata per la cultura; questa cultura deve plasmare l’opinione pubblica a cui spetta il compito di controllare il corpo rappresentativo e il governo. Il rappresentante è investito di un mandato libero: deve valorizzare la propria personalità e seguire solo la propria coscienza. Mill si distinse anche grazie alle sue battaglie per il suffragio femminile. Il suo pensiero in merito fu particolarmente influenzato da Harriet Taylor. Harriet Taylor promosse il movimento delle suffragette; si ricollegava agli scritti protofemministi di diverse autrici, tra cui Mary Wollstonecraft, la quale proponeva un’analogia tra la posizione della donna nel contratto matrimoniale e la schiavitù. Ma questo tipo di femminismo, rivolgendosi soprattutto alle donne della classe media, fece nascere opposizioni da parte delle donne socialiste. Queste ponevano l’accento sulla connessione tra la posizione subordinata delle donne e la struttura del modo di produzione capitalistico. Mill è molto netto nell’insistere sull’origine storica della subordinazione della donna all’uomo, riprendendo l’analogia tra matrimonio e schiavitù, e criticando il poter fondare la soggezione femminile sui sentimenti. Egli afferma che il contratto matrimoniale e le sue conseguenze configura una contraddizione rispetto alle tendenze liberali e democratiche delle società progressiste. Liberalismo e darwinismo sociale ➢ Spencer Spencer condivide con Darwin l’idea che un unico principio evolutivo dominava gli sviluppi naturali così come quelli sociali e politici. Darwin stesso riprese da Spencer la formula della sopravvivenza del più adatto. Spencer afferma un parallelismo tra il processo di differenziazione e il progredire della divisione del lavoro. Lo sviluppo storico viene descritto come una traiettoria lineare che conduce dalle società militari all’affermazione della società industriale. Nell’opinione di Spencer la società industriale e il suo sviluppo tende a realizzare una superiore armonia sociale. Tuttavia, egli ritene che il conflitto e gli egoismi individuali abbiano un ruolo