Scarica riassunto di unione europea e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! RIASSUNTO UNIONE EUROPEA INTRODUZIONE CAPITOLO 1 – UNIONE E IL SUO DIRITTO La nozione di Unione europea - Non si può dire con certezza cosa sia o cosa dovrebbe essere l’Ue in effetti, l’Ue è stata ed è segnata in modo straordinario da caratteristiche così originali e peculiari da non consentire di assimilarla né ad organizzazioni internazionali né ad alcun altro modello di unioni tra stati. Neppure la formalizzazione dell’espressione nei trattati ha risolto il problema, pertanto si può dire che ancora oggi la nozione di Ue si presenta in termini tali da giustificare l’espressione di nozione “meravigliosamente ambigua”. Se si volesse ricorrere ad una formula poco tecnica ma efficace, si potrebbe dire che l’Ue è un’entità che non si può definire come federale ma che è più federale delle precedenti comunità e ha i mezzi per diventarlo ancora di più. Il diritto dell’Unione europea - Alle origini quello che oggi si chiama diritto dell’Ue vi era il diritto delle Comunità europee o diritto comunitario e si risolveva essenzialmente nello studio degli aspetti giuridico-istituzionali delle 3 comunità allora esistenti!a seguito degli incessanti progressi della costruzione europea, nonché dei vari passaggi formali ad essi conseguenti, quelle comunità hanno assorbito quasi tutti i fenomeni che ad esse si erano venuti ricollegando in conseguenza della loro crescita, per giungere a sfociare con il Trattato di Lisbona nell’Unione europea, anche se ancora restano modalità di cooperazione tra gli stati membri che non rientrano formalmente nel diritto dell’Ue!il diritto dell’Ue si è quindi ampliato e conformato in parallelo con quei progressi sia quantitativi sia qualitativi: oggi si può quindi dire che il diritto dell’Ue ha ad oggetto lo studio degli aspetti giuridico-istituzionali di quest’ultima, ma più in generale si presta ad includere lo studio di tutte le forme e gli strumenti giuridici volti a realizzare il processo di integrazione europea. La sua autonomia - L’Ue ha faticato per affermare la propria autonomia e la propria identità!il problema si è posto in primo luogo rispetto al diritto internazionale: infatti all’inizio il diritto delle comunità europee era considerato una branca di questa disciplina in quanto le comunità si presentavano come organizzazioni costituite da e tra stati attraverso accordi internazionali; tuttavia lo sviluppo del processo di integrazione e la specificità degli enti ad oggetto hanno portato ad ampliare il rilievo della materia all’interno del diritto internazionale e poi a singolarizzarne lo studio. In questo modo era chiaro che l’Ue presentasse tratti simili a quelli di un’entità statale piuttosto che di un’organizzazione internazionale e che tendesse a fondarsi su principi e regole più vicini a quelli di diritto interno che del diritto internazionale!infatti l’Ue è dotata (al pari di un’entità statale): di una propria struttura giuridico-istituzionale; di una propria costituzione; di un suo insieme di valori; di un corpo di principi formali e materiali; di un suo sistema di garanzie giurisdizionali; di competenze estese. In ogni caso il collegamento con il diritto internazionale è rimasto in quanto le istituzioni europee traggono pur sempre origine da un trattato internazionale, hanno come fondatori e protagonisti entità statuali e operano come attori della comunità internazionale che a quel diritto restano soggetti, anche se tuttavia il diritto studio è autonomo!proprio per questi motivi il diritto dell’Ue si è trovato a dover rivendicare una sua autonomia anche rispetto al diritto degli stati membri. Va tuttavia precisato che ancora oggi il diritto dell’Ue regola autonomamente e compiutamente le materie oggetto della sua competenza!più spesso esso si limita ad interferire, attraverso il filtro del legislatore nazionale, sulle corrispondenti branche del diritto statale, imponendo l’adozione di specifiche norme uniformi o conformando quelle esistenti a regole e principi comuni: secondo alcuni questo avrebbe conseguenze sulla stessa autonomia e identità del diritto dell’Ue in quanto questo diritto di scioglierebbe all’interno di quelle discipline e quindi verrebbe nazionalizzato (questa conclusione appare infondata in quanto il fatto che la disciplina di determinate materie si presenti sotto forma di 1 disciplina nazionale e sia destinata ad operare e ad imporsi all’interno degli stati non significa che essa sia sottratta alla presa del diritto dell’Ue o che si appropri di questo in realtà accade l’esatto opposto, nel senso che è il diritto dell’Ue ad attrarre quella disciplina nella propria orbita, conformandola e penetrandola con il proprio sistema e i propri principi). CAPITOLO 2 – ORIGINI E SVILUPPI DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA Il processo di integrazione europea: dalle origine all’Atto unico europeo - Nel decennio successivo alla fine della 2° guerra mondiale fioriscono iniziative volte alla cooperazione tra stati! alcune di questi enti vengono creati in Europa e si spingono oltre i confini continentali, come ad esempio nel caso della Nato o dell’Organizzazione europea di cooperazione economica o il Consiglio d’Europa; accanto a queste iniziative si fa anche strada l’idea di una collaborazione più stretta da porre in essere tra solo alcuni paesi europei, capace di portare a un’integrazione tra di essi a partire dai rispettivi mercati ed economia. Questo primo passo del processo di integrazione tra stati europei viene realizzato nel 1952 con l’entrata in vigore della Comunità europea del carbone e dell’acciaio, trattato firmato da 6 paesi (Italia, Olanda, Francia, Germania, Lussemburgo, Belgio), cui si aggiungeranno i Trattati istitutivi della Cee e della Comunità europea per l’energia atomica! attraverso queste 3 comunità prendeva le mosse un progetto unitario volto nella sua prima fase a dar vita nel territorio dei 6 stati a un mercato comune basato sulla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali e caratterizzato da condizioni di concorrenza non falsate. Negli anni ’80 prende il via un vero e proprio processo di riforma del sistema il primo passo viene compiuto con l’Atto unico europeo del 1986 che dà luogo per la prima volta a una revisione significativa dei trattati originari, orientata in 3 direzioni: 1. semplificazione della presa di decisione del consiglio sostituendo l’unanimità con la maggioranza qualificata come regola di voto per le deliberazioni 2. riconoscimento per la prima volta al parlamento europeo di un ruolo più incisivo nella formazione degli atti della comunità 3. adozione di una prima forma di cooperazione politica in materia di politica estera attraverso la formalizzazione dei vertici semestrali (che i capi di stato o di governo avevano cominciato a tenere fin dagli anni ’60) Il Trattato di Maastricht e la creazione dell’Unione europea - Passo significativo del processo di integrazione europea si è avuto con la firma nel 1992 del Tratto sull’Unione entrato poi in vigore nel 1993, il quale ha comportato una profonda mutazione della costruzione iniziata nel 1957!in questo quadro le Comunità europee diventano parte costituente accanto a 2 nuovi settori di cooperazione tra stati membri (quali la PESC per quanto concerne la politica estera e la GAI per quanto riguarda la cooperazione in materia di giustizia e affari), pertanto viene ad affermarsi un modello basato su 3 pilastri: 1) primo pilastro è il pilastro comunitario, composto dalle Comunità europee 2) secondo pilastro composto dalla PESC 3) terzo pilastro composto dalla GAI La comunità europea in questo nuovo modello vede attenuata l’esclusività della sua originaria caratterizzazione economico-commerciale; inoltre in questo trattato per la prima volta viene inserita la nozione di cittadinanza dell’Unione quale status comune a tutti i cittadini degli stati membri e vengono ad ampliarsi le competenze della Comunità in materie quali l’istruzione e la formazione professionale, le reti trans europee, l’industria, la sanità, la cultura...e vengono rafforzarsi le materie già di competenza quali ad esempio la coesione economico-sociale e la ricerca e lo sviluppo tecnologico. Nel 1997 viene perfezionata l’architettura del nuovo modello con il Trattato di Amsterdam con cui i principi di libertà, democrazia e di rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali vengono consacrati come valori fondanti l’Unione e inoltre si procede per la prima volta alla semplificazione dei trattati attraverso l’abrogazione delle disposizioni obsolete e alla rimunerazione degli articoli, oltre che ad una parziale “comunitarizzazione” del terzo pilastro (il GAI). 2 Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona l’unitarietà sostanziale del sistema si traduce altresì in unitarietà formale del quadro giuridico di riferimento il processo di integrazione viene quindi ad identificarsi con l’Ue e nonostante alla base di questa vi sono ancora 2 trattati, questi costituiscono un complesso normativo unico, fatta salva l’eccezione della PESC (che rimane soggetta a norme e procedure specifiche, anche se queste vengono inserite in un sistema giuridico UNICO fondato sul TUE e TFUE). Nonostante tutto questo il metodo intergovernativo non è venuto meno in quanto questo trova espressione nelle regole in materia di PESC ma anche attraverso la prassi applicativa di alcune novità istituzionali di Lisbona e dall’importanza del ruolo dei governi nazionali nella governance dell’Europa e inoltre non si deve dimenticare il ruolo del sistema della cooperazione intergovernativa realizzata in materie cd di confine. Caratteri generali dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea - Il sistema giuridico della Comunità è diventato il sistema giuridico dell’Ue e il cd metodo comunitario è diventato il metodo di funzionamento dell’Ue!ciò fa sì che all’Ue sia applicabile (come detto dalla Corte di giustizia nel 2014), come già in precedenza affermato nel 1962 dalla Corte di giustizia: in questa sentenza la Corte aveva sottolineato come il TCE andasse al di là di un accordo che si limita(va) a creare degli obblighi reciproci tra stati contraenti, concludendo che la comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli stati hanno rinunciato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti non solo gli stati membri ma anche i loro cittadini; nel 2014 la Corte ribadisce questa giurisprudenza sottolineando come questa sia dotata di un ordinamento giuridico di nuovo genere, avente una sua specifica natura, un quadro costituzionale e principi fondativi che sono suoi propri, una struttura istituzionale particolarmente elaborata nonché un insieme completo di norme giuridiche che ne garantiscono il funzionamento. Il sistema è basato sull’attribuzione alle istituzioni di questa di competenze su settori rilevanti della vita nazionale; in molti settori attribuiti alla competenza dell’Ue tale competenza non è solo normativa ma anche di amministrazione diretta in capo ai privati in altri termini spetta alle stesse istituzioni dell’Ue la gestione di una determinata materia e il controllo sul rispetto delle relative norme da parte degli amministrati. Il sistema giurisdizionale rappresenta l’ulteriore elemento distintivo della costruzione europea rispetto alle classiche forme di cooperazione istituzionalizzata tra stati la particolarità di quella costruzione sta nel fatto che le vere note distintive sono: o da un lato le caratteristiche del sistema giurisdizionale le istanze giudiziarie dell’Ue non sono accessibili solamente dagli stati ma anche dagli individui o dall’altro lato la sua funzione nell’ordinamento in particolare la funzione di garanzia dell’uniforme interpretazione e applicazione del diritto che il giudice europeo è chiamato ad assolvere, in particolare attraverso il meccanismo del rinvio pregiudiziale da parte dei giudici nazionali ex art. 267 TFUE, meccanismo che costituisce la chiave di volta del sistema giurisdizionale dell’Ue; infatti l’uniformità di interpretazione e applicazione del diritto appare indispensabile in un ordinamento che abbia come destinatari diretti anche gli individui. Ulteriore elemento distintivo dell’ordinamento Ue rispetto ai tradizionali sistemi di cooperazione tra stati è l’accentramento in capo alle istituzioni dell’Ue della reazione alle violazioni del diritto infatti di fronte ad una violazione degli obblighi derivanti dal diritto Ue la reazione è affidata alle stesse istituzioni e ai meccanismi previsti dai Trattati, in ogni caso è fatto divieto per gli stati membri di porre unilateralmente in essere provvedimenti correttivi o di difesa destinati ad ovviare alla trasgressione altrui. In ogni caso sono gli stati ad essere sanzionati per eventuali inadempimenti, anche se l’inadempimento risulti dall’azione o dall’inerzia delle autorità di uno stato federato, di una regione o di una comunità autonoma dello stato membro interessato. Il ruolo degli stati membri. L’acquisto e le vicende dello status di membro - Fin dalle origini il processo di integrazione nasce con la vocazione ad ampliarsi versi tutti gli stati europei!questo ha portato ad avere oggi un Ue composta da 28 stati membri e altri paesi che hanno intenzione di entrare a farne parte. Questa vocazione si riflette in una clausola che fissa la procedura di adesione di nuovi stati 5 membri! l’art. 49 TUE dispone infatti che ogni stato europeo che rispetti i valori di cui all’art. 2 TUE e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell’Ue: alla luce di questa disposizione le condizioni per aderire all’Ue sono le seguenti: ✓ essere uno stato nel senso del diritto internazionale ✓ appartenenza all’Europa questa condizione è intesa in senso geografico nonché per quanto riguarda fattori storico-culturali che corroborano la natura sostanzialmente o prevalentemente europea di quel determinato stato ✓ rispondenza ad una serie di requisiti politici che si ricollegano a valori sui quali la stessa Ue è fondata si intende la necessità che lo stato aspirante a diventare membro Ue risponda ai criteri di democrazia e di rispetto dei diritti fondamentali della persona umana. Il consiglio ha affermato che questa condizione può dirsi soddisfatta quando il paese candidato abbia raggiunto una stabilità istituzionale che garantisca la democrazia, il principio di legalità, i diritti umani, il rispetto e la protezione delle minoranze. Il consiglio europeo ha stabilito ulteriori criteri della condizione politica di cui all’art. 49 TUE: si tratta dei Criteri di Copenaghen, che aggiungono: • una condizione giuridica: capacità di assumere e far fronte al complesso degli obblighi connessi all’appartenenza all’UE • una condizione economica: esistenza nello stato candidato di un’economia di mercato funzionante e basata sui principi della libera concorrenza. Il soddisfacimento di queste condizioni viene verificato nel corso della procedura di adesione questa si avvia formalmente con la presentazione della propria candidatura da parte dello stato richiedente, candidatura sulla quale il Consiglio chiede alla Commissione di esprimere un parere per decidere (previa approvazione del parlamento Ue) se dichiararne l’ammissibilità; in caso positivo la fase istituzionale della procedura si chiude e si apre quella del negoziato di adesione, che si svolge tra gli stati membri e il paese candidato ed è di regola accompagnato da un processo di assistenza al progressivo adeguamento di quest’ultimo agli standard giuridici ed economici richiesti. Il negoziato è diretto alla conclusione del Trattato di adesione, che viene sottoposto alla firma di tutti gli stati contraenti ed entra in vigore una volta ratificato da tutti loro secondo quanto disposto dalle norme costituzionali; nell’Atto di adesione sono definite le condizioni per l’ammissione e gli adattamenti dei Trattati sui cui è fondata l’Unione. L’adesione comporta la piena integrazione del nuovo stato nel sistema istituzionale e giuridico dell’Ue, con conseguente applicazione del diritto dell’Ue allo stato e ai territori sui quali lo stesso esercita la propria giurisdizione! tuttavia l’art. 7 TUE dà la possibilità all’Ue di sospendere alcuni dei diritti (ivi inclusi quelli di voto) di uno stato membro che ponga in essere una violazione grave e persistente dei valori fondanti l’Ue: ➢ il procedimento prevede una prima fase di accertamento dell’esistenza di questa violazione che viene votata dal Consiglio a maggioranza di 4/5 dei membri su proposta motivata di 1/3 degli stessi o della Commissione o del parlamento europeo ➢ questa decisione potrà essere seguita, in caso di persistenza dei comportamenti, da una nuova decisione presa all’unanimità e del Consiglio, destinata a fare stato dell’esistenza di una violazione grave e persistente dei valori dell’Ue questa decisione consente al Consiglio di decidere di sospendere, a maggioranza qualificata, alcuni dei diritti derivanti allo stato membro una condizione giuridica consiste nella capacità di assumere e far fronte al complesso degli obblighi connessi all’appartenenza all’Ue una condizione economica esistenza nello stato candidato di un’economia di mercato in questione dall’applicazione dei Trattati, compresi i diritti di voto del rappresentante del governo di tale stato membro in senso al Consiglio. Per evitare il ricorso a questa procedura, è stato previsto che sia il Consiglio sia la Commissione possono introdurre informalmente dei meccanismi preliminari di dialogo strutturato con gli stati per far fronte a minacce sistemiche dello stato di diritto in particolare la Commissione nel 2014 ha previsto la possibilità di inviare ad uno stato in cui si presentino quelle minacce un parere e anche una raccomandazione, il cui mancato rispetto potrà dar luogo alla procedura ex art. 7 TUE. 6 Dopo Lisbona i trattati prevedono, per la prima volta, anche la possibilità di un recesso dall’Ue infatti l’art. 50 TUE afferma la possibilità di recesso dall’Ue esplicitamente e anche in forma unilaterale; l’articolo disciplina una procedura complessa, la cui prima fase consiste in un negoziato in quanto è previsto che laddove uno stato notifichi al Consiglio europeo la sua intenzione di lasciare l’Ue, si avvia un negoziato tra lo stato e l’Ue per la conclusione di un accordo tra loro volto a definire le modalità del recesso e le future relazioni dello stato con l’Ue; in ogni caso dopo 2 anni dalla notifica al Consiglio europeo il recesso diventa comunque definitivo anche in assenza di accordo (anche se al paragrafo 3 è prevista una parziale deroga alla norma, in quanto si prevede che il Consiglio europeo, di intesa con lo stato membro interessato, può decidere all’unanimità di prorogare il termine dei 2 anni al fine di proseguire il negoziato). L’applicazione differenziati del diritto dell’Unione agli stati membri. In particolare, la cooperazione rafforzata - Il sistema dell’Ue è basato su un principio rigoroso di applicazione generale e uniforme del suo diritto questo non esclude che tale principio possa conoscere deroghe ed eccezioni a condizione che le stesse siano direttamente previste o comunque consentite da norme dei trattati o di altri atti di diritto primario; inoltre i trattati contengono un certo n° di disposizioni che danno luogo a forme non necessariamente temporanee di applicazione differenziata di norme del diritto dell’Ue o che comunque aprono la strada a una possibilità di questo genere e a riguardo le ipotesi previste sono diverse: ➢ una deroga di tipo territoriale è quella ex art.355 TFUE, che esclude l’applicazione integrale dei trattati a talune isole o zone di sovranità del Regno Unito e della Danimarca contigue alle coste europee; invece prevede un regime speciale per altri territori situati fuori del continente europeo ➢ altra deroga è quella per cui si esclude l’applicazione di normative dell’Ue o di interi settori di competenza della stessa nei confronti di alcuni stati membri infatti un apposito Protocollo ha sancito la non applicabilità alla Polonia e al Uk della Carta dei diritti fondamentali e anche del cd spazio di libertà, sicurezza e giustizia al Uk, Irlanda e Danimarca. Con l’incremento dei membri dell’Ue si è però prospettata anche un’esigenza di consentire a gruppi di stati membri di dar vita a iniziative normative evolutive in alcuni settori di competenza dell’Ue, mantenendole però all’interno del sistema dell’Ue e dei meccanismi istituzionali e giuridici su cui si basa il suo funzionamento: ▪ quest’esigenza ha trovato risposta con l’introduzione nei trattati dell’istituto della cd cooperazione rafforzata, che consiste nella decisione di un gruppo di stati membri di realizzare tra di essi, ma nel quadro dell’Ue e avvalendosi delle sue istituzioni e applicando le disposizioni sui trattati, un obiettivo dei trattati che non possa essere conseguito dall’Ue nel suo insieme per mancanza delle maggioranze in Consiglio l’iniziativa di instaurare una cooperazione deve essere presa da un gruppo di almeno 9 stati e il suo oggetto deve rientrare nei limiti delle competenze dell’Ue ma non riguardare una competenza esclusiva di questa; esso non deve recare pregiudizio né al mercato interno né alla coesione economica e territoriale o costituire ostacolo o una discriminazione per gli scambi tra gli stati membri o provocare distorsioni di concorrenza tra questi ultimi. L’avvio di una cooperazione rafforzata deve essere autorizzato dal Consiglio a maggioranza qualificata sulla base di una proposta della Commissione e previa approvazione del parlamento. L’art. 20 par. 2 TUE prevede che la decisione di autorizzazione debba essere adottata dal Consiglio in ultima istanza e spetta al Consiglio verificare in concreto la sussistenza di questa condizione. Il TFUE prevede dei casi in cui l’autorizzazione di una cooperazione rafforzata va ritenuta concessa de jure si tratta delle seguenti ipotesi: ➢ per i settori della cooperazione penale e in materia giudiziaria e di polizia, laddove non sia possibile procedere all’adozione di un atto e per mancanza di un accordo in Consiglio, investito dello stesso sulla base del cd freno d’emergenza o in ragione della mancanza di unanimità in Consiglio Una volta instaurata, la cooperazione rafforzata funzionerà attraverso le istituzioni, gli strumenti e le procedura previste dagli articoli dei trattati che costituiscono la base giuridica della materia oggetto della cooperazione, fermo restando che solo gli stati partecipanti potranno partecipare al voto sulle deliberazioni prese dal Consiglio nel suo quadro. Gli atti adottati nel quadro di una cooperazione 7 scelta fatta dal Trattato di Lisbona di affiancare formalmente i parlamenti nazionali al Parlamento europeo nell'esercizio del controllo democratico su alcune attività dell'Unione non appare coerente con il principio di cui all'art. 10 ma, anzi, rischia di mettere in discussione la piena legittimità del Parlamento europeo a rappresentare i cittadini degli stati membri. Le istituzioni politiche - Particolare rilievo rivestono le istituzioni politiche che sono il Consiglio europeo, il Consiglio, il Parlamento europeo e la Commissione ciascuna di queste istituzioni partecipa al processo decisionale dell'Ue e ciascuna orienta attraverso le proprie specifiche funzioni la vita e gli indirizzi politici dell’Ue, pertanto il rapporto che esiste tra queste istituzioni ha conformato l'effettivo assetto istituzionale dell'Ue e gli equilibri di potere al suo interno; in passato quel rapporto si giocava all'interno dello schema Consiglio-Parlamento europeo-Commissione che erano organi che rappresentavano gli stati membri, i popoli dell'Unione e l'interesse generale dell'Unione il rapporto tra queste istituzioni si è costruito all'insegna di un equilibrio tra componente governativa e componente non governativa e in questo aspetto il Consiglio europeo prima del Trattato di Lisbona occupava una posizione peculiare in quanto non era annoverato tra le istituzioni dell'Unione ed era sottoposto alle regole che governano l'agire delle istituzioni e inoltre le sue deliberazioni non si traducevano in voti o in atti formali (per cui in questo modello i capi di stato o di governo definivano in comune gli orientamenti politici e le linee di sviluppo dell'Unione ma senza prendere alcuna decisione formale)!oggi invece il Consiglio europeo è a tutti gli effetti un'istituzione e questa sua evoluzione ha comportato una modifica delle regole di funzionamento per i seguenti motivi: • in primo luogo quando il Consiglio europeo è chiamato al voto finisce per coincidere con la composizione del Consiglio, pertanto l'Ue si trova ad avere 2 organi a composizione intergovernativa formalmente distinti ma sostanzialmente identici • in secondo luogo la riorganizzazione della rappresentanza dei governi si ripercuote anche sull'equilibrio istituzionale che ha fino a questo momento governato il processo di integrazione europea in quanto l'equilibrio del vecchio sistema oggi è venuto meno, prevedendo una prevalenza della componente governativa. Il Consiglio europeo - Il Consiglio europeo riunisce i capi di stato o di governo degli stati membri insieme al presidente della commissione! ai sensi dell'art. 15 TUE a questa istituzione viene attribuita una competenza generale a dare all'Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e definirne gli orientamenti e le priorità e le politiche generali. Inoltre i trattati assegnano a questa istituzione compiti più specifici quali le decisioni istituzionali di maggior sensibilità politica per la vita dell'Unione: - è il Consiglio europeo che propone o nomina le cariche più rilevanti non affidate direttamente alla competenza degli stati membri - è il Consiglio che decide di aspetti importanti della composizione e del funzionamento di altre istituzioni, quali la ripartizione tra gli stati membri dei seggi al parlamento europeo o la modifica del n° dei membri della commissione - è il Consiglio che ha la responsabilità principale in materia di revisione dei trattati o di modifica di alcune delle relative disposizioni - è il Consiglio che prende decisioni di rilievo politico per la membership dell’Ue Con il trattato di Lisbona viene attribuito al consiglio il compito di mettere d’accordo i membri al fine di sbloccare una decisione del Consiglio dell’Ue oppure il compito di mediare tra la posizione della maggioranza e quella di uno stato in minoranza. Inoltre al Consiglio europeo va riconosciuto come questo tende a discutere direttamente al suo livello dossier legislativi, indipendentemente dall’esistenza o meno di un contrasto su di essi in seno al Consiglio sul piano formale, questi interventi del Consiglio europeo hanno valore essenzialmente politico: questo fa sì che non sia di per sé automatico che la posizione assunta dai capi di stato o di governo trovi successivamente seguito a livello di processo decisionale (infatti quando il processo decisionale coinvolge anche altre istituzioni, come ad esempio il parlamento europeo, vi dovrà essere 10 anche il consenso di quest’ultimo affinché la posizione del Consiglio europeo trovi un qualche riscontro formalistico); quando invece l’intervento del Consiglio europeo è fondato su una disposizione dei trattati, questa gli ricollega conseguenze formali che si ripercuotono anche su altre istituzioni ad esempio ai sensi dell’art. 48 TUE il coinvolgimento del Consiglio europeo da parte di uno stato membro che ritenga che una proposta in discussione nel quadro della procedura legislativa ordinaria lede aspetti importanti del suo sistema di sicurezza sociale ha l’effetto di impedire il proseguimento di una procedura decisionale di cui sono protagonisti anche il parlamento europeo e la commissione • con l’inserimento del Consiglio tra le istituzioni, questo viene ad essere pienamente un’istituzione, portando a termine il programma iniziato negli anni ‘60, quando i capi di stato o di governo dei 6 stati membri Cee avevano iniziato a riunirsi. Se l'acquisizione dello status di istituzione fa uscire il Consiglio europeo dall'ambiguità in cui si è trovato in precedenza, tuttavia non viene meno la distinzione preesistente tra questo e il consiglio formalmente mentre del Consiglio fanno parte solo i capi dei governi e degli stati membri, il Consiglio europeo è invece composto da capi di stato o di governo degli stati membri, dal suo presidente dal Presidente della Commissione, pertanto si evince come la cerchia dei membri di diritto del Consiglio europeo è più ampia rispetto a quella del Consiglio e dall'altro, lato ferma restando la natura intergovernativa del Consiglio europeo in quanto i capi di stato o di governo sono rappresentanti dei governi degli Stati membri, questi partecipano d'ufficio • Ulteriori novità introdotte dal Trattato di Lisbona è quella per cui la Presidenza del Consiglio europeo non è più assicurata dal capo di stato o di governo dello stato membro cui spetta per rotazione la Presidenza del Consiglio, bensì da un presidente eletto dallo stesso Consiglio europeo a maggioranza qualificata che ha un mandato che dura 2 anni e 1/2 ed è rinnovabile 1 sola volta; inoltre la nomina a presidente è incompatibile con un mandato nazionale pertanto laddove il soggetto venisse scelto tra gli stessi membri del Consiglio europeo deve dimettersi da capo di stato o di governo, tuttavia in astratto è invece ipotizzabile che possa essere eletto alla presidenza del Consiglio europeo il presidente della Commissione, senza che costui sia obbligato a lasciare l'incarico ricoperto. Al presidente del Consiglio europeo in primo luogo spettano le funzioni legate alla preparazione e gestione dei lavori dell'istituzione in quanto costui assicura la preparazione e la continuità delle riunioni, guida il dibattito e facilita il compromesso tra i membri, rappresenta l'istituzione davanti al Parlamento europeo e assicura la rappresentanza esterna dell'Unione per le materie relative alla PESC - l'esercizio di queste funzioni da parte dei primi presidenti eletti ha dato conto di una loro interpretazione estensiva rispetto a quanto sembra trasparire dalla lettera della norma, in particolare talvolta il presidente si è sostituito alla Commissione nei compiti di riflessione e preparazione di iniziative legislative. • il Consiglio europeo si riunisce a Bruxelles 2 volte a semestre, ferma restando la possibilità di riunioni straordinarie su convocazione del suo presidente in passato non erano previste modalità di voto attraverso cui si fermava la volontà del Consiglio europeo, ma proprio perché l'efficacia delle sue delibere non era affidata a un carattere formalmente vincolante delle stesse la regola era che queste fossero prese in ogni caso per consensus, ossia la decisione era considerata raggiunta senza esercizio formale di un diritto di voto quando il presidente constatava dall'andamento della discussione che non c'erano obiezioni da parte di nessun componente del Consiglio stesso; anche dopo la trasformazione del Consiglio europeo in istituzione dell'Unione dotata di un suo formale potere di decisione, l'assunzione delle sue delibere rimane in via generale subordinata alla regola del consensus, infatti secondo l'art. 15 paragrafo 4 TFUE il Consiglio europeo si pronuncia per consenso, salvo nei casi in cui trattati dispongano diversamente; nei casi in cui invece è previsto che il Consiglio europeo debba adottare atti formali i trattati gli impongono il ricorso a regole di voto formali, infatti il Consiglio europeo può deliberare all'unanimità, a maggioranza semplice o a maggioranza qualificata: o l'unanimità si forma anche in presenza della tensione di uno o più membri del Consiglio europeo o la maggioranza semplice si applica alle delibere che riguardano il suo regolamento interno o per le questioni di procedura o la maggioranza qualificata si basa su un sistema di voto che tiene conto del peso relativo di ciascuno degli stati membri. L’art. 235 paragrafo 1 comma 2 TFUE prevede che quando il Consiglio europeo delibera mediante votazione, il Presidente e il presidente della commissione non partecipano al voto, nonostante questi 2 11 soggetti siano comunque membri a pieno titolo del Consiglio europeo, pertanto in questi casi la volontà del Collegio finisce per identificarsi con quella dei governi degli stati membri. • in passato non era nemmeno stabilita la forma che dovevano assumere le deliberazioni del Consiglio europeo, in quanto le determinazioni assunte da questo erano cumulativamente contenute nelle conclusioni della Presidenza che il Consiglio europeo adottava alla fine dei suoi lavori!tuttavia ci sono stati dei casi in cui si è preferito individualizzare una certa decisione consacrandola uno specifico atto al fine di darle un particolare rilievo politico; anche dopo il trattato di Lisbona quello delle conclusioni rimane lo strumento ordinario di manifestazione della volontà del Consiglio europeo, tuttavia le conclusioni non appaiono più formalmente come conclusioni della presidenza ma come conclusioni dello stesso consiglio: ➢ da un lato il Consiglio ha perso il carattere di mera conferenza tra governi per assumere quello di vera e propria istituzione che esprime una volontà unitaria ➢ dall'altro lato il suo presidente non esprime più una volontà sovrana di una presidenza statale ma è il portavoce dell'istituzione che presiede Dagli atti del Consiglio europeo deriveranno gli effetti giuridici previsti dalla norma dei trattati che abilita questa istituzione ad adottarli: si può trattare di effetti di carattere meramente procedurale o effetti esortativi tipici di una raccomandazione, come ad esempio quella che il Consiglio europeo può indirizzare agli stati membri affinché questi adottino una decisione conforme alle rispettive norme costituzionali o si può anche trattare di veri e propri effetti vincolanti, come ad esempio quando viene richiesto di pronunciarsi con una decisione. In ogni caso gli atti del Consiglio europeo sono impugnabili davanti alla Corte di giustizia, secondo quanto previsto dall'art. 263 TFUE. Il Consiglio - Il Consiglio rappresenta il centro di gravità dell'equilibrio istituzionale dell'Unione e a tal proposito l'art. 16 paragrafo 1 TUE sintetizza il suo ruolo sottolineando che il Consiglio esercita la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Esercita funzioni di definizione delle politiche e di coordinamento alle condizioni stabilite nei trattati si evince quindi come il Consiglio sia lo snodo istituzionale attraverso cui passano tutte le decisioni formali su cui si muovono la vita istituzionale e l'azione quotidiana dell'Unione e altri organi o istituzioni lo affiancano talvolta nell'assunzione delle decisioni e altre volte ne condividono la titolarità. In ogni caso è il Consiglio il protagonista principale dell'esercizio del potere decisionale a livello dell'Unione, in quanto: • è compito suo fornire all'Unione gli indirizzi politici e definirne gli orientamenti generali • spettano al Consiglio le decisioni istituzionali non riservate al Consiglio europeo • è al Consiglio che, insieme al Parlamento europeo, fa capo l'attività legislativa • è in seno al consiglio che viene assicurato il coordinamento delle politiche economiche generali degli stati membri • è il Consiglio che attraverso la funzione di conclusione degli accordi internazionali dell'Unione e la gestione della politica estera comune detiene la titolarità effettiva del potere estero. Il Consiglio è formato da 1 rappresentante di ciascuno stato membro a livello ministeriale, abilitato a impegnare il governo dello stato membro che rappresenta e ad esercitare il diritto di voto; il Consiglio può modificare la sua composizione di volta in volta a seconda degli argomenti all'ordine del giorno delle sue funzioni per dare ordine ai lavori e all'alternarsi dei ministri, nel corso delle diverse sessioni le sezioni sono convocate sulla base di ordini del giorno omogenei per materia: si hanno in questo modo sessioni del Consiglio composte dai ministri dell'agricoltura, dei trasporti e altri ministri a seconda della materia. L’elenco delle diverse formazioni in cui il Consiglio può riunirsi viene deciso dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, salvo che per le formazioni affari generali e affari esteri che sono previste direttamente al livello dei trattati: • il Consiglio Affari Generali assicura la coerenza dei lavori delle varie formazioni del Consiglio, prepara le riunioni del Consiglio europeo e ne assicura il seguito in collegamento con il presidente del Consiglio europeo e la Commissione 12 Si deve inoltre evidenziare il cd Compromesso di Lussemburgo, con cui i governi degli stati membri nel 1966 hanno previsto (non formalizzandola) la possibilità di un rinvio dell’adozione a maggioranza di una delibera del Consiglio per il caso in cui uno stato membro invocasse il pregiudizio di propri interessi importanti nella prassi questo compresso era visto come una sorta di diritto di veto, impedendo che si procedesse a maggioranza qualificata anche nei casi in cui questa era formalmente prevista nei Trattati (va constatato che questo potere di veto non viene più usato a partire dagli anni ’80). Oggi poi sono previsti meccanismi diretti a tener conto di particolari difficoltà che possono incontrare singoli stati membri di fronte a decisioni a maggioranza del Consiglio: - o alcuni di questi meccanismi operano in relazione ad alcuni specifici settori in modo analogo al cd Compromesso di Lussemburgo ad esempio nel settore della sicurezza sociale nonché in materia di cooperazione giudiziaria in materia penale e della PESC uno stato membro che lamenta la lesione di propri interessi fondamentali può appellarsi al Consiglio europeo contro una proposta di atto legislativo dell’Ue: pertanto lo stato membro può azionare il cd freno di emergenza - o è stato inoltre introdotto un meccanismo di carattere generale ai sensi del quale in presenza di una quasi minoranza di blocco il Consiglio è tenuto a proseguire le discussioni alla ricerca (entro un tempo ragionevole) di una soluzione soddisfacente che tenga conto delle preoccupazioni espresse dagli stati membri che si oppongono ad una sua delibera. Il Parlamento europeo - Il parlamento europeo è quell’istituzione attraverso cui il principio di democrazia si esprime a livello dell’ordinamento dell’Ue, infatti questa istituzione è composta da rappresentanti dei cittadini degli stati membri che vengono eletti a suffragio diretto e ai sensi dell’art. 10 TUE i cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell’Ue, nel parlamento europeo. Tuttavia si può osservare come il grado in cui il principio democratico risulta effettivamente realizzato non è uniforme nel sistema dei Trattati! infatti il livello di coinvolgimento del parlamento europeo nello stesso processo decisionale dell’Ue varia notevolmente in quanto può avvenire attraverso una semplice consultazione sulle proposte degli atti del Consiglio, fino ad arrivare ad una vera e propria condivisione del potere normativo insieme al Consiglio mentre invece per quanto riguarda la politica estera e la sicurezza comune ha un ruolo assai marginale in quanto l’art. 36 TUE prevede che l’Alto rappresentate dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza consulta regolarmente il parlamento europeo sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune e della politica di sicurezza e difesa e lo informa dell’evoluzione di tali politiche. Il carattere democratico-rappresentativo del parlamento europeo si esprime anche in un generale ruolo di controllo politico che i trattati gli riservano in varie forme e nei confronti delle altre istituzioni: • di questo controllo è destinataria la commissione in quanto il parlamento da un lato partecipa alla sua nomina e dall’altro lato ha un potere di censura nei suoi confronti • inoltre il parlamento esercita il suo ruolo di interlocutore politico anche nei confronti delle altre istituzioni, infatti può presentare interrogazioni e raccomandazioni al Consiglio e all’Alto rappresentante (in particolare l’Alto rappresentante è tenuto ad informare regolarmente il Parlamento degli sviluppi intervenuti nei settori della politica estera e di sicurezza comune) • il parlamento esercita altresì il suo potere di controllo attraverso lo strumento dell’inchiesta e del Mediatore europeo: ➢ l’inchiesta consiste nella possibilità di costituire (d’ufficio o sulla base di petizioni di questo controllo è destinataria la Commissione in quanto il parlamento da un lato partecipa rivolte al parlamento stesso da parte di 1 o più cittadini dell’Ue o persone residenti in uno stato membro) commissioni di inchiesta che sono incaricate di esaminare denunce di infrazione o di cattiva amministrazione nell’applicazione del diritto dell’Ue ➢ il Mediatore europeo è un organo permanente che viene nominato dal parlamento stesso e che è competente ad esaminare casi di cattiva amministrazione imputabili a istituzioni o organi dell’Ue • il parlamento partecipa direttamente al procedimento di formazione e approvazione di bilancio. L'art. 14 TUE stabilisce che il numero dei membri del Parlamento non può essere superiore a 751 i membri sono ripartiti tra gli stati membri in modo da far riflettere a livello di deliberazioni del 15 Parlamento il diverso peso di ciascuno stato, anche se risulta che il criterio di ripartizione è unicamente quello demografico, nel senso che il numero dei parlamentari che spetta a ciascun paese membro è direttamente commisurato alla popolazione dello stesso, anche se il TUE specifica che la rappresentanza dei cittadini è garantita in modo degressivamente proporzionale, con una soglia minima di 6 membri e un tetto massimo di 96!pertanto in base alla proporzionalità degressiva agli stati membri con una popolazione più elevata vengono assegnati più seggi rispetto agli stati di minori dimensioni, ma questi ultimi ottengono numero di seggi superiore rispetto a quello che avrebbero sotto il profilo puramente proporzionale; la ripartizione dei seggi oggi viene lasciata a una decisione del Consiglio europeo che deve essere presa all'unanimità, nel rispetto del principio di proporzionalità degressiva, su iniziativa e approvazione del Parlamento europeo. La corrispondenza più o meno diretta tra seggi al Parlamento e popolazione di uno stato membro non comporta che la rappresentatività dei parlamentari europei si fondi strettamente sul principio di nazionalità: infatti secondo quanto previsto dal Trattato nulla esclude che su di un seggio che spetta a uno stato membro possa essere eletto un cittadino di altro stato membro o che all'elezione della quota di parlamentari di uno stato partecipino cittadini di altri stati, in quanto è previsto all'art. 20 TFUE il riconoscimento ai cittadini degli stati membri di elettorato attivo e passivo alle elezioni europee anche in stati diversi dal proprio. Le elezioni europee si svolgono sulla base delle regole previste nell'atto del 1976 relativo all’elezione dei rappresentanti nel Parlamento europeo a suffragio universale diretto - questo avrebbe dovuto prevedere una procedura elettorale uniforme, ma in mancanza di un accordo all'unanimità ha comportato che l'atto indicasse alcuni principi elettorali comuni a tutti gli stati membri che consistono tuttavia in alternative lasciate alla scelta degli stati stessi: • gli stati possono optare per un sistema a scrutinio di lista o con uninominale preferenziale con riporto di voti di tipo preferenziale • gli stati possono costituire circoscrizioni elettorali o prevedere altre suddivisioni territoriali, pur senza pregiudicare il carattere proporzionale del voto • gli stati possono prevedere oppure no una soglia minima, non superiore al 5% dei voti espressi, per l'attribuzione dei seggi Al di fuori di queste indicazioni la procedura elettorale rimane disciplinata in ciascuno stato membro dalle disposizioni nazionali, ad esempio in Italia è prevista una soglia di sbarramento al 4% dei voti validi espressi per l'ottenimento di seggi da parte dei partiti che partecipano alle elezioni; il regime delle incompatibilità dei parlamentari europei e disciplinato a livello europeo attraverso l'atto del 1976 oltre che dalle legislazioni nazionali. Il Parlamento europeo viene eletto per 5 anni e all'inizio di ogni legislatura provvede a nominare tra i suoi membri il Presidente ed un certo numero di vicepresidenti che rimangono in carica per 2 anni e 1/2 al fine di consentire un avvicendamento in queste cariche dei diversi gruppi politici; infatti i membri del Parlamento si accorpano per gruppi politici, per la cui costituzione sono richiesti sia un numero minimo di componenti sia la provenienza degli stessi da più di uno stato membro sia l'esistenza tra loro di affinità politiche. I membri del Parlamento beneficiano di immunità ai sensi del Protocollo sui privilegi e sulle immunità dell’Ue!in forza di questo protocollo i parlamentari non possono essere ricercati, detenuti, perseguiti a motivo dei voti o delle opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni e nei limiti dell'esistenza di un nesso tra le opinioni ovunque espresse e le funzioni parlamentari; inoltre per la durata delle sessioni del Parlamento europeo i membri beneficiano sul loro territorio nazionale delle immunità riconosciute i membri del Parlamento nazionale e sul territorio di ogni altro stato membro dell'esenzione da ogni provvedimento di detenzione o da ogni procedimento giudiziario e inoltre le immunità li copre anche quando si recano al luogo di riunione del Parlamento o ne ritornano. L’attività dei parlamentari si divide tra le Commissioni parlamentari e la sessione plenaria, alla quale spetta il potere deliberativo - l'esercizio del potere deliberativo avviene a maggioranza dei voti espressi, salvo che non sia diversamente stabilito dai Trattati (ad esempio regole differenti sono previste per l'approvazione di una mozione di sfiducia nei confronti della Commissione in quanto è richiesta la maggioranza di 2/3 di voti espressi e la maggioranza dei membri che compongono il Parlamento 16 europeo, nonché per esprimere il parere su una domanda di adesione di un nuovo membro in quanto in questo caso è richiesta la maggioranza assoluta dei membri). La commissione - La Commissione costituisce un'istituzione che ha un ruolo essenziale, in quanto in essa si sommano più competenze rispetto a tutti i settori di attività dell'UE eccezion fatta per il settore della PESC: • in primo luogo alla Commissione spetta un ruolo determinante nell'attività normativa dell'Unione, che da un lato si esprime nella partecipazione alla formazione degli atti del Consiglio e del Parlamento e dall'altro lato nell'adozione di atti normativi propri • per quanto riguarda la partecipazione alle decisioni altrui questa è conseguenza diretta del potere di iniziativa legislativa che i trattati riconoscono in via esclusiva alla Commissione, in particolare questo potere è condizionante dell'avvio del procedimento di adozione di un atto ma lo è anche del successivo coinvolgimento di quel procedimento, in quanto in base all'art. 293 TFUE il Consiglio non può discostarsi dalla proposta della Commissione se non votando all'unanimità e inoltre l'art. 293 TFUE prevede che la Commissione può modificare in ogni momento la propria proposta iniziale, in questo modo comportando che essa svolge un ruolo attivo nello stesso negoziato in seno al Consiglio in quanto contribuisce a formarsi di una maggioranza qualificata • la commissione dispone di un potere normativo diretto • i Trattati attribuiscono alla Commissione un potere generale di esecuzione del diritto che la Commissione è chiamata a esercitare sia sul piano dell'applicazione amministrativa degli atti dell'Ue sia su quello della vigilanza rispetto alla corretta osservanza delle norme dell'Ue da parte dei destinatari delle stesse in particolare per quanto riguarda il secondo compito questo si concretizza da un lato nel potere di portare davanti alla Corte di Giustizia uno stato membro inadempiente agli obblighi disposti da quelle norme e dall'altro lato consiste nel potere di sanzionare direttamente i comportamenti contrari al diritto dell'Ue di soggetti privati e degli stati • alla Commissione spetta in linea di massima la rappresentanza dell'Unione sulla scena internazionale nei settori diversi dalla PESC, sia sotto il profilo della negoziazione degli accordi con stati terzi sia quello della gestione successiva degli stessi, in particolare per quanto riguarda la presenza dell'Unione negli organismi da questi creati. In virtù di tutte queste competenze si può constatare come la Commissione sia a sua volta organo politico che cumula in sé poteri di iniziativa economica, di gestione di politica, di vigilanza sul rispetto delle norme, di programmazione delle attività, pertanto si pone come motore del processo di integrazione europea. Il ruolo assolto dalla Commissione nel sistema istituzionale spiega come mai si è qualificata come espressione e garante dell'interesse generale dell'Unione, infatti la Commissione è organo di individui in quanto, sebbene proposti dai governi degli stati membri ed in funzione del possesso della cittadinanza di uno di questi i suoi membri, dal punto di vista formale non sono rappresentanti dello stato membro di cui hanno la cittadinanza e dal quale il loro nome è stato indicato ma sono membri a titolo personale della Commissione, infatti dal punto di vista formale costoro esercitano le loro funzioni in piena indipendenza e non accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo e vengono scelti in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e alle garanzie di indipendenza che offrono. L'effettivo possesso di questi requisiti da parte dei candidati rientra nella piena valutazione politica delle istituzioni che presiedono alla nomina, tuttavia la mancanza dell'uno o dell'altro è stata eccepita dal presidente designato della Commissione per opporsi a una determinata candidatura proposta da uno stato membro e inoltre è capitato che il Parlamento europeo abbia espresso un giudizio di inadeguatezza su un singolo commissario proposto dal Consiglio. In origine la procedura di nomina della commissione era articolata su 2 elementi principali: - era identica per tutti i membri, tanto che il presidente era designato tra di loro solo successivamente alla loro nomina sulla base della stessa procedura utilizzata per la nomina - la nomina era di spettanza esclusiva dei governi degli stati membri che procedevano con una decisione presa di comune accordo 17 censura del parlamento europeo nei confronti della Commissione, l’Alto rappresentante è tenuto a dimettersi unitamente agli altri commissari dalla funzioni ricoperte MA rimane in carica per le funzioni che assolve nell’ambito della PESC. Le istituzioni di controllo: la Corte di giustizia dell’Unione europea e la Corte dei conti - Il Trattato istitutivo prevede anche forme più specifiche di controllo sul funzionamento dell'Unione infatti l'art. 13 TUE prevede il controllo giurisdizionale esercitato dalla Corte di Giustizia dell’Ue e il controllo contabile esercitato dalla Corte dei Conti. In particolare la Corte dei conti è l'istituzione incaricata del controllo esterno sui conti dell'Unione, delle istituzioni, organi e organismi esamina le entrate e le spese, questo controllo riguarda tutte le spese effettuate nel quadro delle attività dell'Unione, eccezion fatta per quelle operative che derivano da operazioni che hanno implicazioni nel settore militare e della difesa, salvo che il Consiglio non decide all'unanimità di porle a carico degli stati membri. La Corte dei conti è composta di 1 cittadino per ciascuno stato membro che ne fa parte a titolo personale, essendo tenuto a esercitare le sue funzioni in piena indipendenza e nell'interesse generale dell'Unione; oltre ad offrire garanzie di indipendenza i membri devono provenire dalle istituzioni di controllo esterno dei rispettivi paesi o comunque essere dotati di qualificazioni specifiche per la funzione da ricoprire. Costoro vengono nominati per 6 anni dal Consiglio che delibera a maggioranza qualificata previa consultazione del Parlamento europeo; nel quadro di questa procedura il Parlamento europeo procede a un'audizione dei singoli candidati sui quali esprime una valutazione di rispondenza ai criteri che il Parlamento stesso ha fissato in modo autonomo con una propria risoluzione del 1995 ed il parere del Parlamento rimane tuttavia non vincolante per il consiglio. La fine anticipata del mandato di un membro può avvenire nei seguenti casi: morte; dimissioni volontarie; a seguito di decadenza dichiarata dalla Corte di giustizia in quanto sono venuti meno i requisiti necessari o vi sia stata violazione dei propri obblighi istituzionali. La Corte dei Conti nomina al suo interno un Presidente che rimane in carica per tre anni eventualmente rinnovabili; inoltre la Corte dei Conti adotta un proprio regolamento interno che è soggetto all'approvazione a maggioranza qualificata da parte del Consiglio. La Corte dei Conti svolge la sua missione sulla base di una duplice funzione: •funzione di controllo - con riguardo a questa funzione la Corte dei conti compie un esame delle entrate e delle spese delle istituzioni e degli organi e organismi dell'Unione, che ha ad oggetto sia la legittimità sia regolarità delle une e delle altre sia la sana gestione finanziaria; a questo fine può svolgere indagini necessarie presso i locali delle altre istituzioni, di qualunque organismo di gestione delle entrate e delle spese dell'Unione e di qualunque persona fisica o giuridica che riceva contributi a carico del bilancio della stessa e a loro volta questi soggetti sono tenuti a trasmettere alla stessa Corte ogni documento o dato utile allo scopo. Al termine di ciascun esercizio la Corte redige una relazione annuale sull'esecuzione del bilancio, che include una dichiarazione di affidabilità che attiene alla affidabilità dei conti e alla legittimità nonché regolarità delle operazioni sottostanti. In ogni caso la Corte può in ogni momento presentare le sue osservazioni sui problemi particolari sotto forma di relazioni speciali • funzione consultiva - questa funzione si manifesta mediante pareri che la Corte può produrre di propria iniziativa o su richiesta di una delle altre istituzioni dell'Unione; in 2 casi questa richiesta è obbligatoria in quanto espressamente previsto dai Trattati e questo comporta che la mancanza del parere rende illegittimo l'atto per la cui adozione sia previsto (questa illegittimità può essere fatta valere davanti alla Corte di giustizia dalla stessa Corte dei Conti) 20 Gli organismi monetari e finanziari: a) la Banca centrale europea - All'interno del sistema istituzionale vi sono alcuni organismi che operano nel settore monetario e finanziario che sono caratterizzati da un'ampia indipendenza o autonomia nell’assolvimento dei compiti e nel perseguimento degli obiettivi loro assegnati, si tratta della Banca centrale europea e della Banca europea per gli investimenti: entrambi gli organismi dispongono di risorse e di un bilancio propri nonché di loro organi decisionali ai quali spetta assicurarne l'amministrazione e la gestione e inoltre nell’assolvimento dei rispettivi compiti operano in una posizione di autonomia dalle altre istituzioni. A riguardo la BCE è in grado di svolgere in modo indipendente la sua funzione di governo della moneta e altresì la Banca europea per gli investimenti è in grado di agire in piena indipendenza sui mercati finanziari alla stregua di qualsiasi altra banca; tuttavia la Corte di Giustizia ha sottolineato che entrambe le banche non perdono però il loro carattere di organismi dell'Unione e del suo sistema istituzionale in quanto hanno il compito di contribuire alla realizzazione degli scopi dell'Unione e la loro particolare condizione di autonomia è strettamente funzionale ed è limitata a quanto necessario all'assolvimento dei loro compiti, restando entrambe soggetto e per il resto alle norme e ai principi che disciplinano il sistema istituzionale e alle misure generali adottate dal legislatore europeo nonché al controllo della Corte di giustizia. Per quanto riguarda la Banca centrale europea, questa costituisce il nucleo centrale del Sistema europeo di banche centrali (cd SEBC) che ha l'obiettivo di garantire la stabilità dei prezzi e di sostenere le politiche economiche generali dell'Unione; la composizione e il funzionamento della Bce sono disciplinate dalle norme sui trattati e dal protocollo sullo statuto del SEBC e della Bce. La Bce prevede i seguenti organi: • il Consiglio direttivo della Bce è l'organo al quale spettano la definizione degli indirizzi generali del SEBC e della politica monetaria dell'Unione nonché l'esercizio delle funzioni consultive che il trattato attribuisce alla banca; comprende i membri del comitato esecutivo e i governatori delle banche centrali degli Stati che aderiscono all'euro. Ogni membro del Consiglio dispone di un voto e le decisioni sono prese a maggioranza semplice salvo sia diversamente disposto dallo statuto (tuttavia per alcune decisioni si applica i governatori delle banche centrali nazionali un sistema di voto ponderato calcolato in base alle quote del capitale della Bce sottoscritte da ciascuna banca centrale) • il Comitato esecutivo ha il compito della gestione corrente della banca e dell'attuazione degli indirizzi di politica monetaria decisi dal Consiglio Direttivo ed è organo permanente che è composto da un presidente (che è anche il presidente della Bce e del Consiglio Direttivo), da un Vicepresidente ed altri 4 membri che sono nominati di comune accordo dal Consiglio europeo che delibera a maggioranza qualificata su raccomandazione del Consiglio e previa consultazione del Parlamento europeo e del Consiglio direttivo della Bce, la cui durata è di 8 anni non rinnovabili; di regola il Comitato decide a maggioranza semplice con il voto decisivo del Presidente in caso di parità • fino a quando non tutti gli Stati membri faranno parte dell'euro il Consiglio Direttivo e il comitato esecutivo saranno affiancati da un Consiglio generale che è composto dal Presidente e dal vice presidente della Bce e dai governatori delle banche centrali di tutti gli stati membri ed è deputato ad essere l'istanza di consultazione tra gli stati aderenti e non all'euro, in particolare con riguardo ai tassi di cambio tra questo e le monete degli altri stati membri. 21 La Bce ha le funzioni di una banca centrale di emissione in particolare può emettere le banconote della moneta unica. Inoltre la Bce esercita i seguenti poteri: il potere di adottare atti normativi; il potere di svolgere una funzione di controllo sull'esercizio di competenze altrui, dovendo essere consultata per parere su molte deliberazioni che spettano al Consiglio nonché sui progetti di norme nazionali che gli stati vogliano adottare in materie che riguardano le competenze della banca; il potere sanzionatorio nei confronti delle imprese che violino agli obblighi imposti dai regolamenti e dalle decisioni da questa adottati. Il Consiglio direttivo esercita compiti essenziali in particolare attraverso il proprio Presidente e poteri essenziali sono previsti anche alla Commissione--> in particolare spetta al Consiglio il ruolo centrale per quanto riguarda il coordinamento delle politiche economiche degli stati membri nell'ambito del quale detiene un potere decisionale e di indirizzo sia un potere sanzionatorio nei confronti degli stati membri per quanto riguarda eventuali situazioni di eccessivo disavanzo pubblico (potere che esercita su impulso esclusivo e determinante della Commissione). b) La Banca europea per gli investimenti - La Banca Europea per gli investimenti è organismo finanziario dell'Unione che ha il compito di contribuire a uno sviluppo equilibrato del mercato interno finanziando, mediante la concessione di prestiti e garanzie, progetti diretti alla valorizzazione delle regioni meno sviluppate o all'ammodernamento o riconversione di imprese ovvero progetti di interesse comune per più stati e dei quali questi non sarebbero in grado di assicurare in via autonoma l'integrale finanziamento; è disciplinata dalle norme dei trattati sia da un proprio statuto contenuto in un protocollo e inoltre è dotata di un proprio apparato organico e amministrativo che ne assicura la gestione politica e operativa, al vertice dell'apparato si trova il Consiglio dei governatori, che è composto da un ministro per ogni stato membro, che ha il compito di fissare inoltre le direttive generali delle politiche di credito della BEI e di decidere gli aumenti di capitale; le delibere vengono prese di regola a maggioranza semplice dei suoi membri o laddove sia espressamente stabilito con maggioranza qualificata prevista dai trattati per il Consiglio dell'Unione. La concreta concessione dei crediti a garanzia e la gestione operativa della BEI sono assicurate da un Consiglio di amministrazione che è formato da 26 amministratori che sono nominati a titolo personale dal Consiglio dei governatori per un mandato di 5 anni eventualmente rinnovabile, in ragione di un amministratore per ciascuno stato membro e uno per la Commissione e sono responsabili innanzi alla Bei; il Consiglio di amministrazione salvo non sia diversamente disposto vota con maggioranza di 1/3 dei membri che devono rappresentare almeno il 50% del capitale sottoscritto ed è affiancato da un Comitato direttivo che si occupa della preparazione delle sue decisioni e dell'ordinaria amministrazione, questo comitato è formato da un presidente che presiede anche il Consiglio di Amministrazione e da 8 vicepresidenti ed è nominato per 6 anni dal Consiglio dei governatori su proposta del Consiglio di Amministrazione. Gli organi consultivi: a) il Comitato economico e sociale - Ai sensi dell'art. 13 paragrafo 4 TUE il parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione sono assistiti da un Comitato economico e sociale e da un Comitato delle Regioni che esercitano funzioni consultive tuttavia all'interno dell'Unione non sono gli unici organi cui sono assegnate funzioni consultive in quanto il trattati ne prevedono altri, come ad esempio il Comitato per l'occupazione o il Comitato per la protezione sociale; tuttavia non si discute che il Comitato economico e sociale ed il Comitato delle Regioni occupino un posto a sé stante in quanto a differenza di tutti gli altri organi consultivi la composizione e il funzionamento del Comitato economico e sociale nonché del Comitato delle Regioni sono disciplinati direttamente nei Trattati e inoltre: solamente questi 22 e organismi dell'Unione sono tenuti a rispettare il principio di buona amministrazione e non vi è dubbio che tra gli organismi rientrino le agenzie. Deve essere poi considerato che tra gli organi su cui la Corte di giustizia è chiamata a esercitare un controllo giurisdizionale di legittimità oggi vengono altresì ricomprese le agenzie e inoltre alla corte possono essere sottoposte anche le questioni in via pregiudiziale da parte dei giudici nazionali come possibili eccezioni di illegittimità ai sensi dell'art. 277 TFUE! ad esempio come si può evincere da una causa del 2013, ove è stato affermato che l'attribuzione sempre più frequente alle agenzie del potere di adottare decisioni giuridicamente vincolanti e destinate a produrre un effetto giuridico nei confronti di terzi è possibile, a condizione che questo potere rimanga nell'ambito di una funzione esecutiva di scelte normative comunque operata dal legislatore ma da attuare attraverso valutazioni tecniche complesse. (Diverse sono invece le agenzie esecutive, che sono state create sulla base di un regolamento del 2003 e che sono organismi comunitari investiti di una missione di servizio pubblico le quali sono incaricate di compiti legati alla gestione di programmi finanziari operanti sotto la responsabilità della Commissione nelle diverse politiche dell'Unione). L’apparato amministrativo dell’Unione - L'apparato amministrativo attraverso cui opera il sistema dell'Ue è composto da circa 55000 dipendenti distribuiti tra le diverse entità che lo compongono; va poi considerato che la metà del personale è inquadrata nei ruoli della Commissione europea, in quanto la Commissione è la vera amministrazione dell'Ue poiché è l'unica fra le istituzioni il cui personale non è in via principale diretto a servire l'istituzione di appartenenza ma svolge anche un compito di funzioni verso l'Unione nella sua interezza. Il rapporto di lavoro del personale di ruolo dell'Unione è regolato da uno statuto unico che viene adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio previa consultazione delle altre istituzioni interessate e questo statuto disciplina diversi aspetti di quel rapporto: diritti e doveri; procedure di assunzione; condizioni di lavoro; trattamento retributivo e pensionistico; regime disciplinare. Accanto ai funzionari e all'altro personale di ruolo le istituzioni si avvalgono entro una certa misura anche di personale contrattualizzato a tempo determinato nonché di esperti nazionali distaccati (cd END) che sono funzionali delle amministrazioni degli stati membri distaccati presso la Commissione per un limitato periodo di tempo ai fini di esperienza e di scambio di conoscenze; l'insieme di queste diverse figure professionali viene incardinato nel Segretariato generale delle diverse istituzioni al cui vertice amministrativo si trova un Segretario generale. Fatte salve alcune specifiche deroghe (in particolare per i posti al vertice) l'accesso alla funzione pubblica europea avviene normalmente mediante concorsi interistituzionali organizzati da un ufficio unico di selezione del personale e i vincitori sono assunti dall'autorità investita del potere di nomina di ciascuna istituzione. I principali requisiti di base per accedere alla funzione pubblica europea sono: la cittadinanza di uno stato membro; la conoscenza approfondita di una lingua ufficiale e di altra lingua nella misura necessaria alle funzioni che si è chiamati a esercitare. 25 L’autorità investita del potere di nomina deve selezionare i funzionari unicamente nell'interesse del servizio e senza alcuna considerazione della nazionalità, anche se la multinazionalità dell'Unione si riflette anche sulla composizione del suo apparato burocratico tanto che lo stesso statuto prevede che i funzionari devono essere reclutati su una base geografica più ampia possibile in modo che all'interno delle istituzioni siano rappresentate tutte le nazionalità e tutte le culture. Con riguardo ai diritti e ai doveri dei dipendenti, lo statuto vincola i funzionari a un dovere di indipendenza nei confronti sia degli stati sia degli interessi privati nonché l'obbligo di riservatezza rispetto alle informazioni delle quali vengono a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni; ulteriori obblighi che gravano sull' apparato amministrativo dell'Unione sono conseguenza della previsione di cui all'art. 298 paragrafo 1 TFUE secondo cui nell'assolvere i loro compiti le istituzioni, organi e organismi dell'Unione si basano su un’amministrazione europea aperta, efficace ed indipendente!oggi i principi a cui deve conformarsi l'amministrazione dell'UE vengono enunciati nella Carta dei diritti fondamentali che all'articolo 41 fa riferimento al diritto a una buona amministrazione come diritto di ogni persona che entra in contatto con l'apparato amministrativo dell'Ue. Il regime linguistico delle istituzioni - L'uso delle lingue incide sulla fluidità e sulla compattezza dell'accesso al diritto e alle istituzioni dell'Ue condizionando pertanto il rapporto con questa dei cittadini degli stati membri si può constatare in particolare che il tema delle lingue investe contemporaneamente sia il rispetto dell'identità nazionale degli stati membri di cui la lingua è elemento essenziale sia quello dell'identità europea dell'Ue, che vede nella sua diversità linguistica uno dei valori fondanti: questo spiega perché il funzionamento dell'Unione è organizzato intorno a un generale principio di piena parità delle lingue ufficiale di tutti gli stati membri. Fin dall'origine un articolo dei Trattati istitutivi stabiliva che il testo di questi facesse ugualmente fede in ciascuna di tali lingue; con le successive adesioni ci si è limitati ad aggiungere all'art. 55 TUE le lingue ufficiali degli stati nuovi, fino ad arrivare a 24 lingue! questo vale anche per gli atti presi in applicazione dei trattati: • da un lato l'indispensabile pubblicità che va assicurata almeno a quelli che hanno portata generale può essere garantita esclusivamente dalla loro regolare pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Ue in tutte le lingue ufficiali; • dall’altro lato la Corte di giustizia europea più volte precisato che essendo gli atti redatti in diverse lingue la loro interpretazione comporta un raffronto tra le diverse versioni linguistiche in quanto a tutte le versioni linguistiche va riconosciuto in via di principio lo stesso valore. Per quanto riguarda l'uso delle lingue da parte delle istituzioni i trattati nulla dispongono e si limitano a rinviare per la sua definizione a un atto del consiglio da prendere all'unanimità senza l'intervento di altre istituzioni; oggi il regolamento 1/1958 riconosce quali lingue ufficiali e di lavoro delle istituzioni tutte le 24 lingue, anche se per l'uso delle lingue all'interno delle istituzioni si limita a rinviare ai regolamenti interni delle istituzioni prevedendo che le istituzioni possano determinare le rispettive modalità di applicazione del regime linguistico generale. Il ricorso crescente a un regime linguistico semplificato rispetto a quello generale è dovuto all'aumento del numero degli stati e delle lingue ufficiali anche se in ogni caso la giurisprudenza Ue sembra aver circoscritto entro confini specifici il possibile ricorso a regimi linguistici ridotti, infatti sulla base dei ricorsi presentati dall'Italia la Corte di Giustizia ha escluso che limitazioni delle lingue ufficiali possono risultare giustificate quando applicate a rapporti esorbitanti la vita interna delle istituzioni. 26 Le finanze dell’Unione e in particolare l’adozione e l’esecuzione del bilancio e il controllo sulle frodi - Le spese di funzionamento dell'apparato istituzionale dell'Ue sono finanziati attraverso un sistema di risorse proprie che è stato introdotto in sostituzione di un precedente sistema basato su contributi finanziari obbligatori versati dagli stati membri secondo una chiave di ripartizione stabilità nei trattati! il termine risorse proprie non significa che queste scaturiscano da prelievi fiscali o da altro tipo percepiti direttamente dall'Unione, in quanto restano imposte riscosse e prelievi operati dagli stati membri e da questi trasferiti interamente o in una percentuale fissata al bilancio dell'Ue. Tuttavia il loro ammontare preciso è frutto di un'imposta fissata direttamente a livello europeo e di percentuali predeterminate di un’imposta armonizzata a quello stesso livello (Iva) o di un parametro universalmente accettato di prosperità degli stati membri quale quello del reddito nazionale lordo. Nel quadro di questo sistema di risorse proprie gli stati membri si sono comunque mantenuti un potere esclusivo sulla definizione della natura e delle dimensioni delle risorse proprie ai sensi dell'art 111 comma 3 TFUE le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie dell'Unione, ivi comprese l'istituzione di nuove categorie di queste e la soppressione di categorie esistenti, sono adottate dal Consiglio con decisioni prese all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, che entrano in vigore solo previa approvazione da parte di tutti gli stati membri. L'insieme delle entrate derivanti dalle risorse proprie confluisce unitamente alle spese previste per ciascun esercizio finanziario nel bilancio annuale dell'Unione si tratta di un bilancio generale e unico per tutta l'Unione che deve essere finanziato integralmente tramite risorse proprie e deve dar conto di tutte le entrate e le spese previste per quel determinato anno facendo in modo che queste risultino in pareggio: l'obbligo del pareggio comporta che il bilancio dell'Unione riguardi di fatto solo le uscite, visto che il plafond delle entrate è prefissata attraverso il sistema delle risorse proprie e in ogni caso questo bilancio corrisponde al 2% circa del totale dei bilanci nazionali degli stati membri. L’adozione del bilancio avviene all'interno di una procedura legislativa speciale che parte dalla proposta della Commissione e vede il confronto del Consiglio e del Parlamento con responsabilità finale del Parlamento europeo! questa procedura è disciplinata dall'art. 314 TFUE che prevede tempi stretti su scadenze che se non vengono rispettate comportano approvazione tacita da parte dell'istituzione inerte: la finalità è quella di evitare l'avvio di un nuovo esercizio finanziario annuale senza che ci sia un bilancio debitamente adottato in quanto questo comporterebbe che l'Ue operi sulla base del sistema dei dodicesimi di cui all'art. 315 TFUE. L’esecuzione del bilancio generale dell'Unione spetta alla Commissione, ferma restando la responsabilità delle singole istituzioni o dei singoli organi organismi per l'esecuzione delle singole sezioni di bilancio che li riguardano direttamente, l’esecuzione data al bilancio dell’Ue è oggetto di un doppio controllo: - controllo contabile, il controllo contabile spetta alla Corte dei Conti che lo esercita a posteriori secondo quanto previsto dall'art. 287 TFUE; è un controllo che concerne la legalità e la regolarità delle entrate e delle uscite nonché il rispetto del principio di sana gestione finanziaria - controllo politico il controllo politico è esercitato dal Parlamento europeo, che è chiamato a dare atto alla Commissione dell'esecuzione del bilancio e a deliberare lo scarico di bilancio dopo che la Commissione abbia presentato 27 procedura di cui al paragrafo 6, sottolineando che nel suo ambito la Corte è tenuta a verificare da un lato che siano state seguite le regole procedurali previste dal paragrafo 6 e dall'altro lato che le modifiche decise riguardino solo la parte terza del TFUE. Trattati e le altre norme di diritto primario - Accanto ai 2 trattati che oggi costituiscono l'asse portante dell'Ue esiste una serie di altri atti a questi ricollegati che continuano ad esplicare la loro efficacia in relazione ai trattati attuali!in primo luogo si deve pensare a quegli atti internazionali scaturiti nel corso degli anni dal ricorso al procedimento di emendamento formale, previsto oggi dall'art. 48 TUE; oggi poi i Trattati istitutivi sono affiancati da una serie di protocolli a questi allegati, all'interno dei quali si ritrova la disciplina di alcuni aspetti del funzionamento dell'Unione non regolati o contemplati attraverso le vie generali dagli stessi trattati. In molti casi si tratta di discipline che hanno un rilievo primario e l'inserimento di queste in un protocollo è dovuto alla volontà di non appesantire il testo del trattato e contemporaneamente di facilitare l'eventuale successiva integrazione della disciplina dettata dal protocollo, come ad esempio si evince dal protocollo 7 sui privilegi e sulle immunità dell'Unione Europea oppure ai Protocolli sugli statuti di alcuni organi e istituzioni dell'Unione. Altre volte invece il ricorso allo strumento del protocollo è dovuto in ragione del carattere transitorio della disciplina dettata, come ad esempio nel caso del protocollo sull'integrazione di Schengen che oggi è diventato il protocollo 19 sull'acquis di Schengen integrato nell'ambito dell'Unione Europea; inoltre sempre più spesso lo strumento del protocollo viene utilizzato per introdurre nel sistema discipline ad applicazione differenziata senza formalmente intaccare la portata unitaria dei trattati principali e del diritto dell'Unione. Quale che sia la finalità le norme di questi protocolli hanno lo stesso valore giuridico delle norme dei trattati ai quali si ricollegano, come espressamente sancito dall'art. 51 TUE che li dichiara parte integrante del trattato. Alla nozione di trattati quali fonti di diritto primario vanno poi ricondotti anche gli atti di adesione, attraverso cui hanno acquisito lo status di membro i diversi stati che nei momenti successivi si sono aggiunti a quelli in origine fondanti la Comunità Europea!infatti la procedura di adesione di cui all'art. 49 TUE sfocia in un accordo internazionale tra gli stati già membri e gli stati aderenti, che è destinato a fissare gli adattamenti istituzionali resi necessari dall'ingresso di uno o più nuovi stati membri nonché le condizioni per l'ammissione e le eventuali deroghe alle norme esistenti. Le norme corrispondenti all'atto di adesione integrano quindi i Trattati istitutivi; il fatto che queste norme siano direttamente riconducibili alla volontà degli stati comporta che vada riconosciuta natura di diritto primario anche a quelle tra di queste che, nel quadro delle condizioni per l'ammissione del nuovo stato, comportino eventualmente modifiche ad atti di diritto derivato!infatti sebbene le disposizioni modificate siano contenute in atti di quest'ultima natura, quelle di modifica sono comunque parte dell'accordo di adesione, con la conseguenza che queste non possono essere considerate alla stregua di un atto del consiglio ma disposizioni di tipo primario che possono essere sospese, modificate o abrogate solo attraverso i procedimenti contemplati per la revisione dei trattati originari. La diretta riconducibilità a una volontà formale espressa dagli stati quali soggetti sovrani comporta che vadano riportate alla nozione di trattati anche quelle integrazioni degli stessi che sono avvenute sulla base di procedure semplificate!in 30 particolare ci si riferisce all'istituzione del sistema delle risorse proprie comunitarie o all'introduzione delle elezione a suffragio diretto del Parlamento europeo; mentre in passato questo tipo di procedura aveva applicazione diffusa nei trattati, con il Trattato di Lisbona è rimasta confinata solo all'art. 42 paragrafo 2 TUE che dispone che laddove il Consiglio europeo decida all'unanimità il passaggio a una difesa comune europea raccomando agli stati membri di adottare una decisione in tal senso conformemente alle rispettive norme costituzionali; in tutti gli altri casi la procedura risulta basata su una impostazione diversa, ad esempio l'art. 311 TFUE stabilisce che il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa speciale, all'unanimità e previa consultazione del Parlamento europeo, adotta una decisione che stabilisce le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie dell'Unione... tale decisione entra in vigore solo previa approvazione degli stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali. Infine si deve considerare che quando ci si riferisce ai Trattati, questi sono accompagnati da una serie di dichiarazioni che riguardano specifiche parti o norme degli stessi o altri aspetti a questi connessi!queste dichiarazioni non hanno valore normativo ma secondo quanto affermato dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati fanno pur sempre parte del contesto del trattato in occasione della cui adozione sono state formulate, pertanto nei limiti in cui siano riferibili all'insieme degli stati membri costituiscono strumenti di interpretazione delle norme a cui direttamente si riferiscono: la Corte di Giustizia ha riconosciuto questa possibilità anche in riferimento a una dichiarazione unilaterale di uno stato membro nel caso in cui la stessa sia servita a chiarire da parte del suo autore una questione particolarmente importante per gli altri stati membri ai fini del formarsi del loro consenso alla conclusione del trattato. Gli effetti delle norme di diritto primario sui soggetti dell’ordinamento - La Corte di giustizia ha affermato che in un ordinamento che riconosce come soggetti non solo gli stati membri ma anche i loro cittadini è concepibile che dal Trattato istitutivo derivino diritti soggettivi per i singoli non solo nei casi in cui il trattato espressamente li menziona ma anche come contropartita di precisi obblighi imposti dal trattato ai singoli, agli stati membri o alle istituzioni comunitarie, questo non significa che tutte le norme dei trattati siano suscettibili di produrre effetti direttamente in capo a persone fisiche o giuridiche, in quanto l'origine internazionalistica di queste norme implica che le stesse siano per lo più strutturate avendo come modello destinatari di natura statale. Fin dall'inizio la Corte di Giustizia ha indicato le caratteristiche di questi diritti nella chiarezza, precisione, completezza e carattere incondizionato della norma invocata e in particolare si faceva riferimento all'odierno art. 30 TFUE che riguarda i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente, che poneva un divieto chiaro e incondizionato che si concreta in un obbligo per gli stati di non fare, al quale non si ricollegava alcuna facoltà degli stati di subordinare l'efficacia all'emanazione di un provvedimento di diritto interno; in altri casi il carattere incondizionato di norme di quel trattato è stato riconosciuto dalla Corte in relazione all’avvenuta scadenza del periodo transitorio che quelle norme avevano concesso agli stati membri per liberalizzare un certo settore, nel senso che solo a partire da quel momento i relativi divieti imposti agli stati dalle norme sono divenuti invocabili dai singoli davanti ai giudici. Ma le norme dei trattati possono anche prevedere nei confronti dei privati degli obblighi, è il caso ad esempio dell'odierno art. 157 TFUE che prevede il principio della parità di retribuzione tra uomo e donna per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore: questo principio si deve ritenere applicabile 31 non solo alle pubbliche autorità ma anche a tutte le convenzioni che disciplinano in modo collettivo il lavoro subordinato così come nei contratti tra singoli. Analogo effetto diretto orizzontale è previsto per il divieto di discriminazione per motivi di nazionalità in materia di lavoro subordinato e di prestazione di servizi che la Corte di Giustizia ha ritenuto operare anche nei confronti di associazioni organismi non di diritto pubblico. I principi generali di diritto. In particolare il principio del rispetto dei diritti fondamentali e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea - Con riguardo ai principi generali di diritto, della loro esistenza viene fatta menzione nel TUE dove si stabilisce che i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali; nel TFUE si fa riferimento ai principi generali comuni ai diritti degli stati membri nel quadro della responsabilità extracontrattuale dell'Unione. La categoria dei principi generali del diritto è frutto dell'elaborazione della Corte di giustizia che ha consolidato nel tempo l'esistenza di una serie di principi propri dell'ordinamento creato dai Trattati, in taluni casi mutuandoli da altri sistemi giuridici e in altri casi ricavandoli da norme degli stessi trattati considerate espressione di un principio generale che vale anche al di fuori del loro specifico campo di applicazione. Il ricorso ai principi generali (come ad esempio quelli della leale collaborazione tra le istituzioni e con gli stati membri, di rispetto dell'equilibrio istituzionale, di certezza del diritto, di legittimo affidamento) si è rivelato necessario di fronte al carattere generale di molte parti e regole di funzionamento del sistema giuridico dell'Unione!pertanto questi principi sono serviti a consentire una più compiuta ricostruzione di un dettato normativo che altrimenti sarebbe stato troppo generico o incompleto, nonché sono serviti a rafforzare una certa interpretazione di disposizioni del diritto dell'Unione che si prestavano a più significati e inoltre sono serviti a costruire ulteriori parametri di legittimità del comportamento delle istituzioni o degli stati membri: con particolare riguardo a quest'ultima funzione essa si è espressa in particolare con riferimento al principio di tutela dei diritti fondamentali della persona umana, rispetto al quale ai trattati nulla dicevano fino all'introduzione nel TUE dell'art. 6!all'inizio la Corte aveva escluso la possibilità di censurare l'eventuale violazione di diritti fondamentali da parte di una delle istituzioni, legittimando le valutazioni critiche di alcune corti costituzionali e la loro conseguente rivendicazione della competenza ad esercitare loro stessi e un controllo con riguardo agli atti comunitari ma successivamente la Corte di Giustizia ha mutato la propria posizione: infatti l'idea della giurisprudenza della Corte di giustizia è stata quella che i diritti fondamentali costituiscono parte integrante dei principi generali di diritto di cui la corte garantisce l'osservanza e nel garantire la tutela di questi diritti la Corte è tenuta a ispirarsi alle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri. Il richiamo esplicito ai diritti fondamentali quali garantiti dalla CEDU e che risultano dalle tradizioni costituzionali comuni ha confermato la natura formale di parametro di legittimità di questi diritti nel sistema dell'Unione prevedendo che l'Unione rispetta i diritti fondamentali - per certi versi questo rispetto si impone non solo da parte degli atti di diritto derivato ma inoltre rappresenta anche un criterio ermeneutico al quale conformare l'interpretazione delle norme contenute negli stessi trattati; la tutela diritti fondamentali infatti secondo la giurisprudenza della 32 - Non devono risolversi in un intervento sproporzionato e inammissibile che pregiudicherebbe la stessa sostanza di tali diritti Sebbene l'art. 52 paragrafo 1 Carta sia formulato in termini generali ed appaia destinata a trovare applicazione rispetto a tutti i diritti sanciti dalla stessa carta, la Corte di Giustizia richiamando la CEDU ha evidenziato l'esistenza tra quei diritti di alcuni come ad esempio il diritto alla vita e il divieto di tortura che non tollerano alcuna restrizione. Il Protocollo 30 allegato ai Trattati limita apparentemente l'applicabilità della Carta dei diritti fondamentali al Regno Unito e alla Polonia, questo protocollo stabilisce che sia la Corte di giustizia sia i giudici di questi paesi non possono giudicare della conformità di norme o pratiche degli stessi alle disposizioni della Carta e che tra queste disposizioni quelle relative ai diritti sociali non creano diritti azionabili davanti a un organo giurisdizionale applicabili alla Polonia o la Regno Unito, salvo nella misura in cui questi 2 Paesi abbiano previsto tali diritti nel rispettivo diritto interno; tuttavia la portata derogatoria di questo protocollo è stata smentita dalla stessa Corte di giustizia che ha rilevato come il suo stesso preambolo riconosce che l'art. 6 TUE dispone che la carta deve essere applicata e interpretata dagli organi giurisdizionali della Polonia e della Regno Unito rigorosamente in conformità con le spiegazioni allegate alla stessa cassa, pertanto si deve ritenere che questo protocollo non rimette in questione l'applicabilità della carta al Regno Unito alla Polonia ma si limita ad esplicitare il contenuto dell'art. 51 della Carta relativo all'ambito di applicazione di quest'ultima ma non esonera questi 2 paesi dall'obbligo di rispettare le disposizioni della Carta. Inoltre l'art. 6 TUE ha previsto l’adesione dell’Ue alla CEDU, colmando una lacuna nei Trattati! questo significa che con l'adesione la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo potrebbe essere chiamata sulla base di ricorsi individuali o di altre parti contraenti della CEDU a pronunciarsi sul rispetto da parte dell'Unione delle norme della CEDU. Sebbene la CEDU preveda già la possibilità dell'Ue di aderirvi, questo passo richiede la conclusione di un apposito accordo dell'Unione con le parti già contraenti che nel disporre l'adesione apporti alla CEDU le modifiche necessarie a consentire la partecipazione a questa di una parte chi ha una natura diversa da quella statale. Dal lato dell'Unione l'accordo è chiamato in particolare a garantire come richiesto dal protocollo 8 che siano preservate le caratteristiche specifiche dell'ordinamento giuridico dell'Unione e che l'adesione non incida né sulle competenze dell'Unione né sulle attribuzioni delle sue istituzioni, il protocollo indica la necessità che nell'accordo di adesione siano definiti i meccanismi necessari a individuare il corretto destinatario di un ricorso alla Corte EDU in quanto potrà essere chiamata a pronunciarsi sulla conformità di norme dell'Unione alla CEDU sia quando la violazione derivi direttamente da un atto dell'Unione sia quando deriva da un atto di uno stato membro posto in essere in attuazione delle norme di diritto europeo: l'obiettivo è evitare che la decisione su chi sia il responsabile sia lasciata interamente alla Corte EDU; inoltre la fondatezza di questa e di altre preoccupazioni ha trovato conferma nel parere negativo formulato nel 2014 dalla Corte di giustizia con riguardo alla compatibilità del progetto di accordo di adesione negoziato dalla Commissione e sul quale quest'ultima aveva chiesto un parere alla Corte, secondo la Corte questo progetto non riusciva a garantire la salvaguardia delle caratteristiche specifiche e dell'autonomia del diritto dell'Unione e in particolare della Carta dei diritti fondamentali in quanto trattando l'Unione e i suoi Stati membri nei loro reciproci 35 rapporti alla stregua di tutte le altre parti contraenti della CEDU non avrebbe escluso la possibilità che alcune controversie tra costoro potessero essere portati davanti alla Corte EDU violando così l'art. 344 TFUE che obbliga gli stati membri a non sottoporre le controversie relative all'interpretazione e all'applicazione dei trattati a giudici diversi da quelli dell'Ue. Il diritto internazionale. In particolare gli accordi internazionali dell’Unione - Ulteriore fonte di norme per l'ordinamento dell'Unione è data dal diritto internazionale, in particolare dagli accordi internazionali che possono essere conclusi dall'Unione con stati terzi o organizzazioni internazionali sulla base delle procedure previste dall'art. 218 TFUE nonché nelle decisioni che possono essere adottate dagli organi paritetici che operano eventualmente in seno a questi accordi; infatti la Corte di Giustizia ha affermato che le norme del diritto consuetudinario internazionale vincolano le istituzioni e fanno parte dell'ordinamento giuridico dell'Unione condizionando l'interpretazione di atti delle istituzioni anche in senso eventualmente limitativo. Con riferimento specifico agli accordi internazionali la Corte di Giustizia ha precisato che dal momento in cui entrano in vigore sul piano internazionale gli accordi conclusi con paesi terzi diventano parte integrante dell'ordinamento, si tratta di una conseguenza automatica delle entrata in vigore infatti ai sensi dell'art. 216 paragrafo 2 TFUE un accordo, le istituzioni dell'Unione e gli stati membri operando nell'ordinamento dell'Unione per il solo fatto di essere stato concluso alle condizioni indicate nei trattati; quanto è stato detto per i trattati vale anche con riguardo alle decisioni adottate da organi operanti nel quadro di un accordo, nel senso che queste esplicano effetti nell'ordinamento dell'Unione dalla data della loro approvazione da parte dell'organo paritetico, senza che vi sia bisogno dell'emanazione di atto da parte delle istituzioni europee, infatti in virtù del loro collegamento diretto con un accordo di cui costituiscono la situazione, gli atti provenienti dagli organi istituiti con accordo internazionale del genere fanno parte dell'ordinamento giuridico comunitario. Il fatto che l'efficacia nell'ordinamento dell'Ue dell'accordo internazionale non dipende da un atto delle istituzioni tuttavia non esclude che l'atto con cui il Consiglio decide la conclusione dell'accordo possa contenere norme di attuazione specifica di singole disposizioni convenzionali e talvolta può avvenire che una decisione dell'organo di un accordo venga recepita in un atto delle istituzioni--> questa sarà la conseguenza del fatto che una certa disposizione convenzionale o una certa decisione non appare in grado di esplicare in pieno la propria efficacia nell'ordinamento dell'Unione in mancanza di un’integrazione da parte di norme di questo: a) dal fatto che un accordo con un paese terzo diventi parte integrante dell’ordinamento dell’Ue, vincolando le istituzioni e gli stati membri non consegue che le sue disposizioni possano essere invocate in giudizio da parte dei singoli. Questa possibilità è stata invece condizionata dalla Corte di Giustizia alla rispondenza della disposizione invocata agli stessi requisiti che giustificano l’esplicazione di effetti diretti di norme dei Trattati o di direttive e decisioni, infatti questa disposizione deve porre un obbligo chiaro e preciso, la cui esecuzione o i cui effetti non risultino subordinati all’adozione di alcun atto ulteriore; va però precisato che la Corte ha previsto la necessità di esaminare le direttive alla luce dell’oggetto e dello scopo nonché del contesto dell’Accordo di cui fanno parte. 36 Nonostante la maggiore incisività e puntualità della struttura normativa, la Corte ha ritenuto di confermare rispetto all'accordo istitutivo dell'Organizzazione mondiale del commercio il giudizio a suo tempo espresso con riguardo all'accordo generale sulle tariffe e il commercio affermando che tenuto conto della loro natura e dalla loro economia, gli accordi dell'organizzazione mondiale del commercio non configurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni, salvo che attraverso l'atto contestato l'Unione non abbia inteso dare esecuzione a un obbligo particolare assunto nell'ambito dell’OMC o lo stesso Accordo rinvii espressamente a precise disposizione degli accordi OMC. L’oggetto e lo scopo di un accordo possono tuttavia anche portare ad affermare, rispetto ad una disposizione dello stesso che non contenga alcun obbligo chiaro e preciso idoneo a regolare direttamente la situazione giuridica dei cittadini, la necessità di interpretare le norme interne in modo conforme alla disposizione convenzionale: la corte ad esempio afferma questa conclusione con riguardo alla Convenzione di Aarhus del 1998 sull'accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l'accesso alla giustizia in materia ambientale in quanto la Corte ha affermato che il giudice nazionale è tenuto a interpretare nei limiti del possibile le norme processuali che riguardano le condizioni che devono essere soddisfatte per proporre un ricorso amministrativo o giurisdizionale in conformità sia degli scopi della convenzione sia dell'obiettivo di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione al fine di permettere a un'organizzazione per la tutela dell'ambiente di contestare in giudizio una decisione adottata a seguito di un procedimento amministrativo contrario al diritto ambientale sancito dall'Unione. b) gli accordi conclusi con i paesi terzi o organizzazioni internazionali sono subordinati ai trattati in quanto l'esercizio delle competenze internazionali dell'Unione deve avvenire nel rispetto delle regole materiali e procedurali in questi stabilite; nei limiti delle competenze che le sono riconosciute dai Trattati la Corte può quindi essere investita della questione della compatibilità di un accordo con il diritto primario, questo può avvenire sia prima della conclusione dell'accordo sulla base di una richiesta di parere consultivo sia dopo la conclusione dell'accordo nel quadro di una delle competenze di legittimità che spettano alla corte; con riguardo al parere consultivo richiesto dopo la conclusione dell'accordo si può constatare come la corte ad esempio abbia annullato la conclusione di un accordo in materia di concorrenza stipulato con gli Usa dalla Commissione in quanto si è ritenuto che la Commissione fosse incompetente a contrarre impegni internazionali per conto della Comunità Europea. Ai sensi dell'art. 216 paragrafo 2 TFUE il rispetto degli accordi con stati terzi e delle decisioni di organi data gli accordi previsti costituisce un limite di legittimità degli atti di diritto derivato che può portare all'annullamento di questi e che in ogni caso implica l'obbligo di interpretare gli atti in maniera conforme a detti accordi, tuttavia la Corte di Giustizia ha subordinato l'eventualità che un atto delle istituzioni possa essere oggetto di annullamento per contrasto con un obbligo internazionale dell'Unione alla circostanza che la norma internazionale della cui violazione si tratta presenti i caratteri che ai sensi della giurisprudenza ne fonda non invocabilità in giudizio. c) non sono parte integrante dell'ordinamento giuridico dell'Unione gli accordi internazionali conclusi tra gli stati membri o tra stati membri e stati terzi: ➢ con riguardo agli accordi conclusi tra gli stati membri l’ipotesi si pone solo per quelli successivi all’acquisto dello status di membro visto che gli accordi 37 preferite ai regolamenti e le direttive quadro devono essere preferite a misure dettagliate in virtù dell’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità). Il rapporto tra gli atti normativi tipici - Gli atti di cui all'art. 288 comma 1 TFUE si differenziano tra loro per le caratteristiche gli effetti che a ciascuno di questi l'articolo riconosce: mentre il regolamento ha portata generale ed è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile negli ordinamenti degli stati membri, la direttiva vincola gli stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere ma lascia competenza per quanto riguarda la forma e i mezzi per raggiungere tale scopo; invece la decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi e può avere carattere individuale o generale ed è direttamente efficace oppure no all'interno degli stati membri, da questa diversità di caratteristiche ed effetti non consegue un rapporto gerarchico tra i diversi tipi di atti, perciò nulla esclude che una decisione modifichi o possa derogare a un regolamento oppure che un regolamento possa derogare a una direttiva. Questo non significa che tra gli atti adottati dalle istituzioni non possa esistere un rapporto di tipo gerarchico in quanto tale rapporto dipenderà non dalla forma degli atti utilizzati ma da altre circostanze: - una di queste circostanze può essere la particolare funzione alla quale un determinato atto delle istituzioni assolve - un'ipotesi di questo tipo si presenta nel caso di quelle disposizioni dei trattati che attribuiscono alle istituzioni il compito di provvedere direttamente attraverso atti di diritto derivato ad integrazioni o modifiche del diritto primario; questi atti, il cui contenuto può essere vincolato o lasciato alla discrezionalità dell'istituzione, in alcuni casi sono adottati definitivamente dalle istituzione mentre invece in altri casi una volta adottati vedono subordinata alla loro entrata in vigore alla previa approvazione o una sorta di silenzio assenso dei parlamenti nazionali - una di queste circostanze può essere anche derivante da quelle disposizioni dei trattati che attribuiscono nei fatti carattere ugualmente supralegislativo in ragione della funzione che lo stesso è chiamato ad assolvere nel quadro del funzionamento dell'Unione, un esempio è dato dal regolamento comitologia del Parlamento europeo e del Consiglio del 2011 che stabilisce le regole e principi direttivi relativi alle modalità di controllo da parte degli stati membri nell'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione: il regolamento prevede delle procedure standard da richiamare nei singoli atti di base nel momento in cui gli stessi attribuiscono alla Commissione quelle competenze e in ragione di questo i principi e le norme da questo stabiliti devono essere rispettati al momento dell'adozione degli atti che conferiscono competenze di esecuzione alla Commissione - altra circostanza in cui prodursi un rapporto gerarchico tra atti di diritto derivato si ricollega alle ipotesi del conferimento di competenze di esecuzione di un atto adottato ai sensi dei trattati o dell'attribuzione di una delega l'esercizio di competenze normative!prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona questa ipotesi era riconducibile solo al meccanismo della comitologia; oggi invece questa ipotesi ricade in parte sotto l'applicazione dell'art. 290 TFUE (in base al quale un atto legislativo può delegare alla Commissione il potere di adottare atti non legislativi di portata generale che integrano-modificano determinati elementi non essenziali dell'atto 40 legislativo) ed in parte sotto l’applicazione dell’art. 291 TFUE. In particolare l’art. 290 TFUE lo specifica per l’ipotesi di delega di competenze normative, precisando che l'atto legislativo delegante deve delimitare lecitamente gli obiettivi, il contenuto, la portata e la durata della delega di potere e precisando che gli elementi essenziali di un settore sono riservati all’atto legislativo - un rapporto gerarchico quale quello che si stabilisce tra un atto di base e l'atto presa in sua attuazione si presenta anche al di fuori delle ipotesi di cui all'art. 290 e 291 TFUE in quanto ci sono casi in cui gli stessi trattati configurano l'esistenza di un rapporto di quel tipo tra 2 atti, indipendentemente dal conferimento puntuale da parte del primo di una competenza ad emanare il secondo in sua attuazione, ipotesi di questo tipo si riscontra nella previsione di cui all'art. 75 comma 2 TFUE che stabilisce che il Consiglio su proposta della Commissione adotta misure per attuare l'insieme di misure di contrasto al terrorismo che l'Unione può prendere conformemente a una procedura legislativa ordinaria; nonché nel settore della PESC, ove all’art. 31 paragrafo 2 TUE è stabilito che il consiglio può adottare a maggioranza qualificata decisioni relative all'attuazione di una decisione che definisce un’azione o una posizione dell'Unione approvata da lui stesso all'unanimità. Il regime comune agli atti normativi tipici - Gli atti normativi tipici dell'Unione sono soggetti a un regime comune per quanto riguarda determinati requisiti di forma e la loro entrata in vigore: ❖ in primo luogo l’art. 296 comma 2 TFUE pone un obbligo di motivazione! la motivazione va intesa come una formalità sostanziale, la cui omissione o insufficienza comporta l'invalidità dell'atto poiché il suo scopo è quello di mettere in grado i destinatari di apprezzare le ragioni che hanno indotto le istituzioni ad agire e eventuali vizi che inficiano la volontà dell'atto; la sufficienza della motivazione va valutata in rapporto alla natura dell'atto di cui si tratta, in quanto alla necessità di motivazione varia a seconda che si tratti di decisioni generali di carattere normativo o di decisioni cui manchi tale carattere, per le quali linea di principio la motivazione deve essere più dettagliata punto tuttavia la Corte ha ritenuto determinanti nella valutazione del rispetto dell'obbligo di motivazione il contesto normativo e quello di fatto in cui l'atto viene adottato mentre invece non può considerarsi capace di integrare la motivazione di un atto un’eventuale dichiarazione adottata al momento dell'adozione dell'atto in questione in quanto la motivazione di un atto comunitario deve figurare nell'atto stesso. Parte integrante della motivazione è l'indicazione della base giuridica dell’atto che contribuisce a fornire elementi essenziali per una migliore comprensione della portata e della validità dell'atto stesso; l'applicazione di un atto delle istituzioni è subordinata a una pubblicità preventiva che ne condiziona l’opponibilità ai soggetti dell'ordinamento--> infatti la Corte di Giustizia ha affermato che il principio di certezza del diritto esige che una normativa dell'Unione consente agli interessati di conoscere esattamente la portata degli obblighi che questa impone loro in quanto i soggetti dell'ordinamento devono poter conoscere senza ambiguità i propri diritti e obblighi e regolarsi di conseguenza A) I regolamenti - Ai sensi dell'art. 288 comma 2 TFUE il regolamento ha portata generale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi ed è direttamente applicabile in 41 ciascuno degli stati membri--> pertanto si tratta dell’atto che meglio concretizza il trasferimento di competenze dagli stati membri alle istituzioni dell'Unione in quanto attraverso il regolamento la normativa adottata viene a sostituirsi integralmente alle norme nazionali. ❖ In primo luogo il regolamento ha portata generale nel senso che questo si rivolge a una o più categorie di destinatari determinate astrattamente e nel loro complesso ❖ In secondo luogo il regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi, questo significa che uno stato non può applicare in modo incompleto o selettivo un regolamento e inoltre lo stato membro si deve conformare al regolamento in maniera rigorosa in quanto questo tipo di atto non lascia i suoi destinatari alcuna discrezionalità in ordine al modo di applicare le sue norme; tuttavia questo non significa automaticamente che la disciplina del regolamento sia completa infatti la disciplina in questo contenuto potrebbe essere oggetto di integrazione mediante successivi atti, ad esempio prevedendo la successiva emanazione di una normativa specifica di dettaglio oppure stabilendo che gli stati membri debbano integrare la disciplina della regolamento con provvedimenti di loro competenza. Laddove il regolamento nulla dica si può proporre la necessità dell'integrazione e questa sarà comunque oggetto di obbligo per gli stati membri in quanto ai sensi dell'art. 4 paragrafo 3 comma 2 TUE viene imposto agli stati di adottare ogni misura di carattere generale o particolare volta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi conseguenti agli atti delle istituzioni dell’Unione. Va tuttavia precisato che un intervento normativo degli stati membri si giustifica esclusivamente solo per quanto sia necessario all'attuazione dei regolamenti senza che le misure prese a livello nazionale possano in alcun caso sostituirsi alle norme dei regolamenti ❖ In terzo luogo il regolamento è direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri! questo significa che l'entrata in vigore del regolamento e la sua applicazione nei confronti degli amministrati non necessita di nessun atto di ricezione nel diritto interno, anzi l’eventuale recezione nel diritto interno è incompatibile con il diritto dell'Unione in quanto contrasta con i trattati ogni forma di attuazione che possa avere la conseguenza di ostacolare l'efficacia diretta dei regolamenti e di comprometterne la simultanea ed uniforme applicazione. L’applicabilità diretta dei regolamenti comporta che questi per loro stessa natura sono suscettibili di porre situazioni giuridiche soggettive in capo ai privati sia per quanto riguarda i loro rapporti con altri privati sia per quanto riguarda i rapporti con gli stati o le istituzioni dell'Unione!questi effetti non possono essere messi in causa nemmeno del fatto che per l'ordinamento dello stato sarebbe necessario un ulteriore intervento normativo per permettere il pieno operare della disciplina regolamentare, infatti la Corte ha affermato che i regolamenti entrano a far parte dell'ordinamento giuridico nazionale e questo ordinamento deve rendere possibile l'efficacia diretta e di conseguenza i singoli possono far valere questi effetti senza vedersi opporre delle disposizioni di carattere nazionale B) Le direttive - Lo strumento della direttiva esprime un modo di funzionamento delle competenze dell'Unione articolato su una ripartizione del potere tra l'Unione e gli stati membri, infatti la direttiva opera sulla base di una riserva di competenza a favore degli stati membri, nel senso che la direttiva implica la permanenza di normative nazionale e una parziale varietà di queste; ai sensi dell’art. 288 comma 42 la Corte ha escluso che in assenza di recepimento direttive possono essere fatte valere in quanto tali dallo stato membro contro singoli. La negazione di possibili effetti diretti orizzontali o verticali in senso contrario (ossia dallo stato contro il privato) delle direttive è stata motivata ritenendo che la direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo; la limitazione degli effetti diretti delle direttive ai soli effetti verticali si giustifica anche alla luce dell'argomento che ritiene che gli effetti diretti valgono ad impedire che lo stato inadempiente al suo obbligo di trasporre la direttiva possa giovarsene a discapito del singolo, tuttavia si deve osservare che la Corte ha ritenuto applicabile questi effetti anche ai rapporti in cui lo stato non si presenta come autorità pubblica, ad esempio ammettendo la possibilità di un lavoratore di invocare disposizioni di una direttiva non attuata nei confronti del proprio datore di lavoro in ragione della qualità di azienda pubblica di questo. ➢ l'obbligo che grava sugli stati membri di conseguire il risultato voluto da una direttiva non si esaurisce con la trasposizione formale della direttiva nell'ordinamento nazionale da parte degli organi normativi ma si impone anche agli altri organi dello stato, quest’obbligo vale in particolare per gli organi giurisdizionali che devono interpretare il diritto interno, a partire dalla scadenza del termine di attuazione, alla luce del testo e della finalità della direttiva al fine di raggiungere i risultati perseguiti dalla direttiva privilegiando l'interpretazione che è maggiormente conforme alle finalità prescritte; l'esigenza di un’interpretazione conforme del diritto nazionale riguarda il sistema dei trattati in quanto permette ai giudici nazionali di assicurare nell'ambito delle rispettive competenze la piena efficacia del diritto dell'Unione quando risolvono le controversie a questi sottoposte. Questo in particolare vale quando la controversia sottoposta al giudice nazionale verte sulla applicazione di norme interne che sono state introdotte proprio al fine di recepire una direttiva volta a conferire diritti ai singoli in quanto si deve presumere che lo stato abbia l'intenzione di adempiere pienamente gli obblighi che derivano dalla direttiva in questione pertanto il giudice nazionale deve poter prendere in considerazione tutto il diritto nazionale al fine di valutare in quale misura possa essere applicato in modo tale da non addivenire a un risultato contrario a quello della direttiva C) Le decisioni - L'art. 288 comma 4 TFUE definisce la decisione come obbligatoria in tutti i suoi elementi; con il Trattato di Lisbona si è previsto che la decisione qualora designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi pertanto si evince come questa possa avere portata individuale oppure generale! si può constatare come la decisione sia lo strumento per mezzo del quale le istituzioni provvedono ad applicare al caso concreto le previsioni normative astratte contenute nei trattati o in altri atti dell'Unione, e ciò sia quando questa applicazione concreta debba aver luogo nei confronti di soggetti privati sia quando i suoi destinatari siano gli stessi stati membri. Si tratta di atto a portata individuale ma a differenza della direttiva la decisione non ha destinatari predeterminati, pertanto può indirizzarsi a tutte le categorie di soggetti del diritto dell'Unione e inoltre la decisione appare dotata dell’efficacia necessaria a raggiungere i suoi destinatari in quanto risulta direttamente applicabile negli ordinamenti giuridici nazionali al pari dei regolamenti; peraltro le decisioni indirizzate agli stati membri possono esplicare effetti diretti nell'ordinamento nazionale, infatti la Corte di giustizia lo ha affermato osservando il carattere obbligatorio dello strumento della decisione la quale si impone a tutti gli organi 45 dello stato destinatario e prevedendo che le giurisdizioni nazionali si astengano dall’applicare ogni disposizione interna la cui attuazione comporterebbe un ostacolo all'esecuzione di una decisione; la Corte di Giustizia ha poi precisato escludendo la possibilità di ricavare effetti diretti orizzontali dalle decisioni, in quanto queste sono vincolanti solo per gli stati che ne sono i destinatari e le loro norme non possono essere fatte valere nei confronti di un singolo. Sebbene sembrerebbe trattarsi di strumenti amministrativi, in realtà il contenuto della decisione ha natura normativa, sebbene nella prassi si sia fatto uso di decisioni costruite direttamente come atti generali e questo si è verificato tutte le volte in cui si trattava di assumere disposizioni non destinate ad esplicare efficacia negli ordinamenti degli stati membri in quanto essenzialmente rivolte alle stesse istituzioni dell'Unione o agli stati membri in quanto attori della vita istituzionale dell'Unione, oggi i trattati attuali dell'Unione qualificano la decisione come strumento normativo generale anche in una serie gli altri articoli che ne prevedono l'uso a questi fini, ad esempio viene stabilito che il Consiglio europeo agisca unicamente con decisione quando è previsto che assolve ai suoi compiti istituzionali con atto formale. Gli altri atti tipici dell’Unione e gli atti atipici - Il sistema giuridico dell'Unione conosce anche un'altra serie di atti che sono frutto della prassi delle istituzioni che sono accomunati dal fatto di non costituire in linea di principio fonti formali di norme! si tratta delle raccomandazioni e dei pareri, che l'art. 288 TFUE definisce come non vincolanti: • i pareri (di solito) sono lo strumento attraverso cui un'istituzione mira a far conoscere la propria valutazione su una determinata questione o su un determinato atto • le raccomandazioni sono utilizzate dal Consiglio o della Commissione per indirizzare agli stati membri o da altri soggetti norme di comportamento di carattere non vincolante Si tratta tuttavia di una distinzione approssimativa, infatti nella categoria dei pareri ce ne sono alcuni che in conseguenza della loro funzione all'interno di un determinato procedimento appaiono produttivi di effetti giuridici significativi, come ad esempio i pareri motivati previsti nel quadro delle procedure di infrazione; per quanto riguarda le raccomandazioni, la Corte di Giustizia ha ammesso in via generale che i giudici nazionali sono tenuti a prendere in considerazione le raccomandazioni ai fini della soluzione delle controversie loro sottoposte e in particolare quando queste sono di aiuto nell'interpretazione di norme nazionali adottate allo scopo di garantire la loro attuazione. Il Consiglio e la Commissione poi fanno spesso ricorso per far conoscere la loro posizione su una determinata questione anche ad ulteriori tipi di atti non espressamente menzionati nei Trattati: conclusioni o comunicazioni, con cui l'istituzione preannuncia le possibili linee di sviluppo di una successiva attività normativa dell'Unione oppure fissa la sua posizione rispetto a una questione particolarmente delicata o controversa di interpretazione del diritto dell'Unione; spesso si può osservare che le conclusioni del Consiglio sono adottate per consacrare un accordo politico tra i membri di questo. 46 Si deve osservare che il ricorso a delle conclusioni all'interno dell'iter legislativo può determinare uno sviamento della procedura nella misura in cui attraverso l'approvazione delle stesse per consensus si voglia vincolare politicamente i membri del Consiglio al contenuto finale di un atto per il quale i trattati invece prevedono l'adozione a maggioranza qualificata. Nel caso degli atti atipici della Commissione è stato ritenuto legittimo il dubbio che attraverso la veste innocua gli strumenti privi di portata normativa la Commissione finisca per porre a carico dei soggetti direttamente interessati obblighi ulteriori rispetto a quelli derivanti dai trattati o dagli atti da questi previsti o attribuirsi ulteriori poteri di intervento nei confronti di quegli stessi soggetti, la Corte di Giustizia ha confermato la legittimità di questi dubbi ammettendo la ricevibilità di un ricorso diretto contro delle istruzioni interne della Commissione volte a definire le competenze dei suoi agenti nei confronti dei terzi nel quadro dei controlli sul rispetto della regolamentazione dell'Unione sui finanziamenti nel settore agricolo; recentemente la Corte ha osservato con riguardo alle comunicazioni o agli orientamenti adottati dalla Commissione in materia di aiuti di stato che nell'esercizio del potere discrezionale che il trattato riconosce alla Commissione, la Commissione può autolimitarsi definendo e pubblicizzando in anticipo le regole di comportamento alla quale questa intende attenersi nei confronti degli Stati membri ma queste regole non possono creare obblighi autonomi in capo agli stati membri, i quali manterranno la facoltà di notificare progetti di aiuto di stato che non soddisfano i criteri previsti dalla comunicazione adottata dalla Commissione. Per quanto riguarda gli accordi interistituzionali, ai sensi dell'art. 295 TFUE il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione possono concludere, al fine di definire di comune accordo le modalità di una reciproca collaborazione in settori delle loro relazioni, accordi interistituzionali, questa categoria è più ampia rispetto a quanto risulta dalla disposizione, in quanto ad essa possono essere ricondotte una serie di atti che sono frutto non solo della volontà congiunta di 2 o più istituzioni in vista della disciplina di un determinato aspetto delle loro relazioni ma anche delle esternazioni di una comune posizione su una determinata questione di rilievo politico o su determinati principi generali: si tratta quindi di atti che impegnano giuridicamente le istituzioni che li concludono, tuttavia questa efficacia non deriva dall'art. 295 TFUE, che si limita a constatare che gli accordi interistituzionali possono assumere carattere vincolante: questa efficacia infatti è frutto dell'obbligo di cooperazione tra le istituzioni che si ricava dall'art. 4 paragrafo 3 TUE. Si deve comunque constatare che l'eventuale carattere vincolante di un accordo interistituzionale sussiste solo nei confronti delle istituzioni che lo hanno concluso; inoltre gli accordi interistituzionali devono rimanere nei limiti di quanto previsto dai Trattati, nel senso che questi possono integrare o specificare le disposizioni dei trattati ma non possono modificarle. CAPITOLO 4 – IL PROCESSO DECISIONALE I profili generali - Il processo che porta all'adozione di uno degli atti previsti dai Trattati di regola vede la partecipazione di più istituzioni organi e questa partecipazione avviene con diverse modalità, la combinazione tra questi diversi interventi introduce nel processo decisionale dell'Unione un numero di varianti: tuttavia il consiglio rimane l'elemento centrale in quanto tutti gli atti che devono essere malati vedono l'intervento di questo organo ma va osservato che al potere decisionale dell'istituzione intergovernativa di regola è bilanciato dalla partecipazione alla presa di decisione di istituzioni ed organi che sono espressione 47 giuridiche anche se hanno oggetto analogo dell'adozione di misure restrittive individuali. Il potere di iniziativa. In particolare il potere di proposta della Commissione - Il potere di iniziativa di regola spetta alla Commissione mentre per quanto riguarda il settore della PESC spetta invece all’Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza, il potere di iniziativa di cui la Commissione titolare non è in ogni caso esclusivo in quanto ai sensi dell'art. 17 paragrafo 2 TUE viene sottolineato che un atto legislativo dell'Unione può essere adottato solo su proposta della Commissione ma ciò avviene salvo che i trattati non dispongano diversamente e per quanto riguarda gli altri atti dell'Unione questi sono adottati su proposta della Commissione se i trattati lo prevedono. In relazione agli atti legislativi il potere di iniziativa della Commissione appare connaturato alla procedura legislativa che porta alla loro adozione tanto che se in una base giuridica che prevede il ricorso a tale procedura nulla è specificato riguardo all'autore della proposta, spetterà alla Commissione presentarla; l'art. 289 paragrafo 4 TFUE elenca i soggetti o le istituzioni da cui può venire l’iniziativa legislativa prevedendo che gli atti legislativi possono essere adottati su iniziativa di un gruppo di stati membri del Parlamento europeo, su raccomandazione della Banca centrale europea o su richiesta della Corte di Giustizia della Banca europea per gli investimenti!questa possibilità dipenderà dalla specifica designazione di uno di questi come titolare del potere di iniziativa legislativa all'interno dell'articolo dei trattati che fornirà alla base giuridica all'atto da adottare; nel caso degli atti non legislativi l'autore della proposta deve essere puntualmente indicato nella base giuridica dell'atto in quanto il silenzio di quest'ultima comporta che l'altro debba essere adottati su iniziativa della stessa istituzione competente ad adottarlo. In tutti i casi in cui il potere di presentare una proposta spetta solamente alla Commissione questo potere si identifica con una prerogativa assoluta che non può essere limitata o vincolata nel rispetto all'eventualità del suo esercizio nel rispetto al contenuto; ad esempio è previsto che il Parlamento europeo possa chiedere alla Commissione di presentare una proposta e lo stesso vale per il consiglio. Con riguardo ad alcune decisioni da prendere nel quadro dell'Unione economica e monetaria una richiesta alla Commissione può provenire anche da uno stato membro, in questi casi la Commissione non è tenuta a presentare la proposta ma solo a fornire all'autore della richiesta le motivazioni della sua eventuale decisione di non accoglierla. Con riguardo alla possibilità che la Commissione sia sollecitata a presentare una proposta di atto dell'Unione l'art. 11 paragrafo 4 TUE stabilisce che una richiesta in questo senso possa venire anche da un gruppo di cittadini dell'Unione rappresentativi di un numero significativo di stati membri, l'articolo in questione prevede che le procedure e le condizioni per la presentazione di questa iniziativa normativa popolare siano stabilite da un Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che è stato adottato nel 2011: oltre a fissare la soglia minima dei firmatari di un’iniziativa dei cittadini prevedendo 1 milione di cittadini degli stati membri, prevedendo la loro provenienza da almeno 1/4 degli stessi, il regolamento prevede un duplice filtro della Commissione che consiste in una prima verifica rispetto alla fondatezza giuridica dell'iniziativa e in una seconda valutazione che riguarda il merito dell'iniziativa, dalla quale può conseguire la decisione della Commissione di non dar corso all'iniziativa. Oltre ad essere condizione dell'avvio del procedimento, la proposta della Commissione non può essere modificata dal Consiglio se non all'unanimità, anche in questo caso la sua modificabilità non è illimitata, in quanto gli eventuali emendamenti devono comunque mantenere l'atto da adottare nell'ambito assistenziale definita dalla proposta iniziale della Commissione; la proposta invece può essere modificata dalla stessa Commissione fino a quando l'atto non viene adottato. Indipendentemente dal potere di modificare la proposta, la Corte di giustizia nel 2015 ha riconosciuto anche il potere di ritirare del tutto la proposta ponendo fine al processo decisionale, qualora ritenga che una modifica della stessa risulti snaturarne le finalità: si può constatare come la Commissione goda in senso simmetrico anche del potere di ritirare la proposta a garanzia ed in funzione dell'interesse generale individuato dalla proposta inizialmente presentata. Le singole procedure: 50 a) la procedura di consultazione - Va osservato che alcune delle procedure che compongono il quadro attuale non sono altro che innesti di ulteriori fasi di procedura sul nucleo originario della procedura di consultazione, con riguardo alla procedura di consultazione, una volta che la Commissione ha presentato la proposta spetta al Consiglio adottare l’atto, dopo avere avuto previamente il parere del Parlamento europeo; il parere che il parlamento è chiamato a formulare e indirizzare al Consiglio è obbligatorio ma non vincolante. Questo significa che il Consiglio può discostarsi dal parere reso ma è obbligato a richiederlo pena l’illegittimità dell’atto adottato; la particolarità però è quella per cui non è stabilito alcun termine preciso entro cui il parlamento deve disporre del tempo necessario per formulare questo, questo però non vuol dire che il parlamento può astenersi dal formulare il parere ed impedire così l’azione di un atto a lui non gradito, infatti al Corte di giustizia ha affermato che in caso di inerzia del parlamento si ha una violazione del principio di leale collaborazione tra le istituzioni. La necessità di garantire al parere un effetto utile rispetto alla delibera del Consiglio comporta inoltre l’obbligo di una nuova consultazione del parlamento ogni volta che l’atto adottato, considerato complessivamente, sia diverso quanto alla sua sostanza da quello su cui il parlamento sia stato già consultato, in questo caso la mancata riconsultazione è motivo di annullamento dell’atto. Nel quadro della procedura di consultazione il Consiglio può essere chiamato dai Trattati a votare sia all'unanimità sia a maggioranza qualificata. b) La procedura legislativa ordinaria - La procedura legislativa ordinaria ha preso il posto occupato dalla procedura di codecisione prevista nei precedenti trattati--> in particolare oltre a rimpiazzare la procedura di codecisione in tutti quei casi in cui in precedenza era previsto che si dovesse far ricorso a questa per l'adozione di un atto dell'Unione, la procedura legislativa ordinaria vede esteso il suo ambito di applicazione a una quarantina di ulteriori basi giuridiche per un numero che supera le 70. Inoltre ha sostituito la procedura di codecisione anche sotto il profilo qualitativo in quanto la nuova procedura riproduce l'impostazione di quella precedente salvo alcuni aggiustamenti, che si possano così esaminare: • in primo luogo ci sono stati aggiustamenti per quanto riguarda l'avvio della procedura! l’avvio della procedura di codecisione si basava su uno schema analogo a quello della procedura di consultazione, per cui si aveva una presentazione di una proposta da parte della Commissione, il parere reso dal Parlamento europeo e la pronuncia del Consiglio, che poteva portare sia all'adozione dell'atto in caso di condivisione del parere del Parlamento sia una posizione comune del consiglio su cui si innestava la seconda fase della procedura; invece con la procedura legislativa ordinaria il Parlamento non esprime un parere ma adotta anch'esso al pari del Consiglio una posizione in prima lettura, il primo passo in ogni caso spetta al Parlamento europeo che deve adottare la propria posizione in prima lettura e deve trasmetterla al Consiglio; se il Consiglio approva la posizione del Parlamento l'atto è adottato nella formulazione che corrisponde a questa posizione anche se si discosta dalla proposta della Commissione mentre invece nel caso in cui il Consiglio non concorda con la posizione del Parlamento inizia la seconda fase (cd seconda lettura) del procedimento, in questo caso il Parlamento ha 3 mesi di tempo per pronunciarsi e a seconda della sua valutazione della posizione in prima lettura del Consiglio possono verificarsi 3 diverse situazioni: 1. approvazione esplicita 2. approvazione implicita della posizione o bocciatura, hanno lo stesso esito di porre fine al procedimento in quanto nel primo caso l’atto si considera definitivamente adottato mentre nel secondo caso si considera definitivamente non adottato 3. ipotesi in cui il parlamento a maggioranza proponga emendamenti alla posizione del consiglio, sugli emendamenti la Commissione è chiamata a formulare un suo parere; a questo punto entro tre mesi il Consiglio può approvare a maggioranza qualificata tutti gli emendamenti proposti dal Parlamento e di conseguenza potrà adottare formalmente l'atto emendato oppure dovrà convocare entro 6 settimane di intesa con il Parlamento europeo un comitato di conciliazione composto dai membri del Consiglio e da altrettanti membri del Parlamento, il comitato di conciliazione ha il compito di trovare, sulla base delle posizioni espresse dal Parlamento e del Consiglio in seconda lettura ed entro un termine di 6 settimane un accordo su un progetto comune che possa dar luogo all'adozione dell'atto da parte del Consiglio dal 51 Parlamento nel quadro della terza lettura della procedura legislativa ordinaria: in caso di mancato accordo in sede di comitato di conciliazione l'atto si considera non adottato • in secondo luogo la procedura legislativa ordinaria si associa per sua natura alla votazione a maggioranza qualificata in seno al Consiglio, di conseguenza è ad essa di piena applicazione la previsione dell’art. 293 TFUE, secondo cui quando in virtù dei Trattati delibera su proposta dalla Commissione, il Consiglio può emendare la proposta solo deliberando all’unanimità: questo significa che laddove il consiglio intenda adottare una posizione in prima lettura che non corrisponda alla proposta iniziale della Commissione dovrà farlo all’unanimità. Proprio la circostanza che la procedura legislativa ordinaria si basa sulla votazione a maggioranza qualificata in seno al Consiglio ha comportato che la sua estensione ad alcuni settori sensibili decisa con il Trattato di Lisbona sia stata possibile solo alla condizione di associarvi in quei settori un meccanismo di freno di emergenza, in base a questo meccanismo quando un membro del Consiglio ritenga che l'atto che si stia adottando con procedura legislativa ordinaria in uno di quei settori incide su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico, il membro può investire della questione il Consiglio europeo e la procedura viene sospesa; se entro 4 mesi il Consiglio europeo trova un accordo al suo interno la questione viene riassunta dal Consiglio facendo riprendere il corso normale della procedura di adozione mentre invece nel caso in cui non venga raggiunto un accordo in sede di Consiglio europeo la procedura si interrompe definitivamente e l'atto si considera non adottato, questa eventualità si accompagna in 2 casi alla previsione che se almeno 9 stati membri intendono avviare tra loro una cooperazione rafforzata sulla base di quel progetto di atto l'iniziativa si considera automaticamente autorizzata • in terzo luogo in casi eccezionali specificamente previsti l'iniziativa di adottare un atto dell'Unione con procedura legislativa ordinaria può venire dagli stati membri, dalla Banca centrale europea o dalla Corte di giustizia, in questo il caso lo svolgimento della procedura non vede la partecipazione della Commissione secondo le modalità previste ma la Commissione può essere tuttavia coinvolta sia esprimendo un parere di sua iniziativa o su richiesta del Parlamento del Consiglio sia decidendo di partecipare al comitato di conciliazione In ogni caso la procedura legislativa ordinaria mette definitivamente sullo stesso piano Consiglio e Parlamento europeo nel processo di adozione degli atti dell'Unione nel senso che ci deve essere la volontà concorde di entrambe le istituzioni, tuttavia si pongono dei problemi con riguardo alla durata della procedura legislativa ordinaria in quanto è stato calcolato che la durata media della procedura è di circa 2 anni: per consentire lo svolgimento del processo decisionale in tempi più ragionevoli Parlamento, consiglio e Commissione hanno concluso un accordo interistituzionale che tende ad agevolare il funzionamento della procedura sotto questo aspetto prevedendo contatti frequenti tra le 3 istituzioni attraverso incontri informali tra la presidenza di turno del Consiglio, la Commissione e presidenti o relatori delle commissioni competenti del Parlamento europeo durante tutta la procedura e in particolare già a partire dalla prima lettura. c) La procedura di approvazione - La procedura di approvazione ha un ambito di applicazione equamente ripartito tra ipotesi di procedura legislativa speciale e decisioni del Consiglio di rilievo istituzionale, come ad esempio le nomine di componenti di istituzioni: per quanto riguarda i casi in cui si caratterizza come una procedura legislativa speciale la procedura di approvazione è preferibile alla procedura legislativa ordinaria in determinati settori di intervento dell'Unione in ragione del diverso ruolo che questa riconosce al Consiglio e al Parlamento europeo. Mentre questa procedura consente al Parlamento europeo di contribuire direttamente alla definizione del contenuto dell'atto, l'approvazione o meno del Parlamento interviene su di un atto già definito che è costituito dalla decisione che intende prendere il Consiglio, la mancata approvazione da parte del Parlamento comporterà adeguata considerazione delle posizioni di questo da parte del Consiglio in sede di elaborazione del lotto, anche se la decisione finale spetterà comunque solamente al Consiglio (infatti 52 Parlamento europeo e al Consiglio unicamente la possibilità di eccepire in qualsiasi momento l'eccesso di delega da parte di un progetto di atto di esecuzione che la Commissione si accinge ad adottare e in questo caso la Commissione ha solamente l'obbligo di riesaminare il progetto e di informare le due istituzioni se intende modificarlo, ritirarlo o mantenerlo. Ai pensi di questo regolamento un atto di base che prevede la necessità di condizioni uniformi di esecuzione di alcune sue disposizioni può decidere che la Commissione debba adottare i conseguenti atti di esecuzione applicando 2 delle procedure di Comitato previste dal regolamento: la prima procedura è la procedura consultiva, ai sensi della quale la Commissione è solamente obbligata a sottoporre il progetto di misura esecutiva all'esame di un comitato e di tenere in massima considerazione le opinioni emerse nel quadro di quell'esame o l'eventuale parere espresso a maggioranza semplice dal Comitato la seconda procedura è la procedura di esame e di applicazione alle sole ipotesi espressamente indicate nel regolamento comitologia, che riconosce una maggiore incisività all'intervento del Comitato nel senso che il Comitato è chiamato a pronunciare a maggioranza qualificata un parere che solo se è positivo consente l'immediata adozione dell'atto di esecuzione da parte della Commissione; invece nel caso di parere negativo l'atto non può essere adottato, mentre nel caso in cui il Comitato non formuli alcun parere la Commissione può adottarlo solo a condizione che esso non riguardi alcune materie sensibili o se l'atto di base non glielo vieta. Tuttavia di fronte a un parere negativo del Comitato la Commissione ha l'ulteriore possibilità di sottoporre al Comitato un nuovo progetto di atto entro 2 mesi dalla sua bocciatura o ripresentare lo stesso progetto a un comitato di appello e nel caso di parere positivo a maggioranza da parte del Comitato di appello l'atto di esecuzione può essere adottato; il regolamento prevede però in casi di particolare urgenza la possibilità di un'azione immediata dell'atto di esecuzione da parte della condizione salvo verifica a posteriori del Comitato d'appello. CAPITOLO 5 – IL DIRITTO DELL’UE E GLI ORDINAMENTI GIURIDICI NAZIONALI I rapporti tra diritto Ue e diritto degli stati membri in generale – l’ordinamento europeo e quello delle singole nazioni vivono in un rapporto di integrazione, che vede quello dell’Unione avvalersi dell’ordinamento degli stati membri per molti aspetti del suo funzionamento, con il risultato di una permanente situazione di interferenza e di potenziale conflitto tra le rispettive norme. Diritto dell’unione e diritto interno in Italia – la sentenza Granital parte dalla premessa che i due ordinamenti sono distinti e autonomi ma coordinati per il fatto di avere la legge di esecuzione del trattato trasferito agli organi comunitari, in conformità all’art.11 Cost., le competenze che questi esercitano beninteso nelle materie loro riservate. Ciò ha comportato che l’ordinamento nazionale si è aperto alla normazione europea lasciando che le regole in cui essa si concreta vigano nel territorio italiano, quali sono scaturite dagli organi competenti a produrle, senza entrare a far parte del diritto italiano o essere soggette al regime vigente per le leggi dello stato. LA TUTELA DEI DIRITTI 55 CAPITOLO 1 – CONSIDERAZIONI GENERALI Premessa - Le forme di tutela apprestate a livello di Ue sono ampie e molteplici, e nel complesso idonee a soddisfare le esigenze di un ordinamento improntato al principio di legalità. Si tratta di un sistema che nel tempo ha mantenuto una sostanziale continuità infatti se si esclude la previsione dell’istituzione del Tribunale di primo grado le altre revisioni hanno ignorato o comunque appena stirato la Corte; invece innovazioni più significative nella disciplina relativa alla corte sono state introdotte dal Trattato di Nizza, anche se la revisione di quella disciplina non figurasse all'ordine del giorno dell'apertura del negoziato. Il Trattato di Lisbona ha poi affinato il sistema dandogli un assetto più organico e compiuto. Cenni alla tutela non giudiziaria. In particolare il Mediatore europeo - Tra gli istituti di tutela non giudiziaria va segnalata la possibilità offerta ai cittadini Ue di rivolgere petizioni al Parlamento europeo e anche di provocare l'istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta secondo quanto disposto dall'art. 226 TFUE, ai sensi del quale la commissione di inchiesta può entro certi limiti esaminare le denunce di infrazione o di cattiva amministrazione nell'azione del diritto dell'Unione da parte delle istituzioni e degli stati membri; affini analoghi può essere utilizzato il ricorso al Mediatore europeo il quale è competente a esaminare siffatte denunce ma solo se indirizzate nei confronti delle istituzioni dell'Unione, questo non esclude del tutto la possibilità di iniziative nei confronti dei comportamenti abusivi delle autorità nazionali ma le riduce ad interventi indiretti e mediati, in particolare il mediatore riceve le denunce provenienti da qualunque soggetto abbia sede in uno stato membro e che riguardano casi di cattiva amministrazione non solo delle istituzioni ma di qualsiasi organo dell'Unione, fatta eccezione per gli organi giurisdizionali. Per quanto il ruolo del mediatore si sia accresciuto nella prassi e le istituzioni tendano a rispondere positivamente ai suoi rilievi in ogni caso assicura una tutela attenuata, in quanto laddove accerta un caso di cattiva amministrazione il mediatore può solo chiedere all'istituzione di dare entro 3 mesi un parere sulla denuncia e successivamente può inviare al Parlamento europeo e all'istituzione interessata una relazione corredata di raccomandazioni. Per quanto riguarda l'ambito di applicazione del potere di indagine del mediatore si tratta dei casi di cattiva amministrazione ma oggi il mediatore può contare anche sul codice europeo di buona condotta amministrativa, che è applicabile a tutte le amministrazioni e funzionari ed agenti dell'Unione codice che è stato approvato con lo scopo di dare concretezza ai principi sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali. Tra gli strumenti giurisdizionali va rilevato che qualsiasi cittadino dell'Unione o anche persona fisica o giuridica che risiede in uno stato membro può presentare una petizione al Parlamento europeo su una determinata materia che rientra nel campo di attività dell'Unione e che lo concerne direttamente. Inoltre è prevista la possibilità per i privati di indirizzare un reclamo alla Commissione per denunciare le violazioni del diritto dell'Unione commesse da autorità nazionali in modo da far partire una procedura di infrazione nei confronti dello stato inadempiente. La tutela giudiziaria. L’istituzione di un organo giudiziario ad hoc - fin dalle origini la Comunità Europea hanno potuto contare su un autonomo apparato in grado di assicurare l'esercizio della funzione giurisdizionale nell'ambito dello specifico ordinamento e di farlo nelle forme e con la pienezza dei poteri tipici di tale funzione nei confronti sia delle istituzioni comunitarie sia degli stati membri sia dei singoli cittadini, questo spiega la posizione di primo piano che la Corte occupa all'interno del sistema e l'importanza che la sua azione ha rivestito e riveste tuttora ai fini dello sviluppo del sistema; va rilevato che per la prima volta in un ente internazionale è stato assicurato l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte di un organo ad hoc che afferma la propria competenza obbligatoria sulle questioni rilevanti per la vita dell'ente medesimo e che rappresenta tutte le caratteristiche di struttura e di funzionamento di un vero e proprio organo giurisdizionale, infatti gli stessi trattati affermano che la Corte di Giustizia assicura il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione delle loro norme. Inoltre si deve constatare che nell'ambito dell'Unione tutte le condizioni volte a rendere necessaria una finzione e la stabile presenza di un organo deputato esercitarla sono presenti, in particolare il nesso che lega l'attività delle istituzioni dell'Unione a quella degli stati membri nei loro rapporti reciproci ha fatto in modo che alla stessa Corte fosse affidato il controllo del rispetto da parte degli stati degli obblighi che 56 sul loro incombono ma questo controllo appariva essenziale anche nei confronti delle istituzioni come garanzia per gli stessi stati membri in relazione al corretto esercizio dei poteri attribuiti a quelle istituzioni. Per tutte queste ragioni doveva essere creato un giudice che operasse esclusivamente per l'Unione assicurando la unicità della funzione giurisdizionale in seno alla stessa e questo è stato possibile attribuendo alla Corte di Giustizia un ambito di azione molto ampio a cui corrisponde una limitazione della giurisdizione dei tribunali internazionali e interni su materie a questi tradizionalmente riservati, in particolare il monopolio della Corte viene garantito attraverso l'imposizione agli stati membri dell'obbligo di non risolvere al di fuori del sistema delle controversie eventualmente insorte tra loro in ordine all'interpretazione e all'applicazione dei trattati. Segue: il ruolo svolto dalla Corte per il rafforzamento del sistema e delle sue garanzie. La tutela dei diritti fondamentali - La Corte di Giustizia ha svolto un ruolo importante per lo sviluppo dell'integrazione europea ed è stata in particolare determinante nel prevedere le caratteristiche del sistema giuridico dell'Unione, infatti è proprio sulla configurazione complessiva del sistema dell'Ue che la Corte di Giustizia ha inciso in modo profondo facendo del diritto un fattore decisivo e costruttivo dell'impianto europeo: pertanto si può dire che il ruolo svolto dalla Corte non è meramente giurisdizionale ma anche carattere strutturale in quanto ha influito sullo stesso modo di essere dell'ordinamento dell'Unione, questo è avvenuto in varie forme e direzioni: • in primo luogo il suo contributo al processo di integrazione si è espresso con riguardo alla ricostruzione del sistema giuridico dell'Unione come ordinamento giuridico omogeneo e tendenzialmente compiuto in quanto la stessa Corte ha dato a questo organicità, coerenza e sistematicità, rilevandone i principi qualificanti e definendone in modo autonomo le nozioni nonché caratterizzando lo rispetto ad altri ordini giuridici • in secondo luogo ha contribuito con riguardo al profilo che riguarda il riparto di competenze tra l'Unione e gli stati membri, questo riparto è stato salvaguardato dalla Corte ma anche interpretato in una prospettiva dinamica, ossia orientata nel senso dello sviluppo del sistema e delle competenze dell'Unione; inoltre ha contribuito con riguardo alla salvaguardia del riparto di competenze interne all'Unione che ha permesso a ciascuna istituzione di far fare delle proprie prerogative ma anche di recuperare ruolo e responsabilità più conformi alla missione loro conferita dai trattati • in terzo luogo ha contribuito alla tutela dei diritti fondamentali, che sono stati elevati dalla Corte alla livello di principi generali dell'ordinamento giuridico dell'Unione, a partire dal Trattato di Maastricht e dall'attuale art. 6 TUE i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri fanno parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali. Con particolare riguardo alla tutela dei diritti fondamentali la Corte ha dato al principio della protezione giudiziaria concreta applicazione soprattutto al fine di garantire le situazioni giuridiche individuali fondate sul diritto dell'Unione e in particolare dei diritti dei cittadini dell'Unione stessa, questa tutela è stata garantita nei confronti delle istituzioni dell'Unione attraverso il riconoscimento del diritto dei privati di ricorrere contro ogni atto produttivo di effetti giuridici nei loro confronti ed inoltre è stata garantita ai privati anche nei confronti degli stati membri, perciò i privati possono invocare i diritti fondati su quell'enorme anche direttamente nei giudizi interni e in questo modo si può evincere come la Corte è riuscita a sviluppare con i giudici nazionali una notevole collaborazione. CAPITOLO 2 – ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA E DELL’UE Origini e sviluppi - La prima previsione di un organo giurisdizionale nel quadro comunitario risale al Trattato istitutivo della CECA del 1951; i successivi Trattati di Roma hanno contemplato la creazione di una Corte di giustizia cui attribuivano ampie competenze (tuttavia queste corti non sono mai venute ad esistenza); con la Convenzione relativa a talune istituzioni comuni alle Comunità europee è stata istituita una Corte di Giustizia unica, dotata delle competenze attribuite alle diverse Corti previste nei Trattati, andando a sostituire anche la Corte CECA. L'unicità è solo strutturale ma non si estende alle 57 scelti tra persone che offrono tutte le garanzie di indipendenza e possiedono la capacità per l'esercizio di funzioni giurisdizionali. I loro provvedimenti possono essere oggetto di impugnazione per soli motivi di diritto o, qualora la decisione sull'istituzione del tribunale specializzato lo preveda, anche per motivi di fatto, davanti al tribunale; le decisioni del Tribunale possono essere in via eccezionale oggetto di riesame davanti alla Corte laddove sussistano gravi rischi che l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione vengano compromesse. Oggi l'unico tribunale specializzato istituito è stato il TSP che è composto da 7 giudici nominati per 6 anni all'unanimità del Consiglio che in primo grado era competente a giudicare sulle controversie tra l'Unione e i suoi agenti, ma a partire dal 2016 è stato soppresso. La procedura - La procedura davanti alla Corte dal tribunale si svolge secondo regole comuni, eccezion fatta per le peculiarità legate alla specifica natura della rispettiva contenzioso, la procedura (della Corte) è la seguente: - normalmente la procedura si articola in una fase scritta e in una fase orale; ove sia necessaria una fase istruttoria la corte o il giudice relatore possono disporre l'esperimento di misure di organizzazione della procedura come ad esempio la produzione di documenti o domande di chiarimenti ovvero di mezzi istruttori quali perizie oppure assunzione di prove testimoniali. Per quanto riguarda la fase orale questa è simile in tutti i tipi di ricorso e si tratta di una fase eventuale ed aperta, che si ha d'ufficio o su istanza di parte solo qualora la corte non si ritenga sufficientemente edotta sulla base delle memorie scritte. In una successiva udienza vengono presentate le conclusioni dell'avvocato generale, la cui lettura segna la conclusione della fase orale e il passaggio alla fase di deliberazione - regole procedurali specifiche sono previste per il rinvio pregiudiziale, l'atto che introduce il rinvio pregiudiziale è costituito dalla domanda del giudice nazionale che deve rispondere a precisi requisiti di chiarezza e completezza di informazioni, pena la sua irricevibilità; la domanda di rinvio viene notificata a tutti i soggetti legittimati a depositare entro 2 mesi le proprie osservazioni, ossia le parti del giudizio a quo, gli stati membri, la Commissione nonché altre istituzioni. I passaggi della procedura in questione possono essere in alcuni casi ridotti: ✓ in primo luogo può esserci una riduzione quando la natura della causa richiede un suo rapido trattamento e in questo caso la Corte in via eccezionale può accordare un procedimento accelerato che comporta una contrazione dei tempi e dei passaggi processuali ✓ in secondo luogo può essere prevista la procedura pregiudiziale di urgenza che è stata istituita per i rinvii nel settore dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia al fine di tener conto del crescente coinvolgimento della Corte in materia e delle speciali esigenze da questa sollevate - nei procedimenti che hanno ad oggetto ricorsi diretti l'atto introduttivo e il ricorso depositato dal ricorrente presso la cancelleria della Corte entro i termini prefissati per i vari casi dai testi; il ricorso viene notificato a cura della cancelleria al convenuto e costui ha 2 mesi di tempo per presentare un controricorso al quale l'attore può essere autorizzato a rispondere con una replica, alla quale a sua volta il convenuto avrà il diritto di contro replicare. In questa è consentito ai terzi intervenire nella causa ma con delle diversità: ✓ gli stati membri e le istituzioni hanno il diritto di intervenire in tutte le cause ✓ gli organi ed organismi dell’Ue possono invece farlo solo se dimostrano di avere interesse alla soluzione della controversia, lo stesso vale anche per i soggetti privati, che comunque non possono mai intervenire nelle cause instaurate tra stati membri o tra istituzioni o tra gli uni e le altre Questi ricorsi non hanno effetto sospensivo ma le parti possono chiedere provvedimenti provvisori che consistono nella sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato o in qualsiasi altra misura cautelare eventualmente necessaria - conclusa la fase orale ed eventualmente ascoltate le conclusioni dell'avvocato generale la causa passa in camera di consiglio per la decisione salvo che non ci sia stata una transazione tra le parti o una rinuncia agli atti o il ritiro di una domanda pregiudiziale. La decisione finale assume la forma della sentenza o ordinanza, le sentenze della Corte vengono lette in pubblica udienza e hanno forza obbligatoria dal giorno della pronuncia; qualora comportino un obbligo pecuniario 60 possono anche costituire titolo esecutivo e inoltre la Corte in determinate circostanze può limitarne gli effetti nel tempo; le sentenze dispongono anche sulle spese processuali che normalmente sono poste a carico della parte soccombente e in casi specificamente indicati è possibile ammettere una parte al gratuito patrocinio; nel caso di procedimento pregiudiziale questo costituisce un incidente di procedura nell'ambito del giudizio nazionale spetta al giudice nazionale decidere sulle spese. Trattandosi di organo giurisdizionale di ultima istanza le sentenze della Corte non sono soggette ad impugnazione se non con mezzi straordinari quali l'opposizione in caso di sentenza adottata in contumacia del convenuto oppure l'opposizione di terzo o la revocazione a seguito della scoperta di un fatto nuovo essenziale ai fini della decisione della causa; inoltre alla Corte può essere richiesto di interpretare la sentenza entro due anni dalla sua pronuncia in caso di difficoltà sulla portata della stessa. - viene dettata una disciplina specifica dal regolamento di procedura per quanto riguarda l'impugnazione delle sentenze del Tribunale davanti alla Corte, l'impugnazione è consentita alle parti principali o intervenute nel termine di 2 mesi a decorrere dalla data di notifica della decisione impugnata e l'impugnazione può essere fatta per soli motivi di diritto, pertanto la Corte non potrà riesaminare la valutazione dei fatti operata dal tribunale salvo che non si imputi al tribunale uno snaturamento degli elementi di prova. Trattandosi di giudizio di legittimità le parti non possono sollevare nuovi motivi e non possono riproporre le questioni già decise dal tribunale e non per denunciarne presunti errori di diritto nella relativa valutazione. L’accoglimento del gravame comporta l'annullamento del provvedimento di primo grado e in questo caso la Corte può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta o può rinviare la causa al Tribunale, che sarà vincolato nei punti di diritto contenuti nella pronuncia della Corte - nel caso in cui la Corte sia investita di un ricorso contro sentenza emessa dal tribunale in sede di impugnazione di decisioni dei tribunali specializzati o in serie di procedimenti pregiudiziali la Corte procede al solo riesame del provvedimento impugnato, l'art. 62 Statuto ha previsto che il primo avvocato generale quando ritiene che esista un grave rischio per l'unità o la coerenza del diritto dell'Unione può proporre alla corte di riesaminare la decisione del tribunale; la proposta deve essere presentata entro 1 mese a decorrere dalla pronuncia della decisione del tribunale e la Corte decide entro 1 mese a decorrere dalla proposta che le è stata presentata dal primo avvocato generale. La procedura di riesame comporta un controllo diverso è più limitata dei normali mezzi di impugnazione infatti ha un carattere eccezionale poiché il riesame è destinato unicamente ad assicurare che la decisione impugnata non pregiudichi l'unità e la coerenza del diritto dell'Unione Le competenze: quadro generale - Alla Corte di giustizia i trattati attribuiscono una vasta gamma di competenze: • in primo luogo le competenze si affermano su materie e su piani diversi tra loro e questo comporta estrema eterogeneità delle loro manifestazione, il che conferma l'originalità della Corte sotto il profilo giurisdizionale • in secondo luogo la portata e la natura di quelle competenze hanno subito evoluzioni nel tempo, ad esempio si può ricordare che era diversa la definizione delle attribuzioni della Corte in relazione all'articolazione i pilastri che ha caratterizzato l'Unione a partire dal Trattato di Maastricht! il primo pilastro ossia quello comunitario, il secondo pilastro ossia quello della politica estera e di sicurezza comune nonché il terzo pilastro relativo alla cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale: solo con riguardo al primo pilastro la giurisdizione della Corte si esercitava in modo pieno mentre con riguardo agli altri 2 in ragione della natura delle materie la giurisdizione era assente nel secondo pilastro o comunque fortemente limitata per quanto riguarda il terzo. Con il Trattato di Lisbona e la soppressione dei pilastri la giurisdizione della Corte in linea di principio si è estesa tutte le materie che rientrano nella competenza dell'Unione anche se tuttavia sono previste delle limitazioni, in particolare il TFUE ha espressamente escluso la competenza della Corte per quanto riguarda il settore della PESC mentre per quanto riguarda il vecchio terzo pilastro le limitazioni sono state notevolmente ridotte; in ogni caso ai 61 sensi dell'art. 40 TUE spetta alla Corte vigilare sul rispetto di questo articolo che definisce i criteri per la delimitazione dei confini tra il settore della PESC e gli altri settori di competenza dell'Unione. Inoltre concorrono a caratterizzare la diversità delle attribuzioni della Corte altri aspetti quali la loro natura (che normalmente ha carattere giurisdizionale) o il fondamento della relativa competenza, che di regola ha carattere obbligatorio Le competenze della Corte possono essere così riassunte: ❖ In primo luogo le competenze della Corte hanno natura giurisdizionale, anche se in alcuni casi la Corte può essere chiamata a svolgere anche funzione consultiva: ✓ Con riguardo alle competenze giurisdizionali queste di regola sono di tipo contenzioso, ma in UN caso la Corte si trova ad esercitare anche una competenza non contenziosa, ossia è il caso della competenza pregiudiziale. Le ipotesi che rientrano nella giurisdizione a carattere contenzioso possono essere accorpate in una serie di gruppi, sulla base di criteri sistematici elaborati dalla dottrina si possono distinguere le seguenti attribuzioni della Corte: 1. in primo luogo la giurisdizione sulle questioni che oppongono l’Ue ai suoi stati membri o tra gli stati membri in ordine all’interpretazione e all’applicazione dei trattati 2. in secondo luogo la giurisdizione sui comportamenti delle istituzioni dell’Ue, questa giurisdizione concerne i vari casi in cui la Corte esercita il suo sindacato su questi comportamenti, controllando la legittimità sia degli atti delle istituzioni sia dei comportamenti omissivi delle stesse nonché anche la liceità degli uni e degli altri al fine di accertare l’eventuale responsabilità extracontrattuale dell’Ue in merito ai danni provocati dai suoi organi nell’esercizio delle loro funzioni. CAPITOLO 3 – I GIUDIZI SUI COMPORTAMENTI DEGLI STATI MEMBRI Premessa - Tra le indicate ipotesi di competenza, quella che attiene al controllo sui comportamenti degli stati membri assume rilevanza particolare, poiché si presta a mettere in causa il comportamento degli enti che, oltre ad aver dato vita alle organizzazioni europee, restano i principali garanti della loro effettiva funzionalità. I trattati pertanto si sono preoccupati di predisporre appositi meccanismi per perseguire questa finalità attraverso procedure interne allo stesso sistema; allo stesso tempo al fine di conseguire il medesimo risultato anche rispetto ad eventuali controversie insorte direttamente tra stati membri sul rispetto di quegli obblighi, i Trattati hanno imposto agli stessi stati l'obbligo di risolvere tali controversie. I ricorsi della Commissione nei casi di infrazioni del stati membri - Fra le ipotesi accennate quella di maggior rilievo riguarda le azioni promosse dalla Commissione europea contro gli stati membri per inadempimento degli obblighi derivanti dal diritto Ue! questa procedura è attivata soprattutto grazie all'esecutivo, cui spetta la funzione di controllo sul rispetto dei Trattati, e che può riceve le sollecitazioni da parte dei soggetti privati interessati; più rari i casi in cui l'iniziativa è assunta dagli stessi stati membri. Oggetto delle procedure in esame è l'accertamento della sussistenza di un inadempimento da parte degli stati membri degli obblighi derivanti dal diritto Ue; questi obblighi sono quelli enunciati dai Trattati istitutivi nonché dagli atti vincolanti adottati dalle istituzioni e dagli accordi internazionali da queste stipulati, nonché il rispetto dei diritti fondamenti proclamati dalla Carta di Nizza e dalla Cedu. Inoltre è fonte di responsabilità anche l’eventuale violazione dell’obbligo generale di favorire la realizzazione dei compiti della stessa Unione e l’’adozione di comportamenti contrastanti con detto principio, che la Corte di giustizia ricava dal principio di leale collaborazione. La responsabilità per l’inadempimento incombe allo stato nella sua unità e complessità, come può concretizzarsi l’inadempimento? ➢ In primo luogo l’inadempimento può concretizzarsi sia in un’azione sia in un’omissione, per quanto riguarda le omissioni in particolare si tratta dei casi che concernono la mancata trasposizione delle direttive comunitarie o anche l’omessa comunicazione alla Commissione delle misure adottate ai fini della trasposizione. La responsabilità che incombe sullo stato ha carattere assoluto ed oggettivo, infatti non rilevano l'eventuale insussistenza di una colpa dello stato agente e nemmeno la natura o la gravità dell'inadempimento; lo stato può sottrarsi a siffatta responsabilità solo in caso di difficoltà 62 ricorrere nuovamente alla corte ma per chiederle di imporre a carico dello stato inadempiente una somma forfettaria e/o una penalità di cui la stessa Commissione propone l'importo in funzione delle circostanze. Le richieste della Commissione non vincolano il giudice dell'Unione ma costituiscono una base di riferimento; la Corte non ha bocciato il sistema di calcolo che la Commissione ha pubblicamente annunciato in apposite comunicazioni di voler seguire per quantificare le sanzioni, infatti secondo questo sistema l'importo della misura da richiedere a carico dello stato deve essere calcolato in funzione di 3 criteri fondamentali: 1. gravità dell’infrazione 2. durata dell’infrazione 3. necessità di dare alla sanzione un effetto dissuasivo al fine di prevenire condotte recidive Il Trattato di Lisbona detta una disciplina per le ipotesi in cui l'inadempimento riguarda la mancata comunicazione dei provvedimenti nazionali di trasposizione di una direttiva adottata secondo la procedura legislativa!in questo caso la Commissione può chiedere l'imposizione di queste misure già nel primo ricorso alla Corte e nel caso in cui la Corte accolga il ricorso deve mantenersi nei limiti delle richieste formulate dalla Commissione per quanto riguarda l'importo della sanzione. Nel caso in cui nel corso dell'esecuzione della seconda pronuncia di condanna sorgano divergenze tra la Commissione e lo stato interessato in ordine all'effettiva esecuzione della sentenza sia per quanto riguarda il profilo dell'avvenuto adempimento da parte dello stato sia per quanto riguarda l'esatto pagamento delle sanzioni, la Commissione non può adottare una decisione per imporre allo stato l'esecuzione della sentenza nei termini da questa ritenuti corretti ma deve promuovere un nuovo ricorso alla Corte, ossia se le divergenze vertono su misure statali che non sono state ancora esaminate dalla Corte attivando una nuova procedura ex art. 258 TFUE. I ricorsi di inadempimento promossi da uno stato membro - Lo stato che intende denunciare l'infrazione di un altro stato membro di regola prima di poter ricorrere alla Corte deve rivolgersi alla Commissione, al fine di permettere a quest'ultima di esprimere i necessari tentativi affinché il conflitto tra gli stati venga chiarito e si risolva senza l'intervento della Corte, a questo riguardo il carattere istituzionale delle procedure e testimoniato dalla particolare posizione degli stati membri nell'ambito delle stesse, in quanto per l’avvio di queste procedure non occorre che lo stato agente abbia subito una lesione del proprio interesse materiale in quanto la legittimazione attiva gli deriva automaticamente dalla sua posizione di stato membro. La procedura viene avviata da una domanda dello stato che presenta denuncia alla Commissione e per quanto riguarda la denuncia questa deve espressamente indicare di voler dare inizio alla procedura di infrazione indicando i motivi su cui si basano le proprie contestazioni; quando riceve la denuncia la Commissione deve darne comunicazione allo stato chiamato in causa ed istituire un contraddittorio tra gli stati in modo che entrambi siano messi in grado di presentare le osservazioni scritte e orali!al termine del contraddittorio la Commissione emette un parere motivato con cui esprime il proprio giudizio sulla domanda che le è stata rivolta dallo stato e il parere deve anche contenere l'illustrazione dei fatti e l'esposizione delle questioni di diritto che vengono in rilievo. Il giudizio della Commissione potrà essere: - interlocutorio, qualora la Commissione non ritenga sufficientemente provata e le affermazioni dello stato che ha presentato la domanda o non è in grado di assumere un atteggiamento definitivo in alcun senso - favorevole alla tesi dello stato accusato - favorevole alla tesi dello stato accusatore Nei primi 2 casi allo stato denunciante non è preclusa in linea di principio il ricorso alla Corte laddove questo non concordate sul giudizio della Commissione, questo in ragione della natura non vincolante del parere; nel caso in cui la Commissione analogo a quello previsto nelle procedure che vengono attivate dalla Commissione stessa, pertanto si contesterà l'illecito dello stato chiamato in causa e lo si inviterà a prendere gli opportuni provvedimenti entro un certo lasso temporale e l'altro stato potrà ricorrere alla Corte laddove sia inutilmente decorso tale termine e questo ricorso può altresì essere presentato dalla Commissione. Qualora siano decorsi 3 mesi dalla denuncia e la Commissione non emetta il parere lo stato che l'ha sollecitata può adire la Corte. 65 CAPITOLO 4 – IL CONTROLLO SUI COMPORTAMENTI DELLE ISTITUZIONI DELL’UE Introduzione - La Corte esercita un controllo giurisdizionale sui comportamenti degli organi dell'Unione Europea e si tratta di un controllo ampio che è esteso quasi a tutte le manifestazioni che assume l'attività di governo dell'Unione. Fin dall'avvio del processo di integrazione europea la competenza in questione è stata affermata anche nella prassi come strumento importante non solo di tutela dei diritti individuali ma anche di sviluppo dell'intero sistema giuridico dell'Unione, infatti costituisce all'interno di questo sistema una delle garanzie essenziali dell' equilibrio di potere idealizzata dai trattati tra i diversi attori in questo operanti e al contempo nella sua proiezione esterna rappresenta uno strumento efficace per la tutela giurisdizionale dei soggetti lesi dall'azione degli organi dell'Unione. I RICORSI DI ANNULLAMENTO Premessa - Trova rilievo l'art. 263 TFUE, che costituisce la disposizione centrale della materia ed è oggetto di ampia elaborazione dottrinale e giurisprudenziale; questa disposizione attribuisce agli stati membri e alle istituzioni dell'Unione e ai soggetti privati il diritto di ricorrere alla corte per motivi di legittimità contro gli atti delle istituzioni medesime al fine di chiederne l’annullamento. La legittimazione passiva - Oggetto del giudizio sono i comportamenti delle istituzioni, in quanto solo queste ultime possono essere convenute davanti al giudice dell'Unione, si deve osservare che sul fronte delle istituzioni la disciplina dei trattati ha stabilito un’evoluzione: mentre in passato la legittimazione passiva era limitata al Consiglio e alla Commissione oggi la legittimazione passiva è stata ampliata sia per quanto riguarda l'evoluzione che ha subito l'articolazione dei poteri all'interno dell'Unione sia per gli indirizzi giurisprudenziali volti ad assicurare la più ampia tutela giurisdizionale dei soggetti a fronte dell'azione comunitaria. Per questi motivi sono stati sottoposti al controllo della Corte anche gli atti emanati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio con la procedura legislativa e quelli autonomamente adottati dal Consiglio, dalla commissione o dalla Banca centrale europea, nonché gli atti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi. Gli atti impugnabili - Con riguardo all'individuazione degli atti impugnabili si pongono dei problemi, alcune indicazioni di stampo negativo provengono dall’art. 263 comma 1 TFUE che prevede che sono impugnabili gli atti legislativi nonché gli atti di alcune istituzioni che non siano raccomandazioni e pareri e quando esclude gli atti delle stesse e degli organi dell'Unione che non siano destinati a produrre effetti giuridici nei confronti dei terzi; il discorso muta quando si deve ricostruire in modo più preciso rigoroso la nozione di atto impugnabile e questo in ragione della particolare disciplina predisposta dai trattati in ordine alle modalità e agli strumenti per l'esercizio delle competenze dell'Unione. I Trattati impongono alle istituzioni di perseguire la realizzazione degli obiettivi statutari adottando atti tipici espressamente indicati da norme apposite e dalle stesse sommariamente definiti nelle loro caratteristiche essenziali, ossia regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri, pertanto al controllo della Corte vengono sottoposti solo gli atti che rientrano in queste tipologie anche se con implicazioni processuali diverse che si tratti dell'una o dell'altra; inoltre si deve osservare che poiché i trattati evitano di fissare con precisione le caratteristiche formali e sostanziali dei singoli tipi di atti e inoltre non sempre precisano quali di questi atti debba essere utilizzato all'occorrenza, non è sempre facile ricondurre a un determinato provvedimento a una di quelle tipologie di atti. Inoltre si pone il problema di accertare se quello che la corte si trova di fronte costituisca o meno un atto impugnabile. Con riguardo a questi problemi è intervenuta la giurisprudenza della Corte di giustizia che ha previsto alcuni chiarimenti, in primo luogo la Corte ha precisato che ai fini del controllo giurisdizionale non rileva la forma con cui l'atto delle istituzioni si presenta esternamente e non rileva la denominazione ufficiale che si attribuisce in quanto ciò che interessa sono unicamente il contenuto dell'atto e i suoi effetti, ossia la sussistenza di determinati requisiti sostanziali che consentono di qualificare l'atto come impugnabile e di ricondurlo a una delle tipologie previste: complesso è stato individuare i requisiti 66 idonei a qualificare un comportamento di un'istituzione come atto impugnabile! a riguardo è intervenuta la Corte ritenendo che sono impugnabili gli atti definitivi emanati dalle istituzioni nell'esercizio del loro potere di imperio e produttivi di effetti obbligatori nei confronti dei terzi. Con riguardo ai requisiti specifici va precisato che l'atto deve presentarsi come un atto del Collegio destinato a produrre effetti giuridici, che rappresenti lo stadio finale del procedimento interno all'istituzione e mediante il quale l'istituzione statuisce definitivamente, in forma che consenta di identificarne la natura. Inoltre il comportamento dell'istituzione deve tradursi in un atto giuridico che sia espressione del potere di imperio dell'organo, ossia deve essere un atto autorizzativo capace di produrre unilateralmente effetti obbligatori nella sfera dei suoi destinatari innovando rispetto alle posizioni giuridiche preesistenti, un provvedimento che si limitasse a confermare o dare esecuzione a un atto precedente non potrebbe essere suscettibile di ricorso salvo che non sia intervenuto un fatto nuovo che abbia modificato la situazione presupposta dall'atto precedente; per meglio precisare questa definizione la Corte ha anche chiarito che un atto è impugnabile quando con questo l'istituzione prenda comunque una posizione definitiva rispetto a una determinata questione purché nel caso si tratti di effetti futuri sia inequivocabile l'atteggiamento che l'istituzione prenderà al momento stabilito. I vizi degli atti. In generale - Gli atti dell'Unione devono essere conformi alle norme contenute nei trattati o negli atti di applicazione degli stessi, pertanto la violazione di queste norme comporta l'invalidità del provvedimento e la possibilità di far funzionare i rimedi a ciò predisposti, tra questi rimedi particolarmente importante è quello dell'annullamento dell'atto in via giudiziaria che si presenta come la soluzione più radicale all'eventuale esercizio illegale delle proprie funzioni da parte delle istituzioni dell'Unione: l'annullabilità opera in presenza di vizi che inficiano la validità degli atti ed è espressamente prevista dai Trattati, anche se si ritiene che all'interno del sistema dell'Unione trovi applicazione anche la teoria della nullità assoluta degli atti delle istituzioni laddove questi risultino inficiato da vizi tanto gravi da travolgere nella stessa esistenza giuridica. Il Trattato elenca quali cause di invalidità dell'atto 4 vizi, che possono costituire motivi di ricorso da parte dei soggetti interessati, i vizi sono i seguenti: • incompetenza • violazione di norme essenziali • violazione del Trattato • sviamento di potere La prassi della Corte ha privilegiato una valutazione dei vari visti alla luce dei caratteri propri del sistema dell'Unione, limitandosi a un richiamo a solo indiretto ed implicito ai diritti nazionali ed evitando ogni tentativo di selezione tra gli stessi. I singoli vizi - Si tratta dei seguenti vizi: • per quanto concerne l'incompetenza questo vizio ricorre quando un atto eccede i poteri conferiti all'autorità che lo ha posto in essere; nell'ambito dell'Unione questo può tradursi nel l'invasione delle attribuzioni di un'altra istituzione o nella fuoriuscita dalle competenze dell'Unione. Anche nel sistema dell'Unione l’incompetenza costituisce un vizio grave che è rilevabile d'ufficio in quanto motivo di ordine pubblico ed è invocabile in qualsiasi momento del procedimento • per quanto concerne la violazione di forme sostanziali questo vizio solleva difficoltà in quanto sebbene in questo ricadano i vizi degli atti che investono le forme sostanziali, si cercherebbe nei testi una definizione di questa nozione, va osservato che gli stessi testi prescrivono talvolta alcuni requisiti di forma necessaria alla valida emanazione dell'atto, ma si tratta di previsioni isolati che non eliminano ogni dubbio in ordine all'essenzialità dei requisiti che prescrivono; ne consegue che la qualificazione come sostanziali delle prescrizioni formali previste dai trattati va operata con cautela e in termini restrittivi tenuto conto dell'orientamento antiformalistico del sistema, anche se comunque le previsioni normative che vengono in rilievo in materia attengono da un lato alla procedura di formazione degli atti e dall'altro lato e requisiti intrinseci dagli atti stessi: - le prime concernono quei casi in cui è imposta dai Trattati la consultazione di persone fisiche o giuridiche, degli stati o di altri organi dell’Unione ai fini dell’emanazione di un provvedimento; in particolare per i casi di partecipazione di più istituzioni alla formazione dell’atto, l’atto non può 67 giudici dell'Unione ed è stata risolta ritenendo che nell'ambito degli atti dell'Unione che possono formare oggetto di controllo di legittimità l'art. 263 comma 1 TFUE menziona separatamente gli atti legislativi e gli atti oggetto di quel controllo e a sua volta il comma 4 delinea gli atti regolamentari come una categoria più ristretta rispetto a quella degli atti a portata generale, pertanto se ne deduce che la nozione di atto regolamentare deve essere interpretata nel senso che include qualsiasi atto di portata generale fatta eccezione per gli atti legislativi. In conclusione si può evincere che per valutare la ricevibilità di un ricorso di una persona fisica e giuridica contro un atto dell'Unione che non sia stata adottata nei suoi confronti la Corte deve accertare se si è in presenza di un atto regolamentare: nel caso in cui si sia invece in presenza di atto legislativo o di atto a portata individuale il ricorrente dovrà dimostrare di essere stato colpito dall'atto direttamente ed individualmente mentre invece se ci si trova di fronte a un atto regolamentare la Corte deve ulteriormente verificare se l'atto si indirizza direttamente al ricorrente e non comporta misure di esecuzione. Il ricorso: termini ed effetti - Il ricorso di annullamento deve essere presentato entro 2 mesi a partire dalla pubblicazione dell'atto o dalla notifica dello stesso al proprio destinatario o comunque dal momento in cui il soggetto ne ha avuto conoscenza, a questo termine vanno aggiunti i termini di distanza, ossia un termine forfettario di 10 g in ragione della distanza dalla sede della Corte; il rispetto del termine di presentazione del ricorso è una regola di ordine pubblico che è rilevabile d'ufficio, il cui obiettivo è quello di garantire la chiarezza e la certezza delle situazioni giuridiche. Una volta che è stato introdotto il ricorso, l'iter giudiziale deve rispettare il principio della durata ragionevole in quanto in caso di ritardi dovuti a comportamenti degli stessi giudici dell'Unione è ammesso un ricorso per risarcimento dei danni provocati dal irragionevole durata del processo; va poi osservato che la proposizione del ricorso non sospende l'esecuzione dell'atto impugnato in quanto anche il diritto dell'Unione attribuisce una forza obbligatoria assoluta ai provvedimenti delle istituzioni pertanto fino all'eventuale revoca questi atti esplicano piena efficacia, anche se la Corte può concedere in via provvisoria la sospensione dell'esecuzione dell'atto quando le circostanze lo richiedano. La portata del sindacato della Corte. La competenza di piena giurisdizione - In sede di esame dei ricorsi di annullamento degli atti dell'Unione la Corte esercita un controllo di mera legittimità e questo significa che il sindacato sulle scelte di merito è precluso, a proposito risulta difficile verificare il concreto rispetto di questa linea di confine in quanto l'art. 263 TFUE si limita ad affermare che la Corte esercita un controllo di legittimità sugli atti impugnati, pertanto è difficile capire fin dove la Corte possa spingersi nell'indagine sui presupposti di fatto che hanno giustificato un provvedimento: si evince quindi come i giudici godano di un certo spazio di manovra tra gli estremi del mero giudizio formale del provvedimento impugnato e il riesame della opportunità e della congruità del medesimo. Va segnalato che oltre alla giurisdizione di legittimità i Trattati prevedono anche una competenza giurisdizionale anche di merito che possa essere attribuita alla corte dei regolamenti dell'Unione quando istituiscono sanzioni, si tratta della competenza di piena giurisdizione della Corte le caratteristiche però non vengono disciplinate dai trattati e non possono essere ricostruite con l'aiuto dei diritti interni degli stati membri ma nonostante ciò la Corte non ha avuto esitazioni nell'esercitare la propria competenza di piena giurisdizione. La giurisprudenza della Corte ha delineato le caratteristiche di questo tipo di giurisdizione soprattutto mettendo a confronto la giurisdizione di merito con la giurisdizione di legittimità: nella giurisdizione di merito il giudizio della Corte verte sulle situazioni giuridiche soggettive che trovano nell'atto impugnato il loro fondamento, perciò il sindacato giurisdizionale non viene limitato in quanto la Corte deve esaminare sotto ogni profilo la questione che le viene sottoposta ed ecco che la Corte è autorizzata ad esercitare un pieno potere di riesame della questione che le viene sottoposta non solo per accertare l'esistenza dell'infrazione ma anche per sindacare i criteri di fatto e di diritto che hanno ispirato l'istituzione nel valutare il comportamento del ricorrente. La sentenza di annullamento - In caso di accoglimento del ricorso la Corte dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato ma laddove necessario può precisare che gli effetti dell'atto impugnato devono essere considerati definitivi, si evince come la Corte non abbia alcun potere di condanna nei 70 confronti dell'istituzione convenuta e non può imporre a questa un comportamento specifico ed inoltre non può modificare o sostituire l'atto impugnato ma può solo pronunciare l'annullamento di questo atto. La sentenza che pronuncia l'annullamento non esaurisce i suoi effetti nell'ambito del giudizio e limitatamente alle parti in causa ma efficacia assoluta in quanto elimina l'atto dal mondo del diritto con effetti erga omnes fin dal momento in cui è stato emanato, ecco quindi che trova riscontro l'espressione dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato, anche se secondo alcuni questa formula non è corretta in quanto nel caso di specie non si è in presenza di una mera declaratoria di nullità ma l'annullamento ha natura di sentenza di accertamento costitutivo. Sul piano processuale l'annullamento dell'atto preclude a chiunque la presentazione di un nuovo ricorso. Per quanto riguarda gli effetti sostanziali della pronuncia della Corte gli effetti sono i seguenti: - in seguito alla pronuncia di annullamento l'atto viene considerato come non avvenuto e questo significa che deve essere ricostruita la situazione preesistente all'emanazione dell’atto, eliminando gli effetti da questo già prodotti e che sopravvivono al momento del suo annullamento, questo significa che l'istituzione convenuta deve compiere una serie di attività al fine di ristabilire lo status quo ante, anche se va osservato che non sempre il ripristino della situazione precedente è possibile in quanto potrebbe accadere che l'atto che è stato annullato abbia già prodotto ed esaurito i suoi effetti in alcune determinate situazioni e inoltre si può constatare che il provvedimento annullato potrebbe aver prodotto una serie di effetti la cui eliminazione potrebbe risultare ingiusta e contraria al principio della certezza del diritto e del rispetto dei diritti acquisiti, a riguardo il trattato consente alla corte di precisare ove lo reputi necessario gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati come definitivi e in questo modo viene dato alla Corte il potere di tenere in vita una parte degli effetti prodotti dall'atto. Inoltre la giurisprudenza della Corte ha ampliato le ipotesi in cui questo potere può essere esercitato in quanto nel precedente sistema questo potere era previsto solo per quanto riguarda l'annullamento dei regolamenti ma la Corte aveva provveduto ad estendere anche ai casi di annullamento di altri atti e ne aveva fatta applicazione anche con riferimento alle ipotesi di giurisdizione diverse da quella di annullamento - in conseguenza della pronuncia della Corte l’istituzione che ha emanato l’atto annullato deve prendere i provvedimenti necessari ad assicurare la piena osservanza della sentenza, in particolare deve porre in essere un complesso di attività volte ad assicurare nei limiti del possibile il ripristino della situazione ex ante, con l’adozione di nuovi provvedimenti o con la revoca di altri con effetto ex nunc o addirittura con effetto retroattivo L’accertamento incidentale della illegittimità di un atto - Il sistema degli atti illegittimi dell’Unione prevede la possibilità di un controllo sulla validità degli atti stessi in via incidentale, si tratta di un controllo che consente in un ricorso di annullamento contro un atto dell’Unione di mettere in causa, anche dopo il termine per il ricorso diretto, la legittimità degli atti a portata generale che sono a fondamento dell’atto attaccato. L’art. 277 TFUE prevede la possibilità che una parte anche dopo il termine per il ricorso diretto eccepisca l’illegittimità di un atto dell’Unione in occasione di un giudizio nel corso del quale tale atto venga in rilievo come fondamento dell’atto impugnato al fine di provocarne almeno la disapplicazione nel procedimento in corso. Per quanto riguarda gli atti di cui si può eccepire in via incidentale di legittimità l'art. 276 TFUE e in precedenza il vecchio TCE indicava solo quelli di tipo regolamentare ma la Corte aveva già ampliato la sfera di applicazione della norma ritenendo la espressione di un principio generale di tutela giurisdizionale, pertanto riferendo la a tutti gli atti che producessero effetti analoghi ai regolamenti; viceversa nessun limite è previsto per quanto riguarda i soggetti legittimati a sollevare l'eccezione, ma questi devono essere parti nella causa e nemmeno sono previste limitazione in ordine ai motivi invocabili per chiedere l'inapplicabilità dell'atto. Per quanto riguarda gli effetti dell'accertamento incidentale dell’illegittimità di un atto questi consistono nella inapplicabilità dello stesso nel giudizio in corso pertanto incidono sull'efficacia dell'atto solo ai fini di quel giudizio e solo per gli effetti dell'atto che vengono in rilievo!questo significa che la 71 disapplicazione dell'atto opera ex nunc solo tra le parti in causa, pertanto in linea teorica l'atto anche se viene riconosciuto illegittimo conserva efficacia ai fini delle sue eventuali successive applicazioni. I RICORSI IN CARENZA Condizioni generali - I ricorsi in carenza riguardano comportamenti omissivi, ossia una violazione del diritto dell'Unione attraverso l'astensione da un'azione espressamente prevista dai trattati--> ai sensi dell'art 265 TFUE viene previsto l'ipotesi in cui gli organi dell'Unione si astengano violando il trattato dalla emanare un atto e questo consente agli Stati membri, alle altre istituzioni e alle persone fisiche e giuridiche di adire la Corte dopo aver messo in mora l'istituzione, al fine di far constatare l'illegittimità della mancata azione da parte dell'istituzione. Le istituzioni dell'Unione alle quali può essere contestata l'omissione sono tutte quelle che in virtù delle loro specifiche competenze possono attraverso i loro comportamenti positivi o negativi incidere sugli interessi tutelati dal diritto dell'Unione: ➢ in primo luogo il ricorso può essere proposto sole ove esse si astengano dal pronunciarsi in violazione dei Trattati: questo autorizza a ritenere che si possa parlare di illegittima inazione solo quando l'istituzione abbia l'obbligo di provvedere ➢ in secondo luogo il ricorso in carenza è consentito in tutte le ipotesi in cui sia prevista l'emanazione di un atto, senza alcuna distinzione tra i diversi tipi di misure neppure in relazione all'efficacia delle stesse, pertanto vengono in rilievo tutti gli atti formalmente e sostanzialmente riconducibili alle categorie tipiche definite dal Trattato, incluse le raccomandazioni ei pareri nonché le proposte della Commissione. Per quanto riguarda le proposte della Commissione se è vero che la loro formulazione non può essere oggetto di ricorso di annullamento rimane il fatto che la loro missione può determinare l'impossibilità per l'organo che ne è destinatario di provvedere validamente Per quanto riguarda i motivi del ricorso si deve ritenere che è l'unico mezzo di cui possono avvalersi gli interessati e la violazione dei trattati o dei regolamenti di applicazione, in quanto la mancanza di un atto non può comportare incompetenza e violazione di norme. Legittimati a proporre ricorso sono gli stati membri, le istituzioni diverse da quelle in causa e i soggetti di diritto interno, va osservato quanto segue: ▪ gli stati membri hanno uno statuto privilegiato e godono del più ampio potere di azione in quanto sono legittimati a contestare l'omissione di tutti gli atti e il ricorso non risulta condizionato all'esistenza di un interesse materiale leso dall'azione degli organi dell'Unione ▪ per quanto riguarda i ricorsi presentati dalle persone fisiche e giuridiche questi incontrano limiti che corrispondono a quelli indicati con riguardo ai giudizi di annullamento, pertanto questi soggetti possono solo contestare all'istituzione di aver omesso di emanare nei loro confronti un atto che non sia una raccomandazione o un parere, sono però anche escluse dalla disposizione e direttive in quanto queste possono essere indirizzate solo agli stati membri e altresì sono in via indiretta esclusi i regolamenti poiché questi hanno carattere generale e per questo non possono indirizzarsi a singoli destinatari. Gli aspetti procedurali - Il ricorso in carenza è subordinato al corretto espletamento di una procedura precontenziosa imposta dalla natura stessa dei comportamenti che vengono in rilievo!i trattati esigono la previa messa in mora dell'istituzione contro cui si intende ricorrere sia per darle la possibilità di evitare in un ricorso giurisdizionale adottando l'atto sia per permettere che sia fissato il momento di decorrenza dei termini di ricorso; la messa in mora può essere presentata solo dai soggetti ai quali è possibile adire successivamente la Corte e inoltre deve essere formulata come una diffida che tende ad avviare la procedura di contestazione della mancata azione pertanto deve indicare con precisione il provvedimento la cui emanazione si invoca, in quanto il ricorso può avere per oggetto unicamente il rifiuto di adottare l'atto che l'istituzione è stata diffidata ad emanare. Dal momento della messa in mora decorrere un termine di 2 mesi entro cui la stessa istituzione può adottare il provvedimento richiesto ed impedire il ricorso giurisdizionale; oggi per il caso in cui sia decorso il termine di 2 mesi senza che sia stata soddisfatta la richiesta di agire la Corte può essere adita con un ricorso per carenza e questo anche se successivamente l'istituzione dovesse prendere posizione poiché in questo caso il ricorso sarebbe ugualmente ricevibile, salvo il caso in cui non sia divenuto privo di oggetto. 72 diretto a causa delle limitazioni previste dai trattati; con riguardo agli stati membri è stato possibile sottoporre alla Corte di Giustizia questioni che vertono sulla portata di un principio o di una disposizione del diritto dell'Unione ma che in realtà consentono di mettere in causa di una norma o una prassi interna di uno stato membro in quanto ritenuti non conformi a quel diritto!sebbene la Corte non possa pronunciarsi direttamente sulla compatibilità di una misura razionale con il diritto dell'Unione tuttavia la giurisprudenza ha affermato che la Corte può fornire al giudice nazionale tutti gli elementi di interpretazione di questo diritto che gli consentano di rilevare eventuali profili di incompatibilità delle proprie disposizioni o prassi nazionali con il diritto dell'Unione Le condizioni per il suo esercizio - La competenza pregiudiziale e competenza esclusiva della Corte anche se l'art. 256 TFUE prevede che in materie specifiche determinate dallo statuto possa essere devoluta al Tribunale. I giudici nazionali possono porre alla questione di interpretazione e di validità del diritto Ue: o le prime in via di principio possono vertere su qualsiasi disposizione di quel diritto, si tratti delle norme dei trattati o degli atti di tutti gli organi organismi dell'Unione o degli accordi stipulati dall'Unione e anche dei principi generali di diritto che fanno parte integrante dell'ordinamento giuridico dell'Unione; in sede di competenza pregiudiziale la Corte non può invece interpretare norme o prassi nazionali per pronunciarsi direttamente sulla loro compatibilità con il diritto dell'Unione anche se la limitazione può essere girata riformulando il quesito come volte a chiarire se la norma europea vada interpretata in senso che consenta uno stato membro di mantenere norme e prassi che sono messa in discussione • per quanto riguarda il controllo di validità, questo si esercita sugli atti delle istituzioni e degli organi dell'Unione e si sviluppa sul modello del controllo di legittimità svolto nei ricorsi di annullamento, questa ipotesi può essere utilizzata nella prassi come ulteriore strumento a disposizione dei privati ai fini di questo controllo e inoltre compensa parzialmente i limiti che la legittimazione attiva di questi soggetti incontra rispetto ai ricorsi diretti Legittimati ad operare il rinvio pregiudiziale sono gli organi giurisdizionali degli stati membri di ogni ordine e grado, a riguardo la Corte ha elaborato una definizione comunitaria della nozione di organo giurisdizionale riconducendo di tutti gli organi che presentino una serie di requisiti che sono i seguenti: • origine legale dell'organo • carattere permanente dell'organo • obbligatorietà della sua giurisdizione • natura contradditoria del procedimento • fatto che l’organo applichi norme giuridiche e non si pronuncia secondo equità • carattere giurisdizionale della pronuncia, imparzialità e indipendenza dell’organo natura contraddittoria del procedimento Il giudice nazionale ha facoltà di operare il rinvio pregiudiziale, restando inteso che se decide di non farlo può procedere autonomamente all'interpretazione del trattato o dell'atto; con riguardo all'atto il giudice potrà anche valutare la validità, ma se l'esame dovesse concludersi con esito negativo dovrà astenersi dal dichiarare l'invalidità dell'atto e dovrà deferire la questione al fine di assicurare l'uniformità nell'applicazione del diritto dell'Unione e la coerenza del sistema di tutela giurisdizionale istituito dal Trattato. La Corte ha riconosciuto al giudice nazionale che opera un rinvio pregiudiziale il potere di sospendere in attesa della pronuncia della Corte l'efficacia dei provvedimenti nazionali fondati su atti dell'Unione rispetto alla cui validità il giudice nutra dei dubbi. La previsione di lasciare libere le giurisdizioni di non effettuare il rinvio pregiudiziale si spiega con il fatto che in questo caso gli interessati possono pur sempre impugnare la loro decisione riproporre nel successivo grado di giudizio la richiesta di rinvio alla Corte. Di contro il trattato ha previsto che per gli organi giurisdizionali avverso i quali le decisioni non possa proporsi un ricorso di diritto interno il rinvio giudiziale costituisce un vero e proprio obbligo ma questo obbligo viene meno in alcune ipotesi definiti dalla stessa giurisprudenza della Corte!sono i seguenti casi: ➢ quando la questione sollevata sia materialmente identica ad altra questione già sottoposta alla Corte in relazione ad analoga fattispecie ➢ quando sul punto di diritto di cui si tratta esiste già una consolidata giurisprudenza della Corte 75 ➢ quandol'applicazioneolanonapplicazionedellanormadell'Unionealcasoconcretosiimponga con evidenza tale da non lasciare adito a ragionevoli dubbi La giurisprudenza della Corte stabilisce che nella ripartizione di competenze tra Corte e giudici nazionali sono i giudici nazionali ad avere conoscenza diretta dei fatti della causa e a trovarsi nella situazione più idonea a valutare la necessità del rinvio e la pertinenza con l'oggetto della controversia delle questioni che si chiede di sottoporre alla corte, per questi motivi la Corte da un lato esclude che l'ordinanza di rinvio possa essere suscettibile di impugnazione nell'ordinamento nazionale ad opera delle parti del giudizio e dall'altro lato è severa nel valutare le norme nazionali che limitino la facoltà o obbligo di rinvio da parte del giudice; di conseguenza nell'esaminare la ricevibilità dell'ordinanza di rinvio la Corte non può sindacare le valutazioni del giudice nazionale ma è tenuta a dar seguito a quella ordinanza salvo che questa non venga ritirata dallo stesso giudice. Tuttavia rimangono alla corte ampi margini di apprezzamento sulla ricevibilità dell’ordinanza di rinvio in quanto spetta alla Corte verifica delle condizioni per l'esercizio della propria competenza, in particolare: ➢ la Corte deve accertare se l'ordinanza proviene da una giurisdizione di uno stato membro ➢ se ha ad oggetto questioni di diritto dell'Unione ➢ altresì deve valutare aspetti che riguardano direttamente il contenuto dell'ordinanza e le condizioni di rinvio In primo luogo la Corte accerta se il giudice del rinvio abbia fornito gli elementi di diritto o di fatto necessari per consentire alle altre parti di intervenire nella procedura pregiudiziale al fine di svolgere osservazioni sui quesiti; inoltre la Corte verifica la rilevanza dei quesiti ai fini della decisione del giudizio e quindi sulla necessità del rinvio, assumendo come premessa che i quesiti godono di una presunzione di rilevanza: • può accadere che le questioni siano manifestamente irrilevanti per la soluzione del giudizio principale o siano di natura puramente ipotetica o appaia in modo manifesto che l'interpretazione di una norma comunitaria richiesta dal giudice nazionale non ha alcuna relazione con l'effettività o con l'oggetto della causa • la declaratoria di incompetenza interviene anche quando ai quesiti sono posti nell'ambito di un processo fittizio, ossia di un processo istituito ad arte dalle parti al solo fine di provocare la pronuncia della Corte. Gli aspetti procedurali - La procedura relativa al giudizio principale è regolata dal diritto nazionale pertanto la Corte non può esercitare un controllo sulla competenza del giudice e sul rispetto delle regole procedurali nazionali. Il rinvio è disposto con ordinanza motivata che viene notificata alla corte a cura del giudice interno e la corte per non appesantire le formalità della procedura cerca tutti gli strumenti per superare eventuali può accadere che le questioni siano manifestamente irrilevanti per la soluzione del giudizio principale o siano di natura puramente ipotetica o appaia in modo manifesto che l'interpretazione di una norma comunitaria richiesta dal giudice nazionale non ha alcuna relazione con l'effettività o con l'oggetto della causa problemi e favorire la collaborazione tra giudici, ad esempio riformulando quesiti che risultano non chiari e precisi. Al procedimento che si apre davanti alla Corte di giustizia sono autorizzati a partecipare non solo le parti del giudizio nazionale ma anche gli stati membri, la Commissione non che quando si tratta di atti da questi adottati il Parlamento europeo, il Consiglio e la Banca centrale europea: tutte queste parti possono presentare osservazioni scritte entro 2 mesi dalla notifica dell'ordinanza di rinvio o limitarsi a intervenire nella fase orale. A riguardo è prevista una nuova procedura pregiudiziale di urgenza che è stata istituita per i rinvii nel settore dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia previsti dal TFUE al fine di tener conto delle particolari esigenze della materia, in vista di queste esigenze è previsto che quando eventuali questioni di interpretazione o validità riguardano una persona in stato di detenzione, la Corte statuisce il più rapidamente possibile: in effetti i rinvii pregiudiziali possono riguardare situazioni per le quali si impone una risposta rapida ai quesiti del giudice nazionale pertanto la procedura si articola sulla base di regole speciali più semplificate. 76 Per quanto riguarda gli effetti delle sentenze della Corte le sentenze sono obbligatorie per il giudice a quo, che non può discostarsi neppure se decidesse di operare un nuovo rinvio per chiedere ulteriori chiarimenti sulla questione, per il resto si deve distinguere a seconda che la corte si sia pronunciata su questioni di interpretazione di norme dell'Unione o di validità degli atti delle istituzioni: - se la Corte si è pronunciata su questioni di interpretazione di norme dell'Unione la decisione produce effetti obbligatori per il giudice di rinvio, pertanto se costui decide di fare applicazione nel caso di specie della disposizione di diritto Ue di cui ha chiesto l'interpretazione deve attenersi alla pronuncia della Corte; tuttavia il principio di diritto della sentenza non vincola solo il giudice del rinvio ma si impone con effetti erga omnes poiché l'interpretazione di una norma di diritto comunitario chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa come deve essere intesa ed applicata già dal momento dell'entrata in vigore, in particolare nel caso che dalla decisione risulti l'incompatibilità di una legislazione nazionale con il diritto dell'Unione lo stato membro ha gli stessi obblighi di quelli previsti dalla procedura di infrazione pertanto deve adottare tutte le misure necessarie a conformare il proprio ordinamento alla decisione - se la Corte si è pronunciata sulla validità di un atto dell’Unione si deve distinguere a seconda che la Corte abbia o meno concluso per la validità dell'atto: ▪ nel caso concluda per la validità dell'atto l'efficacia della sentenza sarà limitata alla controversia dedotta nel giudizio a quo, fatta salva la facoltà per i giudici nazionali di riproporre la medesima questione di validità ▪ nel caso concluda per l’invalidità dell’atto la sentenza della Corte produce gli stessi effetti previsti dal giudizio di annullamento, in quanto costituisce per qualsiasi altro giudice un motivo sufficiente per considerare tale atto non valido ai fini di una decisione che esso debba emettere e inoltre perché le istituzioni Ue sono tenute ad adottare tutti i provvedimenti che la statuizione contenuta nella sentenza comporta. Tuttavia la Corte ha ritenuto all’occorrenza di poter limitare in tutto/in parte gli effetti nel tempo facendo applicazione del potere previsto per le sentenze di annullamento e in questo caso la limitazione viene posta anche agli effetti delle proprie pronunce interpretative MA qualora sussistano determinate condizioni, in particolare che la decisione pregiudiziale implichi un rischio di gravi ripercussioni economiche e che i soggetti interessati siano stati indotti ai comportamenti difformi da oggettiva incertezza in ordine all’interpretazione della norma in causa Le limitazioni della competenza pregiudiziale - Ci sono materie che in passato sono state di confine e per le quali la competenza della Corte incontrava limitazioni: tuttavia con il passare del tempo queste materie sono state ricondotte nell'ambito comunitario e queste limitazioni sono venute a scomparire, anche se ancora oggi ci sono limitazioni per quanto riguardano le materie che rientrano nello Spazio di libertà sicurezza e giustizia: • per quanto riguarda la cooperazione in materia penale e quella di polizia rimangono escluse dal sindacato della Corte la validità e la proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dell'applicazione della legge di uno stato membro o l'esercizio delle responsabilità che incombono agli stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna; era poi stato previsto che per un periodo di 5 anni dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona restare in piedi per gli atti già adottati nelle materie della cooperazione penale la disciplina di cui all'art. 35 TCE che limitava la competenza della Corte, essendo decorso questo questa disciplina è venuta meno pertanto si afferma la piena competenza della Corte anche in questo settore • per quanto riguarda il settore della PESC la Corte presenta competenze alquanto limitate, va però osservato che sebbene i trattati confinino queste competenze ai ricorsi di annullamento di alcuni specifici, si deve però ritenere che rispetto agli stessi atti la Corte possa esercitare anche la propria competenza pregiudiziale. CAPITOLO 6: LE COMPETENZE MINORI Premessa - La Corte gode altresì di competenze che sono riconducibili e attengono ad una particolare rilevanza della prassi nonché altre competenze che presentano una marcata specificità. 77 giudici nazionali assicurare in prima battuta la tutela di quelle situazioni giuridiche; inizialmente questa tutela è stata esaltata con il tempo grazie alla giurisprudenza della Corte di Giustizia ha definito i principi fondamentali del diritto Ue e in particolare i principi del primato e della diretta ed immediata applicabilità del diritto Ue, infatti questi principi comportano che le norme dell'Unione devono poter spiegare pienamente i loro effetti negli ordinamenti statali e di conseguenza i giudici nazionali hanno il potere il dovere di tutelare le posizioni giuridiche soggettive fondate su quelle norme. Va osservato che la corte si è sempre preoccupata della portata e delle condizioni di questa tutela impegnandosi a creare le premesse affinché fosse la più ampia ed efficace possibile, man mano ha sviluppato un corpo articolato di orientamenti giurisprudenziali che hanno interferito sullo stesso modo di essere dei sistemi giuridici degli stati membri. Il principio dell’autonomia procedurale. I principi di equivalenza ed effettività - La tutela giudiziaria delle situazioni giuridiche soggettive garantite dal diritto Ue deve essere assistita con strumenti preposti dagli e negli stati membri, in nome del principio del primato del diritto Ue nonché del principio di leale collaborazione la Corte ha preteso che lo stato membro non solo assicuri la corretta applicazione delle norme dell'Unione ma appresti e renda concretamente operante un sistema di rimedi giurisdizionali e di procedimenti volti a garantire in modo pieno ed effettivo la tutela delle situazioni giuridiche; riguardo con una giurisprudenza costante la Corte ha dichiarato che in mancanza di una specifica disciplina comunitaria è l'ordinamento giuridico interno di ciascuno stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a garantire la tutela dei diritti che spettano ai singoli in forza delle norme comunitarie che hanno efficacia diretta, si tratta del principio dell'autonomia procedurale; questo significa che la libertà riconosciuta agli stati membri non può esercitarsi in modo tale da mettere a rischio la effettiva e piena tutela dei privati, pertanto la corte si è preoccupata di precisare ulteriormente i propri orientamenti chiarendo che gli ordinamenti nazionali non possono disporre liberamente in ordine alla portata e alle modalità di questa tutela ma hanno l'obbligo di assicurare le stesse condizioni che non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna, si tratta del principio di equivalenza; infine la Corte ha previsto che gli stati membri non devono rendere impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario, si tratta del principio di effettività. Con riguardo al controllo sul rispetto di questi principi la Corte non si è limitata a definire le condizioni della tutela in senso negativo ma si è spinta fino ad intervenire sulla stessa definizione di quelle condizioni, significa che la Corte si è riservata un diritto di controllo su questi ordinamenti al fine di controllare se le condizioni procedurali e sostanziali previste per garantire il livello minimo di protezione siano conformi ai parametri di adeguatezza ed effettività che la stessa Corte desume dal corpo del diritto dell'Unione o dai principi generali, pertanto a tal proposito si parla di standard europeo di tutela giudiziaria. La tutela cautelare - A riguardo si può constatare come la tutela cautelare sia stata sancita in modo inequivoco dalla sentenza Factortame del 1990 con cui la Corte, alla quale era stato richiesto in via pregiudiziale di pronunciarsi sulla compatibilità con il diritto Ue di una legge Uk, è stata interrogata dal giudice inglese sulla possibilità se il giudice potesse sospendere in via provvisoria l'applicazione della legge controversa in quanto questo potere era escluso dal suo ordinamento nazionale, con questa pronuncia la Corte ha affermato che la piena efficacia del diritto comunitario sarebbe ridotta se è una norma di diritto nazionale potesse impedire al giudice chiamato a dirimere la controversia disciplinata dal diritto comunitario di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronuncia giurisdizionale sull'esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario, pertanto il giudice è tenuto a disapplicare la norma del diritto nazionale che ostacola la concessione di provvedimenti provvisori. Questo principio è stato valorizzato anche in senso “rovesciato”, considerato che il diritto Ue deve essere rispettato solo nella misura in cui questo sia legittimo, anche l'applicazione di una norma dell'Unione di sospetta illegittimità deve essere paralizzata nei suoi effetti se questo può pregiudicare le situazioni giuridiche dei privati e a tal proposito la Corte ha chiarito che nelle more del suo giudizio il provvedimento amministrativo nazionale deve essere sospeso in via cautelare per evitare irreparabili 80 pregiudizi alle posizioni giuridiche dei privati, sentenza Zuckerfabrik: i principi contenuti in questa sentenza sono stati sviluppati in successive pronunce della Corte che ha poi precisato il quadro dei poteri cautelari attribuiti al giudice nazionale ancorando i presupposti necessari al loro esercizio a criteri stabiliti ed elaborati dalla Corte: • In particolare la Corte riconosce al giudice nazionale la competenza a concedere provvedimenti provvisori non solo negativi quale ad esempio la sospensione, ma anche positivi ossia provvedimenti che tendono a creare delle nuove situazioni giuridiche soggettive in capo ai soggetti parti del procedimento, ma alle seguenti condizioni: 1. che il giudice nazionale nutra riserve sulla validità dell'atto dell'Unione in causa e provveda a sottoporlo a questione pregiudiziale sulla sua validità 2. che ricorrono gli estremi dell’urgenza, nel senso che i provvedimenti provvisori sono necessari per evitare che la parte che li richiede subisca un danno grave e irreparabile 3. che il giudice tenga pienamente conto dell'interesse dell'Unione 4. che siano rispettate le pronunce della Corte o del tribunale in ordine alla legittimità dell'atto dell'Unione o le eventuali ordinanze di questi giudici in sede di procedimento sommario dirette alla concessione di provvedimenti provvisori analoghi Il risarcimento dei danni provocati da violazioni del diritto dell’Unione - La Corte ha dettato ulteriori principi e strumenti di tutela che hanno trovato espressione nella affermazione del principio della responsabilità degli stati membri per omessa o incompleta o non corretta esecuzione del diritto dell'Unione, la Corte ha ritenuto che il principio della responsabilità dello stato per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato e trova il suo fondamento nell'art. 4 paragrafo 3 TUE; questo è stato successivamente precisato sia per quanto riguarda il fondamento e la portata della responsabilità dello stato sia per quanto riguarda le condizioni in presenza delle quali possa sorgere responsabilità e per quanto riguarda le modalità della tutela: • con riguardo al fondamento della responsabilità dello stato la Corte ha chiarito che questo principio va applicato indipendentemente dalla natura dell'organo che ha posto in essere la violazione o l'omissione, pertanto la responsabilità può derivare anche da fatti imputabili al legislatore nazionale ma potrà derivare anche dai comportamenti e dalle prassi delle giurisdizioni nazionali che si pronuncino in via definitiva • con riguardo alle condizioni per la sussistenza della responsabilità dello stato la Corte ritiene che in questa materia la tutela dei diritti attribuiti i simboli non può variare in funzione della natura dell'organo che ha provocato il danno, in linea di principio perciò i presupposti che fanno sorgere questa responsabilità non devono discostarsi da quelli che rilevano ai fini della responsabilità dell'Unione in circostanze analoghe ma in ogni caso si deve tener conto dei principi propri dell'ordinamento giuridico dell'Unione che costituiscono il fondamento per la responsabilità dello stato. Ai fini della responsabilità dello stato la Corte richiede la sussistenza di 3 condizioni: 1. la norma dell’Ue deve essere preordinata all’attribuire diritti a favore dei singoli, sia essa direttamente applicabile o no 2. deve esistere un nesso di causalità tra la violazione dell’obbligo che incombe allo stato e il danno subito 3. deve trattarsi di una violazione grave e manifesta o comunque sufficientemente caratterizzata, ai fini di questa qualificazione la Corte ha fornito alcuni elementi di valutazione tra cui si possono ricordare il grado di chiarezza e precisione della norma dell'Unione che si assume violata, il carattere intenzionale o meno della trasgressione commessa o del danno causato, l'ampiezza del potere discrezionale che la norma dell'Unione riserva alle autorità nazionali, la circostanza che la violazione possa essere stata indotta da comportamenti delle istituzioni dell'Unione; laddove ricorrano queste condizioni queste devono essere considerate necessarie e sufficienti e non possono richiederne ulteriori in particolare per quanto riguarda la sussistenza di un dolo o di una colpa nella condotta dello stato La questione del riesame delle sentenze e delle decisioni nazionali definitive - Ampio dibattito ha riguardato l'orientamento della Corte relativo all'incidenza del diritto dell'Ue sugli atti nazionali definitivi, sia di natura amministrativa sia di natura giudiziaria, a riguardo in una serie di sentenze la 81 Corte aveva stabilito che i principi generali del diritto dell'Unione e in particolare il principio di leale cooperazione a determinate condizioni impongono di riesaminare una decisione nazionale definitiva che si rivela contraria al diritto dell'Unione a seguito di una pronuncia successiva della Corte, pertanto si era dedotto che questo orientamento giurisprudenziale implicasse un superamento dei principi di intangibilità delle decisioni divenute definitive alla scadenza dei termini del ricorso o del principio del passaggio in giudicato della sentenza nazionale. Si deve osservare quanto segue: - per quanto riguarda gli atti amministrativi si deve sottolineare che tra le condizioni a cui la Corte subordinava l'obbligo di riesame di questi atti era importante il fatto che l'organo nazionale adito disponesse del potere di revisione di una decisione definitiva per violazione di una norma di diritto: se così è il diritto dell'Unione deve anche lui beneficiare dei medesimi strumenti procedurali applicabili in circostanze analoghe a controversie di natura puramente interna - quanto detto sopra vale anche per quanto riguarda il principio dell'intangibilità del giudicato interno e dell'esaurimento dei gradi di giudizio interni, va ricordato che la Corte sottolinea l'importanza che questo principio riveste sia nell'ordinamento dell'Ue sia negli ordinamenti nazionali ribadendo che il diritto dell'Unione non impone un giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale che contrasta con il diritto europeo; tuttavia la Corte ha precisato che la competenza degli stati membri a disciplinare le modalità di attuazione del giudicato interno e resta pur sempre vincolata ai principi di equivalenza e di effettività di stampo europeo, di conseguenza a fronte di una sentenza italiana che era passata in giudicato e aveva avallato un’alterazione dei principi sulla ripartizione delle competenze tra stati membri e Unione in materia di aiuti di stato, la Corte ha rimesso in questione la sentenza affermando che il diritto dell'Unione osta all'applicazione di una disposizione nazionale che mira a consacrare il principio della intangibilità del giudicato qualora questo impedisca il recupero di un aiuto di stato concesso in violazione del diritto dell'Unione e dichiarato incompatibile da una decisione della Commissione. A fronte della pretesa di estendere la portata di quella stessa sentenza in nome della teoria del giudicato esterno la Corte ha ritenuto che una simile conclusione sarebbe stato suscettibile di pregiudicare in modo irrimediabile il rispetto del diritto dell'Unione in quanto l’automatica ed illimitata estensione della portata di quella sentenza avrebbe impedito di rimettere in questione sia le situazioni eventualmente contrarie al diritto dell'Unione direttamente coperte da giudicato sia tutte le altre ugualmente contrarie a questo diritto, perpetuando così l'applicazione scorretta delle regole europee La qualificazione in Italia delle situazioni giuridiche soggettive fondate su norme dell’Unione - Nella giurisprudenza della Corte non si parla di interessi legittimi, questo ha determinato un disorientamento da parte della dottrina e della giurisprudenza italiana in quanto si pone la questione dell'eventuale superamento della dicotomia interesse legittimo-diritto soggettivo, nel senso che anche gli interessi legittimi dovrebbero essere valutati come diritti soggettivi o si potrebbe parlare di una nuova categoria quale quella dei diritti soggettivi comunitari; tuttavia deve essere sottolineato che la Corte non ha mai preteso di interferire nella qualificazione di nozioni ed istituti degli ordinamenti interni, evitando di prendere posizione a riguardo anche qualora sia stata sollecitata da quesiti che i giudici nazionali nel sottoponevano in ordine a questa qualificazione. Al tempo stesso è apparso chiaro che quando la Corte afferma che una certa disposizione del diritto dell'Unione ha efficacia diretta e attribuisce al singolo dei diritti che il giudice nazionale è tenuto a salvaguardare non intende dare al termine diritti una specifica valenza che non sia quella di posizioni giuridiche soggettive, pertanto non intende limitarsi ai diritti soggettivi e non intende trasformare tutte le posizioni giuridiche dei privati di diritti soggettivi, la corte si limita a rinviare alle qualificazioni attribuite a queste situazioni giuridiche dai singoli ordinamenti nazionali e ai modi e alle forme di tutela che questi ordinamenti riservano alle medesime in quanto quello che interessa alla Corte è che deve essere garantita la tutela per tutte quelle posizioni giuridiche che hanno piena tutela giurisdizionale; in ogni caso grazie agli sviluppi della giurisprudenza europea, la 82 Natura e significato della cittadinanza dell’UE – Una delle principali idee che ha caratterizzato i successivi sviluppi del processo di integrazione europea è quella dell’assimilazione tra i cittadini degli stati membri in quanto ciascuno di loro in qualsiasi stato membro si trovi delle tendenzialmente godere dello stesso trattamento riservato da quello dello stato ai propri cittadini, in questo processo il momento di svolta è segnato dalla forma le previsione dell'esistenza di una cittadinanza dell'Unione all'interno del Trattato di Maastricht, che oggi è invece contenuta nell'art. 9 TUE e nell’art. 20 TFUE; la previsione contenuta nel Trattato di Maastricht ha trasformato il precedente processo di graduale arricchimento della posizione giuridica soggettiva dei cittadini degli stati membri nell'attribuzione a quest'ora di quello che la Corte di Giustizia ha definito come lo status fondamentale dei cittadini degli stati membri, la Corte ha formulato questa considerazione con riferimento all’ispirazione originaria che ha portato alla proclamazione della cittadinanza dell'Unione: quello status consente a chi tra i cittadini degli stati membri si trovi nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni espressamente prevista a riguardo, il medesimo trattamento giuridico. Ma l'attribuzione della cittadinanza europea ha voluto anche certificare l'esistenza di un legame politico tra i cittadini degli stati membri ed il riconoscimento a costoro in quanto cittadini dell'Unione di un ruolo di protagonisti attivi della costruzione europea. Nonostante la sua proclamazione formale all’interno dei Trattati, la cittadinanza dell'Unione non è assimilabile alla cittadinanza nazionale in quanto la cittadinanza dell'Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce, in principio la cittadinanza nazionale tende a regolare la posizione dell'individuo rispetto allo stato con cui la qualifica di cittadino esprime il collegamento, mentre la cittadinanza europea fa sentire i suoi effetti più sulla posizione del cittadino all'interno degli stati membri che non nei confronti dell'Ue; in effetti i diritti che si connettono alla cittadinanza incidono essenzialmente sul rapporto dei singoli con gli stati membri e infatti non si deve dimenticare che la cittadinanza dell'Unione e comunque chiamata ad esprimere il collegamento dell'individuo con un'identità che è diversa dagli stati ma è anche priva di responsabilità diretta nelle materie in cui tradizionalmente si manifesta il vincolo di cittadinanza. Il TFUE ne suggerisce l'esistenza affermando che i cittadini dell'Unione godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti nei trattati, in realtà i trattati concretamente non ne prevedono di doveri costruendo una sorta di contropartita dei diritti a quello stesso titolo garantiti all'individuo e d'altronde non sarebbe nemmeno possibile immaginare doveri di questo genere a carico del cittadino dell'Unione. Acquisto e perdita della cittadinanza dell’Unione - I trattati non fissano criteri autonomi di attribuzione della cittadinanza dell'Unione ma operano un rinvio alle norme sulla cittadinanza dei singoli stati per stabilire chi è cittadino dell'Unione, ai sensi dell'art. 9 TUE e 20 TFUE è cittadino Ue chiunque abbia la cittadinanza in uno stato membro e si resta cittadini dell'Unione fino a quando si conserva la cittadinanza di uno stato membro. Una dichiarazione adottata dagli stati membri contestualmente all'introduzione nel Trattato di Maastricht delle norme sulla cittadinanza europea costituisce il rinvio alle legislazioni nazionali come un rinvio di carattere assoluto, questa disposizione afferma che ogniqualvolta che nel Trattato che istituisce la Comunità Europea si fa riferimento a cittadini degli stati membri, la questione se una persona abbia la nazionalità di questo o di quello stato membro sarà definita solo in riferimento al diritto nazionale dello stato membro interessato; inoltre la Corte di Giustizia ha precisato che la determinazione dei modi di acquisto e di perdita della cittadinanza rientrano nella competenza di ciascuno stato membro: di conseguenza ne deriva che la sfera di applicazione soggettiva della cittadinanza dell'Unione è direttamente influenzata dalle scelte operative degli stati membri all'interno delle proprie legislazioni in materia di cittadinanza. Si deve osservare che il Trattato di Maastricht prospettata la possibilità che mediante formale comunicazione gli stati membri precisino quali sono le persone che devono essere considerate come propri cittadini ai fini perseguite dall'Unione, una comunicazione del genere dovrebbe avere unicamente la funzione informativa di chiarire alle istituzioni dagli stati membri quale sia la cerchia dei propri cittadini dal momento che in linea di principio questi vanno tutti automaticamente considerati cittadini dell'Unione. Eccezione è quella del Regno Unito che mediante apposita dichiarazione ha escluso la possibilità di riconoscere una parte dei suoi sudditi la qualifica di cittadino britannico ai sensi e ai fini 85 dell'applicazione del diritto Ue: questa limitazione trova la sua ragione nel fatto che la legislazione del Regno Unito conosce forme diverse di cittadinanza in quanto la legislazione di questo paese conosce forme diverse di cittadinanza che si distinguono per un possesso differenziato dei diritti connessi alla qualifica di cittadino, in particolare sono previste 3 categorie di cittadini ossia cittadini britannici, cittadini dei territori britannici dipendenti e cittadini britannici d'oltremare e quest'ultima categoria non gode di un diritto di ingresso e di soggiorno nel Regno Unito, pertanto la dichiarazione britannica escluso che questi individui possono considerarsi cittadini britannici ai fini del diritto Ue! questa limitazione dei soggetti da considerarsi cittadini britannici ai fini del diritto Ue è stata ritenuta legittima dalla Corte in quanto frutto di una delimitazione del campo di applicazione delle disposizioni comunitarie oggetto del Trattato di adesione ratione personae, sulla cui base sono state determinate le condizioni di adesione del Regno Unito. Ferma restando la competenza esclusiva degli stati membri in materia di acquisto e perdita di cittadinanza, il suo esercizio in relazione ai cittadini dell'Unione non è sottratto al controllo della Corte, in quanto il fatto che una materia rientri nella competenza degli stati non esclude che in situazioni che ricadono nell'ambito del diritto dell'Unione le norme nazionali devono rispettare il diritto Ue, la Corte il punto lo ha ribadito più volte con riferimento specifico alla cittadinanza europea osservando come la riserva di rispetto del diritto dell'Unione non pregiudica la competenza esclusiva degli Stati in materia di cittadinanza ma consacra il principio in virtù del quale quando si tratta di cittadini dell'Unione l'esercizio di questa competenza può essere sottoposto a un controllo giurisdizionale condotto alla luce del diritto dell'Unione. Lo status di cittadino dell’Unione - La giurisprudenza della Corte in materia di cittadinanza dell'Unione è costante nel sottolineare che questa costituisce lo status fondamentale dei cittadini degli stati membri--> questa affermazione non ha carattere solamente politico in quanto la Corte ne ha tratto conseguenze per quanto riguarda la condizione giuridica dei cittadini degli stati membri; infatti quello status finisce per assumere in alcuni casi un valore autonomo rispetto alla cittadinanza, nel senso che sullo status di cittadino dell'Unione la Corte ha fondato il riconoscimento in capo agli individui di situazione giuridica di vantaggio ulteriori rispetto a quelle che scaturiscono dal possesso della semplice cittadinanza di uno stato membro: a riguardo è significativa la sentenza con cui la Corte ha riconosciuto a 2 cittadini belgi in possesso della doppia cittadinanza spagnola il diritto di ottenere dalle autorità belghe l'aggiunta del cognome della madre a quello del padre in conformità della legge spagnola, nonostante per l'ordinamento belga chi possiede la cittadinanza del paese sia considerato unicamente belga. La Corte ha sottolineato che in quanto cittadina di almeno uno stato membro una persona gode dello status di cittadino dell'Unione ai sensi dell'art. 20 TFUE e può quindi avvalersi di diritti afferenti a questo status, questa possibilità è però subordinata alla circostanza che la situazione rispetto alla quale si voglia far valere quello stato sia riconducibile al diritto dell'Unione, infatti come regola generale non rientrano nella competenza dell'Unione le situazioni puramente interne, ossia quelle situazioni giuridiche i cui elementi si collocano tutti all'interno di un solo stato membro e che riguardano materie che non sono disciplinate dal diritto Ue; a questa regola non fa eccezione nella giurisprudenza della Corte la cittadinanza dell'Unione, visto che questa non ha comunque lo scopo di ampliare la sfera di applicazione ratione materiae del Trattato a situazioni nazionali che non abbiano alcun collegamento con il diritto comunitario. I contenuti dello status di cittadino dell’Unione e il principio di non discriminazione - L’art. 20 TFUE precisa che i cittadini dell’Ue godono dei diritti e sono soggetti ai doveri previsti dai Trattati, individuando poi un nucleo essenziale di diritti che caratterizzano siffatto status: ❖ il diritto di entrare e risiedere in ogni stato membro ❖ il diritto di esercitare l’elettorato attivo/passivo in quello stato membro ❖ la protezione diplomatica e consolare al di fuori del territorio dell’Ue anche da parte di stati diversi dal proprio ❖ il diritto di petizione al parlamento Ue e agli organi consultivi dell’Ue in una delle lingue ufficiali dell’Ue e vedersi rispondere nella stessa lingua 86 In realtà i diritti ex art. 20 TFUE definiscono solo parzialmente l’effettivo contenuto dello status di cittadino Ue poiché: - in primo luogo non concorrono tutti in egual misura a caratterizzare questo status, in quanto alcuni di loro non appaiono collegati in via esclusiva al possesso di questo - in secondo luogo elementi fondamentali dello status di cittadino dell'Unione possono rintracciarti anche al di fuori dell'elenco ex art. 20 paragrafo 2 TFUE! è il caso ad esempio del diritto di elettorato attivo e passivo nelle elezioni europee: i trattati non esplicitano in maniera compiuta nelle loro disposizioni questo diritto ma la sua titolarità da parte dei cittadini dell'Unione è data per implicito del diritto loro riconosciuto dall'art. 20 paragrafo 2 TFUE di esercitarlo in stati membri diversi dal proprio in cui risiedano. Anche se i trattati non lo elencano tra i diritti del cittadino dell'Unione, non c'è dubbio che il diritto di votare e di essere eletto al Parlamento europeo costituisca una componente caratterizzante del relativo status, è infatti attraverso l'elezione diretta del Parlamento europeo che si esplica la partecipazione del cittadino dell'Unione alla vita politica di questa ed è quindi attraverso questa che si realizza in capo al cittadino quella componente essenziale dello status di cittadinanza che è il diritto alla cittadinanza attiva. Nei contenuti dello status di cittadino dell'Unione va iscritto anche il principio di non discriminazione per ragioni di nazionalità, questo principio deve considerarsi componente essenziale della cittadinanza europea in quanto l'obiettivo principale di questa è quello di consentire a chi tra i cittadini dell'Unione si trovi nella medesima situazione di ottenere, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni espressamente previste al riguardo, il medesimo trattamento giuridico. Il diritto dei cittadini dell'Unione a non essere discriminati in ragione della propria cittadinanza nazionale è sancito sotto forma di divieto di tali discriminazioni dall'art. 18 TFUE e anche se l'articolo non lo dice espressamente questo divieto opera unicamente rispetto a soggetti che abbiano la cittadinanza di uno stato membro, come affermato dalla Corte di giustizia. Il divieto di discriminazione per ragioni di nazionalità opera nel campo di applicazione dei trattati, questo non significa che questo divieto sia invocabile unicamente rispetto a situazioni giuridiche regolate dal diritto dell'Unione o riconducibili a una delle competenze di queste, infatti questo divieto si estende a tutte quelle normative o prassi nazionali che sebbene rientranti in una competenza propria degli stati sono tuttavia suscettibili di incidere negativamente sull'effettivo godimento dei diritti di cittadinanza in quanto pongono il cittadino dell'Unione in una situazione di diritto o di fatto svantaggiosa rispetto a quella in cui si trova nelle medesime circostanze il cittadino nazionale. Il divieto di discriminazione per ragioni di nazionalità impone agli stati membri di non trattare in modo diverso situazioni analoghe!questo però comporta che da un diverso trattamento riservato a situazioni non comparabili non consegue automaticamente l'esistenza di una discriminazione, nel senso che ha una discriminazione formale apparente può corrispondere nei fatti l'assenza di una discriminazione sostanziale mentre invece una discriminazione sostanziale può derivare non solo dal fatto di trattare in modo diverso situazioni analoghe ma anche dal trattare in modo identico situazioni diverse. Il divieto di cui all'art. 18 TFUE colpisce non solo le disposizioni di uno stato che fanno espresso riferimento al possesso della cittadinanza nazionale come criterio di applicazione ma anche quelle che producono nei fatti una discriminazione nei confronti dei cittadini dell'Unione: ad esempio questo avviene nel caso di una disposizione che preveda un trattamento differenziato in ragione del domicilio della residenza, infatti questo criterio opera principalmente a danno dei cittadini di altri stati membri in quanto il più delle volte le persone che non hanno il domicilio nel territorio dello stato sono proprio i cittadini degli altri stati membri. I diritti che caratterizzano in modo specifico lo status di cittadino dell’Unione ❖ L'elenco dei diritti del cittadino dell'Unione enunciati all'art. 20 TFUE comincia dalla riconoscimento a questi di un diritto generalizzato di circolazione e soggiorno nel territorio degli stati membri, la scelta non è casuale in quanto è la libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione che dà il vero senso della cittadinanza dell'Unione e ne contraddistingue la finalità, in quanto la possibilità di spostarsi nel territorio degli altri stati membri come se si fosse nel territorio nazionale radica l'idea dell'Unione come uno spazio unitario ed identitario; in realtà la libera circolazione dei cittadini degli stati membri fa parte 87 ➢ l’art. 4 paragrafo 3-4, artt. 5-6 TFUE i settori in cui l'Unione ha competenza per svolgere azioni intese a sostenere, coordinare o completare l'azione degli stati membri, ossia il coordinamento delle politiche economiche, delle politiche occupazionali e delle politiche sociali degli stati membri, ricerca, sviluppo tecnologico e spazio, cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario, tutela e miglioramento della salute umana, industria, cultura, turismo, istruzione, formazione professionale, protezione civile, cooperazione amministrativa ➢ l’art. 2 paragrafo 4 TFUE stabilisce che l'Unione ha competenza, conformemente alle disposizioni del TUE, per definire ed attuare una politica estera e di sicurezza comune, compresa la definizione progressiva di una politica di difesa comune. Questa elencazione comporta comunque che vi sia un panorama generico delle competenze conferite all'Unione, infatti l'elencazione non risulta del tutto esaustiva almeno per quanto riguarda i settori in cui all'Ue spetta una competenza concorrente con quella degli stati! l'art. 4 paragrafo 2 TFUE si limita ad enumerare solo principali settori; inoltre i settori in cui le istituzioni sono chiamate a esercitare una loro competenza sono individuati in modo non uniforme e talvolta ampio per poter fornire un'indicazione precisa o anche solo approssimativa in ordine all'effettiva portata delle corrispondenti competenze attribuite all'unione. Si evince come gli articoli elencano i settori in cui l'Unione esercita la sua competenza ma non le competenze che l'unione effettivamente esercita in quei settori in quanto da quella lista non può quindi dedursi che alle istituzioni dell'Unione siano conferiti i poteri di azione generali ed illimitati!infatti l'art. 2 paragrafo 6 TFUE al fine di determinare l'effettiva portata e la modalità di esercizio delle competenze dell'Unione stabilisce che bisogna rifarsi alle disposizioni dei trattati che sono nello specifico dedicate a ciascuno di quei settori: tuttavia anche alla luce di queste disposizioni l'individuazione della portata precisa di una competenza dell'Unione non è facile, in quanto all'interno dei trattati le modalità con cui le specifiche competenze sono definite sono molto variabili e non permettono di definire confini precisi. La Corte di Giustizia ha pertanto sostenuto la necessità di interpretare in senso evolutivo le modalità e la natura degli interventi che il Trattato istitutivo consentiva alla comunità, ad esempio ricomprendendo nella competenza in materia di politica commerciale anche misure non espressamente menzionate nel Trattato, poiché la nozione di politica commerciale allo stesso contenuto sia nell'ambito della sfera di azione di uno stato sia nella sfera di azione comunitaria; inoltre la Corte ha affermato il principio di carattere generale secondo cui quando una disposizione degli stessi trattati affida alle istituzioni un compito preciso si deve ammettere se non si vuole privare di qualsiasi efficacia detta disposizione che questa attribuisca ai trattati i poteri indispensabili per svolgere questa missione!un' applicazione importante di questo principio si rinviene in relazione alla competenza della comunità a concludere accordi internazionali con stati, infatti la Corte ha affermato che ogni qualvolta il diritto comunitario abbia attribuito alle istituzioni della comunità di determinati poteri sul piano interno al fine di realizzare un determinato obiettivo, la Comunità è competente ad assumere gli impegni internazionali necessari per raggiungere questo obiettivo anche in mancanza di espresse disposizioni a riguardo: si tratta del principio del parallelismo tra competenze interne e competenza esterne, che oggi trova specifica disciplina nell'art. 3 TFUE, che precisa che l'Unione ha competenza per la conclusione di accordi internazionali quando la conclusione è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno. La clausola di flessibilità - La clausola di flessibilità consente a determinate condizioni l'azione dell'Unione anche al di fuori di un’attribuzione specifica di competenza! l'art. 352 TFUE stabilisce che se un’azione dell'Unione appare necessaria nel quadro delle politiche definite dai trattati per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio deliberando all'unanimità su proposta della Commissione previa approvazione del Parlamento europeo adotta le disposizioni appropriate. Si evince quindi come la clausola di flessibilità nasca con la finalità di ovviare alla rigidità del principio di attribuzione, che impedirebbe alle istituzioni di prendere misure indispensabili a fronte degli sviluppi del processo di integrazione europea ma che i trattati non hanno previsto poter essere adottate dalle istituzioni in quanto non hanno a queste conferito i necessari poteri--> nei Trattati istitutivi della 90 Comunità Europea la clausola di flessibilità è servita per dotarsi in settori di sua competenza di strumenti organici o normativi che non erano riconducibili alle disposizioni del Trattato della Comunità Europea ma questa clausola ha altresì consentito alla comunità di ampliare i propri ambiti di azione, permettendo alle istituzioni di agire in settori che anche se correlati alla realizzazione di un obiettivo della Comunità Europea tuttavia non facevano ancora parte di una specifica attribuzione di competenza. Va osservato che il ricorso alla clausola di flessibilità è soggetta a condizioni procedurali specifiche! infatti è stata prevista la condizione di una delibera all'unanimità del Consiglio su proposta della Commissione previa consultazione del Parlamento europeo e inoltre con il Trattato di Lisbona è stata aggiunta la condizione della previa approvazione del Parlamento; inoltre l'art. 352 paragrafo 2 TFUE estende a tutte le proposte della Commissione basate su questo articolo il meccanismo di controllo del principio di sussidiarietà disciplinato da un protocollo allegato ai trattati che assoggetta a possibili obiezioni dei parlamenti nazionali le iniziative normative dell'Unione. Un limite intrinseco al ricorso alla clausola di flessibilità è stato elaborato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia che ha ritenuto che la clausola di flessibilità, essendo parte integrante di un ordinamento istituzionale basato sul principio delle competenze di attribuzione, non può costituire il fondamento per ampliare la sfera dei poteri dell'Unione al di là dell'ambito generale che risulta dalle disposizioni dei trattati, in particolare quelle che definiscono i compiti e le azioni dell'Unione; inoltre questa clausola non può essere utilizzata quale base per l'adozione di disposizioni che condurrebbero sostanzialmente a una modifica del trattato che sfugga alla procedura prevista dal Trattato stesso. Altro limite di applicazione della clausola di flessibilità è il settore della PESC, in quanto il paragrafo 4 prevede espressamente che questo settore rimanga escluso dall'applicazione di siffatta clausola, questa esclusione è volta ad evitare il rischio che attraverso un'azione presa ex art. 352 si alterino i meccanismi specifici di questo settore in quanto se gli obiettivi della PESC fossero perseguibili mediante clausola di flessibilità Commissione e Parlamento europeo finirebbero per giocare in questo settore un ruolo che andrebbe al di là di quello loro riservato dal TUE. Competenze esclusive e competenze concorrenti e parallele - L'art. 2 TFUE ripartisce le competenze dell'Unione in diverse categorie che sono individuate in funzione del rapporto che esiste tra queste competenze e quelle degli stati membri--> l'articolo afferma che quando i trattati attribuiscono all'Unione una competenza esclusiva in un determinato settore, solo l'Unione può legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti. Gli stati membri possono farlo autonomamente solo se autorizzati dall'Unione oppure per dare attuazione agli atti dell'Unione: la norma si può evincere come riprenda la giurisprudenza della Corte di giustizia secondo la quale il carattere esclusivo di una competenza trasferita all'Unione comporta in linea di principio che solo l'unione possa agire in quella determinata materia; la Corte in particolare con riferimento alla conservazione delle risorse biologiche marine nel quadro della politica della pesca osservava che la competenza ad adottare i provvedimenti destinati alla conservazione delle risorse ittiche spetta pienamente alla CE, perciò gli stati membri non hanno più il diritto di esercitare una competenza autonoma in materia di provvedimenti di conservazione trattandosi di materia di esclusiva competenza della comunità e inoltre gli stati non possono farlo né agendo singolarmente né agendo collettivamente; tuttavia ha precisato la Corte che i provvedimenti degli stati membri sono ammissibili solo se specificamente autorizzati dalla Comunità!un'autorizzazione è resa necessaria quando le istituzioni non abbiano ancora esercitato la loro competenza esclusiva, al fine di evitare che venga a determinarsi un vuoto normativo in quel settore ed ecco che gli stati agiscono in veste di gestori dell'interesse comune. Si deve osservare che l'esistenza di una competenza delle istituzioni non fa venir meno alle corrispondenti competenze degli stati membri, anche se nel momento in cui le istituzioni esercitino le competenze previste gli stati membri saranno tenuti a rispettare ed applicare gli atti che ne saranno derivati!questo non significa che gli stati sono spogliati della loro competenza in quanto saranno comunque liberi di agire o di legiferare in quella determinata materia MA le misure che prenderanno non devono essere contrarie agli obblighi imposti dall'Unione; questo è vero quando il permanere in capo agli stati di una competenza simmetrica a quella dell'Unione si verifica senza che le 2 sfere di competenza siano destinate in linea di principio ad interferire tra loro in quanto in questo caso l'azione dell'Unione si prospetta come parallela a quella degli stati, dovendo le 2 azioni solo integrarsi sulla base 91 di un obbligo di coordinamento finalizzato a garantire la coerenza reciproca delle politiche nazionali e della politica dell'Unione, pertanto fatto salvo questo obbligo l'esercizio da parte delle istituzioni della propria competenza non determina il sopravvenire di un corrispondente limite formale alla libertà degli stati di agire in quella determinata materia. Invece nel caso in cui la competenza non esclusiva dell'Unione è destinata a intervenire nello spazio normativo di quello degli stati membri in questo caso la competenza degli stati si presenta come concorrente con quella dell'unione, ossia l'Unione e gli stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in quel settore e la competenza degli stati potrà essere esercitata unicamente nella misura in cui l'Unione non ha esercitato la propria!questo limite talvolta viene indicato direttamente nei Trattati, come nel settore della tutela dell'ambiente ma anche nei settori in cui i Trattati prevedono espressamente che l'armonizzazione delle legislazioni nazionali debba limitarsi a una regolamentazione minima della materia pertanto in questi casi gli stati non possono non rispettare quello standard minimo ma in ogni caso saranno liberi di mantenere o introdurre misure di protezione più rigorose di quelle adottate dall'Unione. Il fatto che una competenza torni o sia rimasta nelle mani degli stati membri non significa che gli stati membri siano liberi di esercitarla in piena discrezionalità, in quanto l'esercizio di competenze esclusive degli stati membri può essere condizionato dal diritto dell'Unione nella misura in cui quell'esercizio incide sul corretto funzionamento di tale diritto!questo può accadere in quei casi in cui aspetti di una materia di competenza dell'Unione sono lasciati espressamente dai trattati alla competenza degli stati in quanto strettamente legati a nozioni il cui contenuto nel caso concreto è frutto di una valutazione sovrana di ciascuno di questi; in questi casi la Corte di giustizia si è riservata il potere di giudicare a sua volta della valutazione effettuata dalle autorità statali al fine di verificare che questa non sia stata dettata da motivazioni estranee a quelle all'origine della riserva di competenza dello stato. La classificazione delle competenze dell’Unione - In alcuni articoli il TFUE enumera le competenze dell'Unione ripartendole in categorie! questa classificazione però non sempre aiuta a comprendere le ragioni dell’attribuzione di tali competenze nell’una o nell'altra categoria e inoltre la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha privilegiato una lettura letterale degli articoli del TFUE; di fronte al dubbio se l'istituzione di un titolo europeo di proprietà intellettuale fosse o meno competenza esclusiva dell'Unione la Corte si è limitata ad osservare che l'art. 118 TFUE ne attribuisce la competenza all'Unione e collega questa istituzione a un più efficace funzionamento del mercato per ricavarne il carattere concorrente di questa competenza sulla base della constatazione che il settore del mercato interno è inserito nella categoria delle materie di competenza concorrente. La difficoltà di comprendere i motivi della classificazione del TFUE a ciascuna delle specifiche competenze dell'Unione si può osservare in particolare per quanto riguarda i settori in cui l'Unione esercita competenza esclusiva, infatti non è facile rintracciare l'elenco di questi settori un elemento a loro comune tale da differenziare gli stessi da tutti gli altri settori in cui l'Unione esercita una sua competenza, secondo alcuni un elemento si può indicare nella circostanza che si tratta di settori in cui una gestione da parte delle istituzioni è connaturata agli obiettivi da perseguire tanto che un'azione autonoma da parte degli stati membri comprometterebbe la realizzazione di questi obiettivi, anche se si può constatare che solo alcuni settori di cui all'art. 3 TFUE sembrano rispondere a questa esigenza, come ad esempio il settore della politica monetaria nei confronti degli stati membri che abbiano adottato l'euro in quanto se la competenza fosse degli stati membri sarebbe una contraddizione e priverebbe di efficacia la gestione da parte delle istituzioni dell'Unione. Suscita perplessità il settore della conclusione di accordi internazionali allorché tale conclusione è prevista in un atto legislativo dell'Unione o è necessaria per consentirle di esercitare le sue competenze a livello interno o nella misura in cui può incidere su norme comuni o di modificarne la portata!si tratta di ipotesi di competenza esclusiva dell'Ue che è eterogenea rispetto agli altri casi di competenza esclusiva previsti dall'articolo, poiché l'esclusività della competenza dell'Unione qui è evocata in relazione a una modalità di esercizio della competenza che è da considerare esclusiva quando e nella misura in cui il contenuto dell'accordo sia già protetto sul piano interno da norme delle istituzioni o serva a porre tali norme, per cui non può più riconoscersi agli stati membri il potere di contrarre con gli stati terzi obbligazioni che incidono su queste norme. Per quanto riguarda le competenze non esclusive queste sono ripartite in 2 categorie: 92 personalità giuridica ed è in capo all'Unione che i rapporti giuridici internazionali precedentemente assunti dalla Comunità Europea continuano ad esplicare loro effetti. Le disposizioni che disciplinano l'azione esterna sono oggi raggruppate nel TUE e in una parte unica del TFUE: • nel TUE si dà conto dei principi e degli obiettivi generali dell’azione esterna dell’Ue, nonché della sua dimensione strettamente politica che è rappresentata dalla PESC e dalla PDSC (politica di sicurezza e difesa comune) • nel TFUE si regolano nel dettaglio sia gli strumenti attraverso cui l’azione prende corpo sia le politiche settoriali e le specifiche azioni dell’Ue che hanno nel rapporto di questa con paesi terzi la loro principale ragion d’essere. Sia la PESC sia la PSDC sia le altre politiche non esauriscono tutti i possibili elementi di cui si compone l'azione esterna dell'Unione, infatti devono essere considerati anche i profili esterni di tutte le altre politiche settoriali dell'Unione, come ad esempio la conclusione di accordi con paesi terzi che rientrano nell'esercizio delle competenze relative a queste politiche che concorrono a determinare la politica estera dell'Ue. L’art. 8 TUE chiama l'Ue a sviluppare con i paesi limitrofi attraverso gli strumenti tipici dell'azione esterna relazioni privilegiate al fine di creare uno spazio di prosperità e buon vicinato fondato sui valori dell'Unione e caratterizzato da relazioni strette e pacifiche basate sulla cooperazione, cd politica di vicinato. Nonostante la formale unitarietà acquisita con il Trattato di Lisbona l'azione esterna non si presenta come una politica dell'Unione in senso proprio ma si identifica con un insieme complesso e vasto di attività collegate tra loro dal fatto di contribuire alla partecipazione dell'Unione alla vita di relazione internazionale, nei settori in cui l'azione esterna dell'Ue consiste nell'attuazione sul piano internazionale di sue politiche interne, la competenza delle istituzioni è concorrente con quella degli stati, con la conseguenza che non ci può essere un esercizio contemporaneo della stessa da parte degli stati e da parte dell'Unione; per quanto riguarda la PESC la competenza che l'Ue è chiamata ad esercitare si caratterizza in modo differente non presentandosi come esclusiva né come concorrente ma al contempo non può essere assimilata del tutto neanche a una competenza parallela: tutto questo comporta un fattore di complessità nel funzionamento dell'azione esterna dell'Ue in quanto le diverse competenze e le diverse modalità di esercizio che fanno capo ai diversi settori dell'azione esterna possono comportare la necessità di delimitare i rispettivi ambiti di applicazione di questi ai fini dell'inquadramento di una determinata iniziativa dell'Unione. Questa complessità risulta accentuata dal fatto che anche dopo il trattato di Lisbona la PESC rimane soggetta a norme e procedure specifiche, questa specificità si manifesta nella caratterizzazione in senso intergovernativa dell'assetto istituzionale e procedurale che presiede al suo funzionamento, in cui si assiste a un ruolo dominante del Consiglio e alla marginalità del Parlamento europeo: questo non significa che ancora oggi la PESC si configuri come un pilastro separato in quanto queste norme e procedure specifiche oggi sono inserite all'interno di un sistema giuridico unico fondato sul TUE e TFUE alle quali queste norme risultano soggette: • da un lato data la diversità che esiste tra le regole e le procedure specifiche cui è soggetta la PESC e quelle applicabili agli altri settori dell'azione esterna, la necessità di delimitare i rispettivi ambiti di applicazione delle diverse componenti si pone in relazione alla PESC in maniera più forte di quanto non si prospetti nella rapporto tra le altre politiche ed azioni esterne dell'Unione • dall’altro lato questa operazione di delimitazione viene resa complicata nel caso della PESC dal fatto che il perimetro di questa competenza dell'Unione rimane vago, poiché l'art. 24 TUE si limita ad identificarlo genericamente con tutti i settori della politica estera e tutte le questioni relative alla sicurezza dell'Ue. Principi e obiettivi - Il paragrafo 3 art. 21 TUE dispone che nell'elaborazione e attuazione di questa azione nelle sue diverse componenti l'Unione rispetta i principi e persegue gli obiettivi di cui ai paragrafi 1 e 2!questi paragrafi elencano i diversi principi e obiettivi a cui deve uniformarsi la conduzione dell'azione esterna dell'Unione: 95 ▪ i primi coincidono con i valori fondanti dell'Unione, come ad esempio la democrazia e il rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite ▪ i secondi comprendono finalità generali che vanno dall'affermazione di questi valori fino alla tutela della sicurezza e dell’indipendenza ed integrità dell'Unione La funzione di questi principi ed obiettivi è quella di assicurare la coerenza generale della partecipazione dell’Ue alla vita di relazione internazionale, inquadrando la stessa all'interno di una cornice di politica estera unitaria; l'esigenza di coerenza è sottolineata nel Trattato trovando ragion d'essere nella pluralità di competenze che contribuiscono a questa azione e nelle diverse modalità e procedure di funzionamento che caratterizzano ancora adesso la PESC rispetto agli altri settori di azione esterna; tuttavia l'azione esterna non viene soddisfatta solo con il rispetto dei principi e degli obiettivi generali in quanto viene imposto alle istituzioni di assicurare la coerenza tra i vari settori dell'azione esterna e tra questi e le altre politiche dell'Unione, in particolare chiedendo al Consiglio e alla Commissione di provvedere in cooperazione tra loro e con l'aiuto dell'Alto rappresentante in particolare per quanto riguarda il settore della trasposizione dei principi e degli obiettivi generali dell'azione esterna come previsto dall'art. 22 TUE (in specie il Consiglio europeo deve provvedere con decisioni da prendere all'unanimità ma decide sulla base di raccomandazioni del Consiglio, che invece sono adottate secondo modalità procedurale di voto previste per ciascun settore interessato, pertanto nel settore della PESC le raccomandazioni devono essere prese all'unanimità su iniziativa dell'Alto rappresentante). I profili istituzionali. In particolare l’Alto Rappresentante e il SEAE - Ciascuna delle politiche e azioni da cui è composta l'azione esterna dell'Unione è governata da uno specifico apparato istituzionale e procedurale che si differenzia in misura più o meno significativa da quello delle altre in ragione delle scelte operate dalle norme dei Trattati che nello specifico disciplinano quella determinata politica o azione!di questo ne sono parti anche le istituzioni e le figure istituzionali del Consiglio europeo della Commissione e dell'Alto rappresentante: questo è vero per il Consiglio europeo, che esercita una funzione di indirizzo politico di tutte le attività dell'Unione e questo vale anche per il Consiglio, che è organo centrale dell'intero quadro istituzionale di questa e anche delle sue singole politiche e azioni; lo stesso può dirsi per la Commissione e l'Alto Rappresentante, anche se nel loro caso i ruoli si configurano come alternativi!sebbene la Commissione sia stata rimpiazzata dall'alto rappresentante per quanto riguarda il potere di iniziativa di cui disponeva nel quadro della PESC prima del Trattato di Lisbona, in ogni caso ancora oggi la Commissione gioca un ruolo in appoggio alle iniziative dell'Alto rappresentante. Per quanto riguarda l'Alto rappresentante il suo contributo al di fuori della PESC è implicito nel ruolo che questo è chiamato a svolgere all'interno della Commissione nel quadro del l'incarico di vicepresidente della stessa che si cumula con quello di Alto rappresentante!costui in questa duplice funzione finisce per essere responsabile della dimensione esterna dell'Unione ma si tratta di una responsabilità diversamente graduata: - nell’ambito tradizionale della PESC l’Alto rappresentante guida in prima persona la politica dell’Ue, ivi compresa quella di sicurezza e difesa comune - per quanto riguarda le altre competenze esterne dell’Ue le sue funzioni sono meno incisive! infatti costui può influire in qualche misura anche sulla proiezione esterna delle singole politiche settoriali di competenza della Commissione ma unicamente a titolo di mero coordinamento dei Commissari competenti Il SEAE è stato creato con il Trattato di Lisbona come una sorte di vero e proprio corpo diplomatico europeo! il TUE lo delinea come un organo Ue di natura ibrida, comunitaria-intergovernativa, per la sua composizione e per le sue funzioni, in quanto assiste l’Alto rappresentante, il Presidente della Commissione e la Commissione nell’esercizio delle loro funzioni nel settore delle relazioni esterne, ma al contempo è dotato di piena autonomia funzionale; tra i compiti c'è quello di assistere l'Alto rappresentante nell'esecuzione dei suoi mandati per quanto riguarda la Presidenza del Consiglio Affari Esteri, in quanto è affidata a questi funzionari la presidenza dei gruppi di lavoro e degli altri comitati coinvolti nella preparazione dei lavori; al SEAE fanno anche capo le delegazioni dell'unione presso i paesi terzi e le organizzazioni internazionali! prima del Trattato di Lisbona queste erano delegazioni diplomatiche della sola Commissione cui in alcuni casi si affiancavano anche delegazioni del Consiglio competenti per le questioni PESC; oggi sono invece delegazioni diplomatiche unitarie dell'Ue in quanto 96 tale, che rappresentano l'unione presso la sede di accreditamento in relazione a tutto lo spettro delle sue attività e competenze. Per quanto riguarda gli altri livelli di rappresentanza esterna dell'Unione vi sono delle complessità dell'azione esterna in quanto l'art. 17 TUE attribuisce espressamente alla Commissione il compito di rappresentare l'Ue; mentre per la PESC è l'Alto rappresentante che a nome dell'Unione conduce il dialogo politico con i terzi, invece negli altri casi spetta al Presidente del Consiglio europeo assicurare la rappresentanza dell'Ue al suo livello e nel caso della Commissione la sua rappresentanza può essere garantita sia dal suo presidente sia da uno degli altri membri; indipendentemente dal livello alla quale è assicurata nel caso concreto, la diversa titolarità della rappresentanza esterna dell'Ue in funzione di ambiti di competenza interessati comporta che la rappresentanza faccia capo a una pluralità di soggetti o istituzioni ma anche che questi ultimi finiscano per assicurarla congiuntamente. Questa diversa titolarità risulta disciplinata dai trattati in termini espressamente alternativi solo per quanto riguarda la responsabilità di negoziati internazionali diretti alla conclusione di accordi con paesi terzi o organizzazioni internazionali poiché a seconda che l'accordo da negoziare riguardi esclusivamente o principalmente la PESC o altre materie di competenza dell'Unione, spetterà all’alto rappresentante o alla Commissione rappresentare nel negoziato l’Ue. Gli strumenti: a) le misure autonome. In particolare le misure restrittive - L'azione esterna dell'Unione trova realizzazione da un lato attraverso la conclusione di accordi internazionali con paesi terzi e dall'altro lato per mezzo di misure autonome, che consistono in atti della sua unione volte a disciplinare profili generali di una delle politiche o azioni che fanno parte dell'azione esterna, l’Ue può ricorrere a queste misure autonome nei limiti in cui queste siano esplicitamente previste da un articolo dei trattati che consente alle istituzioni di adottarle definendo la procedura per farlo ed eventualmente il tipo di atto da utilizzare: - per quanto riguarda le politiche e azioni diverse dalla PESC la base giuridica prevede per tutte la possibilità che con procedura legislativa ordinaria vengano adottati atti per la definizione del relativo quadro di attuazione; per la politica commerciale viene data indicazione specifica riguardo al tipo di atto da adottare che è il regolamento mentre per gli altri settori il TFUE all'art. 207 si limita a un generico riferimento a misure - per quanto riguarda la PESC il TUE fornisce puntuali indicazioni in ordine agli strumenti giuridici e ai meccanismi procedurali attraverso cui l'Unione è chiamata a condurre sia l'azione di vera e propria politica estera sia la sua dimensione più militare, è espressamente esclusa l'adozione di atti legislativi in questo settore Si deve per osservare un cambiamento per quanto riguarda il tipo di atti adottabili dal Consiglio europeo e dal Consiglio, in quanto prima di Lisbona gli atti di cui queste istituzioni potevano servirsi nell'ambito della PESC differivano da quelli tipici oggi previsti nel TFUE! invece con il Trattato di Lisbona la decisione diventa l'unico tipo di atto a disposizione delle istituzioni nel quadro della PESC, poiché l'art. 25 TUE stabilisce in modo non equivoco che l'Ue conduce la politica estera e di sicurezza comune adottando decisioni; queste decisioni possono assumere contenuti e finalità diverse e tipizzati che replicano le caratteristiche degli atti ante Trattato di Lisbona, ossia decisioni che definiscono le azioni da intraprendere, decisioni che definiscono le posizioni da assumere e decisioni che definiscono le modalità di attuazione dei precedenti tipi di decisione MA non sono decisioni riconducibili alla categoria di cui all'art. 288 TFUE. L’art. 215 TFUE prevede la possibilità di un uso congiunto nel quadro dell'azione esterna dell'Ue di misure autonome PESC e di misure autonome riconducibili ad altri settori di attività delle istituzioni, che consistono in misure restrittive di carattere economico finanziario nei confronti di paesi terzi o di singoli - sanzioni possono ricomprendere anche misure diverse da quelle economico-finanziario, ad esempio restrizioni sui visti di ingresso nel territorio Ue; l’art. 251 TFUE specifica poi che laddove una decisione PESC riguarda l'interruzione o la riduzione delle relazioni economiche e finanziarie con uno o più paesi terzi o misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche, di gruppi o di entità non statali il Consiglio deve prendere le misure necessarie. 97