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Riassunto di alcuni capitoli di “Letteratura Italiana. Dalle origini a metà Cinquecento”, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Il documento offre il riassunto di alcuni capitoli del manuale, in particolare: - Epoca 2: “Le tre Corone e la cultura del Trecento”, con approfondimento sul Canto XVII della “Commedia” e sul Proemio, Introduzione alla Prima Giornata, Novella di Madonna Oretta e Lisabetta da Messina del “Decameron”; - Epoca 4: “La cultura delle corti”; - Epoca 5: “Il Rinascimento”, capitolo 3 (Ariosto) e capitolo 10 (Le forme della prosa del Cinquecento).

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 23/06/2020

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Scarica Riassunto di alcuni capitoli di “Letteratura Italiana. Dalle origini a metà Cinquecento” e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Dante Alighieri (1265-1321) La vita Egli nacque nel 1265 a Firenze da una famiglia benestante da cui eredità beni e rendite che gli permettono di condurre una vita decorosa e la frequentazione della buona società Fiorentina. All’età di nove anni, come racconta nella Vita Nova, vi è l’incontro con Beatrice che cambierà la sua vita; nel 1277 però sposa Gemma di Manetto Donati, dalla quale avrà quattro figli. Dante apprende le arti del Trivio, grammatica, retorica e dialettica e già in età giovanile inizia a comporre le prime rime, che poi confluiranno nella “Vita Nova”. Fondamentale è poi l’amicizia con il poeta Guido Cavalcanti, con cui Dante rafforza l’interesse per la letteratura in volgare, il magistro cavalcantiano infatti è importantissimo per la formazione intellettuale del sommo. Nel 1295 Firenze passa sotto il controllo dei membri delle Arti principali e Dante era parte dell’Arte dei medici e degli speziali, così che nello stesso anno diventa membri del Consiglio speciale del Capitano del Popolo e l’anno successivo entra nel Consiglio dei Cento. Negli anni successivi però Firenze e sconvolta dalla lotta di due fazioni opposte: - Ghibellini, sostenitori fedeli dell’imperatore - Guelfi, sostenitori della supremazia pontificia in particolare all’interno della fazione dei guelfi ci fu un’ulteriore divisione: - Bianchi, sostenitori dell’Impero come potere politico. I Bianchi non erano ostili al papato ma non credevano che dovesse avere potere politico. - Neri, sostenitori del papato e della sua legittimità a governare politicamente Nel 1300 Dante è eletto Priore; nel 1301 il papa Bonifacio VIII, sollecitato dai Neri che accusano i Bianchi di ghibellinismo, invia a Firenze come ambasciatore Carlo de Valois e qualche mese dopo il governo fiorentino manda un’ambasciata a Roma, di cui fa parte lo stesso Dante. Tuttavia questa rappresenta l’occasione per Carlo di entrare a Firenze e istaurare un nuovo priorato; Dante viene condannato al confino per corruzione e peculato. Da questo momento non farà mai più ritorno a Firenze, ma vivrà in giro per l’Italia, ospitati da grandi signori, come Bartolomeo della Scala. Alla morte di Bonifacio VIII si apre uno spiraglio per Dante di poter tornare a Firenze ed in particolare dopo la morte di Bartolomeo della Scala egli torna in Toscana, tuttavia ci fu un ulteriore scontro tra Bianchi e Neri, che decretò la definitiva sconfitta nel 1304. Dante quindi non approvò tale soluzione e abbandonò la fazione bianca, ma fu costretto dai Bianchi e dai Neri, a fuggire dalla Toscana e si rifugiò in Veneto, dove rimase fino al 1308. Nel 1319 Dante si trasferisce a Ravenna, dove lavora alle ultime opere, in particolare alla fine della stesura del Paradiso; nel 1321 muore. Le opere ‣ “Vita Nova” È una narrazione in prosa volgare della storia dell’amore di Dante per Beatrice, prima e dopo la morte di lei, composto tra il 1292 ed il 1293. La locuzione «vita Nova» si riferisce al rinnovamento interiore che Dante matura sotto il segno di Amore. Il libello comprende: - 31 poesie - 2 sonetti rinterzati - 5 canzoni - 1 ballata Collegati dalla prosa, con cui l’autore narra le occasioni in cui le liriche sono state composte e le commenta. Il libello è quindi un prosimetro, cioè un’opera che alterna prosa a versi, un’assoluta novità. La struttura complessiva dell’opera può essere suddivisa così: - Prima parte, introdotta dal proemio e conclusa con la crisi del «gabbo» (I-XVI) - Seconda parte, si incentra sulla «Matera Nova» della poesia della lode (XVII-XXVII) - Terza parte, introdotta dalla morte di Beatrice e termina con la «mirabile visione» (XXVIII-XLII) Quindi Dante introduce la storia del suo rinnovamento spirituale come una trascrizione del libro della memoria; all’età di nove anni Dante incontra per la prima volta Beatrice (I), da allora Amore domina la sua mente, assistito dalla ragione (II). Nove anni dopo la donna concede il saluto all’autore; il poeta ha poi un sogno premonitore, che si conclude con l’immagine di Amore che ha tra le braccia Beatrice, Dante racconta tale visone in un * «illustre» perché illumina e risplende su tutto; * «cardinale» perché intorno a esso ruotano tutti i volgari italiani; * «aulico» perché deve aver la propria sede in un’aula regale; * «curiale» perché specchio della misura e dei valori cortesi, anche se l’Italia non avesse un’unica corte. Dante, nel secondo libro, individua anche gli argomenti propri della poesia aulica: salvezza, amore e virtù. La commedia Si hanno poche certezze circa i tempi di composizione dell’opera, ma comunque gli studiosi sono concordi nel far coincidere l’interruzione del “Convivio” e del “De vulgari eloquentia” con l’inizio della stesura della “Commedia”, quindi intorno al 1307-1308. Il nome “Commedia” ha una connotazione grecizzante, che designava un genere letterario che aveva infatti un inizio infelice ma un finale del tutto lieto, mentre per quanto riguarda il linguaggio questo è dimesso e umile, si tratta infatti di un’opera scritta in volgare. La Commedia si compone di tre cantiche, che corrispondo a tre regni oltremondani: Inferno, Purgatorio e Paradiso; ogni cantica prevede 33 canti, cui si aggiunge il proemio che coincide con il primo canto dell’Inferno. La struttura numerica richiama la simbologia cristiana della Trinità. A livello metrico l’opera presenta un’importante novità: la terzina; difatti l’idea di legare dei versi endecasillabi con schema ritmico ABA BCB CDC è un’invenzione dantesca, che conferisce ritmo e solennità. La geografia dei regni oltremondani è ripresa dalla tradizione filosofica e teologica: - Inferno, è collocato sotto la città di Gerusalemme, come una voragine a forma di come rovesciato, venutasi a creare con la caduta di Lucifero, proprio alla sua fine c’è il diavolo caduto. - Purgatorio, sorge agli antipodi di Gerusalemme ed è circondata dall’oceano. Qui Virgilio lascia Date nelle mani di Beatrice alle porte dell’Eden. - Paradiso, esso è una dimensione senza tempo e luogo. È costituito da cerchi concentrici dei cieli, che prendono il nome dai sette pianeti, al moto delle sfere sono posti i cori angelici. Le sfere celesti sono poi avvolte dall’Empireo, dove Dante ha la mistica visione. Prima di Dante solo due uomini avevano avuto il privilegio di compiere un simile viaggio: Enea e San Paolo. Dietro l’apparenza di umile peccatore, Dante infatti è impaurito da ciò che lo aspetta, si mette al pari dei suoi predecessori, ripentendone la missione storico- politica e spiritualizzante: ‣ L’Eneide rappresenta il modello per Dante e infatti Virgilio viene scelto come guida: esso presenta i valori religiosi, come la ricerca di conoscenza e affinamento spirituale, e profetici, difatti celebra la fondazione di Roma e quindi la nascita dell’Impero di Augusto, l’impero rappresenta per il poeta esule la possibilità di ristabilire l’ordine morale e politico nella cristianità. Anche a livello linguistico la Commedia aspira a ereditare il valore ed il ruolo dell’Eneide e propio da esso riprende delle immagini, come i mostri e i demoni infernali e la geografia dell’oltretomba. ‣ San Paolo, nella seconda Epistola ai Corinzi, afferma di essere stato rapito dal cielo che Dante conosce molto bene, così come la Visio Pauli, un testo apocrifo in cui vi è raccontato che il santo è stato condotto all’inferno, dove le anime sono dannate a diversi supplizi a seconda dei peccati, e all’Eden. La Commedia è ricca di richiami e immagini allegoriche, già dal primo canto, in cui D stesso racconta di essersi perso in una selva e che il suo cammino è ostacolato da tre fiere: una lonza, una lupa e un leone. In suo soccorso arriva Virgilio, che gli comunica la necessità di intraprendere un altro viaggio. -> Selva = condizione di smarrimento Diritta via = via cristiana Colle illuminato = salvezza Tre fiere = tre tentazioni diaboliche, lussuria, superbia e avidità Agli occhi di un leggere medievale la scena era molto ricca e pregnante, la narrazione è ricca di riferimenti alle sacre scritture e alla letteratura classica. Il protagonista della Commedia è un Io cristiano, che narra in prima persona la propria avventura, esperienza. Praticamente chi compie il viaggio è Dante-personaggio ma è un’esperienza che deve essere da esempio per ogni uomo; il viator si distingue da Dante- autore: la sua prospettiva è interna al racconto e muta con il progredire della storia. Dante- autore per tutto il tempo tenta di rinsaldare la propria identità per ribadire la veridicità dell’esperienza. Emblematica è la strategia dell’emozione rivissuta, in cui DA rievocando un evento afferma di risperimentare le stesse emozioni. Comunque la dimensione autobiografica è molto forte: il privilegio di visitare i regni oltremondani gli è stato concesso dalla donna amata, in più sono molti gli amici e concittadini che il personaggio incontra, per non parlare dei numerosi riferimenti alla vita del poeta e al suo esilio. Per tutta l’opera Dante ha un’attitudine profetica, come accade nei casi in cui gli viene annunciato l’esilio, in più begli formula le enigmatiche profezie sull’avvento di un salvatore, un imperatore. Dante ritorna indietro: Virgilio, già sulle spalle del mostro lo invita a salire, il poeta è preso dalla paura ma si fa coraggio e sale. Virgilio percepisce i sentimenti di Dante e lo abbraccia per rassicurarlo, come se fosse un padre; ma lui al contrario di Fetonte ed Icaro che hanno disobbedito al padre e per questo hanno perso la vita, obbedisce a Virgilio come un servo. Gerione retrocede come se fosse una barca e comincia a muoversi in ampi e lenti cerchi, discendendo. Dante sente l’aria ventilargli sul volto e soffiare sotto in su; poi comincia a scorgere le bolge. Il mostro arrivato, scarica i due poeti e riparte come una saetta. Francesco Petrarca (1304-1374) La vita Grazie all’opera autobiografica che ci ha lasciato possiamo riscoprire in maniera certa e dettagliata la vita dell’autore; egli è nato nel 1304 ad Arezzo. Qualche anno dopo si sposta a Pisa, dove incontra Dante e nel 1312 si trasferisce ad Avignone, allora sede papale. Qui Petrarca è inviato agli studi di grammatica e successivamente viene indirizzato dal padre agli studi giuridici, per cui si trasferisce a Bologna. Dopo la morte del padre Francesco abbandona la carriera giuridica, torna ad Avignone e comincia ad immergersi nello studio dei testi classici e nell’attività letteraria. Il 6 aprile 1327 egli incontra Laura, la quale diventa per il giovane oggetto di un vero e proprio «furor». Comunque, ad Avignone Francesco assume lo stato clericale e intraprende la carriera diplomatica al servizio della famiglia Colonna, per la quale compie molti viaggi. Grazie a questi inizia a raccogliere manoscritti preziosi, come la “Pro Archia” di Cicerone, fino ad allora sconosciuta. In questi anni Petrarca scopre Agostino, autore fondamentale per la sua vita. È tra il 1338 ed il 1339 che l’autore comincia a dedicarsi alle sue prime opere latine, “Africa” e “De viris illustribus” e nel 1340 riceve contemporaneamente da Roma e Parigi la laurea politica; le due città rappresentano due mondi opposti, due poli opposti della cultura. Petrarca sceglie Roma, per amore della patria e per rispetto del passato, è evidente quindi la volontà dell’autore di proporsi come erede della poesia latina e ideale prosecutore dell’antica civiltà romana. Nel 1343 c’è un momento di svolta dato da due avvenimenti importanti: la morte di Roberto d’Angiò ed il fratello decide di entrare nell’ordine dei certosini, questi due eventi lo portano ad un severo riesame e ad una profonda riflessione sul valore effimero di ciò a cui finora si è consacrato. Il 1347 è un anno importante sul piano dell’impegno politico: gli arriva infatti la notizia che Cola di Rienzo voglia restaurare una repubblica a Roma, la notizia è accolta da Petrarca con entusiasmo perché vi intravede la possibilità per Roma di tornare allo splendore dell’epoca classica e del papato di poter tornare alla sua sede originaria. Il sogno però è infarto dalla sconfitta di Rienzo e i suoi rapporti con i Colonna si fanno sempre più aspri, quindi decide di tornare in Italia. La peste del 1348 rappresenta un momento di profondo dolore per l’autore che perde numerosi amici e soprattutto Laura. Tra il 1351 ed il 1353 c’è l’ultimo soggiorno in Provenza e resosi conto che non poteva più viver lì per motivi politici, si trasferisce a Milano, sotto la famiglia Visconti. Muore ad Arquà nel 1374. Le opere ‣ Africa, è un poema epico in esametri, giunto a noi incompiuto, composto da 9 libri, che in realtà dovevano essere 12, sulla base dell’ispirazione virgiliana dell’Eneide. L’opera è dedicata alla seconda guerra punica e alla figura di Scipione l’africano. ‣ De viris illustribus, un’opera in cui vengono ripercorse le biografie di 23 condottieri romani dell’età repubblicana (prospettiva ideologica dell’autore che non crede più nel potere imperiale). Anche quest’opera è incompiuta. Le opere danno l’opportunità a Petrarca di presentarsi come rigoroso cultore dell’antichità classica ed emerge la sua idea sulla classicità = esempio. ‣ Rerum memorandarium libri (1342), l’opera rappresenta un momento di passaggio dai primi libri romani alla svolta morale; essa è una raccolta in cui si espongono aneddoti relativi a personaggi illustri del passato e del presente, i fatti sono invece suddivisi sulla base delle quattro virtù cardinali (prudenza, giustizia, fortezza e temperanza). ‣ De vita solitaria, è un trattato che scrive dopo la svolta del 1343 e che arricchirà successivamente. Nel libro sono evidenti i temi portanti della maturità: solitudine, dedizione alle lettere, studio degli antichi, coscienza del valore effimero delle cose del mondo. ‣ De otio religioso, iniziato nel 1347 e finito alla fine degli anni Cinquanta. Sulla base dell’opera precedente, viene fatta un’apologia della vita monastica in cui emerge una sintesi tra sapienza antica e verità cristiana. ‣ Secretum -> bilancio esistenziale con sé stesso. In cui propone un dialogo tra Francesco e Agostino, diviso in tre libri: ‣ Nel primo, Francesco lamenta una condizione sofferente causata dagli affanni che gli impediscono di vivere la vita che vorrebbe, Agostino quindi si concentra sulla mancanza di volontà. Francesco infatti dovrà comprendere che la mancanza di felicità risiede proprio nella mancanza di volontà, deve meditare sulla sua condizione di mortale, che rappresenta l’unica via di salvezza. ‣ Nel secondo, Agostino sottopone Francesco ad un serrato esame dei suoi peccati: superbia, lussuria, accidia. ‣ Il terzo è dedicato ai due valori a cui Francesco ha consacrato la sua vita: l’amore per Laura e la brama di gloria. Se Francesco crede che il suo sentimento per la donna sia il mezzo per elevare la sua coscienza alle verità celesti, Agostino replica che è proprio l’amore la causa del suo traviamento morale, perché è desiderio di una creatura mortale. Agostino inoltre rimprovera anche la volontà di ricevere gloria, che rappresenta solo un eccesso di superbia. ‣ La conclusione del Secretum è che quindi Francesco deve abbandonare le imprese poetiche da cui spera di ricavare fama e di porre se stesso al centro “lascia dunque queste opere e ricostruisci te a te stesso.” Ma non c’è una definitiva conversione, che è ancora rimandata. Rerum volgarium fragmenta Rappresentano il grande capo valoro di Petrarca, in cui vengono raccolti tutti quei componimenti che aveva scritto nel corso degli anni, soprattutto in relazione alla passione per Laura. Il vero e proprio progetto dell’opera cominci a delinearsi tra il 1347 ed il 1350. Essi sono organizzati secondo un criterio tematico, con un’organizzazione narrativa; la morte di Laura rappresenta un momento estremamente importante per la vita dell’autore e questo gli suggerisce l’idea di dividere l’opera in due parti, un prima di cui recuperare memoria e pentirsi e un dopo la morte in cui raccogliere gli sparsi frammenti. -> la morte di Laura è quindi il punto di svolta Tra il 1366 ed il 1367 Petrarca fa allestire un nuovo esemplare dell’opera, il Vaticano Latino 3195, il manoscritto definitivo dei Fragmenta. Il lavoro di assemblaggio delle poesie si protrae per un ventennio. Il canzoniere rappresenta un testo nuovo: per la prima volta i singoli componimenti che lo compongono non sono autonomi l’uno rispetto all’altro ma ogni testo intrattiene delle relazioni con quello che lo precede e segue. Una cosa simile era stata fatta da Dante nella “Vitta Nova”, ma in quel caso i componimenti erano legati dalla prosa. L’eliminazione della prosa, nei Fragmenta, fa sì che lo sviluppo narrativo dipenda esclusivamente dalla scelta dell’organizzazione dei componimenti. Il Canzoniere è composto da 366 liriche; la prima parte ha al centro l’innamoramento fino alla morte della giovane, che produce nell’autore una revisione radicale della sua esistenza ed esperienza amorosa e lo fa approdare ad una nuova consapevolezza della fragilità dell’uomo. L’amore diviene un sentimento negativo che lo ha fatto allontanare da se stesso e da Dio. Il sonetto “Voi che m’ascoltate in rime sparse il suono” ha una funzione proemiale e getta le premesse della vicenda, il testo presenta lo scavo interiore dell’autore e il bilancio che egli stesso fa, che lo fa giungere ad un radicale cambiamento. Nel sonetto inoltre si fa un’immagine negativa dell’amore, visto come errore. Dal Canzoniere emerge una contrapposizione tra amore profano e amore trascendente, il primo allontano l’autore dal secondo. E questo è avvento sin dal momento in cui Petrarca ha incontrato Laura, il giorno di venerdì santo, l’autore racconta dii non aver partecipato al dolore universale per la morte di Gesù ed essere stato distratto da Laura. Da quel momento l’io si divide tra pulsione erotica e voluttà del desiderio mortale es il suo ripudio. Con il sonetto “I’ vo pensando, et nel pensier m’assale” inaugura la seconda parte dei Fragmenta, in esso emerge la percezione del tempo che passa e della morte che incombe, che dovrebbero condurre il poeta a consacrarsi a valori positivi. Ma l’amore ed il desiderio di gloria glielo impediscono, il poeta ne è consapevole, sa che l’amore non potrà portargli felicità e che la gloria è vana e fugace, nonostante ciò i due sentimenti sono insopprimibili. Petrarca mette quindi in scena il paradosso di un conflitto irrisolvibile, la cui guarigione è nuovamente rimandata. Nel finale del libro vi è la preghiera alla vergine che, se ad una prima lettura apparire risolvere tutto, si mostra ambigua, Petrarca non sembra realmente convinto. La canzone “Vergine bella, che di sol vestita” rappresenta l’esito necessario del percorso penitenziario del poeta, il culmine del processo, in cui caritas subentra a eros. Petrarca invoca la vergine affinché lei gli possa dare la forza necessaria. Il testo più rappresentativo dell’ambiguità è “Quell’antiquo mio dolce empio signore” in cui viene inscenato un contrasto tra l’amante-poeta e Amore, il quale è accusato di aver negato la felicita all’io. Ma Amore risponde che ha consentito al poeta di nutrire il suo cuore, coniugando la gloria con i versi. Comunque fulcro del dibattito è il conflitto tra amore sacro e amore profano ed anche questo rimane senza risposta. La lingua con cui i fragmenta sono stati scritti ha come base il fiorentino, depurato di qualsiasi tratto municipale o dialettale. Esso è quindi un volgare aulico, trascendentale, armonioso e limpido. Si parla quindi di unilinguismo petrarchesco, derivato da una selezione estremamente accurata dei vocaboli e dei toni, fatta attraverso coi tue modifiche e riscritture. Dal punto di vista sintattico, la costruzione del periodo è caratterizzata da un andamento piano, lineare. Giovanni Boccaccio (1313-1375) La vita Boccaccio nacque a Firenze nel 1313, città dove trascorse l’infanzia e dove cominciò la sua formazione scolastica. Nel 1327 però segui il padre a Napoli, una città che divenne fondamentale per la sua formazione personale e culturale; nella città doveva aiutare il padre nelle pratiche mercantesche, presto però si manifestò in lui la vocazione agli studi letterari, forse favorita dalla vicinanza con l’aristocrazia napoletana e in generale con la corte di Roberto d’Angiò. La corte inoltre ha lasciato in lui un segno ben evidente per quanto riguarda il comportamento «cortese», che esalava virtù come la magnificenza, la liberalità, la convivenza festosa e soprattutto l’esperienza amorosa; questi valori costituiranno l’ossatura ideologica delle sue prime opere. Nel 1340 tornò a Firenze. Nel 1348 arrivò poi a Firenze la peste nera che segnò profondamente la vita di Boccaccio, essa fu un vero disastro e spinse la popolazione a comportamenti esasperati, da cui egli trae ispirazione per la composizione del “Decameron”. Nel 1350 conobbe Petrarca e con questo incontro si inaugura la stagione di un nuovo progetto letterario, caratterizzato dal recupero dei modelli classici collegandoli con le esigenze del presente. Nel 1375 morì. Un autore tra due culture L’aver vissuto molti anni in due città differenti, Firenze e Napoli, ha profondamente influenzato l’autore nel quale è evidente la compresenza dei valori e della cultura delle due città. È a Napoli che inizia la stesura delle prime opere come: - “Caccia a Diana”, un poemetto in terzine di endecasillabi in cui vengono celebrate le donne napoletane; - “Filostrato”, primo poema della letteratura italiana scritto in ottave, in cui viene riportata la storia dell’amore infelice tra Troilo e Criseida, in cui per la prima volta la donna non viene condannata per la sua incostanza e in cui vi è un’analisi delle dinamiche psicologiche; - “Filocolo”, primo romanzo originale in prosa della letteratura italiana. Queste opere hanno un forte collegamento con la tradizione francese e cortese. Le opere successive invece si aprono al volgare toscano come “Teseida delle nozze d’Emilia”, è la storia di Teseo sullo sfondo della guerra, in cui però è ancora evidente il codice cortese, così come “Elegia di madonna Fiammetta”, primo romanzo della storia occidentale in cui una donna racconta la propria storia. letteratura italiana, il manoscritto “Panciatichiano Palatino 32”; il titolo originale in realtà era “Libro di novelle e del parlar gentile”. Esso è un centonovelle - prologo + 99 brevi testi - scritto tra il 1281 e il 1300; i racconti contenuti sono una rielaborazione delle forme narrative brevi antiche ed europee. «Quel libro di novellette che ora chiamiamo il Novellino, composto tra il 1280 e il 1300, resta l’esempio d’una narrativa fatta con l’accumulo di pezzi di riporto, sparsi ed eterogenei, collegati da nessun motivo oltre al gusto del narrare.» Per la prima volta si riscontra la parola «novella» nel “Novellino”, essa comincia ad avere quindi due accezioni: da un lato quella di ‘fatto nuovo’, derivante dal significato latino di novitas e dall’altro cominciava a designare un genere, il racconto di un fatto nuovo. «Rispetto ai generi letterari affermati, si può dire che fino al Cinquecento la novella non rappresenti un vero genere letterario (nonostante la grande fama goduta da Boccaccio), ma il semplice riaffiorare d’una usanza cittadina o borghigiana.» (G. Celati) Il fatto nuovo però non era sempre originale: le vicende erano parte della tradizione e venivano quindi tramandate di generazione in generazione ed ogni autore poi analizzava, elaborava e sviluppava la storia ed i personaggi a suo piacimento, come è evidente nelle opere di Shakespeare. «Il carattere misto dei materiali novellistici, senza limiti precisi tra la forma scritta e orale, è stata la grande spinta vitale della novella; perché attraverso i motivi narrabili che passavano da un narratore all’altro senza nessuna sorveglianza nascevano variazioni imprevedibili.» (G. Celati) «In tutte si vede l’afflusso di materiali eterogenei, passati da una tradizione all’altra. Ed è ciò che rendeva le raccolte novellistiche degli empori di mercanzie pregiate, dove ogni storia ha la natura del frammento disperso(...). È una narrativa di motivi intrecciati, dove ognuno vale in sé come memoria di accadimenti nel vasto mondo; e parla d’un mondo ancora inteso come un tessuto di meraviglie, alla maniera di Marco Polo e dei viaggiatori arabi.» ( G. Celati) Le caratteristiche fondamentali della novella sono quindi: - Brevità, che non è identificata con il numero delle parole ma con la rapidità della narrazione. Difatti nell’accezione antica la brevitas rappresentava una delle virtù della buona narrazione (chiarezza, brevità e verosimiglianza) - Scrittura in prosa - Ricerca della verosimiglianza - Personaggi umani - Assenza di finalità morali La definizione di novella di Cesare Segre è: narrazione breve generalmente in prosa (a differenza del fabliau, del lai e della nova), con personaggi umani (a differenza della favola esopica) e contenuti verosimili (a differenza della fiaba) ma generalmente non storici (a differenza dell’aneddoto), per lo più senza finalità morali (a differenza dell’exemplum). Si indicano quattro momenti di sviluppo della novella: I. Origine -> (Novellino) 1200-1300 II. Codificazione -> (Decameron) 1348-1353 III. Trasformazioni successive -> Umanesimo IV. Modernità -> Verga e Pirandello Dopo Boccaccio cominciano a delinearsi due modelli di novella: a. Quella senza cornice, come il “Novellino” b. Quella con cornice, come il “Decameron” E comincia a superarsi quello schema tripartito boccacciano, che vedeva come sinonimi favola, parabola e istoria. Cominciano a scrivere: - Avvenimenti e istorie: novelle con base documentaria - Casi e accidenti: novelle che nascono da un resoconto verbale - Ragionamenti: novelle che nascono da una conversazione e da un processo di fusione tra fabula e confabulare Il Decameron La struttura dell’opera cominciò nel 1349 e finì nel 1360. È composto da 100 novelle brevi, incastrate in una cornice che si estende dall’inizio alla fine dell’opera. È possibile ritrovare tre livelli nell’opera: I. Proemio, Introduzione alla Quarta Giornata, Conclusione Qui l’Autore (non Boccaccio), si rivolge direttamente al destinatario dell’opera, cioè le donne II. Novella portante I Narratori raccontano a turno una novella rivolgendosi ai compagni di brigata III. Cento novelle L’attenzione per i valori costruttivi dei diversi livelli fu sicuramente influenzata dall’illustre modello dantesco, ci sono infatti delle evidenti relazioni simmetriche nell’opera. -> I. Focus sul primo cerchio Esso è occupato dall’Autore, un narratore extradiegetico, che racconta la vicenda della brigata alle Lettrici, stabilendo quindi un rapporto diretto con queste. Questa forma-libro si pensa sia stata utilizzata per avere legittimità all’interno della letteratura volgare; inoltre questa forma gli consente di sottolineare la responsabilità del lettore, ciò è evidente dal sottotitolo del libro “Comincia il libro chiamato Decameron, cognominato principe Galeotto”. È chiara l’allusione a Dante, il quale nel canto V dell’inferno inserisce la storia di Paolo e Francesca, per i quali «galeotto» fu il libro che fece scoppiare la scintilla d’amore tra i due, Boccaccio quindi sollecita le destinatarie a non abbandonarsi al solo piacere della lettura ma a stabilire con l’opera un rapporto d’interpretazione intelligente. L’Autore interagisce con le lettrici in tre spazi: 1. Proemio Qui si riferisce per la prima volte alle destinatarie predilette, che non sono le uniche: difatti viene utilizzato per caratterizzare un tipo di lettore, a metà tra i sapienti e i lavoratori analfabeti. Indica poi «la finalità primaria» dell’opera, cioè quella di alleggerire, confortare. 2. Introduzione alla Quarta Giornata Qui l’Autore si difende da alcune accuse: - Scelta delle donne come destinatarie - Materia troppo bassa - Futilità dei racconti - Scarsa remunerabilità - Falsità dei racconti 3. Conclusione L’Autore rivendica un’autonomia stilistica e ritorna sul ruolo fondamentale delle lettrici, perché responsabili dell’interpretazione. -> II. Focus sul secondo cerchio Formatasi la brigata decide di fermarsi in una villa in campagna, dove decidono di condurre una vita piacevole, lasciando il compito ad ognuno per un giorno di organizzare le attività da svolgere: il novellare è quindi un’attività regolata. Il sistema di regole viene annunciato da Pampinea, nel discorso che fa per convincere le sue amiche a lasciare Firenze; la decisione di lasciare la città è quindi regolata da «allegrezza, piacere, festa», condensati nell’avverbio «onestamente». La decisione di lasciare la città è onesta: la loro non è una semplice fuga, ma è fuga dalla disonestà, per ricostruire una società su dei valori, delle leggi, che permette anche nei momenti di incomprensioni di trasformarle in scambi linguistici. Comunque, la cornice del Decameron, con la compagnia di narratori che si scambiano storie, deriva da un imprestito venuto dall’oriente: ed è un modulo della Prima giornata L’autore in primo luogo si rivolge al lettore prediletto del Decameron, le donne. E successivamente propone una dettagliata descrizione della situazione a Firenze, difatti il libro inizia in salita, con un «orrido cominciamento» ma arriva ad un «bellissimo piano e dilettevole sia reposto». Nel secondo paragrafo Boccaccio fornisce le coordinate precise: siamo nel 1348, in primavera, a Firenze, dove si è abbattuta una «mortifera pestilenza» la quale «miserabilmente s’era ampliata». Inoltre viene descritto in modo preciso anche la malattia e i suoi risvolti fisici e psicologici: l’autore descrive le «macchie nere o livide» che ricoprivano il corpo del malato, le «paure e imaginazioni» della popolazione che portavano a «schifare e di fuggire gl’infermi». -> questo comportamento è in netta opposizione con la prima frase del Decameron, che invece sottolinea l’importanza dalla compassione Le conseguenze a livello sociale sono disastrose: tutti abbandonano tutti, vige l’anarchia, non si rispettano più i valori sociali, la società si disgrega. In questo contesto c’è la reazione di alcuni giovani: «un martedì mattina», «nella chiesa di Santa Maria Novella», «sette giovani donne […] delle quali una il venti e ottesimo anno passato abea né era minor di diciotto, savia ciascuna e di sangue nobile e bella di forma e ornata di costumi e di leggiadra onestà […] cominciarono a ragionare». -> descrizione dettagliata Le ragazze si mettono in cerchio -> solidarietà e iniziano un dialogo che diventa un modello, in quanto per la prima volta il dialogo è legato alla risoluzione di un problema; Pampinea, la più grande, propone l’idea di fuggire e la giustifica di fronte alle compagne e al lettore: la fuga infatti non è disonesta, non è abbandono. Le ragazze sono rimaste sole, in un contesto in cui nessuno più rispetta le leggi («noi non abbandoniam persona»), perciò la fuga è onesta, si rifugiano per ricostruire un ordine. Nonostante Boccaccio dia molta importanza alle donne e per la prima volta fa fare un ragionamento logico e filosofico ad una donna, non va oltre, infatti successivamente Filomena afferma «ricordivi che noi siamo tutte femine […] mobili, riottose, sospettose, pusillanime e paurose;» evidenzia quindi la necessità di altre figure, di uomini: «gli uomini sono delle femine capo». Arrivano in chiesa tre uomini Panfilo, Filostrato e Dioneo e le donne vedendoli e ragionando insieme, decidono di parlargli della loro idea. Il giorno seguente, all’alba, la brigata esce dalla città e si recarono in una piccola montagnetta sulla quale vi era un palazzo -> descrizione dettagliata La brigata quindi inizia ad organizzarsi e a stabilire delle regole: Pampinea, portavoce delle donne, afferma: «festevolmente viver si vuole, né altra cagione dalle tristizie ci ha fatte fuggire. Ma, per ciò che le cose che sono senza modo non possono lungamente durare, io, che cominciatrice fui de’ ragionamenti da’ quali questa così bella compagnia è stata fatta pensando al continuar della nostra letizia, estimo che di necessità sia convenire esser tra noi alcuno principale, il quale noi e onoriamo e ubbidiamo come maggiore, nel quale ogni pensiero stea di doverci a lietamente viver disporre». «Trovare ordine nel piacere e viceversa, è il punto di inizio della trattazione decameroniana e viene affidato ai due personaggi che li rappresentano. Pampinea, l’ordine, e il Dioneo-dionisiaco sono apparentemente opposti, questo non vuol dire che si contraddicano, ma significano la tradizione e la sovversione delle regole necessaria al conseguimento di un nuovo ordine.» (Cappozzo) -> necessità di ritrovare un ordine che a Firenze non c’era più Successivamente Pampinea viene fatta regina della prima giornata e organizza in maniera dettagliata la convivenza, affidando ad ognuno un compito. Il giorno seguente, Pampinea, riunisce la brigata e propone loro di riunirsi tutti i giorni, a quell’ora per raccontarsi delle novelle, («novellando»). «Le donne parimente e gli uomini tutti lodarono il novellare.» Novella di Madonna Oretta È la prima novella della sesta giornata, in cui la regina è Elissa; il tema della giornata è quello della capacità di imbastire una risposta arguta e pronta, efficace per liberarsi da una situazione spiacevole: il motto di spirito. Ne deriva una forma di racconto particolare, breve nella trama. La novella è raccontata da Filomena. Dopo un’introduzione sul valore di un narrazione ben fatta, Filomena racconta un aneddoto che ha avuto per protagonista una giovane donna Fiorentina, Madonna Oretta. La donna partecipa ad una lunga escursione, per alleviare la noia e la fatica, uno dei suoi compagni propone di raccontare una storia, al punto che invece che a piedi le sembrerà di essere a cavallo; -> metafora egli però non è abile con le parole e la storia si prolunga tra ripetizioni, errori e correzioni. Oretta non potendo più sostenere lo strazio dell’ascolto gli domanda di lasciar perdere «Messere, questo vostro cavallo ha troppo duro trotto; per che io vi priego che vi piaccia di pormi a piè». La novella si risolve interamente intorno ad un semplice schema narrativo: la proposta di raccontare (mediata dalla metafora del cavallo; raccontando, il giovane «la porterà a cavallo»), e la promessa di un beneficio, l’insuccesso del cavaliere, il motto di spirito giocato proprio sulla metafora utilizzata dal narratore (ovvero, Oretta chiede di scendere ed andare a piedi). Si instaura una sottile riflessione metaletteraria sulla tipologia narrativa della novella. L’autore vuole infatti evidenziare la difficoltà di raccontare bene e l’importanza di controllo tecnico sullo stile e sulla materia. In effetti le pecche del cavaliere riguardano proprio questi due elementi, ovvero l’incapacità di gestire l’argomento nel modo più efficace e l’imperfetta corrispondenza tra contenuto e forma. Novella di Elisabetta da Messina Questa è la quinta novella della quarta giornata, in cui si narrano le disavventure amorose. L’azione si svolge nel mondo dei mercanti toscani attici in meridione; i protagonisti sono Elisabetta e i suoi fratelli, divenuti ricchi per affari e commerci particolarmente redditizi. La giovane donna si innamora di Lorenzo, un modesto ragazzo di Pisa che aiuta i suoi fratelli nel lavoro. I due giovani amanti appartengono a ceti sociali diversi, il loro amore quindi non può essere vissuto, i tre fratelli di Elisabetta infatti, una volta scoperto che la sorella si reca di notte dall’amante, decidono di contrastare in ogni modo l’unione e uccidono Lorenzo. Nella loro ottica Elisabetta mette a rischio il decoro ed il buon nome della famiglia. Lisabetta però è afflitta dall’assenza di Lorenzo, una notte il giovane le compare in sogno, le rivela di essere stato ucciso dai fratelli e le mostra il luogo dove è stato sepolto; la ragazza quindi escogita un piano per recuperare il corpo di Lorenzo: ottiene il permesso dai fratelli per fare una gita in campagna e arrivata al luogo di sepoltura, disseppellisce il cadavere e gli taglia la testa per poter conservare almeno una parte del suo amante. Tornata a casa la giovane risponde la testa di Lorenzo in un «testo di bassilico», ogni giorno Lisabetta piange e si dispera sul vaso di basilico, trasferendo il suo amore e la sua passione per l’amato, sulla pianta. Il comportamento di Elisabetta però insospettisce i vicini, che segnalano l’anomalia ai fratelli; questi ultimi decidono quindi di requisire la pianta e trovarci dentro la testa di Lorenzo, decidono di far sparire tutto. Inoltre timorosi che la vicenda ed il delitto possa essere scoperto decidono di trasferirsi a Napoli, dove la ragazza muore di dolore. Con questa novella Boccaccio difende la forza del sentimento amoroso, espressione di un istinto naturale e irrefrenabile, non deve essere assolutamente represso, tantomeno per motivazioni economiche o di gerarchie sociali. Il tema è in sintonia con quanto l'autore afferma nell'importantissima Introduzione alla quarta giornata dove, spezzando il meccanismo narrativo della "cornice", Boccaccio specifica e precisa la propria posizione in merito: l'amore è pulsione naturale e spontanea dell'uomo e della donna, e non dovrebbe per nessuna ragione essere impedito, in quanto le forze dell'istinto sono superiori a quelle della società o della morale. Le conseguenze drammatiche dell'opposizione ad un amore spontaneo e sincero sono messe in luce sin dalla caratterizzazione dei personaggi principali della novella; i fratelli, dominati solo dalla logica della ‘mercatura’ e dalla necessità di conservare il buon nome della famiglia, considerano Lisabetta alla stregua di un oggetto, da portare ad un matrimonio utile e conveniente. All'opposto, Lorenzo si qualifica, nella breve descrizione che gli viene concessa, come un giovane «assai bello della persona e leggiadro molto»: le virtù fisiche e il suo bell'aspetto si impongono rispetto alla sua umile Tra le nuove mode letterarie, vi è la poesia profana per musica e per danza. Le aree di produzione e circolazione di manoscritti sono la Lombardia e il Veneto e successivamente la Toscana: ci si specializza principalmente in madrigali e ballate. Tra i nomi superstiti quello di Niccolò di Neri Soldanieri, che si ricorda specialmente per le “cacce”, genere nuovo di struttura metrica libera, con strofe di misura varia e con schema ritmico discontinuo. Fondamentali sono però i cantari in ottava rima, perché saranno all’origine del genere del poema cavalleresco di autore come Pulci, Boiardo, Ariosto. I cantari sono poemetti narrativi di lunghezza variabile, che trattano i temi più vari: storie di Vangelo, vite di santi, storie ispirate alle chansons de geste. Un esempio famoso è costituito dal Cantare di Piramo e Tisbe. La prosa nel Trecento Mentre il latino resta la lingua ufficiale della cultura accademica ed ecclesiastica, il volgare si fa spazio e anzi acquista il primato in ambiti diversi della comunicazione pratica e letteraria. Si assiste dunque ad un’attività di volgarizzamenti dei testi latini di età classica o altomedievale. Si traduce un’enorme quantità di opere, che costituiscono uno il principale veicolo della crescente alfabetizzazione e della progressiva estensione del volgare a un raggio sempre più largo di usi. Si volgarizzano ad esempio autori di testi letterari (Livio, Ovidio..), storiografi e trattatisti (Cicerone, Seneca). Il centro di questa cultura è senz’altro Firenze, ma, se il toscano acquista lo statuto di lingua di koinè sovra-regionale nella poesia, lo stesso non si può dire per la prosa, che si avvale ancora delle tradizioni linguistiche autoctone. Il proliferare di volgarizzamenti comporta il consolidarsi della prosa, che si irrobustisce sul piano della salda sintassi latina. Un altro genere conosce nel trecento sviluppi considerevoli: la letteratura religiosa, costituita da exempla, che narrano tramite un linguaggio semplice ed efficace il messaggio evangelico presso stati della società laici e illetterati. La straordinaria fortuna del Decameron ha un duplice effetto. Da un lato, costituisce la spinta per operazioni simili (nasce infatti il genere della novella con propria dignità e autonomia letteraria), dall’altro, l’imitazione del modello comporta l’attenuazione dei suoi caratteri più innovativi. È dalla Toscana che si decide di proseguire il programma boccaccesco, decisione di un pubblico borghese, dotto, cosmopolita e alfabetizzato. Alcuni invece rifiutano l’impostazione boccaccesca, come ser Giovanni che scrive il “Pecorone”, con una logica antitetica al Decameron. La cornice è rappresentata dalla storia di Auretto, innamorato di una suora, Saturnina, i due si ritrovano per 25 giorni e per scongiurare la passione amorosa si raccontano novelle; lo stratagemma però non funziona come si intuisce dall’ultima, dimostrando che la letteratura non può risolvere i casi della vita. Un modello differente è offerto dal “Novelliere” di Giovanni Sercambi, che racconta un lungo viaggio di una comunità in fuga dalla peste, in 150 novelle. Qui l’autore è unico e coincide con l’autore, la brigata, composta da membri della corte, utilizza le novelle per conseguire risultati pratici. Emblematica è la scelta di Franco Sacchetti di gareggiare sottilmente con Boccaccio, sopprimendo integralmente la cornice nelle sue “Trecento novelle”. Egli si pone agli antipodi di Boccaccio, definendosi discolo e grosso (rozzo e incolto) contro il litteratus Boccaccio. Il fine del novellare risiede dunque prima di tutto nel suo valore di esempio e per Sacchetti il male è una condizione costante dell’uomo, all’interno della quale tutti sono immersi, e rispetto alla quale il racconto perde ogni valore di trasformazione, riducendosi a cronaca. Si pensi alla novella di Fazio da Pisa, che si vanta di profetizzare il futuro: egli viene messo alle strette da Sacchetti stesso (fusione narratore, autore, personaggio) che rivela la truffa dell’astrologo poiché se è impossibile ricostruire il passato con esattezza, tanto più lo sarà per l’impredicibile futuro. Parallelamente alla novella, anche la storiografia in volgare raggiunge nel Trecento la maturità di genere letterario. Vi è infatti la ricerca di una legittimazione storico-culturale delle diverse identità municipali, l’urgenza di interpretare i nuovi processi all’interno di una visione storica generale che ne rintracci le cause e ne prospetti gli sviluppi possibili. È la cronaca ad assumere fondamentale importanza nella scrittura della storia, ovvero il progetto di un’identità municipale e un’autocoscienza politica collettiva. Dino Compagni è il primo rappresentante di questa nuova tradizione cronachistica. La sua “Cronica delle cose occorrenti ne’ tempi suoi” tratta delle vicende politiche fiorentine dal 1280 al 1312, concentrandosi in particolare sul conflitto tra guelfi bianchi e neri. Egli interpreta la storia con un’ideologia provvidenzialistica. Un altro storico importante è Giovanni Villani, la sua “Nuova cronica” prende le mosse dall’episodio biblico della Torre di Babele fino al 1348, ottiene un’enorme fortuna. Egli recupera uno schema tradizionale di impianto universalistico ed enciclopedico. In più si avverte l’ideologia provvidenzialistica, cioè secondo l’idea che il volere di Dio condizioni la storia. Un esempio può essere il brano in cui egli spiega la sconfitta dei fiorentini per mano dei pisani, dopo l’occupazione di Lucca del 1342, additando la colpa ai loro peccati, alle loro cieche ambizioni espansionistiche, all’odio fratricida, e così via. È centrale nella sua opera il clima di Firenze. Epoca 4: IL QUATTROCENTO La cultura delle corti Il Quattrocento apre una lunga stagione di stabilità per l’italia, il suo avvio tradizionalmente viene individuato nella Pace di Lodi del 1454, con cui si pone fine alla guerre tra le corti che avevano toccato tutta l’Italia, in particolare a quella che aveva visto protagoniste Milano e Venezia. Le istituzioni politiche quindi si consolidano e si creano le condizioni per lo sviluppo della cultura artistica e letteraria. La corte diventerà il centro propulsore della nuova cultura, il cui compito è quello di offrire un ritratto idealizzato delle singole realtà poli che italiane. I due principali cambiamenti del nuovo secolo sono: 1. La crescita ed il prestigio acquisti del volgare, esso inizia ad essere considerato uno strumento espressivo d’eccellenza, alla pari del latino. 2. Mecenatismo, l’intellettuale è chiamato a subordinarsi alla celebrazione della corte e del suo signore. Assoluta protagonista del Quattrocento è la città di Firenze e la famiglia che la governa, i Medici, che ha: - Sviluppato una nuova riflessione filosofica, grazie all’Accademia di Marsilio Ficino; - Rivendicato l’importanza letteratura volgare fiorentina, attraverso la “Raccolta aragonese”; - Dato forte impulso all’umanesimo, attraverso al figura di Poliziano. In quest’epoca la lirica è il genere più rilevante e si guarda al lavoro di Petrarca, assunto come modello da imitare. Tuttavia non ci si afferma sui temi esistenziali come aveva fatto Petrarca, ma si guarda soprattutto alla forma e al linguaggio da lui utilizzato. Dal manoscritto alla stampa L’invenzione della stampa, attribuita a Gutenberg, è responsabile di due innovazioni fondamentali: - Creazione dei caratteri tipografici che consente enorme libertà nella lavorazione del libro. - Modifiche alla formula dell’inchiostro che rendono il nero più brillante. Si passa quindi al regime tipografico, dove vige il principio di identità tra le copie. Inoltre avviene un processo di omogeneità della lingua e dei suoi codici, ad esempio vengono introdotti i segni diacritici. In Italia la stampa arriva grazie a due monaci che si recano a Subiaco, dove iniziano a stampare delle opere che si trovavano nel monastero. I due si trasferirono poi a Roma, diffondendo le nuove tecniche in tutta Italia. Inizialmente la maggioranza dei libri stampati erano in latino, ma nel corso del tentennio il volgare ha acquisito sempre più importanza. Nel 1501 Aldo Manuzio stampa “Le cose volgari” di Petrarca. Intorno al 1480, compone la favola di Orfeo, destinata alla rappresentazione teatrale: è la prima opera teatrale non religiosa in lingua volgare. Egli riprende il mito di Orfeo e la sua storia di amore per Euridice. L’errore di Orfeo è letto come la ricaduta da parte degli uomini nella dimensione terrena, Orfeo dunque si volge in modo repentino all’amore omoerotico, evitando del tutto il ‘feminile amore’ che porta solo sofferenza. All’opera di poeta, egli unì un’importante attività di filologo. Nei “Miscellanea” sono raccolte le molte dissertazioni dedicate ai problemi posti da una corretta ricostruzione e interpretazione dei testi. Egli mette dunque a punto un vero e proprio metodo filologico che mira al recupero della parola originaria degli antichi. Polizano, in uno dei suoi viaggi, incrocia a Venezia Pietro Bembo e in questa scena fortemente simbolica ci si può ravvisare il passaggio del testimone tra il protagonista della cultura di fine ‘400 e una delle figure principali del Rinascimento. L’ambiente ferrarese A Ferrara c’è la casa d’Este ma le lunghe lotte dinastiche per la uccisione hanno reso la città debole sul punto di vista politico. Nel corso di questi sviluppi politici la cultura si è molto modificata, grazie all’arrivo, nel 1429 di Guarino Guarini, il quale fonda una scuola dove si formano le principali figure dell’Umanesimo. Dall’incontro fra classicismo guariniano e tradizione cortese nasce il Rinascimento ferrarese. MATTEO MARIA BOIARDO (1441-1494) La famiglia di Boiardo era legata agli estensi e Matteo sarà per tutta la vita al servizio dei signori di Ferrara. Le sue prime opere sono: - “Carmina de laudibus Estensium”, poesie in onore degli estensi, in metro vario; - “Pastoralia”, 10 poesie pastorali ispirate al modello bucolico di Virgilio ma scritte in volgare; - “Egloghe volgari”, terzine dantesco di argomento personale politico e amoroso; - Traduzioni dal greco e dal latino. Ben presto però cominciò a dedicarsi alle sue opere maggiori: gli “Amorum libri tres” e l’”Orlando innamorato”: - “Amourum libri tres”, raccontano una storia amorosa ambientata tra il 1469 e il 1471. A livello formale è evidente l’ispirazione a Petrarca, le cui forme sono estremizzate e regolate. La struttura è rigidamente e matematicamente composta: sono 3 libri, composti da 60 testi ognuno, o posti a loro volta da 180 versi. La narrazione parte dal momento dell’euforia dell’amore fin alla sua fine, ma a differenza dei “Fragmenta” non si propone un riesame di quanto vissuto, bensì si concentra sul presente. L’amore non è condannato, viene ricordato come esperienza di un preciso momento della vita, che finisce con l’approdo alla consapevolezza, dettata dal richiamo religioso. - “Orlando innamorato”; è composto da tre libri: - I, 29 canti (1450-1471) - II, 31canti (1470-80s) - III, 9 canti è incompiuto per la morte dello scrittore. L’opera è caratterizzata da una forte tradizione orale, solo in parte fittizia, che determina alcune peculiarità del poema: attenzione allo stile, continuo succedersi di storie diverse interrotte sul più bello (entrelacement). La novità dell’opera sta nel fatto che il personaggio di Orlando, il paladino per eccellenza, casto e devoto, si innamora. Boiardo dunque miscela la tradizione dei personaggi carolingi con i temi tipici della tradizione bretone. Amore è visto come forza civilizzatrice, cosmica e naturale ma lo stesso amore, se perseguita in maniera ossessiva dagli uomini, può portare allo smarrimento dell’uomo. Il poema infine è stato concepito anche come celebrativo degli estensi: Rugiero, discente del troiano Ettore, è destinato a sposare Bradamante e sarà così il progenitore degli Este. Orlando inoltre si presenta come l’uomo tipico del Rinascimento, in cui tutte le qualità sono esaltate: è forte e colto. Boiardo infatti riprende questo antico genere epico perché crede nei valori di quel mondo così distante ma affine. Cortesia, gentilezza e fedeltà sono valori che possono rivivere nella colta Ferrara. L’ambiente napoletano Nel Regno di Napoli sale al potere Alfonso V d’Aragona, già sovrano di Aragona, Sicilia e Sardegna. Egli capì il valore politico del mecenatismo, come strumento di legittimazione del sovrano, per questo nel regno aragonese l’Umanesimo ha un carattere monarchico. ANDREA PANORMITA (1394-) Entra da giovane alla corte di Cosimo de’ Medici a cui dedica l’ “Hermafroditus”, un’opera volutamente oscena, dietro cui però vengono nascosti i modelli classici; comunque l’opera gli costa la permanenza alla corta medicea e quindi Panormita si trasferisce a Napoli, alla corte di Alfonso. Tra le opere maggiori c’è il “Liber rerum gestarum Ferdinandi regis”, un racconto della giovinezza del principe Ferrante. MASUCCIO SALERNITANO (1410/1415- ) È fondamentale per il “Novellino”, una raccolta di 50 novelle, articolata in 5 gruppi di 10, sul modello del Decameron. Il Novellino ripropone ogni volta lo stesso schema: argomento, esordio (con destinatario), narrazione, Masuccio (una sorta di bilancio, in chiave morale, che l’autore assume sotto la propria voce). Le tematiche spaziano su motivi ormai consueti della tradizione novellistica, dalla misoginia alla satira mirata contro gli ordini ecclesiastici. GIOVANNI PONTANO (1426-) Dopo gli esordi con il “Pruritus”, una raccolta di epigrammi osceni sul modello del Panormita, Pontano compone il “Parthenopeus sive Amores”, una raccolta di carmi di vari metri di materia amorosa, che risente del modello di Catullo. Ricordiamo gli “Urania”, gli “Hendecasyllaborum libri”, e il “De amore coniugali”, pensato inizialmente come omaggio per la ragazza che poi sposerà. La celebrazione della moglie si accompagna alla difesa degli ideali familiari, secondo un gusto oraziano di misura e austerità. Accanto alla lirica, egli si occupa pure del “De principe liber”, una sorta di teorizzazione sulla figura del principe ideale. Importante anche per il dialogo umanistico (Charon, Actius, Antonius, Aegidius), che mette in scena in forma aperta e divertita, sempre increspata di ironia, temi cruciali della cultura contemporanea. Nel 1486, viene incoronato poeta laureato a Roma, ma dì lì a poco, nel 1494, la discesa di Carlo VIII in Italia provoca il decisivo tracollo della dinastia aragonese. Negli ultimi anni egli si chiude negli studi, scrivendo innumerevoli trattati (De liberalitate, de prudentia..), dai quali emerge la figura composta e orgogliosa di un letterato ritiratosi a vita privata, ma ancora impegno nella difesa di idoli che aveva rivendicato con voce ferma. MARULLO (1453) Pubblica una prima raccolta di “Epigrammata”, articolata in 4 libri, suo capolavoro: si rivela la tradizione dell’Antologia greca e si mette in mostra soprattutto una voce poetica con venature preziose e malinconiche. Da ricordare, l’epigramma dedicato alla morte del fratello, di memoria Catulliana (carme 101). Si ricordano pure gli “Hymni naturales”, una serie di 21 inni dedicati a diverse divinità con un impegnativo disegno filosofico. CARITEO Sul versante del volgare, la cultura napoletana procede a una complessa assimilazione del modello del canzoniere di Petrarca. La produzione più significativa è quella di Benedetto Gareth, detto il Cariteo. Egli raccoglie le sue liriche in un macrotesto chiamato l’ “Endimione”: questo è emblematico perché egli riesce a mediare tra la componente petrarchista e la fitte rete di memorie classiche. La poesia cortigiana nel secondo quattrocento La poesia volgare è la legittimazione di una classe di intellettuali collocati intorno al principe e alla sua famiglia. La lirica diventa così un codice condiviso di riconoscimento e di trasmissione dei valori, e si offe in modo duttile a rispecchiare gli episodi della vita di corte. eversione, oppure nell’idealizzato universo dei pastori dell’Arcadia di Sannazaro, la cui edenica pace trascolora in un clima di dolore. Egli è l’uomo di corte del Quattrocento che, però, è sbigottito da molte contraddizioni, come notiamo nel Cortegiano o nelle Satire di Ariosto, con le quali il poeta, sulla scia del modello oraziano, rivendica una sua condizione di superiore saggezza ironizzando sulle follie del mondo cortigiano. In questi anni, si vuole far trasparire dalle opere una sorta di autoritratto nel quale il letterato rivendica la propria autonomia; in più gli autori i questo periodo cercando di allontanarsi dal modello dei trecentisti e sperimentano, cercando così di cambiare la tradizione. Inoltre è molto evidente in questo periodo la rappresentazione della tempesta emotiva: - “L’innamoramento di Orlando”, di Boiardo - “Selve d’amore” e “Rime”, di Lorenzo de’ Medici - “Orlando furioso”, di Ariosto - “Don Quijote”, di Cervantes - “Ecatommiti”, di Geraldi Cinthio - “Novelle”, di Bandello In questi anni quindi, grazie all’influenza delle nuove scoperte scientifiche, si lega l’umore al corpo; in particolare è la malinconia a giocare un ruolo dominate e questa già in Boccaccio era vista come «mossa da un focoso disio». (Proemio del Decameron). È quindi questa passione, che non può essere vissuta, che diventa un pensiero negativo e doloroso. Ma cosa cambiato rispetto alla tradizione duecentesca, in cui l’amore era solo amore di lontano? Vengono messe in circolazione nuove teorie teologiche degli affetti: - Tommaso d’Aquino Le passioni sono movimenti naturali dell’anima. - Agostino Le passioni dipendono dalle volontà, quando queste sono negative diventano desiderio eccessivo ed il desiderio eccessivo conduce a dolore, tristezza e paura. La nuova dimensione psicologica è frutto delle nuove scoperte scientifiche del tempo: Fra Castoro, riprende le teorie di Ippocrate e Galeno secondo cui il corpo è fatto di umori e questi influenzano i temperamenti umani, ci si convince quindi che i malesseri del cervello erano legati al corpo. I temperamenti ed umori erano: - Umore caldo e umido -> sangue > sanguigni. Temperamento caldo e gioioso - Umore caldo e secco -> bile gialla > collerici. Temperamento iracondo - Umore secco e freddo -> bile nera > malinconici. Temperamento triste, visionario, pauroso - Umore freddo e umido -> flegma > flemmatici. Temperamento sonnolento, lento e smemorato Antidoto a tutto ciò è raccontare le passioni, secondo Seneca, il rimedio quindi sta tutto nella condivisione e raccontare mette in mostra cosa non si deve fare ai lettori. Ludovico Ariosto (1474-1533) La vita Nasce a Reggio Emilia nel 1474 e intraprende a Ferrara gli studi in legge, che abbandona, per dedicarsi a quelli umanistici. L’apprendistato è condotto dal maestro Gregorio da Spoleto, da cui apprende il latino ma non il greco. Nel 1500 entra a servizio della famiglia Este, in particolare al servizio del cardinale Ippolito d’Este, per il quale farà molti viaggi diplomatici. Non godendo di una effettiva prosperità economica è costretto a prendere gli ordini minori. Dopo il 1517 il rapporto con Ippolito arriva ad una conclusione e così nel 1518 passa al servizio di Alfonso I. Muore nel 1533. Le opere Tra i componimenti latini del periodo giovanile c’è un Carme indirizzato a Bembo, dove dimostra una profonda conoscenza della lirica latina; il Bembo lo incoraggia anche a scrivere in volgare, dove riprende i modelli petrarcheschi intrecciati a quelli latini. Inizia quindi la composizione delle “Rime”, le quali non vanno scritte per la pubblicazione, sono piuttosto un laboratorio privato di sperimentazione per Ariosto. Ariosto si è anche dedicato molto al teatro, in particolare alla stesura di commedie, che ebbero un notevole successo : - “Cassaria” (1508-09) - “Supositi” (1508-09) - “Negromante” - “Lena”, utilizzo dell’endecasillabo sdrucciolo. Da qui prende l’idea di riscrive le opere precedenti in versi. Oltre ad opere ‘originali’, Ariosto si è dedicato anche al volgarizzamento di opere teatrali latine, come quelle di Plauto. Altra opera importante sono le “Satire” del 1517; per la letteratura volgare rinascimentale era un genere nuovo, pur riprendendo la satira latina. La forma metrica è di terzine di endecasillabi a rima incatenata, il lessico però è semplice e il registro linguistico popolare. Nonostante partano da elementi biografici, esse non sono una biografia dell’autore in versi, ma uno sguardo lucido sul mondo contemporaneo e sull’ambiente delle corti. Le “Satire” sono un luogo di grande sperimentazione, ma a dominare, pur nelle incertezze di un animo oscillante, è sempre il desiderio di una dimensione tranquilla e riposta, di una dimora a Ferrara in cui coltivare gli unici amori che non vengono mai meno, quello per la poesia e quello per Alessandra Benucci. Le “Satire” si aprono con un rifiuto (di andare in Ungheria) e si chiudono con una rinuncia (incarico a Roma), quasi a chiudere il cerchio di un disegno coerente. Escono soltanto postume purché Ariosto non lavora mai alla loro diffusione a stampa. Negli anni Venti scrive i “Cinque Canti”, cinque canti in volgare, scritti in ottave, in cui si riprende in parte la narrazione del Furioso, ma si concentra in particolar modo sulla vicenda dei maganzesi che attaccano Carlo. Anche il linguaggio si distacca dall’opera principale: è più cupo, aspro. cade sul prato, e verso il ciel sospira. 132 Afflitto e stanco al fin cade ne l'erba, e ficca gli occhi al cielo, e non fa motto. Senza cibo e dormir così si serba, che 'l sole esce tre volte e torna sotto. Di crescer non cessò la pena acerba, che fuor del senno al fin l'ebbe condotto. Il quarto dì, da gran furor commosso, e maglie e piastre si stracciò di dosso. 133 Qui riman l'elmo, e là riman lo scudo, lontan gli arnesi, e più lontan l'usbergo: l'arme sue tutte, in somma vi concludo, avean pel bosco differente albergo. E poi si squarciò i panni, e mostrò ignudo l'ispido ventre e tutto 'l petto e 'l tergo; e cominciò la gran follia, sì orrenda, che de la più non sarà mai ch'intenda. 134 In tanta rabbia, in tanto furor venne, che rimase offuscato in ogni senso. Di tor la spada in man non gli sovenne; che fatte avria mirabil cose, penso. Ma né quella, né scure, né bipenne era bisogno al suo vigore immenso. Quivi fe' ben de le sue prove eccelse, ch'un alto pino al primo crollo svelse: 135 e svelse dopo il primo altri parecchi, come fosser finocchi, ebuli o aneti; e fe' il simil di querce e d'olmi vecchi, di faggi e d'orni e d'illici e d'abeti. Quel ch'un ucellator che s'apparecchi il campo mondo, fa, per por le reti, dei giunchi e de le stoppie e de l'urtiche, facea de cerri e d'altre piante antiche. 136 I pastor che sentito hanno il fracasso, lasciando il gregge sparso alla foresta, chi di qua, chi di là, tutti a gran passo vi vengono a veder che cosa è questa. Ma son giunto a quel segno il qual s'io passo vi potria la mia istoria esser molesta; ed io la vo' più tosto diferire, che v'abbia per lunghezza a fastidire. RISCRITTURA DI CALVINO Molti autori si sono dedicati alla riscrittura di opere del passato, in genere di grandi classici della letteratura, non soltanto italiana. Il rifacimento è un’operazione che spesso corrisponde ad esigenze particolari: riadattamenti teatrali o cinematografici, iniziative di divulgazione radiotelevisiva, letture pubbliche nel corso di manifestazioni culturali. L’“Orlando furioso” raccontato da Italo Calvino (1923-1985) nacque ad esempio in occasione di una serie di trasmissioni radiofoniche mandate in onda dalla RAI (allora Programma Nazionale) nel 1968 e solo successivamente venne raccolto in volume (Torino, Einaudi, 1970) assumendo una forma letteraria che possiamo leggere tanto per comprendere la poetica e lo stile di Ludovico Ariosto, quanto per capire l’interesse di Calvino per il mondo fantastico dei poemi cavallereschi. Italo Calvino dedicò all’Orlando furioso un’attenzione particolare nel corso di tutta la sua attività. Alcuni romanzi, come “Il visconte dimezzato”, “Il cavaliere inesistente” e “Il castello dei destini incrociati”, risentono fortemente dell’interesse che lo scrittore manifestò per l’atmosfera fiabesca e fantastica dei romanzi cavallereschi. L’edizione dell’Orlando Furioso di Calvino presenta un’introduzione in cui l’autore presenta il poema, i personaggi e l’intreccio e poi viene inserito il poema commentato e spiegato puntualmente da Calvino. La prosa del Cinquecento La novella ed il dialogo sono i generi preferiti in questo periodo; è Pietro Bembo a legittimare la novella con il suo processo di codificazione, attraverso le “Prose”, che divenne quindi il genere preferito come forma d’intrattenimento in corte, mentre il dialogo, rimonta alla cultura greca, e durante il Cinquecento veniva utilizzato per mettere in scena contrasti e confronti intorno ad un argomento. PIETRO ARETINO È uno degli autori più emblematici del periodo, soprattutto per la sua condotta politica. Antiaccademico e anticlassicista, egli ha avuto modo di tessere rapporti con i più importanti artisti del suo tempo e di interagire con i ponti del suo secolo, diventandone anche uno spregiudicato critico. Fece molto scandalo con la “Cortigiana”, commedia dai toni pasquineschi che critica aspramente la Curia, e sedici calcografie su disegni di natura erotica, ovvero sonetti che esibiscono un linguaggio erotico molto spinto in accompagnamento a delle immagini. (“Sonetti lussuosi”). Queste composizioni risalgono al periodo in cui era al servizio di papa Clemente VII (Giulio de’ Medici), le sue opere quindi non erano in linea con i gusti ecclesiastici e quindi, in particolare il datario pontificio ha provato ad eliminarlo, ma Aretino è riuscito a salvarsi e abbandonò così Roma. Egli è pero famoso principalmente per i ‘dialoghi puttaneschi’, ossia il “Ragionamento” e il “Dialogo”, due dialoghi di impostazione pedagogica dalle forti tinte parodiche rispetto al genere: nel primo la Nanna racconta alla ruffiana Antonia la sua vita da suora, poi di moglie e infine di prostituta, mentre nel secondo la Nanna insegna alla figlia Pippa l’arte del meretricio. Questi costituiscono la fondazione del genere del ‘dialogo puttanesco’, considerati esempi di pornografia cinquecentesca: egli creò molto scandalo e preoccupazione perché ha raccontato ciò che avveniva con frequenza all’interno dei conventi veneziani. Si ricordano anche le “Lettere” che testimoniano il sistema di rapporti politici, diplomatici e intellettuali allacciati nel tempo (es. Lettera a Michelangelo sulla descrizione del Giudizio universale: ecfrasis dell’affresco, ovvero descrizione verbale di un’opera d’arte visiva). MATTEO BANDELLO Egli è famoso per i quattro libri delle “Novelle” (1554-1573), comprendenti 214 racconti, che non presentano una vera e propria cornice alla maniera del Decameron, al suo posto l’autore ha inserito una lettera dedicatoria indirizzata a un personaggio illustre, dove descrive le circostanze in cui è venuto a conoscenza della vicenda che si dispone a narrare.Le lettere, oltre a rendere omaggio al dedicatario, sottolineano l’elevata posizione sociale dell’autore e il carattere cronachistico del racconto. L’ambientazione può essere varia, storica o contemporanea. Il carattere realistico delle sue narrazioni dà vita a una prosa piana, di registro dimesso e dalle tonalità disomogenee: l’autore si discosta intenzionalmente dal raffinato modello strutturale e linguistico di Boccaccio, consapevole che l’efficacia della sua narrativa non dipende tanto dal valore