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Riassunto del testo "Donne, razza e classe" di Angela Davis, Sintesi del corso di Storia Della Filosofia

Riassunto completo utile per l'esame di storia della filosofia morale.

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

In vendita dal 21/11/2021

alberto99-
alberto99- 🇮🇹

4.6

(38)

8 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto del testo "Donne, razza e classe" di Angela Davis e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! ANGELA DAVIS - DONNE, RAZZA E CLASSE (1981) CAPITOLO 1-L’EREDITA’ DELLA SCHIAVITU’. PRINCIPI PER UNA NUOVA CONDIZIONE DELLE DONNE Il libro inizia con l’esposizione delle tesi di Phillips, un autorevole studioso che affermava in un articolo: 1. Unoo due secoli fa i negri erano selvaggi che vivevano nei luoghi impervi dell’ Africa 2. Quelli portati in America e i loro discendenti hanno raggiunto un certo livello di civiltà e adesso in certa misura sono adeguati alla vita di una moderna società civilizzata 3. Questi progressi sono in larga parte il risultato della loro prossimità coni bianchi civilizzati 4. Un’immensa massa di negri rimarrà sicuramente per un periodo indefinito all’interno di una nazione civile bianca Il problema è: cosa possiamo fare per garantire loro una pacifica residenza e un ulteriore progresso in questa nazione di uomini bianchi e come possiamo proteggerci da una loro ricaduta nella barbarie? Phillips propone il sistema delle piantagioni. Il ruolo della schiava donna è rimasto sempre nell’ombra, a causa di miti come quello della promiscuità sessuale o sulle inclinazioni matriarcali. Tra gli studi recenti il più illuminante è quello di Gutman sulla famiglia nera. Egli ha detronizzato la tesi del matriarcato nero, ma non è riuscito ad andare oltre nell’analisi del ruolo multifunzionale delle donne nere nella famiglia schiavista. Rispetto alle bianche, le donne nere hanno sempre lavorato al di fuori delle proprie abitazioni domestiche. Da schiave, il lavoro coatto sovrastava ogni altro aspetto della loro esistenza; pertanto l’analisi del ruolo della donna nera durante la schiavitù non può che partire dall’analisi del suo ruolo in quanto Zavoratrice. Il sistema schiavistico classificava i neri come beni mobili e le donne erano considerate entità lavoratrici redditizie, al pari degli uomini. Le donne nere non lavoravano come bambinaie, come domestiche o come cuoche, ma principalmente lavoravano nei campi. Anche le giovani ragazze erano destinate a lavorare la terra, oppure a raccogliere cotone o tabacco, o a tagliare la canna da zucchero. L’oppressione e la violenza nei confronti delle donne in questo caso era identica a quella verso gli uomini. Tuttavia le donne soffrivano anche in altre maniere, perché erano vittime di abusi sessuali e di altri barbari maltrattamenti che potevano essere inflitti solo alle donne. Le donne nei decenni precedenti alla guerra civile americana venivano valutate in base alla loro fertilità: più producevano strumenti da lavoro e più valevano. Siccome le donne schiave erano considerate come animali da riproduzione e non come madri, i loro bambini potevano essere venduti e allontanati da loro come si fa coni vitelli alla vacca. Ovviamente in quanto schiave le donne erano vulnerabili ad ogni forma di coercizione sessuale (venivano mutilate, frustate, stuprate). Il sistema schiavista scoraggiava la supremazia maschile dei neri sulle nere, perché dato che tutti erano soggetti all’autorità del padrone, la promozione di una supremazia maschile tra gli schiavi avrebbe potuto provocare una pericolosa rottura della catena di comando. Non esisteva né un “sesso debole”, né un capofamiglia. Anche da incinte le donne lavoravano e a volte venivano frustate tanto violentemente da provocare la nascita del bambino. Altre volte invece si trattavano meglio per evitare che la nuova carne da lavoro nascesse con meno valore. Quando prima della guerra civile si cominciò qualche timido tentativo di industrializzazione al sud gli schiavi e le schiave vennero mandati nelle industrie tessili o in quelle pesanti come le raffinerie di zucchero. Le donne schiave erano di gran lunga più redditizie rispetto agli operai liberi o agli schiavi maschi, in quanto costano meno sia come costo iniziale che come mantenimento. Con l’avanzamento molto importante dell’industrializzazione le donne bianche furono private del loro lavoro produttivo (ad esempio i filatoi manuali erano obsoleti rispetto all’industria tessile), mentre l’ideologia della femminilità divenne popolare e si diffondeva grazie alle nuove riviste e romanzi sentimentali, tanto da arrivare a percepire le donne bianche come abitanti di una sfera completamente separata dal regime del lavoro produttivo. La spaccatura tra la casa e l’economia pubblica, introdotta dal capitalismo industriale, confermò l’inferiorità della donna in maniera anche più drastica che in passato. Nel discorso pubblico la donna divenne sinonimo di madre e casalinga. Ma tra le donne nere questo lessico non trovava posto, non essendoci ruoli sessuali gerarchici tra gli schiavi. La definizione di famiglia nera come una struttura biologica matriarcale ha molto a che fare con gli schiavisti. Gli atti di nascita di molte piantagioni omettevano i nomi dei padri, elencando solo le madri. Si è dato però per scontato che il rifiuto del padrone di riconoscere la paternità tra i propri schiavi conducesse direttamente a una forma di famiglia matriarcale. Gli studi si sono limitati ad affermare un controllo della madre in quelle poche attività che rimanevano alla famiglia di schiavi, come occuparsi della casa, preparare il cibo ed educare i figli. Inoltre la designazione sistematica degli uomini schiavi con il termine “boy”, “ragazzo”, da parte del padrone, era vista come un riflesso dell’incapacità dei maschi neri di prendersi carico delle proprie responsabilità paterne. Da alcuni addirittura il marito veniva visto solo come un assistente della moglie, un partner sessuale o un compagno. Tuttavia gli uomini si occupavano di importanti mansioni domestiche, come cacciare o occuparsi dell’orto, mentre le donne cucinavano e cucivano. Questa divisione del lavoro domestico non sembra essere di tipo gerarchico, entrambi i ruoli erano ugualmente necessari (inoltre la divisione non era così rigorosa, a volte capitavano degli scambi). L’aspetto rilevante che emerge dal lavoro domestico negli alloggi degli schiavi è quello dell’uguaglianza di genere. I neri sono riusciti a compiere una grande impresa, ossia hanno trasformato un’uguaglianza negativa (stessa oppressione in quanto schiavi) in un’uguaglianza positiva (l’egualitarismo che caratterizzava le loro relazioni sociali). Molte volte inoltre le donne cercavano di difendere gli uomini dalle umiliazioni portate avanti dal sistema schiavista, non solo perché se i loro uomini fossero stati degradati sarebbe successo anche a loro, ma anche per trasmettere ai loro ragazzi la figura di un forte uomo nero. I ragazzi avevano bisogno di forti modelli maschili così come le ragazze avevano bisogno di forti modelli femminili. Molte donne hanno dimostrato la loro temerarietà avvelenando i padroni o scappando al Nord. Le donne resistevano e sfidavano contimuamente la schiavitù. Le comunità “maroon”, formate da schiavi fuggiaschi e i loro discendenti, erano diffuse in tutto il sud degli Stati Uniti già tra il 1862-64; quando venivano scoperti le donne combattevano tanto quanto gli uomini. Uno dei paradossi del sistema schiavistico è stato quello per cui le donne nere, soggiogate con il più crudele sfruttamento immaginabile (senza distinzioni di sesso), gettarono le fondamenta affinché queste, attraverso atti di resistenza, reclamassero la propria uguaglianza nelle relazioni sociali. Una scoperta terrificante per i padroni, che iniziarono una brutale repressione riservata in special misura alle donne (che non venivano solo frustate o mutilate ma anche stuprate). Sarebbe un errore considerare il modello istituzionalizzato di stupro all’interno del sistema della schiavitù come un’espressione del desiderio sessuale degli uomini bianchi, altrimenti repressi dallo spettro della castità della donna bianca. Lo stupro era invece un’arma di dominio, di repressione, il cui fine nascosto era la distruzione della volontà di resistere delle schiave, demoralizzando al tempo stesso iloro uomini. Gli schiavisti avrebbero potuto fare un ragionamento di questo tipo: dato che le donne hanno conquistato una consapevolezza della propria forza e un forte desiderio di resistenza, gli assalti sessuali violenti ricorderanno loro la propria condizione essenziale e inalterabile (di passività, acquiescenza e debolezza). Le donne bianche che partecipavano al movimento abolizionista si sentivano particolarmente offese dalle aggressioni sessuali verso le nere. Queste donne bianche hanno contribuito in maniera inestimabile alla campagna contro la schiavitù ma spesso non sono riuscite a comprendere la CAPITOLO 4 -— IL RAZZISMO NEL MOVIMENTO PER IL SUFFRAGIO FEMMINILE Questo capitolo si apre con una lettera razzista della Stanton, in cui affermava che ormai l’uomo nero fosse già molto più avanti (dal punto di vista politico) delle ben educate donne bianche del paese. Ella esprimeva le sue perplessità sul fatto che con l’emancipazione dei neri ci fosse un potere in più ad opprimerle e che alla fine fosse meglio essere schiave di un uomo bianco colto che di un nero ignorante e degradato. Tutto ciò ci fa capire quanto fosse influente l’idea razzista tra le sostenitrici dei vari congressi a favore dell’eguaglianza dei diritti. È molto importante sottolineare un discorso di un abolizionista, Henry Ward Beecher, il quale sostenne che Ze donne bianche, colte e nate negli Stati Uniti, avevano più diritto a votare degli immigrati e dei neri, nel suo discorso ritrae come degradanti le posizioni degli immigrati irlandesi e dei neri rispetto alle donne bianche, quasi facendo capire che dando il diritto di voto anche a loro si togliesse qualcosa alla collettività. Le sue parole rivelano i profondi legami ideologici tra razzismo, classismo e suprematismo maschile. A queste tesi si ispirò la Stanton ribadendo che era più importante che le donne ottenessero il diritto di voto rispetto ai neri. Alcuni però ritenevano che l’abolizione della schiavitù non avesse eliminato l’oppressione economica dei neri, che per questo motivo avevano bisogno del potere politico. Dopo la guerra civile la Stanton era convinta che le donne bianche dovevano trarre dalle esperienze della guerra il fatto di non dover mai lavorare per assecondare gli sforzi dell’uomo e mai esaltare il sesso maschile a svantaggio di quello femminile. Dopo la vittoria degli unionisti contro i confederati, chiese al Partito repubblicano di riconoscere il loro impegno con il suffragio femminile, che tuttavia non fu successo perché gli interessi economici di quel periodo (i vincitori furono i borghesi del nord) non permettevano una radicale modifica allo status quo. I capitalisti del nord volevano il controllo economico dell’intera nazione. Il suffragio maschile dei neri fu invece una mossa tattica finalizzata ad assicurare l’egemonia politica del Partito repubblicano nel caos postbellico del sud. In questa situazione sembrava quasi che Stanton e altre sue collaboratrici percepissero l’organizzazione di cui facevano parte (la Equal Rights Association) come un mezzo per assicurarsi che i maschi neri non ricevessero il diritto di voto prima delle donne bianche. Dopo l’estensione del voto ai maschi neri le donne bianche dell’organizzazione si sentirono molto tradite. Si arrivò a pensare che ora che i neri erano liberi della schiavitù avrebbero avuto lo stesso status civile e politico delle donne bianche di classe media, cosa che non era assolutamente vera, visto che i neri soffrivano ancora della deprivazione economica e dovevano fronteggiare la violenza terrorista delle squadre razziste. La vita dei neri dopo l’abolizione della schiavitù trasudava ancora schiavismo. Per Douglass la schiavitù non sarebbe stata abolita realmente fino a quando l’uomo nero non avesse avuto il diritto di voto. Per lui il voto era per i neri uno strumento per garantire la sopravvivenza del suo popolo, minacciata dai bianchi che molto spesso uccidevano i neri per strada anche senza motivo. Il Partito democratico, rappresentando gli interessi della vecchia classe di proprietari di schiavi, cercava di ostacolare l’estensione del diritto di voto alla popolazione maschile nera del sud. Pertanto molti leader democratici difendevano il suffragio femminile come una misura tattica contro i loro avversari repubblicani. “Opportunismo” era una parola chiave da una parte e dall’altra: anche i repubblicani volevano estendere il diritto di voto ai neri solo per avere più voti contro i democratici. Alla fine per dissidi interni tra coloro che volevano estendere il diritto di voto anche alle donne nere e coloro che (come la Stanton) non accettavano la lotta unitaria, si arrivò allo scioglimento della Equal Rights Association. Poco dopo furono formate la National Women Suffrage Association e l’American Woman Suffrage Association. CAPITOLO 5 — IL SIGNIFICATO DELL’EMANCIPAZIONE SECONDO LE DONNE NERE Dopo un quarto di secolo di “libertà” un gran numero di donne nere lavorava ancora nei campi. Le poche che trovavano lavoro nell’industria di solito si occupavano delle mansioni più sporche e meno pagate. Tutto ciò non era un passo avanti, visto che le loro madri lavoravano nelle raffinerie di zucchero e nelle industrie tessili. Alle nere del 1890 la libertà doveva sembrare ancora più lontana degli anni della fine della guerra civile. Dopo l’emancipazione le masse di neri, uomini e donne, si ritrovarono in un indefinito stato di peonaggio. I mezzadri, che teoricamente possedevano i prodotti del proprio lavoro, non stavano meglio dei braccianti. Attraverso un sistema di Zavori forzati i neri erano obbligati a stare dentro ai soliti ruoli scolpiti negli anni della schiavitù. Uomini e donne erano arrestati e imprigionati col minimo pretesto per poi essere dati in affitto dalle autorità come lavoratori forzati. Usando la schiavitù come modello, il sistema dei lavori forzati non faceva differenze tra lavoro femminile e lavoro maschile. Molti proprietari del sud arrivarono ad affidarsi in maniera esclusiva alla manodopera carceraria, vedendo che era molto facile sfruttare il lavoro forzato di centinaia di neri. Di conseguenza si aveva tutto l’interesse nel far aumentare la popolazione penitenziaria. Le donne subirono ancora di più questa condizione perché nonostante la liberazione gli stupri continuarono. Anche dopo la fine di questo sfruttamento del lavoro forzato per molti decenni le donne nere continuarono ad essere obbligate a farsi assumere in mansioni domestiche come cuoca, bambinaia, sguattera, cameriera d’albergo e subire delle condizioni che erano, secondo alcune donne intervistate, brutte quanto quelle della schiavitù, se non peggio. Dalla schiavitù, la condizione vulnerabile delle lavoratrici domestiche ha continuato ad alimentare i persistenti miti sull’immoralità delle nere. Secondo questa prospettiva il lavoro domestico è considerato degradante perché viene svolto in maniera massiccia da donne nere, che sono a loro volta viste come inerte e promiscue. Ma inettitudine e promiscuità sono miti ripetutamente perpetuati proprio dal lavoro degradante che sono obbligate a compiere. Quando i neri cominciarono a migrare verso nord videro che l’atteggiamento dei datori di lavoro non era diverso rispetto a quello dei precedenti padroni. Anche le donne bianche che emigravano dall’Europa verso 1° America che erano obbligate ad accettare un’occupazione domestica guadagnavano poco più delle loro omologhe nere. Mentre le donne bianche si rassegnavano al lavoro domestico a meno di non trovare niente di meglio, le donne nere sono state intrappolate in queste mansioni almeno fino all’arrivo della seconda guerra mondiale. Il lavoro domestico, il meno soddisfacente, era anche il più difficile da sindacalizzare. Agli inizi del 1881 le domestiche erano tra le donne che aderirono al Knights of Labor ma c'erano gli stessi problemi che avevano avuto i loro predecessori dei movimenti di emancipazione, per questo motivo furono sindacalizzate solo pochissime domestiche. Le donne bianche, incluse le femministe, hanno manifestato una storica riluttanza a riconoscere le lotte delle domestiche e il motivo è semplice: le persone che lavorano come servitrici generalmente sono viste come subumane. Quando gli Stati Uniti entrarono nella seconda guerra mondiale e il lavoro femminile fece girare l’economia bellica, moltissime donne nere dissero addio ai lavori domestici. All’apice della guerra il loro numero nelle industrie era più che raddoppiato. Tuttavia circa un terzo delle donne nere negli anni Sessante del Novecento continuava a fare lavori domestici; dopo otto lunghi decenni di “emancipazione”, i segni della libertà rimanevano ombre vaghe e distanti. CAPITOLO 6 — EDUCAZIONE E LIBERAZIONE: LE PROSPETTIVE DELLE DONNE NERE Douglass era uno di quegli schiavi che riuscì ad istruirsi in segreto, ma non fu l’unico ad avere questa ispirazione tra i neri. Alcuni rubavano abbecedari per studiare di notte e imparare a leggere e scrivere. Anche dopo la liberazione, l’ideologia prevalente era quella secondo cui i neri erano considerati incapaci di progressi intellettuali. Dopotutto era stati dei meri beni immobili, naturalmente inferiori rispetto agli esseri umani bianchi. Ma se fossero stati davvero inferiori, non avrebbero manifestato né il desiderio né la capacità di apprendere, quindi non ci sarebbe stato bisogno di proibire loro di studiare. Il popolo nero invece aveva sempre mostrato un impaziente desiderio di istruzione. I neri e le nere che avevano ricevuto un’istruzione scolastica associavano il sapere alla battaglia collettiva del proprio popolo per la libertà. Secondo uno storico addirittura molti educatori confermavano di aver trovato un desiderio di apprendimento più forte tra i bambini neri del sud negli anni della Ricostruzione che tra i bambini bianchi del nord. Molte donne bianche andarono al sud per aiutare uomini e donne ad istruirsi, per formare diligenti insegnanti nere, che erano molto motivate ad utilizzare l'educazione come mezzo di emancipazione. Sebbene poi ci fu un periodo molto duro con le leggi di segregazione razziale di Jim Crow che diminuirono drasticamente le opportunità educative dei neri, l’impatto degli anni della Ricostruzione non potè essere completamente cancellato. CAPITOLO 7 -—IL SUFFRAGIO FEMMINILE TRA OTTOCENTO E NOVECENTO: L’INFLUENZA CRESCENTE DEL RAZZISMO Nel 1894 erano già molto radicati la messa in discussione dei diritti elettorali dei neri al sud, il sistema legale della segregazione e la legge di Lynch, ossia i linciaggi dei neri. Le suffragiste della National American Woman Suffrage Association, capeggiate dalla Anthony, non andarono per nulla incontro alle esigenze di difesa dei diritti dei neri di cui quel periodo aveva bisogno. Anthony, che aveva molta stima per Douglass, lo aveva sempre invitato alle conferenze dell’organizzazione, ma alla fine lo allontanò per non alienarsi l’appoggio delle bianche del sud. Nel 1888 il Mississippi emanò una serie di normative che legalizzavano la segregazione razziale ed entro il 1890 era stata ratificata una nuova costituzione che privava i neri del diritto di voto. Sull’esempio del Mississippi, molti stati meridionali emanarono nuove costituzioni per ottenere la privazione dei diritti elettorali del popolo nero. La posizione “neutrale” che la leadership della National American Woman Suffrage Association adottò sulla “questione razziale” in realtà incoraggiò la proliferazione di idee esplicitamente razziste nelle fila del movimento suffragista. Alcuni abolizionisti poi avanzarono l’idea secondo la quale il suffragio femminile potesse riconciliare nord e sud. È però solo con l’ultimo decennio del diciannovesimo secolo che la campagna per il suffragio femminile comincia ad accettare definitivamente l’abbraccio fatale del suprematismo bianco. Stanton aveva lasciato nel 1892 la presidenza dell’organizzazione ad Anthony, che respinse i diritti delle donne nere e immigrate assieme ai diritti dei loro compagni maschi. Il razzismo in questo periodo alimentava anche le avventure imperialistiche ed era condizionato dalle strategie colonialiste. Gli Stati Uniti conquistarono le Filippine, le Hawaii, Cuba e Porto Rico. Durante un congresso mentre le suffragiste invocavano il loro dovere nell’impegnarsi per il riconoscimento del diritto di voto alle donne dei nuovi possedimenti americani, l'appello che veniva fatte da una donna nera per l’abolizione delle leggi di Crow restò inosservato. Questo evento rappresentò simbolicamente l'abbandono dell’intero popolo nero da parte dell’associazione, che diventava ora una forza reazionaria che sarebbe andata incontro alle richieste dei suprematisti bianchi. Con il nuovo secolo un profondo matrimonio ideologico aveva legato in una nuova foggia razzismo e sessismo. Il suprematismo bianco e il maschilismo, che si erano sempre corteggiati, si circostanze esistenziali strumentalizzate dal padronato per giustificare una maggiore sfruttamento delle donne e delle persone di colore. Le donne in particolare erano strumentalizzate dai capitalisti al fine di ridurre i salari dell’intera classe operaia. Solo nel 1939 aderì ufficialmente al Partito Comunista, tre anni prima della sua morte. ELLA REEVE BLOOR Nata nel 1862 e nota anche come “Mother” Bloor, ella fu una straordinaria sindacalista, una militante per i diritti delle donne, dei neri, per la pace e per il socialismo. Entrò nel Socialist Party subito dopo la sua fondazione e vi militò fino a divenire una dirigente e una leggenda vivente per tutta la classe lavoratrice. Da socialista la sua coscienza di classe non teneva conto dell’oppressione specifica dei neri. Da comunista invece lottò contro le tante espressioni del razzismo, esortando gli altri a fare lo stesso. Per “Mother” Bloor la classe lavoratrice non avrebbe mai potuto assumere il ruolo storico di forza rivoluzionaria se i lavoratori e le lavoratrici non avessero lottato incessantemente contro il veleno sociale del razzismo. ANITA WHITNEY — Nata nel 1967 da una famiglia benestante, nessuno si sarebbe immaginata di vederla diventare presidente del Communist Party in California. Affrontò molto il tema del linciaggio negli Stati Uniti e in quegli anni (1919) era davvero raro vedere una bianca che esortasse altri della sua razza a sollevarsi contro la piaga del linciaggio. La propaganda razzista generalizzata e la diffusione del mito dello stupratore nero avevano alimentato segregazione ed emarginazione. ELIZABETH GURLEY FLYNN- quando morì nel 1964, a 74 anni, ella aveva militato per la causa socialista e comunista per circa sessant’anni. Non aveva ancora sedici anni quando tenne il suo primo discorso pubblico in difesa del socialismo. Basandosi soprattutto sulle sue letture di Wollstoncraft e Babel, cominciò ad interessarsi al socialismo legato alla questione delle donne. Elizabeth, nonostante fosse bianca, era consapevole fin dai primi tempi del suo attivismo dell’oppressione specifica subita dalle persone nere. Nel 1937 entrò nel Communist Party dopo una lunga militanza nel Socialist Party. Affermava che le nere erano sfruttate più delle bianche, in quanto erano sfruttate come nere, come lavoratrici e come donne. CLAUDIA JONES — fin da giovane entrò nel Communist Party e assunse un ruolo di responsabilità nella commissione nazionale femminile del partito. Ella rimproverò ai progressisti, e soprattutto ai sindacalisti, di non aver riconosciuto gli sforzi di organizzazione delle lavoratrici domestiche nere. Claudia Jones era profondamente comunista: una comunista impegnata che credeva nel socialismo come via di liberazione delle donne nere, così come di tutti i neri e dell’intera classe lavoratrice multirazziale. Le sue critiche spingevano le sue compagne bianche a mettere in discussione i propri comportamenti razzisti e sessisti. CAPITOLO 11 - STUPRO, RAZZISMO E IL MITO DELLO STUPRATORE NERO Mentre sono pochi gli uomini bianchi accusati di stupro perché le leggi secondo la Davis sono strutturate a tutela degli uomini delle classi superiori, moltissimi neri sono stati accusati in modo indiscriminato di questo reato, colpevoli o innocenti che fossero. Nella storia degli Stati Uniti la falsa accusa di stupro emerge come uno degli strumenti più terribili forgiati dal razzismo. Il mito dello stupratore nero è stato metodicamente evocato ogni volta che era necessario fornire giustificazioni convincenti alle ondate di violenze e terrore contro la comunità nera. Agli inizi del movimento contro lo stupro solo poche teoriche femministe hanno analizzato seriamente la condizione specifica delle donne nere vittime di violenza. Solo di recente la connessione storica tre le nere, abusate e stuprate dagli uomini bianchi, e i neri, mutilati e uccisi a causa di false accuse di stupro, ha iniziato ad essere riconosciuta. Tutto ciò serve a giustificare e facilitare lo sfruttamento dei neri e delle nere. La schiavitù si basava sul ricorso sistematico allo stupro quanto alla frusta. Lo stupro delle donne nere ad opera di uomini bianchi si è radicato a tal punto nelle dinamiche sociali da riuscire a sopravvivere all’abolizione della schiavitù. Fu praticato dopo la guerra civile dal Ku Klux Klan e da altre organizzazioni terroristiche come arma politica con l’obiettivo esplicito di osteggiare il movimento per l’eguaglianza dei neri. Il fenomeno è continuato anche durante la guerra del Vietnam, in cui molte donne vietnamite sono state stuprate perché agli uomini statunitensi era stato messo in testa che fosse normale per un uomo di razza superiore “perquisire con il pene” una donna di razza inferiore. Molti studiosi hanno avanzato delle ipotesi sulle presunte caratteristiche proprie dei neri, ossia la totale mancanza si castità e la completa assenza di sincerità. La disinvoltura sessuale del nero viene ricollegata spesso all’habitat selvaggio delle sue origini. La teoria del nero come stupratore rinforza ulteriormente la legittimità degli uomini bianchi a disporre dei corpi delle nere come oggetti sessuali. Parallelamente al nero stupratore infatti, c’è la figura della donna promiscua, con un inefrenabile istinto sessuale. Il ricorso agli abusi come strumento di terrore da parte del suprematismo bianco ha anticipato in molti stati l’istituzionalizzazione del linciaggio. Durante la schiavitù il linciaggio non si verificò in maniera diffusa perché i proprietari degli schiavi non volevano distruggere le loro proprietà. Insieme alla frusta lo stupro era un metodo terribilmente efficace per tenere sotto controllo le donne nere e gli uomini; era un’arma ordinaria di repressione. I linciaggi avvenuti prima della guerra civile si rivolsero principalmente verso gli abolizionisti bianchi, che non avevano valore sul mercato. Mentre i linciaggi sono nati per una mera irrazionalità ideologica legata al razzismo, il mito dello stupratore nero fu un'invenzione politica. Durante la schiavitù gli uomini neri non erano etichettati come violentatori. Durante la guerra civile infatti nessun uomo nero era stato accusato di aver abusato di una donna bianca. Se ci fosse stato questo presunto istinto selvaggio questo si sarebbe certamente rivelato quando gli uomini bianchi lasciarono indifese le donne bianche al sud per andare a combattere. Nell’immediato dopoguerra lo spettro minaccioso dello stupratore nero non era ancora apparso sulla scena della storia, ma i inciaggi, riservati durante la schiavitù agli abolizionisti bianchi, iniziarono a dare prova di essere una valida arma politica. In questa situazione emerse il mito dello stupratore nero per giustificare i linciaggi. All’inizio le grandi ondate di linciaggi venivano descritte come una misura preventiva per dissuadere le masse nere dal sollevarsi in rivolta per raggiungere la cittadinanza e l’uguaglianza economica. Si parlava di cospirazioni dei neri, complotti per incendiare le città e commettere violenza. Più tardi, quando divenne evidente che queste cospirazioni erano una montatura che non si materializzava mai, fi modificata la giustificazione del linciaggio. Negli anni successivi al 1872, negli anni dell’ascesa di gruppi come il Ku Klux Klan, fu escogitato un nuovo pretesto. I linciaggi furono rappresentati come una misura necessaria per impedire la supremazia nera sulle persone bianche, in altre parole per riaffermare la supremazia bianca. Iniziò poi ad affermarsi sempre più velocemente il mito dello stupratore nero, così da spiegare in maniera definitiva il linciaggio come metodo per vendicarsi delle aggressioni da parte degli uomini neri sulle donne bianche del sud. Le ripercussioni di questo mito furono immense. Non solo riuscì a soffocare ogni opposizione al linciaggio (chi oserebbe difendere uno stupratore?) ma riuscì a indebolire il supporto dei bianchi alla causa dell’uguaglianza dei neri. Sicuramente ci furono degli stupri dei neri nei confronti delle bianche, ma il numero di accuse era incredibilmente superiore rispetto agli stupri effettivi. Molti apologeti del linciaggio rivendicavano il dovere degli uomini bianchi di difendere le proprie donne fino al punto di commettere aggressioni così brutali nei confronti dei neri. La colonizzazione dell’economia del sud da parte dei capitalisti del nord diede un vigoroso impulso ai linciaggi. I capitalisti godevano di un doppio vantaggio: da una parte l’ipersfruttamento della forza lavoro nera assicurava ulteriori profitti, dall’altra si potevano disinnescare le ostilità dei lavoratori bianchi nei confronti dei loro padroni (partecipando ai linciaggi anche loro che erano in fondo alla società potevano sentirsi superiori rispetto ai neri). Questo fuun momento chiave nella divulgazione dell’ideologia razzista. Ida Wells fu il cuore pulsante della crociata contro il linciaggio destinata a durare molti decenni. Gli articoli di Wells spinsero le nere a organizzare una campagna in sua difesa che infine portò alla fondazione del club delle donne nere. Alla fine l’apporto importante fil però dato da un’associazione di bianche del sud contro il linciaggio che ottenne un grande successo. Tuttavia la ripresa del razzismo a metà degli anni Settanta è stata accompagna da una riabilitazione del mito dello stupratore nero. Secondo la Davis anche oggi la struttura di classe della società capitalista alimenta un incentivo allo stupro, con i grandi capi d’azienda che possono compiere qualsiasi atto di violenza senza essere perseguiti penalmente. CAPITOLO 12 - RAZZISMO, CONTROLLO DELLE NASCITE E DIRITTI RIPRODUTTIVI La campagna per il controllo delle nascite ha origine nel diciannovesimo seclo, quando le femministe rivendicarono per la prima volta la “maternità consapevole”. Era qualcosa di molto audace da parte delle donne, poiché fino a quel momento molti sostenevano che le mogli non avessero diritto di sottrarsi alle necessità sessuali dei mariti. Il controllo delle nascite, la possibilità di una scelta indiiduale, i metodi contraccetivi sicuri, così come l’aborto se necessario, sono tutti requisiti fondamentali per l’emancipazione delle donne. La più importante vittoria del moviemnto contemporaneo per il controllo delle nascite è avvenuta nei primi anni Settanta con la legalizzazione dell’aborto. A differenze delle bianche però, le nere erano genealmente alquanto diffidenti su questo tema. Nonostante quando l’aborto era illegale le nere rischiavano le loro vite e molte volte morivano, esse erano a favore del diritto all’aorto ma non per questo favorevoli all’aborto. Se molte nere e latine facevavo ricorso all’aborto era per non portare nuove vite sulla terra che avrebbero vissuto in condizioni miserabili. Le donne nere hanno sempre abortito da sole sin dai primi tempi della schiavitù per non far nascere figli destinati al lavoro forzato. Quando il diritto all’aborto fu concesso, moltissime donne non potevano comunque permettersi l’intervento quindi furono costrette ad optare per l’infertilità permanente. Per quanto riguarda i diritti riproduttivi, a difendere “il diritto della donna di decidere quando diventare madre, quanto spesso e in quali circostanze” fu Sarah Grimke, che difendeva inltre anche il diritto all’astinenza sessuale. Una donna per fare carriera o anche semplicemente per avere una piena libertà di scegliere come vivere la sua vita, doveva assolutamente avere la possibilità di pianificare le gravidanze. In questo senso lo slogan “maternità scelta” conteneva una nuova visione autenticamente progressista della condizione femminile. Tuttavia questo era possibile solo nelle vite delle classi medie e borghesi. Le donne della classe operaia erano invece impegnate nella lotta per la sopravvivenza economica. Verso la fine del diciannovesimo secolo le nascite calarono, presumibilmente perché non essendoci metodi contraccettivi sicuri le donne avevano limitato la loro attività sessuale. Si arrivò a parlare di “suicidio della razza” e nel 1905 il presidente Theodore Roosevelt ammoni le donne bianche in buona condizione economica che si ostinavano alla sterilità volontaria. Alcune donne importanti del movimento suffragista si rifecero alla posizione del presidente, e ciò rifletteva la condizione di un movimento che aveva ormai ceduto alle posizioni razziste delle sudiste. Mentre le suffragiste tolleravano le tesi sull’estensione del voto alle donne come arma per la salvaguardia della sopremazie bianca, le fautrici dela contraccezione acconsentivano o almeno tolleravano il controllo delle nascite come mezzo per prevenire la proliferazione delle “classi inferiori” e come antidoto al suicidio della razza. Così classismo e razzismo fecero breccia nel movimento per il controllo delle nascite quando era ancora nelle sue primissime fasi.