Scarica Gli EAS tra didattica e pedagogia di scuola, Scholè-Morcelliana, Brescia 2023 e più Sintesi del corso in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! GLI EAS TRA DIDATTICA E PEDAGOGIA DI SCUOLA Il metodo, la ricerca CAPITOLO 1 1. La genesi del costrutto: cosa è morto e cosa è vivo nell’EAS Ormai da dieci anni l’EAS è stato inserito nel dibattito teorico sulla didattica e nella pratica di insegnamento, ma cosa rimane valido e cosa si dimostra meno attuale dell’EAS? Ci concentreremo sui presupposti teorici, su quelle che la ricerca lusofona chiama “le idee che orientano”, che indirizzano. Procederemo in tre passaggi: rifletteremo sull’importanza di ragionare sui presupposti teorici dell’EAS; passeremo a vedere quali presupposti dimostrano tenuta e quali hanno bisogno di qualche aggiustamento; poi prenderemo in esame alcune istanze teoriche che nel corso di questi anni si sono dimostrate pertinenti rispetto al significato didattico dell’EAS; in fine ci occuperemo delle questioni che meritano di essere segnalate all’attenzione della ricerca e della sperimentazione didattica. Riflettere sulle matrici teoriche dell’EAS non è un’operazione superflua, serve a non far banalizzare l’EAS. Il framework da tenere presente è costituito sulle tre idee che costituiscono la struttura dell’EASe sui tre verbi che ne sintetizzano le fasi. Le tre idee: a. L’EAS è un episodio, il fatto che sia circoscritto nel tempo e rispetto al contenuto, lo lega al microlearning e ne suggerisce l’attualità in relazione ai temi dell’attenzione e del curricolo breve. b. L’EAS è situato. Il fatto di essere in situazione, sempre contestualizzato, aggancia gli orientamenti embodied nella ricerca delle scienze cognitive degli ultimi anni. c. Infine, l’apprendimento. Episodicità e situazione vanno pensati come fattori di una didattica funzionale a sviluppare apprendimento significativo e profondo. I tre verbi: a. Anticipare. La fase preparatoria dell’EAS esercita la previsione, uno dei principi della semplessità. Anticipare significa sviluppare un primo pre-sapere a-tematico di quanto poi, nelle altre due fasi, sarà tematizzato. La conoscenza non come esperienza lineare, ma come circolo ermeneutico, ritorno tematizzante su quanto già a-tematicamente era già conosciuto. Questo allenamento allena la previsione e quindi l’apprendimento, visto che per molti autori prevedere significa apprendere. b. Produrre. La fase operatoria dell'EAS è quella più esplicitamente neo-attivista, segnata dal lavoro collaborativo e dalla realizzazione di artefatti. Il modello è la scuola-laboratorio di Freinet e l'apprendimento attraverso il fare che Dewey e la Montessori avevano già indicato come la forma più efficace di apprendimento. c. Riflettere. La fase ristrutturativa è il momento metacognitivo dell'EAS, quello in cui la classe viene accompagnata a riflettere sulle attività svolte. Si tratta della fase più delicata e, probabilmente, più importante. Un fare che non sia riflessivo, si configura come attività e un'attività può risultare magari interessante, coinvolgente, divertente, ma non necessariamente produce apprendimento. È un aspetto da tenere molto ben presente soprattutto in quelle classi in cui insegnanti molto (forse troppo) vivaci propongono attività a ciclo continuo, perdendo di vista il significato del fare e non riuscendo alla fine a produrre davvero apprendimento. Per tornare alla domanda da cui siamo partiti, ci sembra di poter rispondere che probabilmente poco o niente è morto dell'EAS; sono solo cambiati alcuni riferimenti culturali e il contesto entro cui la didattica per EAS viene oggi proposta. Nulla di diverso da quel che è sempre successo: un quadro teorico si trasforma sempre, pur rimanendo fedele a se stesso, in relazione alle nuove evidenze della ricerca, alle occorrenze che più sono in discussione. 2. Learning design: da Freinet, a Barbiana, a DEPIT La cornice di riferimento dell'EAS, e in qualche modo l'orizzonte cui si possono ricondurre quasi tutti gli aspetti teorici che lo rendono riconoscibile, è sicuramente il Learning Design. Il tema del design, in origine (Rivoltella, 2013), era stato inquadrato a partire dal parallelismo con il Multiliteracy Framework. La prospettiva Multiliteracy era stato uno dei risultati del lavoro del New London Group. I curatori del volume, Bill Cope e Mary Kalantzis, hanno dedicato diversi contributi al Design for Learning e all'insegnante come designer e la loro illustrazione delle tre azioni fondamentali su cui il Multiliteracy Framework si regge, me le faceva sembrare allora perfettamente funzionali a essere presentate comparativamente mettendole in relazione con le tre fasi dell'EAS: (1) la fase del designed, in cui la classe riflette sull'attualità per selezionare i costrutti culturali su cui lavorare, in fondo poteva essere fatta corrispondere alla fase preparatoria; (2) il designing, ovvero il momento dello smontaggio e del rimontaggio delle forme culturali nell'officina cognitiva dell'aula, pareva decisamente riconducibile alla fase operatoria, contraddistinta dalla centralità del fare; (3) infine, nella fase del redesigned, la classe sottopone a esposizione interna ed esterna il risultato del proprio lavoro, ricollocandolo nel flusso della cultura, come in fondo succede nel momento ristrutturativo dell'EAS. Ma alla logica del design si possono ricondurre almeno altre tre istanze teoriche che, alla luce del percorso di questi dieci anni, si sono dimostrate decisamente pertinenti rispetto all'impostazione didattica degli EAS. La prima è l'idea del montaggio di oggetti culturali di Pierre Francastel. Nel 2013 si trattava di un'intuizione. Mi piaceva l'idea di fare transfer cognitivo di questo concetto dal campo delle scienze del teatro e dello spettacolo a quello della ricerca didattica. Studiando la festa rinascimentale, Francastel ne coglie il funzionamento allegorico e politico nel processo di smontaggio e rimontaggio culturale: il laboratorio dell'allestimento scenico diviene lo spazio in cui gli elementi della cultura su cui si intende operare vengono rimontati per poter essere ricollocati nella cultura del tempo, proprio attraverso la performance. Negli anni successivi, gli interventi che in diverse occasioni mi sono stati chiesti in materia di EAS, mi hanno portato di nuovo su quest'idea del montaggio culturale approfondendola in almeno due direzioni. (1) Il valore politico del fare scuola. L'11 novembre del 2012, salgo a Barbiana insieme all'amico Luca Toschi, professore dell'Università di Firenze, da sempre vicino alla Fondazione Don Milani. Senza aver combinato di incontrarci lì, ci troviamo Michele Gesualdi. Inizia un dialogo che ci porta a passare quasi un'intera giornata accompagnati da Gesualdi in un viaggio della memoria in cui lui racconta e a noi sembra che il Priore sia appena uscito dalla canonica per farvi ritorno da un momento all'altro. Michele ci aveva mostrato i "libri di testo" di Barbiana: cartelloni appesi alle pareti, grandi album su cui i ragazzi avevano incollato immagini ritagliate dalle riviste che la mamma di Don Lorenzo "mandava su" dopo averle lette e sotto le quali le didascalie, scritte a mano, servivano a risemantizzarle. E si era ragionato di come quella "scuolina" avesse potuto partecipare al dibattito sulla scuola (con Lettera a una professoressa). È qui il senso del fare politica: capire che il lavoro intellettuale che si fa in scuola, individuale che gli si chiede di fare in fase preparatoria. Confrontandosi con lo stimolo e cercando delle soluzioni, lo studente può capire di quali strumenti concettuali già disponga e quali invece gli manchino. Anche la fase operatoria può servire al riguardo. Il lavoro in piccolo gruppo favorisce il confronto cognitivo, costringe a mettere le proprie idee in tensione con quelle degli altri. Infine, la fase ristrutturativa, grazie al lavoro che vi si fa sull'errore e sulla correzione delle misconception, favorisce il ritorno metacognitivo su quanto è stato fatto e discusso: anche questo sostiene la possibilità di ottenere apprendimenti profondi. Sono passati più di trent'anni da quando Howard Gardner diede uno scossone alle teorie correnti in materia di intelligenza. La consapevolezza allora diffusa era che l'intelligenza si misurasse. Gardner reagiva contro l'idea del QI per due sostanziali ragioni. La prima era che quell'idea considerava l'intelligenza come qualcosa di esclusivamente genetico, non dando il giusto valore ai condizionamenti ambientali, come se l'intelligenza fosse una dotazione di base dell'individuo, secondo l'opinione diffusa che essa dipenda dalla "quantità di materia grigia" di cui si dispone alla nascita. Lungo l'arco della vita il cervello si modifica, non solo perché per svariate ragioni perde o elimina neuroni (pruning) e ne genera di nuovi, ma soprattutto perché i fattori ambientali incidono sulla sua organizzazione neuronale. Siamo intelligenti non perché dotati di neuroni, ma perché questi neuroni elaborano tra loro relazioni complesse il cui fine è l'adattamento dell'uomo al mondo. La seconda ragione è che l'ipotesi del QI rendeva "piatta" la nostra intelligenza. Non tutti ci accostiamo ai problemi allo stesso modo. Gardner introduce così l'idea che noi non disponiamo di una sola intelligenza monolitica, l'intelligenza di ciascuno di noi è il mix, individualmente diverso, di diversi possibili accessi al sapere: iconico, sinestesico, numerico, logico- verbale, ecc. La critica gardneriana porta a una ridefinizione dell'intelligenza: essa non è più una "quantità" indicata da un coefficiente numerico, ma la nostra capacità di risolvere problemi. Esistono, per semplificare molto e seguendo la riflessione del neuroscienziato Goldberg, due tipi principali di problemi. Ci sono problemi che prevedono sempre una soluzione vera ed escludono tutte le altre in quanto false. È il classico caso dei problemi di scuola, riconducibili tutti a una serie di casi che, attraverso l'esercizio, servono ad allenare la capacità dello studente di riconoscerli e poi di applicare a essi il giusto schema di soluzione. Nel linguaggio della didattica si parla a questo riguardo di abilità, ovvero di problem solving procedurale: imparo a riconoscere i problemi, imparo le relative soluzioni, imparo ad applicare le soluzioni giuste ai problemi giusti. La seconda categoria di problemi sono quelli che non prevedono una soluzione vera: possono prevedere soluzioni diverse (o non prevederne affatto), non necessariamente ce ne sono di più o meno corrette. Non solo. Questi problemi non sono riconducibili a una serie finita di casi e questo fa saltare il meccanismo didattico che abbiamo conosciuto poco sopra. Qui occorre trovare strategie di soluzione non preventivamente imparate: si parla di problem solving euristico. Di fronte a un problema che non conosco faccio ricorso a quel che so e alle abilità di problem solving che ho capitalizzato, lavoro per analogia (c'è qualcosa di questo problema che assomiglia ad altri che ho già incontrato?), cerco strade che prima non avevo mai battuto. Credo che quel che nel linguaggio della didattica si definisce competenza abbia a che fare proprio con quest'ultimo tipo di attività. Lo studente competente è capace di problem solving euristico, ovvero, posto di fronte a una situazione-problema che non conosce riesce a trovare una strategia di soluzione attingendo a quello che sa e che sa fare. Se le cose stanno così, allora si capisce che il problema non è che a scuola si lavori nella prospettiva delle competenze o dei contenuti, ma che si creino le condizioni perché il bambino possa sviluppare le sue competenze, ovvero la sua intelligenza. Per farlo serve propiziare il suo incontro con i saperi, allenare le sue abilità. 4. I presupposti embodied dell’EAS Ricordo sempre ai miei studenti che una delle leggi non scritte della didattica è che più si contestualizzano gli apprendimenti e più si facilita il compito della classe; non contestualizzarli, già significa aggiungere carico cognitivo accessorio. Il carico cognitivo è rappresentato da informazioni non necessarie che possono distrarre e/o da scelte didattiche come spiegare velocemente, o gestire male i tempi della didattica, tra cui si può inserire anche il fatto di non ricorrere a esempi affrontando gli argomenti in maniera decontestualizzata. Questa legge non scritta è stata in qualche modo formalizzata da Gee in quello da lui definito come «principio del significato situato»; «Il significato viene scoperto a partire dal basso attraverso esperienze concrete». Quando si parla di "secondo Wittgenstein" si fa riferimento alla seconda parte della vita e dell'attività del grande filosofo austriaco, l'incontro con il mondo dei bambini gli fornisce nuovi elementi per tornare sulla sua teoria del linguaggio e immaginarla da una nuova prospettiva. I bambini giocano, imparano a parlare giocando. Scrive Wittgenstein: «Possiamo immaginare che l'intero processo dell'uso delle parole sia uno di quei giochi mediante i quali i bambini apprendono la loro lingua materna. Li chiamerò "giochi linguistici"». Semplificando potremmo dire che il gioco linguistico è caratterizzato da almeno due aspetti. Il primo sono delle regole - Gee le chiamerebbe "grammatiche interne" - in base alle quali giocare. Senza queste regole non è possibile giocare. La conseguenza è che cambia strutturalmente il modo di pensare il significato: esso non è più l'oggetto che viene designato da una parola, ma l'uso che si fa della parola in un determinato gioco linguistico: «la parola "significato" si può definire così: Il significato di una parola è il suo uso nel linguaggio» (Wittgenstein). In questa sintetica affermazione è contenuta la formulazione del principio d'uso. Il secondo aspetto è che questa idea pragmatica del significato e del linguaggio ha come effetto di evidenziare il valore del linguaggio come di un'attività umana. Wittgenstein lo esprime così: «Noi riportiamo le parole, dal loro impiego metafisico, indietro al loro impiego quotidiano». L'uso metafisico delle parole è il loro uso decontestualizzato, lontano dai contesti di vita e professionali. Proprio questo riferimento alla parola incarnata, al suo stretto rapporto con l'esperienza e l'attività del soggetto, offre lo spunto per introdurre l'altro riferimento, quello all’Embodied Cognition. Il punto di avvio per capire cosa abbia comportato l'avvento della prospettiva embodied nelle scienze cognitive è la teoria della mente computazionale e rappresentazionale, ispirata al cognitivismo. Come osservano Caruana e Borghi essa si costruisce su due metafore: (1) la mente come computer che comporta l'idea che la performance cognitiva si possa spiegare in termini algoritmici e che cioè il ragionamento sia una forma di calcolo; (2) la mente come sandwich, ovvero l'idea che la parte importante del panino non siano le due fette di pane (l'input sensoriale e l'output motorio) ma quello che ci sta in mezzo (i processi cognitivi). Questa teoria viene superata dalle nuove scienze cognitive in due direzioni: il rifiuto dell'idea del sandwich mentale sulla base della constatazione che i processi cognitivi hanno carattere emergente e dipendono dalla relazione sensorimotoria dell'agente con l'ambiente in cui opera, come hanno fatto vedere i teorici dell'enattivismo ; il superamento della metafora del computer e la nuova concettualizzazione dei processi cognitivi sulla base del concetto di simulazione «intesa come la riattivazione di pattern sensorimotori, estrapolati dalla loro funzione motoria e sfruttati in processi cognitivi differenti da quelli per cui quei pattern si sono evoluti o durante i quali si sono costituiti». L'EAS si costruisce su queste premesse teoriche in relazione a due istanze: l'anticipazione cognitiva e l'apprendimento in contesto. E in questo modo recupera almeno altre tre istanze teoriche importanti. L'anticipazione cognitiva è attiva soprattutto nella prima fase dell'EAS, quella preparatoria. Il carattere situato di questa attività va cercato nella sua funzione di favorire la prima formazione di un pre-sapere a-tematico dello studente sul problema di cui l'EAS intende occuparsi. Questo pre-sapere, oltre a consentire di leggere I'EAS nella prospettiva del circolo ermeneutico, ha la funzione di consentire allo studente di esercitarsi in autonomia nella elaborazione di domande, a partire da quel problema, e nel primo tentativo di fornire delle risposte. Nella fase operatoria, soprattutto, l'EAS dà anche prova di favorire lo sviluppo di apprendimento in contesto. Il punto di avvio è sempre una situazione-problema che però in questo caso viene sottoposta al piccolo gruppo e comporta la realizzazione di un artefatto. 5. La questione del Microlearning Il microlearning è sicuramente un presupposto teorico coerente rispetto alla logica dell'EAS. Nello specifico, appartiene all'EAS la duplice idea che ridurre il formato del contenuto di apprendimento e circoscriverne il peso informativo possa servire a sviluppare apprendimenti più efficaci: in questo sta il significato dell'episodicità, che l'EAS sia un episodio di apprendimento. Da questo punto di vista, si dimostra ancora pertinente il riferimento alla teoria della semplessità di Berthoz. L'idea era che l'EAS potesse funzionare da dispositivo semplesso in campo didattico, un po' come tutti i dispositivi didattici nella misura in cui svolgono una funzione di mediatori. Il carattere semplesso sta nella possibilità del dispositivo didattico di consentire allo studente di fronteggiare la complessità ma senza banalizzarla attraverso la semplificazione. Un tratto distintivo che consente di comprendere come si possa rispondere in maniera rapida a un problema complesso è lo «scomporre i problemi complicati in sottoproblemi più semplici grazie a moduli specializzati, a costo di dover in seguito ricomporre l'insieme» (Ivi). Rapidità, anticipazione, previsione, logica della scomposizione: sono tutti elementi che si possono rintracciare nel dispositivo dell'EAS e che ne confermano il carattere semplesso. Tornando alla episodicità dell'EAS, nel microlearning "aziendale" questo risultato si ottiene grazie alla "pillolizzazione". La metafora della pillola di contenuto funziona bene per descrivere un contenuto di breve durata e molto ben focalizzato su una porzione limitata di informazione. Nell'EAS, la gestione del tempo è presente sia a livello macro (L'EAS, nel suo complesso, deve essere contenuto se possibile nella stessa sessione di lavoro, una o due ore in tutto) che a livello micro (l'EAS non ha solo breve durata nel suo complesso, ma anche al suo interno è articolato in fasi e ciascuna fase in TLA - Teaching and Learning Activities). Le motivazioni didattiche a supporto di questa scelta vanno cercate nella possibilità di mantenere in modo più efficace l'attenzione della classe e nella teoria del carico cognitivo cui facevamo cenno nel paragrafo precedente: ridurre i tempi di attenzione, spezzare il ritmo del lavoro, disarticolare la sessione didattica in TLA, sono tutti accorgimenti che possono aiutare a non aggiungere carico cognitivo accessorio. Invece, dal punto di vista della professionalità dell'insegnante, questa logica di microlearning che l'EAS adotta trova le sue ragioni nel fatto che costringe gli insegnanti a emanciparsi dalle loro pratiche tradizionali: rinuncia alla frontalità tipica della lezione e la necessità per l'insegnante di ripensarsi in una prospettiva laterale rispetto agli apprendimenti. Esso prevede e consente agli studenti di affrontare la complessità del mondo attuale, superando gli orizzonti delle discipline, valorizzandone il personale rapporto con le stesse in modo da adattarsi alle nuove condizioni e agli sviluppi scientifici in continua evoluzione. Così il curricolo viene vissuto come "una prova di futuro'. È necessario un equilibrio tra conoscenze e abilità dato il loro stretto rapporto interno dove le abilità entrano in contatto con le conoscenze e la conoscenza, ponendosi come sintesi riflessiva, agisce come veicolo per sviluppare abilità. Dati questi presupposti, possiamo concludere che il curricolo descrive e organizza, in modo organico, tutto il percorso cui gli studenti di quella particolare realtà scolastica possono accedere per essere gradualmente accompagnati verso il proprio "successo formativo". Solo attraversando il "curricolo di scuola" si sviluppano le esperienze significative che permettono ai soggetti di formarsi in modo responsabile e attivo, sia sul piano intellettuale che su quello emotivo-affettivo. Si tratta dunque di un artefatto complesso ma centrale per costruire e comprendere l'offerta formativa della scuola. 2. Il curricolo generativo nella logica EAS Parlare di ricerca e di innovazione educativa e didattica oggi significa creare le condizioni perché la scuola, nell’elaborazione/nella revisione del curricolo, possa realmente dialogare con il suo tempo. La natura, infatti, del processo che genera un curricolo è un'operazione che risponde a un bisogno naturale. Una vera innovazione curricolare consiste nel realizzare un atto di discernimento anche per valorizzare ciò che esiste. L'idea di curricolo a cui facciamo riferimento è quella di un curricolo generativo che «(...) facilita il progressivo incontro, fin dalla scuola dell'infanzia, dei bambini con i saperi, cioè con le parole, gli strumenti, che permettono la ricostruzione culturale dell'esperienza vissuta, dell'ambiente, dello spazio». In base a questa definizione proviamo a individuare alcuni aspetti portanti che rappresentano lo sfondo per rinnovare un curricolo di scuola capace di innovazione, sostenibilità e partecipazione, cittadinanza e sapere. Curricolo innovativo. Il curricolo non può solo limitarsi agli apprendimenti ma deve favorire il "diventare grandi degli studenti" accompagnandoli in un inserimento nel reale con esperienze culturali progettate, fondative e compiute. È necessario che il curricolo sia un percorso di ricerca, di azione culturale e didattica capace di innovazione. La scuola, per essere un'organizzazione educativa di qualità, coglie i bisogni e le domande del contesto, legge e accompagna il cambiamento, apprende dall'esperienza e si modifica dimostrando flessibilità e progettualità. Un curricolo generativo invita a un allargamento dello sguardo che porti l'insegnamento a prendersi cura di un apprendimento capace di andare oltre l'aula per contaminarsi con la realtà. Una prospettiva questa che è stata inserita anche nelle Indicazioni 2012 quando si afferma che: «La scuola è investita da una domanda che comprende insieme l'apprendimento e il saper stare al mondo». Questa capacità di innovazione meditata deve partire dalla tradizione scolastica che connota la scuola e richiede necessariamente un'elevata professionalità di tutti gli operatori. Curricolo sostenibile. Base fondamentale della cultura della sostenibilità è la concezione non individualistica e non privatistica dei saperi. La cultura, quindi, si deve fondare su un'idea di "cura" dei beni sociali comuni. Per questo la sostenibilità si può veramente affermare solo attraverso la "partecipazione". Un curricolo sostenibile deve permettere di acquisire un'istruzione di qualità, equa e inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti. Curricolo di cittadinanza. In questo modo il curricolo assume caratteristiche di cittadinanza in quanto aiuta gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado a diventare cittadini attivi, informati, responsabili e capaci di assumersi responsabilità per loro stessi e per le loro comunità, a tutti i livelli, locale, nazionale e internazionale. Curricolo inclusivo. Il curricolo deve porre attenzione ai due elementi fondanti della scuola, la relazione tra le persone e il contesto di apprendimento dentro e fuori la scuola. Questo significa l'ideazione di esperienze che rispettino le potenzialità di tutti e di ognuno e la costruzione di spazi e occasioni di sperimentazione di modalità diverse di costruzione del sapere. In questa logica il curricolo diventa uno strumento di costruzione di comunità, in quanto tutti possano avere le stesse occasioni di apprendere e crescere attraverso il fare esperienza con gli altri. In questa prospettiva il curricolo propone apprendimenti significativi di appropriazione e di trasformazione in quanto permette di allargare gli sguardi, portando l'insegnamento verso la cura di un apprendimento capace di andare oltre l'aula per contaminarsi con la realtà. Curricolo come "bussola orientativa". Questo significa non una quantità di oggetti culturali da apprendere o performance da esaminate, ma un cammino profondo orientato a uno scopo dotato di valore e riconosciuto dall'alunno che ne è il protagonista. Potremmo dire un curricolo come "un'avventura" svolta insieme lungo un percorso capace di risonanza, che abbia una direzione, una bussola. Questi aspetti devono permettere di generare un curricolo rinnovato che, nella logica EAS, non può che essere un curricolo breve, fatto di snodi essenziali. Solo in questo modo sarà possibile lasciarsi alle spalle il nozionismo sterile favorendo invece l'appropriazione culturale senza di cui nessuna testa, per quanto ben fatta, può funzionare. 3. Gli EAS e il curricolo: macro e microprogettazione Dopo aver spiegato nel paragrafo precedente quale sia l'idea di curricolo che in questo volume condividiamo, si tratta ora di entrare nello specifico del rapporto tra gli EAS e il curricolo. Probabilmente i due grandi modi di ragionare sul rapporto tra gli EAS e il curricolo sono di chiedersi, da una parte, (1) cosa il curricolo produca sugli EAS e dall'altra (2) cosa gli EAS producano sul curricolo. Impostare in questo modo l'analisi significa cogliere la complessità del rapporto tra dispositivi didattici (come l'EAS) e logiche organizzative di scuola: un rapporto mai lineare e mai basato su nessi di causazione diretta. Proviamo a capire cosa il curricolo produca sugli EAS in questo paragrafo. Diciamo subito che il curricolo cui pensiamo è organizzato per competenze. Non ci si può occupare in questa sede del ricco dibattito che si è prodotto nel nostro Paese al riguardo. Alcune precisazioni, tuttavia meritano di essere fatte. Non crediamo che lavorare per competenze significhi pensare a un'istruzione per il profitto; l'istruzione è sempre per la democrazia, ha sempre di mira lo sviluppo del pensiero critico e del pensiero posizionale, ma questo non significa che non si possa servire delle competenze come criterio organizzativo, di design e docimologico. La competenza non è un formalismo, ma la capacità di fare problem solving euristico e, in quanto tale, si esercita sempre su un contenuto; i contenuti senza le competenze sono ciechi, le competenze senza i contenuti sono vuote. Infine, occorre osservare che il dispositivo delle competenze è funzionale a una didattica centrata sullo studente. Quando si progetta per competenze si parte dalla fine, ovvero dal profilo dello studente che si prova a sviluppare in uscita da una classe o da un grado di istruzione. Come si capisce, al centro dell'attenzione è lo studente, quello che dovrà imparare, il suo profilo di apprendimento. E allora come si salda il curricolo per competenze con la progettazione per EAS? Diciamo che l'EAS inizia lì dove la progettazione per competenze. Una progettazione per competenze muove sempre dalle Indicazioni Nazionali i cui traguardi di competenza, però, sono spesso troppo "larghi" per poter essere operazionalizzati e soprattutto misurati in relazione al loro effettivo raggiungimento. Essi hanno quindi bisogno di essere declinati. Il concetto di declinazione è tecnico e fa riferimento al passaggio dal macro al micro, alla progressiva specificazione del traguardo a livelli sempre più "fini". Secondo una metodologia ormai abbastanza condivisa, la traiettoria della declinazione (in cui consiste la macroprogettazione, ovvero la costruzione del curricolo di scuola) può essere descritta attraverso i seguenti passaggi: ) dai traguardi alle dimensioni di competenza. Una dimensione di competenza è un aspetto generale della competenza sui cui si sta lavorando. ) dalle dimensioni ai criteri di competenza. Un criterio di competenza è il parametro in base al quale si valuta lo sviluppo o meno di una dimensione di competenza. ) dai criteri agli indicatori di competenza. Per stabilire se un criterio sia stato o meno soddisfatto, occorre rifarsi a delle evidenze. Proprio gli indicatori di competenza sono la parte della declinazione dei traguardi di competenza che innesca la microprogettazione dell'insegnante. Dopo aver individuato gli indicatori su cui intende lavorare con la classe, l'insegnante progetta un'attività a partire da essi. È il classico lavoro di lesson planning in cui consiste il design didattico, la "preparazione delle lezioni". Nella nostra tradizione didattica non abbiamo abitudine alla progettazione esplicita, ovvero a un design che passi attraverso la definizione, di obiettivi, fasi, strumenti della lezione. L'EAS offre all'insegnante un layout per il Learning Design e quindi si propone come caso di microprogettazione esplicita. Esso viene progettato a partire dall'indicatore su cui si intende far lavorare la classe e proprio il fatto di essere circoscritto, sia dal punto di vista della durata temporale che del contenuto, favorisce la sua coerenza con una logica di progettazione come quella per competenze in cui le attività didattiche vengono progettate al fine di operazionalizzare pochi indicatori per volta favorendo la concentrazione della classe. Quando si parla di Learning Design si fa riferimento a una teoria che vede nella didattica agita in classe lo spazio di articolazione tra insegnamento e apprendimento. L'EAS è un dispositivo didattico che consiste di una o più Teaching and Learning Activities (TLA), riconoscendo in questo modo all'EAS uno status di aggregatore didattico. Proprio in questa funzione di aggregazione si coglie il primo dei due livelli ai quali macro e microprogettazione di complicano. Il primo livello è la necessità di fornire allo studente delle cornici funzionali a comprendere i frammenti di cui la cultura in cui vive e la stessa cultura di scuola sono fatte. Il secondo livello, invece, ha a che fare con la necessità, quando si fa didattica, di ottemperare sempre contemporaneamente a due logiche: una logica "micro" di focalizzazione sul problema/ tema su cui si sta lavorando e una logica "macro" di "localizzazione" del lavoro didattico che si sta svolgendo in relazione con un quadro più generale di cui esso è parte. Questa doppia esigenza deve essere garantita per un apprendimento efficace: appiattirsi solo sul micro significherebbe produrre disorientamento e frammentazione; rimanere sul "macro" vorrebbe dire non approfondire mai e limitarsi a una considerazione solo generale dei fenomeni. Una possibilità di rendere disponibili le due dimensioni, gli EAS (micro) e il curricolo (macro), per gli insegnanti e per gli studenti, consentendo di passare in tempo reale dall'una all'altra, è DEPIT, un dispositivo didattico che è il risultato dell'omonimo progetto europeo. 4. L'essenzialità: il curricolo breve, esemplarità e trasferibilità Il metodo EAS è improntato al ‘pensiero breve’. Ma cosa significa parlare di pensiero breve? funzionale a fronteggiare le due questioni del tempo e dello spazio, entrambe problemi di difficile soluzione per la scuola. Nello specifico, in questo paragrafo, l'attenzione cade su un terzo modo dell'EAS di funzionare da dispositivo semplesso, ovvero la sua natura di dispositivo interdisciplinare. Procediamo con ordine e, in due passaggi, proviamo a (1) chiarire concetto e utilità dell'interdisciplinarità in scuola e a (2) mostrare come l'EAS possa funzionare in questa prospettiva. Il punto di partenza è quella che già Pierre Levy (1997) definiva la intotalizzabilità del sapere in quella che in quegli anni veniva chiamata cybercultura. Il sapere è sicuramente intotalizzabile, cioè non abbracciabile da un unico punto di vista, in un sistema socio-culturale in cui la conoscenza cresce su stessa a ritmo veloce. Ma forse si può oggi portare alle estreme conseguenze la considerazione di Levy, parlando di un'intotalizzabilità dei singoli saperi: non è la cultura in quanto tale, nella sua natura di sintesi dell'intero sapere di un'epoca, a non consentire più uno sguardo di insieme, ma anche le singole scienze, le singole discipline, soggette a una deriva di specializzazione funzionale sempre più solo alla focalizzazione sul singolo frammento. Questa situazione, se possibile, nella scuola è ancor più concretamente sperimentabile. Infatti, il tradizionale dispositivo di scuola è costruito sulla separazione delle materie e sull'organizzazione dell'orario sulla base della coincidenza dell'ora di lezione, con la presenza dell'insegnante e la singola materia. Questo tipo di consapevolezza epistemologica e di organizzazione scolastica produce una logica strettamente monodisciplinare che: (1) dal punto di vista didattico comporta contenuti focalizzati, collocati in modo sequenziale e correlati a idee riconducibili alle singole discipline; (2) dal punto di vista professionale la difficoltà a lavorare in compresenza o per classi aperte. E così, di fronte a un sapere sempre più all'insegna della complessità, che si sottrae a punti di vista monodisciplinari, la scuola risponde con un'organizzazione didattica che proprio sui punti di vista monodisciplinari è costruita. Il superamento di questo tipo di prospettiva è possibile in diverse direzioni: la mutidisciplinarietà, la interdisciplinarità, la transdisciplinarità. Il primo livello è quello della multidisciplinarietà, ovvero il caso in cui «la soluzione di un problema richieda informazioni a due o più scienze o settori di conoscenza senza però che le discipline messe a profitto siano modificate o arricchite da quella che le utilizza» (Piaget). Per fare un esempio curricolare è quel che capita quando l'insegnante di matematica e quello di filosofia si accordano per trattare ciascuno dal suo punto di vista il problema dell'infinito nei paradossi di Zenone e nella teoria dei numeri reali. Il secondo livello è quello dell'interdisciplinarità, e in questo caso «a collaborazione fra discipline diverse o fra settori eterogenei di una medesima scienza conduce a interazioni vere e proprie, a reciprocità di scambi tale da determinare mutui arricchimenti» (Piaget). Per restare al caso precedente, i due insegnanti progettano insieme la lezione in modo tale che la discussione dei paradossi possa essere sviluppata così da far vedere che una loro confutazione passa dal rilievo della confusione tra punto fisico e punto geometrico e da altre considerazioni tecniche. L'ultimo livello è quello della transdisciplinarità, e cioè il caso «che non si limiti al raggiungimento di interazioni e reciprocità fra ricerche scientifiche, ma collochi tali legami dentro a un sistema totale privo di frontiere stabili fra le discipline» (Piaget). In buona sostanza, se passiamo ancora una volta sul piano dell'esempio didattico, vorrebbe dire affrontare il problema dell'infinito sfruttando la compresenza dei due insegnanti e lavorando alla sua discussione attraverso i presupposti concettuali delle diverse discipline portati in gioco congiuntamente e argomentati al di là delle loro specificità disciplinari. L'EAS - e introduciamo così il secondo passaggio del nostro ragionamento - può contribuire a questo tipo di superamento e integrazione delle specificità disciplinari? La risposta si può organizzare a più livelli. Anzitutto si può osservare come il design dell'EAS, la sua progettazione di struttura e l'insieme delle attività e della documentazione che esso richiede, possa essere aperto in prospettiva di condivisione, magari anche con l'aiuto di una piattaforma di file sharing. Ovvero: è anzitutto l'attività di creazione dell'EAS che può prevedere il contributo di diversi insegnanti di diverse discipline e questo ai diversi livelli di "profondità pluridisciplinare" previsti da Piaget. Questa progettazione pluridisciplinare si traduce subito anche in una forma di economia metodologica perché significa che le stesse due ore (se stiamo pensando a un EAS di questa durata) potranno essere funzionali a più discipline e questo rappresenta un'estensione del tempo della didattica. Ancora, l'EAS si presta moltissimo a essere pensato come un compito di performance che prevede la verifica delle competenze a più livelli. Infatti, essendo quasi sempre il risultato dell'EAS la produzione di un artefatto, spesso multimediale, non è difficile immaginare che attraverso l'artefatto si possano verificare non solo le competenze sviluppate dalle discipline coinvolte direttamente sui suoi contenuti, ma anche altre discipline che abbiano uno spazio strumentale in esso. Da ultimo, sul piano strutturale, una classe che lavori per EAS (di qui l'importanza che non sia il singolo insegnante a farlo) è una classe in cui il baricentro della didattica si sposta dalle ore di disciplina agli EAS e gli insegnanti sono di fatto costretti a lavorare insieme. Si capisce da questo come l'EAS, a questo livello, agisca sul curricolo nella doppia direzione della forzatura del dispositivo di scuola e della promozione di una più convinta collegialità. 6. L'apertura: gli EAS dentro e fuori la classe L'idea del "dentro e fuori la scuola" sostiene la concezione di un'istituzione scolastica intesa come "sistema aperto", capace di allargare il proprio orizzonte formativo e operativo al contesto sociale, economico e territoriale e di esercitare verso di esso un ruolo attivo e propositivo. Obiettivo è quello di porre lo studente al centro del progetto educativo e creare le condizioni ottimali per garantirgli il successo scolastico contrastando l'abbandono e contribuendo alla sua piena realizzazione sociale come cittadino. Il curricolo breve accoglie al suo interno l'innovazione del cambiamento creando quella sinergia necessaria tra scuola e territorio in quanto pone attenzione al "dentro", ossia a tutto ciò che attiene al fare scuola ed è generativo del sapere formale, ma con un'attenzione costante al "fuori", rappresentato dalle iniziative promosse da tutte quelle entità che con la scuola possono interagire e collaborare. Una scuola aperta all'esterno sa instaurare un percorso di cambiamento basato sul dialogo e sul confronto per arricchire il proprio servizio attraverso un'innovazione continua che garantisca la qualità del sistema educativo. L'utilizzo del metodo EAS consente di riconfigurare gli spazi e i tempi dell'insegnamento e dell'apprendimento formale, offerto dalle istituzioni scolastiche e formative che garantiscono una certificazione, e quelli dell'apprendimento informale, che avviene nei contesti extrascolastici e negli ambienti della vita familiare e aggregativa, all'interno di una logica di apprendimento ma anche di servizio nella comunità educante. Il metodo EAS per le sue caratteristiche si presta a un apprendimento basato sul web (Web Based Learning), in tutte le sue fasi, in quanto prevede una costante relazione con il "fuori", il territorio, attraverso una reale attivazione personale dell'allievo, "dentro", che, con il suo contributo, co- costruisce l'episodio di apprendimento situato. Progettare e agire per EAS aiuta il docente a far entrare nella propria attività didattica la New Literacy (Rivoltella, 2020) che comprende la Digital Literacy e la Media Literacy, cioè l'alfabetizzazione degli allievi alla grammatica e alla sintassi necessarie per muoversi nel mondo digitale, e obbliga gli insegnanti a mettere le proprie discipline a confronto e a contatto con la rete e con tutto quello che rappresenta e vi si trova. La New Literacy richiede un docente attento alla contemporaneità e disposto a trasferire in classe non soltanto la propria cultura ma anche quella che gli proviene dalla cultura del web e del mondo social. Questo modo di far scuola fornisce ai giovani risposte e supporto per essere protagonisti della loro cultura nella società dell'informazione, acquisendo competenze che non sono legate a una disciplina in particolare, ma il cui sviluppo è legato a una modalità di apprendere e operare che è in stretta connessione con la realtà circostante. CAPITOLO 3 1. La sintassi dell'EAS: cauto elogio della progettazione esplicita La progettazione esplicita è la possibilità di firmare una lezione originale, come se fosse una qualsiasi altra opera d'ingegno, usando un format codificato. Il docente designer non sarà più schiavo della trasposizione esterna delle discipline proposta dai documenti nazionali, dai manuali in adozione e da antiche liste di contenuti ormai interiorizzate. E questo è l'elogio. In realtà, man mano che si lavora per EAS, il docente ha a disposizione alcune lezioni già progettate che può adattare e modificare, condividere: progettare tutti i giorni tutte le lezioni ex novo non è praticabile, rischia di usurare l'entusiasmo e di rendere faticosa la postura dell'insegnante progettista. E questo è l'invito alla cautela. Lo studente deve essere al centro, questo ormai è condiviso da tutti. Ma al centro di cosa? Perché uno studente sia al centro bisogna disegnargli intorno un preciso ambiente di apprendimento, e senza la progettazione esplicita della lezione questo è impossibile. Mettere al centro lo studente significa disporre la lezione, darle una forma, soprattutto per quanto concerne quello che lo studente è chiamato a fare: occorrerà predisporre materiali, suggerire risorse anche online, tracciare un percorso di ricerca, problematizzare le questioni, selezionare un microcontenuto da rielaborare. Dunque, l'elogio della progettazione esplicita è innanzi tutto l'elogio di chi sa mettersi da parte, di chi abbandona la scena per dirigerla, come un regista. Dal punto di vista del docente, la progettazione esplicita è un'occasione imperdibile per prendere sul serio e valorizzare il proprio lavoro. L'EAS è un dispositivo professionale che stimola la riflessività, ma è anche uno strumento che libera la creatività. La progettazione in tre fasi obbliga a pensare a un'articolazione della lezione in tre atti: è un'operazione di design, ma anche di storytelling. Bisogna raccontare una storia convincente, dotata di sostanza e ritmo. La fase anticipatoria non è l'antefatto o il prologo: quello è implicito e precede. La fase anticipatoria fa iniziare l'EAS in medias res: si parte dal conflitto ed è il conflitto che dà senso al resto. La prima operazione, che richiede un impegno creativo da parte del docente, è trasformare un contenuto in un problema. Già questa operazione non è neutra né pacifica, perché richiede all'insegnante di usare il presente come reagente per far emergere da un oggetto culturale la domanda che contiene. Il presente è tempo e luogo: si riferisce all'attualità ma si riferisce anche ai presenti, docente e studenti, che condividono quel tempo. La situazione-stimolo iniziale, quindi, dovrà contenere un aggancio al presente e ai presenti; da questo dipende l'interesse a partecipare anche alle fasi successive da parte degli studenti. Si creano le condizioni perché la storia sia ben costruita, si crea, cioè, quel sistema dinamico all'interno del quale tutti si muoveranno producendo cambiamenti in se stessi e negli altri. Greppi, nel suo saggio su questa fiction straordinaria, il filo rosso, quello su cui confrontarsi, è il trauma della trincea, non tanto quello che appare come il tema principale, ovvero una guerra tra gang a sfondo razziale. Il tema vivente, come ha scritto Freinet, è quello che "c'entra" con gli allievi, perché li coinvolge a livello personale, come categoria - perché sono bambini, perché sono adolescenti - oppure perché riguarda quello che succede attorno a loro (a noi). Recentemente i Fridays for Future hanno dimostrato il forte coinvolgimento dei giovani sul tema della sostenibilità e della salute del pianeta, così come la guerra in corso non li ha lasciati indifferenti: questi sono temi viventi. C'è una forte richiesta di accesso verso quello che succede nel mondo ma che, come già rilevato, si scontra con l'overload di informazioni che investe ogni individuo così che l'EAS con la sua sceneggiatura rigorosa ma generativa viene di nuovo in aiuto al docente perché non si nutre solo di narrazioni, ma anche di informazioni. Portali di notizie, siti di musei, podcast, profili social e luoghi in cui circola la stretta attualità: il docente indica agli studenti luoghi della rete che magari non frequentano. È noto che il meccanismo dei social media porta a stare dentro bolle informative che si autoalimentano. Proporre di seguire per qualche giorno profili social di studiosi, di giornalisti, di divulgatori, di scienziati, di storici, di letterati, è un primo elemento di distinzione, apre al confronto e a opinioni diverse. Oppure concentrarsi sul formato podcast che l'EAS accoglie nella fase anticipatoria, in cui si possono proporre attività di scoperta facendo ascoltare e analizzare i singoli episodi, mentre nella fase operatoria si può proporre di scrivere la scaletta di uno nuovo per poi realizzarlo successivamente. L'EAS, sempre ma forse ancor più oggi, ha bisogno di un docente che viva lo spirito del suo tempo. Incanalare competenze che gli studenti hanno già con i quadri concettuali propri dei docenti, esperti nei saperi tradizionali, è fondamentale affinché gli studenti siano consapevoli di cosa vedono, di cosa fanno o non fanno, clicchino a ragion veduta, commentino riflettendo e in definitiva apprendano. 3. Spiegare l'EAS: rendere riconoscibili le fasi del lavoro La progettazione esplicita traccia il percorso, è una mappa. Non è però il viaggio, il viaggio vero è la realizzazione dell'EAS in classe insieme agli studenti. Nel primo paragrafo si è paragonata la progettazione esplicita alla scrittura di una storia, che vede come protagonisti docente, studenti e, come si è visto nel paragrafo precedente, i loro consumi culturali. Rimanendo in questo parallelismo, una volta in classe la storia va raccontata perché ciascuno possa collocarsi coscientemente all'interno della "narrazione". Per facilitare l'individuazione del filo narrativo da parte degli studenti, può essere utile sintetizzare la progettazione completa in una scaletta, da proiettare durante la lezione; l'indicazione dei tempi di svolgimento delle diverse fasi sarà anche d'aiuto per mantenere il giusto ritmo. Spiegare le fasi dell'EAS aiuta dunque gli studenti a orientarsi e a tenere il passo. Rendere riconoscibili i vari momenti della lezione ha però un'altra importante funzione, quella di far emergere il senso di quello che si sta facendo. La spiegazione dell'EAS deve essere semplice e lineare, non costruisce pericolanti sovrastrutture di intenzioni e aspettative; è importante far emergere in modo chiaro la coesione tra le fasi, illustrare brevemente gli strumenti e i materiali che si utilizzeranno nel corso della lezione; far comprendere il nesso tra la scelta di un consumo culturale degli studenti e la disciplina. Rendere riconoscibili le parti dell'EAS contribuisce anche a suggerire o rinforzare il metodo di apprendimento: per esempio, capire l'utilità di documentarsi autonomamente prima di affrontare un compito; scoprire che anche quello che si "consuma" in autonomia (serie tv, podcast, giochi) è "cultura", se si utilizzano gli strumenti cognitivi giusti; e poi analizzare e valutare il proprio modo di lavorare sono pratiche che, una volta interiorizzate, risultano estremamente significative e trasferibili anche in altri contesti, producono consapevolezza culturale e soprattutto agganciano il lavoro scolastico alla vita, nella dimensione dell'onlife. La fase preparatoria è la più aperta, è una situazione-problema che mette in moto strategie individuali: qui naturalmente il docente non spiega né il problema né tantomeno la soluzione, ma suggerisce un modo di procedere, individua strumenti e risorse. Può mostrare perché quel problema è significativo per lui in prima persona, ma anche in relazione al contenuto della lezione e alle competenze che si vorranno esercitare. Nella fase operatoria il docente spiega cosa gli studenti faranno in gruppo, ma spiega anche perché si è richiesto quell'artefatto, come si inserisce nel contesto culturale in cui siamo immersi, a cosa serve; ragiona sul fatto che quell'attività insegna a fare qualcosa che si potrà poi utilizzare fuori dall'aula. Nella fase ristrutturativa gli studenti acquisiscono l'attitudine a osservarsi, a capire quali sono i loro punti di forza e punti deboli: se il docente spiega l'utilità e il senso di questa metariflessione, gli studenti saranno motivati a prendere sul serio questa fase, che spesso viene confusa con una semplice presentazione dell'artefatto. Non si tratta di spiegare le fasi in astratto, come se si volesse presentare il metodo didattico, ma di spiegare i passaggi di quella specifica lezione, della sua coerenza interna in vista di uno scopo quanto più condiviso. Smontare insieme la lezione per capire com'è fatta diventa indispensabile con gli studenti più grandi, che sono quelli che fanno più fatica a trovare il senso di quanto viene loro proposto a scuola. E proprio con loro è particolarmente utile mostrare, come si diceva prima, gli attrezzi del mestiere: l'autorevolezza dell'adulto non è più data per scontata e va conquistata mostrando la propria maestria. Se la scuola fosse solo il luogo dove si acquisiscono informazioni, il docente sarebbe perfettamente inutile. Invece il docente non è sostituibile e non è superfluo soprattutto in questo preciso momento storico in cui si assiste a quella deriva pedagogica che Gert J.J.Biesta chiama "learnification dell'istruzione": l'apprendimento puro e semplice non è il solo obiettivo dell'insegnamento, esistono un orizzonte di valori e scopi cui l'insegnamento mira che rendono il docente insostituibile. Ma questo orizzonte etico va esplicitato: e allora spiegare le fasi dell'EAS significa anche rivelare le diverse dimensioni dell'educazione e onorare la natura aperta del rapporto docente-studente, che non è riducibile a un rapporto di causa-effetto. L'imprevedibilità del risultato è propria della natura delle storie. Se nel paragrafo 1 abbiamo paragonato il docente progettista a uno storyteller, che pratica l'arte di "lasciare libera una storia", la lezione è allora la storia che risulta alla fine. La storia è ciò che l'esperienza si lascia dietro, non ciò che si prefigge a priori di dar forma all'esperienza. Abbiamo elogiato la progettazione esplicita, nel paragrafo 1, e qui la lezione spiegata e raccontata, ma tutti i docenti sanno che c'è poi un lato invisibile e silenzioso dell'insegnamento, che è quello che lascia la traccia più profonda e lunga. È la trasmissione genealogica, il riconoscimento tacito di un debito. In conclusione, il docente ci mette la faccia, si posiziona rispetto a quello che insegna e mostra persino la propria personale cassetta degli attrezzi, ma insegna anche in silenzio. In questo scambio essenziale tra un vero maestro e il suo allievo. 4. La flessibilità dell'EAS: i contesti Al termine di questo viaggio all'interno del formato dell'EAS che di fatto è già stato tutto all'insegna della flessibilità di chi abita la scuola proponiamo due approfondimenti: uno sullo statuto dell'emergenza, l'altro sulla formazione. Si tratta di contesti che hanno una forte centratura sulla scuola ma che consentono generalizzazioni più ampie. 4.1. Nell'emergenza Fa riflettere l’affermazione che, forse, non soltanto a causa della recente pandemia causata dal Covid 19, ma anche di altre situazioni determinate dalle caratteristiche attuali del nostro ambiente, la scuola non possa più essere solo e sempre in presenza. È necessario progettare pensando a presenza e distanza, tenute insieme dal digitale, perché può essere necessario tornare temporaneamente alla didattica a distanza. In questa dimensione di scuola inedita, perché in passato la presenza era condizione univoca e non discutibile, è necessario fare riferimento a un modello di lezione metodologicamente forte, ma flessibile rispetto a possibili variazioni. Per logica conseguenza di quello che abbiamo scritto nei paragrafi precedenti, il metodo in questione è senza dubbio l'EAS, che si adatta perfettamente alle caratteristiche dell'ambiente in cui si instaura la relazione didattica nel momento che stiamo vivendo. Tale ambiente non può essere che misto - fisico, virtuale e relazionale - così come l'apprendimento curricolare non può che essere affiancato da forme di apprendimento non formale e informale. Ne ha scritto Gino Roncaglia nella nuova edizione de L'età della frammentazione: l'ambiente fisico è quello della scuola, fatto di aule, corridoi, biblioteca, laboratori, muri, cortili e luoghi di ristoro e di ricreazione; l'ambiente digitale è la propria classe virtuale collocata nella piattaforma scolastica, il registro elettronico e il sito d'istituto. Nascendo in epoca di rivoluzione digitale, l'EAS fa ricorso al web come luogo di contenuti culturali in cui fare ricerca e con cui aprire alla creatività senza separarsi dal luogo fisico dell'aula, Incarna così la metodologia Blended che indica un processo di apprendimento che può essere svolto in classe o in parte in classe e in parte a casa, realizzato con il supporto delle risorse disponibili nel Web. Il docente può così integrare e sviluppare le attività didattiche in presenza con percorsi online da svolgere sia con modalità di lavoro autonomo, sia collaborativo in piccoli gruppi. La metodologia Blended, con gli strumenti adatti e una buona progettazione, consente di superare la dicotomia presenza/distanza, non perché non tenga conto delle differenze tra le due condizioni di fare scuola, ma perché implica un ambiente che tenga costantemente conto delle due dimensioni. Il metodo EAS si adegua così alla lezione Web Based, grazie ad alcune sue caratteristiche quali la progettazione esplicita a cui ci siamo riferite nel primo paragrafo e i consumi culturali esplicitati nel secondo. A queste si aggiungono due elementi: la selezione/creazione di contenuti e l'interazione di qualità. La selezione o la creazione dei contenuti non può che partire dal concetto di granularità. Contenuti leggeri, che considerino i limiti dell’attenzione e il carico cognitivo, materiali da leggere con ausili che possano guidare l'allievo a utilizzarli. Per fare un esempio, appartengono ai contenuti di granularità fine le videolezioni Ted Ed. Per chi lavora alla scuola primaria una funzione analoga può essere svolta da Brainpop, un sito di apprendimento online pensato per bambini e ragazzi dai cinque ai 15 anni. Vi si trovano video e animazioni di molte discipline. Questi due siti ovviamente non sono le uniche realtà cui i docenti possono attingere ma costituiscono un buon punto di partenza per entrare nella logica di materiali adatti alla fruizione sia sincrona sia asincrona. concede, potrebbe sembrare «utopia pretenziosa e velleitaria», ma è «richiesto dalle dinamiche in atto», dalla consapevolezza della sua implosione. In breve, il cambiamento della scuola diventa oggi possibile proprio «perché quel dispositivo si è inceppato e disfatto definitivamente». Pertanto nulla dovrebbe vietare di pensare un tale cambiamento. Negli anni, non ci si è stancati di ripetere che la novità degli EAS non è tanto negli ingredienti - lezione a posteriori, fipped classroom, laboratorialità, focalizzazione, valutazione formativa - tutti ben radicati nella nostra tradizione pedagogica, quanto nella loro combinazione. È proprio la predisposizione di un ambiente pensato per favorire la loro sinergia a rivitalizzare quegli elementi innovativi che, se isolati, rischiano di restare fini a sé stessi e perciò a lungo andare inefficaci. È qui che si manifesta la duplice strategia degli EAS. Da un lato, essi offrono possibilità didattiche alternative a quei contesti in cui la lezione frontale è sovrana, l'errore bandito, gli studenti inondati di informazioni e di fatto costretti al silenzio, in ossequio ai vincoli rigidi del dispositivo. In questa prospettiva, gli EAS sono un tentativo di ridefinire tempi, spazi, modi nevrotici e nevrotizzanti del dispositivo, buoni soprattutto a favorire indifferenza, repulsione, esclusione, ostacolando l'acquisizione delle competenze. Dall'altro, possono nel contempo essere interpretati come uno spazio in cui diventa possibile fare esperienze di appropriazione trasformativa. È in tale prospettiva che gli EAS si presentano come "dispositivi di risonanza", come un tentativo di ripensarne profondamente, per dirla ancora con Massa, «la struttura latente». In altre parole, gli EAS sono una risposta alla crisi della scuola, della sua stessa forma. Un elemento di rottura che accetta il confronto col dispositivo sul terreno che gli è proprio: aiutare gli studenti a raggiungere determinati traguardi. Nel contempo rappresentano il tentativo di portare la scuola su strade diverse, in altri mondi. 2. Gi EAS e l'innovazione della scuola Se l'EAS funziona come elemento di rottura nei confronti della scuola dispositivo, questo giustifica perché lo si sia presentato come un fattore di innovazione della didattica e della scuola. Ma cosa vuol dire innovazione? Una riflessione attenta può individuare almeno tre significati del termine, quando viene applicato alla scuola. Il primo significato è quello di cambiare, fare cose diverse. Una scuola del cambiamento, quella dell’innovazione, in cui alla staticità della scuola dispositivo si sostituisce il dinamismo e questo dovrebbe consentire alla scuola di intercettare il nuovo. Una scuola che cambia è una scuola che modifica gli ambienti, acquista nuovi arredi, mantiene aggiornato il proprio parco macchine, modifica l'orario scolastico. Tutto questo non è sbagliato in sé, può anzi far gioco al significato autentico dell'innovazione, ma espone la scuola del cambiamento a due rischi. Il primo è di indulgere alla moda, di rispondere alle esigenze del marketing formativo che chiede alla scuola di dimostrarsi aggiornata per posizionarsi nel mercato della formazione. Il secondo rischio è che, pur cambiando tutto, di fatto non cambi nulla. Un secondo significato dell'innovazione è quello di produrre una rottura, una discontinuità forte all'interno dello sviluppo della scuola. Anche in questo caso, come nel precedente, si tratta di un orientamento molto diffuso, anche a livello di politiche scolastiche nazionali. Si pensi al programma del MIUR Scuol@ 2.0 che, nel contesto del Piano Nazionale Scuola Digitale, ha incluso sia il piano "LIM in classe" (2009-2010) che l'azione "Cl@ssi 2.0" (nel triennio 2011-2013; la scuola 2.0 si lascia alle spalle la vecchia scuola 1.0, realizza una rottura rispetto a essa. Il significato di questa rottura è che niente sarà più come prima e questo prende corpo in una serie di contrapposizioni che qualificano il 2.0 rispetto al 1.0: digitale vs analogico Ora, non è che l'innovazione non produca una rottura: quando Freinet ripensa la scuola a partire dalla stampa in classe e dalle uscite didattiche in un tempo in cui l'insegnante stava rigorosamente sulla cattedra e dall'edificio scolastico non si usciva, evidentemente sta producendo una vistosa rottura rispetto alle pratiche di scuola consolidate. Il problema è che quando l'idea discontinuista di scuola che questo si porta dietro si fissa e diviene lo schema tipico secondo il quale leggere il nuovo, finisce per produrre almeno due ordini di problemi. Il primo è di polarizzare le posizioni, estremizzando da una parte le ragioni del "nuovismo" e finendo per produrre dall'altra parte un'analoga estremizzazione delle ragioni della tradizione. Sono questi i termini con i quali il dibattito sulla scuola si è svolto e si sta svolgendo nel nostro Paese: procedendo per contrapposizioni inconciliabili, vittima di due opposte retoriche. Il secondo problema è il miracolismo tecnologico, o come lo definisce McKendry la fallacia omeopatica della tecnologia. Non è sufficiente introdurre il digitale nella scuola per fare innovazione. Il principio di saturazione sostenuto da Negroponte, ovvero l'idea in base alla quale solo riempiendo gli ambienti scolastici di tecnologia si possa produrre il cambiamento delle didattiche, non si dimostra efficace se non viene accompagnato e sorretto da una consapevolezza metodologica. Da quel che siamo venuti argomentando, nessuna delle due accezioni dell'innovazione che abbiamo brevemente portato in gioco pare convincere. Ne proponiamo, quindi, una terza che ci sentiamo di adottare: è l'idea che innovare significhi far dialogare la scuola con il suo tempo, garantirne l'attualità rispetto alle sfide della contemporaneità. Il tema dell'attualità, nel dibattito sulla scuola, viene di solito messo in tensione dialettica con quello della cultura: ne abbiamo già fatto cenno sopra. Sembrerebbe che, se una scuola si confronta con l'attualità, debba inevitabilmente rinunciare alla qualità e alla profondità della sua proposta culturale. E al contrario, lì dove una scuola costruisce il proprio curricolo sulla robustezza della proposta culturale, allora sembra inevitabile che si chiuda su stilemi didattici tradizionali e sia tendenzialmente refrattaria al nuovo. Le cose stanno realmente così? Cosa significa, oggi, mettere a tema la questione dell'attualità e dell'eredità culturale nella scuola? Seguendo la riflessione di Bruner la risposta può passare attraverso tre ordini di considerazioni. Primo: computazionalismo e culturalismo. Il computazionalismo è una teoria generale dell'educazione che riduce il pensiero a elaborazione delle informazioni, calcolo, costruzione di algoritmi. Si tratta di un modo di pensare abbastanza comune oggi, nella società informazionale. La datificazione, infatti, induce a soppesare tutto sulla base delle informazioni che ci consegna e l'enorme massa circolante di dati tra cui ci muoviamo può essere governata solo grazie a degli algoritmi. In una prospettiva neo-funzionalista, dunque, il computazionalismo pensa la scuola come spazio di allenamento al pensiero algoritmico, una palestra del problem solving dove il procedurale è al centro dell'attenzione. Il culturalismo, al contrario, afferma che il pensiero è sempre in situazione e che il "Fare significato" non può prescindere dalla cultura entro cui il soggetto è inserito. Ermeneuticamente vive l'uomo, verrebbe da dire. Il mondo non è solo un puzzle da risolvere applicando le corrette procedure; è anche un grande racconto a più voci in cui la storia di chi ci ha preceduto serve a comprendere meglio la Storia in cui tutti noi siamo inseriti. La scuola, per il culturalismo, è il laboratorio in cui si consegnano agli studenti le chiavi per interpretare il mondo e si insegna loro a usarle. Secondo: pensiero e cultura. Affermare la relazione stretta tra pensiero e cultura significa, nella scuola e in educazione, imbattersi in tre antinomie. La prima antinomia pone il problema se la scuola sia funzione dello sviluppo individuale o della riproduzione culturale. Sembrerebbe, infatti, che una scuola attenta allo sviluppo degli studenti debba liberarli dal peso della riproduzione culturale: come possono pensare autonomamente se adottano gli schemi della tradizione che la scuola trasmette loro? La seconda antinomia pone la questione se l'apprendimento sia il risultato delle capacità individuali o della capacità del contesto culturale di creare le condizioni perché si produca. Infine, una terza antinomia è quella che si costruisce sul fatto che l'educazione consista nel garantire espressione alla cultura locale o l'accesso alla cultura universale. In altre parole: la microstoria o la grande storia? La conoscenza del proprio territorio o l'apertura al mondo, alle grandi logiche che interessano lo sviluppo dei popoli? Se ci si riflette bene, tutte e tre queste antinomie sono apparenti. Se lette nella prospettiva di un'educazione attenta all'attualità e aggiornata esse rivelano come di fatto le due tesi che le costituiscono si implichino a vicenda. Nella prima antinomia, non esiste un problema di riproduzione culturale che negherebbe lo spazio dello sviluppo individuale, perché l'educazione, la scuola, consiste nel formare alla libertà proprio grazie alla trasmissione culturale. Anche tra il contesto, il peso del contesto, e le capacità individuali non c'è contrapposizione, perché la scuola dovrebbe consentire a ciascuno di sviluppare le proprie doti mediante l'accesso alle stesse risorse. Infine, anche l'antinomia tra cultura particolare e universale è apparente, perché affermare l'esistenza di una cultura universale è possibile solo attraverso la tutela delle culture particolari. in tre sensi. Terzo: la scuola è cultura. Non solo trasmette cultura: è cultura. Lo si può affermare in tre sensi. Anzitutto la scuola è erede di una tradizione. Questa tradizione è fatta di storie, di artefatti, di racconti tramandati da insegnanti e studenti. Ogni scuola ha la sua tradizione, la sua storia, fatta di volti. In secondo luogo, la scuola è luogo di incontro/scontro tra teorie popolari che sostengono diverse idee di educazione. Sono teorie popolari quelle idee di educazione che non passano necessariamente dalla formalizzazione dei libri e della letteratura scientifica. Nell'insegnamento queste teorie popolari sono importanti, perché appartengono agli insegnanti spesso in maniera implicita e sono particolarmente resistenti perché si sono fissate negli anni, attraverso l'esempio di altri insegnanti. Non esiste una sola cultura dell'educazione, ma tante culture dell'educazione. Infine, la scuola è lo spazio di routines, di negoziazioni che costruiscono culture. In questo senso si può dire che ogni classe abbia la propria cultura. La presenza di un certo tipo di insegnanti genera vere e proprie tradizioni didattiche, un certo modo di lavorare, un certo modo di approcciare la cultura e di declinarla. In queste culture di scuola trova spazio il cosiddetto curricolo sotteso. Dipende da esso l'idea di scuola che ogni istituto in qualche modo adegua e realizza, fatta di tradizione, pratiche consolidate, abitudini, reti di relazioni. Il problema non è di eliminarlo, ma di "starci dentro" consapevolmente e, possibilmente, di pilotarne il passaggio dal livello implicito a quello esplicito. Il tema dell'innovazione e di come l'EAS possa contribuire ad articolarla si colloca qui, in questa accezione dell'innovazione "culturalista", che la pensa come capacità della scuola di annodare i fili dell'attualità e della tradizione. Ma quali sono i tratti del metodo che si possono portare a supporto di quest'idea? Almeno due. In primo luogo, l'EAS muove sempre da un "tema vivente". La cronaca, un fatto occorso a uno degli studenti, qualcosa che riguarda la comunità o il territorio in cui la scuola si trova. Da questo stimolo discende tutto il resto. L'insegnante fa soprattutto fare, parla "dopo" e solo se ha qualcosa da dire. Non colonizza il sapere, mira a condividere esperienze. Non si limita a sorvegliare lo studente, lo responsabilizza. Non lo tratta come subordinato, ma come soggetto. Non lo giudica, ma ne registra i progressi e lo spinge ad auto-valutarsi. Docenti e studenti non vengono isolati e contrapposti tra loro, ma formano una comunità fatta di "un plebiscito che avviene tutti i giorni". Lo studente è autorizzato a esprimere o a cercare di rendere udibile la propria voce, a ottenere dei feedback per rafforzare il suo senso di auto- efficacia, e di conseguenza "a esporsi". 4. L'aula come limen: EAS e appropriazione trasformativa Come abbiamo visto, uno degli aspetti costitutivi dell'EAS come dispositivo di risonanza è il suo essere funzionale a un processo di appropriazione trasformativa da parte degli studenti. Sul significato e i modi della trasformazione vorremmo provare a strutturare un affondo in questo paragrafo conclusivo attraverso categorie mutuate dalla drammaturgia didattica e dall'antropologia. È lo stesso Rosa a chiarire la specificità dell'appropriazione trasformativa (lui parla di assimilazione) rispetto alla semplice appropriazione di un contenuto: «lo posso acquisire conoscenze, imparare a usare delle macchine o dei programmi. Nel campo musicale, posso riconoscere delle variazioni, dei motivi, delle sfumature. Questo è l'appropriazione delle conoscenze, o diciamo l'acquisizione delle competenze. Quando mi approprio delle cose, riesco ad averne il controllo. L'assimilazione è tutt’altro. Conduce alla trasformazione. Per cogliere la differenza basta pensare alla poesia. Come nel caso di un brano musicale, mi posso appropriare della declamazione di una poesia. Così posso dire subito a quale movimento letterario appartenga, in quale epoca sia stata composta... Ma perché io ne sia toccato, serve che questa poesia rappresenti qualcosa per me, che mi faccia qualcosa. Detto in altre parole, mi dovrebbe permettere di realizzare una nuova esperienza, di aprire un orizzonte o una relazione con il mondo che prima non avevo. È cioè, dopo l'incontro con questa poesia o con questo brano musicale sono presente al mondo diversamente, mi sono lasciato trasformare e sono in parte diventato qualcun altro». Per rimanere ai termini dell'analisi che Rosa sviluppa anche in altri suoi lavori, l'appropriazione è un movimento del soggetto verso il mondo o verso l'altro attraverso il quale lo si riduce in proprio controllo: siamo nello spazio della ragione calcolante e disponente che non stabilisce nessuna relazione; il mondo e l'altro rimangono inascoltati e non parlano al soggetto. Invece, l'assimilazione (l'appropriazione trasformativa) passa attraverso una relazione in cui il mondo e l'altro, ascoltati, parlano: è lo spazio della risonanza, di cui già abbiamo detto nel precedente paragrafo. Dunque, l'appropriazione trasformativa è un tratto distintivo della risonanza e qualifica la relazione che l'insegnante stabilisce con la classe, quando lavora per EAS. Resta un doppio passaggio da fare, che consentirà di approfondire il senso della trasformazione e il significato antropologico, profondo, dell'aula. La trasformazione è propria della dimensione partecipativa della pragmatica della comunicazione dell'insegnante. Partecipare non significa semplicemente essere presenti, ma entrare in una relazione così profonda con la situazione e con quello che vi sta accadendo, da uscirne appunto trasformati Questa logica trasformativa è particolarmente visibile nel caso dei riti di passaggio. Prendono questo nome quel tipo particolare di riti la cui caratteristica è di fare da spartiacque tra due momenti della vita degli individui: è il caso dei riti di iniziazione all'età adulta, o del matrimonio. Van Gennep ne ha individuato la struttura tripartita: (1) la fase di apertura (o pre-liminale) del rito di passaggio è quella di separazione, che consiste nell'uscita dei partecipanti dalla comunità e simboleggia l'abbandono di una fase/età della loro vita; (2) dopo essere stati separati dalla comunità, i partecipanti vengono portati in un luogo capanna, altro) dove avviene l'iniziazione; è la fase liminale, dal latino limen, soglia, ovvero quello spazio che non è né dentro né fuori la casa e traduce lo stato di sospensione spazio-temporale in cui avviene la trasformazione; (3) a questo punto i partecipanti sono pronti per essere reintrodotti nella comunità; è la fase di reintegro (o post-liminale) in cui gli iniziati si ricongiungono alla loro comunità che avevano lasciato, ad esempio, bambini (prima del rito) e ora ritrovano da adulti (dopo il rito). La nostra ipotesi è che la scuola sia uno di questi fenomeni. Proviamo a far vedere in che senso. Se si considera la scuola, o la singola aula di una classe, nella prospettiva dell'analogia con i fenomeni liminoidi, si possono individuare almeno quattro aspetti che indicano in questa direzione. Anzitutto il carattere di luogo separato. La scuola, la classe, vive una situazione di sospensione spazio-temporale che è tipica dei fenomeni liminoidi. L'edificio scolastico, l'aula, è un recinto separato dai normali spazi della socialità quotidiana. E il tempo che scandisce le attività al suo interno, pur avendo una durata, è un tempo che in qualche modo scorre dentro una bolla temporale che a sua volta è separata dal tempo dell'informale in cui invece i ragazzi normalmente vivono. Questo stato di separatezza, che nella scuola-dispositivo è funzionale al controllo, nella scuola-liminoide è funzionale ad attivare la partecipazione e a rendere possibile la trasformazione. Secondo: dalla scuola/ classe si entra e si esce. Ogni mattina avviene, per lo studente e per l'insegnante, lo stesso rito di separazione: si lasciano le proprie abitazioni, la propria quotidianità, per entrare in uno spazio/tempo liminale. Qui si partecipa a delle attività che dovrebbero avere lo scopo (se si è in una scuola della risonanza e non dell'aliena-zione) di produrre una trasformazione, sia dell'insegnante che dello studente. Alla fine della mattinata (o del pomeriggio) si rientra nella propria quotidianità, ancora una volta in analogia con quel che succede nei fenomeni liminoidi, cambiati e diversi rispetto a quando vi si era entrati. Terzo: la relazione di risonanza. L'esperienza del risuonare è un modo efficace per descrivere cosa accade quando si partecipa a una situazione. Ci si sente "accordati" con la situazione stessa e con gli altri che a loro volta vi stanno partecipando. Quarto: la natura trasformativa. Perché vi sia risonanza, e quindi trasformazione, occorre una disposizione adatta sia da parte dell'insegnante che da parte degli studenti. E l'EAS? Si può rilevarne un funzionamento liminoide così da ricondurlo al discorso che siamo venuti elaborando? La risposta passa chiaramente, in prima istanza, dalla sua architettura. Anche l'EAS presenta tre fasi: la preparatoria risponde in qualche modo a un movimento di separazione (dalle logiche abituali della didattica, dalle routines di soluzione dei problemi cui gli studenti sono abituati); l'operatoria è sicuramente il momento di limen, in cui gli studenti sono chiamati a fare nello spazio e nel tempo dell'aula divenuta laboratorio; infine, la ristrutturativa traduce un movimento di reintegro attraverso la riflessione innescata dal debriefing metacognitivo. In secondo luogo, anche dall'EAS si "entra" e si "esce". Il suo carattere di dispositivo didattico modulare, autoconsistente, circoscritto nel tempo e nei contenuti, favorisce il farne esperienza come di un insieme di TLA coordinate in se stesso compiuto. Infine, anche l'EAS, per funzionare (cioè, per essere trasformativo) ha bisogno di basarsi sulla risonanza, ovvero sulla relazione di reciproco riconoscimento di insegnante studenti. Senza questo passaggio, che dipende dalla loro disposizione soggettiva, è probabile che l'EAS rischierebbe di essere percepito solo come un format diverso della didattica d'aula. La differenza la fanno la capacità dell'insegnante di sviluppare una forma diversa di presenza (meno frontale, più co-investigativa) e quella dello studente di accettare di farsi coinvolgere come attore primo dei suoi apprendimenti. Il metodo vale poco senza i soggetti che lo agiscono: pensare il contrario significherebbe cadere di nuovo in una forma di miracolismo, questa volta metodologico. CAPITOLO 7 1. (S)parlare di EAS: interrogarsi sulla perdita del controllo Questo capitolo pone al centro dell'interesse la discorsivizzazione dell'EAS nel web sociale, chiedendosi come questo "organizzatore professionale" evolva in uno spazio discorsivo in continua ridefinizione. Da un lato, è noto come le tecnologie e gli ambienti social, soprattutto Facebook, possano avere un ruolo nella facilitazione di comunità di pratica professionali - per il mondo della scuola si pensi a Docenti virtuali e Insegnanti 2.0 - con un'appartenenza dal carattere fluido: modifica il numero dei suoi membri nel corso del tempo, crea una comunicazione feconda con altre comunità di pratica che perseguono scopi simili, si rinnova continuamente proprio perché genera conoscenza. D'altro canto, la facilità di accesso permessa dal web sociale garantisce un diritto, ma al contempo prevede la responsabilità che si richiede a chiunque prenda la parola nello spazio pubblico, con conseguenze non solo individuali. Nella nostra storia culturale, i sistemi pluralisti hanno sempre definito sistemi di controllo, di regole interne ed esterne, per gestire il dibattito; tuttavia oggi la sfera pubblica è radicalmente cambiata: anche nella riflessione didattica non è più applicabile l'idea della sfera pubblica unidimensionale teorizzata da Habermas, dal momento che la disintermediazione e la crescita di orizzontalità del web sociale hanno portato alla stratificazione e a un "patchwork mediale" più complesso e articolato. Si proverà, in questa prospettiva, ad applicare tale tensione al "metodo EAS" nel web sociale: è realmente un bene che tutti possano esprimersi nello spazio pubblico? Anche chi non ne ha le competenze? Anche attori imprevisti, o soggetti "non autorizzati"? Sono questioni rilevanti per un bilancio a dieci anni dal posizionamento dell'EAS nello scenario didattico nazionale. Per rispondere a questi interrogativi, nella prima parte di questo capitolo abbiamo analizzato la discorsivizzazione dell'EAS nel web statico (siti e blog), quindi nel web sociale e, in particolare: in Facebook, ossia un social ormai caratterizzato da un target adulto e popolare, dove molti docenti costruiscono e diffondono sapere professionale; in YouTube, canale di condivisione video spesso utilizzato per informare e condividere anche dai professionisti della didattica; in Twitter, inteso spesso come social di posizionamento culturale. Infine, nella seconda parte del capitolo, a partire dall'analisi svolta nella prima parte, ci si è interrogati su alcune misconception rilevate nella discorsivizzazione dell'EAS. 2. La discorsivizzazione dell'EAS nel web 2.1. L'EAS in siti e blog L'analisi di siti web e blog è guidata dal desiderio di comprendere quale immagine del metodo EAS si crei all'interno della discorsivizzazione nel web statico. Sulla scorta della fortunata metafora di Pierre Lévy, quali caratteristiche assume l'intelligenza collettiva della rete educativa? Chi produce e fruisce di contenuti inerenti al metodo EAS? Quali tipologie di contenuti sono maggiormente richieste? Quali le più distorte dalla discorsivizzazione? Un aspetto interessante legato all'analisi dei contenuti fa riferimento al flusso di condivisione delle esperienze che gli insegnanti attuano in classe. Rivoltella, infatti, sostiene che «quasi sempre, oltre alla condivisione interna, si prevede anche una condivisione esterna che passa attraverso le forme del podcasting, dello streaming o del download e che trova nel sito o nel blog scolastico i suoi spazi naturali di collocazione». YouTube favorisce la condivisione esterna nelle ricostruzioni delle esperienze ed è proprio da qui che sarebbe possibile generare dibattito in ottica riflessiva e migliorativa. La promozione di condivisione e di confronto tra chi porta in classe gli EAS è, infatti, sicuramente una via per discorsivizzare il metodo e renderlo sempre più parte dell'azione didattica. 2.4 Gli EAS in Twitter L'analisi in Twitter, grazie alla possibilità di accedere ai dati in modo automatico attraverso le interfacce di programmazione delle applicazioni (API), unisce la ricerca automatica con la classificazione umana. Le domande di ricerca individuate indagano la quantità di risorse associate al metodo EAS, le loro caratteristiche e la loro distribuzione nel flusso temporale, attraverso analisi su classificazioni campionarie effettuate manualmente da esperti. Sono stati individuati 4783 tweet in un decennio. Successivamente, seguendo la tecnica del campionamento casuale semplice senza ripetizione, è stato selezionato un dataset campionario di 1000 tweet, 100 tweet per ogni anno. Quest'ultimo è stato classificato manualmente da esperti del settore, provando a rispondere alla domanda di ricerca. A partire da un'analisi temporale, le annate 2014, 2015 e 2016 presentano il maggior numero di tweet, a scendere negli anni successivi fino al 2022. Va però subito precisato che nel campione dei 1000 tweet, solo 120 risultano pertinenti al metodo EAS: una così bassa pertinenza indica che l'EAS rimane correttamente associato a eventi (EaS Day), pubblicazioni, talvolta formazioni, ma non diventa oggetto di particolare discorsivizzazione e dibattito, dal momento che Twitter non è un social in cui sia sovente ospitato il dibattito didattico o la formazione professionale degli insegnanti. Al contrario, nella maggior parte dei casi l'acronimo EAS in Twitter è associato ad altri significati che nulla hanno a che fare con gli Episodi di Apprendimento Situato. I tweet pertinenti sono stati altresì categorizzati secondo opzioni alternative: le risorse informative (65,83%) prevalgono nettamente su quelle di metodo (20%), quelle progettuali (4,17%), quelle contemporaneamente informative, di metodo e progettuali (5%) e altri generi di risorse (3,33%). Twitter è quindi utilizzato come piattaforma di divulgazione informativa: per corsi di formazione, pubblicazione di risorse in siti, riviste e libri, e per eventi. I tweet sono stati poi classificati per rilevare la presenza di alcune misconception di cui si dirà nei prossimi paragrafi. 3. Le misconception: cause e significati Nell'analisi qualitativa in siti e blog, YouTube, Facebook e Twitter emerge la necessità di problematizzare il processo di trasformazione che subisce il metodo EAS nel web sociale, individuando alcune misconception di tipo metodologico e progettuale. Queste sono: la EAS (al femminile) intesa non tanto come metodo quanto come metodologia o esperienza; la situazionalità del metodo EAS legata agli episodi (Episodi di Apprendimento Situati), non all'apprendimento (Situato) come dovrebbe correttamente essere; una distorsione relativa alle tre logiche che connotano il metodo, dal momento preparatorio, all'operatorio, al ristrutturativo e la mancanza di un fil rouge tra i tre momenti; Nelle prossime pagine si tenterà di accompagnare il lettore a indagare le misconception individuate in rete per comprendere l'origine delle modificazioni del metodo EAS e, quindi, operare secondo il «meaning making»; rimettere in forma il significato del metodo EAS attraverso la dimensione della condivisione. 3.1. Apprendimento situato o episodio situato? Una prima misconception è rappresentata dalla frequenza con cui l'acronimo EAS al plurale viene sciolto come Episodi di Apprendimento Situati. Questo è il più comune tra gli errori nel web, coinvolgendo talvolta anche profili autorevoli. Questa diffusione si a un fatto avvenuto offline, nel mondo editoriale: nel sottotitolo, la copertina di molte edizioni del testo del 2013, pubblicato dall'Editrice La Scuola, riporta erroneamente appunto "Episodi di Apprendimento Situati", corretto nelle edizioni successive ma mantenuto nella discorsivizzazione. La genesi di questa "mi- sconception onlife" sottolinea come i prodotti editoriali e culturali alti non siano esenti da errori, ma sia più facile poi correggerli almeno nei prodotti ufficiali. Fare riferimento all'apprendimento come situato consente di riflettere sul momento didattico o, meglio, sul momentum, dalla radice di movere, «un movimento, un impulso [.] di efficacia, di impor- tanza». Il momento didattico degli EAS appare, quindi, come un'azione, che richiede che qualcosa muti. Grazie proprio alla situazionalità dell'apprendimento, il mutamento culturale accade attraverso la produzione di artefatti, l'immersione in contesti concreti, la realizzazione di compiti autentici e la trasformazione dell'oggetto culturale. 3.2. Metodo EAS o esperienza EAS? In quest'ottica si può interpretare anche l'errata declinazione di genere dell'EAS, dove La E starebbe per Esperienza, oppure dove si intenderebbe la "metodologia EAS", anziché il metodo EAS. In realtà, il concetto di apprendimento situato definito precedentemente, non solo evidenzia un percorso culturale che si situa in contesti concreti, ma si affaccia anche all'opportunità che la trasformazione culturale avvenga al di là del tempo circoscritto a ciascun episodio. In tal senso, l'EAS, prima di essere costituito da esperienze, è un metodo, una specifica modalità con cui il sapere organizza il proprio approccio alla conoscenza. Del metodo EAS, quindi, non solo si riconosce la situazionalità dell'apprendimento, perché concreto e consolidato nel tempo, ma anche l'estensione oltre l'esperienza del singolo episodio per abbracciare la logica di un sistema curricolare. 3.3 Nella progettazione, qual è la relazione tra indicatori di competenza e carico cognitivo? Qual è l'intenzionalità educativa dell'episodio progettato? Qual è lo scopo, la finalità? Cosa si vuole che gli studenti imparino? Nel web sono stati pubblicati EAS con indicatori di competenza disallineati rispetto alle azioni che si richiede allo studente di intraprendere. La progettazione didattica è sicuramente soggetta, come ogni azione, all'imprevedibilità di possibili regolazioni dettate dal contesto nel momento dell'attuazione. Ciò che si vuole sottolineare in questa sede è la coerenza e la sostenibilità tra ciò che si richiede (consegna dell'attività) e gli indicatori di competenza dichiarati. La costruzione della consegna deve chiarire gli elementi in gioco che determinano le possibilità dello svolgimento dell'attività (Learning Object), tali elementi sono connessi all'evidenza che si vuole monitorare. I rischi sono, altrimenti, di porsi obiettivi che non possono essere monitorati in quanto non espressamente deducibili dalle azioni in cui gli studenti sono coinvolti e/o che la densità delle informazioni sia sovradimensionata rispetto al carico cognitivo che uno studente ha la possibilità di sostenere. 3.4. Quale relazione tra le logiche didattiche di un EAS? Porre lo studente nelle condizioni di farsi delle domande, di porsi un problema, imparare facendo e riflettere su ciò che si è fatto e appreso sono le tre logiche funzionali all'apprendimento. L'interesse personale e la sfida individuale di porsi degli interrogativi nella quale viene posto lo studente, dapprima individualmente (fase preparatoria) e poi in piccolo gruppo (fase operatoria), recuperano la forza dell'emersione dei significati nella fase in cui si fissano gli apprendimenti (fase ristrutturativa). L'anticipazione o «meccanismo anticipatorio» apre lo scenario alla deduzione, all'emergere di rappresentazioni, allena a recuperare regole, i linguaggi specifici, le intuizioni utili alle azioni che seguiranno. In altre parole, le logiche dei tre momenti sono significative quando nel momento ristrutturativo restituiscono la possibilità di confrontare le diverse proposte/ soluzioni. Quindi di collegare i frammenti raccolti al sapere sapiente durante il debrie-fing e la lezione a posteriori (Reflective Learning). 3.5. La condivisione interna e/ o esterna è obbligatoria? Rivoltella sottolinea come esistano due tipi di condivisioni, interna ed esterna. La prima avviene durante lo svolgimento dell'EAS, nel momento in cui vengono condivisi i lavori svolti in classe e per aprire un momento di debriefing rispetto alla proposta sviluppata. La condivisione esterna, invece, si pone l'obiettivo di raggiungere un pubblico più ampio, al di fuori della classe stessa, in ottica riflessiva e di miglioramento rispetto alla pratica didattica. È interessante pensare di favorire questo secondo processo, nell'ottica di creare una repository di progettazioni degli EAS a disposizione non solo dei docenti dell'istituto in cui viene messo in pratica l'EAS, ma anche dei docenti di altri istituti sul territorio, per rendere il metodo maggiormente accessibile e condiviso all'interno della pratica didattica. 3.6. Un EAS senza tecnologia non è un EAS? È diffusa la credenza che in un EAS l'utilizzo del mediatore tecnologico sia una condizione sine qua non. In realtà, questa affermazione non è veritiera: seppur la tecnologia sia importante, non è comunque essenziale. L'EAS, infatti, esiste anche in modalità analogica, con "carta e matita". Nella progettazione delle attività è prevista la scelta dei mediatori didattici, artefatti o strumenti che consentono l'apprendimento. Ne individuiamo quattro tipi: attivi, iconici, analogici, simbolici; ordinati dai più vicini all'esperienza ai più lontani. A seguito di questa cornice teorica, è opportuno ribadire come sia di fondamentale importanza l'alternanza tra i diversi tipi di mediatori e come il mediatore tecnologico possa essere uno tra le tante possibili scelte nell'agire didattico condotto dall'insegnante nel momento della trasposizione. L'EAS nell'agire didattico si impegna a portare la vita nella scuola e non viceversa: la tecnologia è al centro delle nostre vite, utilizzata con regolarità nell'informale da bambini e ragazzi di ogni età. 3.7. Qual è il vero ruolo del debriefing? La presenza del momento di debriefing all'interno della discorsivizzazione online risulta preponderante tra le risorse progettuali, meno invece tra le risorse metodologiche della fase di ▪ tipologia di strumenti valutativi richiamati; ▪ connessione con il metodo EAS. Per rispondere alla seconda domanda di ricerca, si sono analizzate le progettazioni di Episodi di Apprendimento Situato e i relativi allegati pubblicati nella sezione «SIM KIT» di «Scuola Italiana Moderna». Sui 150 EAS disponibili, sono stati campionati 73 EAS (48,6%). La scelta dei ricercatori è ricaduta su progettazioni EAS quanto più possibile complete di allegati (stimoli, attività, job aids, strumenti e prove di valutazione). L'analisi è stata condotta grazie a una griglia strutturata secondo quanto di seguito indicato: * informazioni di contesto: classe, discipline, obiettivi, competenze, durata dichiarata; * processi di valutazione previsti dal progettista (autovalutazione, etero valutazione, valutazione fra pari); * presenza della rubrica di valutazione, connessione alle fasi dell'EAS; * allineamento tra obiettivi dichiarati e rubrica (scala Likert da 1 = sì, 2 = più si che no, 3 = più no che sì; 4 = no); * allineamento tra rubrica e prove di valutazione (scala Likert da 1 = sì, 2 = più si che no, 3 = più no che sì; 4 = no). L'analisi è stata effettuata da tre ricercatori. Si tratta di insegnanti che conoscono e utilizzano il metodo EAS: nello specifico, durante il percorso universitario hanno infatti progettato e sperimentato degli EAS, sotto la supervisione di esperti di metodo e nellambito del percorso di tesi; nel proprio contesto professionale, in classi della scuola primaria, adottano quotidianamente il metodo. L'analisi è stata condotta indipendentemente da ciascun ricercatore, rendendo visibile la griglia a ciascuno per non condizionare il processo di analisi. 3. I risultati della ricerca 3.1. Analisi delle riviste per lo sviluppo professionale degli insegnanti La ricerca ha preso avvio con l'analisi di tre annate di «SIM - Scuola Italiana Moderna» e solo successivamente, dopo il confronto avvenuto nell'ambito del primo seminario interno, è stata estesa a cinque annate di «Essere a Scuola». I 60 articoli di SIM analizzati sono prevalentemente di natura teorico-riflessiva (65%), seguono i contributi che valorizzano esperienze o progetti didattici (28,3%) e solo il 6,7% sono di ricerca. Anche tra i 33 articoli di «Essere a Scuola» la maggior parte ha un taglio di natura teorico-riflessiva (81,3%) e nei restanti si presentano esperienze. Solo un articolo restituisce gli esiti di una ricerca. Ci si è domandati se all'interno del corpus vi fossero riferimenti diretti all'embedded assessment e alla logica valutativa trifocale (autovalutazione, eterovalutazione, valutazione fra pari). Tra i 60 articoli di «Scuola Italiana Moderna», l'embedded assessment viene tematizzato soltanto in 5 (di cui 4 scritti da autori CREMIT). Tra i 33 articoli di «Essere a Scuola», l'embedded assessment viene citato in 2 articoli (scritti entrambi da autori del CREMIT) e altrettante volte si fa cenno alle logiche eterovalutative e peer in connessione alle pratiche di documentazione. La rubrica è la più citata tra gli strumenti valutativi negli articoli di «SIM»; interessante notare come tale riferimento sia presente nella quasi totalità dei casi negli articoli che fanno richiamo esplicito ai processi di autovalutazione. Infine, possiamo affermare che nella quasi totalità degli articoli analizzati non si tematizza la valutazione in relazione al metodo degli Episodi di Apprendimento Situato, portando all'attenzione dei lettori riflessioni di ampio respiro. 3.2. L'analisi delle progettazioni degli EAS I 73 EAS analizzati si distribuiscono in modo abbastanza uniforme all'interno delle cinque classi di Scuola Primaria, passando dal 18% delle classi prima e seconda per arrivare al 20% di classe terza, al 25% di classe quarta e al 19% di classe quinta. Gli ambiti disciplinari coperti dagli FAS sono abbastanza variegati (quasi il 50% è pluridisciplinare). Entrando nel merito degli aspetti legati alla valutazione la maggioranza degli strumenti valutativi vengono attribuiti alla fase operatoria (46 su 73), 17 alla fase preparatoria e solo 14 alla fase ristrutturativa. Infine, nella quasi totalità delle progettazioni EAS (65 su 73) non vi sono richiami espliciti al registro e all'e-portfolio; la competenza di lavoro di gruppo viene sviluppata in media solo nel 16% del campione degli EAS. La competenza del presentare/argomentare viene sviluppata anch'essa solo dal 18% degli. L'eterovalutazione risulta essere presente nel 100% degli EAS, mentre l'autovalutazione in media nell'89% dei casi. Incuriosisce, invece, il dato circa la valutazione tra pari, che viene implementata solo nell'11% degli EAS. L'analisi del campione dei 73 EAS ha voluto soffermarsi su due tipi di allineamento: quello tra obiettivi e rubrica e quello tra rubrica e prove di valutazione, utilizzando una scala Likert (1 = sì, 2 = più si che no, 3 = più no che sì; 4 = no). In prima istanza, osservando l'allineamento tra rubrica e obiettivi, ci si rende conto di come sia molto frastagliato il panorama: la totale presenza di allineamento emerge in media solo nel 37% dei casi, mentre emerge come in media nel 16% dei casi sia tendente alla presenza ma non con allineamento totale. Infine, l'analisi dell'allineamento tra obiettivi e prove valutative vede un maggior scarto tra i ricercatori. L'allineamento tra obiettivi e prove valutative è totalmente presente in media solo nel 5% dei casi, mentre si ha un allineamento non totale ma presente in media nel 47% degli EAS. 3.3. Riflessioni sui dati Le considerazioni che vengono suggerite sull'embedded assessment negli (e con gli) Episodi di Apprendimento Situato sono molteplici e sicuramente tra di loro complementari e correlate. In prima battuta, se si sposa la valutazione per competenze, il sistema di valutazione deve essere ripensato, non solo a livello di tempo e spazio, ma diviene fondamentale garantire l'allineamento tra obiettivi, strumenti di valutazione e rubriche. In secondo luogo, è sempre più evidente la necessità, all'interno della scuola, di valorizzare le competenze trasversali che gli studenti acquisiscono lungo il percorso. Se la didattica che si promuove prevede l'attivazione degli studenti tramite il learning by doing e il reflective learning, occorre osservare e monitorare i progressi dei bambini nel lavorare in gruppo, nel riflettere, esporre le proprie idee e discuterle con i pari e l'insegnante. Infine, ci sembra importante integrare nelle pratiche valutative la peer evaluation, intesa come possibilità di imparare dai pari, visti come "amici critici", capaci di far emergere in modo puntuale ma "alla pari" conquiste, miglioramenti ed errori. 4. L'urgenza di una Assessment Literacy Emerge dal quadro dell'analisi una considerazione generale: la necessità di lavorare per incrementare la competenza valutativa dei docenti attraverso azioni formative, sviluppo di materiali da utilizzare in classe, implementando percorsi di sperimentazione e ricerca. Gli aspetti tecnici dell'atto valutativo richiedono di recuperare il bagaglio della docimologia necessario per gestire la scelta e la costruzione di strumenti, la definizione degli ambiti di osservazione, la raccolta e il trattamento dei dati. Solo così diventa possibile mettere a punto l'allineamento rubrica-obiettivo-prova che vediamo emergere come problema dai dati sopra riportati. Ci sembra che proprio la tecnicalità consenta anche di raggiungere l'integrazione tra il piano dell'assessment - grazie al design di situazioni osservative delle competenze dello studente - e quello dell'evaluation - grazie all'esplicitazione della pratica didattica del docente e alla valutazione del suo impatto. La seconda dimensione, quella etica, porta a interrogarsi sulla legittimità della valutazione. Da questo punto di vista ci si interroga sul perché valutare e sul problema del valore. Da questo punto di vista proprio Hadji indica, ricorrendo a quattro aggettivi, le sfide che la valutazione deve affrontare: democratica, libera dalla paura, ragionata, umanistica. Con il primo richiama la necessità di «costruire un référent che abbia la massima legittimità possibile» (Hadji, 2023; 176) «interrogandosi sul valore nel modo corretto. Non: "quanto vale un uomo?", ma: "cosa dà valore a un uomo?"». Per liberare la valutazione dalla paura, propone di spostare il voto da una forma che attiva situazioni competitive a situazioni cooperative basate su sfide epistemologiche, legate alla conoscenza. Una valutazione dove la dimensione informativa diventa prioritaria. La terza caratteristica, diventare "ragionata", si riferisce al caso in cui non si lasci spazio alla «quantofrenia» ossia a «un certo uso malsano della quantificazione. Un tale uso ha l'effetto di semplificare indebitamente la realtà sociale» (Hadj, 2023; 245) e di finire per sostenere una "società del voto". Infine, umanistica perché «esprime l'idea di una valutazione attenta a porsi al servizio dell'Uomo». I quattro aggettivi rappresentano quattro passaggi che aprono alla dimensione educativa della valutazione e tornano a interrogare l'EAS nel suo essere Embedded Assessment at School. Sulla dimensione tecnica e su quella etica si apre quindi la necessità di sostenere processi di Assessment Literacy per il personale (non solo) della scuola. SCHEDA 5 → I formati dell’EAS: la didattica 1. Lavorare per EAS: una metodologia efficace a partire dalla scuola dell'infanzia Nell'anno scolastico 2018-2019 è stato avviato un progetto di ricerca biennale sul tema dell'educazione civica digitale in collaborazione tra Università Cattolica e Università degli studi del Molise che ha coinvolto alcune scuole lombarde e molisane del primo ciclo. La sfida era quella di progettare curricoli verticali per lo sviluppo delle competenze mediali a partire dalla scuola dell'infanzia fino alla secondaria di primo grado. L'esperienza ha permesso di comprendere la necessità di sviluppare una progettazione che fosse un continuum nei tre ordini di scuola e ha dato la possibilità di poter valutare come la metodologia EAS potesse essere applicata alla didattica con alunni di età, interessi e bisogni formativi totalmente diversi. L'esperienza svolta come media educator nelle diverse scuole dell'istituto ha permesso di confermare che gli EAS sono efficaci. L'efficacia è rappresentata dal fatto che promuovono un apprendimento situato in cui l'alunno è protagonista del proprio processo di apprendimento non solo ▪ organizza i gruppi di lavoro, e monitora l'attività favorendo il più possibile l'autonomia; ▪ è da prediligere l'attività in piccolo gruppo; ▪ è consigliabile formare gruppi casuali per favorire la socializzazione, la collaborazione e la turnazione; ▪ fondamentale l'attribuzione di compiti all'interno del gruppo favorendo la responsabilità di ciascuno; ▪ il tempo da dedicare alla fase è auspicabile che non sia superiore ai 90 minuti; ▪ può essere prevista una condivisione interna (nel gruppo classe) o esterna (attraverso la pubblicazione sul sito o il blog della scuola). FASE RISTRUTTURATIVA ▪ Nelle fasce più basse sono valide le modalità già esposte per la scuola dell'infanzia; in particolare se vengono utilizzati mediatori attivi sono utili le video riprese della fase operatoria; ▪ anche per questo grado di scolarità il debriefing varia a seconda dell'età degli alunni; va stimolata e attivata la riflessione attraverso mappe, schemi di sintesi, check list per fare il punto rispetto a quanto appreso; ▪ la lezione a posteriori fa da integrazione e fissa i concetti; ▪ è di utilità avere a disposizione uno spazio virtuale in cui poter caricare quanto svolto per una successiva revisione e consolidamento di quanto imparato; ▪ anche in questo caso il tempo da dedicare alla fase è variabile. Aspetto importante, da non sottovalutare è la necessità di dare adeguato tempo e spazio a tutti di esprimere le proprie considerazioni in merito a quanto svolto. Di utilità può essere una scheda di autovalutazione in cui fare il punto a livello individuale sulle difficoltà riscontrate, sugli apprendimenti consolidati, sulla necessità di integrazioni e revisioni. 4. L'esperienza alla scuola secondaria Con i ragazzi più grandi la difficoltà che si presenta maggiormente nella progettazione di EAS consiste nella scansione oraria ben determinata dal susseguirsi di diversi docenti tra un'ora e l'altra. L'attuazione di una didattica per EAS, se vuole essere significativa, deve necessariamente prevedere una condivisione all'interno del consiglio di classe. Cambia il setting, cambia la modalità del lavoro, si di importanza alla qualità dei contenuti piuttosto che alla quantità. Attraverso il dialogo nel piccolo gruppo sperimentato sia in fase preparatoria sia in fase operativa viene data a ciascuno la possibilità di esprimersi, di porre domande in modo informale: chi è in difficoltà è incoraggiato a porre domande ai compagni più esperti senza correre il rischio di venire giudicato. FASE PREPARATORIA ▪ Viene svolta principalmente in domestico; ▪ utile avere uno spazio online in cui inserire i materiali; ▪ può essere organizzata anche in piccolo gruppo sfruttando applicativi di collaborazione online; ▪ strumento valido è l'uso della webquest o di una escape room che consente di partire da una situazione problema e catturare in modo significativo gli studenti con un compito sfidante; ▪ il framework deve essere caratterizzato da brevità e deve servire a colmare gli aspetti che non sono emersi dal lavoro svolto in domestico e a orientare la fase successiva correggendo le misconceptions; ▪ l'organizzazione della fase operatoria può essere facilmente coadiuvata da check list o da un aggregatore di contenuti come Padlet che aiutino a monitorare le varie tappe del lavoro; ▪ considerando la rigida scansione oraria delle discipline sono da favorire progettazione transdisciplinari che prevedano il coinvolgimento di più docenti. FASE OPERATORIA ▪ È da prediligere l'attività in piccolo gruppo con i criteri già esposti per la scuola primaria; ▪ il tempo da dedicare alla fase è auspicabile che non sia superiore alle 2 ore; ▪ può essere prevista una condivisione interna o esterna; ▪ l'uso dei dispositivi pur non essendo indispensabile favorisce la creatività, permette di mettere al centro l'alunno nel suo processo di apprendimento attraverso la messa in campo delle sue conoscenze e delle sue competenze; ▪ l'uso del digital storytelling nelle discipline di studio favorisce l'assimilazione dei concetti e la rielaborazione personale dopo una attenta selezione e organizzazione dei contenuti; ▪ la predisposizione di check list guida l'esecuzione del lavoro che deve essere svolto il più possibile in autonomia e favorisce il controllo evitando la dispersione sui contenuti o sugli aspetti grafici. FASE RISTRUTTURATIVA ▪ Nel debriefing è importante favorire lo scambio di riflessioni sia sul proprio percorso, sulle difficoltà riscontrate, sui punti di forza e di debolezza del proprio artefatto, ma diventa significativo sollecitare anche la valutazione dei prodotti degli altri compagni in termini di coerenza, completezza, aspetto estetico; ▪ utili griglie osservative per una valutazione accurata e oggettiva; ▪ la lezione a posteriori può prevedere una sintesi dei concetti trattati e una restituzione sintetica ma esaustiva sugli elaborati. 5. Qualche riflessione finale Le esperienze accennate evidenziano come gli EAS assumano particolare importanza in progetti specifici o situazioni particolari. Viene allora spontanea la domanda: gli EAS possono essere utilizzati anche nella didattica di tutti i giorni? La risposta è: assolutamente sì. Lo sforzo di adottare una didattica laboratoriale che richiederà una particolare attenzione nella gestione della classe, verrà ampiamente ripagato osservando negli alunni un maggiore coinvolgimento nell'apprendimento. Lavorare per EAS richiede un cambio di prospettiva, comporta di aderire a un modello di "educazione lenta". Richiede da parte del team degli insegnanti una condivisione di intenti che deve essere portata avanti collegialmente e che deve essere spiegata e compresa dalle famiglie. Anche l'aspetto valutativo cambia. Nella logica del learning by doing vengono meno le problematiche legate alla necessità di una valutazione che diventa sterile se pensata unicamente per prove strutturate che danno ben poco riscontro di quanto realmente l'alunno abbia imparato. È solo attraverso la costruzione di artefatti basati su compiti autentici che l'insegnante può verificare attraverso rubriche costruite ad hoc quali siano le conoscenze, le abilità e le competenze maturate e procedere alla rimodulazione della progettazione sulla scorta dei bisogni emersi. SCHEDA 6: EAS, progettazione implicita e pratiche dell’insegnante 1. Le domande dell'insegnante in materia di EAS La metodologia EAS è ormai affermata e ampiamente collaudata, in ogni ordine e grado di scuola, da tutto il gruppo di ricerca del Cremit e dai molti insegnanti che hanno abbracciato il metodo di Pier Cesare Rivoltella; a livello personale, ho realizzato che l'EAS è diventato uno degli strumenti più potenti a mia disposizione per aiutare l'apprendimento degli studenti. Dopo qualche anno di pratica didattica con la metodologia ho però iniziato a pormi alcune domande che nascevano dalla necessità di continuare a utilizzare l'EAS ottimizzando la fase legata alla progettazione. La prima questione che mi è parsa evidente, infatti, è che il tempo, sempre tiranno con gli insegnanti, è una delle variabili più incisive quando si decide di progettare per EAS; spesso, semplicemente, il tempo per farlo rischia di non esserci. La seconda cosa che ho notato, mentre lavoravo per EAS, è che molti di essi sono ricorrenti, nella pratica annuale. Già dalla premessa sappiamo che non sempre si progetta un EAS per ogni lezione, ma ci si concentra sull'uso del metodo quando si vogliono affrontare aree complesse della disciplina. Ma la necessità e l'importanza di ricorrere a un EAS, in quei momenti che sono degli snodi fondamentali della disciplina, si ripete ogni anno scolastico; a questi EAS "fondamentali" si potranno poi aggiungere gli EAS suggeriti dall'attualità. Come terzo spunto mi preme sottolineare che, quando un docente insegna, agisce in un sistema complesso e ricco di variabili; queste variabili sono spesso imprevedibili e modificano l'ambiente nel quale si implementa l'EAS, ma non gli obiettivi previsti dall'EAS in fase di progettazione. Provo a dedicare un approfondimento al concetto di progettazione implicita di un EAS; sento infatti la necessità di trasferire ciò che ormai a livello soggettivo, nella mia pratica quotidiana, è diventato un babitus mentale. In questa scheda vorrei avviare una riflessione su cosa intenda per progettazione implicita di un EAS, cercando di valutare la fattibilità e l'opportunità di questa scelta. 2. Progettare EAS in modo implicito: si può? Abbiamo visto che la progettazione scritta di un EAS deve precedere la sua implementazione in classe. Ma cosa succede se ipotizziamo, invece, che un insegnante possa 'proiettare' nella sua mente l'EAS che intende implementare in classe poco prima dell'avvio della lezione? Stiamo pensando a uno scenario in cui il docente elabora un EAS senza fissarlo su supporto, prima di metterlo in atto in classe; una progettazione implicita, appunto. Provo a ripetere le tre domande che derivano dalle questioni che abbiamo visto poco sopra e che mi hanno portato a pensare all'ipotesi della progettazione implicita degli EAS: 1. è possibile implementare il meccanismo ternario di un EAS e deciderne le risorse senza, a monte, averne compilato in forma scritta il template e aver esplicitato ogni step in una scheda di progettazione? 2. Come esperto della disciplina e della metodologia EAS, avendo chiari gli obiettivi di apprendimento, l'insegnante è in grado di immaginare lo sviluppo di un EAS nelle sue tre fasi, subito prima dell'implementazione in classe? 3. All'avvio di ogni anno scolastico, prima di utilizzare gli EAS progettati in precedenza, è necessario riscriverli e aggiornarli, o tale attività di regolazione può essere svolta in modo implicito, osservando e tenendo conto del sistema-classe nel quale si andrà a operare? Alla prima domanda posso rispondere immediatamente: ogni percorso di arricchimento professionale che voglia portare l'insegnante a padroneggiare il metodo EAS deve prevedere di progettare in forma scritta gli EAS legati alla propria disciplina. Tuttavia, si può pensare all'ipotesi di un EAS progettato in modo implicito. A questo scopo si devono dare alcuni elementi come necessari. In particolare, l'insegnante: - ha individuato gli snodi fondamentali della disciplina; - ha fatto esperienza in classe della metodologia; - ha già progettato in modo esplicito (scritto) lo stesso EAS che, negli anni scolastici seguenti, sarà oggetto di progettazione implicita; - ha sperimentato in classe almeno una volta l'EAS che, negli anni scolastici seguenti, sarà oggetto di sperimentazione implicita; - ha pronti a disposizione i materiali di stimolo e di lavoro, diversificati per le eventuali esigenze (es: studenti con BES o NAI) e già collaudati, sempre aggiornati; - ha ben chiari i concetti di trasposizione e regolazione; - ha il controllo, dal punto di vista didattico ed emotivo, del sistema-classe nel quale intende attuare l'EAS progettato in modo implicito; - ha pronte le check list per l'osservazione dell'attività durante lo svolgimento dell'EAS e/o le rubriche di valutazione del compito autentico richiesto. È possibile "utilizzare" la rubrica anche come modalità per la creazione dei feedback. 4. Valutare nella fase della riflessione Nel momento ristrutturativo si elabora ciò che si è prodotto nelle due fasi precedenti. Il momento dedicato al debriefing non coincide con lo show down dei prodotti; la regia del docente consente di guidare la discussione sui temi caldi: quel che è stato particolarmente apprezzato in un gruppo potrebbe essere utile a un altro. È proprio qui che si dà la possibilità allo studente di ripensare ai processi, di autovalutarsi. 5. L'autovalutazione nel momento dell'anticipare, del produrre e del riflettere Uno dei compiti importanti della scuola è quello di insegnare ad agire in modo riflessivo. Lavorare con gli EAS comporta la ridefinizione del corretto rapporto tra il pensiero e l'azione giungendo a codeterminarsi continuamente in tutti e tre i momenti che ne caratterizzano lo svolgimento. L'efficacia degli EAS si ha nel momento in cui la pratica e l'esperienza diventano forme di apprendimento significative; quando la classe diventa spazio di produzione culturale, ma soprattutto quando diventa realmente efficace la metacognizione e la riflessione sulle pratiche. Quest'ultima convinzione ci porta ad affermare che nell'EAS è fondamentale attuare pratiche autovalutative in tutte e tre le fasi che lo compongono. Ma andiamo con ordine. Per autovalutazione, o self-assessment, si intende la possibilità che viene offerta allo studente di formulare giudizi sul proprio percorso di apprendimento, sulle sue acquisizioni. Come abbiamo già visto nella prima parte di questa scheda, questa capacità permette allo studente di avere un ruolo attivo anche nella progettazione e nella decisione sulle azioni e sugli scenari futuri del percorso di apprendimento che svilupperà. Esplicitare i criteri sottesi alla valutazione delle produzioni scolastiche porta il soggetto alla regolazione della propria attività nella logica che ogni momento dell'attività didattica è un'opportunità per valutare e autovalutarsi. E’ questa la prospettiva della valutazione formatrice, o diffusa, che consiste nel far coincidere attività didattica e valutazione. Scaturisce quindi l'idea che per divenire efficace e per contribuire effettivamente alla regolazione degli apprendimenti, la valutazione deve divenire autovalutazione. In questo modo quest'ultima si preoccupa di far partecipare maggiormente gli alunni rendendoli maggiormente protagonisti nel lavoro scolastico. Autovalutarsi non significa attribuirsi un superfluo giudizio a conclusione di un'attività completando una scheda con domande, in quanto l'autovalutazione è una competenza metacognitiva che comporta il distanziamento da sé per oggettivare l'esperienza d'apprendimento, cogliendone significati e riflettendo sulle modalità adottate dentro all'esperienza. L'autovalutazione nelle diverse fasi dell'EAS deve consentire agli studenti di riflettere sulla propria esperienza di apprendimento, indagando diversi livelli e differenti aspetti dell'esperienza, permettendo dunque di scoprire quello in cui sono riusciti e quello che capiscono di dover migliorare. 6. Autovalutarsi nella fase dell'anticipare La fase anticipatoria è fondamentale per situare lo studente nella sua relazione con il contenuto che verrà proposto. Permette di aprire il pensiero dello studente rispetto al tema che sarà oggetto di lavoro. Non si tratta di misurare gli atteggiamenti, l'abilità o le conoscenze, ma di avviare una fase esplorativa necessaria all'insegnante per comprendere i punti di vista utilizzando la logica del problem setting. Quindi concretamente è importante che l'alunno rifletta sulla: . Capacità di comprensione dello stimolo, della consegna e del compito • Azioni didattiche dell'EAS considerato: visione del film di animazione; la canzone tratta dal film con l'individuazione delle disposizioni rispetto ai componenti della famiglia. • Possibili domande riflessive: Che cosa ho capito dallo stimolo visto/ ascoltato/ letto? Che cosa penso? Mi sembra interessante? Qual è il compito che mi viene chiesto? Come posso svolgerlo? . Capacità di usare conoscenze pregresse • Azioni didattiche dell'EAS considerato: gioco interattivo, abbinamento tra descrizioni e talento; riconoscimento delle disposizioni di altre persone. • Possibili domande riflessive: Che cosa posso utilizzare di ciò che già so? Come? • So come fare? • Ho incontrato situazioni/problemi simili nella mia esperienza? . Capacità di cercare e di selezionare e contestualizzare informazioni • Azioni didattiche dell'EAS considerato: recupera alcuni esempi in cui attribuisce disposizioni a insegnanti e collaboratori della scuola conosciuti dagli studenti; • presentazione del lavoro a coppie con l'esplicitazione dei criteri. • Possibili domande rifessive: So che cosa devo cercare? Ho capito quali informazioni possono servirmi e come posso utilizzarle? 7. Autovalutarsi nella fase del produrre La fase operatoria è centrata sul produrre, sul fare e sull'imparare facendo. Questa fase è costruita sul problem solving. Viene chiesto alla classe di confrontarsi con un problema e di risolverlo attraverso la costruzione di un artefatto cognitivo in piccolo gruppo. La metodologia è di tipo laboratoriale. Qui la riflessione si sposta su 4 aspetti. ) Modalità di realizzazione dell'attività • Azioni didattiche dell'EAS considerato: consegna data allo studente; modalità di azione. • Possibili domande riflessive: Ho capito che cosa devo/dobbiamo fare per risolvere il "problema"? Quali materiali mi servono? Come posso reperirli? Quali strumenti intendo utilizzare? Come voglio realizzare l'artefatto? Sono sulla strada giusta? Che cosa va eliminato? Che cosa va tenuto? Il compito, mi sembra facile o difficile? Non riesco ad andare avanti, che cosa posso fare? Come penso di presentare ai compagni il lavoro svolto? ) Modalità di lavoro individuale e di lavoro in gruppo • Azioni didattiche dell'EAS considerato: modalità di azione nel lavoro individuale e di gruppo. • Possibili domande riflessive: Voglio/ posso lavorare da solo o in gruppo? Abbiamo definito insieme il nostro obiettivo? Che cosa preferisco fare da solo? Che cosa in gruppo? Quali difficoltà prevedo? Come posso fare? Quali strumenti posso utilizzare per condividere e comunicare con i miei compagni? ) Capacità di imparare dagli altri • Azioni didattiche dell'EAS considerato: creazione della carta; condivisione del lavoro con i compagni. • Possibili domande riflessive: Posso fare come il mio compagno che...; Gli chiedo di...; Questa cosa la posso "copiare" da... So chi è capace di fare... ) Conoscenze e abilità richieste per affrontare il compito e risolvere il problema. • Azioni didattiche dell'EAS considerato: tutte le azioni messe in campo nella fase operativa. • Possibili domande riflessive: Conosco ciò che devo sapere per svolgere il compito richiesto? So usare ciò che so? Ho svolto il compito richiesto? Ho risolto il problema? 8. Autovalutarsi nella fase del riflettere La fase ristrutturativa mette in forma gli oggetti culturali che sono il risultato del lavoro della classe. Qui l'alunno viene accompagnato a riflettere su quanto è successo fissando gli elementi dell'esperienza che ha vissuto e riconducendoli in forma esplicita a cornici concettuali. In questo modo l'apprendimento diventa significativo in quanto permette all'alunno di riflettere non solo su ciò che ha fatto, ma soprattutto su come lo ha fatto. In questa fase è importante abituare gli studenti a porsi delle domande che sollecitino almeno tre tipi di capacità. a. Capacità di riflettere su ciò che ha fatto, valutando cosa potrebbe mancare • Azioni didattiche dell'EAS considerato: lezione a posteriori; gioco del dado. • Possibili domande riflessive: Cosa abbiamo fatto, come lo abbiamo fatto, cosa abbiamo imparato? Cosa mi sento sicuro di spiegare a un mio compagno? Che cosa mi è piaciuto molto di ciò che ho scoperto e capito? Quali sono i punti deboli che posso riprendere, rinforzare o modificare? Che tipo di aiuto mi servirebbe? Ho delle domande da porre? b. Capacità di previsione e di generalizzazione • Azioni didattiche dell'EAS considerato: lezione a posteriori; gioco del dado. • Possibili domande riflessive: La mia pianificazione delle attività mi è stata utile? Ho lavorato bene? Avrei potuto fare in un altro modo? c. Capacità di autovalutazione e di valutazione • Possibili domande riflessive: Ho raggiunto gli obiettivi? Come? Quale valutazione devo dare al mio lavoro? Perché? Che cosa mi ha permesso di raggiungere questo risultato? Perché il risultato è positivo e/o negativo? Queste e altre attività di autovalutazione, oltre a sviluppare la cultura dell'autovalutazione in classe, aiutano a chiarificare i criteri di valutazione, educano a riflettere, partendo dall'esperienza di apprendimento situata svolta, rispetto a ciò che si è fatto di buono e ciò che ha bisogno di miglioramento e consentono di prendere decisioni su azioni da intraprendere e obiettivi immediati da conseguire.