Scarica Riassunto del manuale La linguistica corso introduttivo e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! RIASSUNTO LA LINGUISTICA UN CORSO INTRODUTTIVO CAPITOLO 1 IL LINGUAGGIO VERBALE 1.1 Linguistica, lingue, linguaggio, comunicazione La linguistica è il ramo delle scienze umane che studia la lingua. Possiamo suddividere lo studio della lingua in due sottocampi principali: la linguistica generale e la linguistica storica. La linguistica generale studia cosa sono, come sono fatte e come funzionano le lingue; la linguistica storica si occupa dell’evoluzione che fanno le lingue nel tempo e dei rapporti fra le lingue e fra lingua e cultura. Oggetto della linguistica sono dunque le lingue storico-naturali, ovvero quelle lingue nate spontaneamente lungo il corso della civiltà umana e usate ora o nel passato. Tutte le lingue storico- naturali sono espressione del linguaggio verbale umano. Non ne fanno eccezione i dialetti, basati su considerazioni sociali e storico-culturali, in funzione della distribuzione negli usi linguistici della comunità e del prestigio dei singoli sistemi linguistici. Per inquadrare il linguaggio verbale umano fra i vari tipi e modi di comunicazione, si può partire dalla nozione di segno. Un segno è qualcosa che sta per qualcos’altro e serve per comunicare quel qualcos’altro in oggetto. Sostanzialmente tutto può comunicare qualcosa, ogni fatto culturale è suscettibile di essere interpretato da qualcuno e quindi dare/veicolare qualche informazione. In senso lato, comunicare equivale a “passaggio di informazione”. È più utile però parlare di comunicazione in senso più stretto, quindi va introdotto il concetto di intenzionalità: si ottiene la comunicazione quando c’è un comportamento prodotto dall’emittente al fine di far passare l’informazione, che viene recepita dal ricevente. In caso contrario, si parla di passaggio di informazione. Si distinguono tre categorie della comunicazione, a seconda del carattere dell’emittente e del ricevente e dell’intenzionalità del loro comportamento: A. COMUNICAZIONE IN SENSO STRETTO: 1. Emittente intenzionale; 2. Ricevente intenzionale (es. la comunicazione umana, gesti, segnalazioni stradali, etc) B. PASSAGGIO DI INFORMAZIONE 1. Emittente non intenzionale; 2. Ricevente/interpretante intenzionale (es. posture del corpo, sintomi di condizione fisica, etc) C. FORMULAZIONE DI INTERFERENZE 1. Nessun emittente, ma presenza di un oggetto culturale che viene interpretato come volto a fornire un’informazione; 2. Interpretante (che quindi davanti all’oggetto culturale coglie l’informazione, es. modi di vestire -> informazione). Le tre categorie devono avere un insieme di conoscenze di riferimento (il codice) che permette di interpretare correttamente l’informazione decodificando il valore dei segni; il segno diventa via via più vago e indeterminato e l’informazione che esso veicola è più lasca, affidata all’attività interpretante e possibile di fraintendimenti. Comunicare è quindi da intendere come trasmissione intenzionale di informazione. 1.2 Segni, codice La singola entità che fa da supporto alla comunicazione o al passaggio di informazione è un segno, in senso lato. Esistono diversi tipi di segni, e possono essere classificati sui criteri dell’intenzionalità e della motivazione relativa, cioè il grado di rapporto naturale esistente tra le due facce del segno (il sopracitato “qualcosa e qualcos’altro”). Indicati in climax ascendente: 1. INDICI (sintomi): motivati naturalmente e non intenzionali, basati sul rapporto causa o condizione scatenante; 2. SEGNALI: motivati naturalmente/usati intenzionalmente, come latrati di cane ad indicare un allarme, sbadiglio volontario come segno di noia; 3. ICONE: motivati analogicamente/intenzionali, basati sulla similarità di forma o struttura, riproducono proprietà dell’oggetti designato come carte geografiche, guide turistiche, onomatopee; 4. SIMBOLI: motivati culturalmente/intenzionali, come il colore nero per il lutto, il colore bianco per il matrimonio, alzarsi in piedi davanti a un superiore; 5. SEGNI (in senso stretto): non motivati - arbitrari, basati su mera convenzione/intenzionali, come la lingua dei segni, il suono al telefono di una linea occupata. Tenendo presente questo schema possiamo allora definire come segue quattro tipi di arbitrarietà della lingua. a. Ad un primo livello è arbitrario il rapporto o legame tra segno nel suo complesso e referente; b. A un secondo livello è arbitrario il rapporto fra significante e significato; c. A un terso livello è arbitrario il rapporto tra forma inteso come struttura, e sostanza, inteso come materia, del significato; d. Ad un quarto livello è altrettanto arbitrario il rapporto tra forma e sostanza del significante: ogni lingua organizza secondo propri criteri la scelta di suoni pertinenti, distinguendo in una certa maniera le entità rilevanti della materia fonica. Vi sono anche alcuni segni linguistici che appaiono almeno in parte motivati come ad esempio le onomatopee, che riproducono o richiamano nel loro significante caratteri fisici di ciò che viene designato. Presentano quindi un aspetto più o meno iconico. Va tuttavia notato che anche le onomatopee e le voci imitative possiedono un certo grado di integrazione nella convenzionalità arbitraria del singolo sistema linguistico. Tintinnio per esempio unisce una parte chiaramente onomatopeica (tintin) al suffisso arbitrario -io. Più strettamente iconici sarebbero gli ideofoni, espressioni imitative o interiezioni descrittive che designano fenomeni naturali o azioni, usate tanto nei fumetti come boom e bum, zac, etc. Il principio di iconismo è evidente anche nella creazione di alcuni plurali nelle lingue, per dare il senso di molteplicità aggiungendo materiale linguistico, come ad esempio ‘bambino’/’bambini’, l’inglese ‘child’/’children’. Un’altra prospettiva che tende a vedere nei segni linguistici più motivazione di quanto sembrerebbe è l’importanza del fonosimbolismo, affermando che certi suoni avrebbero per la loro stessa natura associati a sé certi significati, ad esempio il suono i di vocale chiusa richiamerebbe cose piccole e quindi le parole che contengono i designerebbero di preferenza la proprietà di essere piccolo o oggetti piccoli. 1.3.3 Doppia articolazione La doppia articolazione consiste nel fatto che il significante di un segno linguistico è articolato a due livelli nettamente diversi. A un primo livello, il segno linguistico è organizzato e scomponibile in unità portatrici di significato e che vengono riutilizzare per formare altri segni (prima articolazione): la parola gatto è scomponibile in due pezzi quali gatt e o. ‘Gatt’ si può riutilizzare in gattini, gatta, sgattare, mentre ‘o’ in bello, nero, vero. Tali pezzi costituiscono le unità minime di prima articolazione, e non sono ulteriormente articolati in elementi più piccoli che rechino ancora un proprio significato. Non è possibile assegnare a ‘g’, ‘a’ ‘tt’ un proprio significato. Ogni segno linguistico è analizzabile e scomponibile in elementi di prima articolazione. Le unità minime di prima articolazione, che chiameremo morfemi, poiché sono associazioni di un significante e un significato, sono ancora segni, i segni più piccoli. Ad un secondo livello, quindi seconda articolazione, esse sono a loro volta scomponibili in unità più piccole che non sono più portatrici di significato autonomo e che combinandosi insieme in successione danno luogo ad entità di prima articolazione. Sono questi chiamati fonemi. La doppia articolazione, fondamentale nel linguaggio, consente l’economicità di funzionamento della lingua: con un numero limitato di fonemi, unità di seconda articolazione, si può costruire un numero indefinito di morfemi, unità dotate di significato. È molto importante quindi anche il principio di combinatorietà: combinando unità minori possedute in inventario limitato prive di significato proprio possiamo formare un numero indefinito di unità maggiori (segni). 1.3.4. Trasponibilità di mezzo Il significante oltre ad essere doppiamente articolato, può essere trasmesso o realizzato attraverso il mezzo di aria (canale fonico-acustico), sotto forma di sequenza di suoni e rumori prodotti dall’apparato fonatorio umano che si propagano in onde sonore e vengono ricevuti dall’apparato uditivo. Può essere trasmesso anche attraverso il mezzo di luce (canale visivo-grafico), tracciati sulla carta o su un altro supporto solido e ricevuti tramite l’apparato visivo. Tale proprietà viene chiamata trasponibilità di mezzo. Il carattere orale è prioritario rispetto a quello visivo: il canale fonico-acustico appare per varie ragioni il canale primario. Il parlato è prioritario antropologicamente rispetto allo scritto. Tutte le lingue che hanno una forma e un uso scritto sono o sono state anche parlate, mentre non tutte le lingue parlate hanno anche forma o uso scritti. Inoltre si ha anche una prevalenza statistica: giornalmente si parla più di quanto si scrive. C’è una priorità ontogenetica del parlato: l’individuo umano impara prima, e per via naturale, spontanea, a parlare e solo in un secondo tempo, e attraverso addestramento guidato specifico, a scrivere. C’è poi una proprietà filogenetica del parlato: nella nostra storia della specie, la scrittura si sviluppata certamente dopo il parlato. Box 1.1 - Sistemi di scrittura Per una classificazione dei sistemi di scrittura, occorre distinguere innanzitutto sistemi semasiografici e sistemi glottografici. I sistemi semasiografici non fanno uso di simboli linguistici, mentre i sistemi glottografici sì. Come esemppio di sistemi semasiografici abbiamo le pittografie, che adottano convenzionalmente come elementi di scrittura dei diegni motivati analogicamente, specie di oggetti. Altro esempio sono le ideografie, che assumono come elementi di scrittura dei simboli grafici che rappresentano iconicamente concetti o idee. I sistemi glottografici si suddividono ulteriormente in sistemi non fonetici e sistemi fonografici. I primi non hanno basi fonetiche, fanno riferimento a unità di significato e in genere ad unità minime di prima articolazione, i morfemi: nella maggioranza dei sistemi logografici moderni si tratta di una scrittura di morfemi. I secondi rappresentano invece i suoni del linguaggio, quindi ganno riferimento a unità di seconda articolazione; si richiamano all’inventario fonetico di una certa lingua. Ci soo così sistemi fonografici basati su sillabe, altri su consonanti o consonanti e vocali, e altri ancora su tratti articolatori. Qualunque sistema potrà poi fornire una rappresentazione più o meno completa, o più coerente, di tutte le unità rilevanti per la propria lingua di riferimento. Logografia o morfografia Ogni carattere sta per un morfema; sono sistemi di scrittura con componenti logografiche il cinese, il sumero, etc. Il cinese ad esempio conta più di 40.000 caratteri e più del 90% combina la rappresentazione di significati e suoni; combina componenti logografiche e componenti fonografiche. Ogni carattere denota un morfema e una sillaba quindi ogni carattere è composto da un elemento di scrittura che indica l’area concettuale, lo spazio semantico, e un elemento che ne indica molto approssimativamente il suono. Sillabografia Ogni carattere sta per una sillaba. Ogni carattere rappresenta una combinazione di fonemi diversa, quindi una sillaba diversa. Abjad Ogni carattere sta per una consonante. Il passaggio per l’Abjad porterà all’alfabeto. Le consonanti portano il significato letterale; alcune parole si vocalizzano. Le vocali fanno quindi da supporto grammaticale, ma rimangono comunque perlopiù consonanti. Abugida Ogni carattere sta per una combinazione sillabica di consonante e vocale. Si ha in genere un carattere di base, che denota una consonante accompagnata da una vocale non marcata a cui si aggiunge qualche elemento grafico per denotare altre vocali o l’assenza di vocali. La vocale aggiunta è una vocale standard, solitamente la ‘a’. Alfabeto Ogni carattere sta per una vocale o consonante notate obbligatoriamente. Come primo alfabeto troviamo quello greco, da cui deriva l’alfabeto cirillico e latino. linguaggio è quindi libero da stimoli, e si intende dire che i segni linguistici rimandano a un’elaborazione concettuale della realtà esterna e non semplicemente stati dell’emittente. 1.3.9 Trasmissibilità culturale Ogni lingua è trasmessa per tradizione. Il patrimonio lessicale passa da una generazione all’altra per insegnamento/apprendimento spontaneo, non attraverso informazioni genetiche o ereditarie. Al contrario, la componente innata, facente parte del patrimonio genetico della specie umana è anch’essa specialmente importante nel linguaggio verbale: in esso vi è infatti sia una componente culturale-ambientale che specifica quale lingua impariamo e parliamo, sia una componente innata che fornisce la ‘facoltà del linguaggio’. L’interazione tra componente innata e culturale-ambientale fa sì che non solo il processo di acquisizione/apprendimento sia fondamentale, ma anche il periodo della prepubertà linguistica dei 11-12 anni. 1.3.10 Complessità sintattica Nella comunicazione sono molto importanti i rapporti tra gli elementi ed è importante che essi siano disposti in modo lineare. Questa proprietà è chiamata appunto complessità sintattica, e tra gli aspetti più rilevanti della complessità sintattica ci sono: a. L’ordine degli elementi contigui, le posizioni lineari in cui essi si combinano: solo l’ordine ci permette di capire chi è che picchia nell’esempio Gianni picchia Giorgio; b. Le relazioni strutturale e le dipendenze che vigono fra elementi non contigui: il libro di Chomsy sulle strutture sintattiche, l’elemento sulle strutture sintattiche non riguarda Chomsky ma il libro; c. Le incassature: il cavallo che corre senza fantino sta vincendo il palio, dove la parte che corre senza fantino è incassata dentro la parte il cavallo sta vincendo il palio; d. La ricorsività, che conferisce alle strutture un particolare di complessità interna; e. La presenza di parti del messaggio che danno informazioni sulla sua strutturazione sintattica; in genere solo tali le congiunzioni coordinanti come e, ma, ecc., e subordinanti come che, perché, ecc.; f. La possibilità di discontinuità nella strutturazione sintattica. Le costruzioni ammesse dalla lingua possono ammettere o richie4dere la separazione di parti strettamente unite dal punto di vista sintattico, come ad esempio accade in tedesco lì dove il verbo al participio è posto alla fine della frase. 1.3.11 Equivocità La lingua è un codice tipicamente equivoco. È equivoco un codice che pone corrispondenze plurivoche fra gli elementi di una lista e quelli della lista a quella associata. Possiamo pensare ad esempio alla parola carica: il sindaco è in carica da quattro mesi, il telefono è in carica, il cavallo partì alla carica, l’automobile è carica di pacchi. Questa equivocità rappresenta quindi un vantaggio: intimamente connessa con l’onnipotenza semantica e la produttività, l’equivocità del codice lingua contribuisce a consentire l’eccezionale flessibilità dello strumento linguistico e la sua adattabilità ad esprimere contenuti ed esperienze nuove. 1.3.12 Lingua solo umana? Si è ipotizzato negli anni, anche dopo vari esperimenti, che nonostante alcuni animali, le stesse scimmie, riescano a comunicare e farsi capire ma non con l’utilizzo di una lingua. Difatti, la lingua è tipica degli esseri umani così come altri tipi di comunicazione sono previsti per gli esseri animali. In particolare, solo l’uomo possiede le precondizioni anatomiche e neurofisiologiche necessarie per l’elaborazione mentale e fisica del linguaggio verbale, vale a dire adeguato volume del cervello e conformazione del canale fonatorio, cosiddetta ‘a due canne’ inteso il cavo orale e la laringe. 1.3.13 Definizione di lingua La lingua è un codice che organizza un sistema di segni dal significante primariamente fonico- acustico, fondamentalmente arbitrari ad ogni loro livello e doppiamente articolati, capaci di esprimere ogni esperienza esprimibile, posseduti come conoscenza interiorizzata che permette di produrre infinite frasi a partire da un numero finito di elementi. 1.4 PRINCIPI GENERALI PER L’NALISI DELLA LINGUA 1.4.1 Sincronia e diacronia La prima distinzione da fare è tra sincronia e diacronia. Per diacronia si intende la considerazione delle lingue e degli elementi della lingua lungo lo sviluppo temporale, nella loro evoluzione storica. Per sincronia si intende invece la considerazione delle lingue e degli elementi della lingua facendo un ‘taglio’ sull’asse del tempo e guardando a come essi si presentano in un determinato momento agli occhi e all’esperienza dell’osservatore, nel loro stato presente e nei rapporti in cui si trovano in quello stato, prescindendo da quella che è stata la loro evoluzione temporale. Un esempio di operazione diacronica è l’etimologia, processo per cui si va a cercare e ricostruire la storia della parola e spiegare le eventuali modifiche eventualmente avvenute nel significante e nel significato. Descrivere, invece, il significato che hanno oggi le parole in italiano, o studiare com’è la struttura sintattica delle frasi semplici in una lingua, sono operazioni di natura sincronica. Nei fatti linguistici concreti è peraltro impossibile separare nettamente la dimensione sincronica da quella diacronica, giacché un qualunque elemento della lingua in un certo momento è quello che è sia in virtù delle relazioni che intrattiene con gli altri elementi del sistema linguistico (visuale sincronica) sia in virtù della sua storia precedente che lo ha portato alla condizione attuale (visuale diacronica), e c'è un rimando continuo fra sincronia e diacronia. Si noti altresì che la sincronia assoluta di fatto non esisterebbe, giacché la lingua, come tutti gli altri fatti di cultura, è almeno in parte costantemente in movimento lungo l'asse del tempo: talché l'assoluta sincronia, cioè l'azzeramento dell'asse del tempo, è in una certa misura una (necessaria) finzione teorica. Quindi la linguistica sincronica spiega come è fatta e come funziona una lingua, mentre la linguistica diacronica spiega perché le forme di una determinata lingua sono fatte così. 1.4.2 Langue e parole La seconda distinzione importante da fare è quella fra il sistema astratto e realizzazione concreta. La distinzione è rappresentata in linguistica secondo tre terminologie importanti: la coppia langue e parole del pensiero di De Saussure, l’opposizione tra sistema e uso, l’opposizione tra competenza ed esecuzione. Con langue si intende l’insieme di conoscenze mentali, di regole interiorizzate; con parole si intende l’atto linguistico individuale, ovvero la realizzazione concreta. Quindi per realizzare il concetto di parole, è necessario il concetto di langue per applicare la competenza. Coseriu pone una terza entità tra langue e parole: la norma. La norma è un filtro che si pone tra i due specificando quali sono le possibilità del sistema che vengono attualizzare nell’uso dei parlanti di una lingua in un certo momento storico. Con la norma riusciamo a distinguere parole che si possono utilizzare come affidamento, e quelle che invece no, come affidazione. La norma sarebbe dunque sociale e concreta, in quanto rappresenta l’insieme delle realizzazioni condivise del sistema. La lingua come sistema si manifesta nell’esperienza fattuale sotto forma di atti di parole. Ciò che interessa al linguista quindi è la langue, il sistema, la competenza: per studiare e svelare la langue il linguista deve partire dalla parole. Porre al centro dell’attenzione del linguista la langue significa porre l’astrazione e l’idealizzazione come momento necessario dell’analisi scientifica. 1.4.3 Paradigmatico e sintagmatico La terza dimensione preliminare è quella fra asse paradigmatico e asse sintagmatic. Tale distinzione concerne un duplice istaurarsi di rapporti nel funzionamento del sistema linguistico e nella produzione di messaggi verbali. Ogni attuazione di un elemento del sistema di segni in una certa posizione nel messaggio implica una scelta in un paradigma di elementi selezionabili in quella posizione: l’elemento che compare effettivamente esclude tutti gli altri elementi, e coi quali quel dato elemento ha appunto rapporti sull’asse paradigmatico. D’altra parte e contemporaneamente l’attuazione di quell’elemento in una certa posizione implica la presa in conto degli elementi che compaiono nelle posizioni precedenti e susseguenti dello stesso messaggio, coi quali quel dato elemento ha appunto rapporti sull’asse sintagmatico e coi quali quindi deve sussistere una coerenza sintagmatica, lungo lo sviluppo lineare del messaggio. L’organizzazione secondo i due principi dell’asse paradigmatico e dell’asse sintagmatico da luogo alla diversa distribuzione degli elementi della lingua, permettendo di riconoscere classi di elementi che condividono le stesse proprietà di distribuzione in opposizione a quelli che hanno distribuzione diversa. 1.4.4 Livelli d’analisi Esistono quattro livelli di analisi della lingua stabiliti in base alle due proprietà della biplanarità e della doppia articolazione, che identificano tre strati diversi del segno linguistico: lo strato del significante inteso come mero significante, lo strato del significante in quanto portatore di significato, lo strato del significato. CAPITOLO 2 Un altro parametro importante è la posizione delle labbra al momento dell’articolazione. Le labbra possono trovarsi distese oppure possono essere tese e protuse, dando una specie di arrotondamento. Le vocali prodotte in questo modo sono chiamate appunto ‘arrotondate’. Le vocali possono essere anche nasali. 2.1.4 Semivocali Vi suono suoni con un’articolazione intermedia fra vocali e consonanti fricative, le approssimanti. Fra le approssimanti vi sono suoni di fatto assai vicini alle vocali, di cui condividono la localizzazione articolatoria e che vengono appunto chiamati ‘semivocali’. 2.1.5 Trascrizione fonetica Per scrivere i suoni usiamo le grafie alfabetiche. Le grafie alfabetiche formatesi storicamente per convenzione e accumulo di abitudini grafiche sono però tutt’altro che univoche e coerenti. Allo stesso singolo suono possono corrispondere nella stessa lingua o in lingua diverse più grafemi differenti. L’esempio è la lettera ‘c’ che davanti a cane (davanti a vocale anteriore) ha un suono, mentre nella parola cena ha un suono diverso. L’ortografia italiana rimane comunque molto fedele alla fonografia. Per ovviare alle incongruenze delle grafie tradizionali ed avere uno strumento di rappresentazione grafica dei suoni del linguaggio, valido per tutte le lingue, che riproduca scientificamente la realtà fonica, i linguisti hanno elaborato sistemi di trascrizione fonetica, in cui c’è corrispondenza biunivoca fra suoni rappresentati e segni grafici che li rappresentano. Il più diffuso e importante dei sistemi usati per la trascrizione dei suoni è l’Alfabeto Fonetico Internazionale. 2.1.6 Consonanti OCCLUSIVE Bilabiali: [p] sorda, come in pollo; [b] sonora come in bocca [‘bokka]; Dentali: [t] come in topo, [d] come in dito; Velari: [k] come in cane [‘kane], [g] come in gatto [‘gatto]; Uvulari: [q] sorda come in Iraq; Glottidali: [?] che si trova per esempio in tedesco all’inizio di ogni parola cominciante per vocale. FRICATIVE Bilabiali: [ɸ] sorda, come nella pronuncia fiorentina di tipo [‘tiɸo], [β] sonora come in spagnolo cabeza; Labiodentali: [f]come in filo, [v] come in vino Palatali-postalveolari; [ ʃ ] come in sci, [ʒ] come in francese jour; Velari: [x] come in tedesco Buch, [ɣ] come in spagnolo agua [‘aɣwa]; Faringali: [ʕ] sonora come in Iraq [ʕi’raq] Glottidali: [h] sorda, come in inglese have. AFFRICATE Labiodentali: [pf] sorda come in tedesco Apfel; Dentali: [ts] come in pazzo, [dz] come in zona Palatali: [t ʃ ] come in cibo [‘t ʃibo], [dʒ] come in gelo [‘d ʒelo]. NASALI Bilabiali: [m] come in mano; Labiodentali: [ɱ] come invito [i ɱ’vito]; Dentale: [n] come in nave; Palatale: [ɲ] come gn in gnocco [‘ɲokko]; Velare: [ŋ] come in fango [‘faŋgo]; LATERALI Dentali: [ l ] come in lana; Palatale: [ʎ] come in gli [ʎi]. VIBRANTI Dentali: [r] come in riva; Uvulari: [R] come in francese rose. 2.1.7 Vocali e semivocali ANTERIORI Semivocale: [j] come in piano [‘pjano], [ⱱ] cosiddetta ‘erre moscia’. Vocali: [i] alta come in vino, [ I ] fra alta e medio-alta come in inglese bit, [ᶾ] come in italiano standard bene; 2.2.4 Sillabe Le minime combinazioni di fonemi che funzionano come unità pronunciabili e possano quindi essere utilizzate come ‘mattoni preconfezionati’ per costruire la forma fonica delle parole sono le sillabe. Una sillaba è sempre costruita attorno ad una vocale: una consonante o una semivocale ha sempre bisogno di appoggiarsi a una vocale che costituisce quindi il picco sonoro detto ‘apice’ o ‘nucleo’ della sillaba. In certe lingue, anche alcune consonanti come r e l possono fungere da apice di sillaba quindi saranno caratterizzate dal tratto /+sillabico/. La struttura fonica della parola è data da un’alternanza continua fra foni più tesi e ‘chiusi’ con minore sonorità (le consonanti) e foni più rilassanti e aperti (le vocali). Ogni sillaba è formata da almeno una vocale e da un certo numero di consonanti. Una vocale da sola può pertanto costituire sillaba. In ogni lingua vi sono delle sillabiche canoniche preferenziali. In italiano è (C=cons. – V=voc.) CV, come in [‘ma:no]; V come in [‘ape], VC come in [‘alto] – [al]+[to]; CCV come in [‘stile] – [sti]+[le], CVC come in [‘kanto] – [kan]+[to]; CCCV come in [‘strano] – [stra]+[no]. Un criterio pratico per l’italiano è che due consonanti contigue all’interno di una parola sono assegnate entrambe alla sillaba che ha come nucleo la vocale seguente. Le consonanti doppie o lunghe vanno divise. Con una terminologia più tecnica, la parte che precede la vocale è detta ‘attacco’, la parte centrale, quindi la vocale, è il ‘nucleo’ e la parte finale è chiamata ‘coda’. Una combinazione interessante sono i dittonghi, ovvero la combinazione di una semivocale e una vocale. Se la sequenza è V + semiV, avremo un dittongo discendente come in auto [‘awto] – [aw]+[to]; Se la sequenza è semiv + V avremo un dittongo ascendente come in pieno [‘pjɛ:no] – [piɛ]+[no] Possiamo anche incontrare i ‘trittonghi’ come in aiuola [a’jwoᴐ:la]. 2.3.1 Accento L’accento è la particolare forza o intensità di pronuncia di una sillaba relativamente ad altre sillabe, che fa sì che in ogni parola una sillaba (detta tonica) presenti una proeminenza fonica rispetto alle altre (sillabe atone). L’accento in italiano, è dinamico o intensivo, dipendente dalla forza con cui sono pronunciate le sillabe: la sillaba tonica è tale grazie a un aumento del volume della voce. L’accento non va confuso con l’accento grafico, simbolo diacritico impiegato per indicare nella grafia la posizione dell’accento fonico nelle parole ossitone e anche per altri scopi come ad esempio indicare la differenza tra da e dà. La posizione dell’accento all’interno di una parola su cui cade l’accento può essere libera o fissa. In italiano l’accento è tipicamente libero. Può trovarsi: 1. Sull’ultima sillaba: es. qualità; la parola si dice ‘tronca’ o ‘ossitona’; 2. Sulla penultima sillaba: es. piacere; la parola si dice ‘piana’ o ‘parossitona’; 3. Sulla terzultima sillaba: es. camera, la parola si dice proparossitona; 4. Sulla quartultima sillaba: fenomeno che si verifica più raramente; es. capitano (verbo); 5. Sulla quintultima sillaba: si verifica con parole composte con pronomi clitici es. fabbricamelo; Si chiamano clitici quegli elementi che nella catena fonetica non possono rappresentare la sillaba prominente e recare quindi accento proprio, e devono dunque ‘appoggiarsi’ su un’altra parola. Inoltre l’accento serve a differenziare le parole, a seconda della sua posizione, come ad esempio la voce verbale “capitano” e il nome “capitano”. 2.3.2 Tono e intonazione I fenomeni di tonalità e intonazione riguardano l’altezza musicale con cui le sillabe sono pronunciate e la curva melodica a cui la loro successione da luogo. ‘Tono’ è l’altezza relativa di pronuncia di una sillaba, dipendente dalla tensione delle corde vocali e della laringe, quindi dalla velocità e frequenza delle vibrazioni delle corde vocali; queste determinano la ‘frequenza fondamentale’ che è il principale parametro dei fenomeni di tonalità. In molte lingue, dette lingue tonali, il tono può distinguere parole diverse per il resto foneticamente del tutto uguali. L’intonazione è invece l’andamento melodico con cui è pronunciata una frase o un gruppo tonale. È una sequenza di toni che conferisce all’emissione fonica nel suo complesso una certa curva melodica. Il contorno intonativo degli enunciati è l’elemento principale a fornire l’informazione cruciale che distingue il valore interrogativo di un enunciato, associato a una intonazione ascendente. Se si ha invece una pronuncia con contorno intonativo costante è tipica degli enunciati dichiarativi. Se la pronuncia ha un’intonazione discendente ha valore grosso modo esclamativo e caratterizza le affermazioni decise. Con indicazione della curva intonativa, potremmo rappresentare così tre diversi valori assegnati dall’intonazione all’enunciato Gianni viene: 2.2.3 Lunghezza La lunghezza riguarda l’estensione temporale relativa con cui i fini e ke sillabe sono prodotti. L’articolazione delle vocali e delle consonanti fricative può essere tenuta per più tempo rispetto alle consonanti occlusive La quantità delle vocali o delle consonanti può avere valore distintivo. In italiano la quantità o la lunghezza non ha funzione distintiva a meno che non si abbia un’opposizione tra una consonante singola e una doppia. In questa prospettiva l’opposizione lunga – breve interverrebbe a costituire coppie minime. In IPA la rappresentazione di una lunghezza è indicata dal simbolo dei due punti. Infatti la parola pazzo si può indicare con [‘pattso] e [‘patːso]. La durata delle vocali invece non ha valore. La parola mano, con a lunga o breve, rimane comunque mano e non cambia il significato come succederebbe con una consonante lunga (cane-canne). A rigore, le vocali toniche in sillaba libera sono sempre lunghe, ma il tratto non verrà mai segnalato in quanto non ha valore distintivo ma è solo un tratto espressivo. Capitolo 3: Morfologia Invece, -al- e -e- recano un significato o valore interno al sistema e alla struttura della lingua. -al- serve a formare le parole derivandole da altre parole già esistenti attaccandosi al morfema lessicale, prende il nome di morfema derivazionale. -e- serve ad attualizzare una delle varie forme in cui una parola può comparire, recando il significato previsto dal sistema grammaticale, prende il nome di morfema flessionale. All’interno della classificazione funzionale, vi è la distinzione fra morfemi lessicali e morfemi grammaticali. I morfemi grammaticali si suddividono in: Morfemi derivazionali (derivano parole da altre parole) e morfemi flessionali (danno luogo alle diverse forme di una parola). I morfemi lessicali stanno nel lessico e costituiscono una classe aperta, arricchibile di nuovi elementi. Mentre i morfemi grammaticali stanno nella grammatica e costituiscono una classe chiusa non suscettibile di accogliere nuove entità. Non sempre la distinzione fra morfemi lessicali e grammaticali è del tutto applicabile e chiara. In italiano è il caso delle parole funzionali o vuote: articoli, congiunzioni, pronomi personali, preposizioni, che formano classi grammaticali chiuse che difficilmente si possono definire morfemi grammaticali. Una distinzione che si fa di solito è la distinzione fra morfemi liberi (circa morfemi lessicali) e morfemi legati (circa morfemi grammaticali) i quali non possono comparire in isolamento ma solo in combinazione con altri morfemi. Derivazione La derivazione dà luogo a parole regolandone i processi di formazione e agisce prima della flessione, costruendo le parole. Flessione La flessione dà luogo a forme di una parola, regolandone il modo in cui si attualizzano nelle frasi, ed è obbligatoria rispetto alla derivazione. 3.2.2 TIPI POSIZIONALI DI MORFEMI Dal punto di vista della posizione, i morfemi grammaticali si suddividono in classi diverse a seconda della collocazione che assumono rispetto al morfema lessicale o radice. Una parola “piena” non è tale se non possiede un morfema lessicale. I morfemi grammaticali, dal punto di vista posizionale, possono essere chiamati affissi, gli affissi sono per definizione dei morfemi legati, che si lega con la radice (morfema lessicale). Ma esistono vari tipi di affissi: • Prefissi → nella struttura della parola si trovano prima della radice • Suffissi → si trovano dopo la radice Esempio: In inutile, in- è un prefisso (significato negativo “non”), mentre in cambiamento, cambi- - ament- -o gli ultimi due (-ament- -o) sono suffissi -ament- valore derivazionale e -o valore flessionale. I suffissi con valore flessionale che si trovano sempre in ultima posizione (in italiano) prendono il nome di desinenze. Nelle altre lingue abbiamo anche altre forme di affissi, come ad esempio gli ‘infissi’, chiamati così perché sono inseriti dentro la radice come -ic in cuoricino, campicello ma anche in latino, dove serviva per distinguere i tempi verbali: es. rumpo, rumpere “rompere”, ma al perfetto rupi, ruptum… Un altro tipo di morfemi discontinui sono i ‘circonfissi’, affissi che sono formati da due parti, una che sta prima della radice ed una che sta dopo la radice. Un caso è la formazione del participio passato in tedesco con ge-t come in gesagt, dove sagen è il verbo. I morfemi possono essere rappresentati secondo una ‘trascrizione morfematica’, in cui la forma dei morfemi si può scrivere tra le graffe indicando nella riga sottostante il loro significato e valore. In lingue come l’arabo, abbiamo anche i ‘transfissi’ che si incastrano alternativamente dentro la radice danto luogo a discontinuità sia nell’affisso che della radice. Nella radice k-t-b “scrivere/scrittura” si intercalano gli schemi vocalici -i-a o altre vocali, a seconda di ciò che si vuole esprimere sempre nello stesso campo semantico. 3.2.3 Altri tipi di fonemi Esistono anche morfemi i cui morfi non sono isolabili segmentalmente. Di questo genere sono i morfemi detti ‘sostitutivi’ percé si manifestano con la sostituzione di un fono ad un altro fono. Tali morfemi consistono infatti in mutamenti fonici della radice e quindi sono praticamente da essa inseparabili. Si pensi alla formazione del plurale di alcune parole inglesi come feet e geese, dove appunto il plurale è reso dalla modificazione della vocale della radice. Si parla in certi casi anche di morfema zero. Il morfo zero consiste nella mancata rappresentazione di una distinzione come ad esempio alcune voci latine come Consul, in cui non c’è desinenza ma è comunque un nominativo. Sono quindi i morfemi che non portano un significante, ma va ipotizzato. Esistono anche morfemi soprasegmentali in cui un determinato valore morfologico si manifesta attraverso un tratto soprasegmentale come la posizione dell’accento o il tono. In alcuni casi possiamo incontrare anche un particolare fenomeno, la ‘reduplicazione’, che consiste nella ripetizione della radice lessicale o di una sua parte. In alcune lingue come l’indonesiano ha valore grammaticale in quanto la ripetizione forma il plurale. Parliamo invece di morfemi comulativi riferendoci a morfemi che accumulano più significati: la -a in ragazz-a indica il genere, il numero. Un caso particolare e più complesso può essere ritenuto il cosiddetto amalgama, dato dalla fusione di morfemi in maniera tale che nel morfema risultante non è più possibile distinguere i due morfemi all’origine della fusione. Caso tipico è per esempio ‘col’ che deriva da con+il. 3.3 Derivazione e formazione delle parole I morfemi derivazionali mutano il significato della base a cui si applicano, modificando la classe di appartenenza della parola e la sua funzione semantica o sfumandone il senso. I morfemi derivazionali svolgono una funzione importante, ovvero quella di formare un numero indefinito di parole a partire da una certa base lessicale, dando quindi vita a famiglie di parole. Una famiglia di parole è formata quindi dalle parole derivate da una stessa radice. Nello schema qui riportato, possiamo notare parole come sociologia e nazionalsocialismo. A prima vista si potrebbe pensare che sociologia sia formata da due morfemi: socio-logia, lo studio dei soci. Siccome sociologia sta per studio della società, il morfema da considerare è socio- e non soci-. In questo caso, quindi, il morfema si muove come un prefisso ponendosi davanti ad altre radici lessicali formando nuove parole come sociolinguistica, socioterapia. Vengono chiamati ‘prefissoidi’. Esistono anche ‘suffissoidi’, cioè morfemi con significato lessicale come le radici ma che si comportano come suffissi nella formazione delle parole come -metro è suffissoide nella parola cronometro. In nazionalsocialismo abbiamo un caso che sembra simile a quello di sociologia, in cui però le due radici lessicali coesistono e mantengono entrambe il valore che avrebbero se utilizzate entrambe come autonome. Nazionalsocialismo è formato da socialismo nazionale, come posacenere è formato da posa cenere. Non vanno confuse con le parole composte in senso stretto le unità lessicali plurilessematiche o polilessematiche, costituite da sintagmi fissi che rappresentano un’unica entità di significato, non corrispondente alla semplice somma dei significati delle parole componenti, comportandosi come parole uniche. Sono talmente comuni che a volte vengono usate senza spazi, come la parola pertanto. Una posizione intermedia la occupano le formazioni bimembri come scuola guida. Sono quindi unità lessicali il cui rapporto tra le due parole costituitive non ha raggiunto il grado di fusione tipico delle vere e proprie parole composte. Altri elementi che hanno alcuni aspetti in comune con la composizione sono la lessicalizzazione delle sigle e l’unione di parole diverse che si fondono con accorciamento degli elementi costruttivi. È il caso delle sigle o degli acronimi. L’unione con accorciamento hanno dato luogo a quelle che sono state chiamate ‘parole macedonia’ come cantautore, ristobar, mapo, smog. In italiano il più importante dei procedimenti di formazione di parola è comunque la suffissazione. Fra i suffissi derivazionali più comuni ricordiamo -zion-, -ment-, che formano nomi di azione o processo o risultato a partire da basi verbali. Un meccanismo che opera in molte lingue è quello della marcatura di ‘accordo’ che prevede che tutti gli elementi suscettibili di flessione all’interno di un certo costrutto prendano le marche delle categorie flessionali per le quali è marcato l’elemento a cui si riferiscono. In italiano è obbligatorio l’accordo fra verbo e soggetto e fra i diversi componenti di un sintagma nominale. Può anche convenire nella morfologia contestuale, distinguere fra accordo e concordanza: l’accordo è riferito ai fenomeni di accordo fra gli elementi del sintagma nominale; la concordanza è riferito all’accordo delle forme verbali con elementi nominali, in particolare con il soggetto. CAPITOLO 4 SINTASSI Il termine sintassi risale già ai grammatici greci dell’epoca alessandrina. La sintassi è il livello d’analisi che si occupa della struttura delle frasi, cioè il modo in cui le parole sono disposte in frasi. La frase è quindi il costrutto che fa da unità di misure per la sintassi. È l’entità linguistica che funziona come un’unità comunicativa, cioè che costituisce un messaggio o blocco comunicativo autosufficiente nella comunicazione verbale. Una frase è identificata dal contenere una predicazione cioè un’affermazione riguardo a qualcosa, l’attribuzione di una qualità o un modo d’essere o d’agire a un’entità. Possiamo incontrare tuttavia frasi senza verbi, chiamate frasi nominali come ad esempio buona questa torta. Una frase semplice, costituita da un’unica predicazione, si può chiamare più precisamente proposizione. Le frasi si analizzano attraverso il metodo della scomposizione o segmentazione: la frase si scompone in costituenti, negli elementi più elementari della frase stessa. Viene usato il metodo degli alberi etichettati. Un albero etichettato è l’indicatore sintagmatico della frase. La distribuzione degli elementi all’interno della frase, ovvero l’insieme di contesti in cui gli elementi possono comparire nella frase, è un criterio importante per distinguere diverse classi di elementi. Per rappresentare la struttura interna di costruzioni non molto complesse è sufficiente la parentesizzazione: ogni parentesi aperta e chiusa corrisponde a un sottolivello di analisi sintattica. Le parentesi possono anche essere numerate o etichettate con gli opportuni simboli di categoria. 4.2 Sintagmi Il sintagma è la minima combinazione di parole che funzioni come un’unità della struttura della frase. I sintagmi sono costituiti da una testa. La ‘testa’ è la classe di parole che rappresenta il minimo elemento che da solo possa costituire sintagma, funzionare da un determinato sintagma. Un sintagma nominale è quindi sintagma costruito intorno ad un nome: N è la testa di SN. I pronomi possono sostituire in tutto un nome quindi possono essere loro la testa di un sintagma nominale che non conterrà N ma PRO. Il sintagma nominale minimo è un N, il sintagma nominale massimo può avere una struttura assai più complessa. Esempi: un buon uomo -> uomo è testa Vedo i monti -> vedo è testa Esistono anche sintagmi aggettivali come presente!/molto vivace Sintagmi prosizionali come lavoro per vivere bene -> vivere bene è il sintagma Sintagmi avverbiali come in molto velocemente dove velocemente è la testa e molto specifica come. I sottocostituenti dei vari tipi di sintagmi possono dare luogo a sintagmi anche assai complessi, dottati di una strutturazione interna a vari sottolivelli. Nel quadro della grammatica generativa è stato introdotto anche un SDet, Sintagma Determinante, avente come testa Det e che conterrebbe al suo interno il SN: un libro costoso, per esempio non è più solo l’analisi del SN + Det ma è direttamente SDet, dove Det. È la testa. Sempre nel quadro della grammatica generativa il tema della struttura interna dei sintagmi è stato analizzato anche con la teoria X-barra che individua i diversi ranghi di complessità di un sintagma con l’indicazione di opportuni apici (es. SN’, SV’’, ecc…). Ogni apice indica un sottolivello di crescente complessità interna del sintagma. Più sono gli apici che indicizzano il simbolo di categoria, più complesso e dotato di più sottolivelli è il sintagma interessato. Un requisito fondamentale per la corretta rappresentazione della struttura delle frasi con un indicatore sintagmatico è che, rispettando la successione lineare dei costituenti sia dato conto degli effettivi rapporti sintattici esistenti fra essi: ogni costituente deve comparirvi al rango gerarchico in cui interviene a contribuire al valore generale della frase. Particolare attenzione richiedono i sintagmi preposizionali, il cui contributo al senso della frase può porsi a livelli diversi e che quindi possono e devono essere agganciati all’opportuno nodo, anche indipendentemente dalla successione lineare: un SPrep che segua un SN non deve per forza essere attaccato al nodo del SN. Prendiamo tre frasi: a. Gianni ha letto un libro con gran piacere = con gran piacere indica il modo in cui è avvenuta l’azione di leggere quindi determina il sintagma verbale quindi determinerà dal nodo SV; b. Gianni ha letto un libro con la copertina blu= con la copertina blu determina o comunque modifica il libro quindi si attacca al nodo SN; c. Gianni ha letto un libro per tutta la notte= per tutta la notte si lega direttamente alla frase in quanto modifica tutta la frase in sé e non soltanto l’azione di leggere. Ecco gli alberi: Il principio generale è che in un albero ogni elemento che sta sul ramo di destra di un nodo modifica l’elemento che sta alla sua sinistra sotto lo stesso nodo. I verbi bivalenti sono solitamente i verbi transitivi, che attaccano sia soggetto che complemento; i verbi trivalenti richiedono anche un complemento indiretto come un complemento di specificazione o oggetto indiretto: il papà dona un regalo al figlio – al figlio si lega al verbo. I verbi tetravalenti si vedono attaccati anche una terza e quarta valenza, che diventa quasi necessaria: il prof traduce la citazione dal latino all’italiano, dove traduce è verbo tetravalente, la citazione è l’oggetto, dal latino all’italiano sono terza e quarta valenza, complementi. In frasi con verbi tetravalenti l’oggetto può essere ommesso: il prof traduce dal latino all’italiano. Il soggetto si può definire come prima valenza di ogni verbo. Tutti i verbi, tranne i meteorologici hanno almeno una valenza. La seconda valenza coincide con la funzione sintattica di oggetto, nel caso normale dei verbi transitivi. In una frase, oltre ai contenuti che rendono le funzioni sintattiche previste dalla struttura argomentale, si possono trovare anche costituenti che realizzano altri elementi. Questi sono chiamati circostanziali, ma si dicono anche avverbiali o aggiunti. Non essendo implicati dal significato del verbo, non fanno parte delle funzioni sintattiche fondamentali a aggiungono informazioni altrettanto o più salienti di quelle codificate dagli schemi valenziali. 4.3.3 Ruoli semantici Un altro ordine di principi che intervengono nella costruzione ed interpretazione di una frase è dato da principi semantici che concernano propriamente il modo in cui il referente di ogni sintagma (l’entità che ogni sintagma indica) contribuisce e partecipa all’evento rappresentato dalla frase. Per individuare tali funzioni, chiamate appunto ruoli semantici, occorre dunque spostarsi dalla considerazione della frase come struttura sintattica alla considerazione della frase come rappresentazione di un evento. La frase deve quindi configurarsi come una sorta di scena e da questa immagine ne derivano le categorie: 1. Agente, entità che si fa intenzionalmente parte attiva che provoca ciò che accade: Gianni mangia una mela; 2. Paziente, entità coinvolta senza ruolo attivo: Gianni mangia una mela; 3. Sperimentatore: entità toccata da un certo processo o stato psicologici: A Luisa piacciono i gelati; 4. Beneficiario: entità che trae beneficio dall’azione: Gianni regala un libro a Luisa; 5. Strumento: entità inanimata mediante la quale avviene ciò che accade: Gianni taglia la mela col coltello; 6. Destinazione: entità verso la quale si dirige l’attività espressa dal predicato: Luisa parte per le vacanze. Esistono altri ruoli come la località, l’entità in cui sono situati spazialmente l’azione, lo stato, il processo; provenienza, entità dalla quale un’entità si muove in relazione all’attività espressa dal predicato; dimensione, entità che indica una estensione nel tempo, nello spazio, nella massa. Anche per i predicati possono essere distinti ruoli semantici: processo, azione, stato. 4.3.4 Struttura pragmatico-informativa Nel governare la strutturazione del prodotto finale della sintassi, oltre all’intervento delle valenze, dei ruoli semantici e delle funzioni sintattiche, ancora un altro piano, quello dell’organizzazione pragmatico-informativa. Dal punto di vista del valore con cui le frasi nel loro complesso possono essere utilizzare nella comunicazione, e di ciò che il parlante vuole fare producendole si distinguono di solito cinque tipi di frasi. Frasi dichiarative, interrogative, esclamative, imperative. Da qui un’importante distinzione: quella fra tema e rema. Il tema è ciò su cui si fa un’affermazione, l’entità attorno a cui si predica qualcosa; più tecnicamente il tema indica e isola il dominio per cui vale la predicazione. Il rema è invece la predicazione che viene fatta, l’informazione che viene fornita a proposito del tema. Al binomio di tema e rema si applica il binomio di dato e nuovo. Dato è ciò che già si conosce, il nuovo è la nozione nuova enunciata in una frase. Ad esempio, nella frase un signore di 50 anni è il colpevole, il colpevole è il dato, mentre un signore di 50 anni è il nuovo. Si sa già che vi era un colpevole ma non si sapeva chi fosse. C’è ancora il focus, ovvero il punto più saliente della frase, il punto nodale, l’elemento più importante. Il focus si può realizzare in tre modi: 1. Dislocamento a destra: la frutta la mangio volentieri è diverso da mangio volentieri la frutta; l’elemento importante è la frutta, per far notare che la frutta viene mangiata più volentieri rispetto ad un altro alimento; 2. Dislocamento a sinistra: accade nelle frasi interrogative: la frutta la mangia? invece di la mangia la frutta? 3. Frase scissa: il ladro ruba la macchina è un’unica proposizione; è il ladro che ruba la macchina -> due proposizioni, il focus è spostato grazie alla scissione della frase. 4.5.2 Testi Al di sopra dell’unità frase bisogna riconoscere un altro livello di analisi della sintassi, che può essere chiamato livello dei testi. Il testo è una combinazione di frasi più il contesto in cui essa funziona da unità comunicativa. Per contesto si deve intendere sia il contesto linguistico, vale a dire la parte di comunicazione che precede e che eventualmente segue il testo in oggetto, sia il contesto extralinguistico, la situazione specifica in cui la combinazione di frasi è prodotta. Il contesto linguistico è chiamato ‘cotesto’. Nella linguistica testuale, in riferimento sia al testo che al cotesto, abbiamo una serie di procedimenti che rimandano a parti precise del testo: • Anafore/catafore: elementi per la cui interpretazione è necessario far riferimento al contesto linguistico precedente o seguente; • Deissi: elementi per la cui interpretazione è necessario dar riferimento al contesto extralinguistico (i tre tipi principali di deissi sono personale, spaziale - qui, lì, dietro, temporale – oggi, domani, sociale – forme allocutive come tu, lei…); • Ellissi: omissione di elementi che sarebbero indispensabili per dare luogo ad una struttura frasale completa, e che per l’interpretazione della frase sono recuperabili dal contesto linguistico es. Da dove vieni? Dall’ufficio – ellissi di “vengo dall’ufficio”; • Segnali discorsivi: elementi estranei alla strutturazione sintattica della frase che esplicitano l’articolazione interna del discorso; es. cioè, insomma, ascolta, ecc. CAPITOLO 5 SEMANTICA 5.1 Il significato La parte della linguistica che si occupa del piano del significato è la semantica. Il significato è la parte non visibile, ed è il punto di sutura fra la lingua, la mente e il mondo esterno. Esistono due modi fondamentali di concepire il significato, all’interno dei quali si possono trovare diversi filoni definitori e diversi approcci teorici. Vi è anzitutto una concezione referenziale, o concettuale: il significato è in questo caso visto come un concetto, un’immagine mentale creata dalla nostra mente, corrispondente a qualcosa che esiste al di fuori della lingua. In un’altra prospettiva ci è una concezione operazionale, secondo cui esso è funzione dell’uso che si fa dei segni, vale a dire ciò che accomuna i contesti d’impiego di un segno e ne permette l’uso appropriato o anche la tonalità dei contesti in cui può apparire. In senso molto generico, il significato è l’informazione veicolata da un segno o elemento linguistico. Molto corrente è la distinzione tra significato denotativo e significato connotativo: per significato denotativo si intende ciò che oggettivamente si descrive o rappresenta, corrisponde quindi al referente. Per significato connotativo, o connotazione, si intende il significato indotto, soggettivo, connesso alle sensazioni suscitate da un segno e alle associazioni a cui esso da luogo. Gatto ha come significato denotativo ‘felino domestico di piccole dimensioni’ e come significato connotativo ‘animale grazioso, furbo, pigro’ nonché le eventuali sensazioni o valutazioni che associamo a gatto. Un’altra distinzione è quella fra significato linguistico e significato sociale. Mentre il significato linguistico è il significato che un termine ha in quanto elemento di un sistema linguistico codificante una rappresentazione mentale, il significato sociale è il significato che un segno può avere in relazione ai rapporti fra parlanti, ciò che esso rappresenta in termini di dimensione sociale. Buongiorno ha come significato linguistico ‘buona giornata’ mentre ha come significato sociale ‘riconosco colui e istauro un’atmosfera di interazione’. Così anche la distinzione fra tu e lei: il primo segnala una confidenza, il secondo un rapporto di rispetto e deferenza, di distanza sociale. Una distinzione di altra natura è quella fra significato lessicale e significato grammaticale. Hanno significato lessicale i termini che rappresentano oggetti o concetti della realtà esterna; hanno significato grammaticale i termini che rappresentano concetti o rapporti interni al sistema linguistico, alle categorie che questo prevede o alle strutture a cui esso da luogo. Le prime sono parole piene, le seconde parole vuote. Un’altra distinzione utile è il senso. Per senso si intende il significato contestuale, vale a dire la specificazione e concretizzazione che il contenuto di un termine assume ogni volta che viene usato in una produzione linguistica in un certo contenuto. A un significato possono quindi appartenere diversi sensi. Attenzione però ai nomi propri. I nomi sono etichette, termini a referente unico, che designano un individuo e non una classe e che hanno solo estensione e non intensione il che significa che noi possiamo avere conoscenze enciclopediche su un certo Antonio e sulla città Milano ma non è possibile dire da che cosa sia costituito il significato concettuale dei due termini. Intensione ed estensione valgono l’insieme degli individui a cui il termine si può applicare. Con l’intensione cane, possiamo individuare tutti gli esseri viventi della classe canina, ma con Antonio Molti lessemi sono suscettibili di assumere significati traslati che si allontanano più o meno dal normale significato primario, e i processi fondamentali che si basano su questo spostamento di significato sono: ➔ Metafora: fondata sulla somiglianza concettuale, Gianni è un coniglio, coniglio sta per persona molto paurosa. ➔ Metonimia: fondata sulla contiguità concettuale, bottiglia liquido contenuto nella bottiglia, Io ho bevuto 2 bottiglie di Barbera. 5.4 L’ANALISI DEL SIGNIFICATO: SEMANTICA COMPONENZIALE Com’è costituito internamente il loro significato dei lessemi: analisi componenziale. Il principio su cui si basa tale metodo è analogo alla scomposizione dei numeri in fattori primi in algebra. Dunque scomporre il significato dei lessemi e cercando di cogliere in che cosa differisca il loro rispettivo significato, in pezzi o unità di significato più piccoli. Per esempio il campo semantico degli esseri umani (uomo, donna, bambino, bambina), si cerca di esprimere che cosa hanno in comune di significato e cosa li distingue l’uno dall’altro. ➔ Tutti hanno in comune naturalmente di designare un essere umano. ➔ La loro differenza: uomo e donna sono differenziati dal fatto che un uomo è di sesso maschile e una donna del sesso opposto. Uomo e bambino la loro differenza sta nell’età: adulta e non adulta. In maiuscolo fra le barre sono indicate le proprietà di significato necessarie e sufficienti per dar conto del significato di ciascuno dei 4 lessemi considerati. Esse costituiscono i pezzi di significato minimi, le proprietà semantiche elementari che combinandosi in simultaneità danno luogo al significato di lessemi. Si chiamano Componenti Semantici, ogni lessema è analizzabile in un fascio di componenti semantici realizzati in simultaneità: uomo = /+ UMANO + ADULTO + MASCHIO/ Bambina = /+UMANO – ADULTO – MASCHIO/ Invece gli usi metaforici e in genere traslati semantici si possono interpretare come neutralizzazione o abbandono: esempio di metafora d’inverno il bosco si addormenta il tratto /- ANIMATO/ di bosco viene annullato, in modo che bosco diventi compatibile con il tratto /+ ANIMATO/. I rapporti di implicazione sono indicati dalle frecce: /+ UMANO/ indica /+ ANIMALE/ ecc. Le parentesi graffe indicano fasci di tratti sullo stesso livello gerarchico che possono intrattenere rapporti implicativi, basta per esempio dire che bambino è /+ UMANO/ e in questo tratto contiene già quelli precedenti: /+ ANIMALE/ ecc. non era necessario esplicitare tutti i tratti. I tratti semantici di solito sono binari cioè ammettono i due valori + e – (si e no). È possibile estendere l’analisi anche ad altre classi di lessemi, per esempio ai VERBI. Esempio: uccidere = /(X CAUSA)(Y DIVENTA)(NON VIVENTE)/ Questa rappresentazione si può parafrasare “qualcuno fa sì che qualcun altro diventi non vivente” ed utilizza tratti non binari, X e Y sono i due ruoli semantici implicati da un verbo transitivo: X agente e Y paziente, il loro ordine non è invertibile. Il metodo diventa molto problematico quando si vogliano analizzare in tratti termini astratti, man mano che si estende la quantità di lessico sottoposta ad analisi, siccome: ➔ O non si riescono più a formulare tratti specifici ➔ O essi diventano così numerosi e idiosincratici da risultare una semplice parafrasi del contenuto del termine. 5.5 CENNI DI SEMANTICA PROTOTIPICA La semantica componenziale presuppone una concezione delle categorie stesse di matrice aristotelica: presuppone cioè che una data categoria albero, uccello, frutta, rosso, parola ecc. sia da intendersi come: 1. Un’entità 2. Definita da proprietà tutte necessarie e sufficienti 3. Delimitata da confini rigidamente netti 4. Costituita da membri tutti ugualmente rappresentativi di quella categoria. Per alcuni studiosi di psicologia cognitiva invece, una categoria andrebbe piuttosto intesa come un’entità: 1. Definita sia dal nucleo di proprietà di carattere categorico, necessarie e sufficienti, sia da proprietà di carattere graduale, non essenziali 2. Delimitata da confini sfumati, in sovrapposizione con quelli di altre categorie 3. Costituita da membri tipici e altri meno rappresentativi. Questa concezione è nota come TEORIA DEI PROTOTIPI e fa riferimento il metodo di descrizione e analisi della Semantica Prototipica. Il significato di un lessema in semantica prototipica è definito Prototipo e rappresenta l’immagine mentale immediata che per i parlanti di una certa cultura e società corrisponde più tipicamente a un dato concetto. Di un concetto il prototipo occupa il punto focale. Esempio: il significato di uccello, ogni membro della medesima categoria che sia passero, aquila, pollo, struzzo ecc., in un’analisi prototipica il significato di uccello è dato dal concetto di volatile che per un certo ambiente e una certa cultura e società è il più tipico, difatti per la nostra cultura molto probabilmente coincide con l’immagine prototipica del passero o magari piccione. I membri non prototipici della categoria uccello (struzzo, aquila, pollo) non possiedono dunque tutti i tratti costitutivi della categoria. Alcuni tratti rappresentano criteri necessari a definire l’appartenenza a una data categoria, e devono perciò essere condivisi da tutti i suoi membri; altri invece non essenziali a decretare l’appartenenza categoriale. I primi nel caso di uccello saranno /+ANIMALE/, /-MAMMIFERO/, /+ALATO/, /+CON PIUME/; tra i secondi ci saranno invece /+CHE VOLA/, /+ DI PICCOLE DIMENSIONI/ ecc. I concetti, in questa prospettiva hanno una struttura interna prototipica, basata sulla gradualità, sulla scalarità e non soltanto sulla categoricità. Un concetto importante nella semantica prototipica è dunque il Grado di Esemplarità di un termine a una categoria. Esempio la graduatoria di un’indagine americana, riguardo l’appartenenza di esemplari a una data categoria di frutto/frutta: Ne risulta che mela è visto come il frutto più tipico, più vicino al prototipo, mentre fico è considerato un frutto molto poco tipico. I termini meno tipici per una categoria e che stanno quindi ai margini possono anche essere considerati contemporaneamente membri di un’altra categoria. Un altro esempio è mentire che significa “asserire qualcosa che (si sa che) non è vero con l’intenzione di ingannare qualcuno” e quindi il significato di mentire/menzogna può essere analizzato in semantica componenziale: /ASSERZIONE, - VERO, + INTENZIONALE, + PER INGANNARE/. Ma non tutti questi tratti sono sullo stesso piano. La menzogna prototipica invece contiene tutti e 4 i tratti sopra indicati. 5.6 ELEMENTI DI SEMANTICA FRASALE Il significato delle combinazioni di lessemi usate come messaggi nella comunicazione verbale, ossia il significato globale delle frasi. In prima ipotesi il significato di una frase è la somma e combinazione dei significati dei lessemi che la compongono. →Enunciato: è una frase considerata dal punto di vista del suo concreto impiego in una situazione comunicativa, è dunque il corrispettivo della frase. Gli elementi cruciali per l’interpretazione del valore degli enunciati sono i connettivi: ossia molte congiunzioni (e, ma, o, se, benché ecc.) che hanno spesso anche valore di operatori logici: e è operatore di congiunzione, o di disgiunzione, se di condizione ipotetica ecc. Così funzionano da operatori logici i quantificatori (tutti, nessuno, ogni, qualche ecc.) e la negazione (non). Un altro aspetto del significato degli enunciati è quello pragmatico (gr. Pragma ossia fatto/azione concreta) che riguarda che cosa si fa, con la produzione di un enunciato, in un determinato contesto situazionale. L’Italia è un caso esemplare per questo problema: 1. Bisogna tener conto non solo della lingua nazionale comune, ma anche delle lingue delle minoranze parlate da gruppi più o meno consistenti di parlanti in alcune aree o areole del paese: tedesco, francese, sloveno, ladino dolomitico. 2. È dubbio lo statuto dei vari dialetti italiani che avrebbero le carte in regola per essere considerati sistemi linguistici a sé stanti e autonomi. Si noti inoltre che le lingue romanze o neolatine, derivate dal latino, vengono considerate ciascuna una lingua a sé stante, mentre in altri gruppi linguistici con una distanza strutturale del tutto analoga a quella delle lingue romanze, vengono a volte considerati varietà della stessa lingua. Per mettere in ordine questo coacervo di sistemi linguistici bisogna raggrupparli in famiglie: secondo criteri di parentela genealogica che riporterebbero le lingue ad un antenato comune. Il riconoscimento di parentela linguistica è generalmente evidente comparando il lessico fondamentale ossia circa 200 termini designanti nozioni comuni →numeri fino a dieci, principali fenomeni metereologici ecc. L’assunzione di base è che se per questi termini troviamo lo stesso o simile significante vorrà dire che questo rimanda ad una forma originaria condivisa. L’Italiano ha stretti rapporti di parentela con tutte le lingue che hanno una base comune del latino e costituisce assieme a queste il ramo delle lingue romanze (o neolatine) ossia: • Italiano • francese • spagnolo castigliano • portoghese • romeno • gallego, catalano, provenzale, retoromanzo ecc. • varietà dialettali Il ramo romanzo ha una parentela più remota ma dimostrabile co altre lingue: • Lingue germaniche: tedesco, inglese, neerlandese, svedese, norvegese, danese ecc. • lingue slave: russo, polacco, serbo-croato, sloveno, ucraino, ceco, bulgaro, macedone ecc. • lingue baltiche: lituano, lettone • lingue celtiche: bretone, gaelico e gallese • lingue indo-arie: hindi, bengali ecc. • lingue iraniche: persiano, curdo ecc. • 3 lingue isolate: neogreco, albanese e armeno Formano la grande famiglia delle Lingue Indoeuropee. Il livello della famiglia rappresenta il più alto livello di parentela ricostruibile con i mezzi della linguistica storico-comparativa che individua le somiglianze fra le lingue come prova della loro comunanza di origine, categoria fondamentale della classificazione delle lingue. All’interno di una famiglia di lingue, a seconda dei gradi più o meno stretti di parentela, si possono riconoscere dei rami o sottofamiglie, che a loro volta si dividono in gruppi, che a loro volta si dividono in sottogruppi. L’italiano si può classificare (insieme ai dialetti) come una lingua del sottogruppo italo-romanzo del gruppo occidentale del ramo romanzo della famiglia indoeuropea. La linguistica comparativa riconosce oggi fino a un massimo di 18 famiglie linguistiche. A queste andrebbero aggiunte alcune decine di lingue pidgin e creole nate dall’incontro e mescolanza in situazioni particolari di lingue per lo più tra loro diverse e distanti e spesso sono difficili da collocare con precisione in una famiglia linguistica. ➔ PIDGIN: è un sistema linguistico semplificato che non ha parlanti nativi. ➔ CREOLO: quando si sviluppa e diventa una lingua materna in una comunità. Delle migliaia di lingue esistenti, solo alcune decine possono essere considerate grandi lingue con un numero sostanzioso di parlanti. Per parlanti nativi di una lingua si intendono quei parlanti di una lingua che hanno imparato la lingua nella socializzazione primaria e la possiedono quindi come lingua materna. Inoltre molte lingue si stano estinguendo. Alcuni criteri tramite i quali giudicare dell’importanza delle lingue: • Il numero di paesi e nazioni in cui una lingua è lingua ufficiale o comunque parlata • Impiego della lingua nei rapporti internazionali • Nella scienza, tecnica, commercio ecc. In Europa sono tradizionalmente parlate lingue di 5 diverse famiglie linguistiche: • Lingue indoeuropee • Lingue uraliche (ramo ugrofinnico: finlandese, ungherese) • Lingue altaiche (turco, tataro ecc.) • Lingue caucasiche (georgiano, ceceno ecc.) • Lingue semitiche • Lingua isolata ossia il basco 6.2 TIPOLOGIA LINGUISTICA La classificazione delle lingue secondo una prospettiva tipologica: la Tipologia linguistica si occupa di individuare che cosa c’è di uguale e che cosa c’è di differente nel modo in cui le diverse lingue storico-naturali sono organizzate e strutturate. ➔ La tipologia è strettamente connessa con lo studio degli Universali linguistici ossia proprietà ricorrenti nella struttura delle lingue: es. tutte le lingue hanno sia consonanti che vocali. Per essere tale un universale linguistico non deve essere contraddetto dalle caratteristiche di nessuna lingua. Sulla base di tratti strutturali comuni si possono classificare le lingue, in questo caso dal punto di vista della loro appartenenza a tipi diversi e della somiglianza relativa della loro organizzazione strutturale. Un Tipo linguistico si può definire come un insieme di tratti strutturali correlati gli uni con gli altri, ma tipo è un concetto idealizzato, poiché una singola lingua non corrisponde mai totalmente in assoluto ad un tipo particolare. 6.2.1 TIPOLOGIA MORFOLOGICA Un primo modo per individuare tipi linguistici diversi e di classificare tipologicamente le lingue è basato sulla morfologia, sulla struttura della parola. Si distinguono 4 tipi morfologici fondamentali di lingua: 1. Isolante: le lingue isolanti presentano una struttura della parola più semplice possibile, ogni parola è costituita tendenzialmente da 1 morfema ossia la radice lessicale, e il rapporto morfemi chiamato Indice di sintesi è generalmente 1:1. L’indice di sintesi rappresenta il numero di morfemi per parola e si ottiene dividendo in un dato testo il numero dei morfemi per il numero delle parole. Più è basso e più il numero dei morfemi tende a coincidere con quello delle parole. Più l’indice è basso e più la lingua è analitica, più è basso e più è sintetica. Isolanti si giustifica col fatto che tali lingue non solo isolano in blocchi unitari inscindibili le singole parole ma esprimono anche significati complessi scindendoli in lessemi semplici giustapposti. Generalmente non presentano morfologia flessionale e hanno poca o nulla morfologia derivazionale. La lingua per eccellenza considerata isolante è il Vietnamita. 2. Agglutinante: etimologicamente incollare insieme, in cui le parole hanno una struttura complessa e sono formate dalla giustapposizione di più morfemi che danno luogo a una catena di morfemi lunga. Presentano un alto indice di sintesi, attorno/superiore a 3:1. I morfemi sono facilmente individuabili e ben separabili tra loro. La lingua agglutinante per eccellenza è il Turco. 3. Flessive: presentano parole internamente complesse, costituite da una base lessicale semplice (una radice) o derivata e da 1 o più affissi flessionali che spesso sono morfemi cumulativi, veicolando ciascuno più valori grammaticali assieme. Hanno un indice di sintesi minore, di solito 2:1 – 3:1. Hanno una struttura meno complessa e sono composte da una catena meno lunga di morfemi ma presentano molti fenomeni di allomorfia e di fusione. Proprio per la caratteristica di riunire più significati su un solo morfema flessionale e di fondere assieme i morfemi rendendo spesso poco trasparente la struttura interna della parola, vengono chiamate anche Fusive. Le lingue flessive sono le lingue indoeuropee. 3.1. Introflessive: è un sottotipo delle flessive, caratterizzate dal fatto che i fenomeni di flessione avvengono anche dentro la radice lessicale: i morfemi flessionali e derivazionali sono in parte tranfissi vocalici che si inseriscono all’interno di una base discontinua triconsonantica intercalandosi fra le consonanti di questa. Tipica lingua introflessiva è l’Arabo. 4. Polisintetico: sono quelle lingue che hanno una struttura della parola più complessa, hanno la parola formata da più morfemi attaccati insieme, presentano la peculiarità che in una stessa parola compaiono due o più radici lessicali, morfemi pieni. Le parole di queste lingue tendono a corrispondere spesso a ciò che nelle altre lingue sarebbero frasi intere. L’indice di sintesi medio è 4:1. Es. Groenlandese. E siccome in queste lingue si vengono ad avere parole nella cui struttura si trovano una radice verbale e radice nominale che in una proposizione rappresenterebbe il complemento oggetto o diretto di questa, le lingue polisintetiche sono anche chiamate incorporanti. +Analitico Intermedio +Sintetico ------------------------------------------------------------------------------------------------------------ → Isolanti Flessivo-fusive Agglutinanti Polisintetiche Analitiche: che spezzano il contenuto da codificare e trasmettere in blocchi unitari semplici. Sintetiche: che sintetizzano, impacchettano assieme più blocchi di contenuto ottenendo entità complesse. (Questi due termini sono anche usati in generale per indicare tipi di costrutti o procedimenti all’interno delle lingue: es. mangiai è una forma verbale sintetica, ho mangiato è analitica). L’Italiano dal punto di vista della tipologia morfologica è una lingua flessiva, ma in alcuni casi è isolante (auto civetta), agglutinante (nei cumuli di suffissi e/o prefissi: ristrutturazione) e polisintetico (parole composte: capostazione). 6.2.2 TIPOLOGIA SINTATTICA Un secondo fondamentale criterio per classificare le lingue in tipi linguistici è basato sulla sintassi, ossia sull’ordine basico dei costituenti principali della frase: • S: soggetto • V: verbo o predicato verbale • O: complemento oggetto o diretto MUTAMENTO FONETICO: Sono frequenti fenomeni di assimilazione: • Due foni articolatoriamente diversi nel corpo della parola tendono a diventare simili o uguali mediante l’acquisizione da parte di uno dei foni o più tratti comuni con l’altro fono. • Assimilazione avviene spesso nei nessi consonantici • Palatalizzazione delle consonanti velari davanti a vocali anteriori • Metafonia: assimilazione tra foni non contigui nella catena parlata, indica la modificazione del timbro di una vocale interna per effetto della vocale finale come avviene nel dialetto napoletano: ǝ Esiste anche il fenomeno della Dissimilazione: • Differenziazione tra foni che si ha quando due foni simili o uguali non contigui in una parola diventano diversi. Altri fenomeni di mutamento fonetico: • Metatesi: spostamento dell’ordine dei foni di una parola. • Caduta dei foni: in particolare di vocali in una parola e possono avvenire in posizione iniziale aferesi, posizione interna sincope, posizione finale apocope. • Aggiunta di foni nel corpo di una parola ossia epentesi che può essere in posizione iniziale protesi, e finale epitesi. MUTAMENTO FONOLOGICO: • Allofoni di un fonema acquisiscono valore distintivo o diventano fonemi autonomi –> fonologizzazione: le affricate palatali italiane [ʦ] e [ʤ] sono probabile evoluzione degli allofoni costituiti dalle realizzazioni palatalizzate ossia spostate in avanti. • I fonemi che perdono il loro valore distintivo e diventano allofoni di un altro fonema → defonologizzazione, ad esempio le vocali brevi e lunghe latine che erano fonemi diversi in latino ma che in italiano si fondono in un unico fonema. Perdita di fonemi, l’approssimante laringale del latino /h/ (habēre) è scomparsa in italiano, dove alla lettera h non è associata alcuna realtà fonetica. L’italiano rispetto al latino, ha per esempio per quanto riguarda le consonanti una nuova serie di fonemi palatali: fricativa sorda /ʃ/, affricate /ʧ/ e /ʤ/, laterale /ʎ/ e nasale /ɲ/. I mutamenti fonetici-fonologici possono anche consistere in spostamenti a catena, che coinvolgono intere serie di foni o fonemi → Rotazioni consonantiche: Legge di Grimm ossia il passaggio delle occlusive sorde → a fricative sorde, o delle occlusive sonore → a occlusive sorde, o delle occlusive sonore aspirate → a occlusive o fricative sonore. MUTAMENTO MORFOLOGICO: Nella morfologia possono cadere categorie o distinzioni morfologiche e nascerne di nuove, e i morfemi possono cambiare le loro regole. Nel passaggio dal latino all’italiano viene a perdersi la categoria flessionale del caso: ▪ Lupus nominativo singolare si distingue per il caso del soggetto ecc. ▪ Lupo in italiano è indifferenziato per caso. ▪ Nella categoria del genere si perde il neutro che vengono di solito riportati in italiano al maschile. Analogia: consiste nell’estensione di forme a contesti in cui esse non sono appropriate, sul modello dei contesti più frequenti e normali → es. in italiano un infinito come volere non può provenire dall’infinito latino velle (verbo irregolare) ma risulta l’applicazione a un caso che non la prevedeva della desinenza regolare comune ai verbi della seconda coniugazione in -ere. Dunque la funzionalità dell’analogia è regolarizzare, crea simmetria eliminando le eccezioni. Rianalisi: è la formazione nelle lingue romanze del passato prossimo, inesistente in latino, la nascita di questo nuovo tempo verbale implica una diversa analisi e interpretazione del valore semantico e del comportamento sintattico del verbo habĕre. Grammaticalizzazione: si intende il mutamento per cui un elemento del lessico diventa un elemento della grammatica, ad esempio un lessema perde il suo valore semantico lessicale e viene assorbito dalla grammatica, come parola funzionale o come morfema → formazione degli avverbi in italiano: il suffisso derivazionale -mente non è altro che il sostantivo latino mens, mentis (mente, spirito). MUTAMENTO SINTATTICO: I fenomeni più rilevanti nel mutamento sintattico concernono di solito l’ordine dei costituenti. Coincide dunque spesso con un mutamento tipologico. Nella semantica lessicale, il mutamento si manifesta in primo luogo come arricchimento del lessico, ossia con l’ingresso nell’inventario dei lessemi di una lingua di nuove unità → neologismi. La perdita dei lessemi avviene lungo l’asse del tempo, molte parole latine si sono perdute, non hanno lasciato continuatori in italiano e durante i secoli l’italiano ha perduto parole che esistevano nell’italiano antico, ad esempio donzello ossia giovane uomo di nobile famiglia. MUTAMENTO TRA SIGNIFICANTI E SIGNIFICATI: Avvengono poi cambiamenti nelle associazioni fra significanti e significati, quando un diverso significante è riferito ad un significato esistente, o viene attribuito un nuovo significato ad un significante esistente. Questi mutamenti si basano su vari tipi di rapporti fra i significati: ▪ Somiglianza: metafora ▪ Contiguità: metonimia La Paretimologia vale a dire la risemantizzazione di una parola mediante la rimotivazione del suo significato che la rende più trasparente attraverso l’apparentamento a una parola nota. Spesso quello che cambia è l’area semantica coperta da una parola, così si hanno delle estensioni o generalizzazioni → latino domina signora, padrona di casa > italiano donna Oppure restringimenti → latino dŏmus casa > italiano duomo casa del signore > cattedrale In questo ambito rientrano anche i mutamenti semantici per tabuizzazione (da tabu parola polinesiana ossia separato, proibito perché sacro) che riguardano l’interdizione di parole relative a determinate sfere semantiche e ai concetti a esse attinenti, che vengono sostituite da altre parole di significato non diretto dunque eufemismi. MUTAMENTI DEI CAMPI SEMANTICI: I mutamenti possono anche coinvolgere i campi semantici, portando a una loro ristrutturazione. I mutamenti si hanno anche nella pragmatica nel modo in cui interagisce con gli interlocutori, il sistema dell’allocuzione è passato dal latino tu singolare/vos voi plurale, seconda persona generalizzata per tutti gli interlocutori alla bipartizione italiana dapprima fra tu allocutivo confidenziale e voi allocutivo di rispetto. 7.2 LA VARIAZIONE SINCRONICA 7.2.1 VARIETA’ DI LINGUA E VARIABILI SOCIOLINGUISTICHE La proprietà di variare insita nella lingua è altrettanto evidente in sincronia, in un dato periodo temporale. Mediante le differenziazioni la lingua si adatta a tutti i vari contesti d’impiego possibili in una cultura e società. La variazione interna della lingua è il campo specifico di azione della sociolinguistica, la quale studia che cosa accade quando un sistema linguistico è calato nella realtà concreta degli usi che ne fanno i parlanti nelle loro interazioni verbali, dunque mette in correlazione la lingua con la società e con gli usi linguistici delle persone. Un insieme di forme linguistiche che abbiano la stessa o analoga distribuzione sociale, costituisce una varietà di lingua. Per individuarne una e definirla, occorre fare riferimento sia ai fatti linguistici, aspetti formali interni, fatti sociali ecc. → è un concetto essenziale nella prospettiva sociolinguistica, una lingua si presenta o manifesta sempre, nei concreti usi comunicativi in una certa comunità sociale e dal punto di vista sociolinguistico una lingua va considerata come una somma di varietà. Sono dunque le variabili sociolinguistiche a dare luogo, sul versante linguistico, alle varietà di lingua. Una variabile sociolinguistica è un punto o un’unità del sistema linguistico che ammette realizzazioni diverse equipotenti, ossia che non mutano il valore di quell’unità del sistema e non ne cambiano il significato.