Scarica Riassunto Diritto della previdenza sociale e più Sintesi del corso in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! Lineamenti di diritto della previdenza sociale Riassunto Capitolo primo: ragioni e prospettive della previdenza sociale La questione sociale. L’introduzione di misure e istituti pubblici destinati alla protezione di chi vive del proprio lavoro è espressione del processo di trasformazione in senso sociale della nostra organizzazione. I fattori che lo hanno determinato sono numerosi ed eterogenei ma collegati alla questione sociale: cioè ai fenomeni sociali economici ed etici conseguenti alle profende trasformazioni della rivoluzione industriale che si era sviluppata in Inghilterra nel 1700. Si tratta di un percorso complesso, che insieme all’aumento delle capacità e delle forze produttive del sistema capitalistico ha generato un impoverimento di alcuni strati della popolazione. È un effetto della precarizzazione delle condizioni di vita per l’inurbamento della popolazione conseguente all’abbandono delle attività tradizionali. Si è determinata, così, una situazione socialmente intollerabile, cui hanno concorso più fattori: opinione pubblica aperta ai problemi sociali del lavoro, e l’influenza della dottrina sociale cristiana. In tutti i principali paesi europei si affermava la forza rivendicativa del movimento sociale. Questa vicenda non lasciò indifferenti i poteri pubblici, con cui diedero vita alle prime forme di protezione del lavoro e della famiglia che ha portato alla nascita di un nuovo settore dell’ordinamento giuridico: la legislazione sociale. Si tratta di un complesso normativo con il quale lo stato, abbandonando la neutralità, è intervenuto a tutela dei lavoratori e del corpo sociale con misure che potessero arginare il capitalismo. La strategia si è concretizzata attraverso misure repressive di comportamenti fraudolenti e attraverso disposizioni di diritto del lavoro per migliorare le condizioni di lavoro. Pertanto, si considera la legislazione sociale come la fase originaria del diritto di lavoro. La matrice non è stata unitaria. Nella prima fase gli interventi normativi risposero alla logica dell’ordine pubblico. Lo stato liberale è intervenuto a correggere le situazioni di rischio del lavoro, ma badava a non intaccare le regole sulle quali l’ordinamento si fondava. Per soddisfare l’esigenza di tutela del lavoratore occorreva scegliere tra i vari modelli operativi. In Italia la scelta è caduta sulla modalità di intervento di affidarsi a forme di auto protezione finanziate dalle stesse categorie interessate. La logica fu quella della sussidiarietà con cui fu prescelto lo strumento assicurativo: il sistema di assicurazioni sociali divenne nucleo del diritto della previdenza sociale. I fattori che portarono alla scelta furono: Ordine tecnico-economico: il perfezionamento degli studi statistici con il calcolo attuariale, con cui divenne possibile nell’ambito amministrativo calcolare rischi e premi, e allo stesso tempo, ridurre l’area nel contratto di assicurazione. Ciò rendeva la gestione pubblica comicamente più conveniente. Carattere politico-ideologico: l’assicurazione sociale rimaneva uno strumento di auto protezione. Duttilità tecnica. Garantiva un ruolo di controllo sociale. La prima forma di assicurazione sociale si sviluppò in Germania nel 1883, con il regno di Guglielmo I e il cancelliere Bismarck. In Italia venne riconosciuto solo in via complementare dell’iniziativa privata. Ciò in un’ottica di sussidiarietà, di un intervento protettivo pubblico da attuare solo in mancanza di insufficiente auto protezione. La differenziazione è stata causata dalla presenza di società di mutuo soccorso, cui lo schema assicurativo ripartiva nella collettività i rischi comuni; e le casse di risparmio finalizzate alla protezione del risparmio dei lavoratori. Il primo intervento statale fu la legge 17 marzo1898 n. 80, che rese obbligatoria per i datori di lavoro del settore industriale l’assicurazione contro gli infortuni. Si è fatto leva sul principio del rischio professionale, cioè su di un criterio di imputazione della responsabilità civile, che si fondava sull’accollo del danno in capo a chi trae i più diretti vantaggi dell’attività in relazione al cui esercizio il danno si produce e astrattamente idoneo a far gravare sull’imprenditore la responsabilità di tutti i danni subiti. Questa si è dimostrata lo strumento per la socializzazione del danno. La duttilità della struttura assicurativa consente di far sì che l’onere finanziario possa esser variamente distribuito tra le varie categorie interessate, grazie all’intervento della solidarietà generale. Sono proprio le caratteristiche tecniche dello strumento che consentono al legislatore di attuare le diverse politiche selettive, in termini tanto di controllo sociale che di acquisizione del consenso. Inoltre, essendo uno strumento solidaristico, ma idoneo al mantenimento anche di forme separate di tutela, si è resa possibile l’articolazione di pluralismo previdenziale, cioè distinte per categorie professionali. La versatilità ha permesso che la disciplina delle pensioni potesse assumere il ruolo di sede elettiva per le politiche di ridistribuzione della ricchezza. In Italia si parla invece di redistribuzione “alla Rovescia” che hanno finito per avvantaggiare le categorie socioeconomiche più forti. Il riferimento ideale di tali programmi, sul piano storico, resta legato ai principi del New Deal e in Inghilterra dal rapporto redatto da W. Beveridge. (prospetta un modello di erogazioni di prestazioni e servizi a tutti i cittadini in condizioni di bisogno, finanziato dalla fiscalità generale). Il livello di tutela complessivo assicurato dallo stato sia risultante dall’integrazione e dell’interrelazione degli strumenti sia del circuito pubblico che privato. Il serbatoio delle risorse finanziarie segue una logica di corrispettività. Tale situazione riconduce agli interrogativi sui criteri identificativi dei territori della previdenza sociale. Dal punto di vista strutturale: l’elemento distintivo è rappresentato dall’assoggettamento a regole e istituti giuridici concepiti e strutturati, come l’assicurazione sociale. Dal punto di vista funzionale: forme dell’azione sociale dello stato sono destinati ad integrarsi e combinarsi l’un l’altro. Sostanziale fungibilità. Il fine suddetto può realizzarsi attraverso il concorso del circuito privato nelle varie forme di auto protezione. tale articolata e composita situazione, risultante dal concorso di forme di tutela sociale plurime o di diversa fonte, va comunemente sotto il nome di sicurezza sociale. L’attuale stato di crisi. Vi è la crisi del modello assicurativo, non solo perché il modello tradizionale non ha più carattere di centralità, ma anche perché quella disciplina si raccorda sulla base di un criterio selettivo meritocratico, cioè calibrato sull’entità dell’apporto lavorativo e contributivo del soggetto assicurato. Conseguenza: attività di lavoro intermittente tende ad avere ridotte possibilità di tutela pensionistica. I nuovi scenari impongono un riproporziona mento delle funzioni dello stato sociale. In questo contesto le assicurazioni sociali non perdono la loro funzione, e appare proiettata verso una dislocazione periferica, verso una collocazione integrata con interventi di protezione sociale di diverso genere e provenienza. Il futuro sembra aprirsi ad una prospettiva di welfare mix risultante dalla combinazione di prestazioni economiche e servizi. Diritto dell’Unione Europea. L’immissione nell’ordinamento statale delle norme euro-unitarie direttamente applicabili costituisce la conseguenza della loro derivazione da una fonte esterna, a competenza riservata, la cui rilevanza deriva dagli art. 11 e 117. La sicurezza sociale non è considerata nel Trattato di Roma (CEE) del 1957, come oggetto di autonomo intervento comunitario, bensì come mezzo di garanzia della libera circolazione delle forze di lavoro: come strumento per la realizzazione di questo obiettivo. Gli influssi si sono realizzati nell’ambito delle politiche di coordinamento e armonizzazione. Il coordinamento dei diversi sistemi nazionali è l’obiettivo del TFUE art.48 che si propone di sviluppale la funzione dell’esigenza di assicurare la libera circolazione dei lavoratori e dei cittadini. A tale scopo i regolamenti sviluppano i principi fondamentali del coordinamento del sistema di sicurezza sociale degli stati membri al fine di assicurare la garanzia della libera circolazione in UE. Funzione che si assolve con una fitta trama di regole intorno ad alcuni principi: parità di trattamento in base alla nazionalità. L’ordinamento UE non detta una specifica disciplina previdenziale, ma si limita a stabilire regole dirette a far sì che l’applicazione delle legislazioni nazionali non provochi disincentivi alla libera determinazione del lavoratore. L’ armonizzazione , attraverso le direttive, ha l’obiettivo di promuovere il miglioramento delle condizioni di vita di lavoro attraverso una politica sociale da concordarsi tra i paesi membri. L’azione sociale dell’unione interviene quando gli obiettivi di questa azione non possano essere sufficientemente realizzati dagli stati membri. Ciò è espressione del principio di sussidiarietà: che allude ad un intervento dell’Ue non solo limitato alle competenze dei trattati, ma che tenga conto anche delle realtà nazionali. A garanzia della libera circolazione dei lavoratori opera il principio di totalizzazione, che permette al lavoratore migrante di cumulare, senza oneri aggiuntivi e al fine dell’acquisizione di un’unica pensione, tutti i periodi di assicurazione e contribuzione maturati nei paesi UE. I lavoratori occupati nel territorio di uno stato membro sono assoggettati alla legislazione di questa per la disciplina previdenziale, indipendentemente dalla residenza. Si tratta del principio lex loci laboris, che attua il principio di parità e reciprocità, ma protegge anche il sistema nazionale da possibili pratiche discorsive. La individuazione della legislazione di sicurezza sociale è invece affidata alla lex loci domicilii, nel caso di soggetti economicamente non attivi, ai quali si applica in via di principio la normativa del paese nel quale risiedono. Inoltre, il principio di esportabilità delle prestazioni previdenziali rappresenta una deroga al principio di territorialità delle legislazioni nazionali. Con la combinazione di questi principi le prestazioni pensionistiche, spettanti in base allo stato UE, non possono essere sospese, ridotte o revocate per il fatto che il beneficiario trasferisca la residenza in un paese membro, ma devono continuare ad essere erogate con le stesse modalità anche oltre frontiere, dall’istituzione debitrice. Il processo dell’estensione ha trovato il suo punto di arrivo nel regolamento art.2 n. 833/2004, che ha esteso la disciplina a tutti i cittadini degli stati membri UE. Inoltre, con il regolamento 1213/2003 si è estesa anche ai cittadini di paesi terzi legalmente residenti. La giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’UE rende delle interpretazioni estensive. Esempio: il concetto di lavoratore migrante, lo sviluppo è stata l’inclusione nella sfera di applicazione della disciplina europea anche delle categorie dei lavoratori autonomi, forme di assicurazione obbligatorie proprie dei lavoratori subordinati. Inoltre, si è accolto anche il principio del carattere attrattivo della sicurezza sociale, tutte le volte in cui ricorrano elementi che partecipino ai caratteri degli istituti di previdenza sociale. Non va dimenticato il ruolo della corte per il principio di parità di trattamento tra i sessi anche in ambito pensionistico. 3. Ed è proprio la matrice assicurativa della previdenza sociale ad aver contribuito a determinare l’assunzione del rapporto giuridico previdenziale, e la ideale riconduzione delle assicurazioni sociali ad un modello caratterizzato da una interdipendenza tra obbligo contributivo e diritto alla prestazione. Il Codice civile dedica alla materia della previdenza obbligatoria: gli art. 2114-2116, sulla disciplina di contribuzione e prestazione; l’art. 1886, 2110, 2117 e 2123. Nell’affrontare il problema della costituzione del rapporto giuridico “previdenziale”, la Corte costituzionale indica la fonte di tale rapporto nei fatti giuridici nominati dall’art. 38: l’infortunio la malattia l’invalidità, la vecchiaia e la disoccupazione. Vi è, quindi, il parallelismo tra il rapporto giuridico assistenziale con i fatti collegati all’inabilità al lavoro e l’assenza di mezzi necessari. È da ritenere che venga impropriamente scambiata per fonte di esso una situazione in realtà successiva alla sua costituzione: la realtà fattuale il cui verificarsi, ne determina l’operatività. Ciò si può constatare empiricamente nel modo in cui allude ad un complesso di situazioni le quali trovano nello svolgimento dell’attività lavorativa la loro giustificazione sostanziale. Si tratta di situazioni che risultano collegate tra loro da un fine comune: la tutela di chi esercitando un lavoro può trovarsi pregiudicato o impedito. Lo Stato avvalendosi delle assicurazioni sociali e di appositi organismi strumentali alla propria azione, provvede ad allestire, su di un versante esterno, forme e strumenti di tutela degli interessi di chi vive del proprio lavoro. La stessa fonte legislativa che si fonda sul lavoro e che dichiara che esso è meritevole di tutela, garantisce una particolare protezione quando del lavoro siano pregiudicate le possibilità. Il riferimento al rapporto giuridico previdenziale rivela tutta la sua complessità, si tratta di definire cioè la sua intima struttura. Il principale fattore della sua problematicità si collega con l’origine stessa della previdenza sociale. Già nel momento in cui deciso l’an della protezione sociale dei lavoratori dai rischi professionali, nel decidere il quomodo è stata operata la scelta dell’impostazione assicurativa, si è scelto di conformare all’ideologia dominante dell’epoca. La nozione di questo rapporto si riconduce alle assicurazioni sociali e alla struttura delle assicurazioni commerciali. C’è da aggiungere che la sua collocazione in quell’epoca storica non poteva non concorrere ad una unificazione integrata. La suddetta concezione trilaterale può dirsi superata l’evoluzione della legislazione ordinaria, rende evidente il collegamento ideale della tutela dei lavoratori ad un’esigenza di carattere pubblico, rispetto cui la soddisfazione degli interessi individuali rivela come finalità intermedia. Un rovesciamento che non può essere privo di effetti teorici e pratici. La concezione pubblicistica postula un limite al livello di protezione sociale garantita dall’art. 38: il limite della rilevanza sociale dell’interesse da soddisfare; oltre la garanzia costituzionale non si spinge, non avendo una specifica giustificazione. Comunque, il legislatore ordinario può determinarsi ad accrescere le tutele esistenti. Questa eventualità manifesta una particolarità del rap previdenziale: quella di racchiudere un nucleo resistente, ed una parte aggiuntiva che il legislatore ordinario può intaccare a sua discrezione, salvo razionalità. C’è una contrapposizione tra finalità pubblicista e connotazione privatistica. Dal punto di vista tecnico vi è una scissione tra il “momento contributivo” e il “momento dell’erogazione della prestazione”. È solo attraverso quest’ultima che trova soddisfazione l’interesse pubblico e si realizza l’obiettivo finale del servizio della collettività. L’apporto contributivo svolge un ruolo essenzialmente strumentale, ossia da mezzo per la provvista delle risorse finanziarie. Non ricorre, dunque, un unico rapporto ma una realtà che si scompone nelle due situa. Il fatto che il rapporto giuridico previdenziale sia quello che intercorre tra gli enti previdenziali e i soggetti destinatari dell’erogazione di per sé, non impedisce la possibilità l’appartenenza alla medesima categoria del rapporto dell’obbligazione contributiva. Tale rapporto ha una comunanza di fine. Tra i due rapporti elementari c’è una innegabile interrelazione, ma bisogna considerare il momento costitutivo di ciascuno dei due suddetti rapporti elementari: Il rapporto erogativo. Il rapporto che intercorre tra enti previdenziali e soggetti protetti e realizza la sua funzione al momento dell’erogazione della prestazione. Cioè non si instaura nel momento in cui maturano i requisiti del diritto alle prestazioni destinate a quest’ultimo, bensì in un momento precedente. In altri termini occorre tener distinto il vincolo e i suoi effetti, e il momento costitutivo del primo e il momento in cui matura il secondo. Il vincolo intersoggettivo si instaura ben prima dell’effetto finale. (situazioni in cui la legge riconosce al soggetto della prestazione posizioni giuridiche attive, configurabili come veri diritti soggettivi) Il rapporto contributivo. Rapporto che assicura la provvista. L’obbligo che grava sull’ente previdenziale è quello di comunicare al lavoratore i dati relativi alla propria posizione previdenziale e pensionistica. Si tratta di relazioni tra ente previdenziale e il soggetto protetto che non avrebbero senso se non possono esser espressione di un rapporto giuridico. Nello stesso tempo si deve riconoscere che, il rapporto previdenziale, non si limita alle prestazioni, ma è un rapporto di questo tipo anche quello che ha ad oggetto un programma di posizioni attive e passive. Il fenomeno giuridico è caratterizzato da una pluralità di rapporti, i quali si distinguono l’uno dall’altro per contenuti e regolamentazione. 4. Il sistema delle assicurazioni sociali è a vocazione universalistica, ma ha fatto fatica a diffondersi oltre i confini del lavoro subordinato. Fin dalle origini la tutela è stata prevalentemente rivolta a favore del lavoro subordinato. L’estensione di questa tutela al lavoro autonomo si è realizzata per gradi e soltanto per quelle categorie che, per la particolare debolezza socioeconomica, hanno potuto esser considerate contigue alla categoria subordinata. Il fenomeno è espressione della forza espansiva del diritto del lavoro. Una importante manifestazione di ciò è rappresentato dall’art. 2 d.lgs. n.81/2015. Tale disposizione stabilisce che dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche a quei rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro personali, continuative, le cui modalità sono organizzate dal committente. La fattispecie attribuisce lo statuto protettivo del lavoro subordinato a rapporti che conservano natura autonoma. Il processo di generalizzazione della tutela previdenziale al lavoro autonomo è stato lento. Soltanto in anni recenti si è passati all’ambito protettivo previdenziale di tutti i produttori di reddito di lavoro. Da un certo momento l’obbligo assicurativo è stato progressivamente esteso ai lavoratori autonomi parasubordinati, agli incarichi delle vendite, ecc. La legge di riforma pensionistica del 1995 ha esteso il sistema delle assicurazioni sociali a quelle categorie di liberi professionisti fornite di albo, prive di una specifica tutela sociale. La tutela è stata anche estesa a soggetti che svolgono una funzione di rilevanza sociale, generatrici di lavoro non destinato al mercato ma produttive di ricchezze indirette. 5. Le competenze in materia di previdenza sono ripartite tra le varie strutture dall’art. 117 Cost. La potestà legislativa in questa materia attribuita dalla norma costituzionale in via esclusiva dallo Stato. Le Regioni hanno potestà legislativa concorrente in materia di tutela della salute e in materia di previdenza complementare e integrativa, oltre che in ogni materia non espressamente riservata allo stato. Attribuzioni primarie in materia previdenziale sono riconosciute dai relativi Statuti soltanto alle Regioni e Ed eventi protetti sono quelli espressamente indicati dall’art. 38: l’infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia. Ciò non vuol dire che a detta elencazione debba esser riconosciuto valore tassativo, basta considerare che non figura un evento grave come la morte, che non può essere lasciato privo di tutela. Sono state acquisite, quindi, forme ulteriori di tutela quali: la tutela previdenziale dei familiari superstiti del lavoratore assicurato, quella che garantisce dall’insolvenza del datore di lavoro i crediti retributivi. Proprio perché l’evento è considerato protetto è ad esso estraneo il concetto di rischio. La disposizione di diritto comune che dichiara nullo il contratto di assicurazione, se il rischio non è mai esistito o ha cessato di esistere prima della conclusione del contratto stesso, in via di principio non trova applicazione in campo previdenziale: di per sé la precostituzione al rapporto assicurativo previdenziale della condizione oggettiva, non rende nullo il rapporto, e di per sé non impedisce il godimento delle prestazioni previdenziali. Il diritto alla tutela non resta impedito dal fatto che a determinare l’evento abbiano concorso fatti colposamente provocati o aggravati dall’assicurato stesso. Ai sensi di quanto si evince oggetto della tutela sono i mezzi adeguati: cioè prestazioni che siano di carattere ed entità tali da soddisfare le esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia. Quanto al significato del concetto di adeguatezza dei mezzi della garanzia costituzionale, il precetto che la fonda è espressione del principio di solidarietà, e insieme criterio attuativo delle istanze di parità sostanziale. Le difficoltà che si incontrano nel determinare in concreto l’adeguatezza, sono l’effetto combinato della oggettiva relatività del termine e di una certa ambiguità della norma che lo contiene. L’individuazione di livelli e meccanismi è riservata alla valutazione discrezionale del legislatore, che si fonda su un ragionevole bilanciamento dei valori e degli interessi costituzionali coinvolti. Va riconosciuta che suddetta garanzia non può estendersi fino ad un trattamento strettamente rapportato a livello retributivo raggiunto. Infatti, il rilievo del profilo meritocratico può essere solo tendenziale. Questa ratio è quella di garantire sostegno e promozione sociale nell’ambito del perseguimento di un interesse di ordine pubblico. Ad oggi solo in pochi casi la legge ordinaria risulta protesa a garantire la conservazione del livello di reddito raggiunto. Il legislatore si preoccupa di garantire nel tempo e nell’oggetto l’effettività della tutela. A garantirla nel quantum ha provveduto l’integrazione al minimo delle prestazioni pensionistiche, che consiste quando nel periodo assicurativo è particolarmente breve, viene assicurato un importo minimo alla pensione; a patto che ricorrano i minimi assicurativi e di contribuzione, e l’assicurato non sia titolare di redditi annui, di importo superiore ad un determinato limite, e quando ricorra questa circostanza si renda ingiustificato l’intervento solidaristico. La riforma pensionistica del 1995 ha abolito detta misura, idealmente affidando il ruolo all’assegno sociale: cioè dalla prestazione pensionistica di natura assistenziale, che viene riconosciuta a tutti i cittadini ultra 65 se sprovvisti di reddito. Il secondo strumento è rappresentato dalla perequazione automatica dell’importo delle prestazioni economiche alle variazioni del costo della vita. Si tratta di un espediente tecnico per assicurare in via automatica il necessario mantenimento della condizione di adeguatezza delle prestazioni previdenziali stesse. La vera novità sta nella scelta di incardinare forme di previdenza complementare nel sistema. Capitolo terzo. Costituzione e autonomia del rapporto previdenziale Il momento costitutivo delle relazioni giuridiche di natura previdenziale è unico ed automatico. Si tratta del momento stesso in cui si costituisce il rapporto di lavoro subordinato o ha inizio l’attività di lavoro autonomo o altro tipo di attività. Detti eventi assumono il carattere di presupposto fattuale necessario e sufficiente per l’instaurarsi di quella situazione giuridica complessa: il rapporto previdenziale. Ed è proprio ciò che si intende esprimere quando si afferma che esso obbligatorio. La costituzione di detto rapporto dipende non, da un atto di volontà, ma dal materiale verificarsi del fatto presupposto dalla legge. Perciò. L’intervento di uno specifico atto dell’ente previdenziale, che certifichi l’assicurazione, assume mero valore ricognitivo di un rapporto cui la costituzione è avvenuta in modo automatico. Ciò vale per: Il rapporto contributivo, l’obbligazione contributiva. Sorge nel momento stesso in cui inizia l’attività lavorativa e non per l’effetto dell’atto di iscrizione dell’ente previdenziale. Ciò vale anche per il rapporto che ha come fine l’erogazione delle prestazioni. La manifestazione di volontà dell’interessato non è elemento costitutivo del rapporto in questione. Il diritto alle prestazioni matura in capo al soggetto protetto solo nel momento in cui si verifica l’evento generatore dello stato di bisogno della norma. Non può sfuggire come questa situazione rappresenti solo l’effetto ultimo del rapporto in questione, il quale è già pienamente operativo. In effetti, in passato è sembrato ad alcuni che la posizione del lavoratore rispetto ai doveri strumentali degli enti fosse tutelata in maniera indiretta e priva di autonomia. Oggi, invece, si afferma che questi soggetti sono destinatari di forme di protezione “intermedie”. Si tratta di manifestazioni finalizzate a quel securum facere dei singoli. Possono considerarsi rappresentativi di questa situazione di piena e diretta azionabilità delle posizioni strumentali: il diritto al trasferimento della contribuzione ad altro ente previdenziale; l’immediata azionabilità dell’interesse del lavoratore al regolare svolgimento della posizione assicurativa. Ciò riguarda solo il rapporto di base previdenziale. Altrettanto non può dirsi per le forme di previdenza contrattuale. Es: il rapporto previdenziale complementare, la cui costituzione è subordinata ad un atto di autonomia privata, facoltativo; risponde a logiche specifiche; è riconosciuto soltanto a chi sia titolare di un rapporto di previdenza obbligatoria. La scelta compiuta dal legislatore, d.lgs. n.252/2005, di rimettere all’atto volontario del soggetto l’adesione ad una forma pensionistica complementare è giustificata alla stregua del principio della libertà dell’assistenza privata. Va considerata che la medesima situazione di fatto determina l’insorgenza in capo al medesimo soggetto una pluralità di rapporti del medesimo genere. Nel vigente ordinamento, la tutela previdenziale trova attuazione per mezzo di una rete di assicurazioni sociali, distinte per eventi: le assicurazioni per l’invalidità, La vecchiaia e la morte; per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali; disoccupazione involontaria, ecc. Ciò vale sia per i lavoratori del settore privato, quanto per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni e i lavoratori autonomi. Il numero effettivo dei rapporti assicurativi che insorgono all’atto stesso in cui l’attività considerata dalla legge ha inizio e dipende dai caratteri dell’attività di cui si tratta. Es: vi sono rapporti di lavoro subordinato, dove non ricorre il rischio di disoccupazione dei soggetti coinvolti; è per questo la legge esclude l’obbligo della relativa assicurazione. Altro, la cassa integrazione guadagni è riservata solo all’attività di alcuni settori. Bisogna tener conto, anche, che in alcune situazioni, il medesimo rapporto previdenziale può coinvolgere più soggetti. È quanto avviene nell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti e nell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, nelle quali soggetti protetti sono anche i familiari del lavoratore assicurato; e detti sono destinatari iure proprio della tutela previdenziale per il caso di morte del congiunto. Inoltre, nei loro confronti è obbligato, l’ente previdenziale, all’adempimento di una serie di obblighi strumentali, obblighi d’informazione. 2. Tra il rapporto che ha ad oggetto le prestazioni e il rapporto avente la contribuzione, non sussiste un nesso di interdipendenza: nel senso che il diritto alle prestazioni matura anche in assenza di adempimento dell’obbligazione contributiva. L’ente previdenziale non può opporre al lavoratore l’inadempimento contributivo del datore di lavoro. Ciò è quanto suole esprimersi, quando si fa riferimento al principio di automaticità delle prestazioni: “le prestazioni sono dovute anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza sociale”. Originariamente introdotta nell’assicurazione contri gli infortuni e malattie professionali, questa regola non ha acquisito subito effettiva rilevanza generale. Ciò è avvenuto solo più tardi. Va osservato, che seppur esteso a tutte le forme di tutela, il principio di automaticità delle prestazioni non ha valenza assoluta e non è ritenuto costituzionalmente necessitato. Esso resta appannaggio del solo lavoro subordinato. All’applicazione di detto principio, rimane estranea la platea dei lavoratori autonomi. È quanto il legislatore ha voluto precisare con una norma destinata a superare alcune incertezze. Detto principio non ha valenza assoluta neppure negli ambiti nei quali espressamente opera. Ciò perché, trova attuazione solo all’interno dell’arco temporale di prescrizione dei contributi (art.40 l. 153/69). Tale limite implica che l’ente previdenziale, pur non potendo in via generale, opporre al lavoratore l’inadempimento contributivo, può opporre gli effetti di quell’inadempimento in relazione alle singole obbligazioni contributive per le quali sia decorso il termine di prescrizione. Anzi esso Deve. In materia vige il principio di irricevibilità dei contributi prescritti, principio confermato dall’art. 3 l.n.355/95. In sostanza non è consentito all’ente previdenziale di avvantaggiarsi della eventuale disponibilità del soggetto debitore di rinunciare a far valere la prescrizione. Si tratta della manifestazione di uno specifico atteggiarsi della prescrizione nella materia previdenziale. Tale limite al principio di automaticità non ha motivo di esser avvertito per tutte le ipotesi di omissione contributiva. Diversamente accade per le prestazioni pensionistiche. La legge di riforma ne è la prova. L’effettività del principio di automaticità risulta sensibilmente rafforzata anche nel regime generale dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, vecchiaia e i superstiti per effetto della norma, secondo cui in caso di assoggettamento del datore di lavoro a procedura esecutiva concorsuale, il lavoratore che abbia fornito la prova, con documenti di data certa, può chiedere all’istituto di previdenza che vengano considerati come versati, i contributi omessi e prescritti. Tale rafforzamento è subordinato all’infruttuoso esperimento nei confronti dell’imprenditore dell’azione di risarcimento del danno per mancata o irregolare contribuzione. La disciplina viene riservata ai soli lavoratori dipendenti da imprese soggette a procedure concorsuali. A tutti gli altri lavoratori spetta di richiedere giudizialmente la costituzione della rendita vitalizia. L’assenza di un rapporto sinallagmatico tra obbligo contributivo e diritto alle prestazioni non significa, anche, assenza di qualsiasi relazione tra disciplina della contribuzione e disciplina delle prestazioni. Il fatto che la gestione finanziaria del sistema vigente si basa sul criterio della ripartizione, sembra avvalorare il contrario: questo criterio non implica accantonamenti di somme e impiego in investimenti per le pensioni. Il singolo trattamento pensionistico non può dirsi direttamente alimentato dalla contribuzione tempo per tempo versata a favore del diretto interessato, ma rileva sia ai fini della maturazione del diritto alla pensione, sia per la determinazione dell’importo della pensione stessa. L’istituto della decadenza è stato esteso, anche, al settore dell’assistenza sociale. Con l’effetto che le azioni dirette al riconoscimento delle prestazioni di invalidità civile non possono esser proposte oltre 6 mesi dalla data di comunicazione del provvedimento amministrativo di reiezione della relativa domanda. Anche il diritto di credito contributivo si prescrive. L’art. 3 legge n.335/1995 detta che le contribuzioni di previdenza e di assistenza obbligatorie si prescrivono nel termine di 5 anni. La particolarità è data dal principio di irricevibilità dei contributi prescritti, in deroga al diritto, la norma speciale esclude la possibilità di effettuare versamenti a regolarizzazioni di contributi arretrati, dopo che sia intervenuta prescrizione. Il principio ha il fine di sottrarre gli enti previdenziali al rischio di oneri pensionistici imprevisti, come quelli che si producono per effetto di inattesi accrediti contributivi, che si avrebbero in conseguenza di regolarizzazioni. Quest’ultime non potrebbero mai essere integrali, posto che neppure il pagamento dei contributi prescritti potrebbe valere a sanare in pieno la situazione; il criterio di gestione a ripartizione rende impossibile eliminare gli effetti sui contribuenti. La realtà è che vi è una sostanziale differenza tra prescrizione di diritto civile e prescrizione di diritto previdenziale, quest’ultima coinvolge sia il profilo debitorio che creditorio. La disciplina del diritto di credito contributivo coinvolge aspetti di rilevanza pubblicistica. L’ente previdenziale riceve per la collettività degli assistiti, e gestisce fondi nell’interesse della collettività degli iscritti. Il principio di irricevibilità dei contributi prescritti rappresenta una deroga all’art. 2937 c.c. L’art. 3 della legge n. 335/1995 pone 1. la questione dell’efficacia degli atti interruttivi della prescrizione dei contributi che siano intervenuti successivamente alla data di entrata in vigore della legge, ma prima della data di decorrenza del regime prescrizionale abbreviato quinquennale; anche, 2. la disciplina da applicare nei casi cui la sussistenza del credito contributivo dell’ente venga fatto oggetto di denuncia del lavoratore. 1. Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno statuito nel senso che il termine di prescrizione dei contributi relativi ai periodi precedenti alla data di entrata in vigore della legge, resta decennale, e dalla data inizia a decorrere un nuovo termine decennale prescrittivo. 2. La disposizione che fa salvo il termine decennale nei casi di denuncia del lavoratore o superstiti, afferma che né il lavoratore, né i superstiti sono titolari del diritto di prescrizione. E sembra porsi un problema di tutela dell’affidamento del datore di lavoro. Si attribuisce, perciò, a detta norma una rilevanza limitata al solo periodo transitorio. Concluso il periodo transitorio, alla denuncia, sembra doversi riconoscere solo l’effetto di messa in mora dell’ente previdenziale. 3. L’indisponibilità della tutela è assoluta per il beneficiario, allora la legislazione prevede delle deroghe al principio della intangibilità della prestazione pensionistica in favore di determinati soggetti; in tal casi si ammette la pignorabilità. Così avviene a favore degli stessi enti previdenziali per prestazioni indebite o minimi contributivi, a favore delle associazioni sindacali per contributi associativi. Nel settore dell’impiego alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni il trattamento di quiescenza è sequestrabile e pignorabile per la soddisfazione dei crediti da risarcimento danni causati all’amministrazione dal dipendente. Il suddetto trattamento è pignorabile non oltre un limite predeterminato che, in nessun caso, può superare la misura di un terzo dell’ammontare complessivo. La impignorabilità dei crediti per prestazioni previdenziali cede a fronte dei crediti per alimenti. Tali prestazioni sono previste anche in funzione di bisogni primari della famiglia dell’assicurato, e non può essere escluso alcun mezzo di realizzazione delle obbligazioni. La legge ha accordato agli interessati la facoltà di esercitare l’opzione in merito all’età di pensionamento, o al differimento del godimento dei relativi diritti. 4. I diritti previdenziali godono della garanzia costituzionale dell’art. 38 Cost., ma la forza protettiva non si estende necessariamente alla totalità e interezza di tali diritti. Quella garanzia conosce un doppio limite. Lo stato di bisogno che giustifica l’intervento della tutela previdenziale deve essere socialmente rilevante; e il livello della prestazione garantita al lavoratore che versi in tale condizione di bisogno è unicamente quello adeguato a soddisfare le esigenze di vita del medesimo e della sua famiglia. Ciò significa le prestazioni oggetto dei diritti, godano delle solo garanzie comuni, quali quelle che valgono in generale a favore dei diritti quesiti, o per la tutela dell’affidamento, o parità di trattamento. Molto complesso e incerto si rivela il piano dell’effettività: cioè il contesto materiale, quale risultante delle mutevoli scelte e applicazioni operate dal legislatore ordinario. Lo stato di bisogno, perché possa esser ritenuto meritevole di tutela da parte dell’ordinamento previdenziale, dovrebbe esser effettivo, cioè accertato in concreto. Proprio perché, rilevante giuridicamente, il bisogno meritevole di considerazione, suole essere inteso dal legislatore non come effettivo stato di indigenza, ma come stato di carenza di beni essenziali della vita, quale conseguenza del verificarsi di uno degli eventi protetti. (stigmatizzazione sociale dell’indigente) Tale impostazione ha fatto sì che in varie occasioni la legge abbia ritenuto sufficiente una convenzionale predeterminazione dello stesso. Infatti, si è realizzato un sostanziale rinvio alla verifica della ricorrenza dell’evento protetto, dell’evento dannoso giustificativo della prestazione previdenziale. Va registrato, anche per esigenze di risparmio della spesa pubblica, si sia andata delineando la diversa tendenza ad attribuire rilievo alle situazioni di bisogno reale. Le incertezze coinvolgono lo stesso concetto di prestazione adeguata. Secondo la più accreditata concezione, il precetto dell’art. 38, è espressione del principio di solidarietà, e insieme criterio attuativo delle istanze di parità sostanziale: l’allestimento di mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavorare è l’oggetto della garanzia costituzionale, che si propone di soddisfare l’istanza di sollievo del bisogno. In tale senso, si può affermare che la garanzia costituzionale di adeguatezza della prestazione previdenziale in presenza degli eventi considerati dalla norma sia in correlazione concettuale e politica con la garanzia di sufficienza della retribuzione. Infatti, la prestazione adeguata mira ad assicurare un livello inderogabile di prestazioni a favore del lavoratore. Ma le caratteristiche della tutela accordata non coincidono nelle due fattispecie, infatti, il trattamento pensionistico deve esser non solo sufficiente, ma anche adeguato. Analoga assenza di corrispondenza si evince, anche dal fatto che per la retribuzione la garanzia costituzionale si estende anche alla proporzionalità rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato, mentre per la prestazione previdenziale, quella garanzia tende all’obiettivo, senza conformarvisi, ma fermandosi all’adeguatezza. Benché entrambe le espressioni siano connotate da elasticità, è evidente come il solo criterio della proporzionalità imponga una commisurazione corrispettiva alla quantità e qualità della prestazione lavorativa erogata. Per contro, il criterio dell’adeguatezza, non implica un vincolo di stretta corrispettività, essendo dettato per contemperare l’interesse del singolo dallo stato di bisogno, e la predisposizione di strumenti dallo stato per la garanzia previdenziale. Il legislatore tende ormai ad affidare la realizzazione di questo obiettivo al concorso dei regimi di previdenza di base con quelli dei regimi di previdenza complementare. La garanzia di adeguatezza della prestazione non pone soltanto un problema dei minimi. Il carattere relativo dei criteri pone il problema dell’identificazione in concreto del livello delle prestazioni garantite, e quello dei limiti verso l’alto della garanzia costituzionale. Quest’ultima è situazione particolarmente problematica quando il lavoratore abbia conseguito nel corso della vita lavorativa un tenore retributivo, e tenore di vita, che giustifichi l’attesa di un trattamento pensionistico elevato. In effetti una delle questioni più scottanti è proprio quella del tetto della retribuzione pensionabile. La legge ordinaria risulta protesa a garantire la conservazione del livello di reddito raggiunto durante il periodo di normale svolgimento della vita lavorativa. La prestazione previdenziale finisce così per acquisire sostanza di emolumento sostitutivo del reddito di lavoro, secondo l’income security. Lo stesso sistema di calcolo delle pensioni basato sulle ultime annualità di retribuzione non risulta rappresentativo neppure di obiettivi meritocratici. Infatti, solo calcolandola in riferimento al reddito medio di tutta la vita lavorativa, la pensione potrebbe esser riconosciuta come proporzionata alla qualità e quantità di lavoro. Quando essa è calcolata privilegiando il reddito della parte terminale della vita lavorativa, si corre il rischio di violare per eccesso in principio di adeguatezza. Comunque, il danno mantiene in concreto giuridica rilevanza: assicurazione infortuni, rileva come fatto giuridico generatore di un obbligo di corrispondere prestazioni pur sempre rapportabili alla specifica situazione oggettiva. Né vanno dimenticate, le varie disposizioni attributive della facoltà di opzione per il mantenimento in servizio anche oltre il compimento dell’età pensionabile o quando serva a massimizzare i benefici pensionistici; così risulta impostata la disciplina delle posizioni assicurative frazionate tra più regimi. Si può affermare che l’attuale ordinamento si presta ad assicurare ai lavoratori prestazioni economiche che, eccedono il livello cui si riferisce la garanzia costituzionale. 5. L’ordinamento non si limita a fissare la tutela garantita, ma si preoccupa di rendere questa effettiva, predisponendo allo scopo apposite misure. L’effettività della tutela è garantita dalla disciplina che impone la perequazione automatica delle prestazioni economiche, e da una integrazione per i trattamenti contributivi, il cui importo risulti inferiore a un certo minimo. L’istituto della integrazione al minimo è in via di sostanziale esaurimento, non così è per la perequazione automatica dell’importo delle prestazioni economiche alle variazioni del costo della vita. Quest’ultima è l’espediente tecnico prescelto dal legislatore per assicurare il necessario mantenimento nel tempo della condizione di adeguatezza delle prestazioni previdenziali. Si tratta di meccanismo adottato per garantire l’effettività dell’adeguatezza delle prestazioni nel settore privato, e a favore di alcune prestazioni pensionistiche, fino ad attestarsi su basi di uniformità per i vari regimi. Tuttavia, con incremento percentualizzato per fasce di importi di pensione e con cadenza periodica, con cui si rallentano gli stessi effetti perequativi. PRINCIPIO DELLA PEREQUAZIONE AUTOMATICA DELLE PRESTAZIONI ECONOMICHE ALLE VARIAZIONI DEL COSTO DELLA VITA Obiettivo : garantire l’effettività della tutela previdenziale in relazione al quantum il principio di adeguatezza ex art. 38 Cost. presuppone la necessità di rivalutare periodicamente la prestazione (col variare del potere di acquisto della moneta) La perequazione automatica è l’espediente tecnico attraverso cui il legislatore vuole assicurare il mantenimento nel tempo della condizione di adeguatezza delle prestazioni previdenziali la determinazione dei tempi, dei modi e della misura della prestazione previdenziale (nel rispetto dei limiti di razionalità e ragionevolezza e quindi degli equilibri di bilancio) è rimessa alla discrezionalità del legislatore totalizzazione con formula contributiva: Il pagamento è sempre effettuato dall’INPS Requisiti di accesso: nel caso di trattamenti pensionistici derivanti dalla totalizzazione dei periodi assicurativi, non si applicano i requisiti in vigore dal 2012. In particolare: Pensione di vecchiaia (65 anni e 20 di contributi); Pensione di anzianità (anzianità contributiva non inferiore a 40 anni) Ogni ente previdenziale eroga la propria quota di pensione calcolata con le regole del sistema contributivo, a meno che non si sia maturato il diritto autonomo alla pensione; in quest’ultimo caso i criteri di calcolo sono quelli del sistema pensionistico del fondo previdenziale di appartenenza Non si applica l’integrazione al trattamento minimo Le novità del d.l. n. 201/2011. È infatti evidente che il subordinare l’accesso al meccanismo della totalizzazione al soddisfacimento di una siffatta anzianità contributiva minima ha comportato l’inutilizzabilità dei segmenti contributivi di durata inferiore ai tre anni: il che ha ostacolato soprattutto i lavoratori caratterizzati da carriere lavorative frammentate, che non hanno potuto a tal fine utilizzare i periodi contributivi di durata inferiore a tale consistenza. La legge di riforma pensionistica del 2011 (art. 24, comma 19): è stato così previsto che – a partire dal 1° gennaio 2012 – qualsiasi periodo di attività può concorrere, indipendentemente dalla durata, a formare la pensione in totalizzazione. Con circ. INPS 14.3.2012, n. 35 (punto 10) è stato poi precisato che tale disposizione ha solo soppresso il requisito contributivo minimo per l’accesso al regime di totalizzazione, mentre nulla è stato innovato rispetto ai requisiti anagrafici e contributivi richiesti per il diritto alle prestazioni pensionistiche di cui al citato d.lgs. n. 42/2006. Il legislatore sembra, in tal modo, prendere atto degli effetti penalizzanti derivanti dal meccanismo di totalizzazione contributiva e, per porvi rimedio, opta per un “ritorno al passato”, reintroducendo il meccanismo di totalizzazione con formula retributiva (art. 71, legge n. 388/2000), peraltro maggiormente in linea anche con le indicazioni provenienti dall’ordinamento europeo. La totalizzazione è istituto previsto dal diritto dell’Unione Europea a favore dei lavoratori migranti. Si tratta di tecnica che consente al lavoratore migrante di conseguire una pensione unica, idealmente composta da tante frazioni quanti sono i regimi previdenziali interessati, erogata dall’istituzione competente. Tale tecnica svolge efficacemente il ruolo di eliminare alla radice l’ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori che le specificità delle discipline potrebbe rappresentare. La possibilità di conseguire un trattamento pensionistico che sia la risultante delle varie frazioni, rispettivamente imputabili a distinti regimi, è per i lavoratori che non abbiano maturato presso nessuno dei regimi tra i quali la relativa posizione assicurativa risulti frazionata il requisito minimo pensione. Ai soggetti che possono far valere spezzoni assicurativi, la disciplina nazionale consente di totalizzare, ai fini dell’acquisizione di un unico trattamento, i periodi contributivi maturati presso i distinti regimi. Ciò a condizione che: detti periodi non si sovrappongano, e nessuno di essi integri autonomamente i requisiti per il pensionamento, limite superato dal perfezionamento del cumulo a domanda. Ciascuna porzione viene calcolata secondo la disciplina del regime a cui si riferisce. Le (già richiamate) problematiche emerse a seguito dell’adozione delle nuove norme in materia di ricongiunzione onerosa hanno indotto il legislatore, infine, ad introdurre un’ulteriore modalità (gratuita) di cumulo: CUMULO RETRIBUTIVO. L’art. 1, co. 239, l. n. 228/2012: I soggetti iscritti a due o più forme di assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti dei lavoratori dipendenti, autonomi, e degli iscritti alla gestione separata (di cui all’art. 2, co. 26, della l. n. 335 del 1995) e alle forme sostitutive ed esclusive della medesima, che non siano già titolari di trattamento pensionistico presso una delle già menzionate gestioni, hanno facoltà di cumulare i periodi assicurativi non coincidenti al fine del conseguimento di un'unica pensione, qualora non siano in possesso dei requisiti per il diritto al trattamento pensionistico. La già menzionata facoltà può essere esercitata esclusivamente per la liquidazione del trattamento pensionistico di vecchiaia con i requisiti anagrafici previsti dall’art. 24, co. 6, e il requisito contributivo di cui al co, 7 del medesimo art. 24, d.l. n. 201/2011, conv. da l. n. 214/2011, nonché dei trattamenti per inabilità e ai superstiti di assicurato deceduto prima di aver acquisito il diritto a pensione”. Segue. L’art. 1, co. 245, l. n. 228/2012. Il sistema di calcolo Le gestioni interessate, ciascuna per la parte di propria competenza, determinano il trattamento pro quota in rapporto ai rispettivi periodi di iscrizione maturati, secondo le regole di calcolo previste da ciascun ordinamento e sulla base delle rispettive retribuzioni di riferimento. La legge di Bilancio 2017 ha, da ultimo, operato una revisione dei requisiti per l’accesso al cumulo dei periodi contributivi, sopprimendo la condizione che il soggetto non sia in possesso dei requisiti per il diritto al trattamento pensionistico; estendendo l’istituto ai periodi contributivi maturati presso le Casse previdenziali dei liberi professionisti, private e privatizzate; e prevedendo, infine, la possibilità di accesso al cumulo in favore dei soggetti che abbiano conseguito il requisito di anzianità contributiva per l’accesso alla pensione anticipata. Per il materiale trasferimento, ricongiunzione, l’intervento è stato operato a favore dei dipendenti pubblici. È stato previsto, quando la cessazione del rapporto abbia impedito la maturazione dei requisiti per la pensione, la posizione assicurativa del pubblico dipendente venga attratta nel regime generale INPS, al fine di consentire la maturazione dei requisiti del diritto. A tale regola si è aggiunta altra disciplina, diretta alla ricongiunzione dei periodi assicurativi maturati presso enti e gestioni diverse, la quale consente di massimizzare i vantaggi dell’operazione. La ricongiunzione, infatti, implica il trasferimento effettivo dei contributi da una struttura assicurativa all’altra, in modo che tutto il periodo assicurativo non rilevi in via frazionata; rendendo possibile che il calcolo del trattamento pensionistico avvenga interamente secondo la disciplina di quel regime. L’operazione è onerosa. La scelta di far confluire tutti gli spezzoni nel regime più generoso non può comportare l’obbligo di effettuare versamenti aggiuntivi. Istituto che permette di riunire, mediante trasferimento, tutti i periodi contributivi presso un’unica gestione, allo scopo di ottenere una sola pensione Applicabile a chi ha posizioni assicurative in gestioni previdenziali diverse I periodi ricongiunti sono utilizzati come se fossero sempre stati versati nel fondo in cui sono stati unificati e danno quindi diritto a pensione in base ai requisiti previsti dal fondo stesso. La ricongiunzione è regolata da due distinte leggi: Legge 7 febbraio 1979 n. 29 (Ricongiunzione Inps, Inpdap e altre forme esonerative dell’assicurazione generale obbligatoria); Legge 5 marzo 1990 n. 45 (Ricongiunzione dei periodi assicurativi ai fini previdenziali per i liberi professionisti l’impianto legislativo fin qui richiamato, rimasto immutato per più di trent’anni, è stato profondamente innovato dall’art. 12, legge n. 122/2010, che ha abrogato la legge n. 322/1958, ed ha soppresso la gratuità della ricongiunzione operata dai regimi speciali “verso” l’assicurazione generale obbligatoria, applicando – a decorrere dal 1° luglio 2010 – il medesimo regime di onerosità previsto dall’art. 2 della legge n. 29/1979 per la ricongiunzione operata nell’opposta direzione. Da qui l’intervento “riparatore” del legislatore che, con la legge n. 228/2012 (legge di stabilità 2013), ha riconosciuto a determinate categorie di dipendenti pubblici, il cui rapporto di lavoro era cessato prima del 30 luglio 2010 senza il diritto alla pensione, una riapertura del termine per la presentazione della domanda di costituzione, presso l’INPS, della posizione corrispondente a quella maturata nel regime pensionistico di appartenenza, mediante versamento dei contributi determinati secondo le norme dell’assicurazione generale dell’INPS. La legge prevede la possibilità di incrementare posizioni assicurative deficitarie, consentendo che si faccia riferimento a periodi ulteriori rispetto a quelli cui si riferisce l’obbligo contributivo di legge. Tali sono innanzitutto i casi della prosecuzione volontaria di assicurazione obbligatoria e del riscatto. Quest’ultimo è istituto che consente di far confluire nella posizione assicurativa del lavoratore contributi aggiuntivi, di regola in riferimento a periodi della vita produttiva che non danno titolo all’assicurazione obbligatoria. Il medesimo è istituto che, anche, può essere utilizzato per integrare la contribuzione relativi periodi di trattamento retributivo ridotto. (rapporti di lavoro temporaneo) Il riscatto è stato reso praticabile anche a soggetti privi di posizione assicurativa. La legge consente di far valere a fini assicurativi il periodo dei corsi universitari. Anche l’istituto della prosecuzione volontaria ha subito nel tempo un mutamento. Il medesimo risultato viene realizzato mediante l’accredito di contribuzione figurativa fittizia. Si tratta di contributi destinati a valere alla stessa stregua, che la legge consente di accreditare all’interessato, quando ricorrono particolari vicende di sospensione o interruzione del rapporto di lavoro ritenuti meritevoli di tutela: servizio militare, gravidanza, malattia, infortunio, ecc. 6. Lo svolgimento del rapporto previdenziale non subisce condizionamenti, se il titolare abbandona il territorio nazionale, per trasferire la propria attività in altri paesi dell’Unione Europea. È un effetto che deriva dal Trattato di Roma del 1957, per rendere effettiva la libera circolazione dei lavoratori migranti, si è dato vita ad un sistema di coordinamento dei regimi previdenziali nazionali, per far sì che lo spostamento del lavoratore di uno stato membro, non debba avere conseguenze negative sugli svolgimenti del relativo rapporto previdenziale. Fondativo del relativo patto comunitario è il principio di parità, che si traduce nella assoluta e globale equiparazione tra cittadini nazionali ed europei, nel principio di reciprocità e mutuo consenso dei rispettivi regimi nazionali. Strumentale alla realizzazione di ciò vi è il principio di cooperazione ammin. La disciplina materiale del sistema di coordinamento, sancita nel regolamento n. 883/2004, identifica l’ambito soggettivo di riferimento del sistema. La disciplina è riferita a tutti i cittadini dell’UE che siano stati soggetti alla legislazione di sicurezza sociale di uno o più stati membri. Il regolamento n. 1231/2010 ne estende l’applicazione ai lavoratori cittadini di paesi terzi legalmente residenti in stato. Il riconoscimento del beneficio è legato all’esercizio di un’attività professionale, salariale e no, nel presupposto di uno spostamento del lavoratore da un territorio ad un altro. Per i lavoratori salariati, intendono qualsiasi persona coperta da assicurazione obbligatoria, facoltativa o volontaria in uno stato membro, purché tale assicurazione sia riportabile ad un regime di sicurezza sociale organizzato in favore dei lavoratori subordinati. Per l’ambito oggettivo di applicazione, fa riferimento a tutti i principali eventi protetti e comprende sia i regimi contributivi che no, purché riferibili al lavoratore assicurato. La distinzione tra regimi contributivi e non ha un rilievo diverso da quello che ha nell’ordinamento italiano. previdenziali utilizzino la procedura di riscossione esattoriale, e ha introdotto una disciplina di riscossione tramite avvisi di addebito, specifica per i crediti dell’INPS. Allo stesso tempo esso ha consentito la cartolarizzazione dei relativi crediti: cioè la cessione in massa dei crediti contributivi a società per azioni appositamente costituita. La riforma processuale del 1973 non ha abrogato i casi di giurisdizione amministrativa esclusiva, e né ha introdotto deroghe al criterio discretivo della giurisdizione amministrativa rispetto a quella ordinaria. Permane tuttora la giurisdizione della Corte dei conti per le controversie non solo in materia di pensioni di guerra, ma anche in materia di pensioni ordinarie e privilegiate. È coinvolta anche la giurisdizione tributaria, contribuzione per il servizio sanitario nazionale e le relative sanzioni per l’omesso o ritardato versamento. Capitolo Quinto La tutela per i danni da lavoro alla persona Nella tutela previdenziale dei danni da lavoro alla persona, ha rivestito un ruolo centrale l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e malattie professionali, gestita dall’INAIL. A questa si sono affiancate nel tempo forme minori di tutela. Tra dette forme spicca l’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, gestita dall’INPS, la quale contempla per gli eventi, prestazioni prediligiate rispetto a quelle che vengono riconosciute nel caso in cui la menomazione non dipenda da cause di lavoro; dove il privilegio consiste in una regolamentazione meno rigorosa dei requisiti amministrativi. Per il settore del pubblico impiego va ricordato l’equo indennizzo, l’indennità una tantum, destinata al ristoro del danno quando la menomazione all’integrità psicofisica del dipendente non comporti una totale inabilità al servizio, e la pensione privilegiata, trattamento che viene riconosciuto quando l’infermità per cause di servizio imponga il definitivo allontanamento del dipendente dal posto di lavoro: dispensa dal servizio. Quest’ultima ha perso il carattere della generalità dell’art. 6 legge n. 214/2011 e a partire dal 2012, è rimasta valida solo nei confronti del personale al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico. L’infortunio sul lavoro e la malattia professionale vengono assunti dall’art. 38 come evento generatore di un bisogno socialmente rilevante, la cui rimozione è compito dello stato mediante organi. La natura professionale del rischio sopportato dal lavoratore durante l’attività lavorativa qualifica l’evento dello stato di bisogno, nel senso che autorizza una differenziazione della protezione sociale. La nozione di rischio professionale rileva come elemento di necessaria connotazione della garanzia previ. Così, ciò che rileva è che l’evento assicurato, cioè l’inabilità temporanea o permanente del lavoratore, sia legata ad un rapporto di derivazione eziologica con il fatto generatore che si qualifica infortunio. La stessa Corte costituzionale ha precisato che il rischio gode di tutela costituzionale dei lavoratori non si estende a qualsiasi situazione di bisogno, ma è limitata a quelli oggettivamente provocati da determinati eventi. Ne consegue che oggetto della tutela previdenziale, sia l’attività per sé stessa connotata da indici tipici. Il sistema assicurativo - sociale è basato sulle attività protette, con distacco dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni dal concetto assicurativo di rischio. Ciò si è consumato in forza della sentenza n. 179/1988 della Corte costituzionale, cui è stato superato il sistema tabellare chiuso di tutela delle malattie professionali, ed è stato introdotto quello misto. 2. Infortunio sul lavoro. Innovazioni apportate dal d.lgs. n. 300/2000. Codifica un’ampia nozione di infortunio in itinere (art.12), e sancisce sul piano legislativo il principio della natura aperta ed evolutiva delle tabelle delle malattie professionali (art.10), ed ha inciso in via indiretta sulla definizione delle fattispecie a causa della riforma del sistema indennitario dell’INAIL, quando è stato collocato il danno biologico: lesione dell’integrità psicofisica del lavoratore a prescindere dai riflessi reddituali. Ai sensi dell’art.2 e art. 210 del T.U., l’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte o una inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni. I requisiti essenziali sono individuati nell’occasione di lavoro, nella causa violenta e nella lesione provocata dall’evento. L’ occasione di lavoro costituisce il primo requisito della nozione di infortunio, avendo funzione di definire l’origine professionale dell’evento, o del rischio da questo concretizzato, che dà accesso alla speciale tutela. È il rapporto eziologico con l’attività lavorativa che consente di qualificare l’evento come tale; questa occasione identifica una specifica funzione della tutela assicurativa. Nella originaria concezione, la relazione tra lavoro e rischio aveva condotto ad una classificazione dei rischi idonei a connotare la natura professionale dell’evento, ammettendo alla tutela unicamente gli infortuni provocati da un rischio specifico diretto o proprio (intrinseco allo svolgimento del lavoro) o da un rischio specifico improprio o generico aggravato (aggravato dall’adempimento degli obblighi lavorativi). L’applicazione della garanzia assicurativa era esclusa per gli eventi provocati da un rischio generico, che grava indistintamente su qualunque soggetto. Questa tradizionale impostazione implicava che la coincidenza spaziale o cronologica con il lavoro non potesse ritenersi sufficiente a garantire l’indennizzabilità dell’infortunio, ove non avesse trovato conferma nell’evento. Così rimanevano esclusi tutti gli infortuni occorsi durante gli spostamenti per raggiungere il lavoro, trattandosi di eventi generati da rischi comuni a tutti. I primi segnali del superamento di ciò risalgono ad alcune pronunce dei giudici, con cui hanno iniziato ad escludere la tipicità del rischio come elemento necessario dell’occasione di lavoro, ammettendo anche eventi eccezionali o imprevedibili. Sulla stessa linea vi è il giudice costituzionale che ha chiarito che il rischio assicurato, deve essere non estraneo all’attività lavorativa, e che l’evento deve esser occasionato dal lavoro. Perciò vi è stato il superamento della tassatività del sistema tabellare, con l’ammissione all’indennizzo previdenziale di qualunque patologia. Sulla scorta di tali acquisizioni, la giurisprudenza ha iniziato a prediligere una più ampia nozione di rischio professionale alla quale ricondurre gli eventi prodottasi in coincidenza con la prestazione. In tale prospettiva, anche gli infortuni del rischio improprio, devono ritenersi avvenuti in occasione di lavoro. La nozione di rischio professionale viene identificata nel rapporto di strumentalità con l’attività lavorativa, nel senso che l’origine è identificata nel legame finalistico con detta attività. Ne consegue che la mera coincidenza con l’attività lavorativa è sufficiente a giustificare l’indennizzabilità evento. La nozione di rischio assicurato tende in tal modo a sovrapporsi con il comportamento contrattuale dovuto dal lavoratore. Così sono stati ritenuti indennizzabili es: da condotte colpose dei colleghi… dubbi permangono con l’esercizio delle attività sindacali o diritto di sciopero. L’attività sindacale del lavoratore non potrebbe considerarsi estranea all’occasione di lavoro; da ritenersi solo nei casi di sciopero che abbia assunto i connotati della violenza. Nella nozione di occasione di lavoro sono comprese le diverse componenti causali dell’evento, quali il caso fortuito, la forza maggiore, il fatto del terzo nonché la colpa e dolo dell’assicurante. Non rientra invece, nel rischio protetto il dolo dell’assicurato, sancito dall’art. 11 del T.U., ma anche dall’art. 64, come pure dall’art. 65. Il discorso è diverso per la colpa dell’infortunato la quale è ricompresa nell’occasione senza che ne derivi una riduzione dell’indennità, a condizione che l’imprudenza, negligenza e imperizia siano riconducibili al rischio connesso all’attività lavorativa. Viceversa, qualora il rischio sia stato volontariamente provocato dal lavoratore, il rapporto tra lavoro ed evento rimane reciso, con esclusione dell’indennizzo. Il rischio elettivo spezza il rapporto causale che deve sussistere tra il rischio dell’evento e l’attività lavorativa. Il rischio elettivo si configura con il concorso dei fattori: La presenza di un atto volontario e arbitrario, illogico ed estraneo alle finalità produttive; La direzione di tale atto alla soddisfazione di impulsi meramente personali; La mancanza di nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa. Ciò implica che l’imprudente condotta del lavoratore non impedisce l’indennizzabilità dell’evento, salvo che presenti i caratteri di straordinarietà e imprevedibilità. La causa violenta si tratta di un requisito che segna la linea di confine con la nozione di malattia professionale. Si identifica nell’azione di qualunque fattore dotato di rapidità ed intensità, che agendo ab externo verso l’interno dell’organismo, sia idoneo a determinare un’alterazione dell’equilibrio di questo. Il carattere della rapidità è riferito all’azione della causa. Si è solito riconoscere nella causa violenta l’azione dei fattori microbici o virali, la cui penetrazione avviene in modo violento, anche se gli effetti siano destinati a manifestarsi successivamente. L’esteriorità è ritenuto un requisito indefettibile. Si è assistito ad una progressiva estensione dei fattori ritenuti idonei a integrarne la nozione: oltre a quelli biologici, si fa riferimento a fattori di origine meccanica, elettrica, termica, fisica o psichica. Es: sforzo fisico che è causa di infarto. Anche una minima accelerazione di una pregressa malattia provocata dall’attività lavorativa è sufficiente a configurare una causa violenta. 3. Infortunio in itinere. La possibilità di ammettere anche eventi accorsi lungo il tragitto che collega l’abitazione al luogo di lavoro costituisce un approdo giurisprudenziale per la tutela. La tutela per gli infortuni verificatisi lungo il tragitto di lavoro è stata condizionata alla presenza di particolari condizioni di pericolosità, tali da ingenerare un aggravamento del rischio generico che incombe su tutti gli utenti della strada. Solo in tempi più recenti, la giurisprudenza ha iniziato a desumere l’origine professionale dell’evento dal semplice rapporto finalistico tra il percorso e l’attività lavorativa. È l’intervento compiuto dal legislatore con l’art. 12 del d.lgs. n.38/2000, che ha definito l’infortunio in itinere. La disposizione ha introdotto nel testo degli art. 2 e 210 un nuovo comma che dispone che la tutela indennitaria trova applicazione agli infortuni accorse alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno di lavoro; prosegue precisando che l’interruzione e la deviazione sono dovute a causa di forza maggiore, e che la garanzia assicurativa opera nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, restando esclusi gli infortuni cagionati direttamente dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci. Una apposita definizione è prevista per le ipotesi di lavoro subordinato svolto in modalità agile. In particolare, l’art. 23 l. n. 23/2017 stabilisce che tale lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni occorsi durante il tragitto di lavoro. Dalla formulazione ampia della norma traspare la volontà legislativa di recepire l’orientamento più estensivo, e di escludere che l’indennizzabilità dell’evento sia condizionata alla presenza lungo il tragitto di condizioni di maggiore pericolosità rispetto al comune rischio della strada. Se ne deduce che il semplice rapporto finalistico, dovrebbe essere di per sé sufficiente a garantire l’intervento della tutela indennitaria. Il legislatore ha circoscritto questa tutela ai soli eventi occorsi durante il normale percorso. La giurisprudenza esclude che quest’ultimo sia necessariamente quello più breve, dovendo accertare, invece, superamento della loro definizione legale, limitando a disporre semplicemente che tali patologie sono comprese nell’assicurazione obbligatoria. Ciò significa che il diritto del lavoratore alla tutela assicurativa non è più condizionato alla sussistenza di una determinata sintomatologia, ma è subordinato ad un giudizio diagnostico di carattere medico-clinico come tale affidato ai parametri della scienza medica. L’altra novità riguarda la soppressione del requisito di un diretto rapporto di derivazione causale tra malattia e lavorazione tabellata, disponendo l’attuale formulazione che tali malattie sono tutelate purché contrarie all’esercizio dei lavori indicati in tabella. Al fine di garantire una più completa tutela assicurativa, l’art. 150 T.U. dispone che al lavoratore che abbia dovuto abbandonare la lavorazione morbigena in quanto affetto da conseguenze dirette della silicosi o asbestosi, sia corrisposta per il periodo successivo una speciale rendita, rendita di passaggio, per la durata di un anno. Tale può esser nuovamente concessa entro il termine massimo di dieci anni ove la successiva lavorazione si riveli dannosa per il decorso della malattia. Ai lavoratori affetti da mesotelioma la legge ha riconosciuto il diritto alla pensione di inabilità a carico dell’INPS previo riconoscimento da parte dell’INAIL dell’origine professionale della malattia. 5. La nozione di infortunio sul lavoro di cui all’art. 2 richiede che dall’evento sia derivata la morte o un’inabilità permanente al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’indennità temporanea assoluta che importi l’astensione dal lavoro per più di tre giorni. A consentire l’accesso alla tutela sono gli eventi connotati da un’origine professionale che abbiano avuto come conseguenza la morte o la lesione personale dell’assicurato. Oggi, l’oggetto della tutela indennitaria ha subito una profonda evoluzione, compiuta con la completa revisione del sistema indennitario introdotta dall’art. 13 d.lgs. n.38/2000, il quale ha provveduto all’inclusione del danno biologico nella copertura assicurativa e al superamento del criterio esclusivo della capacità lavorativa. Nel sistema precedente, l’erogazione delle prestazioni indennitarie era condizionata alla sussistenza di una riduzione dell’attitudine lavorativa, oggetto stesso della garanzia assicurativa. L’identificazione dell’inabilità con riduzione dell’attitudine lavorativa scaturiva dalle norme che definivano l’inabilità permanente come conseguenza dell’infortunio che tolga completamente o diminuisca in parte l’attitudine da lavoro. L’attitudine da lavoro costituiva una nozione fondamentale dell’assicurazione sociale, e su di essa veniva impostato il sistema tabellare volto a fissare la misura delle prestazioni dovute all’assicurato in caso di inabilità permanente. E la riduzione dell’attitudine determinava l’importo dell’indennità dovuta. L’attitudine lavorativa era intesa come capacità lavorativa generica, ovvero come capacità di svolgere un qualunque lavoro e di conseguire un guadagno. La nozione di inabilità temporanea è oggi riferita alla totale impossibilità di attendere al lavoro. Nel sistema previgente, il concetto di capacità lavorativa generica assolveva una funzione previdenziale, coerente con la finalità solidaristica della tutela assicurativa, il cui obiettivo era di alleviare un bisogno socialmente rilevante. Nello stesso senso deponeva la prevista applicabilità della garanzia assicurativa alle sole lesioni permanenti di grado superiore all’11 %. Ne risultano escluse dalla tutela le lesioni dell’integrità psicofisica non incidenti sulla capacità reddituale del danneggiato. Quel sistema era destinato ad entrare in crisi a causa di una nuova concezione della persona, considerata nella sua complessiva dimensione e in tutti i suoi valori. Il sistema è stato sostituito dall’art. 13 del d.lgs. n.38/2000, da un regime indennitario completamente rinnovato, con cui il legislatore ha inteso adeguare l’assicurazione sociale gestita dall’INAIL a principi in tema di tutela del danno biologico. In virtù dell’intervento del giudice delle leggi, si ha l’azione di rivalsa dell’INAIL sulle somme del responsabile civile. La riforma così realizzata ha nuovamente mutato l’equilibrio. L’art. 13 costituisce la risposta legislativa ai ripetuti moniti della Corte costituzionale. Detta norma si apre con l’avvertenza che la definizione rileva ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, assumendo un valore sperimentale, in attesa della definizione generale e dei criteri per determinare il relativo risarcimento. Ai soli fini indennitari, il danno biologico è definito come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona, per cui le prestazioni sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato. L’unitarietà concettuale del danno biologico non impedisce che la relativa nozione possa assumere significati diversi in relazione ai differenti strumenti di tutela della persona. Nel nuovo sistema indennitario la rendita per inabilità permanente è stata sostituita da una diversa prestazione che varia in ragione della gravità della lesione: per le menomazioni dell’integrità psicofisica comprese tra il 6% e il 15%, l’indennità previdenziale viene erogata tramite una somma capitale; per quelle di entità pari o superiori al 16% la prestazione è corrisposta sottoforma di rendita, comprensiva di una ulteriore quota per le conseguenze patrimoniali dell’evento. Il sistema si completa attraverso tre tabelle emanate con il d.m. 12 luglio 2000, che assolvono la funzione di definire il bisogno ritenuto socialmente meritevole di tutela. Mentre la tabella delle menomazioni individua le lesioni dell’integrità psicofisica e definisce i relativi valori percentuali, la tabella indennizzo danno biologico e la tabella dei coefficienti provvedono a tradurre i valori percentuali della menomazione negli importi dell’indennizzo in capitale e rendita. Il principale oggetto della garanzia indennitaria è ora costituito dal diritto fondamentale all’integrità psicofisica, generando un bisogno un bisogno meritevole di protezione sociale. 6. L’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali risente dell’impostazione originaria che rispondeva alla teoria del rischio professionale, cui secondo l’imposizione del premio assicurativo sarebbe stata giustificabile solo in presenza di un’attività pericolosa, accollandosi il costo dell’assicurazione al datore di lavoro. L’originaria selettività dei criteri applicativi è stata nel tempo erosa dall’evoluzione legislativa e svuotata di effettiva valenza selettiva. Ma è la residualità di tali aree di scopertura assicurativa a far dubitare della legittimità della situazione di disparità di trattamento della quale risultano espressione. Il campo di applicazione soggettivo dell’assicurazione obbligatoria nel settore industriale risulta individuato alla stregua degli art. 1, 4 e 9 T.U. che definiscono le attività protette, le persone assicurate e i datori di lavoro assicuranti. L’art. 1 dispone che l’assicurazione è obbligatoria per coloro che sono addetti a “macchine mosse non direttamente dalla persona che ne usa, ad apparecchi a pressione, ad apparecchi ed impianti elettrici o termici”. La previsione individua il principale criterio applicativo della tutela assicurativa nella macchina, intesa come autonomo fattore di rischio. Essa deve intendersi qualsiasi meccanismo che utilizzi un’energia diversa da quella della persona che ne fa uso per ottenere un maggior rendimento con il minimo sforzo, restando esclusi i semplici utensili. La nozione permette di ampliare la sfera della tutela. Più significativa è stata l’elaborazione della macchina con riguardo agli apparecchi elettrici, che come tale prescinde dall’accertamento dell’effettiva pericolosità della macchina. Anche là dove tali non diano luogo ad alcun rischio concreto, l’obbligo assicurativo deve ritenersi sussistente, ai soli fini del calcolo del premio. Poiché la funzione dell’obbligo assicurativo consiste nell’alleviare le conseguenze derivanti dagli infortuni provocati dall’uso delle macchine industriali e non adeguatamente tutelate dalla responsabilità, il T.U. prevede detto obbligo anche per le persone occupate in opifici, laboratori o in ambienti organizzati per lavori, opere o servizi. Nella prima ipotesi, la ricorrenza dell’obbligo assicurativo risiede nella diretta esposizione del lavoratore al rischio inerente al funzionamento della macchina; nella seconda entra in gioco l’ampio criterio di rischio ambientale, che incombe sui lavoratori che sono tenuti a frequentare gli stessi ambienti in cui sono presenti quelle medesime fonti di rischio. La norma tutela il lavoro in sé per sé considerato, e non solo quello che viene eseguito presso le macchine. In entrambe l’art. 1 precisa che l’obbligo assicurativo sussiste anche laddove le macchine siano utilizzate in via transitoria, o sia adoperati dal personale addetto alla vendita, per prova, pratica o esperimento. Il 3° comma prevede, infine, un elenco di ulteriori lavorazioni per le quali l’obbligo assicurativo sussiste indipendentemente dalla ricorrenza delle condizioni illustrate. Il vuoto di tutela conseguente all’esclusione dei lavoratori domestici è stato colmato dal d.p.r. 1403/ 1971. Ma queste attività sono considerate di natura agricola, quando siano svolte dall’imprenditore agricolo nell’interesse di aziende agricole e forestali. Ai fini della ricorrenza dell’obbligo assicurativo, non è sufficiente che il lavoratore sia adibito ad una delle attività protette, essendo necessario che sussistano i requisiti soggettivi previsti dall’art. 4 T.U. Tra le diverse categorie individuate, la più importante è quella definita dal n.1 del 1° comma, che si riferisce a coloro che in modo permanente prestano alle dipendenze e direzione altrui opera manuale retribuita. Il criterio maggiormente selettivo è costituito dal riferimento alla manualità della prestazione che rievoca l’originaria figura dell’operaio addetto alla macchina. La giurisprudenza ha ridimensionato la valenza selettiva: un contributo nel senso della sostanziale neutralizzazione del requisito della manualità è offerto dalla Corte costituzionale, affermando come l’obbligo assicurativo sussista per tutti i lavoratori esposti al rischio provocato dalle macchine a prescindere della qualifica. In questo senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità, secondo cui non rileva la qualifica, ma il fatto ogget. dell’esposizione al rischio. Oltre a ciò, l’art. 4 richiede che la prestazione lavorativa sia svolta alle dipendenze e sotto la direzione altrui. Il requisito della subordinazione non ha impedito al legislatore di estendere la tutela infortunistica anche ad alcune categorie di lavoratori autonomi, ai giudici di pace e magistrati, e ad alcune tipologie di soggetti per i quali non è configurabile un rapporto di lavoro. 7. Il d.lgs. n.38/2000 ha ridisegnato il sistema prestazionale dell’INAIL, concentrandolo sull’indennizzo del danno biologico e calibrando sulla riduzione o perdita della capacità lavorativa del soggetto un’apposita quota di rendita, aggiuntiva a quella che è diretta a socializzare la lesione dell’integrità psicofisica. L’apparato prestazionale dell’assicurazione obbligatoria non può essere ridotto alla sola componente indennitaria, che realizza solo una delle funzioni pubbliche attribuite alla cura dell’INAIL. L’istituto svolge una incisiva funzione di sintesi della tutela sociale dei rischi professionali, che investe sia la dimensione riparatoria che quella del welfare attivo e abilitativo. Le prestazioni erogabili sono elencate nell’art. 66 T.U. Esse sono: l’indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta; la rendita per inabilità permanente; l’assegno per l’assistenza personale continuativa; la rendita ai superstiti; l’assegno una volta tanto in caso di morte. Le prestazioni in esame non sono cumulabili con le pensioni di inabilità, di reversibilità o con l’assegno ordinario di invalidità, sia erogati dall’INPS in conseguenza dello stesso evento da cui è scaturita anche la tutela assicurata dall’INAIL. A partire dal 1° luglio 2001 il divieto di cumulo non opera tra il trattamento di reversibilità a carico dell’AGO per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, nonché delle forme esclusive, esonerative e sostitutive e la rendita ai superstiti erogata dall’INAIL. Le prestazioni sono invece cumulabili con le pensioni di anzianità o di vecchiaia, o con i trattamenti di invalidità originati da situazioni invalidanti diverse da quelle ammesse alla tutela in materia di infortuni sul lavoro. Le prestazioni previdenziali hanno la funzione di surrogare o integrare un reddito da lavoro cessato o ridotto a causa di uno degli eventi elencati. Tale regola vale anche nel settore degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, dove le prestazioni tendono a reintegrare le perdute o menomate capacità di lavoro e di guadagno della vittima, e il calcolo della prestazione economica non può prescindere dalla retribuzione già percepita dalla vittima prima che accadesse l’evento assicurato. Il sistema fa riferimento alla retribuzione imponibile, ma non sempre con la medesima percentuale. Ai fini La giurisprudenza ha affermato, di recente, un orientamento interpretativo che finisce per privare la regola dell’esonero parziale di gran parte della sua valenza. Ma si tratta di un orientamento non consolidato. È stato chiarito che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini dell’art. 1218 c.c., sull’adempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, del danno, e il nesso causale di esso con la prestazione; mentre il datore deve provare che il danno è dipeso da causa non imputabile, e cioè, deve aver adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno. L’art. 10 presuppone un’ipotesi di responsabilità contrattuale, ma esige che l’accertamento di tale presupposto avvenga con integrale applicazione del combinato disposto degli artt. 1218 e 2087. Tale innovativa operazione interpretativa ha aggravato la crisi di effettività della regola dell’esonero, eliminando le residue differenze tra aree incluse ed escluse dalla mancata applicazione della regola del risarcimento del danno. Una tale indicazione sembra poter riabilitare orientamenti più restrittivi in ordine alla necessità che il giudice civile proceda ad un accertamento della ricorrenza degli estremi. Appare preferibile l’orientamento estensivo. L’altra giuntura critica riguarda la questione della sussistenza o meno di un danno differenziale risarcibile in capo al lavoratore vittima di infortunio. Secondo l’art. 10 per il risarcimento, è necessario che il giudice riconosca che questo ascenda a somma maggiore dell’indennità che è liquidata dall’INAIL; solo qualora ricorra tale evenienza, il risarcimento sarà dovuto per la parte che eccede le indennità liquidate. L’entrata in vigore del d.lgs. n.38/2000 ha ridisegnato i confini tra danno complementare e danno differenziale, a vantaggio di tale seconda categoria. Nell’area del danno non patrimoniale solo il danno morale e il danno esistenziale rimangono ascritti alla sfera del danno complementare. La giurisprudenza delle Sezioni Unite del 2008 sul danno non patrimoniale, le componenti soggettive e relazionali del danno alla salute cagionato dall’infortunio, non potendo esser ricostruite come autonoma componente del danno complementare, andranno valutate in sede del danno biologico, come danno non patrimoniale differenziale ai sensi dell’art. 10 T.U. Appare preferibile il diverso orientamento secondo il quale le Sezioni Unite abbiano in realtà inteso salvaguardare lo speciale assetto dei rapporti tra indennizzo previdenziale e risarcimento civilistico. Ne è prova la circostanza che esse prendono in considerazione unicamente le norme contenute nel codice delle assicurazioni private; e ciò, nella consapevolezza della specificità funzionale del sistema dell’INAIL. In effetti solo qui si delinea una nozione ampia di danno biologico, comprensiva della lesione dell’integrità psicofisica della persona, accertabile in sede medico legale sulle attività quotidiane. Alla stregua di ciò debbono essere liquidati come danno differenziale le voci di danno rientranti nel raggio dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e malattie professionali. Il metodo di determinazione del danno differenziale resta dibattuto. Vi sono 3 diversi orientamenti: 1. Sulla scorta di una rigida concezione bipolare nel danno del sistema della responsabilità civile, meccanicamente estesa anche al sottosistema infortunistico, ha adottato un secco criterio di calcolo per sommatoria, decurtando il quantum del risarcimento spettante sul piano civilistico alla vittima per il danno non patrimoniale dell’intero ammontare delle rendite dell’INAIL. 2. Sarebbe necessario privilegiare, nel bilanciamento degli interessi, quello della vittima: una volta effettuato lo scorporo delle componenti di danno complementare, ridiventa possibile determinare il danno in senso stretto differenziale. 3. Il confronto in ogni fase deve esser operato per poste di natura omogenea, non potendosi mai sommare danni che appartengono a campi strutturalmente diversi. Ne consegue che la differenza risarcibile al lavoratore, dovrà essere ottenuta, entro lo stesso campo del danno differenziale, scomputando dalle singole voci del danno civilistico, le componenti omogenee dell’indennizzo previdenziale. Capitolo sesto La tutela del reddito da lavoro I rimedi previdenziali, in quanto diretti a garantire ai lavoratori in stato di bisogno mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, possono dirsi finalizzati alla garanzia del reddito. Un reddito perduto in tutto on in parte, o divenuto impossibile, oppure maturato, ma del quale risulti difficile o impossibile la materiale esazione. Per le altre situazioni operano, invece, specifiche e distinte forme assicurative: assicurazioni minori. Sono indicate come assicurazioni minori le forme di sostegno del reddito, rappresentate dall’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria e della Cassa Integrazione e Guadagni; dall’assicurazione contro la tubercolosi e contro le malattie in genere. L’INPS provvede a dette forme minori di tutela, anche a quei lavoratori il cui trattamento pensionistico sia a carico di un altro ente previdenziale. Esso è riconosciuto come regime generale, contrapposto ai sostitutivi e autonomi. 2. L’ordinamento mette a disposizione strumenti vari, finalizzati ad operare contro la disoccupazione. Ad operare cioè, nella prospettiva dell’art. 4 Cost., in quale sancisce che il diritto al lavoro riguarda tutti i cittadini e che è compito della Repubblica promuovere le condizioni che lo rendano effettivo. È in tale prospettiva che il legislatore suole adottare iniziative di vario genere e tipologia, rivolte a facilitare o aumentare l’occupazione, e attinenti alla disciplina da lavoro: primo, le funzioni amministrative in materia di collocamento e di mercato di lavoro; i servizi di vario genere per la formazione e l’addestramento professionale o reinserimento lavorativo; la disciplina delle assunzioni privilegiate ed obbligatorie. Si può trattare anche di misure di incentivo fiscale, creditizio, contributivo a favore delle imprese, come avviene in sede di legge finanziaria annuale, per favorire la nuova occupazione. È quanto avvenuto con le misure a favore degli apprendisti, delle cooperative sociali, etc. Nella stessa logica di prevenzione della disoccupazione, di misure di flessibilizzazione del mercato del lavoro, attraverso la configurazione di nuove tipologie di rapporto, spesso rese convenienti attraverso l’assoggettamento a oneri contributivi ridotti o a condizioni retributive inferiori ai minimi collettivi. Oppure di misure dirette alla mera conservazione dei livelli occupazionali esistenti, con la temporanea sospensione dei rapporti di lavoro nelle situazioni difficili; è quanto avviene per il sistema straordinario di avviamento dei lavoratori coinvolti da processi di ristrutturazione aziendale. Sono destinate ad agevolare l’occupazione di determinate fasce sociali, le misure dirette ad incentivare l’uscita dal mercato del lavoro: tipico il caso di prepensionamento per il governo di eccedenze di personale delle aziende in settori in crisi, e cedere i posti ai giovani. Le misure sociali che l’ordinamento allestisce a favore dei soggetti che perdono il posto di lavoro sono rappresentate dall’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, dai trattamenti speciali di disoccupazione che si sono succeduti nel tempo, dalla Cassa Integrazione Guadagni. Le disparità di trattamento da tempo hanno fatto sentire l’esigenza di un profondo rinnovamento nel settore. Per la riforma degli ammortizzatori sociali è stato necessario attendere che il legislatore del 2012, senza che questo potesse considerarsi definitivo. Le nuove disposizioni in materia sono ordinate seguendo la storica distinzione tra tutele esterne e tutele interne al rapporto di lavoro. Quanto alle prime, la legge del 2012 ha sostituito, a decorrere dal 2013, l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria con una nuova forma di assicurazione sociale, destinata ad avere un ruolo centrale. Si tratta dell’ assicurazione sociale per l’impiego (ASPI) , che per effetto del decreto jobs act, avrebbe assunto la denominazione di NASPI, nuovi aspi. Introduzione di un’unica prestazione (Aspi), rafforzata nella misura e nella durata di percezione (rispetto al precedente trattamento ordinario di disoccupazione). Ad essa si affiancano: la mini Aspi; l’indennità una tantum per i lavoratori a progetto. L’impianto del nuovo strumento vede manifestarsi i principali limiti della riforma. Più incisiva è la nuova disciplina della tutela del reddito interno al rapporto di lavoro, articolato sulla Cassa Integrazione Guadagni e sui fondi bilaterali di solidarietà, strutture di nuova configurazione affidate all’iniziativa delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative. Art. 1, co. 1, l. n. 183/2014: 1. Allo scopo di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia d’integrazione salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro, il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali , tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi. 2. Nell'esercizio della delega di cui al comma 1 il Governo si attiene, rispettivamente, ai seguenti principi e criteri direttivi: a) con riferimento agli strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro. b) con riferimento agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria. L’eccedenza di personale può essere: Temporanea . Occorre un sostegno a I e L necessario a superare il momento temporaneo di difficoltà: La Cassa Integrazione Guadagni Ordinaria e Straordinaria; i Fondi di Solidarietà. Definitiva . Licenziamento individuale/collettivo. Occorrono strumenti di sostegno a favore dei lavoratori espulsi: dall’Aspi alla Naspi. JOBS ACT Legge 183 del 10.12.2014: SOSTEGNO AL REDDITO IN CASO DI DISOCCUPAZIONE. D.lgs. 22 del 4.3.2015 (in vigore dal 7.3.2015). Contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. D.lgs. 23 del 4.3.2015 (in vigore dal 7.3.2015). Ammortizzatori sociali in costanza di rapporto. D.lgs. 148 del 14.9.2015 (in vigore dal 24.9.2015). Riordino servizi al lavoro e politiche attive. D.lgs. 150 del 14.9.2015 (in vigore dal 24.9.2015). L. DELEGA. Modalità: Introduzione di un’unica prestazione (Naspi); Introduzione dell’assegno sociale di disoccupazione (ASdI); Introduzione dell’indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (DIS COLL); Introduzione del nuovo “contratto poi assegno di ricollocazione”, in un’ottica di rafforzamento delle politiche attive. L’attuale disciplina è quella dettata dai decreti delegati n. 22 e n. 148/2015 i quali ha effettuato un complessivo riordino degli ammortizzatori sociali. Per quanto riguarda la disoccupazione involontaria, il n. 22 ha assicurato tutele uniformi di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale e di mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni. Con esclusione del computo dei periodi contributivi che hanno già dato luogo ad altre prestazioni simili. L’importo della prestazione decresce con il passare del tempo: dal 3% al mese a partire dal primo giorno del quarto mese di fruizione, art. 4 n.22/2015. Max 24 mesi. All’indennità continua ad accompagnarsi la contribuzione figurativa, valida ai fini del diritto e alla misura del trattamento pensionistico; nel limite di retribuzione pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile di NASPI. Altra prestazione accessoria è l’assegno di ricollocazione, che può essere concesso a coloro che maturino il diritto alla NASPI per una durata che ecceda i 4 mesi. Questa è prestazione collegata al patto di servizio personalizzato e al regime della condizionalità. Essa è rilasciata dal centro per l’impiego nei limiti della disponibilità assegnate a tale finalità, ed è spendibile solo per ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di nuova occupazione. Per la provvista finanziaria, la prestazione in esame è alimentata attraverso un meccanismo che prevede il concorso, con i contributi ordinari, dei contributi che penalizzano le assunzioni a termine e licenziamenti. Nel primo caso, si tratta del contributo addizionale del 1,4 %; contributo restituibile nei limiti delle ultime 6 mensilità in caso di conversione a tempo indeterminato; nel secondo caso, si tratta di una somma, tassa di licenziamento, pari al 41% del trattamento iniziale di disoccupazione per ogni 12 mesi di anzianità negli ultimi 3 anni, triplicata nel licenziamento collettivo; esso non è dovuto nei casi di licenziamento in conseguenza dei cambi d’appalto e licenziamenti nel settore edile. Per i licenziamenti collettivi nell’area della CIG vige un’aliquota specifica. La legge di riforma del 2012 aveva previsto alcune tutele residuali: la mini ASPI e l’indennità una tantum per i collaboratori. L’introduzione della mini ASPI è stata ispirata dall’esigenza di recuperare la tutela contro la disoccupazione per i lavoratori subordinati con carriere lavorative discontinue. L’accorpamento, con l. n.22/2015, di ASPI e mini ASPI in un’unica prestazione è avvenuto attraverso la generalizzazione del requisito contributivo minimo (13 mensilità di contribuzione), e il relativo ragguaglio agli ultimi 48 mesi. Il che rappresenta una riduzione del grado di rigidità del requisito amministrativo, suscettibile di un certo ampliamento. L’altra forma di tutela residuale ha riguardato i collaboratori coordinati e continuativi cui è stato attribuito il carattere della definitività all’indennità che il legislatore aveva già riconosciuto. Il decreto n.22/2015 ha riconosciuto ad essi, e quelli a progetto, che abbiano involontariamente perso l’occupazione, una specifica indennità di disoccupazione mensile, denominata DIS-COLL. A detta estensione ha corrisposto la scelta del n.81/2015, di ridimensionare fortemente quanto dettato dalla riforma del 2003; la prestazione è destinata ad operare nel più ristretto ambito delle co.co.co. Per le situazioni di particolare bisogno, è stata istituita una nuova prestazione, di natura assistenziale: l’assegno di disoccupazione, ASDI. È a carico dell’INPS, ed è destinata a quei disoccupati che si trovino in: già fruito della NASPI per l’intera durata senza trovare lavoro; versino in una condizione economica di particolare bisogno; si rendano disponibili a aderire ad un progetto personalizzato predisposto dai servizi per l’impiego. Detta prestazione è destinata ad essere assorbita dal reddito di inclusione, di natura assistenziale, a carattere quasi universalistico, introdotto in attuazione della legge delega n. 33/2017. Si tratta di prestazione che colma un vuoto: è subordinato ad un comportamento attivo del destinatario. Al fine di repressione degli abusi, i decreti attuativi del 2014 ribadiscono il requisito della disponibilità al lavoro del destinatario. Si tratta della condizionalità, onere già previsto in precedenza. Per i disoccupati, la legge del 2012 ha confermato la decadenza del diritto a prestazioni di disoccupazione 1. nei confronti del lavoratore disoccupato che si rifiuti di partecipare senza giustificato motivo ad una iniziativa di politica attiva; 2. anche del disoccupato che non accetti un’offerta di lavoro inquadrata in un livello retributivo superiore almeno del 20% rispetto all’importo di diritto, e non più di 50 km di distanza. Ancor più severo è il regime di condizionalità della disciplina del d.lgs. n. 150/2015. È stato stabilito che il disoccupato, entro 15 giorni dalla presentazione della domanda per prestazioni di disoccupazione, debba contattare il centro per l’impiego competente, al fine della stipula del patto di servizio personalizzato. La stipula di detto patto attribuisce al disoccupato il diritto a ricevere dai servizi per il lavoro pubblico o privato accreditati, un servizio di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro, e l’accredito della somma di assegno di ricollocazione proporzionata al profilo professionale di occupabilità. Detto assegno non compete a tutti i disoccupati, ma solo a quelli che abbiano diritto alla NASPI per un periodo eccedente i 4 mesi. L’assegno è spendibile al fine di ottenere un servizio di assistenza nella ricerca del lavoro presso i centri per l’impiego o soggetti privati accreditati. Il soggetto accreditato ha diritto all’incasso dell’assegno soltanto a risultato occupazionale ottenuto. Il disoccupato deve rendersi parte attiva rispetto alle iniziative proposte a fini di ricerca e riqualificazione professionale, e in mancata partecipazione, decade da detto assegno, ma anche dalla disoccupazione. Per i disoccupati con più di 60 anni, che non abbiano ancora maturato il diritto alla pensione, è prevista la possibilità di coinvolgimento in attività di pubblica utilità a beneficio della comunità di appartenenza. 4. Le integrazioni salariali. L’istituto della Cassa Integrazione Guadagni è storicamente collegato all’esigenza sociale di garantire, attraverso l’erogazione di una prestazione integrativa del salario, il reddito dei lavoratori in presenza di eventi di sospensione o riduzione dell’attività dell’impresa, anche se non dipendenti da impossibilità oggettiva sopravvenuta o forza maggiore, purché siano temporanei e non imputabili né al datore, né ai dipendenti interessati. Pur dovendo sostituire o integrare la retribuzione dei lavoratori sospesi o che prestano lavoro ad orario ridotto nei casi previsti dalla legge, esso si presta ad alleggerire i costi della manodopera aziendale in periodi di difficoltà di produzione. L’istituto opera, anche, a vantaggio dei datori, consentendo di scegliere l’alternativa della conservazione del rapporto con i dipendenti, e di poterli avere a sua disposizione. L’istituto si inquadra nel contesto della strumentazione finalizzata al governo delle eccedenze di personale. Si tratta dei c.d. ammortizzatori sociali, destinati ad operare sia in riferimento di una crisi in senso dell’impresa, sia che il ridimensionamento dell’organico si prospetti in recupero della redditività. Tecnicamente presuppone la sospensione del rapporto di lavoro. Una sospensione che può dipendere da: 1. una causa che renda oggettivamente impossibile la prosecuzione del rapporto; 2. e quando dipende da una mera difficultas è giustificata da eventi inerenti alla sfera dell’impresa. Ma perché essa operi è necessario che ricorrano le condizioni espressamente previste dalla legge. È necessario che l’impresa rientri nel campo oggettivo di operatività della CIG, e che ricorra una delle clausole tassativamente previste, o cause integrabili. È necessario che l’organismo pubblico emetta il provvedimento amministrativo di autorizzazione dell’intervento, e solo con l’emanazione di quest’ultimo, si realizza l’effetto derogatorio della disciplina. In assenza di esso la scelta sospensiva dell’imprenditore integrerebbe gli estremi della mora credendi. In altri termini, il provvedimento amministrativo fa nascere il rapporto di prestazione previdenziale e le relative posizioni soggettive, mentre, sul piano del rapporto di lavoro, con l'insorgere del diritto nei confronti dell'ente previdenziale viene meno per tutta la durata dell'intervento l'obbligo retributivo. Le integrazioni salariali hanno subito nel tempo una lunga evoluzione. La prima regolamentazione della CIG è del 1945, sorta per iniziativa dell’autonomia collettiva per fronteggiare eventi sospensivi dell’attività produttiva dipendenti dagli eventi bellici. Successivamente la prima prassi e poi la legge hanno consentito occasioni di intervento che hanno reso integrabili sospensioni o riduzioni dell’attività dell’impresa, indipendentemente dalla ricorrenza di un impedimento oggettivo, e per conservare rapporti ormai privi della funzione specifica. La riforma è stata proposta dalla legge 23 luglio 1991, n.223, la quale ha inteso riportare le integrazioni salariali alla loro finalità originaria di sostegno del reddito dei lavoratori per i quali si prospetti la piena ripresa del lavoro; ma ha anche individuato misure di tutela, in termini di garanzia del reddito e di creazioni di opportunità occupazionale, per i lavoratori risultati definitivamente in eccesso rispetto all’effettivo fabbisogno dell’impresa. A tal fine la legge ha ridimensionato le funzioni della CIG, liberandola dal carico della tutela di lavoratori impegnati in rapporti fittizi, escludendo così, i lavoratori eccedentari per renderli destinatari di un trattamento d’integrazione salariale appositamente istituito, ma a condizione della risoluzione del rapporto di lavoro e di durata predeterminata. In secondo luogo, la legge ha stabilito la temporaneità di tutte le forme di intervento della Cassa, e la subordinazione ad un previo giudizio di meritevolezza, basato sulla piena ripresa dell’azienda. Quanto agli ambiti di operatività, la disciplina delle integrazioni salariali, inizialmente del settore industriale, è stata progressivamente estesa a settori non compresi in quello industriale. Già ab origine non sono state tutte le imprese industriali, bensì solo quelle così definite dalla legislazione sugli assegni familiari o dei CCNL; e alcune categorie sono state espressamente escluse dalla stessa legge. Le imprese ammesse al godimento sono selezionate in base al criterio dimensionale, così come alcune sono espressamente escluse: apprendisti, lavoratori al domicilio, dirigenti, collaboratori familiari dell’impresa. Anche nei settori protetti il diritto non può esser conseguito da tutti i lavoratori, ma solo da quelli che sono in possesso di requisito di anzianità specifica minima, art. 2 169/1991, per contrastare pratiche fraudolente. La CIG si presta a forme di intervento settoriale. Gli eventi giustificativi del suo ricorso vengono denominati cause integrabili. Tali eventi danno luogo alla distinzione tra due tipi di intervento della CIG: l’orinario e lo straordinario. 1. Intervento ordinario : due cause giustificative: la dipendenza dell’esigenza di sospensione o contrazione dell’attività aziendale da “eventi transitorie non imputabili all’imprenditore o agli operai”, e la dipendenza dell’esigenza da “situazioni temporanee di mercato”. Il concetto di non imputabilità non si identifica con quello di impossibilità oggettiva. La giustificazione si estende a tutti i casi in cui l’imprenditore abbia comunque usato la normale diligenza. Dette cause integrabili sono mantenute anche dalla nuova disciplina del Jobs act, decretando l’impossibilità di autorizzare le integrazioni salariali in caso di cessazione definitiva dell’attività aziendale o di un ramo di essa. 2. Intervento straordinario : con questa introduzione l’istituto ha assunto la funzione di strumento di politica economica. È divenuto cioè, attivabile da parte del potere politico centrale, che interessa il mercato del lavoro, l’attività produttiva nazionale e il governo delle situazioni di crisi. La caratteristica che lo distingue consiste nell’attribuzione di rilevanza ad eventi “interni” Le rappresentanze sindacali devono essere a conoscenza delle cause di sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, l’entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati, i criteri di individuazione dei lavoratori da sospendere e le modalità di rotazione. Quest’ultimo impone al datore di ripartire il periodo di sospensione dell’attività tra tutti, equanimemente, i dipendenti che svolgano le medesime mansioni. La mancata comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri costituisce violazione della garanzia procedimentale. Ne conseguono una condotta sindacale, perseguibile dall’art. 28 dello Statuto e la illegittimità del provvedimento autorizzativo, che i lavoratori possono far valere, chiedendo al giudice ordinario la disapplicazione del medesimo. 5. I fondi bilaterali di solidarietà. Per le categorie e settori esclusi dal campo della CIG, sono state istituite presso l’INPS, sulla base di specifici criteri ministeriali, forme di previdenza negoziata a sostegno del redito e occupazione, nell’ambito di processi di crisi: gestione negoziale della CIG. La scelta di supplire con fonti di natura contrattuale alle limitazioni della CIG ha trovato conferma e sviluppo nell’impianto della legge di riforma del mercato del lavoro (l. 92/2012), nella quale l’elemento di maggiore novità, è rappresentato dai fondi bilaterali di solidarietà: ad essi è stato affidato il compito di realizzare un tipo di tutela corrispondente a quella propria della CIG negli ambiti in cui questa non opera, oppure di integrarne le prestazioni negli ambiti in cui opera, una universalizzazione della specifica forma di tutela del reddito “interna” al rapporto di lavoro, e l’armonizzazione dei trattamenti. Questa legge è stata integrata dagli art. 26-40 d.lgs. n.148/2015. I fondi di natura pubblicista: il Fondo di solidarietà residuale, o Fondo di integrazione salariale (art.29). A detto fondo sono iscritti quei datori con più di 5 dipendenti, i quali, nonostante l’obbligo di legge, non si siano accordati per costituire un fondo di solidarietà bilaterale. Detto fondo eroga l’assegno di solidarietà destinato ai dipendenti dei datori che stipulino accordi collettivi aziendali di riduzione dell’orario di lavoro al fine di evitare le eccedenze di personale, nel licenziamento collettivo, o evitare licenziamenti plurimi. 6. La tutela contro l’insolvenza del datore. Il vigente ordinamento prevede anche misure dirette a proteggere il lavoratore dalle conseguenze dell’insolvenza del datore di lavoro. Anche nel caso in cui il cespite di redito sia maturato, ma risulti difficile la materiale esazione: cioè, quando il soggetto debitore del trattamento retributivo di fatto non risulti in condizione di assolvere alla propria obbligazione principale. Alcune forme di garanzia dei lavoratori in questo caso sono risalenti, come quella a favore dei dipendenti dell’appaltatore, ai quali è stata riconosciuta azione diretta contro il committente per conseguire la soddisfazione del primo credito, o quella rappresentata dal vincolo di destinazione impresso ai fondi speciali di previdenza costituiti dall’imprenditore, o quello della responsabilità solidale. Tali esigenze di tutela ha trovato specifica e diretta soddisfazione attraverso strumenti di natura previdenziale, la cui adozione è stata sollecitata dal legislatore comunitario. Un obbligo specifico è stato imposto dalla Direttiva CE n.987/1980, con le modifiche delle Direttiva n.74/2002, che ha impegnato tutti i paesi della CE a adottare le misure necessarie, affinché organismi di garanzia assicurino sia la soddisfazione dei quei crediti retributivi dei lavoratori subordinati che si situino entro una certa data rispetto all’insorgere dello stato di insolvenza, sia il diritto alle prestazioni previdenziali dei suddetti. Perciò, è stata istituita una sorta di assicurazione contro l’insolvenza del datore di lavoro, che è il Fondo di garanzia (art.2 l. 297/1982). Tali forme di tutela sono state riferite al solo TFR, tanto dei lavoratori subordinati del settore privato, quanto di quelli del settore pubblico privatizzato purché soggetti alla disciplina TFR. Il suddetto fondo, gestito dall’INPS nell’ambito della gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, è finanziariamente alimentato da specifica contribuzione a carico dei datori di lavoro. La legge distingue il caso dell’insolvenza propriamente detta (legge fallimentare), accertata in sede di procedura concorsuale (fallimento, liquidazione coatta e amministrativa), dal caso della semplice inadempienza: Nella prima ipotesi, il lavoratore ha diritto a presentare al Fondo domanda di corresponsione del TFR, purché siano decorsi 15 giorni dal deposito dello stato passivo nel caso di fallimento o liquidazione coatta, o dalla data delle sentenze di omologazione, nel caso di procedura di concordato preventivo. Nella seconda ipotesi, il lavoratore può presentare la suddetta domanda soltanto dopo l’esperimento della esecuzione forzata nei confronti del datore di lavoro inadempiente. Più tardi, il legislatore italiano ha completato l’attuazione della direttiva comunitaria, estendendo la medesima garanzia ai crediti di lavoro inerenti agli ultimi 3 mesi del rapporto di lavoro. Tuttavia sono state previste limitazioni: è previsto un massimale oltre il quale detta garanzia non opera, cioè una somma pari a 3 volte la misura massima del trattamento straordinario di integrazione salariale mensile al netto delle trattenute previdenziali e assistenziali; la garanzia opera solo se i 3 mesi finali del rapporto rientrano nel periodo di 12 mesi che precede il provvedimento di apertura della procedura concorsuale o la data d’inizio dell’esecuzione; l’intervento del fondo è escluso, qualora il lavoratore percepisca redditi alternativi, quali CIGS, indennità di mobilità o retribuzioni provenienti da altro rapporto di lavoro. Gli effetti dell’inadempimento contributivo, è stato garantito al lavoratore che i contributi dovuti siano considerati come versati, a qualunque periodo essi si riferiscano. Anche qui operano dei limiti. Tale garanzia è riferita alle sole procedure esecutive concorsuali, sicché ne restano privi i dipendenti dei datori non soggetti alla legge fallimentare. Poi, ove il lavoratore non riesca a farsi risarcire dal datore insolvente il danno da omissione contributiva, o farsi pagare una somma per la rendita vitalizia, lo stesso è tenuto a fornire all’istituto competente documenti di data certa, da cui si evince l’effettiva esistenza, la misura della retribuzione, qualora tale misura sia assunta come base di calcolo della prestazione pensionistica. La garanzia delle forme assicurative complementari è attuata attraverso l’istituzione presso l’INPS di un apposito, distinto Fondo di garanzia. Interviene: al lavoratore non può essere corrisposta la prestazione. 7. La tutela economica per la malattia comune. Il fondamento della tutela contro le malattie comuni, non dà lavoro, si radica nell’art. 32 cost. che stabilisce che si tutela la salute come fondamentale diritto dell’individui e interesse della collettività; un principio che abbraccia anche prevenzione e riabilitazione. Nel nostro Paese, è stata affidata dei soggetti e delle categorie interessate. Tale iniziativa si è realizzata tramite la contrattazione collettiva corporativa. Già la carta del lavoro vi era la cassai mutua di malattia. Una spinta decisiva per la legge è stata data dalla codificazione del 1942. L’art. 2110 c.c., nel prevedere l’obbligo del datore di erogare la retribuzione o un’indennità in caso di assenza per malattia, è valso a vincere le ultime resistenze, considerando la malattia comune come evento connesso con le vicende del rapporto di lavoro, e giustificato un intervento finanziario dei datori anche a tal proposito. La regolamentazione ad opera della legge 138/1943 e l’unificazione presso un unico ente (INAM), non valsero a generalizzare la tutela. Soltanto con l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale (l.833/1978), è stato introdotto un sistema di protezione della salute di tutte le professioni. Neppure con questa istituzione la situazione si è completamente definita. Soppressi l’INAM e casse mutue, la suddetta legge di riforma sanitaria ha mantenuto le indennità di malattia, fissando la competenza erogatoria all’INPS a favore degli stessi soggetti precedenti: operai dell’industria e delle categorie assimilate, lavoratori dell’agricoltura, lavoratori a domicilio, lavoratori del commercio e assimilati. La malattia, che dà luogo alle prestazioni economiche, è qualsiasi alterazione dello stato di salute di durata superiore a 3 giorni, che richieda l’assistenza medica chirurgica o la somministrazione di mezzi terapeutici. I primi 3 giorni restano privi di tutela. A tale periodo di carenza va riconosciuta una duplice giustificazione: la regola è significativa di una valutazione delle malattie di durata inferiore a 4 giorni come non suscettiva di generare uno stato di bisogno apprezzabile; e ciò vale a scoraggiare forme di assenteismo. Attualmente, la disciplina dell’ indennità di malattia è: I. spetta dal 4 giorno di malattia; II. è dovuta per un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare, o in caso di rapporto di lavoro a tempo determinato, pari a quello di attività lavorativa nei 12 mesi immediatamente precedenti l’evento morboso; III. spetta anche per malattie insorte entro 60 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato; IV. è di importo variabile a seconda dei settori merceologici di appartenenza dei destinatari, ma di norma, è pari al 50% della retribuzione media globale giornaliera; V. il relativo diritto è subordinato a oneri di certificazione e di soggezione del lavoratore malato a controlli (prolungamento malattia); VI. l’importo viene di regola anticipato dal datore di lavoro, salvo conguaglio con i contributi dovuti all’INPS. Sostituiscono l’indennità di malattia: Il trattamento straordinario di integrazione salariale (art. 3 l. n. 414/1972) l'indennità di mobilità (art. 7 l. n. 223/1991) l'indennità giornaliera antitubercolare l'indennità per inabilità assoluta per infortunio o malattia professionale l'indennità di maternità La tutela economica del lavoratore in caso di malattia trova realizzazione anche nel fatto che ormai quasi tutti i contratti collettivi prevedono l’obbligo del datore di integrare l’indennità giornaliera di malattia, e di garantire la retribuzione ai dipendenti assenti dal lavoro per tale motivo. Per i casi in cui la malattia determini una protratta o definitiva, sensibile riduzione della capacità di lavoro, interviene l’assicurazione obbligatoria di invalidità gestita dall’INPS. 8. L’assicurazione contro la tubercolosi. Mentre per le relative prestazioni sanitarie è competente il Servizio sanitario nazionale, per la tutela economica a favore degli affetti di tale malattia provvede una specifica forma assicurativa che ha avuto una notevole rilevanza: l’ assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi, gestita dall’INPS. Oggi, debellata, i relativi oneri sono stati interamente fiscalizzati. Ai sensi della legge, il diritto alle prestazioni economiche per la tubercolosi sorge quando si verifichi una forma tubercolare in fase attiva, e il pagamento è dovuto anche in caso di tubercolosi non attiva. Soggetti tutelati sono tutti coloro che hanno maturato la capacità giuridica specifica al lavoro e che prestano la loro opera retributiva alle dipendenze di terzi, eccettuati i dipendenti dello Stato, degli enti locali, salvo che prestino la loro opera presso pubbliche istituzioni sanitarie. Sono compresi nell’assicurazione i lavoratori agricoli dipendenti, i mezzadri e coloni, gli addetti ai servizi domestici, lavoratori a domicilio, i direttori didattici, etc. Tutelati sono anche tutti i cittadini che abbiano un reddito inferiore al minimo imponibile ai fini IRPEF. In tal caso, viene assolta una funzione che trascende la logica propria delle assicurazioni sociali, perché si colloca in una prospettiva universalistica di sicurezza sociale. Quanto alle prestazioni, per tutto il ricovero o di cura, compete l’indennità giornaliera di ricovero o cura, che è pari, per i primi 180 giorni, all’indennità per malattia comune, e ad un importo non inferiore ad una determinata percentuale del trattamento minimo delle pensioni INPS per i lavoratori dipendenti; per il datore di lavoro e conguagliata con l’ammontare dei contributi dovuti dall’ente previdenziale competente. Analogo diritto è riconosciuto ai lavoratori parasubordinati entro il primo anno di vita del bambino e per un periodo massimo di 3 mesi. Capitolo settimo Le pensioni Nell’ordinamento previdenziale italiano la tutela pensionistica rappresenta un sottosistema che realizza una protezione sociale che idealmente si collega ai principi degli art. 4 e 35 Cost.: cioè, garanzia di tutela di ogni attività svolta in adempimento del generale diritto-dovere che ciascuno ha di contribuire con la propria opera al progresso materiale e spirituale della società. In ragione di ciò, questa è la protezione sociale che il lavoratore ha motivo di attendersi nel momento della perdita, per senescenza, della propria capacità di produrre reddito. In altre parole, una tutela rapportabile al merito, apprezzabile in termini di quantità e qualità del lavoro prestato. L’ordinamento vigente subordina l’acquisizione del diritto alla pensione al versamento da parte dell’interessato della contribuzione per un numero di anni non inferiore ad un minimo di particolare consistenza. Ciò avviene, perché il legislatore, in conformità allo strumento prescelto (assicurazione sociale) e nei suoi poteri, ritiene di dover subordinare l’acquisizione di detto diritto ad un indice di meritevolezza del lavoratore interessato: quello che risulta dall’assolvimento, per un lasso di tempo, del dovere di lavorare. Il rilievo del tenore di vita raggiunto e del merito, non è anche, parametro intangibile per la definizione del livello della prestazione pensionistica. La rilevanza del merito non implica che il trattamento previdenziale debba esser proporzionato al livello retributivo raggiunto. Alla retribuzione va riconosciuta anche una connotazione di obbligazione sociale, e che il “criterio della sufficienza” è destinato a reagire integrandolo con quello della “proporzionalità”. (art.36 e 38 Cost.) La congruità della prestazione pensionistica (adeguatezza), implica il concetto di sufficienza che è alla base della garanzia sociale dettata dalla Costituzione. Ma al concetto d’adeguatezza resta estraneo quest’ultimo. Diversi sono i parametri dei due precetti ai quali essi richiamano. La misura della garanzia costituzionale non può essere estesa fino al punto di far trasmodare un interesse esclusivamente individuale, in interesse a rilevanza pubblica dell’art. 38, calcolato in funzione della tutela di stati di bisogno socialmente rilevante. La giustificazione sociale è criterio di contemperamento, che vale a delimitare anche verso l’alto, l’ambito della protezione costituzionale necessitata, configurata dall’art. 38. Inoltre, rileva anche l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà, art. 2 Cost., a tutti i consociati. Il principio di solidarietà caratterizza le particolari vicende che attengono alla disciplina dei rapporti previdenziali. Esso impedisce al merito di svolgere il ruolo di referente esclusivo o predominante per la determinazione del livello delle prestazioni. Così, traspare un dualismo in un’ottica di contemperamento degli interessi riconosciuti di pari peso e pari meritevolezza. Nel vigente ordinamento la tutela pensionistica a favore dei lavoratori del settore privato, che perdano la capacità di lavoro, e capacità di produrre reddito, si attua attraverso l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (AGO). Già la struttura evoca il carattere selettivo della tutela. Il rapporto che si costituisce ha ad oggetto i tre eventi generatori di bisogno ai quali la stessa è intitolata: l’invalidità, la vecchiaia e la morte. L’assicurazione è gestita dall’INPS e riguarda l’intero settore del lavoro subordinato. Nel regime generale per i lavoratori subordinati, confluiscono anche altre categorie di piccoli imprenditori, lavoratori autonomi, lavoratori associati: coltivatori diretti, imprenditori agricoli, artigiani, commercianti, lavoratori parasubordinati, associati in partecipazione. A detto regime hanno fatto capo anche i dipendenti degli enti pubblici parastatali. E dopo la soppressione nel 2012 dell’INPDAP e confluenza all’INPS, ad esso fa capo la tutela previdenziale dei dipendenti pubblici. La protezione si riferisce ai lavoratori, anche se già pensionati e anche se occupati in violazione del divieto al lavoro dei minori e qualunque sia la nazionalità. Regimi differenziati sono stati previsti per alcune categorie (giornalisti, liberi professionisti), costituiti come fondi sostitutivi dell’assicurazione generale o come fondi autonomi, quali quelli facenti capo agli enti di previdenza delle varie categorie dei liberi professionisti. 2. La tutela per sopravvenuta invalidità al lavoro. L’assicurazione generale obbligatoria dell’INPS protegge il lavoratore nel caso in cui egli, durante il periodo di vita attiva, subisca una menomazione della propria capacità lavorativa: cada, cioè, in una condizione di invalidità totale o parziale. Perché sorga il diritto alla prestazione è necessario che maturino, in capo all’interessato, determinati requisiti di anzianità assicurativa e contributiva. Da tali requisiti si prescinde solo nel caso in cui l’evento invalidante sia in rapporto di derivazione causale con finalità di servizio: invalidità privilegiata. Quanto al requisito biologico, la vigente disciplina, distingue l’invalidità dalla inabilità. a) È invalido il lavoratore “la cui capacità di lavoro, in occupazioni confacenti alle sue attitudini, sia ridotta in modo permanente a causa di difetto fisico o mentale a meno di un terzo”; (art.1) b) È inabile colui “il quale, a causa di infermità o difetto fisico o mentale, si trovi nell’assoluta e permanente impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa. (art.2) Sono tutelati anche l’invalidità e inabilità insorte dopo il compimento dell’età pensionabile. Attraverso la sostituzione del riferimento alla capacità di guadagno con quella di capacità di lavoro, la legge di riforma del 1984 ha inteso escludere ogni influenza sul giudizio di invalidità delle condizioni ambientali socioeconomiche. Detto criterio poteva condurre ad un uso dell’assicurazione in questione, in chiave surrogatoria degli interventi di tutela contro la disoccupazione. Rispetto alla previgente disciplina sono stati introdotti da quella riforma anche un requisito di attualità contributiva, cioè di contiguità temporale tra interruzione del rapporto assicurativo e verificarsi dell’evento invalidante, e una più articolata procedura di revisione della permanenza delle condizioni giustificative delle prestazioni in corso di erogazione: manifestazione della duttilità dello strumento assicurativo. In difetto di un solo di questi requisiti amministrativi, il diritto alla prestazione non matura. La disciplina vigente ha accolto il principio che l’invalidità preesistente alla instaurazione del rapporto assicurativo dà egualmente diritto alla prestazione previdenziale, purché vi sia aggravamento. Le prestazioni sono differenziate per natura e regime, a seconda che si tratti di invalidità o inabilità. Nel primo caso, l’assicurato acquista il diritto all’ assegno ordinario di invalidità . Detto è prestazione economica a cadenza mensile; non reversibile ai superstiti; temporanea; commutabile in pensione di vecchiaia al compimento dell’età pensionabile; non soggetta all’integrazione al trattamento minimo stabilito per le pensioni, quando il titolare goda di redditi superiori ad un certo importo. Nel secondo caso, viene erogata la pensione ordinaria di inabilità. Detta è prestazione reversibile ai superstiti; di importo determinato in base a criteri diretti a favorire le forme più precoci di inabilità; incompatibile totalmente con ogni forma di retribuzione e compatibile solo parzialmente con la rendita da infortunio sul lavoro. La rinunzia alla retribuzione e ogni altro trattamento sostitutivo della stessa, è semplice condizione di erogabilità del trattamento stesso, in relazione ad un diritto già sorto per effetto di requisiti medico legale. Il pensionato di invalidità acquista il diritto alla prestazione accessoria, l’assegno mensile per l’assistenza personale e continuativa, quando si trovi nell’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, ovvero non sia in grado di compiere gli atti quotidiani senza un’assistenza continua. A conferma del trattamento privilegiato che si riserva nel caso in cui l’evento protetto derivi dallo svolgimento dell’attività lavorativa, la legge stabilisce, che quando l’invalidità o inabilità risultino in rapporto causale diretto con finalità di servizio, competono all’assicurato, l’assegno privilegiato di invalidità e la pensione privilegiata di inabilità. 3. le pensioni per la vecchiaia e per l’anzianità di servizio. La tutela previdenziale per la vecchiaia rappresenta il cuore dell’intero sistema previdenziale. Il vigente ordinamento, accanto all’anzianità di età, considera come evento giustificativo dell’intervento del rapporto assicurativo anche l’anzianità di lavoro. Si tratta di due trattamenti pensionistici ben distinti per natura e funzione: Per le prestazioni pensionistiche di anzianità il diritto matura dopo un certo numero di anni di servizio, indipendentemente dall’età; Per le prestazioni, invece, di vecchiaia, è condizionato da requisiti di anzianità assicurativa, ma subordinato al raggiungimento dell’età pensionabile: cioè il raggiungimento dell’età anagrafica, il requisito biologico del diritto stesso al trattamento. Nel vigente ordinamento il superamento dell’età pensionabile non è elemento sufficiente a far acquisire al lavoratore le prestazioni previdenziali di vecchiaia, se lo stesso non ha maturato anche il prescritto requisito di anzianità contributiva; e poi la maturazione degli specifici requisiti di anzianità assicurativa e contributiva consente al lavoratore l’accesso al godimento della pensione, anche se sia in pieno possesso di capacità. Tali caratteristiche vanno poste in relazione con la struttura organizzativa che ha caratterizzato la nascita e lo sviluppo dell’attuale sistema previdenziale. Peraltro, dove un’anzianità di lavoro non è più solo uno dei requisiti, ma è l’evento stesso che dà titolo alla prestazione previdenziale, si realizza qualcosa di diverso. In tal caso, il riconoscimento del diritto alla prestazione pensionistica si rapporta al fenomeno “contributivo” che il lavoratore ha apportato al benessere collettivo. In questa disciplina il criterio per la tutela sociale si fonda su schemi essenzialmente retributivi: dove il profilo meritocratico prevale sugli altri. La disciplina delle pensioni di vecchiaia può essere utilizzata anche per finalità di economia generale. Tipico è il caso del prepensionamento, istituto che consente l’attribuzione della pensione di vecchiaia con un’anticipazione di 5 o più anni rispetto all’età edittale. Attraverso di esso, il legislatore mira a conservare il livello occupazionale, tramite l’ausilio degli ammortizzatori sociali, e mira ad eliminare le eccedenze di personale. Le relative discipline dei 2 interventi hanno subito negli anni importanti modifiche. Una prima questione nasce dal fatto che pensione di anzianità è peculiarità dell’ordinamento previdenziale italiano, considerato scarsamente giustificato. Tanto che, aggravatosi la crisi finanziaria del sistema e accentuatasi la tendenza dell’invecchiamento demografico, si sono accentrate iniziative dirette alla sua sostanziale soppressione, di fatto decretata con la riforma del 1995. L’art. 1 di questa, ha dichiarato che “per i lavoratori i cui trattamenti pensionistici sono liquidati esclusivamente secondo il sistema contributivo, le pensioni di vecchiaia sono sostituite da un’unica prestazione: pensione di vecchiaia”. Ma si è configurata anche la possibilità di una pensione anticipata: da riconoscere a chi abbia maturato un’anzianità contributiva di almeno 42 anni, se uomo, 41 anni, se donna, incrementata di un mese all’anno a partire dal 2012. Al proposito, agevolazioni a favore dei lavoratori dipendenti che svolgono lavorazioni particolarmente pericolose o faticose sono state introdotte dalla legge di bilancio per il 2012. b) Un primo contributo all’elevazione dell’età pensionabile era apportato, anche, dalle norme che hanno riconosciuto il diritto di opzione per il mantenimento in servizio oltre l’età edittale. La prima fattispecie di opzione è quella prevista sulla parità di trattamento tra uomo e donna (l. 903/1997) che ha consentito alle lavoratrici di restare in servizio, a propria scelta, fino al compimento della stessa età stabilita per il pensionamento maschile. Successivamente, a tutti i lavoratori che non avessero raggiunto l’anzianità contributiva massima, è stato consentito di optare per continuare il rapporto di lavoro fino al compimento dei 65 anni, ove ciò risultasse necessario al compimento del requisito contributivo minimo o per incrementare l’anzianità contributiva. Infine, vi è l’opzione riservata agli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e alle gestioni sostitutive, per la permanenza in servizio fino ai 65 anni, anche in anz. Contr. Massima utile. La riforma pensionistica del 1995 (Riforma Dini, legge. n. 335/1995 ) ha inteso rendere flessibile e uguale per tutti, uomini e donne, l’età pensionabile attraverso il riconoscimento all’assicurato della facoltà di scegliere l’età del proprio pensionamento, purché all’interno del periodo compreso tra 57 e 65 anni di età. Una scelta produttiva di effetti sull’importo della pensione. Con la riforma Dini, infatti, è entrato in vigore per il calcolo della pensione un sistema di tipo contributivo, ossia fondato sul totale dei contributi versati dal lavoratore nel corso della propria vita lavorativa (rivalutati nel corso del tempo). Essa ha inciso anche sulla disciplina dei requisiti di anzianità assicurativa e contributiva per l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia, distinguendo tra la vecchia e nuova disciplina, con data dal 31 dicembre 1995. Ha stabilito che ai rapporti assicurativi già instaurati prima, continuasse ad applicarsi la disciplina precedente, quella del 1992. La riforma Dini portò considerevoli cambiamenti anche in riferimento all’età pensionabile, che venne resa flessibile e compresa, tanto per gli uomini quanto per le donne, in una fascia racchiusa tra i 57 e i 65 anni. Ai lavoratori neoassunti è stata attribuita la facoltà di avvalersi di questa disciplina “flessibile” dell’età pensionabile, già con il solo requisito contributivo minimo di 5 anni. Con ulteriore specificazione: che l’ammontare della contribuzione concretamente versata risulti di entità tale da consentire che l’importo teorico della pensione sia non inferiore a 1,2 volte l’importo dell’assegno sociale. Ha anche addossato l’onere dell’aggiustamento dei conti essenzialmente sui lavoratori neoassunti. Altre novità introdotte con la riforma Dini riguardarono i requisiti per il pensionamento dei lavoratori deputati ad attività “usuranti”, i tempi di uscita dal lavoro e le pensioni di invalidità. Con le nuove norme, venne concessa alle categorie impegnate nei lavori usuranti la possibilità di fruire di un "bonus" non solo per "accorciare" l’età fissata per la pensione di vecchiaia (come previsto dalla riforma Amato), ma anche per ridurre il numero di anni di versamento richiesti per questa prestazione (20 anni) o per "ridurre" il requisito anagrafico richiesto per l'accesso alla pensione di anzianità, in aggiunta a quello contributivo dei 35 anni di versamento. In linea generale, si può dire che per ogni anno di lavoro "usurante" si concesse uno "sconto" sull'età pensionabile di due mesi, fino ad un massimo di cinque anni. Inoltre, si fissarono per la prima volta delle finestre di uscita – ossia dei periodi di tempo determinati – per raggiungere la pensione di anzianità e si programmò una stretta sulle pensioni di invalidità e reversibilità, riducendole in presenza di altri redditi. La riforma è intervenuta anche sulla disciplina della pensione di anzianità, inasprendo i requisiti: al requisito dei 35 anni di anzianità contributiva, è accompagnato un’età non inferiore a 57 anni, o 40 anni di contributi. Metodo di calcolo delle pensioni: bisogna distinguere tre situazioni differenti al 31/12/95: Lavoratori con anzianità contributiva ≥ 18 anni al 31/12/95: sistema retributivo; Neoassunti dall’01/01/96: sistema contributivo; Lavoratori con anzianità contributiva 18 anni al 31/12/95: sistema misto. c) Per affrontare la crisi finanziaria del sistema, si è arrivati ad una ulteriore tappa del processo: quella segnata dalla legge delega del 2004 di riforma delle pensioni (243/2004) (Riforma Maroni) , che in funzione di un innalzamento dell’età media di pensionamento, è intervenuta sui requisiti amministrativi e sull’età anagrafica. Detta legge ha stabilito che, a partire dal 2008, i lavoratori cui la pensione sia liquidata esclusivamente con il sistema contributivo di calcolo, possano acquisire il diritto alla pensione di vecchiaia avvalendosi della flessibilità dell’età pensionabile, introdotta dalla l.1995 solo in presenza del requisito di anzianità contributiva e assicurativa pari o superiore ai 35 anni. Altrimenti, in presenza di un’anzianità inferiore, ciò si realizza solo al compimento di 60 o 65 anni, che si tratti di donna o uomo. Nel dettaglio, la legge delega 243/04, lasciando invariato il requisito contributivo di 35 anni, modificò l’età minima per accedere alla pensione di anzianità, spostandola da 57 a 60 anni dal 2008, a 61 dal 2010 e a 62 dal 2014. Invariati rispetto a quanto già stabilito dalla riforma Dini, invece, rimasero i parametri per l'accesso al pensionamento indipendentemente dall’età anagrafica, ossia 40 anni di contribuzione. A molti, infatti, non parve né equa, né logica l’introduzione di una differenza di tre anni lavorativi – il cosiddetto “scalone” – tra chi avrebbe maturato il diritto alla pensione il 31 dicembre del 2007 e chi lo avrebbe fatto il primo gennaio del 2008. Su tale nodo problematico è intervenuto, nel luglio 2007, il protocollo sul Welfare firmato dalle organizzazioni sindacali e il governo Prodi: lo scalone di Maroni non venne abbattuto, ma sostituito da un meccanismo di aumento graduale dell’età pensionabile nell’arco di 4 anni destinato a produrre il medesimo effetto. Un aggiuntivo effetto di differenziazione di età è prodotto dal vincolo di scaglionamento dei pensionamenti: le finestre estese anche alle pensioni di vecchiaia. Ne è conseguito uno slittamento dell’età pensionabile. Un meccanismo di adeguamento dell’età pensionabile all’incremento della speranza media di vita è divenuto operativo dal 2015. d) IL REGIME DELLE DECORRENZE
A. maturazione dei requisiti entro il 31.12.2010: finestre
rigide, differenziate in base a tipologia di pensione
B. maturazione dei requisiti dopo il 01.01.2011: finestra
unica e mobile
Nuovi requisiti di accesso
ai trattamenti pensionistici
A partire dal 1° gennaio 2012 per i soggetti che maturano
i requisiti, secondo i regimi misto e contributivo, per le
pensioni di vecchiaia, vecchiaia anticipata ed anzianità,
si potrà parlare soltanto di:
a) PENSIONE DI VECCHIAIA, sulla base dei requisiti ex commi
6 e 7 (fatte salve le eccezioni previste ai commi 14, 15-bis e
18);
b) PENSIONE ANTICIPATA, conseguita soltanto con i requisiti
previsti ai commi 10 e 11 (fatte salve le eccezioni previste
ai commi 14, 15- bis, 17 e 18).
Nuovi requisiti per la pensione di
vecchiaia (co. 6 e 7)
* Ambito soggettivo: le nuove regole si applicano
esclusivamente ai soggetti che, a decorrere dal 1°
gennaio 2012, maturano i requisiti per il pensionamento;
* Finalità: “conseguire una convergenza verso un requisito
uniforme per il conseguimento del diritto al trattamento
pensionistico di vecchiaia tra uomini e donne e tra
lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi” (co. 6);
* Ridefinizione dei requisiti anagrafici di accesso alla
pensione di vecchiaia (co. 6)
* Ridefinizione dei requisiti di anzianità contributiva e di
importo economico minimo della pensione (co. 7)
REQUISITI ANAGRAFICI PER IL CONSEGUIMENTO
DELL’ASSEGNO SOCIALE (co. 8)
A decorrere dal 1° gennaio 2018 il requisito
anagrafico per il conseguimento dell'assegno
sociale e' incrementato di un anno
4. Nell’ambito della disciplina dei trattamenti pensionistici dell’assicurazione obbligatoria, una innovazione è data dalla sostituzione del criterio del calcolo della pensione su base retributiva con quello su base contributiva, a decorrere dal 1° gennaio 1996, e in via assoluta, dal 1° gennaio 2012. Con tale criterio, la legge di riforma del 1995 ha realizzato un passaggio morbido al nuovo regime. È stato stabilito, a favore ei lavoratori già assicurati alla data del 31 dicembre 1995, il mantenimento del diritto alla liquidazione della pensione in base al previgente sistema retributivo; per l’intero, per quei lavoratori che avessero già raggiunto 18 anni di anzianità contributiva a tale data; altrimenti, con liquidazione in pro- rata, cioè parte secondo il calcolo retributivo e parte con il contributivo, in proporzione al periodo di assicurazione interni all’uno e all’altro regime. Il passaggio in via assoluta al criterio contributivo è stato disposto dalla l.214/2011 che ha stabilito che tutte le anzianità contributive maturate a partire dal 1° gennaio 2012 vengano computate con detto criterio di calcolo. Con il sistema retributivo l’importo della pensione viene determinato sulla base di: a. Si calcola la media delle retribuzioni percepite in un periodo di riferimento predeterminato dalla legge, si determina la c.d. retribuzione pensionabile; b. Si calcola il numero complessivo delle settimane di contribuzione accreditate nel corso dell’intera vita lavorativa, si determina la c.d. anzianità contributiva; c. Ci attribuisce a ciascun anno di contribuzione la c.d. aliquota di rendimento (2% retribuzione pensionabile), per un massimo di 40 anni di anzianità contributiva (80% retribuzione media). Nel calcolo retributivo della pensione occorre tener conto della disciplina del tetto o massimale di retribuzione pensionabile: cioè di quella normativa che ha operato al fine di rendere improduttive di incrementi pensionistici le quote di contribuzione versate sulla parte di retribuzione eccedente un certo importo. Vi sono, anche, differenze di calcolo tra la riforma del ’92 e del ’95: comporta, per le anzianità a cavallo tra le riforme, l’adozione di criteri di computo differenziati per fasce (fascia A, fascia B). Il sistema di calcolo contributivo si fonda su un predeterminato rapporto tra il totale della contribuzione versata nell’intero arco della vita lavorativa e l’ importo totale della pensione , cioè risultante dalla somma teorica di tutti i prevedibili ratei della stessa. La legge stabilisce che venga determinato il montante contributivo individuale, rappresentato dalla somma di tutte le annualità di contribuzione accreditate al soggetto interessato, importi delle rivalutazioni periodiche, ottenute applicando il tasso annuo di capitalizzazione. Da tale viene sviluppata, attraverso criteri, la pensione da attribuire al soggetto cui il montante stesso si riferisce. Questo non è che una pura funzione contabile, valida ai fini del calcolo della pensione, ma al quale non corrisponde un effettivo accumulo di fondi riservati all’assicurato. Le risorse finanziarie destinate al pagamento delle pensioni continuano ad essere raccolte e gestite con il criterio della ripartizione. Come 2° operazione viene determinato l’importo complessivo della pensione; e viene tradotto nell’importo della pensione individualmente spettante, sulla base di un coefficiente di trasformazione che tiene conto dell’età del singolo pensionando. Per il trattamento pensionistico dei lavoratori autonomi vale il sistema contributivo, così per il calcolo della pensione la conformità tra i due settori può considerarsi piena. Per i professionisti forniti di autonome casse la l.’95 non ha imposto l’obbligo di abbandono del sistema di calcolo reddituale, ma si è limitata ad attribuire una facoltà di opzione per il contributivo. Il legislatore si preoccupa di garantire la permanenza del livello di adeguatezza della pensione. Tale garanzia si realizza attraverso il meccanismo della perequazione automatica. Anche tale è stato modificato al “ribasso” dalle l.’92. Ma, per il livello delle pensioni calcolate secondo il sistema retributivo è segnato dalla vigente disciplina, ma ciò non vale per il sistema contributivo. Per tener sotto controllo l’andamento degli importi di quest’ultime, la riforma ’95 ha previsto accorgimenti tecnici: clausole di salvaguardia. Ai sensi della 1° di dette clausole, il montante contributivo non deve superare un predeterminato massimale annuo rivalutabile; ed esso si determina sulla base di una aliquota di accantonamento predeterminata: attualmente pari al 33% per i lavoratori dipendenti e 26% per gli autonomi. La 2° clausola prevede che i coefficienti di trasformazione possano essere periodicamente modificati per atto amministrativo, conseguenti a variazioni della durata della vita media o demografiche in generale. La legge si preoccupa anche di regolare il concorso della retribuzione o di altre fonti di reddito con il trattamento pensionistico. Ad oggi vige un regime di sostanziale liberalizzazione. Anche i periodi di lavoro svolti successivamente alla data del pensionamento sono soggetti a contribuzione, e dà titolo ad un aumento della pensione, supplemento di pensione. Deve esser decorso almeno un biennio dalla data di decorrenza del trattamento pensionistico. Posizioni assicurative che risultino frazionate in più regimi possono dal luogo ad un’unica pensione, attraverso la ricongiunzione o la totalizzazione. 5. Il rapporto previdenziale che si instaura con l’assicurazione generale obbligatoria coinvolge anche i familiari del lavoratore assicurato. La morte di quest’ultimo figura tra gli eventi protetti da assicurazione, e i familiari superstiti acquisiscono iure proprio il diritto alle prestazioni. Ciò avviene anche nell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. I familiari che acquistano il diritto sono: il coniuge e i figli. In mancanza di questi destinatari sono i genitori, purché inabili e non titolari di pensione. In mancanza anche di questi, destinatari sono i fratelli celibi e le sorelle nubili, con le stesse qualificazioni. L’acquisizione del diritto è subordinata alla sussistenza del requisito della vivenza a carico. Il diritto alla prestazione pensionistica del coniuge può essere acquisito, a determinate condizioni, anche dal coniuge divorziato o separato legalmente. Non vale ciò per il convivente moro uxorio. Sono state eliminate per riconosciuta illegittimità costituzionale, le norme che hanno imposto la condizione della differenza massima di età tra i coniugi, e la condizione della durata minima del matrimonio per chi avesse sposato un pensionato di età avanzata. Al coniuge sono equiparate le persone dello stesso sesso unite civilmente (l.76/2016). L’istituto della ricongiunzione: consente al lavoratore, che vanti periodi di iscrizione a forme di previdenza sostitutiva di quella dell’INPS, di ottenere l’accorpamento di tali periodi assicurativi presso il regime gestito da quell’Istituto, al fine del conseguimento di una pensione unica. Per i dipendenti degli enti locali l’età pensionabile prima era fissata a 60 anni, sia per le donne che uomini. A differenza di quanto vale per gli statali è previsto l’onere della domanda: la pensione non può essere liquidata d’ufficio e decorre dal mese successivo a quello di presentazione della domanda (n.1646/1992). I criteri di calcolo della pensione sono più complicati, perché non tutti i servizi valutabili rilevano nella stessa maniera, e la base pensionabile è stata stabilita attraverso una complessa operazione cui rilevano sia l’ultima retribuzione annua contributiva sia l’indennità integrativa speciale, e la suddetta retribuzione viene suddivisa in due quote (assegni fissi e continuativi, assegni per speciali mansioni) con diverso coefficiente. Quanto alla tutela dei familiari superstiti, nel settore dell’impiego statale, la legge accomuna sotto la medesima denominazione di trattamento di reversibilità sia la pensione di reversibilità che quella indiretta. Tale trattamento è riconosciuto ai superstiti del dipendente statale già pensionato, o deceduto in attività di servizio con almeno 15 anni di effettivo servizio se dipendente civile, meno anni se militare. La distinzione permane nel settore dell’impiego presso gli enti locali. Per la pensione indiretta è stata prevista una disciplina diversa, a seconda che il decesso del dante causa sia avvenuto dopo la cessazione del servizio, oppure in attività di servizio; nel primo caso il dipendente deve avere un servizio utile minimo complessivo per il perfezionamento della pensione; nel secondo è sufficiente un servizio di 14 anni, 6 mesi. 7. Nel vigente sistema di welfare, accanto le assicurazioni sociali, vi sono delle forme di tutela economica di natura assistenziale a favore dei cittadini sprovvisti di reddito. Si tratta di forme di tutela che funzionano da sponda anche per le assicurazioni sociali: a favore di quei lavoratori, non avendo raggiunto i requisiti assicurativi minimi per la pensione non possono ambire ad altro ausilio sociale, che non quello delle forme universalistiche di tutela. Tra le varie forme di quest’ultime spiccano le prestazioni pensionistiche a favore degli invalidi civili e l’assegno sociale. Il quadro resta incompleto se non si fa cenno ad altre importanti prestazioni assistenziali: le prestazioni economiche assicurate a tutti i cittadini, anche ai fini del contrasto dell’emarginazione sociale con la relativa legislazione regionale; le prestazioni pensionistiche assistenziali destinate alla tutela della famiglia e dei suoi componenti. Va ricordata anche la tutela economica accordata ai superstiti dei grandi invalidi di guerra e la pensione ai superstiti di vittime del terrorismo, del dovere o della criminalità organizzata, che la legge ha innestato nel sistema previdenziale. Vanno ricordati anche i fondi destinati alle politiche sociali: l’istituzione presso il Ministero del lavoro del Fondo di sostegno per le famiglie di vittime di gravi infortuni sul lavoro, con il compito di anticipare le prestazioni di competenza dell’INAIL, e di provvedere nei casi in cui non sussista copertura assicurativa; l’istituzione del Fondo per le politiche della famiglia con il compito di favorire la permanenza o il ritorno nella comunità familiare di persone parzialmente o totalmente non autosufficienti: una ulteriore indicazione di forme di auto protezione; il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale. Vanno ricordati anche l’istituzione dell’assegno ai nuclei familiari sprovvisti di reddito, destinato ai nuclei familiari composti da cittadini italiani residenti, con tre o più figli tutti con età inferiore ai 18, che risultino in possesso di risorse economiche non superiore ad un determinato importo secondo l’ISEE; l’istituzione di prestazioni di assistenza in favore di persone con disabilità gravi, prive del sostegno familiare. Invece, la carta acquisti o social card è destinata ai cittadini meno abbienti per l’acquisto di generi alimentari o il pagamento di bollette per la fornitura di energia elettrica, gas, ecc. A favore delle madri cittadine italiani residenti, prive di coperture previdenziale e il cui nucleo familiare di appartenenza risulti destinatario di risorse economiche non superiore ai valori dell’indicatore ISEE è stato istituito l’assegno di maternità, che compete anche alle lavoratrici. Vi è la indennità di frequenza scolastica, finalizzata a fornire sostegno alla famiglia, ma anche a favorire l’espressione delle potenzialità cognitive e relazionali del bambino già dall’asilo. Ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale, e senza altri ammortizzatori sociali, è destinato il reddito di ultima istanza, accompagnamento economico per il reinserimento sociale. Tra le misure per il contrasto alla povertà e all’esclusione sociale vi è l’istituzione del reddito di inclusione (legge delega 33/2017 e l 147/2017). Si tratta di prestazioni in parte di natura economica e in parte di servizio alla persona, destinata con priorità ai nuclei familiari con minori o disabili gravi. 1998→ l’assegno ai nuclei familiari numerosi. 1990→ indennità di frequenza scolastica finalizzata a fornire sostegno alla famiglia. 2003→ alle famiglie a rischio esclusione sociale e i cui componenti non usufruiscono già di altri ammortizzatori sociale è destinato il reddito di ultima istanza (strumento di accompagnamento economico a programmi di reinserimento sociale). 2017→ reddito di inclusione, misura specifica diretta al contrasto della povertà e dell’esclusione sociale. 8. L’assegno sociale. Tra le prestazioni economiche di assistenza sociale spicca la pensione sociale, istituita alla fine degli anni ’60 a favore dei cittadini ultra 65 sprovvisti di reddito e a decorrere dal 1° gennaio 1996, si trasforma in assegno sociale, per la riforma del 95. L’istituto di questa prestazione ha segnato una tappa importante per l’ordinamento di sicurezza sociale, perché rappresenta la prima forma di tutela economica di carattere universale, ispirata a criteri distributivi. L’assegno sociale è a carico della Gestione degli interventi assistenziali e di sostegno delle gestioni previdenziali, istituita presso l’INPS. Il finanziamento di detta è a carico dello Stato. Originariamente, il requisito per la prestazione era il possesso della cittadinanza italiana, la quale doveva sussistere durante il godimento della prestazione. La perdita di detta comportava la perdita del diritto. Oggi la stessa viene erogata anche ai soggetti equiparati ai cittadini: gli abitanti di San Marino, ai rifugiati politici, ai cittadini di uno stato dell’UE residenti in Italia, agli extracomunitari con carta di soggiorno. Altro requisito per l’acquisizione del diritto è il compimento dell’età originariamente di 65 anni, oggi 66 anni senza differenza tra uomo e donna. Ulteriore requisito è il limite di reddito. Se il soggetto possiede reddito proprio, l’assegno è attribuito in misura ridotta: fino a concorrenza dell’importo dell’assegno stesso, se si tratta di soggetto non coniugato; fino al doppio del già menzionato importo; se il medesimo è coniugato, dovendosi computare anche il reddito del coniuge. Successivi incrementi del reddito oltre il limite massimo danno luogo alla sua sospensione. Altro requisito è quello della residenza nel territorio italiano: requisito già superato e introdotto nel 1992. Con intervento di forte impatto innovativo l’art. 20 legge n.133/2008, a fini di contenimento dell’erogazione della prestazione agli stranieri, ha stabilito che a decorrere dal 2009, la prestazione può essere erogata solo se il richiedente abbia soggiornato in via continuativa per almeno 10 anni. Questa prestazione è erogata dall’INPS con le stesse modalità previste per l’erogazione delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria gestita dallo stesso istituto; è vitalizia; viene corrisposta per 13 mensilità; decorre dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda; è erogata sulla base della dichiarazione rilasciata dal richiedente ed è conguagliata successivamente sui redditi percepiti. L’importo dell’assegno sociale è soggetto al sistema di perequazione automatica delle pensioni dei lavoratori dipendenti dal settore privato; esso non è reversibile ai superstiti, e non è né cedibile né sequestrabile, né pignorabile; può essere ridotto nei casi in cui il titolare venga ricoverato in istituti. A decorrere dal 1° gennaio 2018 il requisito anagrafico 9. Pensioni per gli invalidi civili. Ai sensi di legge gli invalidi civili sono i cittadini affetti da minorazioni congenite o acquisite, che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore ad una determinata percentuale, o se minori degli anni 18, abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni propri della loro età. Le percentuali di invalidità per le minoranze e le malattie invalidanti sono definite da delle tabelle. La percentuale minima di invalidità per il riconoscimento del diritto alle prestazioni già fissata ai 2/3 della capacità lavorativa normale, è stata successivamente elevata al 74%. In altra prospettiva la nozione di persona disabile o handicappata, come quella che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale che è causa di difficoltà di apprendimento o di integrazione lavorativa, e tale da determinare un processo di svantaggio sociale. Si tratta di una nozione più ampia. Il recupero delle specificità attitudinali del disabile è perseguito anche con forme di collocamento mirato. Requisiti per il diritto alle prestazioni economiche, sono per tutte le categorie degli invalidi civili, la residenza e la cittadinanza italiana. Possono essere riconosciuti anche i cittadini di paesi comunitari che risiedono nel nostro territorio per lavoro. Sono previsti limiti di reddito. Il procedimento di erogazione della prestazione è fondato sul principio della separazione tra la fase dell’accertamento sanitario e quella della concessione dei benefici economici. L’accertamento delle condizioni sanitarie è demandato ad apposite Commissioni mediche; l’accertamento dei requisiti amministrativi cui provvedono le Regioni; alla materiale erogazione della prestazione provvede l’INPS tramite un apposito fondo di gestione. La pensione di inabilità è riconosciuta ai mutilati e agli invalidi di età compresa tra 18 e 65 anni. L’ indennità di accompagnamento spetta ai mutilati e invalidi dichiarati totalmente inabili non deambulanti e non autosufficienti, bisognosi di assistenza continua, aventi diritto alla pensione. CAPITOLO 9: LE FORME DI PREVIDENZA DI FONTE NEGOZIALE Il fenomeno previdenziale non è interamente riconducibile ad un unico schema concettuale. Accanto alle forme di previdenza pubblica concorrono ad integrare il sistema forme di previdenza di fonte negoziale. Già priva l’avvento della Repubblica palesi erano gli interventi dello Stato nell’ambito delle tutele sociali fondata non sulla divaricazione tra ruolo dello stato e ruolo dei soggetti privati, ma bensì sulla combinazione/interazione di quei ruoli. Impostazione fondata su di un sistema la cui struttura includeva le iniziative delle singole categorie interessate. Da ricordare: 1. prima struttura destinata alla tutela pensionistica per la vecchiaia e l’invalidità configurata dalla legge del 1898, come assicurazione volontaria. 2. Con l’introduzione della previdenza pensionistica obbligatoria, finanziata con contributi degli interessati (1919). 3. Creazione dei fondi esonerati 1924 (forme di previdenza aziendale attivabili a condizione che la loro concreta regolamentazione si conformasse a criteri atti ad assicurare ai relativi iscritti una tutela almeno equivalente a quelle del regime generale). Tratti di continuità si hanno, innanzitutto, con la libertà della previdenza e dell’assistenza privata, pensionistiche degli anni ’90 si è avuta una piena disciplina della previdenza privata che prenderà il nome di <<previdenza complementare>>, il secondo pilastro del sistema della previdenza generale. Alla specifica disciplina è rimasto impresso il carattere volontario. La costituzione del rapporto di previdenza complementare, quale risultante dalla disciplina dettata dal d.lgs. n. 124/1993 e oggi dal d.lgs. n. 252/2005, è frutto di un’iniziativa che promana dall’autonomia privata. (prima differenza con la previdenza di base). Iniziativa che si manifesta attraverso un atto di autonomia collettiva (per quanto riguarda l’istituzione e regolamentazione di ciascuno specifico regime o fondo pensione) e agli atti di autonomia individuale (per quanto riguarda la partecipazione in concreto a quel fondo). Anche l’istituzione del fondo pensione può derivare da un atto di autonomia individuale come è avvenuto nei casi tradizionali dei fondi pensione, costituiti per atto unilaterale del datore di lavoro (art. 2117 c.c.), o come avviene nelle più recenti forme di previdenza complementare, tra le quali la legge comprende anche quelle costituite, ad iniziativa del lavoratore, tramite contratto di assicurazione vita (c.d. terzo pilastro). Il legislatore nel momento stesso in cui ha scelto di funzionalizzarla, cioè di attribuire a detta forma di tutela sociale il compito di integrare il sistema obbligatorio pubblico <<al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale>> si è ritrovato costretto a contenere e regolare le manifestazioni di autonomia privata suddette all’interno della rete di una specifica disciplina. D’altra parte, giusta l’attribuzione della previdenza complementare e integrativa alla competenza legislativa concorrente delle Regioni (art. 117 comma 3, cost.), un’ulteriore tipologia di fondo di previdenza complementare è quello derivante dall’iniziativa di queste ultime. La decisione di promuovere e incardinare nel sistema pensionistico generale le forme di previdenza integrativa o complementare è un portato delle riforme degli anni ’90 e delle esigenze ad esse sottese→ d.lgs. n. 124/1993. Hanno indotto a tale scelta i vantaggi e le opportunità, per il sistema economico nel suo complesso, che si è ritenuto potesse essere indotte dallo sviluppo di detta particolare forma di previdenza. Infatti, è da riconosce come queste forme di previdenza rappresentino importanti strumenti di intermediazione finanziaria del mercato mobiliare e veicoli di investimenti nei settori produttivi. Mentre la previdenza pubblica, che opera a ripartizione, favorisce prevalentemente i consumi che è destinata ad operare a capitalizzazione (come quella privata). Ma non solo, l’istituzione di forme di previdenza complementare viene avvertita dal corpo sociale come occasione di riappropriazione delle libertà individuali e, quindi, della possibilità di autodeterminazione in merito ai bisogni da includere tra quelli meritevoli di protezione. Questo tipo di sistema risulta anche necessario, trattandosi di attivare una sorta di prestito compensatorio delle disfunzioni e, comunque, del deficit di copertura sociale che presenta l’attuale sistema previdenziale di base. È da considerare, però, che l’assunzione strumentale di un secondo pilastro implica, per chi voglia usufruire dei relativi vantaggi, la volontà di sostenere costi aggiuntivi. Il che implica che detto regime non può essere accessibile a tutti gli appartenenti alle categorie destinatarie della tutela previdenziale obbligatoria e, dunque, non può vedersi riconosciuta una vocazione universale. Tale situazione comporta condizionamenti e freni a quel processo di armonizzazione di regimi e tutele, del quale le riforme pensionistiche degli anni ’90 si sono particolarmente preoccupate. Ma è anche situazione che può comportare il rischio di un rallentamento del processo di attuazione del fondamentale principio di cui al 2 comma dell’art. 3 cost. Del resto, anche la parziale riconversione tecnica del criterio di gestione finanziaria del sistema previdenziale inevitabilmente influisce su di un aspetto fondamentale dell’intero sistema previdenziale: quello della sua connotazione solidaristica. In effetti, il trattamento pensionistico spettante a ciascun iscritto non è destinato a rappresentare altro che la rendita degli apporti a lui stesso imputabili (o perché da lui versati o perché versati dal suo datore di lavoro). Di conseguenza, ne risulta esclusa ogni seria prospettiva di effetti redistributivi di ricchezza e, dunque, di solidarietà tra gli iscritti a quei fondi. Per quanto riguarda il livello di prestazioni, la vigente disciplina della previdenza complementare, in quanto correlata alla riduzione della spesa pubblica, sottintende specifiche scelte sullo standard di protezione sociale da affidare alla diretta responsabilità dello Stato. Poiché l’ambito soggettivo di riferimento dei due distinti regimi di protezione sociale non necessariamente coincide, tale realtà automaticamente riporta in primo piano il problema della nozione di prestazione adeguata, cui deve intendersi riferita la garanzia assicurativa del 2 comma art. 38 cost. L’apporto del trattamento di previdenza complementare, oltre ad essere a carattere facoltativo, resta comunque incerto. Infatti, l’iscritto a fondo a contribuzione definita si assume il rischio attinente all’investimento dei contributi capitalizzati e anche il rischio che, all’atto del pensionamento, il fondo risulti insolvente. È da ritenere che non valga a sanare le suindicate contraddizioni i contributi di solidarietà che onera i regimi di previdenza complementare a favore della previdenza pubblica. Infatti, poiché, tanto secondo il criterio di calcolo retributivo (legge 1969) quando secondo il criterio di calcolo contributivo (legge 1995 e 2011), l’importo di ciascuna pensione si determina in relazione alla retribuzione assoggettata a contribuzione, in nessun caso detto contributo di solidarietà può valere <<ad integrare le prestazioni previdenziali, altrimenti inadeguate, spettanti a soggetti economicamente più deboli>>. Tali contributi concorrono genericamente all’alimentazione finanziaria del sistema previdenziale pubblico, può valere, al massimo, come indiretto fattore di riduzione degli oneri contributivi complessivi e, dunque, come apporto che concorre al contenimento del costo del lavoro del settore nel quale esso è destinato a confluire. Principi regolatori dei rapporti di previdenza complementare. A parte il regime processuale anche le stesse misure di tutela astrattamente comuni non operano nella stessa maniera nei due regimi. Al proposito, può essere considerato già quanto disciplinato dal fondo di garanzia (del 1992) previsto per il caso di insolvenza del datore di lavoro. Tale fondo a differenza di quanto vale per la previdenza di base, non interviene per erogare la prestazione complementare divenuta impossibile per effetto di detta insolvenza, ma piuttosto, ove ricorra detta circostanza, essa provvede ad <<integrale presso la gestione di previdenza complementare interessata ai contributi risultanti omessi>>: il che, in un con testo che si regge sulla capitalizzazione. A tal proposito, possono essere considerate anche le limitazioni alla disponibilità dei relativi diritti, le quali non arrivano ex lege (cioè della stessa natura di quei diritti), ma sono eventuali perché dipendenti dalla regolamentazione dettata dalla clausola collettiva che le prevede (art. 2113 c.c.). Quanto alle garanzie specifiche le stesse appaiono collegabili, in via generale, piuttosto all’art. 36 o all’art. 47, che non all’art. 38 comma 2 cost. Invero, appare il fatto che l'iscritto possa disporre per testamento delle risorse accumulate nella propria posizione individuale, a favore dei soggetti diversi dai familiari: a favore di soggetti cioè destinati ad acquisire il diritto non c'è in considerazione di una situazione di bisogno in cui li costringe il suddetto evento, bensì, iure hereditatis. In via di principio le forme di previdenza complementare sono accessibili a tutti i lavoratori e ciò indipendentemente dal fatto che tale aggiuntivo a forma di protezione pensionistica posta non avere, in concreto, in ambito generale di utilizzazione, e neppure lo stesso ambito soggettivo coperto della previdenza di base. La costituzione di fondi di previdenza complementare non è ammessa, se non in settori e per categorie di soggetti già protetti dalla previdenza di base appunto ed è questa una prima, sensibile limitazione. Ma soprattutto i regimi di previdenza complementare sono a adesione volontaria e richiedono l'impiego di risorse finanziarie aggiuntive rispetto a quelle assorbite dal regime previdenziale di base. Dunque, quei regimi appaiono pregiudizialmente destinati ai lavoratori appartenenti alle categorie economiche più forti. In via generale, comunque, l'ambito soggettivo di riferimento della previdenza complementare <<legale>> espressamente comprende: 1. i lavoratori subordinati (sia del settore pubblico che del settore privato); 2. i lavoratori autonomi e liberi professionisti; 3. i lavoratori parasubordinati; 4. i soci lavoratori delle società cooperative; 5. le persone che svolgono lavori di cura non retribuiti, derivanti da responsabilità familiari e 6. gli associati nei rapporti di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro. Poiché la promozione delle forme di previdenza complementare per la vecchiaia e in gran parte accertata sulla trasformazione del trattamento di fine rapporto in fonte di finanziamento delle stesse, di fatto risultano prioritariamente considerati soggetti ai quali si applica la disciplina di detto trattamento e cioè, in primis, ai lavoratori subordinati del settore privato. Per i dipendenti pubblici si pongono tuttora problemi specifici, essenzialmente: le perduranti difficoltà di conversione delle indennità di fine servizio o di buonuscita che, caratterizzano il relativo settore, in trattamento di fine rapporto e, dunque, di alimentazioni finanziaria del regime di previdenza complementare di competenza. Possibilità e condizioni di accesso alle forme di previdenza complementare, comunque, non sono uguali per tutti. In particolare, i lavoratori subordinati possono accedere soltanto ai fondi a contribuzione definitiva. Tale limite può essere correttamente compreso, solo se si tiene conto che (sebbene tutte le forme pensionistiche complementari collettive operino secondo criteri di corrispettività e in base al principio di capitalizzazione) il programma pensionistico può essere diversamente strutturato. Esso può, infatti, essere strutturato a prestazione definita oppure a contribuzione definita. Fondo a contribuzione definita è quello nel quale l'importo della prestazione pensionistica finale nonché predeterminato, ma dipende dai risultati di gestione delle risorse, tempo per tempo accantonate, quali alimentato dalla contribuzione periodica. Ed è per questo che detto tipo di fondo, essendo l'unico adottato ai percettori di reddito fisso, viene riservato alla previdenza complementare dei lavoratori subordinati. Ai lavoratori autonomi e consentito di scegliere, in alternativa, il fondo a prestazione definita, che è quello dove è stabilito a priori il risultato cioè il livello di trattamento pensionistico al quale si intende per venire. In questo caso è necessario un periodico adeguamento della contribuzione sulla base del variare della situazione economica generale e dei conseguenti rendimenti degli investimenti di capitale. Quest'ultima circostanza spiega perché la scelta di seconda alternativa non sia consentita ai lavoratori subordinati cioè soggetti a reddito fisso, per il rischio che esso comporta. Sono denominati fonti istitutive i soggetti che provvedono alla costruzione e promozione del fondo e alla sua regolamentazione. Ma si denominano più correttamente alla stessa maniera anche i testi normativi che disciplinano ciascun fondo pensione. Le fonti devono stabilire le modalità di partecipazione al fondo degli interessati, nonché le caratteristiche e la disciplina del fondo stesso, atteso che il sistema sia retto dal principio della libertà individuale di adesione. La libertà di adesione, però, non vuole anche dire assoluta libertà di scelta, infatti, non vi è incondizionata libertà di recesso e, alla incondizionata libertà di scegliere il fondo più gradito, non si accompagna una altrettanto incondizionata libertà di mutare il fondo, cioè di trasferirsi da un fondo all'altro. In effetti, ai fondi pensioni che possono essere costituiti su base aziendale (fondi aziendali) o per categoria o professione (fondi categoriali) → per questo motivo detti fondi chiusi→ La scelta di puntare definitivamente sul conferimento degli accantonamenti del TFR è divenuta operativa in concomitanza dell'assunzione di un’altra scelta di sistema ovvero quella di stornare una porzione degli accantonamenti i suddetti dal sistema delle imprese del settore pubblico affinché in detto settore le relative risorse possono essere impiegate dalla mano pubblica in opere socialmente utili. Ne risultata la seguente disciplina. Innanzitutto, per quanto riguarda il TFR, si è stabilito che le imprese maggiori (con almeno 50 dipendenti) siano tenuti a versare al fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei TFR, gli accantonamenti maturati del TFR. Ciò a condizione che tali accantonamenti non siano già stati precedentemente conferiti dai lavoratori interessati alle forme pensionistiche. Si è reso opportuno esentare da detto conferimento le imprese minori, le quali avrebbero incontrato difficoltà maggiori nel perdere la particolare forma di autofinanziamento rappresentata dagli accantonamenti in questione. Per effetto della contribuzione di detto fondo la liquidazione del TFR e delle relative anticipazioni è destinata ad essere effettuata dal datore di lavoro e dal fondo stesso, pro quota sulla base di un'unica domanda. Nel frattempo, le risorse del fondo possono essere utilizzate per il finanziamento di interventi di carattere sociale. Dal 2007 per i lavoratori del settore privato si configurano distinte situazioni, a seconda che la scelta dell'interessato: 1. sia stata pronunciata a favore di una determinata forma di previdenza complementare, con correlato conferimento degli accantonamenti del TFR in maturazione del gennaio 2007; 2. non sia stata effettuata espressamente con conseguente trasferimento del TFR ad uno dei fondi indicati dalla legge stessa; 3. sia stata pronunciata a favore del mantenimento del TFR presso il datore di lavoro (con la conseguenza che per i lavoratori di imprese minori cioè con meno di 50 dipendenti, non vi sarà alcuna variazione rispetto al passato, mentre, per i lavoratori di imprese maggiori cioè con più di 50 dipendenti, il TFR risulterà suddiviso, atteso che gli accantonamenti maturati e maturandi a decorrere dal 2007 devono essere trasferiti allo specifico fondo gestito dall’INPS). Regime della contribuzione: tassazione, agevolazione contributive, contribuzione di solidarietà, fondo di garanzia. Ad agevolazione fiscale che, a favore dei diretti interessati, attenua l'onerosità reale della descritta disciplina del finanziamento. In concreto, l'assetto della disciplina fiscale della previdenza complementare contempla la detassazione della contribuzione ai fondi pensione, con rinvio della corrispondente tassazione del reddito accantonato per finalità previdenziali complementari al momento del suo godimento. Per le imprese che perdono la fonte di autofinanziamento rappresentata dagli accantonamenti del TFR, sono previste misure compensative, costituita ad agevolazioni sul piano della disciplina contributiva. Infine, il legislatore ha previsto anche il caso in cui, a seguito dell’omesso o parziale versamento dei contributi, ad opera del datore di lavoro, l'iscritto al fondo di previdenza complementare non possa conseguire la prestazione. A tal proposito ha istituito il fondo di garanzia presso l’INPS il quale provvede, in caso di insolvenza del datore di lavoro, ad integrare presto la gestione integrativa interessato ai contributi omessi. Va ricordato, inoltre, che l'assetto finanziario della previdenza complementare è caratterizzato anche dalla incidenza della contribuzione di solidarietà. Prima che la materia fosse regolata con legge, si è avuto un lungo dibattito sulla imponibilità della relativa contribuzione. Il legislatore ha infine espressamente escluso dalla base imponibile per la contribuzione obbligatoria le somme versate per prestazioni di previdenza complementare ma, contemporaneamente, ha istituito un contributo di solidarietà ad esclusivo carico dei datori di lavoro, nella misura del 10%, in favore delle gestioni pensionistiche di legge cui sono iscritti i lavoratori. Detta contribuzione è rimasta anche dopo la regolamentazione per legge della previdenza complementare trasformandosi in componente strutturale dell’apparato di previdenza sociale. Una quota del contributo di solidarietà, dunque, è destinato al finanziamento del già ricordato il fondo di garanzia. Regime delle prestazioni e della portabilità della posizione individuale. Le prestazioni sono determinate secondo gli accordi delle fonti istitutive, sulla base di criteri di corrispettività rispetto alla contribuzione versata e capitalizzata. In via di principio, le forme di previdenza complementare possono riguardare gli stessi eventi dei quali si occupano i regimi previdenziali di base: vecchiaia, invalidità, inabilità, morte, rischi comuni e rischi professionali. Il loro campo elettivo di operatività e quello della tutela pensionistica per la vecchiaia, rispetto alla quale meglio si possono realizzare le forme di accumulazione e di investimento delle risorse finanziarie previste dalla legge. Tuttavia, le forme pensionistiche complementari possono intervenire anche in caso di prolungata disoccupazione: la legge prevede, infatti, la possibilità dell’accesso alle prestazioni di previdenza complementare (o parte di esse) con un anticipo di 5 anni rispetto ai requisiti per l'accesso alle prestazioni nel regime obbligatorio di appartenenza <<in caso di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 24 mesi>>. Va ricordata la rendita integrativa temporanea anticipata (RITA) che consente un accesso anticipato alla prestazione complementare a quei lavoratori in stato di bisogno che: maturino l'età per la pensione di vecchiaia anagrafica entro 5 anni successivi, con 20 anni di contribuzione, oppure maturino l'età anagrafica suddetta entro i 10 anni successivi, se disoccupati da più di 24 mesi. Il diritto al trattamento pensionistico comunque è subordinato ai requisiti di accesso stabilite dalle fonti costitutive. Per espresso vincolo di legge la pensione complementare di vecchiaia è consentita solo al momento della maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni stabilite nel regime obbligatorio di appartenenza, con almeno 5 anni di partecipazione alle forme pensionistiche complementari (d.lgs. n. 252/2005). La prestazione può essere erogata in quota capitale ma in misura non superiore al 50% del valore accumulato. Il diritto alla pensione complementare matura condizioni distinte (e più favorevoli) rispetto a quelle che riguardano la pensione di base, ed è soltanto l'efficacia del diritto che viene differita, in rapporto alla data di maturazione del diritto alla pensione di base. In caso di morte del titolare del trattamento pensionistico sono tutelati anche i superstiti, ai quali va corrisposto il montante residuo oppure va erogata una rendita calcolata su quel montante. A differenza di quanto vale per le prestazioni di reversibilità, beneficiari non sono già i familiari predeterminati dalla legge, bensì i soggetti espressamente indicati dal dante causa, secondo uno schema che evochi il diritto successorio, più che la previdenza sociale. Quando vengono meno le condizioni di partecipazione alla forma pensionistica complementare, al lavoratore deve essere consentito di optare per il trasferimento della propria posizione ad un altro fondo, o per il riscatto della posizione individuale: cioè per il recupero dell’intera contribuzione, compresa quella a carico del datore, è incrementata secondo il tasso tecnico di rendimento del fondo stesso. Si tratta della c.d. portabilità della posizione contributiva individuale. In caso di morte, la posizione individuale del lavoratore può essere riscattata dal coniuge, dei figli o dai genitori; in mancanza di tali soggetti o di soggetti espressamente indicato dal sole stesso, la posizione resta acquisita al fondo pensione. La facoltà di trasferimento dell’intera posizione individuale da e verso i fondi negoziali aperti e tra forme previdenziali dello stesso genere è possibile, purché siano trascorsi almeno 2 anni dall'iscrizione. Gli statuti e i regolamenti non possono contenere clausole che risultino limitative del suddetto diritto alla portabilità dell’intera posizione individuale. La stessa norma precisa anche che detto <<diritto al versamento della forma pensionistica da lui prescelta del TFR maturato o dell'eventuale contributo a carico del datore di lavoro può essere esercitato dal lavoratore stesso nei limiti e secondo le modalità stabilite dai contratti o accordi collettivi, anche aziendali>>. Sembrerebbe rientrare così, per il tramite dell’autonomia collettiva, la possibilità di introdurre quelle sostanziali limitazioni alla portabilità, viceversa non consentite negli statuti e nei regolamenti. La disciplina dei <<fondi preesistenti>>. Per le forme di previdenza complementare preesistenti alla regolamentazione per legge vale una disciplina ad hoc. Anche per detti fondi, il legislatore ha previsto l’estensione, seppure graduale, della disciplina generale. Tuttavia, oltre a detta esigenza di conformazione graduale e differita nel tempo, si poneva per detti fondi, all’atto stesso dell’introduzione della disciplina legale, anche quella del rispetto degli interessi già costituiti, e quella di evitare che, per effetto delle riforme subite dal sistema previdenziale di base degli anni ’90, detti fonti preesistenti potessero subire pericolosi contraccolpi e ragioni di dissesto finanziario. La maggior parte dei fondi in questione sono stati strutturati per garantire agli iscritti, sulla base di un regime di contribuzione definita prestazioni definite, normalmente rapportate alle retribuzioni dei lavoratori di pari grado e qualifica tuttora in servizio, ad integrazione del trattamento obbligatorio. Il legislatore ha garantito ai soggetti che siano iscritti a detti fondi prima della data di entrata in vigore della nuova disciplina la conservazione della previgente disciplina di contributi e prestazioni. Solo in caso di sopravvenuti squilibri finanziari del fondo è stata prevista la garanzia di immunità→ immunità limitata ai fondi che, alla già menzionata data, abbiamo maturato i requisiti previsti dalle fonti istitutive medesime per i trattamenti di natura pensionistica. A partire dal 2007, in applicazione dei princìpi dettati in proposito dalla legge delega di riforma pensionistica del 2004, è stato previsto che i fondi preesistenti al d.lgs. n. 124/1993 debbano definitivamente adeguarsi alle nuove disposizioni, secondo criteri e tempi dettati da un apposito decreto interministeriale (salvo il mantenimento del regime di deroga da parte di quei fondi che possano dimostrare di versare un una perdurante situazione di squilibrio per effetto di quella iniziale innovazione normativa). Per quanto riguarda il regime delle prestazioni è stato, invece, stabilito che, l’erogazione della prestazione complementare sia subordinata alla liquidazione del trattamento previdenziale di base e, comunque, che essa si consegue esclusivamente in presenza dei requisiti e con la decorrenza previsti dalla disciplina dell’assicurazione generale obbligatoria di appartenenza, nonché con gli stessi criteri di rivalutazione automatica. Si è così evitato che detti fondi subissero i rischi di tracollo finanziario. La previdenza complementare nel pubblico impiego. Le disposizioni normative sono indistintamente destinate ai lavoratori dipendenti sia privati che pubblici, nella regolamentazione della materia le incontrovertibili specificità che caratterizzano e distinguono i due settori hanno fatto sì che, in attesa del processo di armonizzazione, non si potesse evitare di disporre che <<ai dipendenti della pubblica amministrazione si applica esclusivamente ed integralmente la disciplina previgente>> (d. lgs. N. 252/2005). disposizione dello stesso art. 26, comma 8 (laddove si indica esplicitamente questo stesso termine per l’ampiamento dell’abito di operatività dei fonti già costituiti alle aziende di minori dimensioni fino ad almeno 5 dipendenti) sia nell’art. 29, comma 2 (si definisce l’ambito di operatività del fondo di integrazione salariale, in esso comprendendo in via obbligatoria tutti i datori di lavoro con almeno 5 dipendenti appartenenti a categorie per le quali non sia stato costituito il fondo di solidarietà, sia ordinario o alternativo). Decorso il termine del 31 dicembre 2015, le parti sociali non hanno perso il potere di iniziativa per la istituzione di nuovi fondi bilaterali di solidarietà, che potranno essere sempre attivati senza alcuna limitazione temporale, limitazione incompatibile con il principio di libertà sindacale e di libera espressione dell’autonomia collettiva (art. 30, comma 1, cost.). In questa evidenza, si porrebbe peraltro il problema della trasmigrazione dal FIS al nuovo fondo di solidarietà negoziale di tutte le imprese rientranti nel perimetro soggettivo della nuova iniziativa sindacale. Un problema che sembra da risolvere tenendo conto della impostazione sistematica del decreto e, dunque, a favore della soluzione secondo cui il passaggio dal FIS al nuovo FBS si realizzerà solo una volta che sarà stato perfezionato il procedimento istitutivo di quest'ultimo, con l'emanazione del decreto interministeriale di recepimento dell’accordo collettivo. Nell'impostazione del d.lgs. n. 148/2015, l'oggettivo della universalizzazione delle prestazioni di sostegno del reddito del fondo di solidarietà risulta certamente traguardo del legislatore delegato. Infatti, la tutela apprestata dal sistema della solidarietà bilaterale e ora sostanzialmente generalizzata sia pure con l'esclusione del personale dirigente e con quella che riguarda una fascia minimale di aziende con non più di 5 dipendenti. Sebbene tale soglia sottragga alla specifica forma di tutela una porzione non indifferente di lavoratori, resta il fatto che questo decreto e un dato dimensionale superiore a quello fissato per l'immissione nel sistema della cassa integrazione guadagni, fermo alla tradizionale soglia di oltre 15 dipendenti. La contribuzione: ordinaria, addizionale, straordinaria e correlata Il finanziamento di ciascun fondo viene realizzato mediante un articolato sistema di contributi destinati alla predisposizione della provvista finanziaria occorrente per la erogazione delle varie prestazioni. Il sistema di finanziamento dei fondi bilaterali di solidarietà è caratterizzato da una regola genetica ma anche finanziaria, tra afflusso contributivo e impegno prestazionale, come emerge dall’art. 33 del d.lgs. n. 148/2015: comma1→ Tale comma è dedicato al contributo ordinario si parla di precostituzione di risorse continuative adeguate; comma2→ si parla di contributo addizionale, calcolato il rapporto alle retribuzioni perse, ad esclusivo carico del datore di lavoro che si avvale dello strumento della sospensione della riduzione del lavoro con conseguenti effetti sulla retribuzione, appunto persa; comma3→ Si parla di contributo straordinario di importo corrispondente al fabbisogno di copertura, interamente a carico del datore di lavoro. Non è difficile riferire queste formule al criterio di equilibrio contabile, rafforzato dall’impegno previsionale di cui all’art. 35 comma 3, proiettato sull’arco temporale di 8 anni (mentre il comma5 stabilisce che tali regole sono completate dall'obbligo di bilancio in pareggio e dal correlato divieto di erogazione di prestazioni che non risultano dotate di adeguata copertura finanziaria; tale comma, infatti, è formulato in negativo <<L’INPS e tenuto a non erogare le prestazioni in eccedenza>>). Al di fuori dell’art. 33 si collocano altre possibili linee contributive. È il caso della possibile estensione della funzione di solidarietà di secondo livello, o integrativa, prevista anche per i settori già coperti, in relazione alla quale si prevede un contributo dello 0,30% a decorrere dal 1° gennaio 2017. A cavallo tra la contribuzione e prestazione sta la contribuzione correlata. Detta contribuzione è stata ideata come strumento idoneo a realizzare l’effetto di alimentazione dell’anzianità contributiva secondo un meccanismo di simulata continuità del flusso retributivo. Una formula utilizzata dall’art. 41, comma 2bis, in tema di contratti di solidarietà espansiva che si affianca a quella della contribuzione figurativa (prevista dall’art. 6 del d.lgs. n. 148/2015) od a quella volontaria. Il sistema delle prestazioni In forza del relativo criterio di corrispondenza fra prestazioni e contributi, la misura complessiva delle prestazioni erogabili dei fondi è contenuta, secondo la formula dell’art. 29 comma 4 d.lgs. n. 148/2015, <<nei limiti delle risorse finanziarie acquisite al fondo medesimo, al fine di garantirne equilibri di bilancio>>. È diffusa l'opinione che tali regole impedisco l'operatività, in seno ai fondi bilaterali di solidarietà, del principio generale di automaticità delle prestazioni che con nota la previdenza pubblica obbligatoria. In effetti, i fondi bilaterali di solidarietà rappresentano forme sostitutive della previdenza obbligatoria di base, rientranti a pieno titolo nel raggio funzionale dell’art. 38, comma 2 cost. → dove la deroga al principio della automaticità delle prestazioni appare giustificata dalla esigenza di evitare che si producano elementi di perturbazione o squilibrio all’interno di una mutualità categoriale che si vuole chiusa e finanziariamente auto-conclusa e autosufficiente. Può osservarsi come il divieto di erogare prestazioni in eccedenza rispetto alle effettive disponibilità del fondo non precluda in ogni caso la possibilità di erogazione di prestazioni ai lavoratori interessati, pur a fronte di un non completo adempimento dell'obbligo contributivo da parte dell'impresa richiedente il trattamento. In questo senso, potrebbe parlarsi di una forma, sia parziale che attenuata, di automaticità condizionata delle prestazioni; con il fondo legittimato a provvedere sulle domande di concessione dei trattamenti sino al limite massimo della sua effettiva disponibilità finanziarie. La funzione primaria dei fondi di solidarietà attiene alla erogazione delle prestazioni a completamento della copertura degli ambiti non già inseriti nel sistema della CIGO e della CIGS, la cui operatività è limitata alle imprese dei settori indicati nel titolo I del d.lgs. n. 148/2015. Essenziale e qualificante è l'erogazione del trattamento di integrazione salariale, definito sul piano quantitativo secondo il criterio della misura almeno pari al trattamento di integrazione ordinaria o straordinaria, e sul piano qualitativo e regolamentare attraverso l'applicazione del criterio della compatibilità della disciplina dell'assegno ordinario dei fondi con la disciplina dell'integrazione salariale. La durata delle prestazioni ordinarie è fissata per relationem alla durata delle corrispondenti prestazioni della CIGO (Per l'assegno ordinario almeno 13 settimane in un biennio mobile prorogabile trimestralmente fino a non oltre 52 settimane) e della CIGS (per l'assegno di solidarietà fino al massimo di 12 settimane e sempre nel limite massimo complessivo di 24 mesi in un quinquennio mobile). Su questa base minima è consentito ai fondi di origine negoziale di implementare (in via opzionale) le prestazioni secondo due filoni operativi: quello di sostegno del reddito e quello volta alla formazione. Il primo filone assume una connotazione integrativa con riferimento all'ampliamento di misura e durata delle prestazioni di base, ovvero una connotazione aggiuntiva in termini di assegno straordinario per l'ipotesi di agevolazione all'esodo. Sulla base dell'indicazione dell’art. 33 nessun limite formale si pone alla definizione della misura dell'assegno straordinario che sarà dunque la sua definizione nella fisiologica disponibilità dei settori interessati. In alcuni settori le prestazioni straordinarie di agevolazioni dei processi di esodo del personale in esubero di fatto hanno rappresentato la più importante funzione prestazionale del fondo. Stante le eccezioni della crisi occupazionale del sistema bancario italiano, il legislatore e anzi di più recente intervenuto per sostenere con risorse pubbliche e parte dell'onere finanziario gravante sul fondo di solidarietà del settore del credito per l'erogazione le prestazioni straordinarie, la cui durata è stata estesa sino ad un massimo di 7 anni. Il secondo filone (proprio dei fondi negoziali), nell'articolazione comprensiva sia dei processi di riconversione sia di quelli di riqualificazione, apre alle iniziative di recupero della professionalità e dell’occupazione, ponendosi in stretta correlazione con la disciplina del Mercato del lavoro. Si delinea, dunque, un collegamento con il profilo della condizionalità ed attraverso di esso il collegamento con l’art. 22 del d.lgs. n. 150/2015, ulteriormente correlato con l’art. 20 comma 3 lettera b (del medesimo decreto). Questo filone assume per altro carattere di necessità rispetto ai FSBA, in quanto frutto della trasformazione e confluenza del correlato fondo interprofessionale, permanendo integralmente gli originari obblighi contributivi ed il relativo vincolo alle finalità formative. Proprio riferito al FIS, ma aperto all’opzione anche da parte dei FSBA eventualmente in alternativa all’assegno ordinario, è l’assegno di solidarietà. Detto assegno opera nell’essenziale presupposto della stipulazione del personale, alla condizione che la riduzione dell’orario concordato non superi mediamente per l’azienda il 60% dell’orario e per il singolo lavoratore sia contenuta entro il 70%. LA LOTTA ALLA POVERTÀ E ALL’ESCLUSIONE SOCIALE: DALLA SOCIAL CARD AL REDDITO DI CITTADINANZA LE NORME DI RIFERIMENTO NELL’ORDINAMENTO DELL’U.E. 1) Art. 34.3 CDFUE (Carta di Nizza): “Al fine di lottare contro l’esclusione sociale e la povertà, l'Unione riconosce e rispetta il diritto all'assistenza sociale e all'assistenza abitativa volte a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti, secondo le modalità stabilite dal diritto dell’Unione e le legislazioni e prassi nazionali”. 2) Carta sociale europea (artt. 30-31): garantisce il «Diritto alla protezione contro la povertà e l’emarginazione sociale» e il «diritto all’abitazione». 3) Pilastro europeo dei diritti sociali (Raccomandazione Commissione UE 2017/761 del 26 aprile 2017) che nel capo sulla protezione sociale e inclusione, al paragrafo 14 prevede che “Chiunque non disponga di risorse sufficienti ha diritto a un adeguato reddito minimo che garantisca una vita dignitosa in tutte le fasi della vita e l'accesso a beni e servizi. Per chi può lavorare, il reddito minimo dovrebbe essere combinato con incentivi alla (re)integrazione nel mercato del lavoro”. 4) Strategia Europa 2020 inserisce tra gli obiettivi anche la lotta alla povertà e all’esclusione sociale. IL RIPARTO DI COMPETENZA TRA STATO E REGIONI IN MATERIA DI ASSISTENZA SOCIALE: L’ART. 117 COST. Le politiche sociali rientrano nella competenza legislativa residuale delle regioni (art. 117, comma 4 Cost.) non essendo ricomprese espressamente nell’elenco delle materie di competenza esclusiva essere iscritti ai Cpi nonché disponibilità al lavoro e partecipazione corsi di formazione professionale e programmi per il reinserimento sociale. Prioritariamente riconosciuto a favore delle persone con a carico figli minori o figli con handicap in situazione di gravità. Diffuso soprattutto nel Mezzogiorno, ha scontato l’inadeguatezza di molti Comuni ad elaborare programmi di inclusione sociale. Inoltre, ragioni di carattere politico (subentro di un Governo di opposta fazione). La sperimentazione non ha avuto esito positivo ed È STATA BLOCCATA con la legge finanziaria per il 2003. 2) REDDITO DI ULTIMA ISTANZA (RUI) (art. 3, L. n. 350/2003, commi 101-103): «Nei limiti delle risorse preordinate allo scopo dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell’ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali (…), lo Stato concorre al finanziamento delle Regioni che istituiscono il Reddito di ultima istanza quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di inserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale e i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro» La misura, prettamente assistenziale, avrebbe dovuto sostituire il RMI ma la misura NON È MAI CONCRETAMENTE STATA EROGATA perché censurata dalla C. Cost. con sentenza n. 423/2004 per violazione dell’art. 119 Cost. sull’autonomia finanziaria delle regioni. In particolare, la Corte censura la previsione che pone un preciso vincolo di destinazione nell'utilizzo delle risorse da assegnare alle regioni (nell’ambito del Fondo per le politiche sociali), in contrasto con i criteri e limiti che presiedono all'attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo art. 119, cost., che non consentono finanziamenti di scopo per finalità non riconducibili a funzioni di spettanza statale. In particolare, si stabiliva che il 10% delle risorse dovesse essere destinato a sostegno delle politiche in favore dell’acquisto della prima casa e della natalità. 3) CARTA ACQUISTI ORDINARIA o SOCIAL CARD (art. 81, commi 32 ss., L. n. 133/2008 e D.M. 16 settembre 2008): permette a i cittadini in stato di maggior bisogno economico di acquistare generi alimentari e pagare bollette energetiche. REQUISITI PER L’ACCESSO AL BENEFICIO: Essere adulti di età pari o superiore a 65 anni o bambini di età inferiore a 3 anni; Essere cittadini residenti in Italia o in altri Stati Membri dell’UE oppure loro familiari titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente o stranieri in possesso di permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo. Essere un soggetto incapiente. Avere un ISEE inferiore a 6.000 euro. Non godere di Trattamenti, oppure godere di Trattamenti di importo inferiore a euro 6.000. Altri limiti sulla titolarità di utenze e proprietà di autoveicoli. L’ammontare del beneficio è pari a 40 euro al mese ed è disponibile su una carta ricaricata bimestralmente. 4) CARTA ACQUISTI SPERIMENTALE o Carta per l’inclusione (art. 60, D.L. n. 5/2012 e DM 10 gennaio 2013): affianca la Carta acquisti ordinaria e viene introdotta, in via sperimentale per 12 mesi, al fine di favorire la diffusione della carta acquisti ordinaria tra le fasce di popolazione in condizione di maggiore bisogno, anche al fine di valutarne la possibile generalizzazione come strumento di contrasto alla povertà assoluta. Incompatibilità con la carta acquisti ordinaria. Si caratterizza anche perché affianca al beneficio di tipo economico l’esigenza di inclusione sociale («Carta per l’inclusione»). Misura erogata solo nei Comuni con più di 250.000 abitanti. Successivamente, con la L. n. 147/2013 è stata estesa a tutto il territorio nazionale. REQUISITI DEL RICHIEDENTE: a) essere cittadino italiano o comunitario ovvero familiare di cittadino italiano o comunitario non avente la cittadinanza di uno Stato membro che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino straniero in possesso del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo; b) essere residente nel Comune in cui presenta domanda da almeno 1 anno dal momento di presentazione della domanda. REQUISITI DEL NUCLEO FAMILIARE ISEE inferiore o uguale a 3.000 euro (N.B.: per la carta acquisti ordinaria il limite di ISEE è pari a 6.000 euro) e altri vincoli relativi al patrimonio mobiliare e sul possesso di autoveicoli. nucleo familiare a composizione vincolata: si chiede la presenza di almeno un membro con età inferiore a 18 anni e previsione di criteri di precedenza in base al numero di figli minori e/o disabili. REQUISITI CONCERNENTI LA CONDIZIONE LAVORATIVA Assenza di lavoro per i componenti in età attiva e presenza di almeno un componente del nucleo per il quale, nei 36 mesi precedenti la richiesta del beneficio, sia avvenuta la cessazione di un rapporto di lavoro dipendente, ovvero, nel caso di lavoratori autonomi, sia avvenuta la cessazione dell'attività, ovvero, nel caso di lavoratori precedentemente impiegati con tipologie contrattuali flessibili, possa essere dimostrata l'occupazione nelle medesime forme per almeno 180 giorni. In alternativa, assenza di lavoro per i componenti in età attiva e presenza di almeno un componente in condizione di lavoratore dipendente ovvero impiegato con tipologie contrattuali flessibili; il valore complessivo per il Nucleo Familiare di tali redditi da lavoro, effettivamente percepiti nei sei mesi antecedenti la richiesta, non deve superare euro 4.000. Meccanismo di condizionalità: progetti personalizzati con i comuni per inserimento sociale e lavorativo che comprendono frequentazione di corsi e ricerca attiva di lavoro. L’adesione al progetto è condizione necessaria per l’accesso al beneficio. Ammontare del beneficio: da circa 200 euro a massimo circa 400 euro mensili (se il nucleo familiare a 5 o più membri) 5) PIANO NAZIONALE: art. 1, comma 386, L. n. 208/2015 che istituisce il Fondo per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale presso il MLPS, al fine di garantire l’attuazione del Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, da attuare con cadenza triennale. 6) SIA (“Sostegno per l’inclusione attiva”): art. 1, comma 387, lett. a) L. n. 208/2015, D.I. del 26 maggio 2016 e successivo D.I. del 16 marzo 2017 Misura da realizzare nelle more di attuazione del Piano Nazionale. Rappresenta il Consolidamento ed estensione della Carta acquisti sperimentale. REQUISITI analoghi a quelli indicati per la Carta acquisti sperimentale: cittadinanza, residenza (ma è richiesta la residenza nel Comune erogatore da almeno 2 anni), ISEE inferiore o uguale a 3.000 euro, salvo la presenza di minorenni, limiti sul possesso di auto/moto veicoli. Valutazione multidimensionale del bisogno: per accedere al beneficio il nucleo familiare doveva ricevere un punteggio superiore o uguale ad un valore di 25 attribuito secondo una scala specificata nel D.I. e definita alla base di carichi familiari e condizione economica. Venivano comunque favoriti i nuclei con figli minorenni, un solo genitore, componenti con gravi disabilità o non autosufficienti. Caratteristiche familiari a) presenza nel nucleo di almeno un componente di età minore di anni 18 oppure b) presenza di una persona con disabilità e di almeno un suo genitore; oppure c) presenza di una donna in stato di gravidanza accertata. Altre variazioni legate alla presenza di minori o disabili. Nessun componente deve già beneficiare di strumenti di sostegno al reddito per disoccupazione involontaria. Sottoscrizione, pena esclusione dal beneficio, di un progetto personalizzato gestito da una rete integrata formata da servizi sociali dei Comuni, altri servizi del territorio soggetti del terzo settore e parti sociali, volto al superamento delle condizioni di povertà, inserimento lavorativo e sociale. Il beneficio ammonta a 80 euro mensili per ciascun componente, per un massimo di 400 euro. 7) ASDI (Assegno sociale di disoccupazione) art. 16, d. lgs. n. 22/2015 (abrogato dal d.lgs. n. 147/2017): strumento di sostegno al reddito per i lavoratori che, scaduto il termine massimo di godimento della NASPI, versavano ancora in stato di bisogno e aveva una durata massima di 6 mesi (esempio di welfare lavoristico). Misura a cavallo tra previdenza e assistenza. Priorità ai lavoratori appartenenti a nuclei familiari con minorenni e in età prossima al pensionamento (art. 16, comma 2, d.lgs. n. 22/2015). La corresponsione di tale prestazione è anch’essa condizionata, pena la perdita del beneficio, all’adesione a un «progetto personalizzato», redatto dai competenti servizi per l’impiego, contenente specifici impegni di ricerca attiva di lavoro, di disponibilità a partecipare a iniziative di orientamento e formazione, di accettazione di adeguate proposte di lavoro. L’importo pari a 75% dell’ultimo trattamento NASPI. È stata definita in dottrina un secondo livello di protezione sociale per la disoccupazione involontaria, una figura ibrida di che coinvolge i lavoratori già beneficiari di Naspi, lasciando fuori quelli più deboli. 8) REI (Reddito di inclusione) L. D. n. 33/2017, D. LGS. n. 147/2017 (modificato dalla L. n. 205/2017). Misura di welfare universalistico selettivo, condiziona alla prova dei mezzi, definito espressamente LEP. REQUISITI DEL SOGGETTO RICHIEDENTE: a) essere cittadino dell'Unione o suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo b) Essere residente in Italia, in via continuativa, da almeno due anni al momento di presentazione della domanda; Rimessione alla Corte costituzionale (Trib. Bergamo 1° agosto 2019) della questione di legittimità dell’art. 3, comma 1, lett. a), n. 1, d.lgs. n. 147/2017 nella parte in cui subordina l’erogazione del REI alla titolarità, per i cittadini extracomunitari, del permesso di soggiorno di lungo periodo, escludendo gli stranieri in possesso di permesso di soggiorno per motivi di lavoro (o per altri motivi) sia in possesso, sia con il principio di eguaglianza sostanziale di cui all’art. 3, secondo comma, Cost., perché tale requisito contraddice la funzione sociale dell’edilizia residenziale pubblica». Non esiste una ragionevole connessione tra la ratio del servizio (il soddisfacimento del bisogno abitativo) e il requisito della previa residenza per 5 anni. Tale requisito rivelatore di alcuna condizione rilevante in funzione del bisogno che il servizio tende a soddisfare. Il requisito stesso si risolve così semplicemente in una soglia rigida che porta a negare l’accesso all’ERP a prescindere da qualsiasi valutazione attinente e alla situazione di bisogno o di disagio del richiedente. Ciò è incompatibile con il concetto stesso di servizio sociale, come servizio destinato prioritariamente ai soggetti economicamente deboli. B) REQUISITI DI TIPO ECONOMICO (REDDITUALI E PATRIIMONIALI) DEL NUCLEO FAMILIARE ISEE inferiore a € 9.360 (ISR +ISP moltiplicato per valore scala di equivalenza) Patrimonio immobiliare, in Italia e all’estero, diverso dalla prima casa di abitazione, fino a € 30.000. Patrimonio mobiliare non superiore a 6.000 euro. Questo limite è innalzato di euro 2.000 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di € 10.000, con un incremento di ulteriori euro 1.000 per ogni figlio successivo al secondo. I massimali sono incrementati di euro 5.000 per ogni componente in condizione di disabilità e di euro 7.500 per ogni componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza presente nel nucleo. Reddito familiare non superiore a 6.000€ (moltiplicato per il parametro della scala di equivalenza). N.B.: Questa soglia è aumentata a 7.560 in caso di PdC e in ogni caso a 9.360 € qualora il nucleo familiare risieda in una abitazione in locazione. ULTERIORI REQUISITI BENI DI GODIMENTO DUREVOLI A) nessun componente il nucleo familiare deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità ai sensi della disciplina vigente; B) nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di navi e imbarcazioni da diporto. il richiedente il beneficio non deve essere stato sottoposto a misura cautelare personale o a condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3 (associazioni sovversive, attentato contro organi costituzionali e contro le Assemblee regionali; sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione; associazione per delinquere; associazione di tipo mafioso; scambio elettorale politico-mafioso; strage; truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche) nonché per i delitti collegati o volti a favorire associazioni di tipo mafioso. NON HA DIRITTO AL RDC IL COMPONENTE DEL NUCLEO FAMILIARE DIMISSIONARIO CHE NEI 12 MESI PRECEDENTI (SALVO DIMISSIONI PER GIUSTA CAUSA) Il RdC non ha un importo fisso, ma NON PUÒ SUPERARE COMPLESSIVAMENTE LA SOGLIA DI 9.360 € ANNUI (ossia 780€ mensili), moltiplicata per il parametro della scala di equivalenza, ridotta per il valore del reddito familiare, e NON PUÒ ESSERE INFERIORE A 480 € ANNUI. Il RdC è costituito da: A) una componente a integrazione del reddito familiare fino alla soglia di 6.000€ annui, ossia 500 euro mensili (che diventano 7.560 euro annui per PdC) moltiplicata per il corrispondente parametro della SCALA DI EQUIVALENZA, ossia: • 1 per il primo componente; • 0,4 per ogni ulteriore componente di età maggiore ai 18 anni e 0,2 per ogni ulteriore componente di minore età, fino a un massimo di 2,1 ovvero di 2,2 qualora nel nucleo familiare ci sia un componente in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza. • N.B. esclusi dalla S.E. componenti soggetti in stato detentivo, ricoverati in casa di cura di lunga degenza o strutture residenziali a totale carico dello Stato. B) una componente a integrazione del reddito dei nuclei familiari residenti in abitazione in locazione pari all’ammontare del canone annuo per un massimo di 3.360 € annui (1.800 per PdC). L’integrazione è concessa per un massimo di 1.800€ annui per i nuclei familiari che risiedono in un’abitazione di proprietà ma per la quale è stato contratto un mutuo. IL RDC È ESENTE DA IRPEF LA RICHIESTA DEL BENEFICIO La richiesta può essere effettuata dopo il 5° giorno di ciascun mese: presso gli uffici di Poste Italiane S.p.A.; in modalità telematica; presso i C.A.F. ed enti di Patronato. Gli intermediari trasmettono la richiesta all’INPS che verifica la sussistenza dei requisiti entro 5 giorni lavorativi successivi alla trasmissione da parte degli intermediari e la definisce entro la fine del mese successivo. DURATA: il beneficio è concesso per un massimo di 18 mesi, rinnovabile previo periodo di sospensione di un mese (non per la PdC). CONDIZIONI PER L’EROGAZIONE DEL BENEFICIO L’erogazione del beneficio è condizionata: 1) alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti del nucleo familiare maggiorenni, non già occupati o frequentanti un regolare corso di studi resa mediante apposita piattaforma digitale; 2) all’adesione di un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, riqualificazione professionale, completamento degli studi, attività finalizzate all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale Viene quindi sottoscritto: a) un PATTO PER IL LAVORO con un Cpi o un’Agenzia per il Lavoro. Nel caso in cui sia necessaria altra formazione, gli enti di formazione accreditati possono stipulare presso i Cpi o le agenzie per il lavoro un Patto per la Formazione, con il quale garantiscono al beneficiario un percorso formativo o di riqualificazione professionale, anche mediante il coinvolgimento di Università ed enti pubblici di ricerca. b) Un PATTO PER L’INCLUSIONE SOCIALE nel caso in cui ci si trovi in una condizione di disagio, nell’ambito di nuclei familiari con bisogni complessi e multidimensionali, verrà siglato il Patto per l’Inclusione Sociale che coinvolgerà sia i servizi sociali che i Centri per l’Impiego. Nell'accordo sono inclusi, oltre agli interventi per l'accompagnamento all'inserimento lavorativo, gli interventi e i servizi sociali di contrasto alla povertà. Nell’ambito del Patto per il Lavoro e del Patto di Inclusione, i beneficiari saranno tenuti a partecipare a progetti utili alla collettività predisposti dai comuni, per un numero non inferiore a 8 ore settimanali, aumentabili fino a un massimo di 16 ore complessive settimanali con il consenso di entrambe le parti. La partecipazione è invece facoltativa per coloro che non sono tenute agli obblighi connessi al RDC. Soggetti ESONERATI dalla sottoscrizione del Patto per il Lavoro e del Patto per l’Inclusione: gli occupati, i titolari della Pensione di cittadinanza o i beneficiari del RdC con pensione diretta o con età pari o superiore a 65 anni; i componenti con disabilità, fatta salva ogni iniziativa di collocamento mirato; I frequentanti regolari corsi di istruzione. Possono inoltre essere esonerati: le persone che assistono figli di età inferiore ai 3 anni oppure individui in condizione di disabilità grave o non autosufficienti; i lavoratori con reddito di lavoro autonomo o dipendente, considerati in stato di disoccupazione ai sensi dell’art. 4, comma 15-quater, D.L. n., 4/2019 (reddito pari o inferiore a € 8.145 annui.); coloro che frequentano corsi di formazione, oltre a ulteriori fattispecie identificate in sede di Conferenza unificata. OBBLIGHI CONNESSI ALLA STIPULAZIONE DEL PATTO PER IL LAVORO 1) Registrarsi sull'apposita piattaforma digitale e consultarla quotidianamente quale supporto nella ricerca attiva del lavoro; 2) svolgere ricerca attiva del lavoro 3) accettare di essere avviato alle attività individuate nel Patto per il lavoro 4) sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all'assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate; 5) accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue. L’OFFERTA DI LAVORO CONGRUA La nozione di offerta congrua è contenuta nell’art. 25, d.lgs. n. 150/2015, a sua volta attuato dal D.M. n. 42 del 2018. Alla stregua di questa disciplina, l’offerta di lavoro è congrua tiene conto di: a) coerenza con le esperienze e le competenze maturate b) distanza dal domicilio e tempi di trasferimento mediante mezzi di trasporto pubblico c) durata della disoccupazione d) retribuzione superiore di almeno il 20 per cento rispetto alla indennità percepita nell'ultimo mese precedente, ovvero, per i beneficiari di Reddito di cittadinanza, superiore di almeno il 10 per cento rispetto al beneficio massimo fruibile da un solo individuo, inclusivo della componente ad integrazione del reddito dei nuclei residenti in abitazione in locazione, ossia 858,00 euro. Ai sensi del D.L. n. 4/2019, art. 4, comma 9, i criteri della distanza del luogo di lavoro dal domicilio e dei tempi di trasferimento mediante mezzi di trasporto pubblici, sono declinati in modo tale da definire congrua l’offerta come segue: A) ENTRO I PRIMI 12 MESI: la prima offerta di lavoro potrà arrivare nel raggio di 100 km – 100 minuti di viaggio. Se viene rifiutata, la seconda offerta potrà arrivare nel raggio di 250 km. Se anche questa viene rifiutata, la 3° offerta potrà arrivare da tutto il territorio nazionale. B) DOPO IL 1° ANNO Gli enti di formazione stipulano presso i Cpi o enti accreditati un Patto per la formazione, anche mediante il coinvolgimento delle Università ed enti pubblici di ricerca, per un percorso formativo o di riqualificazione professionale. Condizioni: il beneficiario del RdC ottiene un lavoro coerente con il profilo formativo sulla base di un contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato. Soggetti fruitori dell’incentivo: datore di lavoro che assume ed ente di formazione accreditato che ha garantito la formazione/riqualificazione Incentivo: esonero contributivo Importo: al datore è riconosciuto sgravio nel limite della metà dell'importo mensile del Rdc percepito dal lavoratore all'atto dell'assunzione, non superiore a 390 euro mensili. L’altra metà è riconosciuta, secondo le stesse condizioni, all’ente di formazione. Durata: un periodo pari alla differenza tra 18 mensilità e il numero delle mensilità già godute dal beneficiario, per minimo 6 mensilità. Criticità: se l’ente di formazione non ha dipendenti? O se ne ha in un numero insufficiente, è prospettabile un credito di imposta contributiva? LA RESTITUZIONE DEGLI INCENTIVI IN CASO DI LICENZIAMENTO In entrambe le ipotesi di incentivo è disposta la restituzione dell’incentivo (maggiorato delle sanzioni civili) in caso di licenziamento del beneficiario di Rdc effettuato nei trentasei mesi successivi all’assunzione, salvo che si tratti di «licenziamento per giusta causa o giustificato motivo». Punti aperti: a) cosa si intende per giusta causa e giustificato motivo; b) sorte contributi del lavoratore; c) dimissioni del lavoratore. Incentivi per agevolare l’imprenditorialità: ai beneficiari del Rdc che avviano un'attività lavorativa autonoma o di impresa individuale o una società cooperativa entro i primi dodici mesi di fruizione del Rdc è riconosciuto in un'unica soluzione un beneficio addizionale pari a sei mensilità del Rdc, nei limiti di 780 euro mensili. INCOMULABILITA’ TRA GLI INCENTIVI. Perplessità riguardano il concetto di «avvio di una nuova attività»: è sufficiente aprire una partita I.V.A. oppure occorre dimostrare di avere affettivamente iniziato un’attività, ad es. provando di avere sostenuto delle spese? Non è ancora uscito il D.M. che dovrebbe chiarire questo profilo. L’ASSEGNO DI RICOLLOCAZIONE L’art. 9, D.L. n. 4/2019 prevede che, in una prima fase e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, al fine di ottenere un servizio di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro, il beneficiario del Rdc tenuto a stipulare il Patto per il lavoro con il centro per l'impiego, decorsi trenta giorni dalla data di liquidazione della prestazione, riceve dall'ANPAL l'assegno di ricollocazione, graduato in funzione del profilo personale di occupabilità, da spendere presso i centri per l'impiego o presso i soggetti accreditati. Cos’è: introdotto dall’art. 23, d.lgs. n. 150/2015 (vedi anche delibera ANPAL del 13.12.2019, n. 23) è una somma erogata, a richiesta, ai percettori di NASPI per un periodo superiore a 4 mesi, graduata in funzione del profilo personale di occupabilità. Dove si può spendere: presso il Cpi o altri soggetti accreditati Il servizio di assistenza alla ricollocazione deve prevedere: a) l'affiancamento di un tutor; b) il programma di ricerca intensiva della nuova occupazione e la relativa area, con eventuale percorso di riqualificazione professionale mirata a sbocchi occupazionali esistenti nell'area stessa; c) l'assunzione dell'onere di svolgere le attività individuate dal tutor; d) l'assunzione dell'onere di accettare un'offerta di lavoro congrua ai sensi dell'articolo 25; e) l'obbligo per il soggetto erogatore del servizio di comunicare al centro per l'impiego e all'ANPAL il rifiuto ingiustificato, da parte della persona interessata, di svolgere una delle attività di cui alla lettera c), o di una offerta di lavoro congrua, a norma del punto d), al fine dell'irrogazione delle sanzioni di cui all'articolo 21, commi 7 e 8; f) la sospensione del servizio nel caso di assunzione in prova, o a termine, con eventuale ripresa del servizio stesso dopo l'eventuale conclusione del rapporto entro il termine di sei mesi. L’ATTRIBUZIONE DELL’ADR SOSPENDE IL PATTO PER IL SERVIZIO (PATTO PER IL LAVORO NEL CASO DEL RDC). La somma spetta all’ente erogatore sia in caso di successo occupazionale (importo definito a seconda del tipo di contratto stipulato e dell’indice di profilazione) sia in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo occupazionale (c.d. Fee4Services equivalente a 35,50 euro orari per un massimo di 3 ore per destinatario). ASSEGNO DI RICOLLOCAZIONE E RDC Il beneficio in questo caso è riconosciuto in modo automatico (art. 9, d.l. n. 4/2019). A pena di decadenza dal beneficio del Rdc, i soggetti beneficiari tenuti a stipulare un Patto per il Lavoro devono scegliere, entro 30 giorni dal riconoscimento dell'AdR, il soggetto erogatore del servizio di assistenza intensiva, prendendo appuntamento sul portale messo a disposizione dall'ANPAL, anche per il tramite dei centri per l'impiego o degli istituti di patronato convenzionati. Durata del servizio: 6 mesi, prorogabile di ulteriori 6 mesi qualora residui parte dell'importo dell'assegno; nel caso in cui, entro trenta giorni dalla richiesta, il soggetto erogatore scelto non si sia attivato nella ricollocazione del beneficiario, quest'ultimo è tenuto a rivolgersi a un altro soggetto erogatore. Si applicano per il resto le condizioni indicate nell’art. 23, d.lgs. 150/2015. Si prevede inoltre che «Fino alla data del 31 dicembre 2021 l'erogazione dell'assegno di ricollocazione ai soggetti di cui all'articolo 23, comma 1, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, è sospesa». Critiche della dottrina perché si priva di questo strumento di politica attiva coloro che avrebbero più probabilità di essere immessi nel mercato del lavoro. IPOTESI DI COMPATIBILITÀ Il RdC è compatibile con la NASPI e con la DIS-COLL. Il RdC è compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa da parte di unno dei componenti del nucleo familiare, previa comunicazione entro 30 giorni. Non sono soggetti a comunicazione invece i tirocini, i LSU, il servizio civile, il contratto di prestazione occasionale e il libretto di famiglia. Nel caso di lavoro subordinato: il maggior reddito (80%) è considerato per determinare il beneficio. Nel caso di lavoro autonomo: vale il principio di cassa e si deve comunicare la differenza tra ricavi compensi e spese sostenute nel trimestre precedente rispetto a quello in corso. LA PENSIONE DI CITTADINANZA Il RdC acquista la denominazione Pensione di Cittadinanza (PdC) per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni che si trovino in condizioni di povertà oppure anche nei casi in cui il componente o i componenti del nucleo familiare di età pari o superiore a 67 anni, convivano esclusivamente con una o più persone in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza di età inferiore al già menzionato requisito anagrafico. È una misura di integrazione del reddito familiare e non del trattamento pensionistico I requisiti sono i medesimi previsti per il RdC, ma, ai fini del riconoscimento del beneficio, la soglia del reddito familiare deve essere inferiore a € 7.560 (e non a 6.000 € come per il RdC). Inoltre, i beneficiari della PdC non sono tenuti a rendere la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro né all'adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all'inserimento lavorativo e all'inclusione sociale. Il beneficio della PdC è costituito da: una componente a integrazione del reddito familiare pari al massimo a € 7.560. una componente a integrazione del reddito per il pagamento dell’affitto, ovvero per il pagamento del mutuo, pari al massimo a € 1.800. LA DISCIPLINA EMERGENZIALE DA COVID-19 A) art. 40, d.l. n. 18/2020: sospensione degli obblighi connessi alla fruizione del RdC (meccanismo della condizionalità) per 4 mesi (originariamente 2). Rimangono ferme le attività di formazione che si possono svolgere a distanza e l’esenzione non vale per le offerte congrue nell’ambito del Comune di appartenenza B) art. 84, d.l. n. 34/2020: integrazione del RdC fino a concorrenza delle indennità previste dalla stessa norma se il RdC ha importo inferiore (lav. intermittenti, stagionali, liberi professionisti). C) art. 94, d.l. n. 34/2020: I percettori di RdC (così come percettori ammortizzatori sociali a zero ore, Naspi e DIS-COLL) possono stipulare con datori di lavoro del settore agricolo contratti a termine non superiori a 30 giorni, rinnovabili per ulteriori 30 giorni, senza subire la perdita o la riduzione dei benefici previsti, nel limite di 2000 euro per l'anno 2020. IL REDDITO DI EMERGENZA (R.E.M.) Misura di sostegno al reddito dei nuclei familiari di carattere straordinario e temporaneo introdotta dall’art. 82, d.n. 34/2020 e confermata dall’art. 23 del d.l. n. 104/2020 per una ulteriore quota. Modalità di richiesta: da presentare all’INPS quota ex D.L. n. 104/2020 (vedi anche la circ. Inps n. 102/2020). Importo: ogni quota ha un importo pari a 400 euro moltiplicato per il corrispondente parametro della scala di equivalenza. Importo massimo 800 euro, salvo che sia presente componente in condizione di disabilità grave o non autosufficienza (parametro 2,1). ESEMPI • 1 adulto: 400 euro (parametro 1) • 2 adulti: 560 euro (parametro 1,4) • 2 adulti+1 minorenne: 640 euro (parametro 1,6) • 3 adulti e due minorenni: 800 euro (parametro 2, invece che 2.2) REQUISITI 1) Residenza in Italia: non è previsto, a differenza del RdC, un periodo minimo di permanenza. 2) Reddito familiare inferiore, ad aprile 2020, alla soglia corrispondente all’ammontare del beneficio (400xparametro scala equivalenza).