Scarica Sociologia: Definizione, Struttura e Fattori Sociali e più Sbobinature in PDF di Sociologia solo su Docsity! CHE COS'E’ LA SOCIOLOGIA CAPITOLO 1CHE COS'È LA SOCIOLOGIA?. È opportuno individuare una definizione di sociologia. Sappiamo che gli usi possibili di questo termine sia nel linguaggio comune che nel linguaggio scientifico sono moltissimi. La risposta più ovvia è: “La sociologia è lo studio scientifico della società”. Ma definire la sociologia come una delle scienze sociali, il cui oggetto di studio è costituito dalla società umana, non è più soddisfacente. Ancor meno lo sono le tante, forse troppe, definizioni fornite dai vari addetti ai lavori in questi ultimi anni. Il concetto si è “volgarizzato” a tal punto che si è perso il significato più autentico di questa parola. In altri termini cosa vuol dire sociologia e quali dovrebbero essere i suoi contenuti. Cosa significa la parola sociologia? Questa parola (termine, lemma, fenomena ...), è stata coniata alla fine del 1700 da Auguste Comte, definito convenzionalmente il padre della sociologia. Ma analizziamo meglio il termine sociologia, che è un neologismo che combina una parola di origine latina (socius- società) ed una parola di origine greca (logos-discorso, dottrina), e sta ad indicare lo studio della società: Nell'immagine comune sociologia significa scienza della società, ma in realtà è lo studio dei comportamenti dell’individuo in società, o meglio lo studio scientifico della realtà e dei rapporti sociali (per cui protagonisti sono gli individui). La sociologia, precisa meglio Ferrarotti, è “il tentativo che la società compie per chiarire sé a se stessa, non solo nelle sue condizioni statiche di uniformità e di ripetibilità, bensì anche in quelle del suo cambiamento e della sua crisi. Di cui deriva l’idea della sociologia come scienza in costante tensione”. DI COSA SI OCCUPA LA SOCIOLOGIA Il campo di analisi della sociologia è molto esteso. Nella condizione umana vi sono aspetti sociologici quasi ovunque; e di quasi tutto esiste una sociologia: c’è una sociologia della religione, una sociologia del tempo libero, una sociologia dell’arte. Inoltre i sociologi hanno diviso il campo di studi in modi diversi. “Alcuni settori della sociologia prendono nome dai problemi sociali di cui si sono occupati in origine e di cui continuano ad occuparsi: ad esempio, la sociologia della malattia mentale o della povertà. Altri settori fanno riferimento ai principali tipi di gruppi presenti nelle società: la sociologia dei piccoli gruppi, delle organizzazioni, dei partiti poli Altri ancora riguardano le principali istituzioni della società: la sociologia della religione, della medicina o dell’educazione. Altre aree di studio infine si riferiscono a processi sociali come i movimenti sociali e lo sviluppo economico” Per comprendere l’argomento di cui si occupa la sociologia si dovrebbe essere in grado di pensare a se stessi con distacco e considerarci persone fra le altre. La sociologia si interessa infatti dei problemi della “società” e chiunque riflette sulla società stessa e la studia, ne fa comunque parte. Per capire di che cosa si occupa la sociologia, si deve essere in grado di percepire se stessi come una personalità tra le altre. Quando si fa riferimento all’industrializzazione o alla scientificizzazione, o alla burocratizzazione, alla democratizzazione, alla nazionalizzazione o alla urbanizzazione, viene sottolineato solo l’uno o l’altro aspetto particolare. Gli strumenti concettuali disponibili non sono ancora abbastanza elaborati per esprimere chiaramente in che cosa consiste la trasformazione globale della società in cui siamo coinvolti. Ma, come ribadisce Elias, è proprio questo il compito del sociologo: “mettere in luce la comune direzione non solo di una certa sfera, ma della trasformazione dei rapporti umani che riguarda tutte le sfere”. In tale ottica è sufficiente indicare un cambiamento fondamentale della figurazione complessiva della società. Uno dei caratteri fondamentali comuni dello sviluppo realizzatosi nel corso del XIX e XX secolo nella maggior parte dei paesi europei è un particolare spostamento degli equilibri di potere. Le posizioni di governo vennero occupate con sempre maggior frequenza dai rappresentanti delle organizzazioni di massa, dei partiti politici, che sostituirono così quelle ristrette élite fondate su proprietà e privilegi di carattere ereditario. Oggi i partiti di massa fanno parte della stabilità della vita sociale, al punto che anche negli studi scientifici ci si accontenta della descrizione o dell’esame della loro esteriorità istituzionale. Non ci si chiede più il motivo per cui in tutte queste varie tipologie di società il regime oligarchico detenuto da ristretti gruppi privilegiati di natura dinastica, agraria e militare, abbia in qualche modo, presto o tardi, lasciato il posto ad un regime oligarchico di partiti, tanto pluripartitico quanto monopartitico. Per capire cosa si intende per sociologia, possiamo dire che questa si occupa dello studio della vita sociale di uomini, gruppi e società. Si occupa del comportamento degli individui intesi come esseri sociali; proprio per questo il campo di interesse della sociologia spazia dall'analisi dei brevi contatti fra individui anonimi sulla strada allo studio di processi sociali globali. Che cos'è la sociologia? Cosa studia la sociologia? La sociologia è una scienza empirica, che si occupa dei fatti della vita, appartiene alle branche delle scienze naturali, e come tale è basata su tre principi fondamentali: generalità, universalità, verificabilità. La sociologia studia i fatti sociali, che sono alla base dell'organizzazione sociale. Quali sono e che cosa sono i fatti sociali? Un fatto sociale deve sempre avere le caratteristiche di generalità, universalità e verificabilità. Il nascere, crescere, è un fatto sociale; ma anche il mangiare è un fatto sociale, perché nel mangiare si rispettano dei comportamenti che sono i comportamenti del gruppo sociale al quale si appartiene, per esempio si usano le posate, e si usano in un certo modo, in modo usuale. Insieme con le altre scienze sociali, ma con una vocazione unitaria più viva, la sociologia si pone, come punto di partenza, lo studio della struttura, dei processi e della natura della società umana, laddove le altre discipline sociali si occupano soltanto di aspetti parziali di quest’ultima. L'economia ad esempio indaga sui processi di produzione, scambio, e consumo di beni e servizi, mentre la storia descrive l'evoluzione e le trasformazioni della società nel tempo, la scienza politica analizza la distribuzione, i mutamenti e i conflitti concementi il potere e l’autorità all’interno del mondo sociale. LA SOCIOLOGIA HA LA SUA STORIA. LA FORMAZIONE DEL PENSIERO SOCIOLOGICO. A partire dal 1760 in Gran Bretagna prende vita la RIVOLUZIONE INDUSTRIALE e si sviluppano nuove forme di organizzazione della vita SOCIALE E POLITICA. Ciò richiede però che si sviluppino strumenti di conoscenza ed analisi adeguati a questi nuovi contesti e a tal fine nascono le SCIENZE SOCIALI. L’uomo già durante il XVIII secolo comincia ad essere studiato come homo sociologicus e quindi come soggetto agente al centro di una rete di rapporti sociali. È però opportuno chiedersi come fa Raymond Aron “quando nasce la sociologia? Quali autori meritano di essere considerati gli antenati o i fondatori della sociologia? Quale definizione adottare per quest’ultima? Io ho adottato una definizione che riconosco vaga ma non ritengo arbitraria. La sociologia è lo studio che pretende di essere scientifico della realtà sociale in quanto tale, sia al livello elementare delle relazioni interpersonali, sia a quello macroscopico dei vasti insiemi, classi, nazioni, civiltà 0, per far uso dell’espressione corrente, società globali. Questa stessa definizione premette di capire perché sia arduo scrivere una storia della sociologia , sapere dove incominci, e dove finisca. Tanto l’intenzione scientifica quanto l’oggetto sociale possono essere intesi in più modi. La sociologia esige nel contempo questa intenzione e questo oggetto, o comincia a esistere l’uno o l’altro di questi due caratteri? Tutte le società hanno avuto una certa consapevolezza di se stesse. Più società hanno concepito studi, che pretendevano d’essere obiettivi, dell’uno o dell’altro aspetto della vita collettiva. ... Nella misura in cui l’intenzione di cogliere la realtà sociale in quanto tale è costitutiva del pensiero sociologico, Montesquieu merita di figurare in questo libro come fondatore”. CHARLES L. de MONTESQUIEU (1689 — 1755), uno dei più grandi filosofi dell’Illuminismo, nei suoi studi tenta di individuare le uniformità e le leggi che governano la società. In quanto sociologo Montesquieu ha cercato di combinare due idee, nessuna delle quali può essere abbandonata, ma che è difficile tenere insieme. Da una parte egli sostiene, implicitamente, la pluralità indefinita delle spiegazioni parziali. Ha mostrato quanto numerosi siano gli aspetti di una collettività che devono essere spiegati e quanto numerose le determinanti alle quali si possono ricondurre i diversi aspetti della vita collettiva. Dall'altra ha cercato il modo di superare la pura giustapposizione delle relazioni parziali, di afferrare qualcosa che costituisca l’unità degli insiemi storici. Montesquieu parte dalla diversità e arriva all’unità della specie umana. Auguste Comte, al contrario, è prima di tutto e soprattutto il sociologo dell’unità umana e sociale, dell’unità della storia umana. AUGUSTE COMTE (1798 - 1857) considerato il padre fondatore della sociologia avverte la necessità di trasportare l’armonia, il metodo e l’ordine che regnano nel mondo tecnico scientifico, all’interno della FILOSOFIA SOCIALE. Egli si pone come obiettivo di organizzare una vera e propria SCIENZA SOCIALE Comte è convinto che attraverso la SOCIOLOGIA sia possibile individuare le leggi che hanno presieduto il progresso dell’umanità e sulla base di queste leggi prevedere e dominare il corso del futuro “savoir puor prévoir et prévoir pour pouvoir”. Auguste Comte, come molti dei suoi contemporanei, ritiene che la società moderna è in crisi, e trova la spiegazione dei disordini sociali nella contraddizione tra un ordinamento sociale teologico e militare che sta per scomparire e un ordinamento sociale scientifico e industriale che sta per nascere. La sociologia diventa lo strumento per recare rimedio alla mancanza di coerenza, sistematicità e omogeneità fra le diverse scienze. Ma evidentemente “Comte chiede e pretende troppo dalla sociologia, trasformandola in una religione laica dell’umanità, altrettanto dogmatica e intollerante delle religioni rivelate, fino a vedere in essa, nel suo affermarsi ed estendersi, il segno e la chiave del destino dell’uomo”. Per Comte l’individuo non ha una realtà autonoma, ma si realizza in strutture a lui superiori come la FAMIGLIA, la CHIESA, lo STATO che sono gli elementi fondamentali di qualsiasi SOCIETA”. Auguste Comte ha elaborato una teoria di quella che egli chiamava la società industriale. L'opposizione essenziale, nel suo pensiero è tra le società del passato, feudali, militari e teologiche, e le società moderne, industriali e scientifiche, in contrapposizione a quelle militari e teologiche. Ma anziché porre al centro della sua interpretazione l’antinomia tra le società del passato e le società del presente, pone al centro del suo pensiero la contraddizione inerente alla società modema che definisce capitalismo. Il terzo teorizzatore del pensiero sociologico nasce venti anni dopo Comte ed è KARL MARX (1818 — 1883). Marx, come aveva fatto anche Comte, lavora osservando la società nella quale si trova a vivere. Per Marx la storia umana è caratterizzata “dalla lotta di quei gruppi umani che noi chiamiamo classi sociali, la cui definizione resta, per il momento equivoca, ma che hanno la duplice caratteristica di comportare da una parte l’antagonismo tra oppressori e oppressi, e dall’altra di tendere a una polarizzazione in due blocchi e due soltanto”. Per questo si può affermare che il modello marxiano è DICOTOMICO. Ogni società viene descritta attraverso due classi in opposizione poggiate sul possesso o il “non” possesso della proprietà, ci sono gli sfruttatori e gli sfruttati, gli oppressori e gli oppressi. Per Marx la società non può essere compresa partendo dallo Stato, ma deve essere interpretata facendo riferimento alla sua stessa struttura, considerando l’articolazione in classi. Marx ha una visione conflittuale della società. Infatti, per lui i fenomeni determinanti della storia sono caratterizzati dal conflitto, soprattutto il conflitto di dasse. Ferrarotti nel libro Lineamenti di storia del pensiero sociologico scrive: “Benchè profondamente divisi quanto al metodo di indagine e al generale orientamento politico, sia Comte che Marx, come del resto tutti i grands individus che 3. In contrapposizione al concetto precedente, il termine società può invece indicare forme sociali molto specifiche e determinate, come ad esempio associazioni economiche, sportive, culturali, enogastronomiche, ecc. 4. Il termine società può anche essere riferito a degli universi sociali o società globali o totali, ricollegandosi in tal modo a società più o meno composite e più o meno grandi. 5. Il termine società può anche essere riferito a tutte le forme di rapporti sociali, che successivamente alla Rivoluzione industriale hanno acquisito una loro autonomia rispetto all’individuo e allo Stato, e che vengono sintetizzate con il termine di società civile o società borghese. 6. Iltermine società indica, infine, la realtà sociale in genere, vale a dire l’insieme di interazioni che sono oggetto dello studio micro e macrosociologico. Il modo con cui viene usato il concetto di società dipende spesso dal tipo di problema che si vuole trattare, partendo dal presupposto che per “studiare una società bisogna osservare alcune “cose” fondamentali: i modi coi quali si procura mezzi di sussistenza e come li distribuisce tra i suoi membri, i modi coi quali assicura la propria riproduzione biologica e culturale, le forme delle relazioni sociali mediante le quali prendono corpo i gruppi e le organizzazioni, la struttura delle diseguaglianze, le credenze e le pratiche religiose”. Per paragonare diverse società in termini di eguaglianza, Gerherd Lenski le ha classificate sulla base dei loro principali mezzi di sussistenza. Società di caccia e raccolta. I membri di questa società pescano e praticano un minimo di coltivazione della terra, ma ottengono la maggior parte del loro cibo andando alla ricerca di piante e uccidendo animali selvatici. Società orticole. A differenza dei loro predecessori gli orticoltori non sono più costretti a spostarsi continuamente alla ricerca di cibo. Più le tecniche di coltivazione si specializzano e progrediscono, più gli insediamenti diventano permanenti: le società umane incominciano a mettere radici in un territorio. Nelle società agrarie gli individui fanno affidamento sull’agricoltura per ottenere cibo e grazie ad aratri e amesi metallici sono in grado di produrre eccedenze di cibo e di sostenere una popolazione più numerosa. Tra il XVI e il XIX secolo le società europee entrano in un’epoca di mutamento sociale accelerato, che investe la sfera economica, politica, giuridica, culturale delle varie società e coinvolge la vita quotidiana di milioni di uomini e donne di tutti i ceti e classi sociali. La sociologia nasce al fine di dare una risposta agli interrogativi posti dalle grandi trasformazioni sociali che questo processo travolgente ha innescato nelle società europee, dando vita alla società industriale. Le società industriali dispongono di tutti i tipi di utensili e di grandi quantitativi di armi. Quello che rende uniche le società industriali è l’uso che riescono a fare delle fonti energetiche. Per poter dare una definizione appropriata di società, ci toma utile rifarsi a quella di Mongardini, secondo il quale: “potremmo definire la società considerata come «universo sociale», in relazione alle caratteristiche che essa presenta, che sono: p Gli appartenenti ad una società formano un’unità demografica; b. La società esiste su un territorio geografico comune a tutti i suoi appartenenti. Questo territorio può non coincidere con quello dello stato, in quanto uno stato può comprendere più società e viceversa, una società può comprendere più stati; La società si compone di gruppi fondamentali funzionalmente differenziati; I gruppi componenti la società presentano caratteri culturali comuni; La società deve essere individuabile come un insieme funzionante; f. La società deve essere riconoscibile come unità sociale autonoma. Da tutti questi caratteri possiamo derivare, nell’ambito della prospettiva considerata, una definizione generale di società come insieme organizzato di individui, i quali vivono su un comune territorio, collaborano in gruppi per la soddisfazione dei bisogni sociali fondamentali, si riconoscono in una comune cultura e funzionano come unità sociale autonoma. ran LEZIONE 6 —- LE GRANDI DIFFERENZIAZIONI SOCIALI Il processo di differenziazione sociale può svilupparsi in varie forme, come ad esempio l’assimilazione, l'emarginazione o l’esclusione dell’altro. Per poter distinguere gli insiemi di individui sono necessari tre elementi: 1) un loro particolare modo di essere; 2) una collocazione nello spazio fisico; 3) una loro peculiare creazione dello spazio sociale. Le grandi differenziazioni sociali sono: la categoria, l’aggregato, la casta, il ceto e la dasse. La categoria sociale è una teorizzazione del pensiero, con la quale il sociologo riunisce insieme tutte le persone che presentano caratteristiche o hanno qualità comuni all’interno di una unità sociale, senza che questo implichi, tuttavia, tra queste persone l’esistenza di rapporti istituzionalizzati. Infatti, l'elemento fondamentale che contraddistingue la categoria sociale è la similitudine. La categoria sociale può essere definita come una “molteplicità di persone che vengono individuate ed analizzate come unità sociale per il fatto di possedere uno o più caratteri comuni” LEZIONE 7 -— LA STRATIFICAZIONE SOCIALE Il concetto di status o posizione sociale, può quindi essere definito come il posto occupato da una persona all’interno di una struttura sociale determinata, secondo il giudizio e la valutazione della società. A tal proposito Smelser nel suo Manuale di sociologia scrive: “Nella nostra società, le persone si giudicano a vicenda in termini di status o di prestigio, come direbbe Weber. Una volta che sappiamo il livello di prestigio di un altro, ci comportiamo in un certo modo nei suoi confronti. Se qualcuno è al di sotto di noi, possiamo anche scegliere di non socializzare con lui. Ci sentiamo più a nostro agio con chi ha uno status eguale o simile al nostro. Nei confronti poi di quelli che sono molto al disopra di noi, ci comportiamo in genere in modo rispettoso. Naturalmente lo status sociale non determina in modo esclusivo il nostro comportamento nei confronti degli altri, ma è uno degli elementi più importanti nello strutturarsi dei rapporti”. Ralph Linton (1893 — 1953) è stato lo studioso che per primo ha introdotto il termine status e nel libro The study of Man del 1936, individua la distinzione, ancora usata ed attuale, tra status attribuiti e status acquisiti. Gli status attribuiti sono imputati all’individuo prescindendo dalla sua azione e dai suoi modi, in base a criteri di valutazione presenti nella società. Gli status acquisiti vengono imputati all’individuo in relazione alla valutazione degli sforzi da lui compiuti per entrarne in possesso. I criteri, che concorrono a determinare lo status dell’individuo, sono principalmente: La nascita La proprietà L’utilità funzionale Il grado e il tipo di istruzione La religione . I caratteri biologici Gli individui che fanno parte di un certo ceto o status, hanno uno stile di vita caratteristico; parlano in modo simile, provengono da famiglie con tradizioni simili, apprezzano ed acquistano oggetti simili. Il loro stile di vita riflette da un lato il loro prestigio, dall’altro lo accresce. Il concetto di prestigio (dal latino praestigum) che significa "buona reputazione" o "alta stima", nonostante in origine significasse "delusione" o "trucco magico", può indicare un fenomeno soggettivo o oggettivo. Soggettivamente il prestigio è l’immagine di un individuo di avere o di poter avere attraverso un determinato comportamento, un’alta posizione ideale in una scala di considerazioni. Oggettivamente invece il prestigio è una valutazione sociale che l’individuo riceve in base ad un suo specifico comportamento. Tra tutti gli status occupati dall’individuo nella società, lo status principale, detto anche status chiave varia secondo la società e l’epoca storica. Per determinare questo status, proprio di ciascun individuo, si deve considerare l’insieme degli status attribuiti a l'individuo stesso e che egli ha via via acquisito, ma sono importanti anche i valori dominanti nella società di riferimento. Dalla valutazione delle molteplicità degli status di un individuo, è, tuttavia, possibile non solo ricavare lo status chiave, ma anche il suo status sociale generale, cioè la sua valutazione sintetica o posizione sociale totale. Per la sua valutazione, vanno tenuti in considerazione due elementi importanti: 1. la posizione sociale totale dell’individuo non si identifica con lo status chiave, sebbene sia da essa fortemente influenzata. 2. la posizione sociale totale non è la semplice risultanza delle somme delle singole posizioni sociali, ma è il frutto dell’armonizzazione delle singole valutazioni. Il concetto di status è, necessariamente, correlato ai concetti di strato e di classi. Tutti e tre, poi, vanno a formare e completare il concetto di stratificazione. Lo status è la posizione che una persona occupa in una determinata società, in relazione a particolari criteri oggettivi connessi ai valori dominanti nella società stessa. Lo strato è formato, invece, da tutti quegli individui che, nell’ambito di una piramide sociale, occupano una posizione simile. Sul rapporto tra strato e classe ci sono molte interpretazioni, alcune tra loro divergenti. Si passa dall’assunzione di questi due termini come sinonimi, alla tendenza ad eliminare il termine di classe o strato oppure ad utilizzare solo uno dei due concetti, fino a giungere a delineare una netta distinzione tra i due concetti. Nella società che è oggetto dell’analisi sociale, il primo elemento che consente di rappresentare la sua struttura è costituito dalla differenziazione sociale e anche dalla stratificazione sociale. Individui e gruppi sono diversamente distribuiti nello spazio sociale, in maniera analoga alla loro diversa collocazione nello spazio fisico. Cosicché la stratificazione sociale viene definita da Mongardini nel suo manuale in tal modo: “per stratificazione si intende il sistema di processi e di situazioni sociali attraverso i quali e nelle quali entro un gruppo sono distribuiti in misura differenziale il possesso e l’uso dei beni e dei servizi, il potere, la valutazione sociale, le gratificazioni psicologiche connesse al riconoscimento sociale del merito nell'esercizio di dati ruoli”. Fortemente interconnessa alla stratificazione sociale è l’organizzazione politica che si crea in una determinata società. Infatti alla logica della stratificazione consegue la formazione di una gerarchia e la costituzione di rapporti di potere istituzionalizzati, vale a dire di dominio, come realizzazione dei rapporti di sopra e sott’ordinazione costituitisi all’interno di essa. Per Weber il potere in generale si definisce come “ogni possibilità, all’interno di un rapporto sociale, di affermare la propria volontà malgrado le opposizioni, indipendentemente dal fondamento di tale possibilità”. Il dominio invece, come forma di potere legittimato ed istituzionalizzato viene definito da Weber come “la possibilità che un comando di un determinato contenuto trovi obbedienza presso le persone alle quali è destinato”. Nel dominio, quindi, il potere è sinonimo di legittimazione e si associa anche al principio di autorità. La legittimità del potere può derivare dalla GMAWNr o norma, dalle tradizioni generalmente accettate o dalla fiducia in una persona, pertanto, Weber classifica tre tipologie di potere legittimo: razionale, tradizionale e carismatico. AI concetto di stratificazione sociale dobbiamo collegare quello della MOBILITA’ SOCIALE. Questo fenomeno ha fatto la sua prima comparsa con l’avvento della rivoluzione industriale, ma oggi per mobilità si fa riferimento ad almeno due fenomeni sociali fondamentalmente diversi: uno costituito dal passaggio degli individui da uno strato sociale all’altro; l’altro, relativo al passaggio di elementi culturali da un ambiente culturale ad un altro. Il fenomeno della mobilità dipende da alcune variabili. Quelle che risultano sociologicamente rilevanti sono: la possibilità, la frequenza, l’indirizzo. La possibilità permette di distinguere tra società statiche e società dinamiche. La frequenza fornisce il grado di tale dinamicità. L’indirizzo consente di distinguere fra una mobilità verticale ed una orizzontale. La mobilità sociale è il passaggio di un individuo da uno strato, un ceto, una classe sociale ad un altro. È però opportuno distinguere tra mobilità orizzontale e verticale, ascendente e discendente, intergenerazionale ed intragenerazionale, di breve e di lungo raggio, assoluta e relativa, individuale e di gruppo. Per mobilità sociale orizzontale si intende il passaggio di un individuo da una posizione sociale ad un’altra allo stesso livello. Ad esempio il caso di coloro che nascono in una famiglia di artigiani o di commercianti e che, quando raggiungono l’età adulta, svolgono l’attività di impiegati. La mobilità sociale verticale indica, invece, lo spostamento ad una posizione più alta o più bassa del sistema di stratificazione sociale. Nel caso di spostamento verso l’alto si ha una mobilità sociale ascendente, mentre nel caso di uno spostamento verso il basso si avrà una mobilità sociale discendente. Quando il passaggio avviene tra strati o classi molto lontani si ha una mobilità di lungo raggio; quando invece, come avviene più spesso nella realtà, c’è un passaggio tra strati e classi contigue, si ha una mobilità di breve raggio. LEZIONE 8 COMUNICAZIONE ED IMMAGINE L’individuo è nella società e fa società nel momento in cui costruisce relazioni sociali. Nelle relazioni ciascun individuo si controlla e si limita in funzione dell’altro, cerca il rapporto con l’altro e lo costruisce in un certo modo al fine di perseguire i suoi obiettivi e soddisfare i suoi bisogni. Questo rapporto è di per sé un fatto nuovo rispetto all’esistenza delle individualità, che prese singolarmente agiscono secondo istinti, bisogni, desideri, ma quando si incontrano creano una nuova realtà costituita del gruppo. Tutte le forme sociali sono il prodotto di un raggiunto o non raggiunto equilibrio tra io e noi, l’io delle pulsioni, dei bisogni, dell’istinto ed il noi della partecipazione ai gruppi e alle varie forme sociali. Il noi, prima che realtà collettiva, è una creazione precostituita nel mondo interiore, perché quando l’individuo incontra l’altro lo raffigura in un certo modo, che avrà notevole influenza sul processo di interazione vero e proprio. Il comportamento dell’io nei confronti dell’altro dipende, soprattutto all’inizio, dalla costruzione interiore che lo stesso io si è fatto dell’altro che ha incontrato. Con la percezione dell’altro, che precede la vera interazione, comincia a formarsi la distanza tra i due o più soggetti protagonisti del processo di comunicazione. L’interazione comincia da questa iniziale disposizione, da questa collocazione dell’altro più vicino o più lontano. Infatti, la collocazione dell’altro influenza la pre-condizione del rapporto di comunicazione. La collocazione dell’altro è una conseguenza delle sensazioni e delle percezioni, è il frutto dei sensi che percepiscono l’altro e trasmettono una certa immagine di lui. Contribuiscono a determinare la pre-condizione del rapporto di interazione anche altri fattori: le emozioni, gli istinti, i pregiudizi e i sentimenti che si associano all'immagine dell’altro e che sfuggono al controllo della ragione. Attraverso i sensi ed altri fattori, si attivano e sviluppano un insieme di elementi che poi andranno ad influire sulla comunicazione stessa. La fase di pre-comunicazione è caratterizzata da un processo di razionalizzazione e da tutta una serie di tendenze diverse che vengono attivate nel momento che precede l’interazione vera e propria. Durante questa fase, ci sarà la tendenza per i soggetti coinvolti ad aprirsi o a ritrarsi, con una ambivalente attenzione dell’individuo nei confronti dell'altro. La società viene quindi costruita in primis nel mondo interiore, con l’interiorizzazione dell’altro. Ego percepisce Alter come presenza, lo definisce, lo interiorizza e quindi si esprime nei suoi confronti. In questa interiorizzazione dell’altro giocano tutta una serie di elementi psicologici, sociologici e personali. Una volta che si è costituito il legame “Ego-Alter” sul piano emozionale, nasce il processo del comunicare; si sviluppa il momento in cui Ego sente il bisogno di esprimere qualche cosa e Alter riceve un’impressione da quello che gli viene detto e reagisce a questa impressione. È evidente che premesso ciò non è possibile interpretare la comunicazione limitandola semplicemente ad un insieme di flussi razionali di messaggi che vanno e vengono. Diventa importante l’interpretazione, vale a dire come Alter interpreta il messaggio di Ego e come questo interpreta la sua reazione. Il flusso dei messaggi tende a modificare o consolidare il legame di fondo. LEZIONE 9- IL PROCESSO DI COMUNICAZIONE L’uomo esiste ed è strutturato per ricevere stimoli da ciò che lo circonda e per influenzare tutto ciò che gli sta intorno: cose, avvenimenti, persone. Ognuno è immerso in una realtà fluida, in continuo divenire, dove ogni percezione incide sulla personalità interiore e dove ogni comportamento pone in relazione qualcosa che ne viene trasformato. Questo scambio continuo è comunicare. Ogni comportamento è comunicazione, così come ogni comunicazione è un Lo stesso Bauman nel testo La solitudine del cittadino globale, scrive che “lo spazio è il sedimento del tempo necessario per annullarlo, e quando la velocità del movimento del capitale e dell’informazione eguaglia quella del segnale elettronico, l'annullamento della distanza è praticamente istantaneo e lo spazio perde la sua materialità, la sua capacità di rallentare, arrestare, contrastare o comunque costringere il movimento, tutte qualità che sono normalmente considerate i tratti distintivi della realtà. In questo processo la località perde valore”. Mobilità e velocità fanno, dunque, pensare che lo spazio, ancora una volta, abbia perso rilevanza nell’analisi sociale. Alcune dinamiche, invece, farebbero pensare il contrario. È innegabile, infatti, che oggi è possibile spostare da un punto all’altro del globo uomini, mezzi, merci, capitali in tempi che fino a qualche decennio fa erano inimmaginabili. In realtà, continuano a persistere convergenze ed ispessimenti dei tessuti di relazione in punti particolari dello spazio. Peri sociologi, questa loro presenza è sintomatica della persistenza e della rilevanza di società locali. Ogni società locale diventa uno degli infiniti modi possibili di essere della società, in quanto ciò è strettamente connesso alle particolari funzioni economiche, alle specifiche tradizioni culturali, all’articolazione del potere politico, alla conformazione delle classi e alla composizione etnica. LEZIONE 12-I GRUPPI SOCIALI Il gruppo è un fenomeno della coesistenza umana e viene generalmente definito come un insieme riconoscibile di individui in reciproco rapporto tra loro, che hanno determinati interessi e valori comuni, e la cui azione è rivolta al perseguimento di un obiettivo comune. Il gruppo è dotato di una propria realtà vitale e quindi non è una pura e semplice creazione concettuale, come ad esempio è la categoria, e non è neanche una semplice convivenza casuale, provvisoria e informe come ad esempio è l’aggregato. Il termine gruppo deriva dal germanico kruppa e dal latino gruppus ed indica, già nella sua etimologia, un insieme, una massa arrotondata e circolare, un tutt'uno. “Il gruppo indica un insieme di due o più persone che interagiscono; hanno fini in comune; condividono un insieme di norme, credenze e valori ed hanno rilevanza psicologica l’una per l’altra, nel senso che — implicitamente o esplicitamente — il comportamento di ciascuno ha effetti sugli altri”. Non può essere identificato con il termine gruppo un insieme generico di persone. Come affermò Kurt Levin, uno dei primi e più importanti psicologi ad occuparsi dei gruppi, “il gruppo è qualcosa di più e di diverso della somma dei suoi singoli elementi, ha struttura propria, fini peculiari e relazioni particolari con altri gruppi. Quel che ne costituisce l'essenza non è la somiglianza o la dissomiglianza riscontrabile tra i suoi membri, bensì la loro interdipendenza. Esso può definirsi come totalità dinamica. Ciò significa che un cambiamento di stato di una sua parte o frazione qualsiasi interessa lo stato di tutte le altre”. Quindi nell’analisi e nella definizione di un gruppo bisognerà individuare oltre all’oggettività sociologica della descrizione, anche gli aspetti psicologici che individuano una qualità relazionale che si sviluppa tra i componenti. Dal punto di vista dell’analisi sociale, la distribuzione della popolazione in gruppi sociali, le dimensioni, la diffusione e le caratteristiche dei gruppi sono aspetti molto importanti. Soprattutto nel XX secolo gli studi sociali infatti sono stati notevolmente attratti dal fenomeno del gruppo, tanto che si è arrivati a definire la sociologia come “scienza dei gruppi”. Il gruppo è un insieme di persone che riconoscono di essere unite da un legame. Non basta, però, che tale legame esista oggettivamente, è necessario che i membri ne siano coscienti. Robert K. Merton fornisce una definizione per cui il gruppo si caratterizza in base a questi tre criteri: 1) comprende un certo numero di persone che interagiscono l’una con l’altra secondo regole e norme; 2) gli individui in rapporto di interazione si definiscono e si percepiscono membri del gruppo; 3) questi individui sono definiti da altri (sia membri che non membri) come appartenenti al gruppo. Quindi, il gruppo è un insieme di persone che si trovano in diretto e immediato rapporto, che sono in interazione continua secondo schemi relativamente stabili, ed esercitano reciproche azioni di influenza e sperimentano un senso di appartenenza che li fa sentire parte del gruppo stesso, grazie ad un sentimento di autoinclusione e alla attribuzione e al riconoscimento esterno. Con la sua definizione, Merton riesce a differenziare i gruppi dagli aggregati sociali, che sono, invece, l'insieme delle persone che condividendo valori comuni hanno acquistato un senso di solidarietà e di comune condivisione di norme e regole di convivenza. Anche Mongardini propone una teorizzazione, necessaria per riuscire a definire il concetto di gruppo sociale. In primis, si deve tener conto delle caratteristiche particolari che sono presenti all’interno del gruppo e che lo caratterizzano e lo distinguono rispetto ad altre forme di insiemi sociali. Il gruppo rappresenta fondamentalmente un’unità sociale che deve essere identificabile sia dall’interno, cioè dai suoi membri, sia da chi osserva il gruppo e da chi è estraneo al gruppo. Il gruppo deve poi avere una struttura sociale, un’organizzazione, in quanto ciascuna delle sue parti o ciascun individuo che lo compone assume una posizione particolare al suo interno che implica determinati ruoli ed è correlata alle posizioni degli altri. Ciascun gruppo per avere senso deve dare luogo a rapporti reciproci fra gli individui che lo compongono. L'appartenenza ad un gruppo comporta che tra i membri si instaurino interazioni e relazioni nel senso di una reciproca e totale presa di contatto e di comunicazione. Proprio per questo è poi necessario che ogni gruppo si doti delle sue norme di comportamento, che influiscono sul modo di rappresentazione dei ruoli. I membri di un gruppo hanno sempre particolari interessi e valori comuni, che si traducono nel fine o nella molteplicità dei fini che il gruppo auspica a perseguire. Infine, il gruppo deve avere una certa continuità, cioè una durata misurabile temporalmente. Tenuto conto di tutti questi fattori, Mongardini definisce il gruppo come “un insieme riconoscibile, strutturato e persistente di persone sociali, le quali rappresentano reciprocamente ruoli sociali determinati secondo norme, interessi e valori comuni, tendendo al conseguimento di fini comuni. Possiamo notare da questo punto di vista come la società nel suo complesso risulti costituita dalla combinazione dei gruppi sociali che in essa esistono. All’interno di una società, poi, i gruppi sociali si distinguono di volta in volta soprattutto in base alla funzione centrale che essi rappresentano”. Esistono varie motivazioni in base alle quali si percepisce la propria appartenenza ad un gruppo, e la psicologia della Social Cognition ne propone tre: per vicinanza, per somiglianza, per identificazione. Vi possono essere diverse forme di ingresso nel gruppo. La prima forma di ingresso è sicuramente la nascita; ad esempio nel gruppo familiare si entra prevalentemente per nascita. Si può entrare casualmente. L'entrata consapevole nel gruppo si ha attraverso l'adesione, come avviene ad esempio con l’iscrizione ad un sindacato, ad un partito, ad una associazione sportiva. Un’altra forma di ingresso nel gruppo si ha con la cooptazione o meglio con la chiamata dal di dentro: è il gruppo stesso che sceglie il singolo e lo invita a partecipare. La posizione del singolo rispetto al gruppo di riferimento può dar luogo a diverse configurazioni, e si possono riscontrare almeno tre posizioni del singolo esterne al gruppo e tre interne. Il singolo può avere nei confronti del gruppo sociale una posizione esterna di indifferenza; una posizione esterna caratterizzata da interesse ad entrare in relazione con in gruppo, ed una posizione accompagnata da interesse ad entrare a far parte del gruppo. Le tre posizioni con le quali si può contraddistinguere l’individuo che fa parte del gruppo, quindi interne, sono invece caratterizzate: per una posizione interna, appunto, al gruppo ma di esclusione o anche di emarginazione dalla vita di gruppo; una posizione intema caratterizzata dalla partecipazione alla vita di gruppo e di identificazione con il gruppo stesso; infine si verificano casi in cui il singolo partecipa al gruppo ed acquisisce una posizione di leadership, che implica per lui la responsabilità nell’individuazione e nel conseguimento dei fini dell’azione di gruppo. Simmel ha individuato nei suoi studi alcuni interessanti problemi relativi alla partecipazione del singolo alla vita del gruppo, partendo dalla considerazione che ad ogni tipo di interazione l’individuo partecipa soltanto con un “quantum” della propria personalità. I gruppi, dunque, si distinguono per il quanto della personalità dei singoli che entra nei rapporti che lo costituiscono. Simmel, a tal proposito, enuncia un’interessante legge sul dominio nei gruppi, secondo la quale il gruppo può essere dominato da un singolo tanto più rapidamente e radicalmente, quanto più piccola è la parte della personalità totale con la quale il singolo individuo partecipa al rapporto. Per quanto conceme il funzionamento del gruppo, si deve considerare il fatto che questo è legato ad un ciclo di vita del gruppo stesso, caratterizzato da più fasi. All’origine della formazione del gruppo ci sono cinque fattori determinanti, che sono: 1) una comune origine degli individui. La comune origine rimane uno dei più forti legami che uniscono gli uomini nei loro rapporti sociali. 2) una comune convivenza. La comune convivenza è un fattore che acquista sempre maggiore importanza nella società modema per la costruzione e la solidità dei gruppi che ha in genere carattere territoriale. 3) una comune caratteristica biologica. In effetti il sesso, l’età, la razza, sono elementi che stimolano la formazione dei gruppi; 4) comuni interessi. La comunità di interessi è nella società moderna alla base di una molteplicità di gruppi sociali. 5) comuni sentimenti e idee. All’origine di molti gruppi sociali c'è la comunità di sentimenti e di idee. La coesione di gruppo è parallela e proporzionale alla differenziazione dagli altri gruppi, ed è stata ripresa anche da Sumner nel 1906, che ha proposto la distinzione, oggi universalmente accetta fra gruppo “proprio” o “interno” (in group) e gruppi “estranei” o “esterni” (out-groups). La distinzione tra in group e out group è strutturata sul fatto che un gruppo è legato internamente da un “sentimento del noi” (in group) che contribuisce a rafforzare il senso di identità e di appartenenza dei singoli componenti del gruppo, oltre a questo forte senso di appartenenza, c’è anche l’esigenza di evidenziare la differenziazione, a volte molto marcata, rispetto ad altri gruppi (out groups). L'esistenza di gruppo intemo e di gruppi esterni si traduce, per quanto riguarda il comportamento di un individuo o di un gruppo, in una costellazione di gruppi di riferimento (reference groups). Per gruppo di riferimento si intende quel gruppo col quale una persona si identifica, alle cui norme e immagini di valore essa commisura il proprio comportamento e i cui fini, opinioni o pregiudizi sono da essa fatti propri. I gruppi sociali possono essere classificati in sei tipologie: 1) I gruppi familiari, costituiti da persone che tendono a soddisfare, attraverso la vita familiare, alcuni loro bisogni elementari: la soddisfazione dell’istinto sessuale, la procreazione, la necessità di provvedere ad allevare e ad educare i figli. 2) I gruppi dell’istruzione che tendono a soddisfare in maniera formale ed informale la trasmissione della cultura alle nuove generazioni, attraverso le scuole, gli istituti, le università, le associazioni culturali, le associazioni di scienziati e di studiosi. 3) I gruppi economici, quelli i cui membri provvedono alla produzione e alla ripartizione dei beni e dei servizi atti a soddisfare i molteplici bisogni della vita. 4) I gruppi politici, in cui i partecipanti sono portatori dei valori e degli interessi pro-tempore dominanti, si assumono il compito di amministrare, di governare, di mantenere l'ordine pubblico, di fare le leggi, di interpretarle. (Questi gruppi la cui funzione centrale è sempre identificabile, istituzionalizzano i partiti politici, il sistema giuridico e l’organizzazione militare. Questi gruppi possono essere distinti in partiti e gruppi di pressione. Il partito ha come obiettivo la conquista del potere o la partecipazione al suo esercizio: i gruppi di pressione, invece, hanno come obiettivo di tendere ad influenzare coloro che detengono il potere in relazione a fini immediati e circoscritti. 5) I gruppi religiosi sono quelli formati da persone che soddisfano il bisogno di un rapporto dell’uomo con il soprannaturale. 6) I gruppi del tempo libero e dello svago che sono composti da quelli che producono beni per la soddisfazione di questi elementi che caratterizzano ciascun individuo. A seconda del tipo di rapporto che si instaura all’intemo del gruppo tra i membri, si può determinare un tipo di differenziazione tra i gruppi. Distinzione fondamentale da questo punto di vista è quella tra gruppo primario e gruppo secondario. Il primo tipo di gruppo è fondato su rapporti personali, intimi, affettivi, strutturantisi dall’interno; presenta un tipo di solidarietà organica fondata su differenze qualitative e trova il proprio fine all’interno del gruppo stesso, lasciando tracce profonde nella personalità degli individui. Il gruppo secondario si basa su rapporti formali, relativamente anonimi, standardizzati, ordinati in base ad una razionalità esterna; presenta un tipo di solidarietà meccanica, fondata su differenze quantitative e costruita su un fine che è esterno al gruppo, e l'individuo ne è coinvolto solo in maniera superficiale. La distinzione dei gruppi in primari e secondari è stata introdotta per la prima volta da Cooley nel 1909, allorché sottolineò le funzioni dei gruppi primari rispetto ad altri tipi di gruppi per la formazione della personalità. A_ tal proposito, Cooley scrive: “per gruppi primari intendo quelli caratterizzati da un’intima associazione e cooperazione. Il risultato di un’ associazione intima è, dal punto di vista psicologico, una certa fusione delle individualità in un insieme comune, tale che l’io proprio di ciascuno è costituito, almeno per molti aspetti, dalla vita comune e dallo scopo del gruppo ... esso implica una specie di simpatia e di identificazione reciproca per la quale il termine “noi” rappresenta l’espressione naturale”. La definizione di gruppo primario fornita da Cooley implica almeno tre condizioni: la prossimità fisica dei membri, la piccola dimensione del gruppo e il carattere duraturo del rapporto. Il gruppo primario è composto da almeno tre persone che interagiscono per un periodo di tempo relativamente lungo, sulla base di rapporti intimi faccia a faccia. Il gruppo primario per eccellenza è la famiglia, che in quanto gruppo intimo plasma e crea la personalità dell’individuo. Altre forme di gruppi primari sono i gruppi di amicizia, di parentela e di piccola comunità. Tutti gli altri gruppi, sempre secondo Cooley, investono l’uomo con minore intensità nel processo si socializzazione e per questo li qualifica come gruppi secondari. I gruppi secondari sono caratterizzati per il fatto che gli individui hanno tra di loro rapporti di tipo “secondario” liberamente e con particolari intenzioni che sono quelle di perseguire un fine o un bisogno. I rapporti in questi tipi di gruppi sono regolati da norme o da consuetudini formali. Il gruppo secondario è composto da un numero di persone che interagiscono su basi temporanee, anonime e impersonali. I suoi membri non si conoscono personalmente o si conoscono in relazione a particolari ruoli formali anziché come persone nella loro completezza. Ogni persona appartiene, al tempo stesso, sia a gruppi primari che a gruppi secondari. Il gruppo primario, nella realtà contemporanea, si allarga sempre al di là della sfera familiare, e proprio per questo viene da chiedersi se i gruppi primari non abbiano subito un processo di secolarizzazione. E’ infatti evidente l’enorme dilatazione che negli ultimi decenni ha subito la sfera dei rapporti secondari, anche a danno e in sostituzione dei gruppi primari. Anche le strutture associative si sono notevolmente sviluppate, mentre per i gruppi primari è stata man mano sminuita la loro importanza originaria come strutture fondamentali di coesione sociale. LEZIONE 13- GRUPPI E COMUNICAZIONE La comunicazione interessa necessariamente i gruppi sociali, che, appunto, sono possibili grazie alle interazioni tra gli individui. Anche la comunicazione si sviluppa in maniera differente tra gruppo primario e gruppo secondario. Nel gruppo primario il processo comunicativo coinvolge pienamente l’individualità e i ruoli del comunicare giocano su elementi emotivi; la base del comunicare è essenzialmente emozionale e la comunicazione, pur svolgendosi nelle forme della cultura coinvolge la personalità in quelle che sono le sue sensazioni e i suoi sentimenti. Nel gruppo secondario, invece, la personalità viene coinvolta poco ed è posta in secondo piano rispetto al ruolo sociale che, invece, è determinante. Le comunicazioni nel gruppo primario saranno informali e nel gruppo secondario saranno prevalentemente formali. Il senso della comunicazione cambia completamente, a seconda che si compia in un gruppo primario o in un gruppo secondario. Infatti, il gruppo primario nasce dalla comunicazione, invece, il gruppo secondario trova l’apparato della comunicazione formale già costituito. Tutto il processo comunicativo si svolge in funzione dell’organizzazione, dell’efficienza, della capacità di conseguire il fine. Le caratteristiche del gruppo risiedono in primo luogo nell’interazione, che è il fatto primario che nasce con lo stare insieme degli individui, e senza il quale il gruppo non potrebbe formarsi. Infatti, se si interrompe la comunicazione il gruppo non ha più ragione di essere. La seconda caratteristica è l’identificazione del fine che muove l’azione collettiva, fine che sarà interno nei gruppi primari ed esterno in quelli secondari. La terza caratteristica del gruppo è la divisione del lavoro, vale a dire un’organizzazione interna di rapporti che consente al gruppo di costruire azione collettiva. Nell’idea di gruppo accanto al processo di interazione, all’identificazione di un fine comune, c’è la costruzione di una struttura, di un’organizzazione e la creazione di rapporti gerarchici che sono la conseguenza dell’organizzazione e della strutturazione del gruppo stesso. Il rapporto di interazione costituisce la prima caratteristica del gruppo, che si distingue appunto per alcuni elementi essenziali: il fine comune e la divisione del lavoro. recepisce ed interpreta il messaggio. Soprattutto, è determinante l’effetto che il messaggio trasmesso suscita nella platea che lo recepisce. Si vanno a ricercare le motivazioni, le intenzioni e gli effetti del messaggio. Questo è molto importante, perché il potere nella società contemporanea si può esercitare anche attraverso il controllo delle masse, in base al consenso che si riesce ad ottenere dalle masse, quindi se ci sono mezzi che riescono a creare massa, questi mezzi producono ed assicurano il potere. E in questo i media sono determinanti, costituiscono infatti un elemento fondamentale della cultura moderna, in quanto non solo fanno comunicazione, ma fanno anche mercato, in quanto consentono di controllare e di esercitare il potere. Per poter analizzare il processo comunicativo, che è legato al fenomeno della comunicazione di massa, è utile riprendere la formula di Lasswell “chi dice, cosa, a chi, attraverso quale mezzo e con quali effetti” tentando di riprodurre l'aspetto formale del processo di comunicazione di massa. Infatti, questo tipo di comunicazione comprende i seguenti passaggi: 1) Come primo passaggio si verificherà la formulazione di un messaggio da parte di una fonte, che fa parte di un contesto culturale e detiene interessi collegati ad un fine strumentale. La fonte o emittente può essere un individuo, ma soprattutto un gruppo o un’istituzione che producono un messaggio e lo trasmettono aspettando che questo susciti una determinata reazione, e che consenta comunque il perseguimento di un fine specifico che è stata la causa dell’emissione stessa del messaggio. 2) Quindi vi sarà l’emissione di un messaggio con determinate modalità, in un determinato tempo e attraverso un particolare mezzo. Il messaggio è tutto ciò che costituisce l’oggetto di SCAMBIO in una pratica comunicativa. Il messaggio è però comprensibile solo nel contesto in cui viene emesso, anche se la semplice identificazione del messaggio da parte del ricevente non implica necessariamente la comprensione, né l’automatica interpretazione corretta. Il messaggio può anche essere influenzato dalla natura del mezzo con cui viene emesso, può essere alterato da un’interferenza fisica o psicologica che disturba il segnale. Inoltre l’efficiacia del messaggio dipende anche dal CONTESTO nel quale viene emesso. I fattori determinanti legati al messaggio sono: la credibilità del comunicatore, l’ordine delle argomentazioni, la completezza delle argomentazioni, l’esplicitazione delle conclusioni. 3) Infinesi avrà la fase di ricezione e di interpretazione del messaggio da parte di un ricevente e questo produrrà determinati effetti, corrispondenti o meno a quelli previsti o attesi dalla fonte, che ha emesso il messaggio stesso. Il problema degli effetti prodotti dalla trasmissione dei messaggi pone la questione del potere dei mass-media. La comunicazione di massa, infatti, agisce in un ambiente neutro, ma in uno spazio ideologicamente orientato. La fonte che emette il messaggio è espressione di un campo di interessi ben definiti all’interno della geografia sociale e politica. La comunicazione di massa svolge una funzione che va oltre il fatto di trasmettere informazioni, in quanto consente anche un certo controllo del potere. Come ogni forma di potere, anche la comunicazione di massa include la manipolazione del senso dei valori e delle classi dominanti e ricerca il consenso per sé e per gli interessi che rappresenta. La comunicazione di massa, pur essendo sorta già da tempo, si è maggiormente sviluppata ed ha acquisito molta importanza in questo particolare momento storico che stiamo vivendo, caratterizzato da una diffusione di messaggi, notizie, informazioni, avvenimenti sempre più ampia e che coinvolge l’intero pianeta. I mezzi di comunicazione elettronici hanno consentito uno “sganciamento” sia dallo spazio che dal tempo, come se si fossero entrambi, in qualche modo, ridotti ed in alcuni casi addirittura annullati. E’, infatti, possibile ricevere messaggi prodotti da fonti spazialmente remote senza che vi sia una dilazione temporale. Questo fenomeno ha acquisito il nome di globalizzazione. Oggi si può dire che non c’è più la società, ma ci sono le società, tutte fondate sui diversi NOI che si costituiscono nel mondo esterno attraverso una compartecipazione ed una comunanza di esperienze. La comunicazione di per sé ha bisogno di una CULTURA che la animi, non può essere ridotta al ruolo razionalizzato di appendice della vita collettiva, perché altrimenti diventa quasi un’ideologia, un modo di fissare gli individui, di ottenere consenso. Fare della comunicazione solo un modo, o meglio, uno strumento per costruire fenomeni di massa è la negazione stessa del senso del comunicare, in quanto viene meno il contenuto stesso della comunicazione, quasi fino al punto di negare anche la società. Mentre è evidente come una società che cresce in complessità ha ancor più bisogno della comunicazione. Ci troviamo in una società in cui l’ideologia politica è stata soppiantata dall’ideologia economicistica. La crisi della politica è più che altro una crisi di capacità di mediazione dei rapporti tra gli individui che porta all’incapacità di tenere insieme i diversi interessi degli individui nei gruppi sociali, di creare una mediazione. Ma la funzione di creare i legami sociali è propria della comunicazione; per assolvere a questo suo ruolo la comunicazione deve necessariamente avere come suo fondamento dei contenuti culturali. Nella realtà contemporanea la comunicazione è considerata come uno strumento ideologico, che serve a creare fenomeni di massa ed è anche un’occasione per sviluppare la tecnologia, ma è priva di contenuti culturali. Mentre la comunicazione per fare società, che è la sua funzione principale, deve essere fondata su contenuti culturali. Gli individui, da una parte, ricercano la comunicazione, ma, dall’altra, si difendono dagli stimoli eccessivi che questa propone con un atteggiamento di indifferenza nei confronti del messaggio che viene trasmesso. Infatti, il tipo di comunicazione strumentale prodotto dagli interessi economici e politici non serve a creare una sfera pubblica, che, invece, è l'elemento unificante della collettività. Si è arrivati al punto, in cui la sfera pubblica non trova più sviluppo in funzione della comunicazione, al contrario il pubblico si traduce nel pubblicitario. L’individuo assume così un atteggiamento ambivalente nei confronti delle strutture della comunicazione: per un verso avverte l’interesse a creare società attraverso la comunicazione, per l’altro prova un’indifferenza, un’insofferenza, un distacco, un bisogno di recuperare se stesso al di là della funzione strumentale. Se la comunicazione rimane solo un fatto strumentale si creano attorno ad essa solo miti e false aspettative: si crede che tanto più si comunica meglio è. Questa è un’ideologia del mezzo ma non risolve i problemi dell’individuo, perché più si comunica e più si esteriorizza senza produrre contenuti culturali. Infatti, una comunicazione solo strumentale diventa una specie di artefatto e finisce con l’escludere le realtà del corpo dell’individuo, delle sue esigenze di estendere 1’IO psicologico e quindi di comunicare in quanto persona, le proprie sensazioni e compartecipazioni. LEZIONE 15- FORMAZIONE E SOCIALIZZAZIONE TRA VECCHI E NUOVI MEDIA Nella società contemporanea siamo sempre più di fronte ad una socializzazione debole, povera, priva di ethos. Questo perchè il cambiamento culturale delle società contemporanee ha portato all’incertezza nelle strategie e nelle pratiche della socializzazione. Il mutamento sociale ha inciso inevitabilmente sull’insieme delle realtà condivise da un gruppo sociale, che riguardano i modelli di comportamento, gli orientamenti di valore, le ideologie ed il linguaggio. L’aumento della complessità della struttura sociale ha fatto si che l’identità soggettiva appaia come una conquista difficile da rinegoziare giorno per giorno. Nello stesso tempo la velocità e l’intensità del cambiamento sociale condizionano le certezze ed i valori della socializzazione, determinando continui mutamenti nelle aspettative culturali e nei comportamenti collettivi. Così è venuto meno il passaggio graduale evolutivo a più stadi che prevedeva in primis la famiglia, poi la scuola e quindi la comunità. E’ tramontato il percorso unico, normativo e garantito della formazione. sono subentrate altre agenzie o meglio nuove forme di socializzazione che però non possono considerarsi intenzionalmente educative. Il luogo nel quale i giovani si ritrovano, nella loro prima fase del processo formativo è senza alcun dubbio la FAMIGLIA. Questa istituzione di recente ha riacquistato un ruolo centrale per i giovani, rispetto ai tempi contestativi del ’60 e ’70. In realtà l’ambito familiare resta il principale punto di riferimento, anche se poi la comunicazione si cerca altrove, questo perché gli adolescenti hanno una duplice ed ambivalente tendenza: da una parte hanno un forte desiderio di ripiegare verso situazioni note e familiari, perché sono quelle che gli danno più sicurezze e certezze; contemporaneamente però sentono l’esigenza di sentirsi più autonomi ed indipendenti. Il problema è che all’intemo della famiglia vivono generazioni, personalità e stili di vita che si alimentano con sistemi valoriali divergenti; inoltre si caratterizzano per possibilità di accesso diverso rispetto al caleidoscopico scenario comunicativo: antenati dell’età della radio, adulti consumati dalla TV, minori ed adolescenti incollati ai visori informatici ed immersi nella musica, ma comunque disponibili all'offerta dei media più vecchi. E’ stato tuttavia appurato che sono proprio i giovani il luogo deputato alla creazione del nuovo modello di comportamento e sono la cassa di risonanza che SELEZIONE, RECEPISCE, DIVULGA e IMPONE. La maggioranza degli accadimenti sociali è determinata da spinte provenienti dal mondo giovanile e da esso amplificate. La RELIGIONE, che può essere considerata come la seconda delle agenzie tradizionali, ha perso la sua qualità di VERITA’ INDISCUSSA E TOTALIZZANTE. Si è affermata una forma di religione INTERIORE, non tanto privatizzata quanto soggettivizzata e quindi autonoma dalle istituzioni. Invece l’istituzione Chiesa è vissuta dai MINORI come punto di ritrovo e di incontro dove si forma il gruppo di amicizie e di scambi, e non più tanto come momento di fede. Un'altra agenzia profondamente in crisi è la SCUOLA, che non offre più sufficienti valori e modelli di orientamento innovativi rispetto a quelli familiari, che vengono acquisiti all’interno della famiglia. Il ruolo della scuola è interpretato in una visione più sobria e laica rispetto al passato, fondata sulla percezione della sua ineluttabilità ai fini dell’acquisizione delle competenze alfabetico — grafiche e talvolta sminuita solo al valore legale del titolo da “strappare”. Il problema è che la scuola non rispecchia la società nella quale opera, il mondo sta subendo la spinta e l’energia della tecnologia che ha rivoluzionato le nostre vite, come mai in precedenza, ed invece la scuola è cambiata molto poco. Questo fa si che per i giovani ormai la scuola non è più l’unico polo di aggregazione, né il centro primario d’interesse del vissuto quotidiano. La scuola esaurisce sempre meno l’ambito dell’esperienza dell’interazione, della gratificazione e dell’achievement minorile. L’educazione tende però ad avvicinarsi sempre di più al pensiero strategico sulla comunicazione. A farsi strada è un modello formativo alto (paideia) che considera, nella coltivazione delle virtù dei giovani, non solo la cultura degli insegnanti, di coloro che trasmettono le conoscenze; ma anche il punto in cui i saperi incontrano gli utenti, traducendosi in un’esperienza formativa e di vita che è frutto di continui negoziati tra tutti i soggetti partecipanti al processo formativo. La scuola viene così a riposizionarsi quale luogo dinamico di intersezioni e attraversamenti culturali: non più trasmissione dall’alto di «pacchetti» di conoscenze e valori, ma luogo di interazione paritario. Questo è l’inizio per rivendicare una più moderna qualità dei processi formativi: quella di una scuola «restaurata», in cui la cooperazione diventa complicità del processo formativo e l’attivismo dei discenti impedisce l’accettazione dell’istituzione scolastica come «parcheggio» in attesa dell’età adulta. Se la scuola diventa anzitutto ambiente, il suo compito non è allora incernierare i saperi, ma contestualizzarli, superando la tradizionale autoreferenzialità del passato a favore di un nuovo interazionismo formativo. Di fatto, il tipo di sapere che essa deve impartire nella «società della conoscenza» non è più la nozione, ma il metodo: il saper imparare, il saper finalizzare la pluralità delle fonti di conoscenza nell’ambito di un moderno e più integrato modello di apprendimento, maturazione e auto-formazione della personalità culturale. Il declino delle agenzie tradizionali: scuola, religione e famiglia ed il mutamento culturale di cui siamo protagonisti nella società contemporanea comporta delle conseguenze sulla condizione minorile: l'assunzione quasi pregiudiziale ed in negativo di un atteggiamento polemico, in forza di cui il soggetto contesta apertamente il modello della socializzazione verticale; l’emergere di un bisogno di autonomia e di soggettività nelle scelte; l'affermazione tendenziale e progressiva di un modello comunicativo della socializzazione. Considerata la situazione contemporanea e vista tale prospettiva è evidente che acquisiscono valore nuove agenzie. Si forma ed ha molta importanza il gruppo dei pari, che secondo Merton: # comprende un certo numero di soggetti che interagiscono secondo modelli prestabi % isoggetti in interazione si definiscono MEMBRI del gruppo; %@ sonoriconosciuti anche da altri come appartenenti al gruppo. L’ambito entro cui si formano questi gruppi di tipo amicale è costituito dalla pratica sportiva, dal vicinato, dal comune interesse per la musica, dal calcio, dall’attività ludica o dal PC. All’interno del gruppo dei pari si passa molto tempo insieme e si discute di molti argomenti, si fanno molte attività e si ricostruisce un’armonia di relazioni che lo rende luogo di rifugio e serenità. Questo perché all’interno di questo particolare gruppo vengono accantonati i rapporti di sottomissione e dominio, si vivono i ruoli di reciprocità e cooperazione, ed è anche una delle poche cose che la nuova generazione è in grado di autocostruire gestendola da sola senza l’aiuto degli adulti. Uno dei punti di maggior interesse del gruppo dei pari è che l'aggregazione è fine a se stessa piuttosto che ad obiettivi estemi, infatti all’interno di questo gruppo vengono costruite le occasioni per trovare le risposte ai propri BISOGNI, che sono: comunicazione, solidarietà, democrazia, autonomia, scambio, riconoscimento reciproco, identità. Le credenze comuni, il senso di appartenenza, l’adesione agli stessi modelli rafforzano l'uniformità culturale del gruppo favorendo la consapevolezza di se all’interno di un preciso contesto di relazioni sociali. Oltre al gruppo dei pari si sono così affermate altre agenzie, molto più mediatiche: la TV, la radio, il cinema, il computer ed Internet. I MEDIA della socializzazione diventano il tessuto delle aggregazioni e delle associazioni. Ad una trasmissione di tipo verticale, dai padri ai figli, da generazione a generazione, tende a sostituirsi un altro tipo di trasmissione, che procede per linee orizzontali, da una leva giovanile all’altra. Anzi più che di trasmissione, a questo punto, occorrerebbe parlare di interazione. Oggi infatti i tempi, le compatibilità familiari e l’avarizia di attenzione da parte degli adulti, fanno si che, per molti segmenti dell’universo dei minori, la prima socializzazione rilevante, continua e a suo modo universalistica, sia quella riferita ai messaggi della comunicazione audiovisiva, e a tempi e spazi di interazione sociale non programmati sulla formazione, risulta dunque strettamente connessa alle scelte di interazione e di aggregazione nel tempo libero. Entro questo scenario, i mezzi più moderni della comunicazione ed in particolare la TV, assumono il ruolo di grande contenitore, permettendo di entrare ed uscire in varie province di significato, come quelle dell’immaginario, dei sogni, dei giochi o comunque della scoperta dell’ambiente. C’è purtroppo una forte contrapposizione tra vecchie e nuove agenzie di socializzazione, che sono strutturate attraverso una tipologia differenziata di codici, linguaggi e modalità trasmissive. Questo lascia emergere la convinzione riduttiva che sussista un sistema di socializzazione duale dai confini delimitati e circoscritti, costituito dalle due diverse dimensioni: da un lato la comunicazione dominata dalle agenzie nuove, dall’altro l'educazione formale ed istituzionale tradizionale. Da un lato quindi c’è la Socializzazione tradizionale nella quale prevale la capacità di imprinting del patrimonio socio- culturale, ha importanza la classe sociale, la famiglia, la scuola, la comunità, l’ambiente socio culturale. Dall'altro lato ci sono le nuove forme della socializzazione, che sono caratterizzate da una certa instabilità, da un deficit di coinvolgimento, si nota un certo distacco e una sorta di emarginazione rispetto ai media della socializzazione tradizionale. Ciascun soggetto non si fa coinvolgere sempre completamente dalle agenzie tradizionali o dalle nuove agenzie, ma via via che si trova a vivere le situazioni sceglie a quale tipo di socializzazione fare riferimento. E’ evidente che soprattutto tra i giovani è la socializzazione im-mediata quella più utilizzata. E così i ragazzi creano il cosiddetto pianeta a parte che tende ad appropriarsi di vari linguaggi, codificandoli e rilanciandoli verso il mondo adulto, per distinguersene, e al contempo per misurarsi inevitabilmente con esso. E c’è un pianeta degli adulti e delle istituzioni, che deve avvedersi che si è instaurato un mercato nero della socializzazione, su cui esso rischia di avere poco da dire. Ciò che emerge da tutto ciò è che il POTERE DI SOCIALIZZAZIONE si è spostato dalla società al soggetto, il quale decide in proprio la forza di orientamento e la misura di coinvolgimento da attribuire alle diverse agenzie di normazione e di influenza. LEZIONE 16- FAMIGLIA Già nell’Antica Grecia era stata compresa l’importanza del nucleo famigliare e della comunità collettiva. Infatti Aristotele presenta l’origine della società nell’aggregazione naturale del nucleo familiare, che comprende gli elementi necessari e sufficienti a garantire l’autosufficienza del gruppo umano. Questa tendenza si è rafforzata grazie alla miniaturizzazione dei device tecnologici e alla proliferazione delle connessioni mobili, e grazie alla tecnologia del cloud computing e alla diffusione delle app per smartphone e tablet: tutti strumenti in grado di ampliare le funzioni delle persone, potenziarne le facoltà, facilitame l’espressione e le relazioni, sancendo così il primato dell’io-utente e inaugurando una fase nuova, in cui l’io è il contenuto e il disvelamento del sé digitale è la prassi. Grazie alle tecnologie digitali, il singolo non è più semplicemente uno spettatore inattivo, ma diventa un potenziale produttore di contenuti attraverso media diversi e integrati tra loro, secondo una nuova fenomenologia di produzione di massa individualizzata. LEZIONE 19- LA CULTURA Dal punto di vista sociologico, possiamo affermare che ogni membro del gruppo possiede una “cultura”. Partecipando al processo di socializzazione, l’individuo, fin da bambino, ha imparato ad adattarsi ai modelli di comportamento e alle aspettative dei gruppi sociali, nonché a rappresentare ruoli e ad essere partecipe consapevole dei processi di interazione. In questi termini, la cultura fissa la socialità e il suo modo di essere e di essere rappresentata in una dimensione spazio- temporale. L’individuo si ritiene, portatore anche di una istanza superiore, alla luce della quale egli si sente legittimato a ordinare ed incanalare gli accadimenti naturali verso fini che la suddetta istanza gli assegna. La legittimazione che egli si dà lo porta a ritenere giusto e corretto resistere alla natura e, quindi, modificarla, violentarla, piegarla alle proprie ragioni. Al riguardo, Mongardini afferma: “DA QUESTA RIBELLIONE NASCE LA CULTURA COME QUELL’INSIEME DI ADATTAMENTI TRA PULSIONI INTERNE E MONDO ESTERNO ACCETTABILI IN ORDINE AI VALORI E AI SIGNIFICATI ATTRIBUTI ALL’ISTANZA SUPERIORE”. La vita collettiva si muove all’interno dello scenario rappresentato dalla polarità natura — cultura, la cui manifestazione peculiare è rappresentata dal conflitto che si produce tra pulsioni naturali e modelli culturali. Alla base della cultura c’è pertanto l’uomo, il quale, per dirla con le parole di Mumford, si presenta come un animale creatore di menti, capace di controllare se stesso e di disegnarsi. Sotto questa veste, l’uomo dunque si allontana dalla natura, accettando il conflitto che nasce dal confronto natura-cultura, dove il reale e l’ideale si scontrano continuamente e danno forma e contenuto alle vicende umane. Illuminante è la descrizione di Simmel relativamente a questa specifica condizione umana: “L’UOMO NON SI INSERISCE SPONTANEAMENTE NELLA REALTÀ NATURALE DEL MONDO COME L’ANIMALE, MA SI SCINDE DA ESSA E LE SI OPPONE CON I PROPRI FINI, LOTTA, USA LA VIOLENZA E LA SUBISCE”. Natura e cultura, perciò, rappresentano le due dimensioni del vivere sociale. La cultura è stata considerata come una seconda natura dell’uomo, seppure una natura artificiale, che lo definisce, lo vincola, lo condiziona al pari della natura. Pur tuttavia, la cultura non riesce totalmente a circoscrivere l’uomo, il quale solo parzialmente si identifica con essa. Il quid che c’è nell’uomo lo porta, inevitabilmente, a riconoscersi solo in parte nelle forme culturali, mentre, per un altro verso, ad esse si contrappone. Lungo questa linea di confine, nella quale si materializza il conflitto, che l'individuo deve continuamente vivere e risolvere, si può addirittura arrivare ad una condizione nella quale, a parere di Freud, l’uomo può addirittura presentarsi quale nemico della civiltà. Scrive Freud: “SE LA CIVILTÀ IMPONE SACRIFICI TANTO GRANDI NON SOLO ALLA SESSUALITÀ MA ANCHE ALL’AGGRESSIVITÀ DELL’UOMO, ALLORA INTENDIAMO MEGLIO PERCHÉ EGLI STENTI A TROVARE LA SUA FELICITÀ IN ESSA. DI FATTO L’UOMO PRIMORDIALE STAVA MEGLIO, PERCHÉ IGNORAVA QUALSIASI RESTRIZIONE PULSIONALE. IN COMPENSO LA SUA SICUREZZA DI GODERE A LUNGO DI TALE FELICITÀ ERA MOLTO ESIGUA. L’UOMO CIVILE HA BARATTATO UNA PARTE DELLA SUA POSSIBILITÀ DI FELICITÀ PER UN PO’ DI SICUREZZA”. Agli istinti e alle passioni degli uomini vanno fatte risalire le pulsioni, che determinano le riproduzioni culturali dando avvio anche a nuove produzioni culturali, attraverso le quali l’uomo cerca di fissare le forme della vita collettiva. Il fenomeno della produzione e riproduzione di forme culturali dà vita ad un lento processo di trasformazione della cultura, in un continuo riproporsi di conflitti risolti e altri da risolvere. Detto questo, possiamo ora dare una definizione di cultura. Essa, infatti, sta ad indicare tutte le produzioni materiali e spirituali di un gruppo e di una società che acquistano significato per la vita collettiva. Posta in tali termini è ancora valida la definizione data da Edwart Burnett Tylor (1832 — 1917) oltre un secolo fa: “ILA CULTURA] È QUELL’INSIEME CHE COMPRENDE LE CONOSCENZE, LE CREDENZE, L’ARTE, LA MORALE, LE LEGGI, I COSTUMI, E OGNI ALTRA CAPACITÀ E ABITUDINE ACQUISITA DALL'UOMO COME MEMBRO DELLA SOCIETÀ”. La cultura può essere scissa in VALORI, SIMBOLI, SIGNIFICATI, MODELLI DI COMPORTAMENTO E RUOLI, sui quali si costituiscono i rapporti sociali e le istituzioni, comuni a tutti gli individui. Tuttavia, il fatto che un sistema cultura sia comune a tutti gli individui, non significa che tutti gli individui sono partecipi di esso nella stessa misura. Lo SPAZIO e il TEMPO rappresentano, dunque, due dimensioni di straordinaria importanza per delimitare il campo della cultura. Essi sono gli elementi essenziali del tessuto sociale. Ciò nonostante, lo spazio e il tempo sono stati considerati elementi centrali della teoria sociologia solo in tempi recenti. Infatti, precedentemente, erano pensati come “ambienti” nei quali le condotte sociali venivano prodotte, piuttosto che come parti integranti del processo di produzione. La cultura, quindi, non è semplicemente il prodotto dei comportamenti degli individui, ma è anche un intero apparato di simboli e di valori, su cui si innesta la vita collettiva. Questa distinzione tra aspetto formale e aspetto simbolico della cultura la si ritrova nei concetti dell’analisi culturale. In relazione a ciò, possiamo illustrare i seguenti concetti. 1. distinzione tra cultura ideale, vale a dire manifestazioni verbali o scritte relative a ciò che gli individui credono o fanno o dovrebbero fare o credere, e cultura reale, ossia ciò che la gente realmente fa o pensa. 2. concetto di sfera, area o campo culturale, vale a dire il territorio spazialmente circoscritto all’interno del quale una cultura o subcultura si manifesta. A questo proposito, è raro che i confini culturali coincidano con quelli politici o geografici. Questo concetto è utile per lo studio delle culture regionali. 3. il concetto di particolarità o tratto culturale: si riferisce ad un singolo elemento di un complesso culturale. Può essere rappresentato da un simbolo, un gesto, un utensile, un significato. 4. il concetto di complesso culturale: insieme di particolarità culturali. 5. distinzione tra elementi culturali materiali ed elementi culturali immateriali. Negli elementi culturali materiali possiamo riconoscere: a) i prodotti della cultura che gli uomini hanno scoperto ed adattato ai loro bisogni sociali materiali; b) i mezzi che gli individui utilizzano per la riproduzione di comportamenti; c) gli elementi portanti di una cultura; d) i simboli di una cultura, in quanto dal tipo di oggetti materiali impiegati è possibile individuarne il carattere. Rientrano nella seconda tipologia, cioè negli elementi culturali immateriali, le norme, le rappresentazioni in significati, le convinzioni, i miti e le ideologie. La distinzione che viene fatta tra elementi culturali materiali ed elementi culturali immateriali occupa un posto rilevante nella comprensione del mutamento sociale del processo di diffusione di una cultura. Grazie ad essi, infatti, è possibile misurare il ritardo culturale. È, questo, un aspetto introdotto da Ogburn con un lavoro del 1922 — Social Change. Nel libro, egli afferma che nei processi di evoluzione sociale, ciò che evolve è un insieme complesso di varie parti della cultura. Accade che la cultura non materiale deve sottoporsi ad un processo di adattamento ai cambiamenti della cultura materiale. In questo processo di adattamento, può succedere che una delle due parti della cultura cambi con un’accelerazione maggiore rispetto all’altra, generando un dislivello, vale a dire un ritardo, che può essere fonte di tensioni e conflitti. Scrive Ogbum: “MODIFICAZIONI DELLA CULTURA MATERIALE COMPORTANO MUTAMENTI IN ALTRI ASPETTI DELLA CULTURA, COME L’ORGANIZZAZIONE SOCIALE E I COSTUMI, MA QUESTI ULTIMI ASPETTI DELLA CULTURA NON CAMBIANO CON LA STESSA RAPIDITÀ DEI PRIMI. ESSI RESTANO INDIETRO RISPETTO AI MUTAMENTI DELLA CULTURA MATERIALE, PER CUI VIVIAMO UN PERIODO DI ADATTAMENTO DIFETTOSO”. La tradizione è strettamente legata alla cultura. Tanto è vero che la cultura si costituisce attraverso la tradizione e la tradizione rappresenta lo spessore storico della cultura. Per Mongardini, “LA TRADIZIONE È QUELL’ESPERIENZA SOCIALE CHE SI È SEDIMENTATA NELLA COSCIENZA DI GRUPPO E SI È OGGETTIVATA IN UN SISTEMA DI SIMBOLI CHE POSSONO ESSERE TRASMESSI DA UNA GENERAZIONE ALL’ALTRA”. Quindi, la tradizione acquisisce interesse non solamente come dato (magazzino di esperienze), ma anche come prodursi, in quanto selezione, valutazione, evoluzione. La sua primaria funzione, pertanto, è evidente. Essa fornisce agli individui la possibilità di dare fondamento e spessore storico alle aspettative reciproche e, per contro, rappresenta il quadro di riferimento per ogni cambiamento, reale o solamente ipotizzato. La cultura, quindi, mira a fissare i modelli della vita collettiva. Contemporaneamente, essa deve fare i conti con la propria fragilità. Caillois dice che ciò che chiamiamo cultura rimane qualcosa di superficiale, epidermico, che deve continuamente confrontarsi con le trasformazioni, che si realizzano nella società. Al riguardo, è utile elencare i processi e i fenomeni che con maggiore frequenza ricorrono nell'analisi dei processi culturali: 1. il parallelismo culturale nel quale due culture, totalmente separate tra di loro, si trovano a sviluppare lo stesso elemento culturale; 2. la diffusione: processo attraverso il quale la produzione culturale di una società si propaga ad altre culture; 3. la scissione: processo per il quale un contesto culturale si scinde in due o più unità indipendenti; 4. la convergenza: processo di fusione di due o più culture in una nuova cultura di natura diversa dalle precedenti. Veniamo ora alle funzioni che assolve la cultura. Prioritariamente, va detto che la finalità della cultura è quella di soddisfare i bisogni sociali degli uomini. Elenchiamo, dunque, una serie di funzioni, che soddisfano le finalità menzionate: 1. la cultura è l’elemento distintivo che individua e diversifica tra loro le diverse società e i diversi gruppi; 2. la cultura detiene, ordina e realizza i valori di una società e rende partecipi di essa i singoli individui; 3. la cultura è il più importante quadro di riferimento della solidarietà sociale; 4. la cultura è la base della struttura sociale, attraverso la quale gli individui si organizzano e si dispongono nello spazio sociale; 5. la cultura determina la personalità sociale. Dunque, come abbiamo avuto modo di appurare da quanto detto, la cultura, in definitiva, nasce dall’esigenza dell’individuo di contrapporsi e di rendersi autonomo rispetto alla natura. Tanto è vero che l’uomo si distingue dagli altri esseri viventi per la sua capacità di dare significato soggettivo al suo comportamento. A tal proposito, Weber afferma che “NOI SIAMO ESSERI CULTURALI, DOTATI DELLA CAPACITÀ E DELLA VOLONTÀ DI ASSUMERE CONSAPEVOLMENTE POSIZIONE NEI CONFRONTI DEL MONDO E DI ATTRIBUIRGLI SENSO”. Sotto questa prospettiva, l’attenzione del sociologo non può che essere posta nell’individuo. Da questa particolare angolazione, muove i passi l’analisi effettuata da un grande studioso del Novecento dei processi e dei fenomeni culturali, Friedrich Tenbruck. Allo studioso interessa approfondire il rapporto tra cultura e società. Parte dalla considerazione per cui una cultura è possibile solamente all’interno di una società, così come non esiste società senza cultura. Per lui, infatti, la cultura acquista una dimensione sociale nella misura in cui è rappresentativa, nella misura in cui, cioè, include credenze, immagini, idee ed ideologie che influenzano l’azione sociale. Intesa in tal senso, la cultura diventa un antidoto contro le ipotesi fallaci secondo le quali le società sono costituite da fatti sociali oggettivi, in modo tale che le nostre azioni dipendono dalla rappresentazione e dall’interpretazione dei fatti. Mettendo in risalto il significato sociale da attribuire alla cultura rappresentativa, Tenbruck intende ribadire l’insensatezza di concepire la società come sistema: “L'ERRORE FONDAMENTALE CONSISTE NELL’ASSUNTO APRIORISTICO CHE LE UNIFORMITÀ GENERALI SIANO GLI ASPETTI ESSENZIALI DELLA VITA SOCIALE. [...] POICHÉ SPETTA AGLI ATTORI DECIDERE QUELLE CHE ESSI CONSIDERANO ESSERE LE COMPONENTI ESSENZIALI DI UNA SITUAZIONE, NESSUNA TEORIA DELLA SOCIETÀ POTRÀ MAI STABILIRE OGGETTIVAMENTE GLI ELEMENTI UNIVERSALI ED ESSENZIALI DELLA SOCIETÀ”. LEZIONE 21- GLI ELEMENTI DI DINAMICA SOCIALE Il concetto di valore è uno dei concetti fondamentali della sociologia e attraverso di esso è possibile rappresentare gran parte della realtà sociale. Infatti i valori costituiscono la parte essenziale di ogni pratica sociale. Ciascuna società può essere identificata attraverso lo spazio fisico in cui vive, lo spazio sociale che produce e l’universo di valori che da un certo significato allo spazio di riferimento. Pertanto, non c’è analisi sociologica che possa prescindere dai valori come elementi costituenti del sociale. Quando si parla di valori si deve far riferimento ai bisogni sociali che li costituiscono, li consolidano o li modificano costantemente. I valori infatti sono le oggettivazioni dei bisogni sociali che assumono carattere normativo nei confronti del soggetto agente. Per l’individuo ha valore ciò che è ritenuto idoneo alla soddisfazione dei bisogni siano questi di tipo materiale o di tipo spirituale. Per Mongardini i valori sono “QUEI CRITERI, PRESENTATI COME OGGETTIVI, ATTRAVERSO I QUALI I GRUPPI E LE SOCIETA’ GIUDICANO LA RILEVANZA DI PERSONE, COMPORTAMENTI, FINI SOCIALI E ALTRI OGGETTI SOCIOCULTURALI 0 AVVENIMENTI”. I valori hanno una serie di caratteristiche che li accomunano, come ad esempio il fatto di essere comuni ad un certo numero di individui che li interiorizzano e li fanno propri; o il fatto di presentarsi come fini dell’agire comune e quindi di essere proiettati nel futuro; o il fatto di corrispondere a sentimenti pro tempore dominanti, dato che gli individui sono disposti a sacrificarsi e a lottare per essi ed infine il fatto di essere elementi di consenso, di legittimazione, di integrazione e di forme di integrazione fra i componenti di una società, cosa che li rende elementi essenziali del vivere sociale. I valori quindi non sono solo prodotti ma produzioni costanti degli individui in ogni forma di socialità. La vita collettiva, infatti, non è concepibile senza valori e perciò nella socialità gli individui ne producono continuamente e li usano come criteri di ordine, di significato e di controllo della realtà, al punto che la produzione dei valori è quindi una funzione delicata anche se impercettibile se non riportata al mondo del quotidiano e del soggetto agente. I comportamenti sono strettamente connessi ai valori della cultura nella quale si realizzano. Infatti sono proprio i valori che differenziano i comportamenti secondo le varie intensità dei costumi, degli usi e delle abitudini, e consentono di capire il significato di un atteggiamento o di un gesto all’interno della cultura. I valori sociali rappresentano, quindi, l’asse portante della cultura e sono in stretto rapporto con i modelli di comportamento, con i ruoli, con i processi sociali e con tutto il sistema di stratificazione della società. Tutti questi fenomeni consentono varie classificazioni dei valori, che possono essere così riassunte: a. Ad esempio i valori sociali possono essere classificati in relazione al carattere vincolante che impongono all’azione individuale, cioè possono essere classificati sulla base di quanto e in che modo vincolano la personalità degli individui. b. I valori sociali possono essere distinti in relazione alla loro efficacia, cioè all’incidenza che essi esercitano nella vita collettiva ed in particolare nel funzionamento dei gruppi e delle associazioni. c. Un’ulteriore distinzione dei valori sociali può essere fondata sulla base della loro funzione istituzionale all’interno di una cultura. Nella società contemporanea i valori e gli atteggiamenti di valore cambiano più rapidamente che non nelle società tradizionali che godono di un elevato livello di stabilità. OLTRE AGLI OBBLIGHI CUI SIAMO PREPARATI, CONCERNENTI LA RESTRIZIONE PULSIONALE, CI SOVRASTA IL PERICOLO D’UNA CONDIZIONE CHE POTREMMO DEFINIRE “LA MISERIA PSICOLOGICA DELLA MASSA”. Nello stesso testo Freud, riferendosi più propriamente a quelle che egli aveva chiamato paure sociali, scrive: “IL PROBLEMA FONDAMENTALE DEL DESTINO DELLA SPECIE UMANA A ME SEMBRA SIA QUESTO: SE E FINO A CHE PUNTO L’EVOLUZIONE CIVILE DEGLI UOMINI RIUSCIRÀ A DOMINARE I TURBAMENTI DELLA VITA COLLETTIVA PROVOCATI DALLA LORO PULSIONE AGGRESSIVA E AUTODISTRUTTRICE ... GLI UOMINI ADESSO HANNO ESTESO ‘TALMENTE IL PROPRIO POTERE SULLE FORZE NATURALI, CHE GIOVANDOSI DI ESSE SAREBBE FACILE STERMINARSI A VICENDA, FINO ALL’ULTIMO UOMO. C’È DA ASPETTARSI CHE L’ALTRA DELLE DUE ‘POTENZE CELESTI’, L’EROS ETERNO, FARÀ UNO SFORZO PER AFFERMARSI NELLA LOTTA CON IL SUO AVVERSARIO ALTRETTANTO IMMORTALE. MA CHI PUÒ PREVEDERE SE AVRÀ SUCCESSO E QUALE SARÀ L’ESITO?”. Sigmunt Freud non è che uno degli interpreti moderni della paura. E Thomas Hobbes che inaugura la riflessione modema sulla paura. Per Hobbes la paura spinge gli uomini a frenare i loro istinti che mettono a rischio la sicurezza di ciascuno, a imporsi dei limiti, a porsi come istanza primaria quella dell’autoconservazione. Perciò dalla paura nasce la rinuncia, nasce la vita associata come garanzia della vita, nasce la sottomissione e il fatto di dominio, cioè la società politica. L'uno o la “persona artificiale” dello Stato conserva la totalità dei diritti, incorporando i desideri della collettività, tutti gli altri rinunciano in cambio della garanzia di sicurezza e della liberazione dalla paura. Per sfuggire alla minaccia sempre presente dell’altro gli individui si trasformano in cittadini protetti dallo Stato. L’organizzazione dello Stato ha uno svolgimento razionale, basato su regole e norme, poste per por fine alla paura che così, come nota Bobbio, da fattore malefico diventa fattore benefico per la vita politica, che permette agli uomini di uscire da una situazione di “timore reciproco” in cui si trovano allo stato di natura, “evitando di cadere nelle braccia del mostro cattivo della guerra civile”. Negli anni successivi anche altri autori affrontano il rapporto tra paura e politica. Più genericamente Spinosa vede delle passioni la base dell’insicurezza sociale e nella politica lo strumento per porre sotto controllo questa insicurezza. La visione antropologica fa anche qui da base alla concezione della politica e della sua funzione. Le possibilità di sviluppo del mondo moderno e del processo di civilizzazione appaiono per Spinosa strettamente connesse alla forza della politica. Diversa è invece la valutazione di Montesquieu, per il quale l'elemento della paura si lega non alla politica in generale ma alle forme di governo dispotico. Il dispotismo si fonda sulla paura e giocando su di essa governa con l’arbitrio e con la nuda e cieca forza. Il tema della paura riaffiora poi in alcune opere dell’ ‘800, e lo ritroviamo negli scritti di Nietzsche e di Freud. Per Nietzsche la paura è il sentimento ereditario dell’uomo che serve a spiegare gran parte dei suoi comportamenti mentre per Freud la paura è il frutto della situazione paradossale dell’uomo condizionato da pulsioni interne e da costrizioni esteme. Ma è con Guglielmo Ferrero che il tema della paura viene di nuovo affrontato in una visione onnicomprensiva che lega la condizione antropologica dell’uomo alla costituzione della società civile e della società politica. Per Ferrero la paura è “il male primordiale”, “l’anima dell’universo vivente”. L'uomo è l’animale che “fa paura a se stesso”, che porta in sé il terrore della morte e la coscienza della terribile capacità che egli ha di fabbricare strumenti che direttamente o indirettamente possono distruggere la vita. Come Freud, Ferrero associa la paura di fronte alle forze misteriose della natura, con le paure sociali e le immagini del futuro. Di qui gli sforzi che l’uomo compie per creare condizioni artificiali di stabilità e di sicurezza. La società civile con le sue istituzioni, a cominciare dalla famiglia, è una risposta a questa paura. Ferrero scrive che il potere “È LA MANIFESTAZIONE SUPREMA DELLA PAURA CHE L’UOMO FA A SE STESSO, MALGRADO GLI SFORZI PER LIBERARSENE. E’ QUESTO FORSE IL SEGRETO PIÙ PROFONDO E OSCURO DELLA STORIA. ANCHE NELLE SOCIETÀ UMANE PIÙ POVERE E IGNORANTI SI TROVA UN RUDIMENTO DI AUTORITÀ ... L'UMANITÀ NON HA VISSUTO, NON VIVE E NON VIVRÀ CHE ORGANIZZATA IN QUESTO MODO; E CIÒ PER UNA RAGIONE MOLTO SEMPLICE: CHE GLI UOMINI SI TEMONO VICENDEVOLMENTE, A CAUSE SOPRATTUTTO DELLE ARMI DA LORO STESSI FABBRICATE PER DIFENDERSI”. La fondazione della società politica per Ferrero si basa però a differenza di quanto affermato da Hobbes, su un fatto di dominio fra governanti e governati e il mancato rispetto di questo porta all’anarchia e al totalitarismo. Se i soggetti, scrive Ferrero, “HANNO SEMPRE PAURA DEL POTERE A CUI SONO SOGGETTI, IL POTERE HA SEMPRE PAURA DEI SOGGETTI A CUI COMANDA ... NON VI È STATO NÉ MAI VI SARÀ UN POTERE CHE SIA ASSOLUTAMENTE SICURO DI ESSERE SEMPRE E TOTALMENTE ASSECONDATO. TUTTI I POTERI HANNO SAPUTO E SANNO CHE LA RIVOLTA È LATENTE NELLA SOGGEZIONE PIÙ SUPREMA E PUÒ SCOPPIARE UN GIORNO O L’ALTRO SOTTO L’IMPULSO DI CIRCOSTANZE IMPREVEDUTE: TUTTI I POTERI SI SONO SENTITI PRECARI, E CIÒ PRECISAMENTE IN PROPORZIONE DELLA FORZA CON CUI SONO COSTRETTI A IMPORSI ... NON APPENA LE MINACCE E I RIGORI INTERVENGONO, SUBITO NASCE LA PAURA: GLI UOMINI HANNO PAURA DEL POTERE CHE LI ASSOGGETTA; IL POTERE HA PAURA DEGLI UOMINI CHE POSSONO RIBELLARSI”. Insomma il potere creato dall’uomo per controllare la paura e che si esercita anche con la paura, ha esso stesso paura per quella che Georg Simmel definirebbe come una posizione ambivalente dell’uomo di fronte al dominio: per un verso ne ha bisogno e non potrebbe farne al meno, per l’altro reagisce alla sua pressione. Solo i principi di legittimità sono in grado per Ferrero di legare governanti e governati e di creare equilibrio nei rapporti tra i cittadini e il potere. Con il termine “paura” si intende generalmente il sentimento diffuso di insicurezza e di minaccia al proprio benessere fisico-materiale e alla propria identità soggettiva e sociale percepito dagli individui. A tal proposito si può far riferimento alla paura che dopo 1’11 settembre coinvolge un po’ tutti. Un sistema nazionale che favorisce la partecipazione e le libertà civili e politiche si espone necessariamente al rischio della violenza: il successo consiste nell'intervenire sulle cause della violenza, non nel controllare le sue possibilità di espressione. In realtà l'espressione del sentimento reale percepito dalla popolazione, che riguarda la paura dell'altro, gioca un ruolo fondamentale nella costruzione psicologica dell'identità. I discorsi politici alla televisione e le notizie dei telegiornali entrano nei discorsi quotidiani, rafforzano una visione della realtà che a sua volta forma un serbatoio di immagini dal quale le forze politiche traggono informazioni e ispirazioni. Il potere circola nelle pratiche quotidiane, nei media, nelle istituzioni e impone una visione del mondo nel quale la paura ha un posto centrale, rispondendo a bisogni psicologici e a interessi economici e politici. Le paure sono episodi frequenti e comuni, cambiano in base all’età e se nell’infanzia ci si trova di fronte a paure di tipo irrazionale, crescendo, esse divengono più complesse ed articolate, interessando la sfera sociale e relazionale. Ciceri in un suo testo scrive che la paura è una “REAZIONE EMOZIONALE, NEI CONFRONTI DI UN OGGETTO O DI UNA SITUAZIONE MINACCIOSI, ASSOCIATA AD UN AUMENTO DEL RISCHIO DI PERICOLO E COLLEGATA AD UN SENSO DI SPIACEVOLEZZA, DI AGITAZIONE E A UN DESIDERIO DI NASCONDERSI, DI FUGA O DI RICERCA DI PROTEZIONE. LA PAURA È UN VERO E PROPRIO SISTEMA DIFENSIVO CHE MEDIA UN’AZIONE SUL MONDO RENDENDOLA PIÙ SICURA ED EFFICACE”. In modo più sistematico Ohman (2000), mette in evidenza quattro fattori che rappresentano situazioni di rilevanza per l’evoluzione umana, ossia: 1) Le paure circa eventi o situazioni interpersonali che includono le paure delle critiche e interazioni sociali, i conflitti, le valutazioni e l’aggressione interpersonale. 2) Le paure relative alla morte, ferite, malattie, sangue e procedure mediche, esse comprendono i problemi fisici e mentali riferiti anche alla paura del suicidio, omosessualità, inadeguatezza sessuale e paura di perdita del controllo, paura delle contaminazioni, di una sincope e altre minacce fisiche. 3) Le paure degli animali includono animali domestici, piccoli, allarmanti, insetti e rettili. 4) La paura agorafobica riguarda il trovarsi in spazi pubblici piccoli o affollati, spazi chiusi come i tunnel, gli ascensori, paura di viaggiare solo in treno o bus, di attraversare un ponte o entrare in spazi ampi. TURISMO Il turismo come oggetto di analisi La sociologia del turismo, materia giovane tra le scienze sociali, si occupa di cogliere le motivazioni a viaggiare e gli effetti prodotti dal viaggio sul soggetto e sulle relazioni. Di recente, dal momento che il turismo è un fenomeno sociale in continua evoluzione, in virtù della crescita dei flussi turistici, dello sviluppo territoriale, ha formulato ipotesi sull’emergere del “nuovo modo di fare vacanza” e sull’evoluzione delle sue forme in corrispondenza ai diversi stadi di sviluppo della società del nuovo modo di impiegare il tempo libero e della considerazione che lo stesso non fosse solo un fenomeno economico, ma prima di tutto un fenomeno sociale mutevole. Parafrasando Durkheim il turismo è un fatto sociale che si basa sul comportamento spontaneo di un certo numero di individui spinti da un obiettivo condiviso, che si imporre indipendentemente dalle volontà individuali. Nell’era della globalizzazione, tale fenomeno turistico rappresenta un valido strumento di conoscenza fra popoli e culture diverse, favorendo altresì lo sviluppo delle risorse locali. Inizialmente il turismo è nato come fenomeno strettamente connesso al capitalismo e, successivamente, al consumismo, rappresentativo della sociale di élite e non di massa, riservato a coloro che disponessero di capitali e di tempo libero (il viaggio veniva praticato per scopi educativi, culturali da una ristretta classe sociale). Oggi, invece si intende un fenomeno sociale di massa, frutto della rivoluzione industriale, che ha trasformato i metodi di produzione e l’organizzazione sociale ed economica, scandito dal tempo di lavoro e non, frutto dei cambiamenti sociali che hanno portato progressivamente al riconoscimento per i lavoratori delle ferie retribuite e alla riduzione dell’orario di lavoro. In una società caratterizzata da una solidarietà di tipo meccanico , il tempo libero, di non lavoro, era riservato alla vita comunitaria, quali ad esempio le feste religiose. Ad usufruire del tempo libero nella società industriale era comunque una stretta cerchia di classi sociali, la borghesia proprietaria dei mezzi di produzione e i latifondisti, quindi, solo dopo la fine della seconda guerra mondiale si è realizzato quel processo che ha riconosciuto a tutte le classi sociali il tempo libero, verso la pratica di attività personali quali il turismo. Il viaggio e il turismo vengono interpretati come presa di coscienza e come conferma/rinforzo delle rappresentazioni soggettive e sociali; considerati nelle loro componenti essenziali (partenza, transito, arrivo) e nelle loro destinazioni (centro o periferia del proprio mondo o dei mondi altrui); il tutto analizzato in riferimento alle forme storicamente assunte dal turismo e dalla struttura sociale dominante nello stadio di sviluppo in cui la società si trova quando esse si manifestano. La successione delle forme del turismo comprende ad esempio il Gran Tour, ovvero una forma di turismo autodiretto delle classi aristocratiche e il turismo eterodiretto di massa, tipico della società preindustriale e industriale. Il Grand tour era una pratica consolidata tra i fi gli dell’aristocrazia e dei proprietari terrieri che svolgevano la propria esperienza di viaggio attraverso i paesi dell'Europa occidentale (Italia, Francia, Gran Bretagna), di durata non inferiore ad un anno ( causa la lentezza dei mezzi di trasporto di allora) al fine di completare la propria istruzione e di addestrare il giovane alla vita di relazione. Di tali forme di viaggiare, la sociologia del turismo si occupa di considerare gli interessi che sottendono la produzione e il consumo del turismo come merce, la pianificazione delle esperienze in una dimensione separata dal quotidiano e i criteri di valutazione socialmente condivisi dei comportamenti e delle esperienze compiute. Il turismo di massa, in particolare, si è manifestato con dimensioni e influenze intense ed ha stimolato molte riflessioni sociologiche. La crisi di identificazione del soggetto col sistema sociale cui appartiene, la globalizzazione e l’introduzione delle nuove tecnologie determinano forti complessità sociali, dilatazione delle forme di movimento territoriale e di fruizione delle immagini, la destrutturazione delle appartenenze sociali, inducono i sociologi del turismo a parlare di nuovo nomadismo. Quest’ultimo è considerato dagli studiosi come una forma di turismo che trascende le precedenti forme di viaggio e muta nel soggetto il rapporto conoscitivo col mondo circostante che diventa via via più veloce, creativo e superficiale. Il nuovo nomadismo, frutto anche della pervasiva diffusione della comunicazione visuale e della navigazione in rete, genera nuove potenzialità di espressione del singolo e permette la creazione di relazioni sociali inedite: dunque i cambiamenti culturali e sociali in atto rappresentano una sfida per le pratiche consolidate degli operatori del turismo e delle autorità di controllo, che devono considerare, per pianificare al meglio le loro attività, non solo le conseguenze dei mutamenti spaziali e temporali sulla percezione dei clienti, ma soprattutto la trasformazione dei contenuti e dei significati che il turista dà all’esperienza del viaggio. Molte teorie sociologiche del turismo ritengono che la consapevolezza dell’individuo di far parte di una categoria universale dell’umanità e di appartenere ad una specifica società venga problematizzata col viaggio. Quando le società arcaiche fondate sui legami di tipo parentale lasciano il posto a nuove forme di socialità basate su interessi comuni (come nelle polis greche ad esempio), questo avviene perché lo sviluppo delle conoscenze di costumi e istituzioni altre, fa apparire l’ordine sociale come suscettibile a diverse interpretazioni e trasformazioni. Le persone, confrontandosi con movimenti e contatti nuovi, prendono coscienza del carattere relativo dei loro ordinamenti sociali e li sottopongono a revisione : ciò genera il superamento di una rigida divisione fra popoli e il riconoscimento della possibilità di rendersi autonomi rispetto ai modelli che hanno plasmato questa o quella società. L'individuo viaggiando entra in un sistema aperto in cui è possibile scambiare informazioni ed energie con altri individui e con un ambiente diverso rispetto a quello in cui vive e da tale confronto scopre la possibilità di essere diverso da come è e da come le norme del suo contesto sociale gli impongono di essere. Nel momento in cui si aprono di fronte al soggetto tali possibilità di cambiare, l'ordine sociale diventa instabile e problematico, quindi lo si deve continuamente reinventare per comprendere il mutamento dei soggetti che vi vivono e delle relazioni intersoggettive che in esso si sviluppano. L’aspetto dello straniero La figura del “viaggiatore” nel Ventunesimo secolo assume un significato sociologico più chiaro. Egli è lo straniero, la persona marginale. I contributi e le riflessioni sociologiche sul “viaggiatore” cominciano a diffondersi intorno agli anni Venti e Trenta del Novecento soprattutto in Germania, mettendo in evidenza come nel gruppo sociale, il soggetto debba far necessariamente i conti con alcune riflessioni contraddittorie: da un lato la difesa della propria continuità cui corrisponde l’amore per la propria identità culturale e l’esclusione del diverso; dall’altro, la tendenza al mutamento e all’evoluzione, cui corrisponde l’apertura verso l’esterno e l’inclusione dell’altro. Per gli autoctoni lo straniero è al tempo stesso fonte di fascino e paura. La sua presenza è quasi una minaccia alla stabilità e all’armonia del gruppo locale e anche quando viene accettato lo si tiene ad una certa distanza (sociale) perché portatore di componente di estraneità. Simmel, uno dei fondatori della sociologia urbana, nonché tra i primi autori a sviluppare delle riflessioni sociologiche sul movimento dei forestieri e delle linee psicologiche e comportamentali dell’uomo metropolitano, definito blasè5 (disincantato, scettico, che non prende mai le cose sul serio). Per Simmel il forestiero è «una persona diversa dal vagabondo, che occupa una precisa posizione all’interno della struttura sociale ed è inserito in un gruppo spaziale particolare, anche se non appartiene a quel gruppo sin dalla sua costituzione e ha la possibilità di allontanarsi in qualsiasi momento» . 3 Il turismo come istituzione e la società dei consumi Le istituzioni turistiche, secondo Knebel18, rappresentano un sistema secondario del turismo perché i processi sociali posti in essere nelle modeme superstrutture (quali burocratizzazione, funzionalizzazione e alienazione) riducono l’uomo ad una condizione quasi minimale, ad un oggetto. Nelle istituzioni turistiche esisterebbe un sistema di ruoli strutturati attraverso un complesso di mezzi, sanzioni, espressioni e gerarchie di valori che non si limita a determinare arrivo, soggiorno e partenza del viaggiatore, ma organizza esso stesso un sistema di attori e risorse con proprie finalità, obiettivi, metodi e motivazioni dell’esperienza turistica19. Tuttavia, a mano a mano che il turismo si è diffuso raggiungendo dimensioni di massa e facendo assumere comportamenti standardizzati, è venuta meno solo apparentemente l’iniziativa del viaggiatore a ridefinire propri contenuti e confini, così i sociologi contemporanei che si interrogano sulle dimensioni oggettive e soggettive del viaggio, sulle motivazioni, sulle forme e sulle tempistiche del soggiorno trovano grosse difficoltà a stilare una classificazione quanto meno coerente fra modalità organizzative, obiettivi e riti dei turisti contemporanei. Il turismo è certamente un fatto dinamico, che evolve nel tempo e sfugge a comparazioni storiche, arrivando così alla definizione di un cambiamento rispetto alla routine, a qualcosa di strano, diverso, insolito che l'industria del turismo offre come novità partire dal secondo dopoguerra. Crescita dipesa dalla stabilità internazionale e dal benessere economico toccato dai Paesi industrializzati. Gli esperti del management diffusero la convinzione che tutti i dipendenti che svolgessero lavori intellettuali (i cosiddetti “colletti bianchi” che lavoravano con la testa invece che con le mani) avessero bisogno per essere più produttivi di tempi di riposo celebrale più lunghi. Così i giorni lavorativi settimana divennero cinque e anche le ore di lavoro giornaliere diminuirono. Queste campagne per la produttività americana miravano ad accrescere il benessere psicofisico dei dipendenti delle classe media, dunque dal 1920 al 1930 il numero di vacanze retribuite passò dal 40 all’80%7 . Fino al 1930 raramente i lavoratori americani avevano chiesto ferie né avevano mai scioperato per ottenerle, eppure da quel decennio in poi l’idea che le vacanze fossero una necessità per tutti andò dilagando. Il tempo libero retribuito avrebbe inciso positivamente sulla salute e sulla produttività dei singoli, diminuito il turnover e limitato i conflitti sul posto di lavoro. Gli imprenditori si interessavano della pace sociale nelle industrie e la teoria secondo la quale lo sviluppo economico era legato alla crescita dei consumi provocò un’ulteriore impennata delle vacanze retribuite fino a coinvolgere quasi tutti i lavoratori salariati. Il consumo di massa del tempo libero, specialmente nella sua forma di turismo e vacanze, era considerato un fatto ovvio e necessario al benessere sociale, culturale ed economico dei paesi, anzi, anche nel periodo fra le due guerre quando le società vivevano un momento di recessione finanziaria, le agenzie promozionali diffondevano una nuova etica del tempo libero, funzionale allo sviluppo economico e culturale degli stati. Il turismo avrebbe favorito l'aumento del reddito nazionale e fatto circolare più velocemente il denaro, stimolato le attività imprenditoriali e creato nuovi posti di lavoro. Comportamenti, consumi e socialità del turismo di massa Il comportamento turistico nella società industriale avanzata muta la propria struttura, differenziandosi dai precedenti comportamenti sia da un punto di vista del profilo socio- culturale del cliente, sia dal punto di vista dei contesti di destinazione. I protagonisti del turismo di massa sono gli uomini metropolitani, cioè adulti economicamente attivi che si muovono dalle grandi città in modo codificato e ripetuto portando con sé bambini e anziani. Intorno al XIX e XX secolo, il comportamento turistico si estende alle donne e a tutti coloro che appartengono al ceto medio e alla borghesia capitalistica: funzionari, impiegati, lavoratori dell’industria e dei servizi e operai. I cambiamenti che avvengono nella struttura sociale della popolazione turistica sono riconducibili ai mutamenti nella struttura sociale delle società cui essa appartiene, cioè il fatto che nuovi strati e gruppi sociali emergano con dinamismo e caratterizzino i modelli organizzativi della società industriale avanzata riflette la tipologia di consumatore sul mercato turistico. Secondo Knebel i comportamenti del turismo moderno sono caratterizzati dal fatto che il venir meno della dimensione creativa nei tempi e nei ritmi di vita della società industriale, sproni a cercare altrove un qualche tipo di vicinanza all’arte e al mondo culturale in generale. Il tempo, sempre pianificato secondo scadenze e impegni quotidiani, ha bisogno di essere almeno ideologicamente slegato dalla sua organizzazione rigida e sempre massimizzata alla produzione. Per questo l’uomo metropolitano preferisce delegare la progettazione del suo tempo libero e delle sue vacanze a terzi e a manager turistici che scelgano per lui le opzioni più vantaggiose. Anche in questo caso una scelta creativa sull’uso del tempo libero viene meno. Il turista eterodiretto in effetti nel suo viaggio non farà alcuna scoperta e non avrà nemmeno ricordi personali perché tutte le sue percezioni, sensazioni ed emozioni saranno decise a tavolino da altri. Quando il viaggio diventa un fenomeno di massa, si appoggia cioè ad una macchina organizzativa che assume la forma di un sistema e nella quale una volta entrata si deve seguire il programma alla lettera con tutto ciò che è ordinato e previsto, sia che si parta con mezzi propri che pubblici, sia da soli che in compagnia. Il turista in questo caso trova gratificazione solo dal fatto di dimostrare che è uguale agli altri: grazie all’esperienza turistica infatti ricostruirà simbolicamente un’unità prima perduta e si adatterà alle sollecitazioni prodotte dalle istituzioni turistiche, dimostrando con la sua partecipazione che sa autorealizzarsi. Il desiderio di rompere con la routine non è frutto di un’elaborazione personale, ma manipolato dall’esterno da amici, colleghi, mezzi di comunicazione di massa, pubblicità o agenzie turistiche che fanno nascere nel soggetto motivazioni più o meno stereotipate ad uscire dalla frustrazione organizzando il suo tempo libero e il suo ozio. Il soggetto, sottoposto a pressione, si reca nella più vicina agenzia e bombardato com'è dall’abbondanza di mete e di offerte di cui ha sentito parlare gli amici o la televisione, sceglie in base alle sue possibilità economiche e a ciò che ritiene più consono al suo status sociale. A questo punto il tour operator si baserà sull'immagine fotografica più accattivante e capace di lanciare più messaggi subliminali e, senza mai lasciare piena autonomia decisionale al cliente, rafforzerà con abili tecniche di marketing i bisogni coscienti e i desideri latenti di questo. Nella società dei consumi i mezzi si trasformano in fini. Per cogliere le piacevoli opportunità del tempo libero, dedicarsi all’ozio e rilassarsi l’uomo metropolitano ha bisogno di reinventarsi e gettarsi in esperienze che lo facciano sentire vivo e assorbano tutte le sue energie emotive e sensitive. L’automobile è il mezzo che in questa prospettiva si carica di valenze simboliche molto significative: essa rappresenta una bolla ambientale di familiarità e protezione che mette al riparo da ogni situazione esterna, compromesso fra essere a casa propria e lontani. L’automobile è un mezzo di trasporto che dà prestigio e carica l’esistenza di una nuova libertà, rispecchia lo status sociale e assume una funzione primaria nel costruire le immagini sociali. I soggetti in movimento sono i protagonisti di una civiltà, quella dell’automobile appunto, che valorizza la mobilità territoriale e sociale. 3 Oltre la cultura di massa Quali sono state le condizioni che hanno fatto sì che nascesse il turismo di massa? La concentrazione delle grandi masse di lavoratori salariati nelle fabbriche e nelle aziende, l’organizzazione scientifica del lavoro e le nuove scoperte tecniche, l’urbanizzazione e la scolarizzazione, la maggiore mobilità sociale e la separazione fra luogo di lavoro e luogo di vita, l'emergenza della famiglia nucleare e la crescita del consumismo, sono solo alcuni dei fattori che hanno determinato un cambiamento nella struttura sociale dell’epoca industriale e di conseguenza una differenziazione nella domanda di turismo. Edgar Morin nel 1962 afferma che il consumo della cultura di massa trova la sua ragion d’essere nello svago, nel loisir, nella democrazia del tempo libero e nella partecipazione di uomini e donne alla civiltà del benessere. Tale partecipazione al tempo libero non significa soltanto momento di riposo e di recupero psicofisico, ma tempo dedicato alla partecipazione alla festa collettiva: è nel loisir che i soggetti cercano di affermarsi come individui privati e cercano di rispondere ai bisogni della propria vita al di fuori del lavoro. Gli eventi e le attività del loisir privilegiano l’intrattenimento, il gioco e lo spettacolo, elementi questi che si ritrovano nelle vacanze moderne. Negli anni Settanta, la cultura di massa giunge al suo massimo grado di sviluppo e ridefinisce il rapporto fra individuo e società. Partecipare attivamente alla società vuol dire sviluppare adeguate competenze comunicative e gestire la complessità sociale, quindi il turismo si presenta come una risposta a chi chiede di alleggerire il tasso di faticosità psichica, conseguenza del faticoso processo di costruzione dell’identità degli uomini moderni. Anche se gli studiosi della cultura di massa sottolineano che non tutti sono in grado di muoversi come identità autonome e perciò di fruire nella stessa maniera delle agevolazioni offerte dal sottosistema tempo libero-turismo. 1 La funzione identitaria del sottosistema turismo La cultura di massa degli anni Settanta rappresenta il passaggio dalla stratificazione alla differenziazione funzionale e relazionale del rapporto fra individuo e società . Tale rapporto oggi fa sì che il funzionamento dei sistemi di funzione sociale sia garantito da un certo margine di autonomia, da uno specifico codice e senza gerarchizzazioni fra un sistema e l’altro. Gli individui, di conseguenza, partecipano attivamente alla società sviluppando adeguate competenze comunicative e prendendo parte a tutti i sistemi di funzione che garantiscono la riproduzione della comunicazione. Lo scenario di questa nuova relazione individuo/società è quello di uno stadio evolutivo fatto di complessità, contingenza e di nuovi significati. Il senso che si dà alle cose e alle relazioni permette di selezionare e scegliere per ridurre la complessità: la società contemporanea mette a disposizione degli individui alcuni sottosistemi con cui è possibile vagliare varie possibilità e rendere ogni scelta qualcosa di unico e personale. La società modema presenta una struttura che prevede e tiene insieme situazioni conflittuali che in certi casi, con l'aumento della complessità, ribadiscono ulteriormente la differenziazione dei suoi sistemi di funzione: la pratica del viaggio e la sua progressiva trasformazione, mettono in luce ad esempio l'emergenza di un nuovo sottosistema di funzioni che Gemini definisce sistema del tempo libero e del turismo . 2 La possibilità di scelta e di espressione del singolo nella società complessa La diversità e la ricchezza delle possibilità di azione, rese possil anche da una gamma pervasiva di mezzi di comunicazione, esercitano il loro appeal fra tutto ciò che si frappone fra l’individuo e la sua chance di scegliere fra comportamenti uniformi e non. L'organizzazione del tempo del lavoro e della vita, su cui la società industriale ha fatto sentire i suoi effetti in termini di omologazione e razionalizzazione, si colora di nuove strategie di riassestamento. Alcuni autori come Echange e Projets nel 1986 parlano di rèvolution du temps choisi per sottolineare come le rigidità istituzionali possano essere contrastate da una vasta gamma di tempi di fruizione che permettano evasione dal lavoro ed una ricomposizione delle sfere relazionali intersoggettive secondo schemi più fluidi e dinamici. L'opportunità di compiere scelte investe anche l’area del riposo, del relax, della vacanza e della riflessione e permette, secondo una strutturazione del tempo più porosa, di costruire nuovi equilibri psicologi e assecondare nuovi bisogni. Il turismo è un momento in cui vengono superate simbolicamente le appartenenze dell’individuo ed è un campo di esercizio in cui scegliere se assumere un ruolo passivo socialmente predefinito o affermare reattivamente se stessi. La figura del “forestiero” quindi torna ad essere messa al centro, come rappresentazione emblematica delle relazioni intersoggettive che chiamano in causa una certa continuità col quotidiano. 3 La ricerca della propria personalità mediante il viaggio Verso la fine degli anni Settanta, Burgelin svolge un'analisi qualitativa per spiegare come mai alcune forme di turismo di massa siano state superate, e conclude che accanto all’uomo incolto e rozzo della società industriale, superficiale e senza legami, si sono sviluppati nuovi atteggiamenti turistici volti a superare la logica del sightseeing . La sopravvivenza del soggetto in quanto tale appare ormai minacciata dalle aspettative collettive e dal conformismo della massa e egli si sente stimolato ad intraprendere nuovi percorsi per recuperare l'autenticità del proprio rapporto con il mondo A partire dagli anni Sessanta infatti, la fetta di pubblico che partecipa alla sviluppo e ai privilegi della società modera si allarga e le vecchie èlite vengono sostituite dall’utenza di massa. Secondo l’autore per superare la visione di un uomo stupido e costretto, si creano percorsi alternativi al sightseeing in cui il turista cerca per la prima volta e in maniera attiva, di instaurare una relazione con l’oggetto che sta guardando, riappropriandosi del suo senso e dando a questa esperienza un significato profondo . Burgelin continua descrivendo tre possibili vie di fuga da quelle che sono le forme di massa del turismo e nello specifico parla di impregnazione, scoperta e avventura. L’impregnazione è un processo di meditazione dell’oggetto della relazione turistica che si attua vivendo e ordinando in senso intellettuale e percettivo lo stesso: non si tratta di mera appropriazione estetica o di studio dell’oggetto ma di un’osmosi che fa allacciare con esso una relazione profonda e unica. Con la scoperta invece il soggetto può scorgere nuove gratificazioni nell’esperienza turistica e andare fiero di ciò che ha raggiunto da solo, senza tenere in considerazione ciò che è invece comunemente accettato, considerato bello o importante dagli altri. L’oggetto della scoperta non è più una cosa da vedere predeterminata e non appartiene nemmeno alla sfera estetica. Si tratta piuttosto di informazioni ed elementi che fanno del viaggio lo strumento di conoscenza per eccellenza e che permettono al soggetto di instaurare una relazione cognitiva coi contenuti e coi significati del suo viaggiare. Il terzo percorso per rinnovare l’esperienza turistica, secondo Burgelin, è l’avventura, che contrariamente al sightseeing permette di allontanarsi dai sentieri battuti dal turismo di massa e dalle pratiche confortevoli imposte dal mercato, donando nuovo senso e nuovo spirito d’iniziativa all’attività del viaggio. Anche in questo caso, il soggetto, oggigiomo sempre più disorientato, insicuro e instabile, attribuisce nuovi significati e nuovi simboli alla sua attività turistica, facendone una pratica con la quale ricercare la propria identità smarrita e cui ancorare una funzione di scoperta, rinvigorimento o cambiamento del proprio Io. La funzione del turismo sarebbe, secondo questa prospettiva, quella di dare sicurezza e ancoraggio all’identità del soggetto che nell’epoca contemporanea ha smarrito le sue coordinate identitarie e sociali, a seguito delle mille trasformazioni avvenute nella società e nella coscienza dei singoli, sempre più esposti a rischi, a conformismi e a pressioni che non permettono alle personalità di uscire a galla. 4 L’uscita del turista dalla sua rete sociale: l'apertura verso l’altro e la condizione di parità Quando le persone partono, vivono una situazione di sospensione dalle loro reti sociali. Questa situazione di uscita temporanea tuttavia non presenta rischi perché la sospensione dalla socialità solita non è quasi mai perenne e una volta tomati, i soggetti riprendono i loro ruoli abituali. Se sul versante emozionale il distacco può alterare lo stato delle relazioni emotive, il soggetto sa che deve salvaguardare la sua rete di appartenenza onde evitare conseguenze impreviste. Dal punto di vista formale, viaggiare vuol dire non solo svestizione dei ruoli della quotidianità ma anche assunzione di un nuovo ruolo, quello del viaggiatore appunto. Sfuggendo alla complessità del quotidiano dove i ruoli sono molteplici, i soggetti entrano in relazioni semplificate e libere, che possono contribuire ad allentare il senso di insicurezza che si prova nei contesti ordinari del vivere. Tali relazioni sociali saranno più aperte al prossimo, al diverso e all'ambiente perché il soggetto non è chiamato più a recitare un ruolo standardizzato o a vestire una maschera: può per la prima volta sperimentare rapporti autentici e disinteressati, che non rispecchino per forza il suo status o il suo biglietto da visita. La condizione che caratterizza questa apertura all’altro è la parità. Il viaggio è democratico, anzi, senza parità le interazioni sociali sarebbero regolate come nella quotidianità da indicazioni quali mantenere le distanze, rispettare i tempi dell’altro, non lasciarsi andare all’emotività e altro ancora. 5 Il diverso da sé Perché la sospensione della quotidianità e il suo contenuto di straordinarietà si realizzino, occorre che le relazioni sociali avvengano in condizioni ottimali perché ciò mette il viaggiatore in una condizione psicologica di sospensione dai rapporti standard e di apertura totale verso quelli artefatti del viaggio. La natura istituzionale del viaggio abitua l’altro a partecipare al gioco ed è su questa reciprocità che si fonda lo scambio. Alcuni studiosi addirittura chiamano anti-turistici certi atteggiamenti che non si basano sulla reciprocità e quindi generano rapporti ineguali nella ritualità del viaggio. Nei viaggi verso terre esotiche o caratterizzate da comunità tradizionali, ad esempio, l’osservatore può suscitare fastidio o disagio nell’osservato. Ciò potrebbe non solo generare la cosiddetta logica dell'acquario ma anche rafforzare le differenze sociali tra i due attori quando si ostentano certi modelli di comportamento e si interpretano male certi tratti culturali (si parla in questo caso di violenza ai costumi locali, questione di cui si occupa il turismo sostenibile). In certi casi l’intrusione può essere altissima, da leggere quasi come se si fosse piazzata una videocamera senza l’autorizzazione della popolazione locale per puro voyeurismo, per guardare con occhi profani una civiltà, una religione, costumi e abitudini diversi. Gli autoctoni possono reagire con ostilità e aggressione, oppure scegliere di farsi pagare. 1 Le prime forme organizzative del turismo: dal Grand Tour alle colonie britanniche Tracciare una breve storia sociale del turismo a partire dall'età modema fino a giungere alle più recenti modalità di fruizione della vacanza, permette di cogliere con un approccio storico l’evoluzione del fenomeno turistico, soprattutto in relazione ai cambiamenti sociali, politici e culturali succeduti nel tempo1 . La maggior parte degli studiosi concorda nel ritenere il Grand Tour dei secoli tardo XVII e XVIII il precursore del turismo moderno. Giovani nobili britannici e tedeschi compivano viaggi in Italia e Francia per affinare la loro formazione letteraria e artistica e completare la loro educazione umanistica, il che rendeva il Grand Tour uno strumento di crescita intellettuale per aristocratici e figli di dirigenti. Le condizioni del viaggio erano piuttosto confortevoli data la sistemazione delle vie di percorrenza, la nascita dei primi alberghi e la componente di divertimento ed evasione che si accompagnava al tragitto. Tale “viaggio d'istruzione” durava da uno a tre anni e generalmente prevedeva l’accompagnamento di un tutor e della servitù (di solito dalle cinque alle sette persone). Ciò che ha ispirato la nascita di questa forma di turismo è stato probabilmente l’influenza del pensiero di Bacone (1561- 1626), filosofo che riteneva che l’osservazione dei fenomeni naturali fosse fondamentale per la conquista del sapere e che il viaggio fosse una strategia formativa essenziale. Nel corso del Settecento iniziarono a diffondersi guide e mappe delle città italiane e delle altre mete del Grand Tour, con dettagliate descrizioni dei paesaggi e del patrimonio artistico- culturale di ogni sito, ma anche la letteratura di viaggio, ovvero racconti avventurosi delle esperienze vissute da grandi personaggi che catturano subito l’attenzione del pubblico. Il Grand Tour tuttavia comincia a passare di moda nel corso dell’Ottocento e viene via via sostituito dalla diffusione delle colonie britanniche, dall’India fino alla Nuova Zelanda. Nel momento in cui gli inglesi acquisiscono supremazia economica e commerciale, ritengono che sia superfluo