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Riassunto di Balena - Istituzioni di procedura civile - VI ed. - Vol. II - 2023, Appunti di Diritto Processuale Civile

Riassunti del libro di procedura civile, secondo volume, edizione aggiornata del 2023. Cap. dal 2-9 (compresi) Cap. dal 16-18 (compresi)

Tipologia: Appunti

2022/2023

Caricato il 20/09/2023

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alice-meglioli 🇮🇹

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Scarica Riassunto di Balena - Istituzioni di procedura civile - VI ed. - Vol. II - 2023 e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! Processuale civile CAPITOLO SECONDO: L’INSTAURAZIONE DEL PROCESSO Il processo davanti al tribunale come processo standard: Il libro secondo del codice, intitolato del processo di cognizione, si apre con la disciplina del procedimento davanti al tribunale, di cui sono dedicati gli articoli dal 163 al 310. Più precisamente sebbene il tribunale giudichi nella maggior parte dei casi in composizione monocratica, il giudice prende essenzialmente in considerazione le cause che devono essere decise dal collegio e nelle quali il giudice istruttore si limita ad istituire il processo dettando poche disposizioni specifiche e di cui è lo stesso giudice istruttore a dover decidere. Il procedimento di fronte al tribunale costituisce il modello di processo di cognizione definito processo ordinario. Per la disciplina in questione può e deve servire ad integrare la normativa dei vari altri processi a cognizione piena che si definiscono speciali proprio per contrapporre a quello ora esaminato. In queste ed altre ipotesi la disciplina ordinaria serve per colmare le poche o molte lacune della disciplina speciale; anche se non di rado tale operazione può suscitare dubbi circa la compatibilità di alcune norme ordinarie con le peculiarità del procedimento speciale. Sezione 1: l’atto introduttivo La domanda giudiziale ed i suoi effetti, processuali e sostanziali Si è sottolineata l'importanza che alla domanda nel fissare l'oggetto del giudizio virgola in relazione soprattutto all'articolo 112 del codice di procedura civile e se altresì chiarito come in un unico processo possa cumularsi una pluralità di domande, provenienti non soltanto dall'attore, cioè da colui che instaura il processo, ma anche dal convenuto o dagli altri soggetti che vi intervengano. La domanda giudiziale, quale che sia il modo ed il tempo della sua proposizione, è idonea a produrre importanti effetti sia sul piano processuale sia sul piano sostanziale. Gli effetti processuali ruotano intorno alla nozione di litispendenza, ricollegandosi per l'appunto alle molteplici disposizioni di legge in cui si presuppone che una causa sia divenuta pendente. La proposizione di una determinata domanda individua il momento a partire dal quale nessun altro giudice adito successivamente potrà conoscere e comunque decidere la medesima causa; i mutamenti della legge dello Stato di fatto, incidenti sulla giurisdizione o sulla competenza del giudice adito non potranno sottrarre la causa al giudice stesso; il trasferimento del diritto controverso non farà venir meno la legittimazione. 2 Per quanto concerne il secondo gruppo di effetti va tenuto presente che numerose norme di natura sostanziale ricollegano determinate conseguenze alla proposizione di una domanda giudiziale. Nell'ambito di tali effetti sostanziali sia il solito distinguere tra quelli che la domanda produce di per sé indipendentemente cioè dall'esito del processo e quelli che invece presuppongono qualcos'altro ossia che il processo arrivi ad una sentenza. Alla prima categoria appartiene l'effetto interruttivo della prescrizione: secondo l'articolo 2943 del codice civile la proposizione della domanda giudiziale pur se rivolta ad un giudice incompetente vale senz'altro ad interrompere la prescrizione del diritto azionato. E questo un effetto conservativo poiché mira a paralizzare le conseguenze negative che la durata del processo potrebbe determinare rispetto al diritto che vi è fatto valere. Si deve precisare che non si tratta semplicemente di un effetto interruttivo istantaneo poiché la prescrizione oltre che ad essere interrotta rimane anche sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio ed è solo da questo momento che prende a decorrere un nuovo periodo di prescrizione. Alla medesima categoria si possono scrivere tutti gli effetti che la domanda sia idonea a produrre non in via necessaria ed esclusiva ma accidentale quando cioè essa costituisce il mezzo per attuare un potere che il suo autore avrebbe potuto esercitare anche al di fuori del processo. Appartiene a questa categoria di effetti anche quello che si concreta nel l'impedimento di decadenze sostanziali virgola in relazione alle non poche ipotesi in cui un diritto deve esercitarsi entro un dato termine sotto pena di decadenza. Il secondo è più ampio gruppo di effetti sostanziali viene definito attributivi ed è implicitamente condizionato nel suo operare alla circostanza che la domanda venga accolta. Ciò nonostante si discorre pur sempre di effetti della domanda poiché, una volta intervenuta la sentenza di accoglimento, essi retroagiscono al giorno in cui la domanda era stata proposta. È possibile distinguere una terza categoria di effetti sostanziali che si può dire intermedia per la cui produzione la domanda giudiziale è condizione necessaria e sufficiente e che peraltro sono destinati a caduca arsi quando la pendenza del processo, per qualunque motivo, venga meno e dunque non sia possibile arrivare ad una sentenza. I modelli dell’atto introduttivo: la citazione ed il ricorso Secondo l'articolo 163 comma primo la domanda si propone mediante citazione a comparire a udienza fissa. In realtà la citazione non è l'unico modo in cui possono essere proposte delle domande, bensì rappresenta semplicemente la forma prescelta dal legislatore per l'instaurazione dell'ordinario processo di cognizione. L'atto introduttivo del processo non può non contenere per l'appunto almeno una domanda. L'atto di citazione si dirige essenzialmente è direttamente nei confronti del convenuto, sicché deve contenere, oltre agli elementi che si concretano nella editio actionis, che cioè servono all'individuazione dell'una o delle più domande sottoposte al giudice, quelli necessari per provocare consentire la partecipazione del convenuto 5 forme stabilite dall'articolo 166 e a comparire nell'udienza indicata dinanzi al giudice designato ai sensi dell'articolo 168 bis con l'avvertimento che la costituzione oltre ai suddetti termini implica la decadenza di quegli articoli 38 e 167 che la difesa tecnica mediante l'avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi di fronte al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi specie e che la parte sussistendone i presupposti legge può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Una volta che sia completato e sottoscritta norma dell'articolo 125 la citazione deve essere consegnata dalla parte o dal procuratore all'ufficio giudiziario, affinché questi provveda la sua notificazione ( la notificazione è la condizione indispensabile purché l'atto introduttivo produca gli effetti processuali e sostanziali descritto nel precedente capitolo). La scelta della data ed i termini minimi di comparizione: L'articolo 163 definisce la citazione a comparire a udienza fissa il che sta a significare che almeno in linea di principio è lo stesso attore a dover scegliere di indicare la data del primo contatto tra le parti ed il giudice cioè l'udienza di prima comparizione. Questa scelta non è del tutto libera. In primo luogo l'attore dovrebbe tener conto del decreto con cui il presidente del tribunale adito entro il 30 novembre di ogni anno stabilisce i giorni della settimana e le ore destinate, nel successivo anno giudiziario, esclusivamente alla prima comparizione delle parti. la scelta di un giorno diverso da quelli indicati in tale decreto non produce alcuna conseguenza negativa ed è comunque previsto meccanismo legale in grado di sovrapporsi all'indicazione dell'attore. Ben più importante è la limitazione relativa ai termini minimi di comparizione per assicurare che il convenuto disponga di un tale congruo lasso di tempo per approntare le proprie difese per prescrivere che tra il giorno della notificazione della citazione e quello dell'udienza di prima comparizione decorre un termine libero non minore a 120 o 150 giorni a seconda che si trova in Italia o all'estero. Qualora il termine assegnato dall'attore della citazione ceda al minimo poc'anzi indicato il convenuto costituendosi prima della scadenza del termine minimo può chiedere al presidente del tribunale una congrua anticipazione della prima udienza nel rispetto del predetto termine minimo. anche in questo caso il presidente provvede con decreto che naturalmente dovrà essere portato a conoscenza dell'attore almeno il 5 giorni liberi prima della nuova data. La data dell'udienza fissata dall'attore è comunque del tutto provvisoria poiché può essere soggetta ad uno slittamento in avanti conseguente alla designazione del giudice istruttore. Sezione 2: la costituzione delle parti La costituzione in giudizio delle parti La costituzione è lato attraverso il quale la parte rende effettiva la propria partecipazione al processo, accreditando eventualmente il proprio difensore procuratore presso il giudice adito. con la costituzione il procuratore diviene il 6 naturale destinatario di tutte le notificazioni delle comunicazioni virtualmente dirette alla parte per le quali la legge non disponga altrimenti. alla costituzione in giudizio, personale o a mezzo di procuratore è subordinato per la possibilità di esercitare concretamente i poteri processuali attribuiti alla parte. la costituzione, vale in linea di principio per l'intero grado di giudizio indipendentemente dall'effettiva partecipazione alle singole fasi del processo: la contumacia cioè la situazione derivante dalla mancata costituzione di una parte non va confusa infatti con la mera assenza della parte medesima ad una o a più udienze o all'esperimento di un determinato mezzo istruttorio. Le modalità di costituzione avviene attraverso il deposito in cancelleria del: primo atto processuale della parte stessa, della procura e dei documenti eventualmente offerti in comunicazione. A seguito all'attuazione del processo telematico questa disciplina deve considerarsi in realtà superata poiché tutti gli atti e i documenti delle parti devono essere redatti in formato elettronico e confluiscono in un fascicolo virtuale. Nei processi che iniziano non citazione ma con il deposito del ricorso in cancelleria del giudice adito non è configurabile un'autonoma attività di costituzione del ricorrente e in tali processi non può aversi la contumacia dell'attore. La costituzione dell’attore: La costituzione dell'attore deve avvenire entro i 10 giorni successivi dalla notificazione della citazione e si effettua attraverso il deposito della nota di iscrizione a ruolo, dell'originale della citazione, comprovante l'avvenuta notificazione, della procura e degli eventuali documenti offerti in comunicazione. Se la citazione deve essere notificata più parti è opinione prevalente che il termine per la costituzione decorra pur sempre dalla prima notifica ma l'originale della citazione può essere inserito nel fascicolo entro 10 giorni dall'ultima notifica. Quando l'attore si costituisce personalmente deve anche dichiarare la propria residenza o eleggere domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, oppure indicare l'indirizzo presso cui ricevere le comunicazioni e notificazioni anche in forma telematica. La costituzione del convenuto: Il convenuto deve costituirsi almeno 70 giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione punto quando anche la data effettiva della prima udienza dovesse essere posteriore a quella indicata dall'attore il termine di costituzione va comunque calcolato in relazione a quest'ultima data. è opportuno avvertire fin da ora che il termine indicato dall'articolo 166 ha importanza nei confronti di alcune preclusioni che scattano proprio con lo spirare del suddetto e ciò impedirebbe al convenuto alcune attività non trascurabili. Le modalità e la costituzione sia attraverso il deposito della comparsa di risposta con la copia della citazione notificatagli, la procura e i documenti eventualmente prodotti. Il contenuto della comparsa di risposta: 7 Analizzando il contenuto della comparsa di risposta è opportuno distinguere gli elementi che possono essere contenuti solo in tale comparsa dagli ulteriori elementi che ben potrebbero essere introdotti anche in un momento successivo del processo. Le attività che possono essere compiute dal convenuto soltanto con la comparsa di risposta sono: • la proposizione di domande riconvenzionali: qui vanno assimilate quelle formulate nei confronti di un'altro convenuto nonché le eventuali domande di accertamento incidentale • la proposizione di eccezioni processuali di merito che non siano rilevabili di ufficio • il convenuto laddove voglia chiamare in causa un soggetto terzo non soltanto ottenuta dichiarare tale sua intenzione nella comparsa di risposta ma deve altresì contestualmente chiedere al giudice istruttore lo spostamento della prima udienza allo scopo di consentire la citazione del soggetto terzo nel rispetto dei termini definiti all'articolo 163 bis Le ulteriori attività vengono definite dal primo comma dell'articolo 167 a norma del quale il convenuto nella comparsa degli risposta dovrebbe proporre tutte le sue difese prendendo in posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda indicando le proprie generalità il codice fiscale, i mezzi di prova con cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni. L’importantissima attività difensiva consiste nella richiesta di mezzi di prova e nella produzione di documenti che è liberamente consentito anche nelle successive fasi della trattazione scritta della causa. Le iscrizione della causa a ruolo, la designazione del giudice istruttore e l'effettiva determinazione dell'udienza di prima comparizione: L’iscrizione della causa ruolo e l'attività attraverso la quale l'ufficio giudiziario adito prende formalmente a carico la controversia. ad essa deve provvedere il cancelliere su richiesta della parte che si costituisce per prima e tale parte deve presentare a tal fine un'apposita nota di iscrizione della causa nel ruolo generale, contenente l'indicazione delle parti, del procuratore che si costituisce, dell'oggetto della domanda, della data di notifica della citazione e dell'udienza in essa fissata per la prima comparizione. Il ruolo generale altro non è se non un registro in cui ogni singola causa viene annotata secondo un ordine cronologico, assumendo in tal modo un proprio numero che servirà a contrassegnarla in modo univoco. contemporaneamente il cancelliere deve formarlo il fascicolo d'ufficio della causa nel quale dovrebbero essere inseriti la nota di iscrizione a ruolo, una copia in carta libera dell'atto di citazione e degli altri atti di parte, i verbali di udienza, i provvedimenti del giudice, gli atti di istruzione e la copia del dispositivo delle sentenze. si tratta di disposizioni parzialmente superate in quanto tali atti sono redatti fin dall'origine come documenti informatici pur non escludendo l'obbligatoria formazione di un fascicolo cartaceo. Dopo aver formato tale fascicolo, il cancelliere deve presentarlo senza indugio al presidente del tribunale affinché questi designi il giudice istruttore. solo a questo 10 L’invalidità della citazione: le fattispecie L'articolo 164 disciplina in maniera piuttosto analitica l'invalidità dell'atto introduttivo enumerando due categorie di vizi e ricollegando loro un regime considerevolmente diverso. il legislatore ha preso evidentemente come punto di riferimento alla distinzione funzionale tra gli elementi della editio actionis, preordinate la formulazione della domanda propriamente intesa, e quelli della vocatio in ius, che servono a provocare e a consentire la corretta installazione del contraddittorio nei confronti del convenuto. il primo gruppo di vizi da cui si può derivare la nullità della citazione attiene essenzialmente alla vocatio in ius: I. L’omessa o assolutamente incerta indicazione del tribunale adito II. L’omessa o assolutamente incerta indicazione delle generalità di taluna delle parti o di alcuno degli elementi prescritti nel secondo comma dell'articolo 163; sempre che il vizio sia tale da impedire la sicura ed univoca individuazione dell'attore e del convenuto III. L'omessa indicazione della data dell'udienza in cui il convenuto è chiamato a comparire IV. L'assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello minimo previsto dall'articolo 163 bis V. L'omissione del formale avvertimento prescritto nel settimo comma dell'articolo 163 Il secondo gruppo di vizi riguarda invece la editio actionis e comprende: I. L’omessa o assolutamente incerta determinazione della cosa oggetto della domanda II. la mancata esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda Muovendo dal presupposto che la norma alluda ai fatti costitutivi, una parte della dottrina ritiene che questa seconda ipotesi di nullità dovrebbe ricorrere solamente quando l'omessa specificazione dei fatti costitutivi renda impossibile individuare con certezza il diritto stesso o comunque il rapporto giuridico per il quale si invoca la tutela giurisdizionale. Di fronte all'articolo 164 questa interpretazione restrittiva non sembra condivisibile anche perché i fatti menzionati dall’articolo 163 comma 4 non vengono in rilievo soltanto per l'identificazione dell'oggetto e del giudizio ma vanno altresì correlati all'ulteriore funzione che compete alla citazione, quale atto preparatorio della successiva trattazione ed istruzione della causa. Vi è da aggiungere che l'articolo 164 sicuramente non esaurisce le fattispecie di invalidità della citazione. Il regime dei vizi della vocatio in ius: La disciplina delle nullità concernenti la vocatio in ius può riassumersi come segue: A. l'eventuale costituzione del convenuto sarà comunque i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali dell'atto introduttivo. Gli effetti della domanda si erano già prodotti dal momento della notificazione della citazione poiché si tratta per l'appunto di effetti della domanda ricollegabili propriamente alla editio actionis che in questi casi non è toccata da nullità 11 B. La sanatoria di cui sopra elimina la nullità senza alcun residuo, indipendentemente dalla volontà del convenuto. L'unica eccezione sia quando la nullità dipende da inosservanza del termine minimo di comparizione oppure da omissione dell'avvertimento prescritto dall'articolo 163 comma 7: in entrambi i casi il convenuto nel costituirsi in giudizio potrebbe dedurre il vizio al solo fine di ottenere che il giudice fissi una nuova data di udienza nel rispetto dei termini C. Non si costituisce spontaneamente, il giudice tenuto in qualunque momento si accorga della nullità a disporre d'ufficio la rinnovazione della citazione, fissando a tal fine un termine perentorio e nuova udienza. Se la rinnovazione avviene essa consente al processo di continuare ed anche in questo caso gli effetti della domanda si producono fin dal momento in cui era stata notificata la citazione invalida. Se invece l'attore non ottemperi, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue immediatamente. Il regime dei vizi della editio actionis: La disciplina dell'unità riguardanti la domanda in senso stretto è invece la seguente. a. l'eventuale costituzione spontanea del convenuto, indipendentemente dal momento in cui si realizzi virgola non è mai sufficiente di per sé a sanare il vizio della citazione, poiché a questo fine è evidentemente necessaria un'attività dell'attore. Il giudice è tenuto ad ordinare quest'ultimo l'integrazione della domanda, fissando per tale adempimento un termine perentorio e rinviando la causa ad un'altra udienza. laddove l'attore ottemperi, il processo resta sanato ma ex nunc giàcche la domanda produce i propri effetti solo da questo momento. se invece l'ordine di integrazione non viene tempestivamente eseguito o comunque il vizio non viene eliminato deve ritenersi che la nullità divenga insanabile e che il giudice sia tenuto a dichiarare l'estinzione o comunque a definire il processo in rito. b. se il convenuto è rimasto contumace il giudice in qualunque momento rileva la nudità deve ordinare l'attore di rinnovare la citazione fissandone il contemplò l'udienza in cui il convenuto deve essere chiamato a comparire. la rinnovazione tempestiva produce conseguenze del tutto analoghe a quelle definite per il punto precedente. E parallelamente se l'ordine del giudice non viene eseguito il processo si chiuderà con una pronuncia di estinzione o comunque di rigetto in rito quando il vizio riguarda l'unica domanda o tutte le domande oggetto del giudizio. La nullità della domanda riconvenzionale: Muovendo evidentemente dal presupposto che fosse necessario trattare i vizi dell'eventuale domanda del convenuto in modo analogo ai vizi della domanda dell'attore, l'articolo 167 comma due, prevede che la domanda riconvenzionale è nulla quando è stato omesso o ne risulta assolutamente incerto l'oggetto o il titolo. anche in questo caso è previsto che il giudice con il decreto secondo l'articolo 171 bis debba assegnare al convenuto un termine perentorio per l'integrazione della 12 domanda lasciando ferme le decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente. Sezione 2: la trattazione della causa e l’udienza di prima comparizione Rilievi introduttivi sulla trattazione della causa e sulle relative preclusioni Si è avuto modo di anticipare che le riforme succedute al 1990 in poi sono tornate a puntare su un modello di processo fortemente concentrato il cui nodo centrale dovrebbe essere rappresentato dalla prima udienza. Il dichiarato obiettivo del legislatore del 1990 era stato non tanto quello di abbreviare ad ogni costo il processo bensì di razionalizzarlo tenendo il più possibile separate le attività dirette alla definitiva fissazione del thema decidendum (= dell'oggetto da contendere) e del thema probandum (= dell'insieme dei fatti da provare) Da quelle logicamente successive dell'offerta dei mezzi di prova e dell'istruzione probatoria in senso stretto. Nel rito ordinario il legislatore ha opportunamente evitato di riporre l'incontro divieto delle udienze di mero rinvio e l'ho messa riproduzione di tale divieto lascia intendere che la concentrazione dei giudizi viene pur sempre perseguita nell'interesse delle parti. Ciò nonostante prevale oggi in dottrina in giurisprudenza l'idea che le disposizioni in materia di preclusioni rispondano ad esigenze di ordine pubblico e debbano trovare applicazione indipendentemente dalla volontà delle parti. Fino a ieri la trattazione della causa che in linea di principio dovrebbe essere orale aveva inizio di regola nell'udienza di prima comparizione proseguiva con lo scambio di memorie scritte destinata a definire compiutamente l'oggetto del giudizio, i fatti controversi sui quali dovranno poi assumersi le prove ed i mezzi di prova offerti o richieste dalle parti. Con la riforma del 2022 muovendo dalla ottimistica premessa che il giudice debba arrivare alla prima udienza già pienamente edotto dell'oggetto del contendere e delle questioni rilevanti, ha invece anticipato questa fase di trattazione scritta rispetto all'udienza di prima comparizione, collocandola nel periodo immediatamente successivo alla scadenza del termine la costituzione del convenuto. La trattazione scritta anteriore alla prima udienza: Il nuovo articolo 171 ter prevede tre distinti termini perentori entro i quali le parti con altrettante memorie scritte possono integrare le iniziali domande ed eccezioni, nonché chiedere nuovi mezzi di prova o produrre nuovi documenti: - in un primo termine che scade 40 giorni prima dell'udienza di prima comparizione le parti a pena di decadenza possono precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte e possono altresì proporre le nuove domande ed eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal soggetto terzo - con una seconda memoria, depositata almeno 20 giorni prima della suddetta udienza, è poi possibile replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le nuove eccezioni che siano conseguenza delle domande formulate dalle parti nella prima memoria e 15 v. Indicazione di ulteriori questioni rilevabili di ufficio è anche possibile che il giudice, dopo aver esaminato le memorie depositate rilievi d'ufficio in occasione della prima udienza una questione che avrebbe potuto sollevare già col decreto previsto dall'articolo 171 bis ed inviti conseguentemente le parti alla relativa trattazione, orale o scritta. vi. La decisione sulle richieste istruttorie Questa fase di trattazione della causa dovrebbe concludersi con l'ordinanza che decide sulle richieste istruttorie delle parti, da pronunciare direttamente in udienza oppure entro i 30 giorni successivi. Il giudice laddove disponga d'ufficio dei mezzi di prova diversi ulteriori rispetto a quelli richiesti dalle parti, deve contestualmente assegnare queste ultime, un doppio termine perentorio: Il primo per la richiesta dei nuovi mezzi di prova che si rendono necessari in relazione a quelli disposti ex officio; il secondo per il deposito di un'eventuale memoria di replica. In tal caso il giudice attenderà lo spirale dei suddetti termine provvederà sulle richieste delle parti entro i successivi 30 giorni. vii. La predisposizione del calendario del processo l'articolo 183 comma quattro prevede infine che il giudice nel provvedere sulle richieste istruttorie delle parti predisponga con la stessa o con altra ordinanza il calendario delle udienze successive fino a quella di rimessione della causa indecisione, a cominciare dall'udienza per l'assunzione dei mezzi di prova ammessi, da fissare entro il termine di 90 giorni. In altre parole il giudice deve programmare tanto le successive cadenze della fase istruttoria deputata all'assunzione dei mezzi di prova, quanto alla data dell'udienza che segnerà l'avvio della fase decisoria in modo tale da contenere la durata complessiva del processo entro un lasso di tempo ragionevole che non esponga lo stato a pretese risarcitorie. Le nuove allegazioni ammesse nel successivo corso del processo Sono stati sollevati numerevoli dubbi circa i limiti in cui si possono ammettere nuove allegazioni o comunque variazioni che incidano sulle domande, eccezioni e conclusioni definite nella suddetta fase. Stando ad una prima opinione una volta scaduti i termini previsti per la trattazione scritta anteriore alla prima udienza di cui all'articolo 183 sarebbe esclusa qualunque nuova allegazione di fatto. Questa tesi appare però inaccettabile alla luce della disciplina prevista per le nullità della citazione e della domanda riconvenzionale. poiché tale sanatoria qualora il vizio attenga alla causa petenti presuppone inevitabilmente l'allegazione di fatti inizialmente non dedotti, se ne può quantomeno definire che non esiste una preclusione generale ed assoluta all'introduzione di nuovi fatti dopo la prima udienza di trattazione. L’opinione da preferire è che la preclusione riguarda esclusivamente l'allegazione di nuovi fatti principali che implicano la proposizione di domande o di eccezioni in senso stretto nuove, oppure la modifica di quelle già proposte. Al contrario non c'è nessuno specifico limite temporale per: ➢ la proposizione di mere difese 16 ➢ l'allegazione di fatti secondari, ossia di quelli che rilevano esclusivamente sul piano probatorio in quanto da essi direttamente o indirettamente si può desumere l'esistenza o inesistenza di un fatto principale ➢ l'allegazione di fatti estintivi, impeditivi o modificativi che il giudice potrebbe rilevare d'ufficio Quanto alle conclusioni delle parti fermo restando il divieto di introdurre nuove domande o eccezioni nonché di modificare sostanzialmente quelle originarie, possono essere variate fino al momento in cui la causa passa nella fase decisoria. È chiaro che tutte le preclusioni fin qui esaminate possono trovare un'opportuna temperamento nella rimessione in termini, allorché la parte dimostri di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile. CAPITOLO QUARTO: LA DISCIPLINA DELL’INTERVENTO DI TERZI Modalità e termini dell’intervento volontario Dopo aver esaminato la fase introduttiva e le caratteristiche del sistema di preclusioni adottato per il processo ordinario, ero possibile riprendere il tema dell'intervento di soggetti terzi, volontario e coatto, le fattispecie ed i presupposti per analizzarne le modalità e i termini. In base agli articoli 267 268 l'intervento è ammesso fino ad al momento in cui il giudice fissa l'udienza di rimessione della causa in decisione e si realizza attraverso la semplice costituzione in giudizio del terzo, disciplinata in modo analogo a quella delle parti originarie: chi interviene deve cioè depositare una comparsa avente il medesimo contenuto previsto dall'articolo 167 per la comparsa di risposta del convenuto, nonché i documenti offerti in comunicazione e la procura , e il cancelliere per ovvie ragioni è tenuto a dare comunicazione dell'intervento alle altre parti. Il secondo comma dell'articolo 268 tuttavia precisa che il soggetto terzo salvo quando interviene per l'integrazione necessaria del contraddittorio non può compiere atti che al momento dell'intervento non sono più consentiti ad alcuna parte, deve quindi accettare il processo nello stato in cui esso ormai si trova con tutte le preclusioni fino a quel momento già maturate. Tenuto conto che la proposizione di nuove domande è possibile solamente nella fase introduttiva del processo, la dottrina e la giurisprudenza ritengono che l'intervento principale l'intervento adesivo autonomo virgola che indubbiamente implica la proposizione di una domanda da parte del soggetto terzo siano ammessi esclusivamente entro la prima udienza di trattazione e che dopo quel momento è possibile soltanto l'intervento di colui che si limita a sostenere le ragioni di una delle due parti. Vi è probabilmente anche la preoccupazione di non pregiudicare il soggetto terzo ammettendolo a prendere parte ad un giudizio nel quale poi si potrebbe non essere in grado di far valere adeguatamente le proprie ragioni. È preferibile ritenere che la proposizione della domanda sia sempre implicitamente consentita al soggetto terzo nel momento in cui interviene e che le limitazioni a cui allude il secondo comma dell'articolo 268 siano invece solamente quelle di natura istruttoria. 17 modalità e termini dell'intervento su istanza di parte allorché ricorrano i presupposti indicati dall'articolo 106 la chiamata del terzo costituisce un diritto per il convenuto, al quale può dunque senz'altro il provvedervi mediante un normale atto di citazione a condizione che ne abbia fatto tempestiva dichiarazione, a pena di decadenza, nella propria comparsa di risposta e che ne abbia chiesto contestualmente al giudice istruttore lo spostamento della data della prima udienza affinché gli sia possibile citare il terzo nel rispetto dei consueti termini minimi di comparizione. Diversa è l'ipotesi in cui sia l'attore a volere l'intervento di un terzo e ciò perché il legislatore esclude che egli possa tardivamente chiamare in causa che avrebbe potuto citare, unitamente al convenuto, fin dal primo momento. per tale ragione si stabilisce che in questo caso la citazione del soggetto terzo deve essere preventivamente autorizzata dal giudice a condizione che l'interesse alla chiamata del terzo sia sorto a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta e che l'attore ne faccia richiesta pena di decadenza nella prima memoria.Se il giudice accoglie questa richiesta fissa una nuova udienza affinché il soggetto terzo possa essere citato nel rispetto dei termini di comparizione indipendentemente dal fatto che l'intervento sia stato chiesto dal convenuto dall'attore, la parte che ha chiamato in causa al terzo deve depositare la relativa citazione nel termine di 10 giorni dall'avvenuta notifica. modalità dell'intervento Iussu iudicis A differenza degli intervento su istanza di parte, quello ordinato dal giudice non è soggetto ad alcun termine, nel senso che può essere disposto in qualunque momento del processo di primo grado. la chiamata del terzo materialmente si realizza attraverso la notifica di un normale atto di citazione virgola in cui dovrà ovviamente farsi menzione del processo già pendente fra le parti e si deve indicare quale udienza di prima comparizione, quella fissata nel provvedimento del giudice. per la citazione non è previsto che il giudice assegna alcun termine, si che sufficiente che essa avvenga in un tempo utile per l'udienza cui la causa è stata rinviata. Se tali udienza nessuna delle parti ha ancora provveduto, il giudice dispone con ordinanza non impugnabile la cancellazione della causa dal ruolo il che consente alle parti entro tre mesi da tale provvedimento, di ridare impulso alla causa (tramite la riassunzione) adempiendo all'ordine del giudice. La costituzione del terzo chiamato e i poteri delle parti originarie La costituzione in giudizio del soggetto terzo è disciplinata in maniera analoga a quella del convenuto, sicché per non incorrere alle decadenze egli deve rispettare il termine indicato dall'articolo 166 quindi 70 giorni prima dell'udienza fissata per la sua comparizione e proporre, con la comparsa di risposta, le proprie domande riconvenzionali ed eccezioni in senso stretto. Per quanto riguarda l'eventuale sua richiesta di chiamare a propria volta in causa un'altro soggetto si esige che il terzo dichiari tale intenzione, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta e ne chieda poi al giudice l'autorizzazione nella prima delle memorie previste. 20 una prima fattispecie è quella disciplinata dall'articolo 179: posto che il codice contempla varie ipotesi in cui il giudice istruttore può e deve pronunciare condanne e pene pecuniarie, l'articolo 179 prevede che tali condanne siano rese con un'ordinanza e costituiscano titolo esecutivo. L’ordinanza non è impugnabile laddove sia stata pronunciata in udienza in presenza dell'interessato e previa contestazione dell'addebito; in caso contrario essa deve essere notificata entro il termine perentorio di tre giorni al condannato e questi potrà poi impugnarla attraverso un reclamo allo stesso giudice istruttore. In entrambi i casi l'ordinanza non impugnabile ha un chiarissimo contenuto decisorio sicché sarà certamente idoneo al giudicato. CAPITOLO SESTO: L’ISTRUZIONE PROBATORIA Sezione 1: i principi in materia di prove L’oggetto e la disponibilità della prova Tradizionalmente i soliti schematizzare la decisione del giudice come risultato di un'attività che mira a muovere una fattispecie concreta per ricondurla ad una determinata fattispecie legale ricavata dal diritto sostanziale al fine di dedurre le conseguenze giuridiche da dichiarare nel proprio provvedimento. È chiaro che nella sua attività il giudice è chiamato ad individuare ed accertare il complesso di fatti rilevanti per la corretta determinazione della fattispecie legale di riferimento, individuare ed interpretare la norma che meglio si attaglia alla fattispecie concreta. Per quel che riguarda il secondo aspetto virgola che comprende anche il momento della qualificazione giuridica dei fatti, si può dire che il giudice non è assoggettato ad altre regole se non a quelle specificamente concernenti l'interpretazione, poiché l'ordinamento presume che l'intero sistema normativo sia oggetto di sua diretta conoscenza. il giudice deve sempre procedere autonomamente alla ricerca e all'interpretazione della norma applicabile al caso concreto, senza che le eventuali allegazioni provenienti dalle parti che possano in tale direzione vincolarlo comunque limitarlo. questo aspetto vale per qualsiasi norma di diritto anche qualora la relativa individuazione può risultare tutt'altro che agevole: si pensi all'accertamento della legge straniera che è compito d'ufficio dal giudice che può avvalersi al fine oltre che degli strumenti indicati dalle convenzioni internazionali virgola di informazioni acquisite tramite il ministero della giustizia e può interpellare esperti o istituzioni speciali. Del tutto diverso è il rapporto tra il giudice ed i fatti. in questo caso non soltanto non è possibile presumere evidentemente che il giudice conosca direttamente i fatti rilevanti per la decisione ma anzi per ovvie ragioni che si ricollegano da un lato alla necessaria imparzialità e dall'altro all'esigenza che si è oggettivamente verificabile l'iter logico attraverso il quale egli previene per accertare i fatti stessi, al giudice e addirittura vietata l'utilizzazione della sua scienza privata, ossia della diretta personale conoscenza che egli eventualmente abbia di tali fatti. l'unica eccezione per questo aspetto riguarda i fatti notori ossia quei fatti che nel tempo e nel luogo in cui si svolge il processo, possono considerarsi patrimonio di comune conoscenza da parte dell'uomo e dunque in un certo senso storicizzati. ma a prescindere dai fatti 21 notori il giudice salvi i casi previsti dalla legge, deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico Ministero. Tale principio espresso dal primo comma dell'articolo 115, costituisce per un verso un riflesso del principio dispositivo cui è informato il processo civile, e peraltro verso una regola tecnica diretta a preservare la terzietà e imparzialità del giudice ( che potrebbero essere in un qualche modo compromesse laddove si attribuisce al giudice stesso al potere dovere di ricercare direttamente le fonti materiali di prova). alla luce dell'articolo 115, devono considerarsi eccezionali le ipotesi in cui il giudice è abilitato a disporre di propria iniziativa i mezzi di prova. se si guarda solo al processo ordinario i poteri istruttori esercitabili d'ufficio farebbero abbastanza circoscritti e riguardano, prescindendo dalla consulenza tecnica: l'ispezione giudiziale, la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione, l'interrogatorio libero, il giuramento suppletorio e, in termini molto più ristretti, la prova testimoniale. il principio enunciato dall'articolo 115 va coordinato col principio di acquisizione della prova, per cui quest'ultima, una volta che sia stata richiesta o comunque introdotta nel processo, esce dalla sfera di disponibilità della parte con la duplice conseguenza che: A) tale parte non può rinunciare alla sua assunzione né può revocare la sua produzione se non vi sia il consenso delle altre parti l'autorizzazione del giudice B) i risultati della prova possono giovare ad una qualunque delle parti, e non soltanto a quella che l'aveva richiesta. La nozione di prova e le principali sue classificazioni. L’ammissibilità e la rilevanza della prova Dopo aver appurato che l'oggetto della prova è sempre un fatto, converrà anzitutto sottolineare la pluralità di significati che il termine prova può concretamente assumere. 1. il legislatore definisce prova come sinonimo di mezzo di prova: per riferirsi all'insieme di strumenti e procedimenti attraverso i quali il giudice deve formare il proprio convincimento circa l'esistenza o l'inesistenza, nel presente o nel passato, di determinati fatti che egli debba utilizzare per la decisione. 2. altre volte il termine prova sta ad indicare il risultato dell'iter logico intellettivo attraverso cui il giudice pervenuto ad accertare i suddetti fatti o a convincersi del loro verificarsi. 3. le fonti materiali di prova, individuano in un certo senso il punto di partenza dell'attività conoscitiva del giudice, che può essere costituito a seconda dei casi: - da una cosa da cui esame possano direttamente percepirsi infatti oggetto dell'accertamento - da un documento cioè da una cosa che ha la peculiarità dell'essere rappresentativa di determinati fatti - da una dichiarazione di scienza proveniente da una delle due parti o da un soggetto terzo. 22 4. Più in generale può essere ritenuto fonte di prova un fatto dalla cui esistenza il giudice può dedurre l'esistenza o l'inesistenza di un diverso fatto che costituisca oggetto ultimo della prova esaminiamo brevemente le varie classificazioni di prova più significative: a) prova diretta e prova indiretta: tale distinzione attiene alle modalità di conoscenza del fatto da parte del giudice virgola in relazione alla fonte materiale della prova: l'unica prova diretta sarebbe l'ispezione che consiste per l'appunto nell'esame obiettivo di una cosa da cui il giudice può immediatamente percepirne i fatti da provare; in tutti gli altri casi la conoscenza è solo mediata e si attua attraverso l'esame di un documento o di una dichiarazione scientifica. secondo un'ulteriore accezione la distinzione atterrebbe l'oggetto della prova: sarebbe diretta la prova destinata ad accertare un fatto principale ed indiretta quella che attiene ad un fatto secondario. b) Prova diretta e prova contraria: tale distinzione si riferisce semplicemente alla circostanza che la prova verterà sull'esistenza o sulla inesistenza di un determinato fatto c) prova precostituita o prova costituenda La prova precostituita è quella che preesiste al processo, o comunque si forma al di fuori di esso pertanto si identifica con la prova documentale. la prova costituenda invece si forma direttamente nel processo grazie ad un'apposita attività istruttoria che può essere a seconda dei casi più o meno complessa. Mentre la prova precostituita viene acquisita al processo attraverso la mera sua produzione, la prova costituenda è subordinata ad un esplicito provvedimento di ammissione virgola che a sua volta presuppone la verifica dell'ammissibilità e della rilevanza della prova stessa. il giudizio di ammissibilità si traduce in un controllo di legalità che mirava accertare che si tratta di un mezzo di prova consentito dall'ordinamento non soltanto in via generale ma anche con specifico riguardo alle peculiarità del fatto da provare. il giudizio di rilevanza invece attiene alla circostanza che la prova abbia effettivamente ad oggetto un fatto da utilizzare per la decisione della causa. In tale verifica infatti il giudice è costretto ad anticipare in un certo senso e per una certa parte la decisione finale per poter individuare i fatti principali che gli serviranno nel decidere risolvendo ogni connessa questione giuridica. inoltre quando la prova verte sui fatti secondari il giudice per appurare se tali fatti siano rilevanti dovrà anticipare seppur in modo ipotetico quell'attività logico deduttiva che gli consentirebbe di risalire ai diversi fatti principali sui quali si dovrà fondare la decisione. questo sistema tuttavia l'inconveniente di favorire una certa deresponsabilizzazione del giudice in questo delicatissimo giudizio che richiederebbe un approfondito studio della controversia: La conseguenza è che si assiste alla missione di prove su fatti che poi alla luce della decisione Risulterebbero irrilevanti. 25 Le principali implicazioni di questa composizione possono così riassumersi: ➢ il principio in questione opera solamente nell'ambito dei giudizi aventi ad oggetto diritti disponibili delle parti ➢ il principio medesimo deve valere per qualunque fatto, principale o secondario, ivi inclusi quelli che siano rilevabili di ufficio ➢ i fatti si considerano pacifici non soltanto quando la parte destinataria delle allegazioni ne ammette esplicitamente la verità ma anche quando essa imposta la propria difesa su argomenti logicamente inconciliabili con la negazione dei fatti allegati dall'avversario ➢ quantomeno in linea di principio nulla parrebbe escludere che un fatto inizialmente pacifico divenga successivamente controverso in conseguenza del mutamento della posizione difensiva di una delle parti. I fatti non contestati: l'oggetto e i limiti dell'onere di contestazione In passato si era molto discusso circa la possibilità di considerare pacifici e non controversi, anche fatti non contestati. In altre parole ci si chiedeva se nel nostro ordinamento nonostante la mancanza di una disposizione ad hoc fosse configurabile a carico di ciascuna delle parti un vero e proprio obbligo ad onere di contestare esplicitamente i fatti allegati dall'altra parte. L'orientamento tradizionale esclude che il mero silenzio di una parte fosse sufficiente a rendere non controversi fatti affermati dall'avversario. ma una parte della dottrina e della giurisprudenza ritiene che il legislatore avesse inteso per l'appunto codificare un vero e proprio onere di contestazione delle allegazioni avverse nel contempo non commissionasse a tal proposito alcuna decadenza e reputava cioè inammissibile ogni contestazione tardiva ( successiva alla comparsa di risposta ovvero alla conclusione della fase di trattazione della causa. La riforma del 2009 inserisce all'articolo 115 comma uno il principio per cui il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita. Il legislatore del 2022 si è premurato di precisare che il convenuto, nella propria comparsa di risposta, deve prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda. la circostanza che è una parte ometta di contestare specificamente i fatti allegati dall'avversaria fondamento della propria domanda o eccezione consente senz'altro al giudice di reputare veri i fatti medesimi senza bisogno di prova. occorre analizzare altri profili che esigono qualche chiarimento: A) la premessa dalla quale è opportuno muovere e che l'omessa contestazione non implica in via automatica è necessaria la verità dei fatti non contestati ma costituisce un comportamento processuale molto significativo e rilevante sul piano della prova dei fatti medesimi. B) appurato che la non contestazione opera sul piano della prova virgola e poiché oggetto di prova può essere qualunque fatto rilevante per la decisione, gli effetti dell'omessa contestazione devono essere i medesimi per i fatti principali e per i fatti secondari. 26 C) la contestazione richiesta dal primo comma dell'articolo 115 deve essere specifica e non si può risolvere nella mera negazione formale della verità della versa allegazione ma deve esplicitare dove sia possibile la diversa versione dei fatti della parte da cui proviene. D) sul piano pratico l'effetto dell'omessa contestazione consiste nell'esonero della parte autrice dell'azione non contestata dall'onere di dar prova del fatto allegato. E) non si può reputare di per sé significativo e rilevante sul piano probatorio il difetto di contestazione in ordine a fatti o a situazioni che non siano in alcun modo riferibili alla parte destinataria dell’allegazione, ne possano presumersi da lei sicuramente conosciuti. F) l'aver escluso che l'omessa contestazione vincoli e il giudice a reputare veri fatti non contestati consente di ammettere l'utilizzazione pure nei giudizi aventi ad oggetto diritti indisponibili; nei quali resta da stabilire se la non contestazione sia liberamente apprezzabile ai fini della decisione o se invece possa utilizzarsi come mero argomento di prova. G) l'ultimo punto è il più controverso perché il problema riguarda gli eventuali limiti temporali della contestazione. muovendo dal duplice presupposto che la contestazione fosse soggetta allo stesso regime delle allegazioni e che queste ultime fossero tutte rigorosamente confinate nella fase iniziale della trattazione della causa, l'orientamento formato prima della riforma del 2009 riteneva che la contestazione successiva a quella prima fase fosse in linea di principio inammissibile. ad oggi il legislatore che per un verso ha dettato una regola destinata ad operare essenzialmente al momento della decisione virgola e peraltro se ben guardato dal assoggettare la contestazione a qualunque termine di decadenza. La contumacia non equivale alla non contestazione di conseguenza si deve escludere che la contestazione sia soggetta ad una vera e propria preclusione. Sezione 2: le regole generali dell’istruzione probatoria Luogo e modalità di assunzione dei mezzi di prova. Assunzione per delega o per rogatoria Anche la fase istruttoria si snoda tra udienze il cui intervallo a norma dell'articolo 81 non dovrebbe essere superiore a 15 giorni. Quando dispone mezzi di prova il giudice istruttore stabilisce il tempo, il luogo e il modo dell'assunzione, fissando solitamente un'udienza doc a meno che non si tratti di una prova da assumere necessariamente fuori udienza. In quest'ultimo caso fermo restando che di regola è lo stesso giudice istruttore a dovervi provvedere l'articolo 203 prevede che se l'assunzione deve avvenire fuori dalla circoscrizione del tribunale, venga delegato a procedervi il giudice istruttore del luogo. Ricorda questo delega l'ordinanza che la dispone deve fissare il termine massimo entro cui la prova deve essere assunta e la successiva udienza alla quale le parti dovranno poi comparire per la prosecuzione del processo. Il giudice delegato procede all'assunzione del mezzo di prova su istanza della parte interessata e quindi, d'ufficio, ne rimette il relativo processo verbale al giudice delegante prima dell'udienza da questi fissata per la prosecuzione del giudizio a meno che le parti, 27 direttamente tramite lo stesso giudice delegato, abbiano chiesto al giudice delegante la proroga del termine ed eventualmente lo spostamento dell'udienza fissata. La disciplina applicabile anche nel caso in cui l'esecuzione di provvedimenti istruttori debba attuarsi attraverso l'erogatore ad autorità estere, quando l'oratoria riguarda i cittadini italiani residenti all'e però, tramite delega al console competente virgola che provvede a norma della legge consolare. Trova la propria specifica disciplina anche all'interno della convenzione dell'aja del 18 Marzo del 1900 70 i precedentemente all'interno dell'unione europea, nel regolamento CE 1206 del 2001 del consiglio. La disciplina convenzionale prevede che ciascuno Stato contraente designa un'autorità centrale con lo specifico incarico di ricevere le richieste di rogatoria provenienti dall'autorità giudiziaria di un'altro stato contraente e di trasmettere all'autorità interna competente a darvi esecuzione. Il regolamento comunitario consente la trasmissione diretta di richiesta di assunzione di prova tra l'autorità giudiziaria di diversi Stati membri nonché a talune condizioni l'assunzione diretta della prova all'estero da parte dell'autorità giudiziaria richiedente. Le modalità di assunzione della prova e la sua chiusura Il giudice che procede all'espletamento della prova è competente a risolvere ogni questione che dovesse sorgere in tale sede. Leparti possono assistere personalmente all'assunzione dei mezzi di prova per la quale si redige un processo verbale sotto la direzione del giudice. In esso le dichiarazioni delle parti e dei testimoni sono riportate in prima persona e devono essere lette al dichiarante. È anche previsto che il giudice possa far descrivere nel verbale il contegno di chi ha reso la dichiarazione, è evidentemente al fine di mantenere traccia di elementi che possano essergli d'aiuto nel valutare l'attendibilità della dichiarazione stessa. L'articolo 208 stabilisce una decadenza dal diritto di far assumere le prove allorché la parte aumenta di presentarsi e tale decadenza deve essere dichiarata d'ufficio dal giudice, a meno che non sia l'altra parte a chiederne l'assunzione. Quando nessuna delle parti sia comparsa l'udienza quest'ultima situazione trova la propria disciplina nell'articolo 181 e 309 che ne fanno discendere come si vedrà la fissazione di una nuova udienza eventualmente prodromica all'estinzione del processo. quando sei stata dichiarata la decadenza, la parte interessata può chiedere al giudice virgola in udienza successiva la revoca del provvedimento allorché la sua mancata comparizione sia stata provocata da una causa ad essa non imputabile. La chiusura della fase di assunzione delle prove viene dichiarata dal giudice istruttore quando siano stati esauriti tutti i mezzi di prova ammessi, quando essendo che le parti decadute dal diritto di assumere taluno non ve ne siano altri da esperire o infine quando il giudice reputi superflua per i risultati già raggiunti l'assunzione delle ulteriori prove originariamente ammesse. In quest'ultimo punto è quello più delicato dal momento che presuppone una valutazione complessiva dell'esito dell'istruttoria anche alla luce dell'inquadramento giuridico della fattispecie: il giudice deve ritenere le prove ulteriori superflue solo quando tendono ad un risultato pienamente conforme al convincimento che il giudice ha già raggiunto oppure quando hanno ad oggetto un fatto ritenuto irrilevante. 30 Qualora nel corso delle indagini sorgano questioni legate ai poteri e ai limiti dell'incarico del consulente, quest'ultimo senza essere tenuto a sospendere le operazioni deve informare il giudice al quale spetta di dare i provvedimenti opportuni. In considerazione al sistema di preclusioni introdotto dalla riforma del 1991 tema molto delicato riguarda i limiti con cui il consulente può accertare i fatti non allegati o acquisire documenti non prodotti dalle parti: il problema è stato risolto dalla giurisprudenza più recente che nega che al consulente d'ufficio valgono i limiti preclusivi previsti per le parti. Sezione 2: l’ispezione giudiziale L'articolo 118 prevede che il giudice può ordinare alle parti o ai terzi di consentire sulla loro persona o sulle cose in loro possesso le ispezioni che appaiono indispensabili per conoscere i fatti, purché ciò possa compiersi senza grave danno per la parte o per il terzo virgola e senza costringerli a violare uno dei segreti previsti negli articoli 351 e 352 del codice di procedura penale. L'ispezione è dunque un mezzo istruttorio di cui il giudice può servirsi al fine di entrare a diretto contatto con una fonte di prova che non è acquisita al processo al fine di percepirne personalmente i fatti rilevanti per la decisione. L'oggetto dell'ispezione può essere una cosa con esclusione dei documenti, oppure la persona stessa o di una delle parti o di un terzo (ispezione corporale). In ragione della funzione dell'istituto, all'ispezione dovrebbe sempre procedere il giudice istruttore, perfino quando essa debba compiersi al di fuori delle circostanze del tribunale. l'unica eccezione prevista riguarda l'ispezione corporale a cui il giudice si può astenere disponendo che vi proceda un consulente tecnico. l'ispezione eseguita dal giudice è divenuta assai rara e la consulenza tecnica viene frequentemente adoperata proprio come espediente per esonerare il giudice da ciò. in questo caso non si tratta di una vera e propria ispezione sia perché viene a mancare la percezione diretta dei fatti da parte del giudice sia perché il consulente non ha poteri attribuiti al giudice. Allo stesso modo il potere di ispezione non si può mai trasformare in un potere di perquisizione ne può avere finalità meramente esplorative, dovendo essere previamente allegati e determinati i fatti che si mira ad accertare. il soggetto passivo dell'ordine d'ispezione possono essere sia le parti sia un soggetto terzo. diverse sono nei due casi le conseguenze dell'eventuale inosservanza del provvedimento del giudice: A) se il soggetto terzo rifiuta il provvedimento del giudice egli avrà solamente una sanzione compreso tra 250 e 1.500 € B) se una delle due parti rifiuta il provvedimento del giudice in modo ingiustificato oltre alla condanna di quest'ultimo ad una pena pecuniaria tra i 500 e i 3.000 € implica la possibilità che il giudice ne tragga argomenti di prova. L'articolo 374 del codice penale sanziona come reato il comportamento di chi nel corso di un procedimento civile o amministrativo al fine di trarre in inganno il giudice 31 in un atto di ispezione o di esperimento giudiziale in muta artificiosamente lo stato dei luoghi o delle cose o delle persone. Il provvedimento e i poteri del giudice in sede d’ispezione: L'ordine di ispezione compete normalmente al giudice istruttore il quale deve fissare il tempo, luogo e modo. il relativo provvedimento riveste la forma dell'ordinanza e può intervenire in qualunque momento del giudizio di primo grado nonché in appello. l'ispezione può chiedersi in via cautelare prima che sia iniziato il giudizio di merito. particolari misure sono prescritte per l'ispezione corporale alla quale il giudice deve procedere con ogni cautela diretta a garantire il rispetto della persona. il soggetto passivo ha il diritto di farsi assistere durante l'assunzione della prova da una persona di sua fiducia che si è riconosciuta idonea dal giudice e naturalmente le altre parti sono escluse. la giurisprudenza ha riconosciuto nell'ambito dell'ispezione anche l'ordine di sottoporsi alla prova genetica ed ematologica nei giudizi per l'accertamento o per il disconoscimento della paternità naturale. l'articolo 261 e 262 definisce che il giudice una serie di poteri finalizzati ad un proficuo svolgimento dell'ispezione. il giudice nel corso dell'ispezione può: 1) Ordinare l’esecuzione di rilievi calchi e riproduzioni anche fotografiche di oggetti documenti e luoghi, anche rilevazioni cinematografiche o altre che richiedono l'impiego di mezzi, strumenti o procedimenti meccanici 2) Ordinare un'esperimento giudiziale ossia la riproduzione di un certo fatto al fine di accertare se il fatto stesso sia o possa essersi verificato in un dato modo 3) sentire testimoni Per informazioni 4) da i provvedimenti necessari per l'esibizione della cosa o per accedere alla località ed è disposto l'accesso in luoghi appartenenti a persone estranee al processo e prendendo in ogni caso le cautele necessarie a tutela dei loro interessi. Sezione 3: Esibizione delle prove e la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione L’ordine di esibizione delle prove In base all'articolo 210 comma uno il giudice istruttore su istanza di parte può ordinare all'altra parte o a un terzo di esibire in giudizio un documento o un'altra cosa di cui ritenga necessaria l'acquisizione al processo. l'ordine di esibizione è finalizzato all'acquisizione di un documento oppure di una diversa cosa mobile che sia in possesso dell'altra parte o di un soggetto terzo. Le esibizioni ha una dimensione schiettamente processuale già che non è affatto richiesto che la parte istante possa vantare un qualsiasi diritto sul piano sostanziale nei confronti del documento della cosa che si richiede di acquisire mentre il presupposto essenziale è rappresentato dalla circostanza che esso si deve utilizzare come prova nel processo ciò vuol dire che deve apparire indispensabile per conoscere i fatti della causa. 32 Questo aspetto implica che si deve trattare di oggetti ben determinati o di documenti dal contenuto già noto e che l'acquisizione non si può ottenere copia da un pubblico depositario. in concreto uno dei profili più delicati dell'istituto riguarda proprio la necessità di fornire la prova non soltanto dell'esistenza del documento ma della sua attuale disponibilità da parte del soggetto nei cui confronti è stato richiesto l'ordine di esibizione. Per quanto concerne i limiti il riferimento a quelli propri dell'ispezione sta a significare che l'esibizione non è ammessa quando determinerebbe un grave danno per la parte o per il soggetto terzo oppure quando li costringerebbe a violare il segreto professionale o di ufficio o dei segreti di Stato. Dato che l'esibizione presuppone l'istanza di parte e non può mai disporsi d'ufficio a meno che la stessa legge in alcune specifiche ipotesi non lo prevede espressamente. Un’opinione minoritaria ritiene che il giudice può sempre utilizzare il potere di ispezione per visionare i documenti o le cose di cui pur essendo nota la sua esistenza le parti non abbiano chiesto l'esibizione. Il provvedimento di esibizione e la sua concreta efficacia: L'ordinanza con cui viene disposta l'esibizione deve indicare il tempo, il luogo ed il modo dell'esibizione nonché il termine per la notificazione dell'ordinanza stessa è la parte che deve provvedervi ed inoltre quando l'esibizione implica una spesa deve porre la relativa anticipazione a carico della parte che la richiesta. se l'ordine di esibizione è chiesto nei confronti di un soggetto terzo il giudice deve sempre cercare di conciliare nel miglior modo possibile l'interesse della giustizia col riguardo dovuto ai diritti del soggetto terzo e può anche disporre prima di pronunciarsi che il soggetto terzo sia citato in giudizio A cura della parte e nel termine fissato dal giudice. il soggetto terzo anche se non è stato citato può sempre contestare l'ordine di esibizione intervenendo nel giudizio prima della scadenza del termine assegnato per esibire il documento o la cosa. il punto più dolente nella disciplina e nella concreta realtà applicativa dell'istituto riguarda l'effettività del provvedimento di esibizione. già prima della riforma del 2022 l'opinione prevalente riteneva che l'inottemperanza dell'ordine di esibizione produce se le stesse conseguenze derivanti dalla violazione dell'ordine di ispezione virgola e dunque ne escludeva la coercibilità. tale soluzione risulta ora implicitamente confermata nel nuovo articolo 210 virgola che per l'appunto ricollega l'ingiustificato rifiuto della parte o del soggetto terzo di adempiere all'ordine di esibizioni conseguenze identiche a quelle definite dall'articolo 118 ossia l'applicazione di una pena pecuniaria e nel caso in cui rifiuto avvenga dalla parte anche la possibilità di dedurre da tale comportamenti argomenti di prova. l'unica ipotesi in cui si può riconoscere al provvedimento di esibizione una certa coercibilità è quella in cui potendo la parte istante vantare un vero e proprio diritto sostanziale sul documento è possibile ricorrere ad un'altro specifico strumento processuale che è il sequestro giudiziario per poi ottenere che all'esibizione provveda il custode designato dal giudice. la richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione: 35 che gli compete. I suoi effetti operano sul piano della fissazione dei fatti come se si trattasse di un'ammissione. Spesso si pensa che la confessione oltre che ad essere un elemento materiale consiste nella dichiarazione di fatti sfavorevoli al dichiarante è favorevole all'avversario e presuppone un elemento soggettivo rappresentato dalla volontà di confessare. è sufficiente che il dichiarante sia consapevole di dichiarare un fatto a sé sfavorevole ma favorevole all'altra parte: condizione che si ritrova notevolmente all'interno della confessione giudiziale è molto più difficilmente all'interno della confessione stragiudiziale in quanto vi è un maggiore spazio per l'indagine. Per quello che attiene alle capacità la dichiarazione contro a sé non può valere come una vera confessione se non proviene da una persona capace di disporre del diritto a cui i fatti confessati si riferiscono. nel caso venga resa da un rappresentante della parte la confessione efficace solamente se viene fatta entro i limiti e nei modi in cui questi può vincolare rappresentato. La confessione giudiziale: Nell'ambito del giudizio la confessione può essere spontanea quando viene fatta dalla parte stessa di propria iniziativa dichiarare fatti e se sfavorevoli, oppure provocata mediante l'interrogatorio formale. La confessione spontanea può essere contenuta in qualunque atto processuale firmato dalla parte personalmente salvo il caso dell'articolo 117: il che va inteso nel senso che le eventuali dichiarazioni contro se rese dalla parte in sede dell'interrogatorio libero pur se racchiuso in un verbale sottoscritto dalla parte stessa non possono considerarsi vere e proprie confessioni ma mere ammissioni. questa eccezione si giustifica poiché sarebbe evidente l'incongruenza assegnare a tali dichiarazioni medesimo valore e la irretrattabilità che compete alle dichiarazioni di uguale contenuto rese nel più garantistico interrogatorio formale. Indipendentemente dalla circostanza che è intervenuta spontaneamente o nel corso di un interrogatorio formale la confessione giudiziale forma piena prova di regola contro colui che l'ha resa ed è idonea a vincolare il giudice circa la verità dei fatti confessati. sono presenti deroghe in due casi: A) quando i fatti riguardano diritti non disponibili alle parti B) quando ricorrendo all'ipotesi di litisconsorzio la confessione proviene solamente da alcuni litisconsorti ed essendo che non è possibile vincolare tutti i litisconsorti alle dichiarazioni di taluno di essi il legislatore espressamente stabilisce che la confessione sia liberamente apprezzata dal giudice e dunque diventa da prova legale a prova libera. Se i soliti parlare di confessione complessa quando l'aggiunta è rappresentata da un fatto del tutto distinto idonea a modificare o estinguere gli effetti del fatto sfavorevole al dichiarante. In entrambe le situazioni l'efficacia probatoria delle dichiarazioni dipende dall'atteggiamento dall'altra parte se questa non contesta la verità dei fatti e delle circostanze esse fanno piena prova vincolando il giudice nella loro integrità cioè senza distinguere fra fatti sfavorevoli e fatti favorevoli al loro autore; se invece l'altra 36 parte contesta e rimesso al giudice di apprezzare secondo le circostanze l'efficacia probatoria delle dichiarazioni. Le confessioni stragiudiziali: Come già avvertito la tipologia della confessione stragiudiziale è piuttosto varia: si può trattare di una prova precostituita, quando la dichiarazione contra se sia contenuta in un documento di cui allora sarà sufficiente l'acquisizione nel processo; oppure può richiedere l'assunzione di prove costituende quando sia stata resa oralmente. Dal punto di vista dell'efficacia occorre distinguere se la dichiarazione confessoria è rivolta all'altra parte oppure ad un rappresentante di questa, essa ha medesima efficacia che compete la confessione giudiziale; se invece è diretta ad 1/3 è contenuta in un testamento e liberamente apprezzato dal giudice ciò perché il legislatore ritiene che in questo secondo caso la dichiarazione contra se sia stata resa per finalità particolari ed esclude che si può costituire come prova inconvertibile della verità dei fatti. L’interrogatorio formale ed il suo rapporto con la confessione: Dopo aver esaminato in dettaglio la disciplina della confessione si può tornare ad analizzare l'interrogatorio formale. A norma dell'articolo 230 la parte che intende far sottoporre l'avversario ad un interrogatorio formale tenuto a dedurre che tale interrogatorio per articoli separati o specifici. Ciò perché l'interrogato deve essere messo in condizione di conoscere in anticipo i fatti sui quali dovrà riferire. le domande virgola non potranno vertere sui fatti diversi da quelli formulati nei capitoli a meno che non si tratta di domande sulle quali le parti concordano è che il giudice ritiene utili e salvo il potere del giudice di chiedere i chiarimenti opportuni sulle risposte date. La parte interrogata non ha alcun obbligo giuridicamente sanzionabile di dire la verità contro i propri interessi, ciò però non toglie che abbia il dovere di presentarsi e rendere l'interrogatorio di rispondere personalmente alle domande senza potersi servire di scritti preparati ad eccezione delle note degli appunti che il giudice gli abbia consentito di utilizzare quando ad esempio deve fare riferimento a nomi o cifre. La mancata comparizione, al pari del rifiuto di rispondere, produrrebbe come conseguenza in assenza di un giustificato motivo la possibilità valutato ogni altro elemento di prova di ritenere come ammessi i fatti dedotti dall'interrogatorio. Il che va inteso che il comportamento missiva costituisce una prova libera cioè soggetta al prudente apprezzamento del giudice da cui quest'ultimo può desumere anche in via esclusiva l'esistenza dei fatti oggetto dell'interrogatorio contrari all’interesse dell’ interrogatorio qualora Le altre risultanze probatorie non conducano ad una diversa conclusione. Una parte della dottrina tenendo spunto dall'articolo 228 istituisce uno stretto rapporto tra due mezzi istruttori deducendo che l'interrogatorio e formale ha come scopo preciso quello di ottenere la confessione della parte a cui esso è riferito. nella realtà però non è affatto scontato che l'interrogatorio formale conduca ad una pura e semplice confessione. 37 Tenuto conto di ciò è preferibile pensare che l'istituto deve servire ah costringere la parte a dichiararsi cioè ad assumere una specifica posizione circa i fatti allegati dall'avversario al fine di selezionare nell'ambito di questi ultimi quelli effettivamente bisognevoli di prova. non a caso l'interrogatorio formale nella prassi è sempre stato ammesso prima di ogni altro mezzo di prova. le dichiarazioni confessorie acquisite nel procedimento di negoziazione assistita: La riforma del 2022 ha previsto che la convenzione di negoziazione assistita possa prevedere la possibilità di acquisire dichiarazioni della controparte sulla verità dei fatti ad essa sfavorevoli o favorevoli alla parte nel cui interesse sono state richieste. In tal caso ciascun avvocato può invitare la controparte rende le dichiarazioni sui fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversa ad essa favorevoli o sfavorevoli alla parte a cui l'interesse è stato richiesto. In altre parole si tratta di una sorta di interrogatorio form Mirante ad acquisire delle dichiarazioni confessorie e stragiudiziali utilizzabili come prova nell'eventuale successivo giudizio tra le medesime parti. per precisare l'efficacia i limiti dell'eventuale dichiarazione che deve essere resa per iscritto e sottoscritta tanto dalla parte quanto dall'avvocato che l'assiste viene richiamato l'articolo 2735 del codice civile relativo alla confessione stragiudiziale. pertanto trattandosi di una dichiarazione resa da all'altra parte le competerà la stessa efficacia probatoria della confessione giudiziale. In caso di rifiuto ingiustificato di rendere dichiarazioni sui fatti in questione è previsto solo che il giudice ne tenga conto ai fini delle spese del giudizio il che significa che se rifiuto proviene dalla parte risultata poi soccombente potrebbe giustificare la condanna di quest'ultima per responsabilità aggravata mentre è implicitamente esclusa la possibilità di trarre da tale rifiuto elementi di prova al danno della parte inadempiente. Sezione 5: la prova documentale Il contenuto del documento Il documento si può definire in senso ampio come un qualunque oggetto idoneo a rappresentare in vario modo più o meno direttamente un certo fatto. dal punto di vista materiale il documento consta immancabilmente di un supporto di varia natura, destinato per l'appunto a conservarne la traccia, attraverso le modalità più disparate, di un certo fatto, naturale o umano. Il documento può avere a seconda dei casi una rilevanza sostanziale quando costituisce la forma attraverso la quale viene invita un contratto o un'altro negozio giuridico, ma comunque rileva sempre sul piano processuale, proprio per la sua natura alla presentare un fatto accaduto nel passato. La tipologia di documenti muta con l'evolversi delle tecniche di comunicazione e di archiviazione dei dati divenuto particolarmente rapido e tumultuoso negli ultimi decenni: il codice civile del 1942 dedica la massima attenzione ai tradizionali documenti scritti su carta tralasciando invece altri documenti oggi diffusi grazie al risultato delle tecnologie più recenti. 40 Per la scrittura privata il problema della falsità può porsi esclusivamente sul piano materiale quando è stata contraffatta la firma di colui che risulta esserne l'autore o quando successivamente alla sottoscrizione siano stati indebitamente apportate delle aggiunte o delle modificazioni al suo contenuto. Affinchè la scrittura privata a efficacia probatoria è necessario che la sua sottoscrizione sia stata riconosciuta da colui contro il quale è prodotta oppure che la sottoscrizione medesima sia legalmente considerata come riconosciuta. L'autenticazione della sottoscrizione Un modo per ottenere che la scrittura privata acquisisca fin dall'origine la piena efficacia probatoria è quello di farne autenticare la sottoscrizione da un notaio o da un'altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato. L'autentificazione consiste materialmente nell'attestazione da parte di un pubblico ufficiale virgola che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza da persona di cui lo stesso pubblico ufficiale deve avere previamente accertato l'identità. L'autenticazione delle sottoscrizioni è spesso richiesta dalla legge anche ad altri fini ed ad essa è ricollegato un'importante effetto di natura sostanziale che consiste nel rendere la data della scrittura privata certa e computabile riguardo a terzi, nelle numerose ipotesi in cui il requisito della data certa è appunto richiesto perché l'atto sia opponibile ai terzi titolari di situazioni giuridiche e confliggenti quella delle parti. In mancanza di autenticazione la certezza della data potrebbe conseguirsi solamente: dal giorno della registrazione dell'atto , oppure dal giorno della morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di coloro che l'avevano sottoscritto, oppure dal giorno in cui il contenuto della scrittura è riprodotto in un atto pubblico, o infine dal giorno in cui si verifica un'altro fatto che stabilisca in modo egualmente certo l'anteriorità della formazione del documento. Il riconoscimento, espresso o tacito, e il disconoscimento della scrittura privata La modalità più semplice attraverso cui la scrittura privata può acquisire efficacia probatoria e quella del suo riconoscimento, espresso o tacito, ad opera di colui contro il quale essere prodotto in giudizio; il quale non sempre coinciderà con il soggetto la cui scrittura viene attribuita. il riconoscimento contemplato dall'articolo 2702 riguarda specificatamente la sola sottoscrizione della scrittura privata virgola non quest'ultimo nel suo complesso, per la semplice ragione che una volta appurato che la sottoscrizione autentica tutte le dichiarazioni contenute nella scrittura medesima vengano attribuite al sottoscrittore; il quale potrà contrastare questa conseguenza probatoria solo attraverso la querela di falso. il riconoscimento della sottoscrizione può essere espresso o tacito: ➢ Espresso: Non richiede particolari chiarimenti ➢ Tacito: esso si realizza in due ipotesi sia quando la scrittura viene prodotta nei confronti di una parte contumace ( che però potrà sempre fare venire meno gli effetti di tale riconoscimento costituendosi nel corso del giudizio e disconoscendo le scritture) oppure essendo stata la scrittura prodotta contro una parte comparsa, questa non la disconosca nella prima udienza o nella risposta successiva alla produzione. per impedire il riconoscimento tacito è 41 dunque necessario disconoscimento cioè una dichiarazione con cui si nega formalmente la propria scrittura la propria sottoscrizione. La verificazione Quando una scrittura privata è stata disconosciuta, essa del tutto inutilizzabile come prova salva la possibilità per la parte che intende ugualmente valersene di chiedere la verificazione a norma dell'articolo 216. L’istanza di verificazione introduce un procedimento incidentale destinato a concludersi con una sentenza sulla autenticità della scrittura che consentirà di ritenere il documento come legalmente riconosciuto facendogli acquisire un'efficacia probatoria privilegiata. Si tratta dunque di una domanda incidentale di mero accertamento che tra interesse dell'avvenuto disconoscimento del documento si caratterizza per la peculiarità di vertere su un mero fatto piuttosto che sull'esistenza o sull’inesistenza di un diritto o di uno status. Il legislatore prevede che anche l'istanza di verificazione possa proporsi in via principale concitazione ossia con un autonomo giudizio a condizione che l'attore dimostri di avere interesse. Il giudizio di verificazione mirando ad accertare l'autografia della sottoscrizione deve ricorrere il più delle volte ad un consulente tecnico calligrafo virgola che a sua volta non può fare a meno e le scritture di comparizione, cioè scritti sicuramente attribuibili alla persona indicata quale autrice della scrittura. È per tale ragione che il legislatore dedica particolare attenzione a questo profilo stabilendo che il giudice dopo aver disposto le cautele opportune per la custodia del documento ed aver fissato il termine per il deposito in cancelleria delle scritture di comparizione, determini egli stesso quali fra le scritture disponibili devono essere utilizzate per la comparizione dando la preferenza a quelle cui proviene dalla persona che si afferma autrice della scrittura è riconosciuta oppure accertata per sentenza del giudice operato pubblico. Il giudice può inoltre ordinare al preteso autore del documento di scrivere sotto dettatura anche alla presenza di un consulente tecnico e se la parte non si presenta o si rifiuta di scrivere senza giustificato motivo, la scrittura si può ritenere riconosciuta. La sentenza che accoglie l'istanza di verificazione può anche condannare ad una modesta pena pecuniaria la parte che aveva negato l'autenticità della scrittura. La querela di falso: natura ed oggetto La peculiare efficacia probatoria privilegiata può essere superata solitamente attraverso il vittorioso esperimento della querela di falso (= istituto civilistico da non confondere con la querela intesa come condizione di procedibilità dell'azione penale). La querela di falso attribuita alla competenza per materia del tribunale ha dunque l'obiettivo di accertare che il documento è stato totalmente contraffatto, oppure è stato materialmente alterato oppure che non corrisponde al vero i fatti in esso affermati. secondo l'impostazione tradizionale prevalente, la querela verterebbe sull'accertamento di un mero fatto giuridico ed erogherebbe al principio per cui l'azione di accertamento può investire esclusivamente un diritto o uno status. il legislatore mostra di considerare la certezza circa la veridicità o la falsità del documento come un bene in qualche misura autonomo tant'è che consente di proporre la querela di falso non soltanto in via incidentale ( quando l'efficacia 42 probatoria del documento è già stata invocata in un processo) ma anche in via principale ( giudizio ad hoc). in questa seconda ipotesi è logico pensare che l'interesse ad agire deriva pur sempre dalla rilevanza che il documento potrebbe concretamente avere virgola in danno della parte che la proposta virgola in un successivo processo avente ad oggetto i rapporti giuridici a cui esso fa riferimento, nonché all'esistenza di un'oggettiva incertezza circa la paternità o la genuinità del documento medesimo. Molto controversie sono due questioni che riguardano la scrittura privata: A) Il primo problema riguarda l'abuso di bianco segno, ossia il riempimento abusivo di un foglio previamente firmato in bianco. in questo caso è evidente che la parte danneggiata, contro cui sia stata prodotta la scrittura non può non riconoscere la propria sottoscrizione virgola che è autentica; sìcche l'unico strumento a disposizione per impedire che la scrittura faccia piena prova dei suoi confronti sarebbe per l'appunto rappresentato dalla querela di falso, diretta dimostrare che il contenuto del documento non è a lei riferibile. Poiché però non è infrequente che una delle parti consegna e l'altra un foglio firmato in bianco con l'esplicito accordo che verrà riempito in un certo modo, la giurisprudenza vuole distinguere a seconda che si voglia far valere la mancanza di una qualsiasi preventiva autorizzazione dalla utilizzazione del bianco segno o comunque un impiego completamente diverso da quello concordato, oppure si intende semplicemente contestare la corrispondenza delle dichiarazioni a quanto le parti avevano effettivamente pattuito: nel primo caso Non potrebbe prescindersi dalla querela di falso, nel secondo caso la querela non sarebbe neppure ammissibile. B) In secondo luogo si discute se sia ammissibile proporre la querela di falso nei confronti di una scrittura che non è stata ancora riconosciuta non ha neppure acquisito quella peculiare efficacia previsto dall'articolo 2702, cosicché potrebbe essere più semplicemente disconosciuta. Senza ombra di dubbio sembra condivisibile l'orientamento prevalente che risolve tale problema in senso positivo. la disciplina processuale La querela di falso incidentale è proponibile in qualunque stato e grado del giudizio finché la verità del documento non sia stata accertata con una sentenza passata in giudicato; e dunque è sicuramente ammessa pure nei confronti di una scrittura che si abbia per riconosciuta in conseguenza del suo mancato disconoscimento. La preclusione potrebbe derivare qualora essa abbia ad oggetto una scrittura privata, dal formarsi di un giudicato di accoglimento dell'istanza di verificazione. Poichè però la verificazione normalmente ad oggetto la sola autenticità della sottoscrizione, nulla esclude virgola che la querela di falso sia successivamente proposta al fine di far accertare un'alterazione parziale del documento. L’atto con cui si propone la querela deve contenere, pena di nullità, l'indicazione degli elementi e delle prove dell'asserita falsità, e deve essere proposta dalla parte personalmente oppure a mezzo di un suo procuratore speciale virgola non essendo invece sufficiente la procura conferita per il giudizio. 45 l'originale del telex a differenza del telegramma resta nelle mani del mittente ed è comunque impossibile verificare con certezza l'identità del mittente non potendosi escludere l'eventualità che la telescrivente sia adoperata da un'altro soggetto differente. In epoca ancora più recente, è presente il telefax, che richiede apparecchiature molto meno costose ed utilizza una qualunque linea telefonica, senza bisogno di un abbonamento ad hoc. Il fax ha il non trascurabile vantaggio di poter trasmettere non un semplice messaggio di testo ma un'immagine completa del documento originale qualunque esso sia compreso dunque anche il caso in cui si tratti di una scrittura privata, la relativa sottoscrizione. Sotto il profilo dell'efficacia probatoria il telefax era presenta problemi in parte diversi da quelli già emersi al proposito del telex in particolar modo per quelli che riguardano l'avvenuta trasmissione e ricezione del documento e la conformità della copia trasmessa rispetto all'originale. Per questo la dottrina e la giurisprudenza oscillano tra l'applicazione e l'utilizzazione di copie fotografiche di scritture. il documento informatico Il documento informatico è destinato a soppiantare nell'immediato futuro buona parte dei tradizionali documenti cartacei, soprattutto quando si tratta di documenti che devono essere trasmessi a distanza. Il documento informatico è definito come la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti. più concretamente lo si potrebbe intendere come un'insieme di dati in forma digitale organizzati in un file, generato da un elaboratore elettronico tramite un determinato software, memorizzato su un supporto informatico ed idoneo a rappresentare un atto o un fatto attraverso un programma identico o comunque analogo a quello adoperato per la sua creazione virgola che possa tradurlo in una delle forme direttamente percepibili ed interpretabili dall'uomo. Si tratta di un documento che nasce come versione codificata espressa in forma digitale di un documento convenzionale. Per quanto ne concerne la firma sono presenti la firma elettronica qualificata e la firma digitale: la firma elettronica qualificata la firma elettronica avanzata creata tramite un dispositivo sicuro è basata su un certificato elettronico qualificato e consente di collegare in modo univoco il documento al titolare; la firma digitale è un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche una pubblica e una privata correlate fra di loro che consente al titolare di firmare elettronicamente tramite la chiave privata e a un soggetto terzo una chiave elettronica pubblica. Ciò permesso il documento informatico sul piano sostanziale soddisfa in linea di principio il requisito legale della forma scritta , nelle ipotesi in cui il documento informatico deve essere sottoscritto con una firma digitale o con una firma elettronica qualificata da un notaio o da un'altro pubblico ufficiale autorizzato. Sul piano probatorio gode della medesima efficacia probatoria attribuita alla scrittura privata legalmente riconosciuta. le scritture contabili delle imprese Gli articoli 2709 2007 del codice civile prendono in considerazione l'efficacia probatoria dei libri e delle altre scritture contabili delle imprese distinguendo a 46 seconda che essi si debbano utilizzare contro l'imprenditore da cui provengono o solamente in suo favore: per quanto riguarda il primo caso è sufficiente che si tratta di libri e scritture contabili di imprese soggette a registrazione e che dal loro contenuto è possibile dedurre fatti contrari all'interesse della parte che ne è autrice; nel secondo caso si fa riferimento esclusivamente ai libri bollati e vidimati nelle forme di legge che siano regolarmente tenuti e l'efficacia è presente solo per i rapporti inerenti all'esercizio dell'impresa. Sezione 6: il giuramento Il giuramento in generale Il giuramento è il mezzo istruttorio in cui una delle parti è chiamata ad affermare in forma grave e solenne la verità di fatti e asse favorevoli virgola che in tal modo si hanno per definitivamente accertati nel processo, senza alcuna possibilità di prova contraria. L'efficacia probatoria del giuramento e massima, perfino superiore a quella della confessione, sebbene non abbia dalla sua la persuasività logica che può vantare quest'ultima. Il giuramento è stato spesso oggetto di critiche apparendo uno strumento del tutto anacronistico. Sul piano positivo sono presenti due tipologie di giuramento: - Quello decisorio che una parte deferisce all'altra per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa - quello suppletorio che è differito da ficio ad una qualunque delle parti al fine di decidere la causa quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova, oppure al fine di stabilire il valore della cosa domandata se non si può accertare altrimenti. il giuramento decisorio: funzioni e presupposti La formulazione dell'articolo 2736 potrebbe far pensare che la parte che differisce e il giuramento decisorio sia arbitra di farne comunque dipendere dalla definizione della causa e che tale istituto sotto le mentite spoglie del mezzo di prova rappresenti un vero e proprio strumento di composizione delle controversie. Il giuramento e decisorio perché deve vertere su fatti decisivi ossia oggettivamente idonei a portare all'immediata definizione totale o parziale della causa; costituisce una prova legale che oltretutto ha la particolarità di prevalere sempre e comunque su tutte le altre prove. Attraverso l'utilizzo del giuramento ciascuna delle parti ha la possibilità di sfidare in un certo senso l'altra ad affermare la verità di fatti ad essa favorevoli ponendola di fronte ad un'alternativa secca o rendere la dichiarazione giurata senza alcuna possibilita di prova contraria oppure rifiutarsi di giurare rimanendo in tal caso il soccombente rispetto alla domanda. La capacità richiesta per deferire il giuramento è quella stessa prescritta per la confessione, ed è dunque necessario che si tratti di una persona capace di disporre del diritto controverso. nulla hai detto riguardante la capacità necessaria per la parte chiamata a rendere il giuramento ed è per questo che si ritiene che il deferimento posso avere come destinataria anche la persona fisica a cui compete la rappresentanza di una persona giuridica o ad una società che sia parte del processo. 47 Per quanto riguarda l'oggetto il giuramento può essere de veritate (= quando riguarda un fatto proprio della parte a cui si deferisce) oppure de scentia (= quando verta sulla conoscenza che essa ha di un fatto altrui). Il legislatore esclude la possibilità di valersi di tale mezzo di prova: ➢ nelle cause relative a diritti di cui le parti non possono disporre ➢ quando esso dovrebbe vertere sopra ad un fatto illecito: si vuole evitare che il gelato qualora il fatto sia vero venga disposto nella scomoda alternativa di commettere un delitto di spergiuro oppure di esporsi alle conseguenze negative della stessa ➢ quando si è diretto a provare l'esistenza di un contratto per la validità della quale si è richiesta la forma scritta ➢ quando il giuramento mirerebbe a negare un fatto che da un atto pubblico risulta avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale che ha formato l'atto stesso deferimento e riferimento; prestazione e conseguenze della mancata prestazione Il giuramento decisorio può essere deferito in qualunque stato della causa davanti al giudice istruttore pertanto fino alla remissione della causa in decisione nonché in deroga al divieto di nuovi mezzi di prova, in appello nel giudizio di rinvio. Si ritiene inoltre che il giuramento può riguardare i fatti già accertati sia in positivo sia in negativo attraverso delle prove anteriormente assunte e tenuto conto che esso è in grado di prevalere su ogni altra prova. Il deferimento deve essere compiuto personalmente dalla parte con un atto da essa sottoscritto con una dichiarazione resa all'udienza oppure sempre con una dichiarazione in udienza dal difensore munito di una procura ad hoc. al momento del deferimento il giuramento deve essere formulato in articoli separati in modo chiaro e specifico e non può modificare in nessun caso la formulazione ammessa dal giudice perché quest'ultima dovrà fedelmente riprodurre la sua tesi difensiva. Il riferimento è caratterizzato da una formula che verrà invertita al fine di riprodurre la tesi difensiva della parte che aveva originariamente deferito il giuramento e che invece viene in tal modo chiamata essa stessa a giurare. Entrambi sono revocabili fino a quando l'avversario non si sia dichiarato pronto a prestare il giuramento. Quallora sorgano contestazioni riguardanti l'ammissibilità del giuramento la loro risoluzione spetta al collegio sempre che si tratti di una causa per la quale è prevista la decisione collegiale. l'ordinanza ammissiva del giuramento deve sempre essere notificata direttamente alla parte pur quando essa sia contumace. Il giuramento deve essere prestato personalmente dinanzi al giudice istruttore virgola che deve previamente ammonire la parte circa l'importanza morale dell'atto e circa le conseguenze penali delle dichiarazioni false. qualora la parte non si presenti senza giustificato motivo all'udienza fissata per l'assunzione del mezzo istruttorio oppure si rifiuta di prestare il giuramento essa rimane soccombente rispetto alla domanda o al punto di fatto relativamente al quale il giuramento è stato ammesso. 50 I limiti oggettivi Più importante numerose sono le limitazioni oggettive della prova testimoniale che fanno riferimento ai fatti sui quali la testimonianza è esclusa oppure è ammessa solo certe condizioni. Tale limitazione riguardano la prova per testi dei contratti ed attengono ai rapporti con la prova documentale che per ovvie ragioni viene in ogni caso preferita dal legislatore. I. Il limite più significativo e più rigido riguarda le ipotesi in cui attraverso la testimonianza dovrebbe privarsi l'esistenza di un contratto per la cui validità è richiesta la forma scritta: qui l'atto scritto è necessario per la validità stessa del rapporto è l'unica eccezione all'esclusione della prova testimoniale è prevista per il caso in cui essa mira a dimostrare che il contratto era stato effettivamente stipulato per iscritto e che il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova. II. sempre per la preferenza accordata alla prova documentale si limita fortemente la testimonianza che abbia ad oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento. in particolar modo qualora si assuma che la stipulazione di tali patti è stata anteriore e contemporanea rispetto alla formazione del documento, la prova testimoniale senz'altro esclusa evidentemente perché il legislatore reputa a priori inverosimile che nella stesura del documento non si sia presentato il contenuto di tali patti. se invece si allega che i patti aggiunti o contrari sono stati stipulati dopo la formazione del documento attribuito al giudice il potere di ammettere la prova per testi soltanto se ha avuto riguardo della qualità delle parti appare verosimile che se siano state fatte le aggiunte o le modificazioni verbali. III. un limite molto flessibile attiene al valore del contratto: si prevede infatti che la prova per testi non è ammessa quando il valore del suo oggetto sia superiore a 2,58 €. ovviamente si tratta di un importo divenuto col passare degli anni del tutto irrisorio in conseguenza delle svalutazioni monetarie. accanto a queste limitazioni il legislatore ha però previsto delle eccezioni ossia delle ipotesi in cui la prova testimoniale è sempre ammessa in deroga ai limiti sopraindicati: i. sussista un principio di prova scritta che viene definito come un qualsiasi scritto proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante virgola che faccia apparire verosimile il fatto allegato ii. il contraente sia stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta iii. la parte abbia perduto senza sua colpa il documento che le forniva la prova le modalità di deduzione e di assunzione della prova La prova testimoniale ricade nella disponibilità delle parti e deve essere richiesta attraverso l'indicazione specifica nei testi, nonché dei fatti, formulati in articoli separati sui quali ciascuno di essi dovrà essere interrogato. l'unico contemperamento è rappresentato dalla possibilità che il giudice disponga d'ufficio la 51 testimonianza di persone alle quali le parti si sono riferite nell'esposizione dei fatti e che appaiono in grado di conoscere la verità. La preventiva formulazione dei capitoli della prova serve non tanto a preavvertire i testimoni dei fatti sui quali dovranno riferire ma per valutare l'ammissibilità e la rilevanza della prova stessa. La riforma del 1990 introduce un considerevole elemento di rigidità nella fase di deduzione della prova che può essere tutt'altro che semplice e ciò nonostante incontra un limite tendenzialmente insuperabile delle preclusioni contemplate dall'articolo 171 ter. Con l'ordinanza di ammissione al giudice può eliminare dalla lista dei testi quelli che reputa semplicemente sovrabbondanti. La parte che aveva indicato i testi può rinunciare alla loro audizione sulla condizione che la rinuncia aderisce anche le altre parti e che acconsente il giudice. una volta che la prova è stata ammessa la parte interessata l'onere di provvedere alla citazione dei testi: essa deve chiedere all'ufficiale giudiziario che provvede ad intimare ai testi almeno 7 giorni prima dell'udienza fissata virgola di comparizione indetta udienza, indicando il luogo, al giorno e l'ora a tal fine fissati, nonché il giudice che dovrà assumere la testimonianza e la causa a cui essa si riferisce. Il testimone ha l'obbligo di comparire anche quando risiede più o meno lontano dal luogo in cui si svolge il processo. le deroghe riguardano esclusivamente le ipotesi in cui egli si trova nell'impossibilità di presentarsi oppure ne sia esentato dalla legge o da convenzioni internazionali. solo in questi casi è previsto che il giudice si rechi ad assumere la deposizione presso l'abitazione o l'ufficio del soggetto oppure delega a procedere al giudice del luogo. Al di fuori di tali deleghe se il soggetto può regolarmente citato non si presenta il giudice può ordinare una nuova intimazione oppure l'accompagnamento coattivo alla stessa udienza o alla successiva e può altresì contestualmente condannare il soggetto ad una pena pecuniaria compresa tra 100 e 1.000 €. se poi nonostante l'erogazione di tale sanzione il soggetto mette nuovamente di comparire al giudizio il giudice ne dispone l'accompagnamento coattivo e la condanna al pagamento di un'ulteriore pena pecuniaria tra i 200 e i 1.000 €. Quanto alle modalità di assunzione i testimoni devono essere esaminati separatamente: prima di interrogare il soggetto al giudice istruttore deve avvertirlo l'obbligo di dire la verità e le conseguenze penali previste per la testimonianza falsa o reticente e deve invitarlo a rendere una precisa dichiarazione di impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a sua conoscenza. la fase della deposizione verrà regolata 53 che attribuisce in via esclusiva al giudice il potere di interrogare il soggetto sui fatti per i quali era stata ammessa la prova nonché di rivolgere tutte le domande che ritiene utile chiarire i fatti medesimi. È vietato che le parti ed il pubblico ministero interroghi direttamente i testimoni. il soggetto non può servirsi per le proprie risposte discreti preparati salvo che in presenza di particolari circostanze sia stato autorizzato dal giudice avvalersi di note o appunti. il giudice può infine esercitare questa fase vari poteri come disporre anche d'ufficio il confronto tra più testimoni, ordinare d'ufficio che siano chiamati a 52 deporre le persone cui alcuni testimoni abbiano fatto riferimento per la conoscenza dei fatti e molto altro. Qualora il testimone pur essendo comparso rifiuti senza giustificato motivo di giurare o di rendere testimonianza e così come si pensi che egli abbia detto il falso, il giudice istruttore lo denuncia al pubblico ministero, trasmettendo a quest'ultimo copia del relativo verbale. la testimonianza scritta L'articolo 257 bis introdotto dalla riforma del 2009 contempla la testimonianza scritta, se la possibilità di assumere la deposizione del testimone per iscritto al di fuori dell'udienza, attraverso la compilazione di un apposito modello, anziché mediante l'interrogatorio ad opera del giudice e nel contraddittorio delle parti. Tale possibilità è opportunatamente subordinata all'accordo delle stesse parti poiché deroga ad una caratteristica essenziale della prova testimoniale rappresentata dalla esclusione diretta del soggetto in contraddittorio e lo scarsissimo successo ricorso all'istituto conferma che si tratta di una garanzia alla quale le parti ben difficilmente sono disposte a rinunciare. Il ricorso alla testimonianza scritta e comunque rimesso ad una valutazione largamente discrezionale del giudice al quale deve tener conto della natura della causa di ogni altra circostanza. Una delle ragioni che potrebbero consigliare il ricorso alla testimonianza è data dalle esigenze di assumere la prova al di fuori della circostanza del tribunale il che volendo utilizzare la testimonianza ordinaria implicherebbe la necessità di delegare al giudice del luogo. per quello che riguarda la modalità di assunzione della testimonianza scritta è previsto che il giudice debba fissare il termine entro quel testimone tenuto a rispondere ai quesiti ordinando alla parte che ne aveva richiesto l'assunzione di predisporre il modello di testimonianza virgola in conformità degli articoli ammessi e di notificarla al testimone. Quando la testimonianza ad oggetto i documenti di spesa già depositati dalle parti si può prescindere dalla compilazione del predetto modulo e la disposizione può rendersi molto più semplicemente mediante una dichiarazione scritta e sottoscritta, trasmessa direttamente al difensore della parte nel cui interesse è stata ammessa la prova testimoniale. Si prevede infine che il giudice dopo aver esaminato le risposte e le dichiarazioni scritte e naturalmente tenendo conto degli eventuali rilievi delle parti può sempre optare per il suo interrogatorio diretto in udienza disponendo che egli sia chiamato a disporre dinanzi a lui oppure dinanzi al giudice delegato del luogo. La pseudo testimonianza acquisibile nel procedimento di negoziazione assistita La riforma del 2022 ha introdotto la possibilità laddove la convenzione di negoziazione assistita espressamente lo preveda virgola di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all'oggetto della controversia. in presenza di tale clausola consente a ciascun avvocato di invitare un terzo a rendere dichiarazioni su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all'oggetto della controversia, 55 processo; ed infine dalle nuove prove create dal progresso delle scienze e della tecnologia quando esse non sono assimilabili ad altre prove tipiche. mentre la giurisprudenza non sembra nutrire alcun dubbio, la dottrina prescindendo da un'opinione minoritaria che esclude senz'altro l'ammissibilità delle prove atipiche prospetta soluzioni variegate. Prevale l'idea che la possibilità di fare ricorso a mezzi di prova diversa da quelli tipici e nominati sia confermata dall'articolo 2729 del codice civile da cui si può desumere la atipicità degli indizi utilizzabili per risalire da un fatto noto ad un fatto ignoto e nulla può escludere che la prova tipica si possa costituire un indizio utile per concorrere a formare il convincimento del giudice. L'utilizzo della prova atipica prevede diverse limitazioni: a. non sembra ammissibile che invocando a sproposito il principio del libero convincimento del giudice, trovi un ingresso nel processo prove che risulterebbero in concreto sostitutive da quelle disciplinate dalla legge b. per analoghe ragioni non è pensabile che il giudice fondi il proprio convincimento su una prova tipica che sia stata assunta irritualmente o se in violazione delle disposizioni ad essa relative c. deve essere sempre assicurato il rispetto del principio del contraddittorio tanto nella fase di formazione della prova quanto nel momento della sua valutazione: il giudice dovrebbe prendere in considerazione le sole prove atipiche sulle quali vi sia stata eventualmente su una sola citazione un'effettiva discussione tra le parti Per quanto concerne la concreta efficacia probatoria delle prove atipiche l'opinione più diffusa attribuisce loro un valore essenzialmente indiziario. Riguardo al problema delle prove illecite, vede da rilevare che se i soliti ricondurre a tale categoria se la prova assunta o acquisita al processo con modalità diverse da quelle prescritte o comunque in violazione dei limiti indicati dal legislatore, se la prova di cui la parte entrata in possesso contra legem. La prima ipotesi riguarda essenzialmente le prove costituende ed è già stata presa in considerazione nell'ambito delle prove atipiche mentre la seconda ipotesi riguarda esclusivamente la prova documentale la sola di cui si può ipotizzare che la parte sia venuta in possesso in modo illecito. Una così fatta fatta prova sarebbe semplicemente inutilizzabile ma si tratta di una conclusione che appare piuttosto debole sul piano del diritto positivo e dunque non dovrebbero poter fluire sull'efficacia probatoria. La soluzione più persuasiva ritiene doveroso un bilanciamento in concreto degli interessi e dei valori in gioco escludendo l'utilizzabilità della prova illecita solamente quando sia stata acquisita in violazione dei diritti costituzionalmente protetti. CAPITOLO OTTAVO: LA CONCLUSIONE DEL PROCESSO CON DECISIONE Sezione 1: la fase decisoria Le cause nelle quali il tribunale decide in composizione collegiale Di regola il tribunale giudica come organo monocratico, ossia nella persona dello stesso giudice istruttore. Vi sono materie nelle quali il legislatore ha ritenuto 56 opportuno probabilmente hai ragione de in particolare delicatezza conservare la garanzia della decisione collegiale. Le relative ipotesi sono le seguenti: 1. Cause nelle quali è obbligatorio l'intervento del pubblico ministero, salvo che sia altrimenti disposto. 2. Cause in materia di procedure concorsuali disciplinate dal Regio decreto numero 267 del 1942 e dalle leggi speciali concernenti la liquidazione coatta amministrativa, limitatamente alle svariate ipotesi di opposizione, impugnazione e revocazione ivi previste, nonché le cause conseguenti a dichiarazioni tardive di crediti e a quelle di omologazione del concordato fallimentare, del concordato preventivo. Con l'entrata in vigore del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza 14 del 2019, devono intendersi richiamate le corrispondenti cause disciplinate da quest'ultimo. 3. Cause devolute alle sezioni specializzate. 4. Cause disciplinate dalla legge 117 del 1988, concernente la responsabilità civile dei magistrati. 5. Procedimenti in Camera di Consiglio disciplinati dagli articoli 737 seguenti, salvo che sia altrimenti disposto. Occorre considerare l'ipotesi di connessione tra cause che dovrebbero essere decise dal tribunale in composizione monocratica e causa attribuita al Collegio. Proprio per questa eventualità avendo evidentemente come obiettivo quello di consentire comunque la trattazione unitaria, se è prevista una sorta di vis attractiva delle seconde rispetto alle prime. Il giudice istruttore, in tale ipotesi deve disporre la riunione delle più cause e poi, al termine dell'istruttoria, deve rimetterle tutte insieme al Collegio, al quale deciderà congiuntamente, salvo che non ritenga di disporre la separazione decidendone alcune soltanto e rimettendo le altre al giudice istruttore. La connessione a cui si fa riferimento tale disposizione è solamente quella che riguarda deroghe alla competenza e al rito di talune delle cause e non alla connessione meramente soggettiva o impropria. La rimissione totale della causa al Collegio Il compito del giudice istruttore consiste nel preparare la causa ed eventualmente istruirla finché la ritenga matura per essere decisa. A questo punto se si tratta di una controversa attribuita alla decisione del collegio, egli deve per l'appunto rimetterla a quest'ultimo. Le ipotesi che conducono ad investire della causa al collegio sono diverse. E sono menzionate negli articoli 187 e 188: ➢ La prima e più banale ipotesi è che la causa appaia matura per la decisione, senza bisogno di assunzione di mezzi di prova. ➢ La seconda ipotesi, che anche quella più frequente che il giudice abbia già esaurito, comunque dichiarato, l'assunzione dei mezzi di prova ammessi. ➢ La terza ipotesi ricorre quando sorge una questione attinente alla giurisdizione o alla competenza o ad altra pregiudiziale di rito oppure una questione di merito avente carattere preliminare ed egualmente idonea a definire il giudizio. In entrambi i casi, il giudice istruttore può scegliere se 57 investire immediatamente della questione il Collegio oppure completare gli istruttori e far decidere la questione medesima alla fine, unitamente al merito. Si presuppone che il giudice valuti lui stesso la serietà della questione, optando per la rimessione immediata quando la ritenga fondata e pertanto reputi inutile un'eventuale istruttoria. In tutti i casi che procedono la rimessione che potrebbe aver luogo anche nella primissima udienza è comunque totale, nel senso che investe il collegio di tutta la causa, il che significa che il Collegio stesso potrebbe pronunciare sul merito della causa, qualora la reputasse matura per la decisione, senza bisogno di assumere prove. La precisazione delle conclusioni, gli scritti difensivi finali e le eventuali udienza di discussione dinanzi al collegio, a secondo l'iter ordinario Fino alla riforma del 1990. Il giudice istruttore, nel rimettere la causa al Collegio, fissava in ogni caso un'udienza dinanzi al Collegio stesso, virtualmente destinata alla discussione della causa. Era un'udienza che precedeva all'inizio della fase decisoria. Mentre oggi, come si dirà meglio tra poco. Tale udienza viene fissata solo se una delle parti ne fa espressa in stanza. L'articolo 189 prevede dunque che il giudice istruttore, quando ritiene che la causa sia matura per la decisione fissi di regola un'udienza dinanzi a sé per la rimessione della causa al collegio e nel contempo il segnale parti stradisti termini redentori entro i quali esse devono provvedere alle attività difensive finali. Il primo di tali termini, non superiore a 60 giorni prima dell'udienza, tiene al deposito di note scritte limitate alla sola precisazione delle conclusioni che le parti intendono sottoporre al Collegio, nei limiti di quelle formulate degli atti introduttivi. La precisazione delle conclusioni dovrebbe avere una duplice funzione: per un verso fare il punto circa le eventuali modificazioni apportate alle conclusioni iniziali in sede di trattazione della causa e per l'altro verso procedere a qualche ulteriore aggiustamento, vuoi in senso riduttivo, o vuoi in senso della precisazione di domande ed eccezioni anteriormente proposte.Non è un'attività trascurabile, soprattutto in relazione all'eventuale impugnazione della sentenza in cui si valuteranno, sulla base delle richieste rispettivamente formulate in questa sede. Entro il secondo e il terzo termine, rispettivamente non superiore a 30 e a 15 giorni prima dell'udienza, le parti possono poi depositare le comparse conclusionali e le memorie di replica. Le prime sono scritte in cui si compendiano ed eventualmente si sviluppano ulteriormente le tesi difensive della parte fermo restando ovviamente l'esclusione di ogni nuovo allegazione, quantomeno in fatto. Le seconde, invece, dovrebbero avere la sola funzione di contraddire le argomentazioni avverse senza alcuna possibilità di ampliare il tema controverso attraverso l'introduzione di questioni non toccate nelle comparse conclusionali. All'udienza, infine, la causa è rimessa al collegio ed entra dunque nella fase decisoria vera e propria: Da tale udienza prende a decorrere il termine di 60 giorni entro cui la sentenza collegiale dovrebbe essere depositata in cancelleria. L'articolo 275, secondo comma, stabilisce che ciascuna delle parti, con la nota di precisazione delle conclusioni, può chiedere al presidente del Tribunale che la causa sia discussa oralmente dinanzi al Collegio, nel qual caso resta fermo il solo termine per il deposito delle comparse conclusionali e il presidente, revocata l'udienza già fissata dal 60 processo dovrà proseguire per accertare se la domanda sia o no fondata nel merito. o Quando il Collegio decide parzialmente il merito, accogliendo o rigettando alcuna soltanto delle più domande cumulate nel processo. L'articolo 277, secondo comma, consente al Collegio di limitare la propria decisione ad alcune delle domande allorché riconosca che per esse soltanto non sia necessario un'ulteriore istruzione e nel contempo gliene faccio istanza una parte che gli abbia un interesse apprezzabile alla sollecita definizione di tali domande. In entrambi i casi, la pronuncia della sentenza non definitiva si accompagna inevitabilmente alla pronuncia di distinti provvedimenti resi nella forma dell'ordinanza con i quali lo stesso collego e impartisce a disposizioni circa l'ulteriore istruzione della causa, che a questo punto deve tornare necessariamente dinanzi al giudice istruttore. Ieri da considerare, infine, che la pronuncia della sentenza è prescritta ai sensi dell'articolo 279, secondo comma, numero 5: - Allorché il Collegio, avvalendosi della facoltà prevista, decida alcune soltanto delle cause fino a quel momento riunite con distinti provvedimenti, disponga la separazione e la consecuzione dell'istruzione per le altre parti. Come nelle ipotesi del punto precedente, se una decisione parziale del merito ma la differenza aveva il fatto che qui il cumulo di cause viene definitivamente scisso in conseguenza di un provvedimento di separazione che genera una biforcazione del processo originariamente unico, sicché la sentenza, pur riguardando taluna soltanto delle cause, è da considerarsi definitiva del relativo processo. La decisione con l'ordinanza, invece, è prevista al di fuori delle ipotesi fin qui esaminate e cioè quando il collegio provvede soltanto su questioni relative all'istruzione della causa, senza definire il giudizio, nonché quando decide esclusivamente sulla competenza. La sentenza di cessione della materia del contendere La cessazione della materia del contendere, un istituto di origine essenzialmente giurisprudenziale, finalizzato a dare rilievo ad alcuni eventi di natura processuale o più spesso sostanziale sopravvenuti nel corso del giudizio, che comunque impedirebbero di accogliere la domanda nella sua formulazione originaria. Per evitare conseguenze incongrue si ammette che il giudice in tali situazioni possa dichiarare cessata la materia del contendere, dando atto cioè che la controversia fra le parti è stata sostanzialmente composta e pronunciare tuttavia sulle spese in base al criterio della soccombenza meramente virtuale o potenziale, valutando quello che sarebbe stato l'esito del giudizio senza il sopravvenire di quel determinato fatto. E chiaro che la cessazione della materia del contendere non rappresenta un'autonoma modalità di conclusione del processo, ma una peculiare contenuto della sentenza definitiva. Le fattispecie di natura sostanziale che più frequentemente vengono ricondotte dall'Istituto sono quelle da cui deriva la piena realizzazione del diritto per cui era stata invocata la tutela giurisdizionale, oppure una radicale 61 modificazione del rapporto giuridico dedotto in giudizio, oppure ancora la sua essenza in un derivante dalla volontà di alcune delle parti. Sul piano processuale la pronuncia di cessazione della materia del contendere viene spesso adoperata in caso di concorso di impugnazione nei confronti della medesima sentenza poiché accoglimento dell impugnazione rende solitamente inutile la prosecuzione dell‘altra. La natura di questo provvedimento è molto controversa e ciò anche in conseguenza alla eterogeneità delle situazioni in cui esso può intervenire che rende difficile una ricostruzione unitaria. La tesi più persuasiva è che si tratti non già di una sentenza meramente processuale bensì di una vera e propria sentenza di merito, che peraltro, pronuncia soggetto diverso rispetto a quello originario, solitamente limitato al mero accertamento del diritto dedotto in giudizio. La formazione della sentenza documento Dopo la deliberazione si apre il procedimento interno diretto alla stesura della sentenza vera e propria ossia del documento contenente gli elementi prescritti dall'articolo 132. In questa fase la sentenza non può ancora essere ritenuta giuridicamente esistente, tant'è che qualora dovesse intervenire un mutamento normativo rilevante per il giudizio, si ritiene che il giudice sia tenuto a tornare a deliberare per confermare la propria decisione allo ius superveniens. L'attività più delicata ed impegnativa è rappresentata dalla stesura della motivazione, la quale consiste nell'esposizione succinta dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, eventualmente avvalendosi del riferimento a precedenti conformi. Nel caso in cui si tratta di un organo collegiale, essa viene affidata allo stesso relatore a meno che il Presidente non ritenga distenderla egli, esso pure di affidarla ad un'altro giudice.Una volta approntata la minuta della sentenza, l'estensore la consegna al Presidente che può a questo punto, laddove lo ritengo opportuno, darne lettura all'intero collegio. Successivamente, lo stesso Presidente sottoscrive la minuta insieme con l'estensione e la consegna al Cancelliere, al quale ha la responsabilità di far redigere il testo originale della sentenza, provvisto di tutti gli elementi di forma contenuto. Quando l'originale è pronto, il Presidente dell'estensore, dopo aver verificato la corrispondenza rispetto alla minuta consegnata al Cancelliere, vi appongono la propria firma facendo risultare l'identità del giudice che ha steso la motivazione. L'ultima tappa di questo iter era presentata dal deposito della sentenza, documento in cancelleria, che serve a rendere pubblica la decisione e a conferire giuridica esistenza rendendola non più modificabile se non attraverso gli appositi rimedi previsti dalla legge. La pubblicazione della sentenza risulterebbe da un'attività combinata del giudice che materialmente deve depositare in cancelleria e dello stesso Cancelliere, che deve darne atto del deposito in calce alla sentenza, apponendovi data e firma. Oggi tale formalità è superata dal deposito con modalità telematiche. La fase decisoria dinanzi al tribunale in composizione monocratica Nelle cause attribuite al tribunale in composizione monocratica, nelle quali la pronuncia della sentenza spetta dunque allo stesso giudice istruttore della fase 62 decisoria. Diverge sono in piccola parte da quella descritta nei paragrafi precedenti. L'articolo 281 quinques prevede che pure in tali cause trovino applicazione le disposizioni dell'articolo 189 concernenti la fissazione dell'udienza di rimessione della causa in decisione. L'assegnazione dei termini per il deposito delle note di precisazione delle conclusioni e degli iscritti conclusivi è l'unica peculiarità verte al minor termine, 30 giorni, concesso al giudice per il deposito della sentenza. Anche qui, ciascuna delle parti può chiedere che la causa sia discussa oralmente. In questo caso il giudice fissa solo i termini per il deposito delle note di precisazione delle conclusioni delle comparse conclusionali e fissa l'udienza di discussione orale non oltre 30 giorni dalla scadenza del termine per comparse conclusionali. L'ulteriore analogia riguardo la possibilità di optare per una modalità decisoria semplificata, simile a quella definita in precedenza. Si prevede che il giudice, fatte precisare le parti, le conclusioni, possa ordinare che la discussione orale della causa nella stessa udienza oppure se da una delle parti glielo chiede il numero udienza successiva senza assegnare alcun termine per il deposito degli scritti conclusivi, pronunciando poi la sentenza al termine della discussione, con letture immediate in udienza del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione. Tenuto conto di ciò che sto diverso iter dovrebbe essere riservata alle cause particolarmente semplici che si prestano ad una decisione dalla motivazione molto sintetica. Anche in questo caso la riforma del 2022 ha previsto che il giudice possa poi in qualche modo ripensarci, depositando la sentenza in cancelleria entro i 30 giorni successivi dall'udienza. Il regime delle questioni relative alla composizione del tribunale La circostanza che il Tribunale debba decidere, a seconda dei casi in composizione monocratica o collegiale, rende evidente possibili errori. Più di un elemento, però, dimostra che il legislatore è inteso a sdrammatizzare il più possibile le conseguenze di tali errori: ❖ In primo luogo è escluso che possa sorgere un vero e proprio conflitto tra il giudice istruttore e il collegio circa la composizione dell'organo giudicante. Si desume che se il giudice istruttore ritiene di trattarsi di una causa che spetta a lui decidere, le parti non hanno in alcun modo per investire sulla questione del collegio, mentre l'opposto se l'istruttore rimette la causa al Collegio e quest'ultimo ritiene che non sussista alcuna delle ipotesi previste, non deve fare altro che restituire la causa stessa con un'ordinanza non impugnabile al giudice istruttore. Qualora invece il giudice istruttore, dopo aver già riservato la causa per la decisione dinanzi a sé, se accorga che a decidere deve essere il collegio, rimette senz'altro la causa, quest'ultimo, con un'ordinanza che deve essere comunicata alle parti e se una delle parti entro i 10 giorni successivi da tale comunicazione chiede la fissazione dell'udienza di discussione di fronte al collegio si procede ai sensi dell'articolo 275 bis. Il che significa che dovrà riavviare la fase decisoria, fissando l'udienza di fronte al collegio, assegnando alle parti nuovi termini per il deposito di note di precisazione delle conclusioni di note conclusionali. 65 Dopo la riforma del 1990, tenuto conto che l'articolo 282 si riferisce genericamente alla sentenza di primo grado e non specificamente alla condanna, una parte della dottrina ha cautamente ventilato la possibilità che l'esecutività provvisoria si estenda alle sentenze costitutive. La tesi, tuttavia, non può condividersi, sia perché neppure la versione originale dell'articolo stesso menzionava espressamente le sole sentenze di condanna, sia perché essa si tradurrebbe in una sostanza, l'abrogazione dell'articolo 2909, equiparando l'esecutività provvisoria la sentenza ad una vera e propria anticipazione degli effetti del giudicato. Deve ritenersi, pertanto, che la sentenza, quale che sia la sua natura, non possa fare stato né possa essere invocata in un diverso giudizio, prima che sia passata in giudicato. Ciò non esclude che essa, all'interno del processo in cui è stata pronunciata, se invece di per sé idonea, sebbene non ha ancora passato in giudicato, a fondare ulteriori provvedimenti che trovino la propria ragion d'essere a seconda dei casi nel rapporto oggetto del mero accertamento, oppure nella modificazione sostanziale recata dalla sentenza costitutiva. Era da considerare la controversa possibilità che, una volta passata in giudicato la sentenza costitutiva, i suoi effetti possano farsi retroagire ad un momento anteriore. Nulla esclude per quest'ultimo aspetto, che il legislatore intervenga con la disposizione ad hoc di natura sostanziale, Mirante per l'appunto, ad anticipare in tutto o in parte gli effetti derivanti dalla pronuncia costitutiva. Al di fuori di queste ipotesi proprio la rilevata possibilità che l'esecuzione provvisoria di una sentenza di condanna si fondi su una modificazione giuridica non ancora operante induce a pensare che intanto può avvenire, in quanto la modificazione stessa sia poi destinata a retroagire una volta che la sentenza abbia acquistato l'autorità della cosa, giudicata ad un momento non posteriore alla pronuncia, cioè la pubblicazione della sentenza costitutiva. In altre parole, la circostanza che la sentenza di condanna sia di per sé immediatamente eseguibile, depone innegabilmente a favore di una parziale naturale retroattività del giudicato costitutivo, perlomeno quando si tratta di effetti che le parti avrebbero potuto conseguire al di fuori del processo. Nel caso delle azioni costitutive necessarie, poiché il provvedimento del giudice e in surrogabile per prodursi della richiesta di modificazione sostanziale, sembra inevitabile negare, in mancanza di una diversa previsione normativa, che tale modificazione, dopo il passaggio in giudicato, possa farsi risalire ad un momento anteriore. La sentenza condizionale Tenuto conto che alla base di ogni sentenza deve essere ben accertamento destinato a fare stato ai sensi dell'articolo 2909, parrebbe da escludersi la possibilità che tale accertamento, al pari della sostituzione costitutivo di condanna che adesso si accompagni, possa essere comunque condizionati, in positivo o in negativo al verificarsi di un evento futuro incerto, alla stessa stregua di un contratto, e ciò ha indotto una parte della dottrina a negare, o almeno limitare da seccamente l'ammissibilità delle sentenze condizionali poiché un siffatto condizionamento sembra per l'appunto contraddire il concetto stesso di accertamento. Non trascurabili ragioni pratiche hanno fatto sì che la figura della sentenza condizionale trovasse frequente riconoscimento nella giurisprudenza, particolarmente in relazione alle statuizioni di condanna alla cui efficacia si ammette 66 che possa essere subordinata ad un evento futuro ed incerto, oppure al sopravvenire di un termine o all'adempimento di una controprestazione. Purché si aggiunge si tratti di una circostanza che non richieda ulteriori accertamenti giudiziali e sia invece verificabile all'occorrenza in sede di opposizione all'esecuzione. In realtà non mancano ipotesi in cui è espressamente previsto che l'efficacia esecutiva di una sentenza sia subordinata per legge o in virtù di un provvedimento discrezionale del giudice ad un determinato adempimento. Prescindendo da questa ultima fattispecie nella quale la condizione opera sul terreno strettamente processuale, la condanna a condizionale, caratterizzata dalla circostanza che l'obbligo accertato nella sentenza non può dunque dirsi sul piano sostanziale realmente attuale, non essendosi ancora verificati tutti i fatti dai quali esso dipende, sicché agevole cogliere l'affinità di tale figura rispetto alla condanna in futuro. Rimane da aggiungere che la sentenza condizionale non sembra configurabile al di fuori della condanna ed in particolare in relazione alle pronunce costitutive, essendo difficile ammettere che una modifica giuridica che dovrebbe prodursi in virtù del provvedimento del giudice possa essere tra quest'ultimo differita al verificarsi di un fatto futuro ed incerto che lo stesso giudice rinuncerebbe ad accertare e che peraltro è indispensabile dal punto di vista sostanziale, perché quella modificazione giuridica si produca. CAPITOLO NOVE: LA CONCLUSIONE DEL PROCESSO SENZA DECISIONE Sezione 1: la conciliazione La conciliazione come autonoma modalità di definizione del processo Accanto all'ipotesi in cui si pervenga ad una sentenza definitiva il processo può concludersi in altri due modi: per conciliazione o per estinzione. Mentre l'esenzione, come se avrà molto di spiegare nella sezione successiva, è un evento frequentissimo, la conciliazione giudiziale, da non confondere con quello che si può attuare al di fuori del processo e che talora costituisce l'oggetto di un tentativo preventivo obbligatorio quale condizione di procedibilità della domanda, rappresenta al contrario un esito abbastanza raro del giudizio, quantomeno al di fuori di determinati settori di contenzioso. Premesso infatti, che essa presuppone un accordo, il più delle volte di tipo transattivo diretto a porre comunque fino alla controversia, non accade molto spesso che le parti, pur avendo raggiunto un siffatto accordo, lo formalizzino dinanzi al giudice per farle inserire in un apposito verbale, e ciò in ragione soprattutto delle conseguenze di ordine fiscale che potrebbero derivarne. Per questo motivo la alla conciliazione si ricorre in genere solamente quando le parti abbiano un preciso interesse a munirsi di un titolo esecutivo, oppure a rendere inoppugnabile l'accordo raggiunto sul piano sostanziale. Se hai già avuto modo di farci uno al tentativo di conciliazione che dovrebbe aver luogo nella prima udienza di idratazione. Esso può essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione, disponendosi a tal fine la comparizione personale delle parti. La conciliazione Può intervenire, seppure in un certo senso, a titolo provvisorio e precario tra i procuratori delle parti che non siano stati espressamente autorizzati a 67 conciliare, nel qual caso il giudice ne prende atto nel verbale di udienza e fissa poi l'udienza successiva in cui potranno comparire da parte al fine di redigere il vero e proprio verbale di conciliazione, oppure, se le parti non risiedono nella circoscrizione dell'Ufficio giudiziario, può autorizzare a ratificare a distanza la Convenzione conclusa dai procuratori con una dichiarazione ricevuta dal Cancelliere del Tribunale della loro residenza, o se il luogo di residenza non è sede di tribunale da un notaio, fissando un opportuno termine. Il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo ed oggi, anche alla luce di un'indicazione interpretativa proveniente dalla Corte costituzionale, prevale l'idea che esso sia pienamente parificabile ad una sentenza di condanna, rientrando fra gli altri atti a cui fa riferimento l'articolo 474, secondo comma e potendo dar vita a qualunque tipo di esecuzione forzata. E opinione diffusa con la redazione del verbale di conciliazione debba essere seguita da un provvedimento di cancellazione della causa dal ruolo che serve a sancire il definitivo esaurimento del giudizio ed il conseguente venir meno della litispendenza. Sezione 2: l’estinzione del processo Rilievi introduttivi Sebbene il legislatore reputi normale che il processo, quando non è possibile conseguire la conciliazione delle parti, si concluda con una decisione di merito o di rito in concreto moltissime cause non arrivano, per fortuna, a quella decisione, bensì si estinguono strada facendo per le ragioni più disparate. La disciplina dell'esenzione offre uno strumento assai semplice per porre fine a tale ipotesi al processo, ed è ciò che spiega perché addirittura una buona metà dei processi abbiano questo esito. Il codice prevede più precisamente, che l'estinzione possa aversi per rinuncia degli atti del giudizio oppure per inattività delle parti. In entrambi i casi il processo, poi ugualmente concludersi formalmente con un provvedimento del giudice che però si limita a dare atto dell'avvenuta estinzione. La rinuncia agli atti del giudizio In qualunque momento, perlomeno fino a quando la causa non proviene alla fase decisoria, l'attore può rinunciare agli atti del giudizio, dichiarare di non volerlo proseguire, anche se non sempre tale sua opzione unilaterale è sufficiente a determinare senz'altro l’estinzione del processo. Perché la rinuncia agli atti possa condurre all'estinzione è necessario infatti, che anch'essa sia accettata da tutte le parti costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione del giudizio, compresi naturalmente, linea di principio i terzi che vi siano eventualmente intervenuti. Questa condizione si spiega, considerando che l'esenzione non pone al riparo il convenuto dal rischio di dover affrontare un nuovo processo laddove la medesima domanda sia successivamente riproposta, sicché è ben possibile che egli, specie dove sia sufficientemente sicuro delle proprie ragioni, preferisca perseguire una sentenza di merito a lui favorevole. 70 termini, l'altra potrebbe dedurre che non si intende costituire, dunque potrebbe confidare nel mancato avvio del processo. Per evitare tale situazione, che provocherebbe l'unità del giudizio per violazione dell'articolo 101, si deve ritenere che laddove il convenuto non si costituisca oppure se in ritardo, il giudice debba disporre la cancellazione della causa dal ruolo e la causa, in applicazione dello stesso articolo 307, debba essere riassunta pena di estinzione entro tre mesi dal relativo provvedimento. Le ipotesi di estinzione conseguente alla cancellazione della causa dal ruolo. Per la cancellazione della causa dal ruolo altro che non è se un'attività di segno opposto rispetto all'iscrizione al ruolo che serve per l'appunto a liberare formalmente ai giudici ufficio giudiziario dal carico della causa. Tuttavia, essa non fa venir meno la pendenza della causa stessa, bensì rappresenta solo un presupposto della successiva estinzione. La cancellazione dal ruolo fa entrare la causa nella medesima situazione di quiescenza descritta nel paragrafo precedente, da cui può essere riattivata mediante riassunzione entro tre mesi dal relativo provvedimento. Dopo la riforma del 2009, tale regime trova applicazione solo nell'ipotesi contemplata legata dell'ordine di chiamata di un soggetto terzo, mentre in tutti gli altri casi si procede alla cancellazione del ruolo consegue l'esenzione immediata del processo. La prima di tale ipotesi presuppone che l'attore, pur essendo esteriormente costituito, non compaia alla prima udienza. In questo caso, se il convenuto non chiede che si proceda comunque il giudice fissa una nuovo udienza di cui il Cancelliere dà comunicazione all'attore poi, se questi non compare neppure nella nuova udienza, ed il convenuto non chiede che si proceda ugualmente, ordina la cancellazione della causa dal ruolo e dichiara l'estinzione del processo. L'ultima delle fattispecie, ora considerata rappresentata dalla diserzione bilaterale dell'udienza, ossia dalla mancata comparizione di tutte le parti all'udienza di prima comparizione oppure ad una qualunque udienza successiva. Anche in questa ipotesi è previsto che il giudice fissa un nuovo udienza, di cui il Cancelliere deve dare comunicazione alle sole parti costituite. E poi, se neppure al nuovo udienza alcuna delle parti compare, si dispone la cancellazione della causa dal ruolo e la contestuale estensione del processo. Le altre ipotesi di estinzione, conseguente al mancato compimento di atti di impulso L'ultimo gruppo di fattispecie che possono dar luogo all'estinzione sono quelle derivanti dal mancato compimento di determinati atti di impulso del processo nel termine perentorio stabilito dalla legge, oppure dallo stesso giudice, allorché la legge a ciò lo autorizzi. Il termine può variare da un minimo di un mese a un massimo di tre mesi. Tali atti di impulso possono consistere: ▪ Nella riassunzione. ▪ Nella prosecuzione del processo sospeso interrotto. ▪ Nella integrazione del giudizio. 71 ▪ Nella rinnovazione della citazione e della notificazione della citazione che sia affetta da nullità. In alcune di queste fattispecie, per le quali la dottrina ha coniato l'espressione in attività qualificata, l'esenzione consegue alla mancata instaurazione del contraddittorio. Il regime della pronuncia di estinzione L'estinzione opera di diritto sia la dichiarata anche di ufficio con ordinanza del giudice istruttore, ovvero con sentenza del Collegio. Per quel che riguarda il secondo aspetto, cioè la dichiarazione d'ufficio, veda sottolineare che la disposizione menzionata non prevede alcun termine per il rilievo d'ufficio dell'intervenuta estinzione, sicché deve ritenere che il verificarsi di una fattispecie estintiva resti rilevabile in linea di principio, finanche in fase di impugnazione. Quanto hai presupposto della pronuncia di esenzione? Deve aggiungersi che essa compete esclusivamente al giudice del processo estinto, non potendo richiedersi in un diverso giudizio. In compenso, però, se ammette pacificamente la possibilità che il processo dopo lo spirare del termine per la sua riattivazione venga riassunto dalla parte interessata proprio al fine di farne dichiarare l'estinzione. La forma del provvedimento e la relativa competenza Per quello che riguarda la forma del provvedimento, secondo l'opinione più diffusa, si attribuisce alle sole cause in quella decisione del Tribunale in composizione collegiale. In relazione a tale ipotesi, è previsto che l'esenzione possa essere pronunciata tanto dal giudice istruttore, evidentemente quanto la relativa eccezione sia stata sollevata dinanzi a lui quanto dal Collegio, allorché la questione sia sorta dopo che la causa gli è stata rimessa. La declaratoria di estinzione proveniente dal giudice istruttore assume la forma dell'ordinanza, non revocabile, ma contro cui è ammesso uno specifico mezzo di impugnazione, Il reclamo al collegio, che ha disciplinato dall'articolo 178, comma terzo e quinto. All'esito di tale impugnazione, il Collegio, decidendo in Camera di Consiglio, pronuncia ordinanza non impugnabile se accoglie il reclamo, ritenendo che l'esenzione non sia verificata e che il giudizio deve pertanto proseguire oppure una sentenza impugnabile attraverso le vie ordinarie quando rigetta il reclamo, confermando l'estinzione. Nelle cause che spettano alla decisione del giudice istruttore, in funzione di giudice unico e pressoché pacifico, che la pronuncia di esenzione debba sempre rivestire la forma della sentenza, sia perché l'istruttore è rivestito di tutti i poteri del Collegio, sia perché, trattandosi di un provvedimento definitivo del processo, non è pensabile che alle parti sia negato il diritto di impugnarlo. Gli effetti dell'estinzione: In particolare la sopravvivenza dell'azione L'articolo 310 disciplina una serie di effetti dell'esenzione del giudizio di primo grado, comuni tanto all'estinzione per rinuncia agli atti quanto a quella per inattività delle parti, con la sola eccezione relativa alle spese che nella seconda ipotesi restano definitivamente a carico delle parti che le avevano anticipate, mentre in caso di rinuncia agli atti come si è visto, sono di regola a carica del rinunciante. 72 Il primo punto da considerare riguarda gli effetti sull'azione: L'estinzione del processo non estingue l'azione, il che significa che essa non osta di per sé la riproposizione della medesima domanda di un nuovo processo, né tantomeno un po direttamente pregiudicare il diritto che era stato dedotto al giudizio estinto. Non vanno trascurati gli effetti negativi indiretti che l'estensione potrebbe determinare in relazione alla prescrizione e alla decadenza del diritto azionato. Per quanto riguarda la prima, vi è da definire che la domanda giudiziaria produce un effetto interruttivo sospensivo della prescrizione, la quale riprende a decorrere di regola dal momento in cui passa in giudicato la sentenza definitiva del giudizio. Se però il processo non arriva alla sentenza definitiva e si estingue prima, l'effetto sospensivo viene praticamente cancellato e sopravvive solo l'effetto interruttivo, così che il nuovo periodo di prescrizione prenda a decorrere dalla data in cui quell'effetto interruttivo si è verificato, cioè dal giorno stesso della domanda giudiziale. Questo implica che, specialmente quando si applicabile alla prescrizione breve, non è affatto escluso che l'estensione del processo provochi l'estinzione del diritto che era fatto valere. Meno pacifiche sono invece, in mancanza di una disposizione ad hoc, le relazioni tra l'estinzione del processo e la decadenza, la quale, come noto, non può essere interrotta nei di regola sospesa, ma solamente impedita attraverso il compimento dell'atto previsto dalla legge o dal contratto. Si discute dunque, se nelle ipotesi in cui l'esercizio del diritto è soggetto ad un termine di decadenza, la tempestiva proposizione della domanda giudiziale sia idonea di impedire, una volta per tutte la decadenza del diritto medesimo oppure se, al contrario, l'impedimento della decadenza resti travolto dall'eventuale estensione del processo. L'orientamento prevalente rifiuta giustamente la prima soluzione, la quale penalizzerebbe ovviamente le esigenze di certezza giuridica che sono alla base dell'istituto della decadenza e si ritiene pertanto che l'effetto impeditivo della decadenza prodotto dalla domanda giudiziale possa operare in linea di principio solo all'interno del processo in cui la domanda medesima è stata proposta. L'inefficacia degli atti del processo estinto: L'ambito di efficacia delle sentenze Gli atti processuali sono normalmente privi di una propria autonoma funzione, diversa da quella del lato sensu preparatoria del provvedimento finale o della decisione della causa a cui sono strumentali. È del tutto logico, peraltro, che si perdano ogni efficacia qualora la decisione non possa più intervenire per essersi il processo estinto. Sono presenti però diverse eccezioni: o In primo luogo si ritiene, pur in mancanza di una disposizione ad hoc, che esso non possa valere per i provvedimenti che, pur traendo origine ed occasione del processo estinto, abbiano in realtà una propria autonoma ragione di essere. o In secondo luogo vi sono norme specifiche che stabiliscono espressamente la sopravvivenza all’estinzione di provvedimenti sommari e anticipatori resi nel corso del processo. Lo stesso articolo 310, secondo comma, prevede che mantengano efficacia, pur dopo l'estinzione delle sentenze di merito pronunciata nel corso del processo e le pronunce che regolano la 75 incidere sull effettività del contraddittorio o comunque di rendere deteriore la posizione processuale della parte stessa, abbia sempre a propria disposizione un rimedio concretamente idoneo a far valere la nullità ed ottenere una revisione della decisione che ne è affetta. Prescindendo da questi limiti, non è certo un caso se tutti gli ordinamenti moderni li prevedono, un sistema più o meno complesso dell'articolato di impugnazione, in specie nei confronti dei provvedimenti che incidono nel merito della causa e generalmente consentono quantomeno un doppio grado pieno di giurisdizione. Ciò vuol dire che si consente alle parti la possibilità, dopo aver ottenuto una prima sentenza, di denunciarne qualunque vizio ad un secondo giudice munito di poteri del tutto analoghi a quelli del primo, per ottenere una nuova decisione che eventualmente sostituisca, in tutto o in parte, quella impugnata. Nulla può assicurare che la seconda decisione sia migliore e più corretta della prima. Non è affatto detto che il giudice investito dell'impugnazione sia più bravo del giudice da cui proviene il provvedimento impugnato. Indipendentemente dall'ampiezza dei poteri attribuiti al giudice dell'impugnazione, si può dire che ogni razionale sistema di impugnazione è orientato verso una progressiva selezione e riduzione delle questioni deducibili, destinata a rendere sempre più remota ( senza poterla mai escludere in assoluto) l'eventualità di una caducazione della decisione. Tipicità e classificazione dei mezzi di impugnazione È principio del tutto pacifico, che i rimedi consentiti nei confronti dei provvedimenti giurisdizionali abbiano la natura tipica e nominata e siano ammessi nei soli casi previsti dalla legge. Di fatto, il legislatore ha previsto un sistema articolato ed organico di impugnazione esclusivamente nei confronti delle sentenze, sia dei provvedimenti muniti di una particolare stabilità e normalmente idonea ad acquisire le autorità propria del giudicato. Per le ordinanze per i decreti, sebbene non manchino ipotesi in cui sono ammessi i rimedi simili a quelli dati nei confronti delle sentenze o aventi comunque una funzione analoga, il principio è quello della non impugnabilità, indipendentemente dal contenuto del provvedimento, nonché alla circostanza che esso sia o no revocabile o modificabile. Limitando l'analisi ai mezzi di impugnazione delle sentenze aventi caratteri generali, essi, a norma dell'articolo 323 sono l'appello, al ricorso per Cassazione, La revocazione, l'opposizione di terzo e il regolamento di competenza. A questo elenco va poi aggiunto, sebbene non si tratti di un'impugnazione, actio nullitatis, cioè l'azione di accertamento negativo eccezionalmente ammessa nei confronti della sentenza priva della sottoscrizione del giudice. Vediamo ora le classificazioni più diffuse delle impugnazioni: a) Impugnazioni ordinarie e straordinarie. Tale distinzione è strettamente correlata alla nozione di giudicato formale. Sono ordinarie le impugnazioni che impediscono finché sono proponibili, che la sentenza passi in giudicato ( Appello, ricorso per Cassazione, regolamento di competenza E per alcuni casi la revocazione). Sono impugnazioni straordinarie l'opposizione di terzo e la revocazione per uno dei rimanenti motivi complicati dall'articolo 391 76 quater,395 397, che non interferiscono col passaggio in giudicato della sentenza e che d'altronde sono esperibili anche contro una sentenza formalmente già passata in giudicato. La distinzione si fonda su ragioni sostanziali agevolmente individuabili: le impugnazioni ordinarie, ricollegandosi a vizi che la parte legittima ben può cogliere fin dal momento della pubblicazione della sentenza, sono assoggettati a termini certi, non soltanto nella durata, ma anche nella decorrenza; Le impugnazioni straordinarie, essendo consentite per i vizi che potrebbero emergere in un momento successivo alla pubblicazione della sentenza oppure ai soggetti che sono rimasti estranei al processo, sono esperibili entro i termini la cui decorrenza non è determinabile a priori o addirittura senza limiti temporale. b) Impugnazioni a critica libera e a critica vincolata Questa distinzione attiene la circostanza che i vizi per i quali l'impugnazione è ammessa, siano no predeterminati dalla legge. Un'impugnazione critica libera sicuramente l'appello che può fondarsi su qualunque errore in iudicando o in procedendo attribuito al primo giudice. Un'impugnazione critica vincolata sono invece il ricorso per Cassazione, la revocazione, nonché l'opposizione di terzo revocatoria ammessa quando la sentenza è l'effetto di dolo o collusione delle parti, danno di un terzo. c) Impugnazioni sostitutive e rescindenti In linea di principio, tutte le impugnazioni possono condurre, seppure magari indirettamente, alla sostituzione della sentenza Impugnata con una nuova decisione che abbia il medesimo oggetto e dunque pronunci entro i termini dell'impugnazione sulla stessa domanda che era stata formulata dinanzi al giudice a quo; Sempre che il vizio denunciato non escluda di per sé la possibilità di decidere in merito della causa. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la fase rescissoria cioè deputata per l'appunto, alla pronuncia di una nuova decisione presuppone, quantomeno sul piano logico, che si sia positivamente conclusa una prima fase rescindente destinata alla verifica dei vizi denunciati dell'impugnazione e dunque l'annullamento, comunque alla caducazione del provvedimento impugnato: In caso contrario, se a ogni qualvolta quella preliminare verifica non conduca l'accertamento di un vizio che implica una siffatta caducazione, l'impugnazione viene rigettata e non si ha alcuna sostituzione. Le impugnazioni che corrispondono a questo modello si dicono rescindente perché hanno come obiettivo l'eliminazione del provvedimento impugnato. Solamente l'appello deroga al suddetto schema, giacché sembra strutturato in modo tale da condurre sempre e comunque la diretta sostituzione della decisione impugnata, perfino quando esso si concluda con rigetto dell'impugnazione e la piena conferma della sentenza di primo grado che viene anche in questo caso rimpiazzata da quella del giudice dell'impugnazione. L'appello appartiene al novero delle impugnazioni sostitutive. La qualificazione del provvedimento al fine della sua impugnazione Per le ragioni illustrate nel paragrafo precedente, l'individuazione dei rimedi esperibili nei confronti di un determinato provvedimento giurisdizionale dipende 77 anzitutto dalla forma che esso riveste da allora, anche dall'oggetto della controversia. Quando non si tratta di un'assenza, possono assumere il rilievo anche il contenuto del provvedimento ed il contesto in cui è stato pronunciato, già che l'impugnazione dell'ordinanza dei decreti, consentita solamente per quelli eventi un determinato oggetto, ovvero una specifica finalità. In caso di errore del giudice, un primo principio spesso utilizzato a questo riguardo attiene alla tutela dell'apparenza e del legittimo affidamento delle parti che impongono di prendere comunque per buona la qualificazione, che il giudice abbia consapevolmente attribuito, esplicitamente o implicitamente all'oggetto del processo o al provvedimento stesso, allorché il regime di impugnazione di quest'ultimo dipenda per l'appunto da tale qualificazione. Al di fuori di tali ipotesi, ossia quando non viene in rilievo la qualificazione dell'oggetto della causa occorre vedere cosa accade se il giudice pronuncia la sentenza in luogo di ordinanza o di un decreto o viceversa. Tale problema è stato esaminato in relazione al più ampio tema dei provvedimenti resi in forma erronea, sottolineando i motivi per cui l'opinione oggi prevalente suole fare riferimento al principio della prevalenza della sostanza sulla forma e si ritiene che l'elemento determinante, anche in vista dell'individuazione dei rimedi appropriati, se rappresentato dal contenuto effettivo del provvedimento. Non sempre questo principio risulta risolutivo, giacché spesso accade che il legislatore preveda per un'ordinanza o per un decreto, un contenuto decisorio del tutto analogo a quello caratteristico della sentenza e che l'adozione dell'uno e dell'altro modello formale dipenda solo dall'esistenza di specifiche condizioni e valutazioni discrezionali rimesse al giudice. In questo caso il problema di individuare l'impugnazione esperibile può derivare in un semplicemente dall'utilizzazione di una forma erronea, quanto piuttosto il giudice pronunciato un determinato provvedimento, in mancanza dei presupposti di legge. In questa ipotesi, se l'errore conduce alla pronuncia di una sentenza, il luogo di un'ordinanza o di un decreto, poiché la parte soccombente ha senz'altro la possibilità di avvalersi delle impugnazioni tipiche delle sentenze. Se invece dovesse verificarsi il caso inverso, l'errore porterebbe ad avere delle conseguenze più gravi, traducendosi in una vera e propria espropriazione del diritto di impugnare. Per evitare queste assurde conseguenze, la giurisprudenza invoca alcuni di questi casi, il principio della prevalenza della sostanza sulla forma. Il problema non appare risolvibile quantomeno de iure condito ed in attesa di una esplicabile intervento della Corte costituzionale. Le condizioni dell'impugnazione: La legittimazione Come il diritto d'azione presuppone quali elementi costitutivi la legittimazione e l'interesse ad agire, così il diritto all'impugnazione è condizionato all'esistenza della legittimazione e dell'interesse ad impugnare. In linea di principio, la legittimazione di impugnare deriva dalla partecipazione al procedimento in cui è stata resa la sentenza impugnata e dunque presuppone che in quel processo si sia comunque assunta la qualità di parte allorché invalidamente o come conseguenza di un errore del giudice. Viene precisato che in caso di rappresentanza volontaria la 80 l'appunto quest'ultimo, e non la parte, perché il difensore quello che è meglio e il più prontamente può valutare l'opportunità di impugnare. ➢ Quando si tratta invece di revocazione straordinaria delle parti o del pubblico ministero, pure di opposizione di terzo revocatoria, il momento non può determinarsi a priori, bensì coincide con il momento in cui l'interessato ha avuto effettiva cognizione del vizio, per cui l'impugnazione è ammessa, oppure, nel caso della revocazione del pubblico ministero col giorno in cui questi ha avuto conoscenza della sentenza. ➢ Si prevede poi con specifico riferimento all'ipotesi in cui la sentenza è stata resa nei confronti di più parti in cause scindibili che l'impugnazione proposta contro una parte fa decorrere nei confronti dello stesso soccombente. Il termine per proporla contro le altre parti. ➢ Stando alla giurisprudenza, in caso di concorso di impugnazione, la notificazione di una prima impugnazione equivarrebbe alla notificazione della sentenza e dunque farebbe decorrere il termine breve per la proposizione dell'impugnazione successiva. Va sottolineato che i termini brevi restano interrotti qualora durante la loro decorrenza sopravvenga uno degli eventi contemplati dall'articolo 299, cioè la morte o la perdita della capacità processuale della parte, oppure la morte, la radiazione o la sospensione dall'albo del procuratore costituito. Per tale ipotesi, l'articolo 328 prevede che il nuovo termine decorra dal giorno in cui la notificazione della sentenza è rinnovata ovviamente a chi è subentrato alla parte, cioè gli eredi o al rappresentante legale. Il termine di decadenza semestrale Oltre che ai termini esaminati nel paragrafo precedenti le sole impugnazioni ordinarie sono soggette anche ad un'ulteriore termine di decadenza, che scade ineluttabilmente sei mesi dopo la pubblicazione della sentenza, e mira ad evitare che, non essendo stata quest'ultima notificata la strada dell'impugnazione, resti aperta sine die ( = Ciò impedisce la formazione del giudicato). L'articolo 327 menziona espressamente solamente l'appello, il ricorso per Cassazione, la revocazione ordinaria, ma si ritiene che il termine in questione valga pure per il regolamento di competenza, allorché sia mancata la comunicazione dell'ordinanza da cui prende a decorrere il termine di 30 giorni. L'unica ipotesi in cui questa disposizione si applica ricorre quando la parte CONTUMACE dimostra di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della citazione e della notificazione di esse per nullità della notificazione degli atti di cui l'articolo 292. In altre parole, perché l'impugnazione sia consentita, al di là dei sei mesi alla della pubblicazione della sentenza, necessario che sia nulla citazione introduttiva alla relativa notificazione, Che si annulla anche la notifica degli atti eventualmente notificati del contumace tra cui potrebbe esserci la stessa sentenza e che tali unità abbiano realmente impedito il contumacia di avere conoscenza del processo. In queste condizioni si ritiene che il termine semestrale prenda comunque a decorrere dal giorno in cui il contumace acquisisca la conoscenza effettiva del processo e della 81 sentenza medesima, fermo restando che l'altra parte potrebbe pur sempre notificare la sentenza con effetto di far decorrere il termine breve. La notifica dell'atto di impugnazione L'articolo 330, dato alcune regole circa il luogo e il modo in cui va effettuata la notificazione dell'atto di impugnazione. I. Se nell'atto di notificazione della sentenza la parte destinataria dell'impugnazione aveva dichiarato la propria residenza della domicilio nell'ambito delle circostanze del giudice da cui la sentenza proviene l'impugnazione deve essere senz'altro notificata la parte in questi luogo. II. Al di fuori delle ipotesi precedenti, si notifica ai sensi dell'articolo 170 presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto per il giudizio. III. Se poi manca la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio, oppure trascorso un anno dalla pubblicazione della sentenza, la notifica non si può che eseguire personalmente alla parte e tale regola deve trovare applicazione ogni qualvolta non si hanno comunque utilizzabili i criteri precedentemente enunciati. La concreta applicazione di tali disposizioni, spesso fonte di dubbi, di incertezze, per fortuna l'eventuale violazione dell'ordine di priorità indicato dal legislatore, fonte di mera nullità, sanabile con l'effetto retroattivo attraverso la costituzione dell'Appellato o tramite la rinnovazione della notifica. In secondo comma dell'articolo 330 consente la notifica, se eseguita presso i luoghi indicati collettivamente ed impersonalmente agli eredi della parte defunta, dopo la notificazione della sentenza. La notifica in forma collettiva ed impersonale, gli eredi, sempre consentita entro un anno dalla pubblicazione della sentenza, indipendentemente dal momento in cui è avvenuto il decesso della parte oggi originaria, purché sia effettuata nell'ultimo domicilio del defunto. Se la parte originaria era rimasta contumace, pur essendosi costituita personalmente avevo messo di dichiarare la propria residenza, di eleggere domicilio. Se ritiene che l'impugnazione debba essere comunque notificata ai singoli eredi indicati secondo le disposizioni generali dell'articolo 137 seguenti. L’acquiescenza L’acquiescenza è una manifestazione di volontà che ha per oggetto l'accettazione della sentenza e come effetto quello di escludere la proponibilità dell'impugnazione fatti salvi le ipotesi in cui la parte soccombente venga successivamente a conoscenza di un motivo di revocazione straordinaria. Più esattamente opera come la rinuncia al diritto di impugnare, determinando l'estinzione presuppone per un verso, che la sentenza sia già avvenuta giuridicamente in vita tramite la pubblicazione, peraltro, verso che l'impugnazione non sia ancora stata proposta. L’acquiescenza può essere espressa quando si traduca in una dichiarazione ad hoc o nel laterale e non recettizia oppure tacita, a quando risulta indirettamente da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni previste dalla legge. In concreto, le ipotesi di acquiescenza tacita sono piuttosto rare, poiché non è facile che un determinato comportamento sia univocamente interpretabile come l'accettazione della sentenza. 82 Di maggiore interesse riguarda il secondo comma dell'articolo 329 secondo cui l'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate. Tale ipotesi, definita di acquiescenza tacita qualificata, presuppone evidentemente che nella sentenza siano individuabili una pluralità di capi e che traggono soltanto di essi sia investito dell'impugnazione. È la situazione che scaturisce senz'altro come effetto legale, l'accettazione dei capi non toccati dall'impugnazione. Si evince comunque il principio ora enunciato può valere solamente per i capi che siano autonomi ed indipendenti da quello impugnato, che, al contrario, se si tratta di capi da esso dipendenti l'impugnazione parziale, per un verso non può considerarsi propriamente come acquiescenza e per l'altro può comunque condurre, in caso di accoglimento alla loro caducazione. Occorre notare che il secondo comma dell'articolo 329 non può operare allorché i più capi della sentenza riguardano parti diverse. In questo caso se si tratta di un cumulo di cause inscindibile, l'impugnazione proposta nei confronti di alcune soltanto delle parti vittoriose idonee ad evitare il passaggio in giudicato nei confronti di tutte; Se invece sei in presenza di un cumulo scindibile, lascia chiaramente intendere che l'impugnazione può essere proposta separatamente nei confronti delle diverse parti, dandone luogo indistinti procedimenti. L'inammissibilità e l'improcedibilità dell'impugnazione. La consumazione del potere di impugnazione L'inammissibilità ed improcedibilità sono nozioni delle quali il legislatore si serve con una certa frequenza in relazione a delle ipotesi nelle quali l'impugnazione non poteva essere proposta. Non può essere proseguita e pertanto deve essere comunque definita con una pronuncia meramente processuale. L'inammissibilità può derivare da diverse ragioni, tutte attinenti in un certo senso, la fase genetica dell'impugnazione, se al momento in cui essa è stata proposta. Nulla impedisce che il legislatore ricolleghi l'inammissibilità i vizi di forma contenuto dell'atto di impugnazione ed allora il regime dell'inammissibilità si sovrappone a quello della nullità. Queste ultime fattispecie di inammissibilità hanno una natura tassativa proprio perché in assenza di un'esplicita precisione normativa, i vizi del tipo ora considerato, sono inevitabilmente assoggettati alla disciplina delle nullità. Le ipotesi di improcedibilità si collocano in una fase successiva, l'installazione del processo di impugnazione, ed attengono solitamente al mancato compimento di determinate attività di parte devono considerarsi comunque tassative. La pronuncia di improcedibilità, a differenza di quella di estinzione, investe solo una determinata impugnazione, mentre l’estinzione riguarda inevitabilmente il processo nella sua interezza. Gli articoli 358 e 387 prevedono esclusivamente con riguardo l'appello al ricorso per Cassazione che l'impugnazione dichiarata inammissibile o improcedibile, non possa essere riproposta, anche se non è ancora decorso al termine previsto dalla legge. Una dottrina più recente definisce che tali ipotesi sarebbero espressione del principio di consumazione del potere di impugnazione, principio a cui la giurisprudenza attribuisce una portata assai più ampia di quella che sarebbe lecito desumere dai precedenti articoli, Utilizzandolo per escludere che la parte suo commento, dopo 85 In secondo luogo, quand'è che sia stato risolto in senso affermativo questo interrogatorio preliminare, è opportuno evitare, per le medesime ragioni che avevamo determinato il simultaneo processo che il giudizio finora unico venga frantumarsi in una priorità di procedimenti di impugnazione aventi ciascuno ad oggetto, tale una delle cause originariamente cumulate. Alla luce di questi rilievi introduttivi, può agevolmente comprendersi la ratio della disciplina contenuta negli articoli 331 e 332. Le diverse soluzioni adottate dal legislatore a seconda che il cumulo soggettivo sia o no scindibile Quando la sentenza è stata pronunciata fra più parti in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti, si verte nella prima delle due ipotesi prospettate nel paragrafo precedente: In questo caso, l'impugnazione dovrebbe sempre proporsi, a pena di inammissibilità, nei confronti di tutte le parti, non potendosi consentire che la sentenza venga riformata per talune soltanto di esse passa in giudicato, per le altre dando eventualmente luogo ad un contrasto di giudicati che il legislatore era potente, tollerabile. L'articolo 331 prevede che se la sentenza non è stata impugnata nei confronti di tutte le parti, il giudice non può immediatamente dichiarare l'inammissibilità dell'impugnazione ma debba ordinare invece, indipendentemente dalle circostanze che il termine per l'impugnazione sia uno scaduto l'integrazione del contraddittorio, fissando il termine entro cui l'impugnazione deve essere notificata alle parti pretermesse, nonchè, se necessario, l'udienza di comparizione. Si può dunque ritenere importante il principio per cui, nell'ipotesi che ricadono nell'ambito applicativo dell'articolo 331, l'impugnazione tempestivamente proposta nei confronti di alcuna soltanto delle parti idonea ad instaurare validamente il giudizio di impugnazione, evitando il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti di tutte, a condizione che la successiva integrazione del contraddittorio avvenga entro il termine fissato dal giudice. Se invece la litisconsorzio corrisponde alla priorità di cause scindibili, al legislatore preme soltanto impedire che l'unico processo originario si ratifichi in fase di impugnazione. Per questo non è necessario che la sentenza venga impugnata nei confronti di tutte le parti, ma basta evitare che si abbiano impugnazioni separate. È possibile comprendere a questo punto la disciplina contenuta nell'articolo 332, secondo cui se l'impugnazione in causa scindibile è stata proposta soltanto da alcuna delle parti o nei confronti di alcuna di esse, il giudice ne ordina la notificazione alle altre, in confronto delle quali l'impugnazione non è preclusa, fissando, il termine entro il quale deve provvedere alla notifica, se necessario, l'udienza di comparizione. Le differenze da sottolineare rispetto alle ipotesi precedenti, sono: ❖ Il giudice non ordina in nessun caso l'integrazione del contraddittorio, ossia di estendere il giudizio alle parti che non erano state coinvolte dall'impugnazione, ma solo di notificare loro l'impugnazione. ❖ Coerentemente con la ratio della norma in esame, la notifica che precede è prescritta solamente nei confronti dei reparti per le quali l'impugnazione non si è già stata preclusa o esclusa. 86 ❖ Qualora l'ordine del giudice non venga rispettato, la conseguenza non può essere quella dell'inammissibilità dell'impugnazione, ma soltanto la sospensione del processo fino al momento in cui scadranno per tutte le parti soccombenti, i termini di decadenza. Questa disciplina non esclude del tutto l'eventualità che nei confronti della stessa sentenza siano proposte tra parti diverse impugnazioni autonome e separate. Ipotesi, l'unitarietà del processo di impugnazione è assicurato dall'articolo 335, il quale prevede che tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza devono essere riunite anche d'ufficio, in un solo processo. Le fattispecie di causa inscindibile Una volta chiarita la disciplina risultante dagli articoli precedenti, rimane da precisare il confine tra queste due disposizioni e dunque cosa debba intendersi per causa inscindibile e per cause tra loro dipendenti. Per quello che concerne la prima ipotesi, non vi è dubbio che debba ricondursi alla nozione di causa inscindibile da ogni fattispecie in cui la pluralità di parti corrisponde ad un litisconsorzio necessario originario, giacché in questi casi, pur quando si tratti di più cause connesse, è lo stesso legislatore ad imporre un accertamento uniforme rispetto a tutti i litisconsorti, come se fosse un'unica causa. La giurisprudenza vuole intendere il medesimo principio anche l'ipotesi di litisconsorzio, necessario e processuale che ricorrerebbe quando, nel corso del processo, le parti fossero morte o fosse subentrata in suo luogo gli eredi, sia in casi in cui il giudice avesse disposto l'intervento coatto di un soggetto terzo. Nel valutare l'inscindibile del processo cumulativo, sembra più corretto, a prescindere dal modo in cui le disco consorzio si è instaurato e guardare esclusivamente al nesso che corre in concreto tra le posizioni degli consorti. Ciò premesso: 1. In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, sempre che il successore abbia partecipato al precedente grado di giudizio. 2. Nelle fattispecie, che una parte della dottrina riconosce la figura del consorzio unitario, caratterizzato da un cumulo di domande connesse per l'identità dell'oggetto e del titolo, in quanto relative ad un rapporto giuridico sostanziale unico rispetto a più contitolari. 3. In caso di intervento volontario coatto di un soggetto terzo, titolare di un rapporto giuridico dipendente da quello dell'oggetto del giudizio. Le cause tra loro dipendenti e le cause scindibili Assai più dubbia e l'individuazione delle cause tra di loro indipendenti. A questo riguardo si potrebbe pensare che il legislatore non abbia inteso semplicemente riferirsi alla ben nota figura della pregiudizialità dipendenza, ma abbia voluto alludere ad una connessione ancora più intensa fra le varie cause, nella quale non si ha neppure possibile distinguere una causa pregiudiziale da una causa dipendente. Se così fosse, l'articolo 331 dovrebbe applicarsi per questa parte esclusivamente alle fattispecie caratterizzate da una interdipendenza reciproca o tuttalpiù alle ipotesi di alternatività e incompatibilità tra le diverse cause connesse per identità dell'oggetto. Se però si ammette che la semplice pregiudizialità dipendenza conduce 87 all'applicazione dell'articolo 331, già in caso di intervento adesivo dipendente, cioè quando il titolare del rapporto giuridico dipendente abbia preso parte al processo solamente in virtù di una legittimazione secondaria, potrebbe contraddittorio escludere tale applicazione nelle ipotesi in cui egli è stato parte a pieno titolo, poichè il rapporto che lui fa capo è stato oggetto del processo litisconsortile. Pure in questi casi è lecito pensare che l'accertamento del rapporto pregiudiziale debba essere unico rispetto a tutti i litisconsorti. Le cause di garanzia e le obbligazioni solidali. Però le fattispecie più discusse in relazione alla Scindibilità e inscindibilità del cumulo in fase di impugnazione, via senz'altro il rapporto tra la causa principale è quella di garanzia che normalmente si instaura attraverso la chiamata in causa del garante. Se hai avuto modo di fare cenno alla tradizione, distinzione tra garanzia proprie e garanzie improprie. Si trattava di una distinzione poco persuasiva che è stata ripudiata dalla giurisprudenza più recente. Ad oggi, infatti, indipendentemente dalla natura propria o impropria della garanzia, deve trovare applicazione l'articolo 331 ogni qualvolta l'impugnazione da chiunque proposta investe il rapporto pregiudiziale e rischi concretamente di condurre, in caso di mancata integrazione del contraddittorio, di un accertamento difforme di tale rapporto pregiudiziale rispetto ai più litisconsorti. Occorre poi trattare delle obbligazioni solidali, la cui dottrina vuole definire di interesse comune, contraddistingue dalla sostanziale identità della fattispecie costitutiva potrebbero ricondursi alle ipotesi di causa inscindibile qualora, riconoscendo prevalentemente l'esigenza di un accertamento uniforme nei confronti di tutti i creditori o con debitori, si aderisce all'opinione che vi ravvisa nelle ipotesi di litisconsorzio unitario. Basandosi su questa tesi, integrazione del contraddittorio dovrebbe ritenersi necessaria nei confronti di tutti i creditori e con debitori. In realtà l'opinione prevalente, muovendo dal presupposto che la scindibilità sia una caratteristica essenziale di delle obbligazioni, ritiene che ad esso debba sempre applicarsi l'articolo 332, con la conseguenza che l'eventuale impugnazione, separatamente, proposta da o nei confronti di taluno soltanto dei condebitori, produrrebbe i propri effetti esclusivamente per costoro, senza impedire il passaggio in giudicato della sentenza rispetto agli altri, i quali non potrebbero neppure giovarsi dell'eventuale riforma loro favorevole. Non va trascurato che quando la condanna di un condebitore dipende realmente dalla condanna di un'altro, la riforma o la Cassazione della statuizione pregiudiziale. Sarebbe comunque determinare la Caducazione del capo dipendente, anche se formalmente non impugnato, cosicchè l'articolo 331 consente di impone in questa ipotesi un adeguamento soggettivo dell'impugnazione alla sua effettiva estensione oggettiva. Sezione 3: l’impugnazione incidentale Il divieto di riformatio in peius ed impugnazione incidentale Eccezion fatta per l'ipotesi in cui l'estensione soggettiva derivi dal inscindibilità delle posizioni processuali, l'impugnazione può giovare esclusivamente a chi l'ha proposta, sicché quando vi sono più parti soccombenti oppure ricorrono a 90 parte contro la quale sia stata proposta un'altra anteriore impugnazione, nonché quella nei confronti sia stato integrato il contraddittorio. Deve ritenersi, infine, che l'impugnazione incidentale tardiva, non trovando alcun ostacolo nell’eventuale acquiescenza anteriormente manifestata, ben possa provenire dalla parte che aveva già proposto l'impugnazione parziale di investire uno dei capi che la sentenza che non essendo stati toccati dal precedente impugnazione, erano stati oggetto di una quiescenza tacita. Sezione 4: L'impugnazione delle sentenze non definitive. Rilievi introduttivi circa l'impugnazione delle sentenze non definitive Nell'occuparsi della forma dei provvedimenti del giudice si è già avuto modo di sottolineare che il legislatore del 1940 ha considerevolmente ridotto l'ambito dei provvedimenti autonomamente impugnabili, semplicemente stabilendo che talune questioni controverse debbano risolversi con un'ordinanza anziché con una sentenza. Va ora aggiunto che il codice escludeva anche la possibilità di impugnare immediatamente le sentenze non definitive, prevedendo che la parte soccombente potesse impugnarle soltanto alla fine del processo, unitamente alla sentenza definitiva o comunque inserendo la propria impugnazione nel medesimo processo avviato della sentenza definitiva, a condizione che la stessa parte soccombente avesse formulato tempestivamente riserva di impugnazione o se avesse manifestato subito la propria intenzione di proporre successivamente l'impugnazione. Tale sistema che se i soliti definire riserva obbligatoria, ha il vantaggio di assicurare l'unità del giudizio di impugnazione ed inoltre, di evitare impugnazioni che potrebbero risultare superflue se la parte soccombente risultasse poi totalmente vittoriosa nel merito e pertanto non fosse interessato a dolersi della soluzione a sé sfavorevole della questione. È evidente però che si penalizza pesantemente il diritto di impugnazione con conseguenze particolarmente gravi ed inaccettabili quando si tratta di una sentenza non definitiva su domanda. La novella del 1950 modificò considerevolmente questa disciplina, optando per il sistema della riserva facoltativa, prevedendo cioè che la parte soccombente rispetto ad una sentenza non definitiva avesse la possibilità di impugnarla immediatamente oppure di formulare a tal fine un'esplicita riserva di impugnazione differita per conservare il diritto di proporre l'impugnazione ad un termine del processo dopo la pronuncia della sentenza definitiva. Ulteriori novità sono intervenute poi in seguito alla riforma del giudizio di Cassazione del 2006 relativamente al regime delle sentenze non definitive di secondo grado. L'Istituto in questione riguarda esclusivamente l'appello e il ricorso per Cassazione, mentre tutte le altre impugnazioni non ammettono alcuna riserva. Le sentenze per le quali è ammessa l'impugnazione differita. La riserva di impugnazione è ammessa nei confronti delle sentenze non definitive. A tal proposito occorre ora essere più precisi nel contempo distinguere quanto all'appello e al ricorso per Cassazione, la cui disciplina è parzialmente divergente. A. Per quello che concerne l'appello, l'articolo 340 fa espresso riferimento alle sentenze previste dall'articolo 278 e dal numero 4 del secondo comma dell'articolo 279. La possibilità di scelta tra l'impugnazione immediata e la 91 riserva, dunque, è data sia per le sentenze di condanna generica o provvisionale, sia per tutte quelle con le quali il giudice abbia pronunciato su una questione oppure su una delle più domande cumulate nel processo, impartendo distinti provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa. Quanto alle sentenze su domanda, si nota che l'articolo 340 non richiama le sentenze con cui il giudice, avvalendosi della facoltà prevista dagli articoli 103, secondo comma e 104, secondo comma, abbia deciso alcune soltanto delle cause fino a quel momento riunite con distinti provvedimenti, abbia disposto la separazione, la prosecuzione dell'istruzione con le altre, provocando in tal modo la definitiva scissione e biforcazione del processo cumulativo fino a quel momento unico. È evidente che la sentenza che decide una soltanto di più cause cumulate può essere tanto definitiva quanto non definitiva, a seconda che il giudice abbia o no al momento della pronuncia utilizzata al potere di separazione delle cause non decise. La separazione, inoltre, potrebbe essere meramente implicita particolarmente quando il giudice, pur senza disporre espressamente, abbia pronunciato, anche sulle spese concernenti la domanda decisa, lasciando in tal modo intendere di avere considerato definitiva la sentenza. Vi è poi da aggiungere che la soluzione non dovrebbe risentire linea di principio della circostanza, che si tratti di un cumulo di cause fra le stesse parti o fra parti diverse. B. Per quel che riguarda il ricorso per Cassazione, l'articolo 361 prende in considerazione, accanto alle sentenze di condanna generica o provvisionale, solamente le sentenze che decidono una o alcuna delle domande senza definire l'intero giudizio. Si esclude che siano immediatamente ed autonomamente ricorribili le sentenze che decidono di questioni insorte, senza definirle neppure parzialmente il giudizio: Queste ultime potranno poi essere impugnate senza necessità di alcuna riserva, insieme alla sentenza che definisce anche parzialmente il giudizio. I termini e le modalità della riserva. La riserva di impugnazione necessaria ad evitare la decadenza che altrimenti deriverebbe dall'ospedale dei termini ordinari, può essere formulata tanto direttamente all'udienza attraverso una dichiarazione orale inserita nel relativo verbale oppure una dichiarazione scritta su foglio separato da allegarsi al verbale medesimo, quanto mediante un atto autonomo da notificare. Procuratori delle parti costituite oppure le parti stesse personalmente, quando siano contumaci. Per quello che concerne i termini, viene innanzitutto da considerare che la riserva è ammessa fino alla prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza non definitiva. Oltre a questo termine specifico, devono tenersi presente anche i consueti termini previsti rispettivamente per l'appello per il ricorso di Cassazione, i quali, ben potrebbero scadere prima dell'udienza poc'anzi indicata e dunque, implicando il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva in escluderebbero senz'altro l'impugnazione. Se invece i termini per appellare o per ricorrere in Cassazione, scadrebbero dopo la prima udienza successiva alla comunicazione della sentenza, la conclusione di questa udienza impedirebbe alla successiva formulazione della 92 riserva di impugnazione differita, ma non esclude le più impugnazione immediata dalla sentenza, non definitiva, nel rispetto dei termini ordinari. I termini e le modalità della successiva impugnazione differita Tenuto conto di ciò che si è definito in precedenza, si può comprendere come la riserva perda ogni ragion d'essere, se viene comunque proposta un'impugnazione immediata contro una sentenza non definitiva, sia essa la stessa sentenza nei cui confronti sia stata formulata la riserva oppure un'altra successivamente pronunciata. In questo caso, posto che ormai è un processo di impugnazione, stata instaurato, dovrà in esso confluire anche l'impugnazione della sentenza precedentemente riservata. Occorre vedere quand'è che la sentenza non definitiva, deve essere poi impugnata: ▪ La riserva di impugnazione, vincolo esclusivamente alla parte che la formulata, mentre non esclude che un'altra parte soccombente, impugni immediatamente. La riserva già fatta, rimane senz'altro priva di efficacia, cosicché la parte che l'aveva proposta dovrà impugnare a propria volta subito di regola nella forma di impugnazione incidentale. ▪ Qualora nel proseguo del processo venga pronunciato un'altra sentenza non definitiva, nulla esclude che anch'essa sia oggetto di riserva di impugnazione differita. ▪ Se poi si perviene alla pronuncia della sentenza definitiva, l'eventuale impugnazione della non definitiva deve essere proposta unitamente a quella contro la sentenza che definisce il giudizio. Ciò va inteso nel senso che l'impugnazione della non definitiva deve essere contenuta nello stesso atto con cui la parte impugna invii principale incidentale la sentenza definitiva. ▪ Può avvenire che il giudizio dopo la pronuncia della sentenza, non definitiva oggetto della riserva, si estingue. In tal caso è necessario distinguere, a seconda del contenuto della sentenza: Se si tratta infatti di una sentenza del contenuto processuale, essa perde senz'altro ogni efficacia in seguito all'estinzione e pertanto il problema della sua impugnazione neppure si pone. Se invece la sentenza è di merito, cosicché sopravvive all'estinzione, essa acquista efficacia di sentenza definitiva dal giorno in cui diventa irrevocabile l'ordinanza o passa in giudicato la sentenza e da questo momento prenderanno a decorrere i consueti termini di decadenza per la sua impugnazione. Le ipotesi indicate dagli ultimi tre punti possono prospettarsi anche in relazione a sentenze di secondo o di unico grado su questioni che sono impugnabili in via necessariamente differita e per le quali, dunque, non occorre alcuna riserva. CAPITOLO DICIASSETTE: L’APPELLO I caratteri generali dell'appello e il principio del doppio grado di giurisdizione La più ordinaria fra tutte le impugnazioni è sicuramente l'appello che oltre ad avere una solidissima tradizione storica ha anche una vastissima diffusione con caratteri complessivamente abbastanza simili in una maggior parte degli ordinamenti moderni. Sebbene le sue caratteristiche positive si siano inevitabilmente evolute nel 95 espressamente in appello alle domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, onde evitare anch'esse si intendano rinunciate. Questa disposizione è complicata per quanto riguarda l'espressione non accolte se essa sia riferita alle domande e alle eccezioni che erano state sottoposte al giudice di primo grado. Essa, infatti, potrebbe indicare in astratto: 1. Le domande e le eccezioni decise e respinte nella sentenza di primo grado. 2. Le domande e le eccezioni non decisive, vuoi per un vizio di omissione pronuncia, vuoi molto più spesso per un fenomeno di legittima assorbimento o sia perché loro esame è risultato superfluo in conseguenza dell'accoglimento del rigetto di una diversa domanda o eccezione. 3. Tanto le domande ed eccezioni respinte quanto a quelle non decise. Tuttavia, è pacifico che per almeno quello che riguarda le domande, la suddetta espressione possa intendersi solamente nel senso di domande legittimamente non decise, poiché qualora si trattasse di domande respinte, la parte soccombente non potrebbe certamente limitarsi a riproporre, ma dovrebbe impugnarla in via principale o incidentale, il relativo capo di sentenza formulando ovviamente le relative censure nello stesso atto d'appello. Il problema quindi si circoscrive alle eccezioni in senso stretto, da intendersi anch'essa in senso tecnico, sia come deduzione di questioni pregiudiziali di rito, ovvero di fatti impeditivi, estintivi o modificativi che non sono rilevabili di ufficio. L'opinione più tradizionale alle quali deriva fino a qualche tempo fa la giurisprudenza, ritiene che l'articolo 346 debba trovare applicazione non soltanto rispetto alle eccezioni non decisive, ma anche alle ipotesi di soccombenza meramente teorica per le eccezioni che erano state sollevate l'appellato e che il giudice di primo grado ha rigettato. Questa tesi non appare condivisibile per una pluralità di ragioni : - Appare inverosimile sul piano sistematico che la medesima espressione non accolte possa assumere significati del tutto diversi in relazioni alle domande e alle eccezioni. - In secondo luogo, non è affatto vero che, in caso di soccombenza teorica, non sussiste l'interesse ad impugnare. - In terzo luogo, la soluzione ora criticata conduce al risultato di discriminare le ipotesi in cui la causa sia stata decisa con un'unica sentenza rispetto a quella in cui la sfavorevole decisione della questione sia contenuta in un'autonoma sentenza non definitiva. - La tesi in esame, inoltre, implicitamente esclude che il suo commento e teorico sia tenuto a confutare la decisione del giudice attraverso la formulazione di specifiche censure. Per questo la giurisprudenza più recente ha fortunatamente abbandonato questo orientamento, riconoscendo anche per le eccezioni come per le domande, l'espressione non accolte può essere intesa esclusivamente nel senso di non decise. La funzione dei motivi di appello ed il limite della cognizione del giudice di secondo grado Una seconda e più incisiva limitazione quanto l'effetto devolutivo dell'appello deriva dalla necessaria motivazione dell'appello stesso. 96 Il testo originario dell'articolo 342 che disciplina la forma contenuto dell'appello, prescriveva che è l'atto introduttivo del giudizio di secondo grado dovesse contenere, tra l'altro, i motivi specifici dell'impugnazione, senza tuttavia comminare alcuna particolare sanzione per l'inosservanza di tale obbligo. Non era chiaro che cosa si dovesse intendere per motivi specifici e quale conseguenza determinasse la proposizione di un appello privo in tutto o in parte, di censura o comunque basato su motivi del tutto generici. Stando ad una parte della dottrina maggiormente fedele alle caratteristiche tradizionali dell'appello, tali motivi servivano essenzialmente a chiarire quale parti della sentenza l'appellante intendesse effettivamente impugnare. Nel corso degli anni, tuttavia, questa tesi aveva perso progressivamente terreno, essendo nettamente prevalsa, soprattutto dopo un duplice intervento delle Sezioni Unite, l'idea che i motivi specifici non servissero solamente ad individuare i capi della sentenza concretamente impegnati, ma assolvessero la ben più incisiva funzione di selezionare le questioni che il giudice di secondo grado poteva e doveva a sua volta affrontare e risolvere. Vi è da considerare che negli ultimi anni il legislatore è intervenuto due volte su questo articolo che testualmente prevede, al giorno d'oggi che l'appello debba essere motivato e per ciascuno dei motivi debba indicare appena inammissibilità in modo chiaro e specifico: A. Il capo della decisione di primo grado che viene impugnato. B. Le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado. C. le violazioni di legge denunciate la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Quelle questioni non decise in primo grado si ritiene che la cognizione del giudice d'appello si estenda all'interno dei capi della sentenza impugnata, le questioni processuali o di merito rilevabili di ufficio, anche in sede di impugnazione e risultanti dagli atti. Si ammette cioè che il giudice d'appello possa esaminare tali questioni di propria iniziativa, indipendentemente dalla sollecitazione della parte che ha impugnato. L'intervento nel giudizio di secondo grado Nel giudizio d'appello l'intervento di terzi e ammessi in termini assai più ristretti che nel giudizio di primo grado, giacché si vuole evitare che una domanda proposta dal soggetto terzo o nei suoi confronti venga conosciuto dal giudice d'appello in unico grado. È pacifico che l'intervento coatto sia in ogni caso escluso, fino a che, essendo stato chiesto al giudice di primo grado, quest'ultimo lo avesse erroneamente negato. Per il solo intervento volontario si prevede una deroga limitatamente ai terzi che potrebbero proporre opposizione a norma dell'articolo 404, senza peraltro distinguere tra l'opposizione di terzo, ordinaria o revocatoria. La legittimazione dell'intervento compete esclusivamente: ➢ Ai litisconsorti necessari pretermessi che in tal modo potrebbero evitare l'annullamento della sentenza di primo grado e la rimissione della causa al giudice a quo. 97 ➢ A coloro i quali vantino un diritto autonomo ed incompatibile rispetto a quello accertato nella sentenza. ➢ Ai creditori e agli aventi causa di talune delle parti. In tale ipotesi l'intervento mira pur sempre, indipendentemente dall'esito del giudizio di primo grado, a prevenire la pronuncia di una sentenza viziata da parte del giudice d'appello, al quale dovrà comunque decidere nuovamente la causa del merito e cioè induce a ritenere che, sebbene prevalga l'opinione contraria, il richiamo di questo articolo serva solamente a circoscrivere la sfera dei soggetti legittimati, non anche a subordinare l'intervento alle ulteriori condizioni ivi indicate. È chiaro che nel giudizio di secondo grado potranno aversi modificazioni delle parti originarie: L'estromissione di taluna di esse; L'intervento dei successori universali di una parte; La sostituzione del rappresentato al rappresentante ogni qualvolta in cui la rappresentanza legale venga meno oppure la rappresentanza volontaria sia revocata dallo stesso rappresentato. Il regime dei nova: le nuove domande In linea di principio non vi è alcuna correlazione necessaria tra le preclusioni eventualmente operanti in primo grado le limitazioni dello ius novorum ( ossia della facoltà di nuova allegazione di nuove prove) nel giudizio di appello poiché non le esclude che legislatore, per un verso preveda determinate barriere preclusive a garanzia della conservazione del procedimento di primo grado e per l'altro verso, avendo a cuore le esigenze di giustizia sostanziale, consenta poi alle parti, almeno entro certi limiti, di correggere ed integrare le proprie difese nel processo di secondo grado. L'attuale formulazione dell'articolo 345 delinea un appello tendenzialmente chiuso ai nova, accettandone dunque la funzione di revisio prioris instantiae, sebbene le deroghe non siano poche ne trascurabili. Esaminando distintamente vari punti, cominciando dalle domande formulabili per la prima volta in appello. Confermando la soluzione tradizionale che vuole farsi discendere dal principio del doppio grado di giurisdizione, esclude che nel giudizio d'appello possano proporsi domande nuove e prevede per il caso in cui il divieto si è avverato, che le nuove domande siano dichiarate inammissibili anche di ufficio. Tale preclusione ammette modestissime deroga solamente per la richiesta degli interessati, dei frutti e degli accessori maturati dopo la sentenza di primo grado, nonché per la domanda di risarcimento dei danni posteriori alla sentenza stessa. Più che domande nuove, si potrebbe trattare di un ampliamento meramente quantitativo del petitum originarie, giustificato dai fatti sopravvenuti che potrebbero estendersi anche al di là delle fattispecie espressamente contemplate dalla norma in esame. Resta comunque da stabilire se ne appello, è possibile modificare in qualche misura le domande che erano state proposte in primo grado senza incorrere nel divieto di domande nuove. Oggi, alla luce del più recente orientamento giurisprudenziale, secondo cui la modifica della domanda originaria potrebbe consentire anche ad una variazione radicale del petitum o della causa petendi, è alquanto dubbio che il medesimo criterio si possa applicare nel