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Riassunto Diritto o Barbarie di Gaetano Azzariti, Sintesi del corso di Diritto Costituzionale

Il documento è una sintesi completa, precisa e a dir poco maniacale del libro di Gaetano Azzariti "Diritto o Barbarie". Il riassunto è utilissimo per superare l'esame di diritto costituzionale ed è stato testato più e più volte. Nessuna parte del libro è omessa, le parti più oscure sono chiarificate.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 14/07/2023

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Scarica Riassunto Diritto o Barbarie di Gaetano Azzariti e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Costituzionale solo su Docsity! Diritto o Barbarie – Parte I Parte I – Naufraghi Capitolo I – In mare aperto 1. Riesaminare da capo le cose Bisogna fare un passo indietro e analizzare le cose nel loro insieme, altrimenti rischiamo di farci travolgere dall’immediato, dal presente e dal contingente. Non significa tirarsi fuori ma allontanarsi per guardare meglio da lontano ed andare alla radice della crisi del nostro tempo. Dopo le guerre mondiali e le promesse di pace, c’è stato un regresso nella storia umana: ora il chaos sembra dominare la storia del mondo, più che un arretramento si verifica uno svuotamento di senso delle categorie che ci hanno fatto interpretare il mondo: politica, cultura, diritto, società. La frattura epistemologica colpisce le scienze, gli universali indiscussi. Ci si può arrendere all’essere gettato heideggeriano e rinunciare alla comprensione, ma così priveremmo di senso qualunque ricerca. Non possiamo neanche analizzare la realtà secondo il metodo scientifico, che non va oltre il dato: l’intellettuale non può chiudere gli occhi davanti alle sorti del mondo, anche se ultimamente è la tendenza. 2. Poveri costituzionalisti. Da sapienti a tecnici Questa mentalità ha fatto perdere fondamento alla scienza, anche a quella costituzionale, che non riesce più né a legittimare né a delimitare il potere. I costituzionalisti non riflettono più sul grande quadro, ma prestano il loro lavoro alle forze politiche del momento per risolvere la situazione contingente: argomentazioni spesso artificiali hanno messo il costituzionalismo alla mercé del fatto, che tentano di spiegare. Il costituzionalismo è diventato scienza empirica, senza autonomia disciplinare e priva di metodo giuridico, quindi senza fondamento. I costituzionalisti sono diventati tecnici al servizio della forma. Si è cercato di rispondere a questo fenomeno con la parcellizzazione e la frammentazione degli studi: ha senso, del resto l’estensione che hanno raggiunto la scienza giurisprudenziale costituzionale, la frammentazione del sistema delle fonti, l’articolazione varia degli organi di governo, ha reso pressoché impossibile un sapere universale. L’organizzazione dei poteri si scontra con la realtà dei fatti, che riesce a superare anche le Costituzioni, e ora i diritti fondamentali sono tutelati in tribunali vari sparsi per il globo: un quadro frastagliato che ha portato alla chiusura nello specialismo. Ci si chiude nella propria scienza settoriale, si rinuncia a capire il generale e ci si dà a uno studio rassicurante delle tecnicalità. In questo modo viene meno la dimensione sociale e critica del costituzionalismo, che fa perdere forza alle stesse norme costituzionali: la Costituzione sembra poggiarsi su principi astratti non ostacolati da nessuno, ricostruzione pacifica e antistorica, che non considera il pluralismo e il conflitto, vere realtà costituzionali. Si separa essere e dover essere, prediligendo una mera descrittività acritica. La Costituzione come strumento di legittimazione del reale, non di garante del cambiamento sociale, a cui tutto si piegava: tecnici al servizio della politica. 3. Nuovo medioevo 1 Diritto o Barbarie – Parte I In questo modo si sono diffusi i poteri selvaggi: poteri perché dettano le regole della convivenza, ma selvaggi perché non rispettano limiti e diritti altrui. Il potere di mercato è un esempio perfetto, potere cieco di fronte alle differenze, immateriale. Le sue regole sono puramente di natura capitalista, prive di alcuna umanità, eppure surclassano anche la Costituzione in quanto a vincolatività sostanziale. Per Benjamin, il capitalismo è l’unico culto che non toglie il peccato ma genera la colpa. La dignità di persona titolare di diritti sembra scomparsa, non c’è traccia della dignità umana di cui parlava Pico della Mirandola. Dalla centralità della persona si è passato alla sottomissione alle lobby, alle aziende e alla tecnocrazia, nuovi soggetti sovrani impermeabili alle ragioni della persona e ai suoi diritti. Sono emerse quindi nuove sovranità decentrate, per questo si parla di neomedioevo, per le frantumazioni di stampo feudale che questi nuovi centri di potere selvaggio hanno sostituito alla Costituzione. Alcuni pensano infatti che siano terminate le costituzioni nazionali e che si siano imposte miriadi di costituzioni civili, ognuna con il proprio centro, non più legate alla salvaguardia dei diritti superiori ma solo agli interessi materiali. Pensiamo semplicemente alla forma di normazione (che supera anche gli Stati nazionali) che è la nuova lex mercatoria: la comunità degli affari governa l’economia internazionale e si affranca anche dai principi espressi in costituzione. Si creano così molte altre costituzioni settoriali, sull’onda della lex mercatoria: la lex constructionis, lex labori internationalis. Sarebbe questo un ritorno al medioevo, al feudalesimo. Le concezioni comunitariste propongono di abbandonarsi alle spinte dei rapporti naturali e lasciare che gli ordinamenti organizzino i loro rapporti spontaneamente tra di loro, senza far valere i principi imposti dalle costituzioni: sono i singoli portatori degli interessi settoriali a definire e proteggere i diritti prescelti, senza intervento di soggetti pubblici. La tensione latente tra ragioni del mercato e diritti delle persone che è alla base del costituzionalismo moderno sembra tendere a risolversi con la vittoria delle prime. 4. Controvento Siamo spaesati di fronte all’invecchiamento e alla perdita di rilevanza delle categorie storiche: il vuoto lasciato ci opprime, nessun nuovo principio sembra affermarsi stabilmente, perdono di senso le parole e le cose. Molti hanno risposto dando voce al presente e al contingente, ignorando la storia e non ponendosi domande, a loro basta razionalizzare il reale. Ma questa visione arresa ai flussi del tempo porta al funzionalismo, che ha portato a molti dei danni presenti nella nostra società. Chi non vede nel funzionalismo una soluzione deve chiedersi come cambiare rotta. Bisogna andare controvento per cercare nuove strade, visto che la storia è fatta dalle persone e soprattutto può essere cambiata, ma non se ci si abbandona ad essa. Il presente è fondamentale ma bisogna conoscere la storia. 5. Katèchon. Giocare in difesa Il riflesso istintivo per opporsi a questi cambiamenti è rimanere fedeli al passato: si cerca di frenare il declino, invece di invertire la rotta, affidandosi al Katèchon, parola biblica che significa “potere che frena”. Si cerca quindi di frenarsi, applicare l’epochè e sospendere 2 Diritto o Barbarie – Parte I tipica di una società governata da tale pensiero, ed è giusto così. La semplificazione è piuttosto l'anticamera dell’oligarchia, richiede sempre meno compensi e accentra il potere nelle mani di pochi, abbandonando i diritti, che verranno stabiliti dagli oligarchi, che sceglieranno quelli più utili a loro: la Costituzione diventa così un ostacolo da superare. 10. Naufraghi. Il popolo sperduto Quindi da una parte chi vuole liberarsi dal peso della Costituzione per governare il presente, chi invece vuole guardare alla Costituzione per costruire il futuro: la Costituzione è così un’ancora che ci tiene saldi in mezzo ai flutti e al caos. Non basta la volontà e soprattutto lo sforzo singolo, solo un popolo consapevole e determinato può cambiare il presente per emanciparsi. Il popolo sembra però essere sostituito da una moltitudine frammentata, formata da individui isolati e chiusi, nessun orizzonte comune. Abbiamo perso le coordinate, si è pensato che tutto fosse relativo e non esistessero cose essenziali, tornando a una libertà assoluta e naturale, ma sappiamo bene a cosa porta il ritorno allo stato di natura, al diritto di tutto su tutti. Privati di una comunità vera, divisi, gli uomini vivono in un mondo che, oltre le apparenze, è solo virtuale. Il popolo diventa un significante vuoto e sarà il leader del momento che parlerà in nome del popolo, grazie alla legittimazione di una parte (il suo elettorato) che spaccerà per il tutto. Il popolo è così creato dall’alto, senza un passato, una storia, e dunque senza futuro, tale popolo si fa guidare e vuole solo soddisfare i suoi bisogni immediati, soggetto alle pulsioni: l’hanno chiamato populismo, ma è in realtà una profonda trasformazione sociale. La politica non è più l’arte del governo della polis ma l’area di scontro delle élite, contrapposte al popolo irrappresentabile, un popolo che non può parlare ma si limita ad applaudire, approvare o rifiutare: la moltitudine riunita, per acclamazione, può dire solo sì o no. Le complessità del reale sono un ostacolo per il governo e in quanto tali vengono rimosse, la democrazia rappresenta le divisioni di un popolo che non sono utili al potere, meglio una volontà unica: da qui si arriva al moderno concetto di democrazia identitaria, dove si nega il pluralismo in favore di un’identificazione unitaria. La scomparsa dei corpi intermedi ha privato di voce il popolo, rendendolo un passivo interlocutore del potere, che acclama o reclama. I partiti politici erano stati individuati come corpo medio per eccellenza, per dare forma alla rappresentanza reale, per ricostruire le grida informi del popolo. I partiti ricomponevano la mancanza di forma e di unità delle richieste sociali e davano vita a veri scontri di parte, dove si opponevano dialetticamente due ragioni contrapposte. Questa contrapposizione fondata su veri programmi legittimava il governo. Mediante i partiti si ha la rappresentanza vera, che guarda al popolo reale, non idealizzato. I partiti ormai sono in crisi, trasformati in strumenti del leader, lo scontro politico diventa mirato alla sola legittimazione dell’autorità del capo, che punta al dominio e fa leva sulla passione, non sulla ragione del popolo, non c’è più un gruppo partitico che vuole dirigere intellettualmente e moralmente la società per soddisfarne i veri bisogni. Il popolo è privo di voce e di direzione politica, quindi naufrago, vaga ramingo anche se sedotto con gli orpelli di una politica che non è più rappresentativa. 5 Diritto o Barbarie – Parte I 1. Un popolo smarrito Capitolo II – Senza popolo Al posto del popolo abbiamo il populismo, e per arrivare a questo punto c’è voluto un lungo e subdolo percorso di sovvertimento, non sempre recepibile. Dal popolo al centro del sistema si è passati a un popolo solo immaginario, che non esercita più il potere nelle forme e nei limiti della Costituzione. Scomparso il corpo vivo del popolo, così anche i conflitti e le relazioni che lo attraversano. Tutto si riduce a uno storytelling, una narrazione accattivante che cerca il consenso di una massa amorfa, il rapporto tra fatto e vero sfuma. Perché è successo? Innanzitutto guardiamo ai modi di aggregazione del singolo nella comunità: sono scomparsi tutto gli storici collanti che univano le popolazioni, e così si è arrestata la costruzione della persona che ne fa parte, per passare al soggetto di diritto, che rappresenta solo sé stesso, nulla in comune col corpo sociale. Scomparsa la solidarietà, la pietà di Rousseau, all’eguaglianza si è sostituita la competizione, e così l’egoismo. La libertà è diventata illimitata, mentre la libertà democratica è contraddistinta dai suoi limiti. I criteri assoluti vanno quindi via via scomparendo, anche senza alcuna modifica formale del testo, solo incidendo sulla coscienza sociale: il cambiamento si è imposto per via di fatto e il popolo l’ha accettato, senza traumi costituzionali formali. Al posto delle tre parole, libertà, eguaglianza e solidarietà si è affermata la regola dello scambio, il do ut des, che dà soddisfazione ai bisogni primari immediatamente, senza che importi il valore dei beni, sono essi stessi il valore. I rapporti sociali sono così fondati sulle merci, non sui veri bisogni della collettività, sui rapporti umani. Si sono perse anche le forme della vita in comune, non è solo colpa dei governanti, è il popolo stesso a non avvalersi più dei partiti come forma di rappresentanza d’elezione. Il popolo non usa i partiti, che non sono più rappresentativi, per questo si è passati dal modello rappresentativo a quello identitario, meglio identificarsi con un capo e affidare a questi le proprie sorti, si ritorna praticamente alla vecchia forma decisionale o autoritativa che non può rappresentare il popolo, da qui la crisi. 2.1 Dallo Stato dei partiti allo Stato senza popolo. La legittimazione sociale dei partiti del secolo breve Nel Novecento si è affermato il regime partitocratico, è innegabile che le masse sono entrate in politica grazie ai partiti, tutte le conquiste del Novecento, come il suffragio, sono state raggiunte grazie al coordinamento dei partiti. Persino nei regimi totalitari il partito era fondamentale, magari era un partito solo, ma era comunque la forza maggiore, a lui spettava la costruzione del regime ideologico, quindi il rapporto tra popolo e potere, anche se costruito a tavolino, era stretto. I partiti sono ora il principale agente politico, il riferimento del potere, non più il singolo soggetto. I partiti sono ascesi così efficientemente per via della legittimazione sociale che hanno ricevuto nel Novecento e il ruolo che hanno ottenuto di fatto nella società e nella costruzione dell’ordinamento, soprattutto in ordinamenti democratici, dove il rapporto tra partito e popolo è strettissimo. Basti pensare ai partiti che sfociarono nel CLN, che ebbero il ruolo di costruttori del nuovo ordine, è per via di fatto che nel dopoguerra soprattutto si sono affermati i partiti. La rappresentanza reale, che permette 6 Diritto o Barbarie – Parte I ai cittadini, come ribadisce l’articolo 49, di partecipare alla determinazione della politica nazionale, è stata espressa dai partiti fintanto che essi hanno mantenuto il rapporto con le istanze, anche conflittuali, che rappresentavano: solo così potevano realizzare la rivoluzione promessa dalla Costituzione. Nell’ordinamento italiano i partiti sono diventati in via di fatto i grandi regolatori del gioco politico, traducendo le divisioni del popolo in politica. 2.2 Popolo senza partito I partiti hanno però abbandonato il loro ruolo novecentesco, senza assumerne un altro realmente nuovo: hanno perso la capacità di direzione dei processi politici, che avevano in forza del loro essere radicati nella società. In questo modo si sono allontanati dalla lettera dell’articolo 49, non rappresentando più lo strumento dei cittadini. I partiti non sembrano più essere in grado di tradurre in indirizzi politici la frammentazione sociale, di guidare verso un orizzonte comune la società pluralista. Al massimo sono portatori di interessi individuali, in termini corporativi: in questo modo i partiti perdono la loro funzione. Questo risvolto non è in contrasto con la lettera del 49, ma sicuramente ne tradisce lo spirito. 3. Forma politica e perdita di senso dell’agire politico Questa mancanza nell’assoluzione dei loro compiti non ha assolutamente compresso la presenza dei partiti nell’ordinamento, anzi, questi sono andati espandendosi sempre di più e nessun soggetto li ha sostituiti nella loro funzione originaria: hanno sempre più potere, ma sono sempre meno legittimati. I partiti ora ricercano il consenso, senz’anima si fanno portatori di scontri di leader boriosi: i loro valori sono relativi e, soprattutto, completamente negoziabili, quindi senza valore e indeterminati. Invece di cercare di ritrovare la loro dimensione originaria, hanno accentuato il divario, chiudendosi in una autoreferenzialità completa. Si parla di democrazia maggioritaria, ma sarebbe meglio chiamarla democrazia d’investitura, ovvero fondata sulla nozione che scopo della politica sia la conquista del potere. L’unico momento di partecipazione è quello del voto, ma si è perso il senso della politica come forma di organizzazione della comunità vista in termini sociali: l’uomo non è più animale politico che vuole unirsi ai suoi simili per ottenere il bene. Una politica senza socialità, il voto come strumento diventa in realtà un fine: ovvero rimane lo scontro elettorale, ma i programmi sono del tutto intercambiabili e hanno come unico scopo quello di arrivare alla vittoria elettorale, il risultato è l’unico fine. Rousseau diceva che il popolo è libero solo il giorno delle lezioni, in realtà neanche lì, perché già è vittima dei meccanismi distorsivi che cercano il consenso. Indifferenza per i rapporti sociali, ci si preoccupa solo del risultato finale. I sistemi elettorali sono solo strumenti di traduzione dei voti in seggi, non rappresentanza, solo vittoria del potere. Tanto sono stati distorti i sistemi elettorali per ottenere tale risultato, che la Corte è dovuta intervenire in merito alla deriva maggioritaria in numerose occasioni: tali sistemi tradivano infatti la volontà dei cittadini espressa nel voto, la rappresentanza era alterata dalla ricerca della governabilità ad ogni costo. Tuttavia il problema non erano le leggi elettorali ma la cultura che per via di fatto si era imposta, e la Corte non poteva con le sentenze ricostruire una rappresentanza ormai perduta. Per questo i richiami della Consulta sono spesso cadute nel vuoto, si preferisce la convenienza. 7 Diritto o Barbarie – Parte I buona a tutti gli scopi. Il rappresentato diventato soggetto della tecnica non può sperare di vedere riconosciuti i suoi interessi, quindi la rappresentanza non può esistere. Anche se la sovranità opera all’interno delle forme delle costituzioni, sarà subordinata a un’altra logica. È così che il rappresentato si chiude in sé stesso, rigettando la logica virtuosa della rappresentanza politica. Cade il progetto illuminista dell’uomo costruttore del proprio futuro, dominano gli individui spaesati assoggettati al mercato e alla tecnica. Tuttavia questa perdita di senso e di sovranità non è irreversibile, è solo frutto dell’interpretazione storico-sociale dominante e può essere cambiata, il primo passo è criticarla. In quanto ai motivi politico-istituzionali, invece, possiamo dire che il rappresentato, sfiduciato e deluso, predilige meccanismi diretti di decisione: da qui la diminuzione degli spazi di partecipazione, la semplificazione che toglie intermediari nell’esercizio del potere, si prediligono decisioni immediate e poco meditate, le regole giuridiche sono maltrattate. 5. Tornare alla persona o cadere nella barbarie? Gli individui, perduto l’orizzonte del progresso, si abbandonano, non sentendo alcuna storia comune. Dobbiamo recuperare la centralità del ruolo della persona. Capitolo III – Al fondo della crisi 1. Ricerche di senso Bisogna indagare le questioni ultime che sono al fondo della crisi del diritto, se si è interessati a cercare un senso nel proprio agire e nella strada dell’uomo attraverso la storia, non volendo abbandonare i valori conquistati. Non si può chinare il capo e andare avanti senza cercare risposte, abbandonando la storia, la politica, la Costituzione, come fanno invece in molti, chiudendosi nelle scienze e nella specializzazione, nel tecnicismo. Allo stesso tempo non bisogna neanche ipostatizzare la storia, chiudendosi in essa e compiacendocene, dato che la storia non è lineare, è sempre possibile il regresso. 2. Diritto senza società Bisogna ricercare il senso profondo della complessità degli ordinamenti giuridici, abbracciando anche le epistemologie problematiche che derivano dal mettere al centro la persona. Di conseguenza abbandoniamo la concezione di scienza autopoietica, comprendiamo il carattere sociale della scienza del diritto, che non vuole solo definire norme astratte e pure (Kelsen), ma comporre un sistema di relazioni concrete che creino e conservino un ordine nella società. Il carattere sociale determina il diritto, è la sua ragione ultima di esistenza: senza diritto si cade nello stato di natura. Scopo sociale del diritto è quello di dare soluzione ai conflitti o di accettarli, conflitti che mutano nel tempo, come le loro soluzioni: per questo motivo muterà anche il diritto ovviamente. È poi il padre dell’istituzionalismo, Santi Romano, a dirci che il diritto è anche ciò che va oltre la norma, bisogna coniugare fatto e diritto, e aprire il diritto alle altre scienze sociali. I giuristi devono interpretare e insieme trasformare il mondo in questo modo: la norma ha una parte prescrittiva e una parte consensuale, come abbiamo già visto, in assenza di questi due dati, il diritto perde di forza: niente diritto senza società e viceversa. Non basta affermare la 10 Diritto o Barbarie – Parte I sovranità del nomos per appropriarsi della terra, non basta cercare la giusta ragione dello ius per avere una giusta lex che governi la società: il diritto va sempre cucito addosso alla società in cui si esplica. Invece ultimamente proprio a questo si è arrivato, a un diritto avulso dalla società in ogni modo possibile, tutta forma, funzione al servizio di interessi nascosti all’interno di proclami normativi oscuri. Tuttavia, per quanto si vogliano separare diritto e norme, lo scopo del primo e la natura sociale delle seconde riemergono sempre, e così si crea un conflitto sregolato, a-giuridico: il sistema giuridico fondatosi su cose astratte si trova preda del fatto, delle insopprimibili lotte sociali che non ha compreso al tempo. In sostanza, il regresso assume le forme della separazione tra diritto e società. 3. Costituzione senza politica Soprattutto il diritto costituzionale non si può permettere di essere separato dalla società e dalla politica, per i suoi ovvi rapporti con entrambi i campi. Il legame politico si trova infatti nella pretesa del costituzionalismo moderno di fondare e limitare i poteri. Se non si riconoscesse più la primazia della Costituzione sul potere, verrebbe meno lo stesso pactum unionis, la Costituzione perderebbe la sua caratteristica primaria, si finirebbe nella barbarie costituzionale. Le Costituzioni non vogliono regolare singoli rapporti ma definire uno specifico ordine costituito cui tutti sono tenuti per il raggiungimento del bene comune e la protezione dei beni privati. Un simile ordine non è conquistato una volta per tutte, anzi è oggetto di una lotta eterna, la forza del diritto non può essere data per scontata, deve avere sempre il consenso dei consociati per essere vigente. Il consenso è il fondamento extranormativo che rappresenta il proprium delle Costituzioni moderne. Senza consenso e politica, la Costituzione non può svolgere la sua funzione di conformare l’ordinamento giuridico, che se cercasse fondamento altrove minerebbe la forza della Costituzione e l’intero sistema politico non avrebbe più legittimazione nell’agire, fine della Costituzione. 4. Costituzione senza popolo Per questo è pericoloso definire, come alcuni fanno, “vecchia” la Costituzione, superata, un ostacolo all’innovazione: se la Costituzione è vista come un intralcio alla governabilità, allora qualunque principio costituzionale può essere abbandonato. Il governo seguirà le logiche del consenso immediato, soprattutto conseguito con leggi elettorali distorsive della volontà popolare: i governi non hanno storia, le maggioranze sono ondivaghe, si reggono nel vuoto, non hanno limiti e principi di ordine costituzionali e sono votati al dissolvimento. Per fortuna ancora abbiamo un sistema di garanzie costituzionali rappresentato dalla Corte e dal Presidente, ai quali spesso si affidano troppe responsabilità, tra cui quella di farsi carico delle tensioni e delle forzature di un ceto politico che calpesta la Costituzione, contro il sentimento di ostilità verso i principi costituzionali che vengono svalorizzati in modo diffuso: il Governo ormai lavora senza la Costituzione, alla quale offre solo qualche omaggio formale e ipocrita: per questo alcuni si chiedono se esista, in Italia, una vera Costituzione. Azzariti si chiede invece di più, ovvero se esistano i presupposti per una Costituzione: le forze politiche organizzate, che riescano a far da tramite tra Costituzione e popolo; il legame tra i due non si realizza in modo astratto ma tra una legge ben specifica e soggetti 11 Diritto o Barbarie – Parte I determinati che siano capaci di realizzare i principi costituzionali. Costantino Mortati chiamava forze politiche dominanti quei soggetti in grado di fornire vitalità materiale alla Costituzione: per dominanti si intende coloro che si propongono come detentori del potere, forze politiche in grado di realizzare materialmente l’ordine costituzionale, soggetti egemoni che si facciano portatori di tali istanze, dando forma al popolo. La separazione tra Costituzione e popolo porterebbe sicuramente alla fine della prima. Come unire oggi popolo e costituzione? Le forze politiche dominanti ne sono in grado? 5. Ritorno al primitivo In sintesi, intorno a noi vediamo non solo la debolezza dei soggetti di rappresentanza di un popolo senza orizzonte comune, ma anche a una progressiva frantumazione di ogni visione complessiva di società e di progresso, e da questa deriva la perdita di prospettiva costituzionale. E tale perdita di concezioni è stata acclamata come il trionfo del pragmatismo, esito necessario di un processo: si è inneggiato alla morte delle ideologie che ci hanno formati, delle grandi narrazioni. Solo l’inconsapevolezza può far ritenere tale impotenza etica e programmatica una liberazione: perduta ogni aspirazione ideale delle grandi narrazioni, ognuno persegue solo interessi individuali ed è sempre più difficile confrontarsi con le ideologie costituzionali. Venute meno quelle dottrine e rappresentazioni della realtà che avevano dato senso alla storia umana, ora sono additate come cause di tutti i mali del mondo: non vogliamo fare i conti con la storia, solo trovare capri espiatori, dare la colpa delle nostre degenerazioni a colpe altrui, senza guardare alle nostre, chiudendo gli occhi. Solo un pensiero debole e anti-intellettuale può accettare di agire senza responsabilità e prospettive, solo un popolo che non vuole fare i conti con sé stesso e la propria storia pensa di poter fare a meno della sua storia costituente: tale popolo ha bisogno di una falsa coscienza che giustifichi l’ordine esistente, non di una Costituzione. Sembra che si voglia evitare qualunque critica dell’ideologia, una critica della falsa coscienza che tenda a cercare una coscienza critica di sé storicamente fondata. Con la morte delle ideologie come chiavi di interpretazioni della realtà, la spinta per il progresso si arresta, sostituita da un eterno presente senza possibilità di riscatto: si arriverà ad un percorso opposto a quello che ha portato al disincanto e alla secolarizzazione, sottraendo al destino e alla fede le sorti dell’uomo. Torneremo invece alla magia e al sacro, all’illusione, al primitivo. Capitolo IV – Per riprendere il corso della storia 1. Il punto di rottura Come abbiamo detto, la Costituzione è svuotata di senso e relegata all’ingrato compito di legittimare il presente, non di ordinare il futuro: questo compito noi vogliamo riaffermare. Più la situazione ci sembra involuta, più dobbiamo andare avanti e usare la fantasia, esercitare un’azione positiva, fornendo un’interpretazione storica meno miope e più seria: mischiare fantasia e materialità, storia, per cercare la utopia concreta, che sta dentro l’orizzonte di ogni realtà. Fantasia non vuol dire fantasticare, si parla di un’utopia realistica, “con i piedi per terra”, non è una fuga della realtà, guarda al futuribile. C’è bisogno di un 12 Diritto o Barbarie – Parte I anche dei conflitti, nell’ordinamento. Ma quali sono questi principi? Vanno ripresi oggi? Sono diritti inalienabili perché ritenuti patrimonio dell’umanità per come si è determinata, perderli significherebbe un regresso allo stato primordiale: per questo guardiamo indietro. 6. Tornare alle origini: liberté, égalité, fraternité I tre principi fondamentali delle Costituzioni moderne sono esattamente questi tre, parole d’ordine con cui si è passati dallo Stato feudale agli Stati costituzionali moderni, parole che posero fine all’ancien régime, immediatamente tradotti nelle Costituzioni rivoluzionarie francesi, americane etc.: le self-evident truths degli Americani, che sono la Vita, la Libertà, la Felicità. Il tono di tali Costituzioni sembra naturalistico e metafisico, pare richiamare questi diritti esistenti prima dello Stato, ma nella realtà ci sono voluti secoli di lotte, sangue e rivoluzioni, terrore e guerra per conquistarli. Il diritto costituzionale dalla sua nascita è stata una ribellione, un movimento politico reale che ha imposto la sua idea di convivenza; l’oppressione portò alla libertà, la discriminazione all’uguaglianza, l’egoismo alla fratellanza. Lo Stato ottocentesco e novecentesco si è sviluppato su libertà e uguaglianza, non c’è Stato moderno che non abbia seguito questi dettami. La fraternità per alcuni è stata dimenticata, ma non è vero, fa parte della triade: spesso si è celata sotto la solidarietà ed è stata ritenuta un principio più fragile, eppure affermatosi con maggior capacità conformativa nelle Costituzioni del dopoguerra, soprattutto quella italiana: la Repubblica è obbligata alla solidarietà, fraternità economica e sociale. L’uguaglianza in Costituzione non è solo una uguaglianza in diritto formale, è un vero dovere della Repubblica di rimuovere gli ostacoli alla libertà e all’uguaglianza che impediscono lo sviluppo della persona. La persona umana si pone al centro della storia, nella sua essenza complessa. Se guardiamo alla storia, è la storia di come si è posta al centro la persona, l’uomo non in quanto tale ma come homo dignus, inserito nel suo contesto storico con alcuni particolari diritti fondamentali. L’intreccio tra i tre principi fonda questa scienza costituzionale. Homo dignus più grande rivoluzione del dopoguerra, intreccio dei tre principi, massima espressione del costituzionalismo. Da qui dobbiamo ripartire. Come arrestare il ricorso storico, ribellarsi ai dettami economici e rivedere i nostri diritti, subordinati a questi ultimi? Tornando ai fondamentali ci schiariremo le idee sicuramente. 7. Il popolo che non c’è Ma come, nel concreto? Come trasformare l’assiologia in storia? Qui troviamo il punto di debolezza della costruzione storica che si richiama ai principi del costituzionalismo democratico moderno. Solo un movimento reale può dare vita a un contratto sociale come quello descritto da Rousseau, e per questo servono consolidate forze politiche e soggetti storici reali organizzati in modo tale da dare fondamento alla Costituzione. Soggetti sostenuti da un consenso diffuso. Questa è la condizione necessaria ed è la mancanza di tali soggetti che ha portato alla fine della spinta propulsiva immensa che il costituzionalismo aveva avviato. Cerchiamo questi nuovi soggetti, abbiamo il dovere di cercare la persona reale. È possibile trovare un popolo determinato e organizzato, diverso dalla moltitudine? Determinato nel senso di specifico, ma anche nel senso di risoluto, non determinato dalle 15 Diritto o Barbarie – Parte I leggi del mercato, ma operante in base ai dettami della Costituzione. Organizzato perché la consapevolezza di sé non basta, o si diventa anime belle. Bisogna trovare nuovi strumenti per concorrere alla determinazione della politica nazionale, con il tramonto dei partiti, fondamentali fino ad ora. Così cerchiamo un nuovo soggetto storico e nuove forme politiche per cambiare il reale. Con le parole di Borges, l’Aleph del costituzionalismo è quello dove si trova tale popolo determinato e organizzato, ma per trovarlo è necessario guardare al fondo della crisi. 8. E in Europa? In Europa la sfida tra civiltà e barbarie si intreccia con la ricerca di nuove forme organizzate che pongano la persona al centro della loro storia. 16 Diritto o Barbarie – Parte II Parte II – Europa politica o barbarie Capitolo I – Sapienza poetica 1. Vico e la storia europea La diffidenza tra i Paesi europei sembra massima, anche quando si raggiungono accordi, l’Europa è preda degli egoismi. È l’interesse il collante, non la solidarietà, come tra mercanti. L’idea di un unico popolo europeo sembra un’utopia. Alcuni scelgono la strada della exit, come gli inglesi, della voice (i populisti che protestano senza offrire soluzioni se non la riscoperta dell’identità nazionale), o della loyalty, come i Paesi nordici che pretendono la lealtà di quelli del Sud Europa, che assoggettandosi a un mercato diverso dal loro non hanno possibilità di sviluppo. Bisogna invece ritrovare uno stile di vita europeo, un senso di vivere comune. Vico ci dice che per immaginare il futuro bisogna guardare alle origini, ai principi, metodo fondante della Scienza nuova: bisogna sviluppare un’analisi realista della storia basata sulle trasformazioni, i corsi, sapendo che il regresso, il ricorso, è sempre possibile. Dobbiamo parlare dell’Europa di oggi, ma per farlo si deve partire dal passato, da chi ha immaginato un’Europa che non c’è. 2. L’isola che non c’è. L’Europa politica Sull’isola di Ventotene, nel 1941, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, al confino, scrivono il Manifesto di Ventotene, immaginando un’utopia europea che impedisse ai popoli di dilaniarsi nuovamente come durante la Seconda Guerra Mondiale. Alla Crisi della civiltà moderna in quell’era buia dell’umanità risposero con questo manifesto federalista che voleva tenere unite indissolubilmente la dimensione istituzionale e sociale: volevano riformare l'Europa attraverso una riforma sociale. Il movimento federalista fu però abbandonato per vari motivi. Gli scrittori del Manifesto volevano una rivoluzione socialista, come obiettivo doveva avere la emancipazione delle classi lavoratrici. Per realizzarlo, avevano bisogno delle principali forze realmente esistenti, quindi i comunisti, i democratici, ma senza farsi irretire dalla prassi politica dietro di esse, recita il Manifesto. Un richiamo all’unità. I federalisti, isolati nei loro partiti di appartenenza, persero di radicalità, e persero la loro dimensione sociale, auspicando semplicemente una Unione degli Stati Uniti d’Europa. Le idee di Ventotene furono abbandonate quando si separarono la dimensione federale e quella sociale-democratica. Scopriamo perché la strada non fu esplorata. Capitolo II – L’età dei buoni propositi 1. La scommessa iniziale I padri fondatori dell’integrazione europea, Jean Monnet e Robert Schuman, elaborarono la teoria dei piccoli passi: ovvero la creazione di un mercato comune come mezzo per raggiungere un’unità politica. Il fine ultimo era la nascita degli Stati Uniti d’Europa, ma non in chiave rivoluzionaria come Ventotene, una strategia più realista rivolta non ai partiti nazionali ma ai vertici politici e ai responsabili degli stati membri. Tale idea fu ritenuta geniale perché avrebbe superato la concezione federalista e avrebbe unito più 17 Diritto o Barbarie – Parte II reciproco ma l’economia. In questo modo si riesce a governare la società complessa. Già nel 1975 la Commissione Trilaterale (Europa, USA, ASIA), aveva registrato che l’estensione della democrazia e dei diritti aveva prodotto un eccesso di domande al sistema decisionale, rendendo di fatto ingovernabile la società: troppe istanze. Bisognava quindi ridurre la complessità sociale, limitare l’“eccesso” di democrazia e ridurre lo spazio delle minoranze. Così dalla legittimazione dei conflitti e l’estensione della partecipazione dei gruppi sociali si passa alla politica di consolidamento delle istituzioni mediante la sterilizzazione dei conflitti, in nome della governabilità: di nuovo, si vuole governare senza la società. 3. Dalla lotta per il progresso al mito dello sviluppo: la notte della sinistra Negli Stati Uniti, nel 1981 diventa presidente Reagan, il quale trasformò i paradigmi della convivenza in base alle teorie neoliberiste e neofunzionaliste. Reagan ebbe enorme successo, prima era sostenuto solo dalla destra, mentre la socialdemocrazia e il cattolicesimo più solidale erano restii. Tuttavia la socialdemocrazia, la sinistra, concesse alla destra di prendere il sopravvento, rinunciando a far valere la sua storia. Forse perché già in Europa i partiti socialisti che avevano conquistato il potere non riuscivano a dar forma agli ideali professati di libertà e uguaglianza e anzi si posero alla testa della rivoluzione passiva. Nel 1981 infatti Mitterand diventa Presidente e vinsero le sinistre unite alle elezioni legislative. Il Programma comune non era estremo, ma tentava di modificare in chiave socialista la Francia: ci vollero dieci anni ad idearlo e fu subito abbandonato dai suoi stessi artefici. Questo segna una caduta di prospettiva generale dell’immagine del processo possibile. Con la rinuncia a far valere il loro programma, si accettarono la sublimazione del mercato e la sterilizzazione della politica. Si passò lentamente, dall’utopia della rivoluzione che voleva la legittimazione della diversità conflittuale della società, ad un’illusione dello sviluppo. Dal mito del progresso si passò a quello dello sviluppo, la sinistra non seppe tener fede alle sue promesse rivoluzionarie fatte sulla scia di quelle grandi narrazioni di cui parlavamo prima (qui cadono le grandi narrazioni). Pasolini diceva che non può esserci progresso se non si creano le premesse economiche necessarie: il progresso è quindi collegato alla lotta per i diritti di chi è in posizione subalterna e oppressa; distinguerà soprattutto tra sviluppo e progresso, dicendo che il progresso lo vogliono i lavoratori, gli oppressi, gli intellettuali, mentre lo sviluppo lo vogliono solo coloro che producono beni superflui. Inoltre collega lo sviluppo alla destra e il progresso alla sinistra, ma prevede che, qualora la sinistra prendesse il potere, anche lei vorrebbe allora lo sviluppo, inteso come industrializzazione borghese. Così accadde in Francia. Il ministro dell’Economia Jacques Delors nel 1981-84 e volle modernizzare il paese, una modernizzazione funzionale che cercava un “terreno comune” tra le forze in gioco, ma che si risolveva in realtà nel mettere al centro la tecnica, lo sviluppo, l’omologazione, la perdita dei conflitti. Pasolini sempre dirà che la modernità è lo strumento per arrivare a una mutazione antropologica che è alla base del genocidio culturale operato dallo sviluppo economico. Non era contro la modernità, ma contro l’idea che quella modernità fosse l’unica possibile (Thatcher: “there is no alternative”). Delors divenne poi presidente della Commissione europea, il che la dice lunga: Europa moderna, finanza. 20 Diritto o Barbarie – Parte II Capitolo IV – Il tramonto delle illusioni 1. Trattati e paradigmi Il 7 febbraio del 1992 a Maastricht venne siglato il TUE e si affermò un cambiamento di paradigma, quello che Thomas Kuhn dice essere la base delle rivoluzioni scientifiche: il cambiamento della concezione di base all’interno di un campo della conoscenza umana, una nuova modellizzazione che cambia gli interi valori di una comunità scientifica intera. Opera qui una nuova Weltanschauung, che nega ogni dialettica e ricomprende in sé tutto il possibile, una sorta di religione che prende le sue norme come verità rivelate, dogmi, anche se possono essere violate: si può peccare, ma non si può abiurare. Questo spiega il trattamento di riguardo riservato agli Stati membri: non conta l’infrazione ma l’ordine. 2. Paradigma Maastricht Con Maastricht si abbandonò definitivamente ogni idea di un’Europa democratica e sociale e si affermò un ordinamento dominato dalla finanza, dalla stabilità dei mercati: il dialogo tra Stati finalizzato alla crescita economica è l’unica dialettica tollerata. Alle origini l’Europa seguiva l’ordoliberalismo, teoria che predicava il supporto reciproco tra libero mercato ed istanze sociali, ma gli interventi ritenuti necessari per conseguire risultati sociali erano fin dall’inizio visti come indirizzati a garantire la concorrenza, perché si pensava che l’uguaglianza sociale fosse meglio servita dal libero mercato. In sintesi, anche l’ordoliberalismo era sbilanciato verso il mercato e questa idea fu radicata dall’inizio nell’Unione Europea: il mercato ha la priorità, ma comunque non è sufficiente, per i sostenitori. Le teorie neoliberali, ovviamente, ritengono che il mercato sia assolutamente autosufficiente. L’economia non è più lo strumento per un’integrazione sociale ma diventa fine a sé stessa, in algoritmi impermeabili alle necessità dell’uomo: meccanicismo dei prezzi. 3. La politica ammutolita, il diritto asservito Il diritto e la politica sono stati dunque asserviti al mercato e alla tecnica, per via dell’abbandono delle strategie del progresso negli anni Ottanta, sostituite da quelle dello sviluppo. La politica si fece dominare dall’economia e utilizzò il vincolo esterno, il “ce lo chiede l’Europa”, per giustificare scelte interne altrimenti poco digeribili. Ci si fece scudo col principio del pacta sunt servanda, per cui bisogna assumersi gli obblighi internazionali e rispettarli: è un’assunzione di responsabilità soprattutto se l’obbligo opera in deroga a principi costituzionali. Appellarsi a questo principio ha portato, tra le altre cose, a una sfiducia generalizzata nella politica nazionale, che si deresponsabilizza e delegittima da sola. Molti giuristi si posero al servizio dello Zeitgeist e per questo individuarono negli obblighi esterni una fonte suprema di legittimazione, principi capaci di raggiungere scopi a cui i nostri fragili sistemi erano inadatti. Potevano nascere criticità costituzionali in seguito a queste limitazioni di sovranità e applicazioni di norme esterne, ma l’importante era che non violassero i principi fondamentali e i diritti di inviolabili. Si pensava che il diritto avrebbe comunque prevalso sulla finanza, riportandola all’umanità, invece accadde il contrario, il diritto si dovette adeguare alle brutali logiche di mercato (pensa alla riforma 21 Diritto o Barbarie – Parte II dell’articolo 81 sul pareggio di bilancio). Anche questo contribuì alla crisi del costituzionalismo moderno, mentre il diritto amministrativo è in continua crescita, essendo un diritto pragmatico e tecnico, vuole il funzionamento (funzionalismo) delle istituzioni. Dopo Maastricht l’Europa cambia volto, non più una comunità di Paesi volta a creare un’unione stretta, una nuova razionalità ha sottomesso le politiche sociali che non riusciva a gestire. La logica dello sviluppo schiacciò quella del progresso, si inverte la tendenza, da economia come strumento della coesione sociale all’inverso: vediamo ora come. 4. La corsa all’euro L’introduzione della moneta unica voleva stabilire i prezzi dell’area euro, ma invece di rappresentare un passo verso l’integrazione politica, ha solo ingabbiato i governi nazionali. L’euro ha migliorato gli scambi, ma è anche diventato fonte di discriminazione e dipendenza per i Paesi debitori, causando un forte squilibrio nelle crescite. Le politiche sociali e di sviluppo sono state sacrificate in nome del rientro del debito, del pareggio del bilancio. Non era un esito necessario di questa operazione, poteva immaginarsi una moneta come strumento di unione, ma a Maastricht si considerarono soltanto gli aspetti economici, non sociali e culturali dell’unificazione monetaria. Gli unici criteri per aderire alla moneta erano infatti quelli economici, possiamo leggerli all’articolo 140 del TFUE: tuttavia furono accolti anche i paesi che non li raggiungevano, purché si impegnassero a rispettare i patti contratti e ad adottare politiche consone ai criteri europei. Il problema non era la moneta unica ma la teologia economica priva di una visione sociale di lungo periodo. Si entrò nell’eurozona persuasi di una convenienza economica, soprattutto per l’Italia, dipendente dai commerci con l’estero, e tra l’altro non partecipare all’euro avrebbe incrinato fortemente i rapporti di un Paese fondatore dell’Unione con l’Unione stessa. La corsa all’euro fu vista come un successo politico, perciò fu difficile trovare un punto di vista alternativo. Molti studiosi pensavano che l’introduzione dell’euro avrebbe innescato un processo virtuoso che superasse le differenze politiche, culturali, materiali. Del resto, la moneta era fondamentale in uno Stato: ma non si considerò l’evidente risvolto per cui c’è bisogno di uno Stato per avere una moneta. Si pensava che la moneta unica avrebbe costruito lo Stato europeo, la federazione, ma nessun Paese è mai stato costruito a partire da una moneta. L’esigenza di stabilità dei prezzi e l’incedere della finanza non ha portato all’unione degli Stati ma alle divisioni. La crisi del 2008, poi, mostrò quanto l’Europa era ingabbiata dai parametri di Maastricht: trasferendo il potere a soggetti esterni come le multinazionali o le agenzie di rating, l’Europa politica perse molto del suo potere a favore dell’unificazione dei mercati mondiali e quindi, di nuovo, della finanza. Capitolo V – Il fallimento del processo costituente europeo 1. L’integrazione attraverso i diritti Ci furono tentativi di ribellarsi a Maastricht, ma fallirono miseramente. Si pensava, infatti, che si dovesse cambiare passo, perché la dipendenza dalla finanza stava uscendo da ogni limite. Alcuni pensarono allora di creare una Costituzione europea che facesse muovere 22 Diritto o Barbarie – Parte II 6. Il fallimento annunciato del processo costituente europeo In questo contesto, la scrittura della Carta dei diritti e della Costituzione europea non poteva che fallire. Non c’erano i soggetti storici in grado di dare rappresentanza, quindi i documenti erano puri frutti della tecnocrazia, senza alcuna legittimazione sociale diretta. Per questo motivo la Carta dei diritti dovette piegarsi alla crisi economica e al modello neoliberista, mentre la Costituzione non superò neanche il vaglio popolare. Capitolo VI – Popolo e soggettività 1. Costituzione senza popolo? L’anomalia del processo era nota, ma si cercò di andare avanti col progetto, del resto già la moneta unica senza Stato sembrava un’utopia eppure esisteva: facciamo allora una Costituzione senza popolo, senza una comunità politica di riferimento. Infatti c’era chi sosteneva la non essenzialità di un popolo organizzato, chi voleva intendere la comunità come elemento spirituale prima che materiale, chi invece ha sperato che la Costituzione stessa potesse dar vita a una soggettività popolare definita. 2. Costituzione senza soggetto Si pensava quindi che si potesse fare a meno dell’elemento soggettivo: bastava valutare la forma della comunità politica di riferimento. Il testo costituzionale, in queste interpretazioni, è visto però come un documento funzionalista, il suo compito e quello dei giuristi è razionalizzare le norme esistenti e far funzionare bene le istituzioni. Ovviamente il costituzionalismo moderno non accetta questa concezione descrittiva e non normativa: in questo modo la Costituzione europea esisterebbe già, iscritta nei Trattati sul funzionamento: irrilevante il contenuto assiologico del testo e la sua legittimazione politica. Nessuna traccia della funzione di fondare e limitare i poteri tipica delle Costituzioni moderne, sarebbe una semplice Costituzione buona a far tutto, sradicata dalla storia moderna. Se intendiamo la Costituzione come un mero assetto di poteri, non c’è nessuna differenza tra l’Europa politica e quella economica, ognuna avrebbe una sua costituzione svilita: la Costituzione esisterebbe già. Quello che serve è invece una Costituzione che riconduca entro i propri limiti il paradigma economico dominante, rivolgendo attenzione alla dimensione sociale e alla integrazione politica, alla persona. Per questo è necessaria però una Costituzione normativa con un soggetto determinato, non un’amorfa moltitudine. Tale popolo organizzato manca. 3. Costituzione come cultura La Costituzione e il diritto sono frutti di cultura: anche nei più estremi modelli decisionisti la Costituzione viene dalla cultura, dalla civiltà e dal “costituito” precedente a cui bisogna far riferimento. Non basta quindi la forza della decisione, bisogna arrivare ai valori sottostanti che spiegano i movimenti della società e del diritto. Non basta però nemmeno la cultura, le Costituzioni sono anche frutto di decisioni politiche, rappresentano sia il grado di civiltà raggiunto sia il fondamento dei poteri: servono entrambe le figure, cultura e decisione. Necessario che la Costituzione includa il mondo dello spirito (arte, morale, fede, costumi, la Zivilisation), ma non sufficiente, sennò si fa dipendere la Costituzione da un 25 Diritto o Barbarie – Parte II processo intellettuale, logico-formale e si sottovalutano i processi meno civilizzati che portano alla nascita di una società, quelli istintivi, irrazionali. Il processo costituente europeo avverte che la torsione economicista sia il più grande problema dell’Unione, ma si limita d’altra parte a riconoscere formalmente, tramite i trattati, le tradizioni costituzionali degli Stati membri come principi generali del diritto comunitario, ma lo fa in termini così generali che sembra piuttosto celebrare Maastricht per la sua apertura a una comunità di cultura. La giurisprudenza europea ha usato spesso queste parole, ha fatto riferimento alla cultura comune europea, ma non è mai diventato nulla di effettivo, solo privo di contenuto normativo. Dopo Maastricht il processo di sviluppo non ha cambiato segno e non è riuscito a porre al centro la persona, anzi i diritti si sono solo indeboliti, sottomessi all’economia. Bisogna ricercare le ragioni sociali che hanno portato al disuso di questi concetti, mentre altre disposizioni hanno valore altissimo, come quelle che riguardano il libero mercato, niente affatto scalfite dalle norme atte a garantire i diritti. Perché? Perché non c’era un popolo formato, non c’erano i soggetti storici reali necessari, forse c’è una cultura europeista ma non si è riusciti a coinvolgere sufficientemente il popolo: il Weltgeist non ha incontrato il Volkgeist. Ovviamente le ragioni sono altre, come la fiducia nella tecnocrazia. 4. Costituzione e costruzione del soggetto Come abbiamo detto, alcuni sperarono di costruire il soggetto partendo dalla Costituzione, far emergere così un demos inesistente. Auspicavano un processo inedito che facesse nascere dai diritti un popolo, Rodotà scrive “così la Carta avvia la costruzione del soggetto che le darà piena legittimazione”. Non può bastare evidentemente una carta, neanche la più completa, per assicurare i diritti: la centralità della persona di cui parla la Carta doveva incontrare il suo popolo per attuarsi: non ci si può mai sottrarre alla materialità dei soggetti storici, non si può imporre una carta, concederla. Non è possibile, nuovamente, parlare di diritti senza soggetti determinati che la possano incarnare. 5. Evocare ma non realizzare la discontinuità In sintesi, il progetto naufragò perché mancavano le condizioni politiche di base costituite da una classe dirigente in grado di rappresentare i concreti interessi di un popolo non solo immaginato, ma costituito da un demos determinato. Non c’è poi stato neanche un movimento partito dal basso per trasformare questa Europa in un’unione sociale. Il popolo europeo è rimasto senza volto, frantumato, a causa della debolezza dei soggetti politici e in mancanza di un modello di società. Dopo la Carta dei diritti si è provato a passare una Costituzione mascherata da trattato, escamotage dei governi per darsi una legittimazione politica e democratica, senza pagare il prezzo. Capitolo VII – La tempesta perfetta 1. La Costituzione che si traduce in un Trattato Nel 2007 il progetto costituente naufraga ufficialmente ma viene convocata una Conferenza intergovernativa che modifichi i trattati esistenti per rafforzare “l’efficienza e la legittimità democratica dell’Unione”. In pratica inizia una riscrittura del diritto primario europeo, 26 Diritto o Barbarie – Parte II culminata con il Trattato di Lisbona. In realtà si tratta di una mossa tattica: è la riscrittura di quanto previsto nella naufragata Costituzione: questa è la riprova definitiva che la Costituzione non voleva essere un segno di rottura col passato ma solo un modo per legittimare formalmente l’unione. Il Trattato di Lisbona fu solo una traduzione linguistica di quanto già previsto nella costituzione e respinto dai referendum francese e olandese. In questo modo non si doveva più sottoporlo a referendum: la finzione del popolo votante è superata. Tutti gli Stati membri lo approvarono, solo sei mesi dopo la bocciatura del progetto costituente. Ovviamente appena entrato in vigore il Trattato (approvato prima, ma in vigore dal gennaio 2009), ci fu la devastante crisi del 2008 per i mutui subprime americani e il fallimento dei Lehman Brothers. L’Europa ne venne colpita come il resto del mondo e la pandemia del 2020 non aiuta. Una tempesta perfetta in tutto il mondo. 2. Sotto le macerie: la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea Ovviamente ad essere colpite per prime furono le costruzioni più instabili, ovvero i tentativi di creare un’Europa dei diritti e di rafforzare le istituzioni democratiche. Ci si aggrappò disperatamente invece al paradigma Maastricht, nonostante tutto indicasse la necessità di fare il contrario. Nessuna forza sociale sembrava in grado di smontare questo castello e tornare ai principi sani. La Carta dei diritti fondamentali fu la prima vittima: dopo lo sviluppo che aveva portato questi diritti dall’essere tutelati solo in via giudiziaria ad avere la stessa valenza dei Trattati, si tornò all’eclissi, interpretati nuovamente con le lenti dell’economia e della finanza. Tre ordini di ragioni per questo, vediamoli. 2.1 Diritti senza storia Da criticare la scelta di equiparare tutti i diritti in base a sei categorie: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia, sostituendo la tradizionale classificazione dei diritti per generazioni: diritti di libertà, diritti sociali, nuovi diritti, che hanno segnato la storia moderna, e avevano conquistato una loro centralità, vicendevolmente, a seconda del tempo: così nell’Ottocento il diritto di proprietà era il più importante, nel Novecento invece il lavoro diventa il principio cardine per via delle battaglie dei lavoratori e così i diritti sociali diventano i più importanti. I nuovi diritti sono quelli come il diritto all’ambiente, e la loro natura è spesso il frutto di un’interpretazione giurisprudenziale poi tradotta in norma. Porre invece tutti i diritti sullo stesso piano in quanto fondamentali ha decontestualizzato l’intero assetto delle tutele: i diritti sono privati della loro dimensione storica e conflittuale, ogni cittadino era titolare di ogni diritto, quindi la dimensione è individuale. In questo modo i diritti sono enunciati normativi privi di logiche di composizione, rimessi alla libera interpretazione del legislatore o dell’interprete. I conflitti tra i diritti li ordinano gerarchicamente e li rendono vivi, entro una prospettiva di emancipazione sociale. Essendo tutti i diritti uguali, non sappiamo come comporre i conflitti perché non è detto quale diritto debba prevalere. Pensiamo a una contrapposizione tra capitale e diritto al lavoro, o tra lavoro e ambiente, salute, impresa. La clausola di stile che sancisce il rispetto di questi diritti “secondo le modalità stabilite dal diritto comunitario e le leggi nazionali” non aiuta sicuramente l’interpretazione, non opera una legittimazione e limitazione dei poteri ma 27 Diritto o Barbarie – Parte II uso della soft law fino alla crisi del 2008, lasciando ai Paesi ampio potere di autodeterminazione, il Patto di stabilità era un faro ideologico prima che economico. A Lisbona si era tentato anche di avviare una strategia, in merito alle politiche sociali, in cui l’Europa agisse da coordinatrice non vincolante e annualmente venisse aggiornata sui progressi fatti dai singoli Stati, che assumevano liberamente le proprie decisioni. Tra il 2011 e il 2013, dopo la crisi economica che spazza via tutto, cambia ogni cosa e si impone totalmente il neoliberismo. Nel 2011 con il Patto Euro plus una parte dei membri si impegna a mettere in atto politiche economiche molto più vincolanti di quelle previste dal Patto di stabilità, entro termini stringenti. Nello stesso anno vengono approvati regolamenti e direttive che aumentano il potere della Commissione di chiedere ai Paesi misure immediate per evitare squilibri. Nel 2011 nasce il semestre europeo, quel periodo di verifica dei bilanci nazionali, un “dialogo” tra Commissione e Governi nazionali per arrivare a definire i punti del bilancio dell’anno successivo. Nel 2012 viene approvato il Fiscal Compact, un trattato con cui ci si impegna a introdurre una golden rule con una legge di rango costituzionale per introdurre il principio del pareggio dei bilanci (in Italia la legge cost. 1/2012). Un monumento all’ideologia neoliberista che introduce principi a volte irrealizzabili come la riduzione del rapporto debito/PIL. Sempre nel 2012 per garantire la stabilità nella zona Euro viene introdotto un altro trattato intergovernativo che crea un’organizzazione che concede prestiti e assistenza ai Paesi della zona, il MES (Meccanismo europeo di stabilità), fondo gestito dal Consiglio dei governatori formato dai ministri finanziari dell’area euro: ovviamente si basa su fattori prettamente economici, non di solidarietà tra Stati. Nel 2013 la Commissione approva altri sistemi di sorveglianza rafforzata sul bilancio. Si perde traccia delle persone, tutto ciò che importa è il denaro, in chiave neoliberista. 5. Una BCE non convenzionale In sintesi i Parlamenti nazionali sono sottoposti alla sorveglianza europea, il Parlamento europeo perde potere, la Commissione diventa commissario ordinario della crisi, gli organismi intergovernativi governano per evitare la crisi. Nel frattempo emerge un altro operatore istituzionale, la Banca Centrale Europea, che governa la moneta: la politica monetaria è il mezzo per decidere di tutte le altre politiche, come vuole la teologia liberale. La azione della BCE non si svolge solo con atti formali, ma anche con pensieri, parole, opere e omissioni: tengono insieme la collettività tramite la stabilità dei conti. Sono noti gli interventi della BCE per difendere l’euro: scoppiata la crisi per i debiti sovrani, emise una quantità straordinaria di liquidità, e quando il panico è dilagato, la Banca ha rotto gli argini ed ha iniziato a utilizzare misure convenzionali e non convenzionali, sostegni finanziari, interventi illimitati coadiuvati dal MES per riequilibrare i conti dei Paesi. Si è discusso a lungo di tali interventi, soprattutto in merito alla loro legittimità. La Corte di Giustizia al riguardo ha cercato di salvare le apparenze giustificando gli interventi della BCE e distinguendo tra interventi di politica economica e politica monetaria: gli interventi erano giustificati in quanto cercavano di salvaguardare la stabilità dell’euro. La Corte ha qui sicuramente abbracciato le ragioni neoliberali. 30 Diritto o Barbarie – Parte II 6. Fatti e forme Ormai la BCE per giustificare i suoi interventi non ha più bisogno di norme, si impone per via di fatti giuridicamente non vincolanti ma obbligatori. Pensiamo alla lettera del 5 agosto 2011 inviata da Trichet e Mario Draghi. Tale lettera doveva rimanere confidenziale ma venne leakata: con la missiva, i due definivano l’indirizzo politico che il Paese avrebbe dovuto seguire negli anni a venire: il pareggio di bilancio, gli strumenti con cui conseguirlo (decreti legge, modifiche costituzionali). Un’enorme interferenza nelle politiche nazionali. Per raggiungere questi obiettivi servivano molti altri cambi strutturali che andavano ben oltre la politica economico-finanziaria (liberalizzazione dei servizi pubblici, intervento sulle pensioni, più rigorose, aumento età pensionabile delle donne, riduzione stipendi impiegati pubblici, rivedere le relazioni sindacali, liberalizzazione degli ordini professionali, introduzione indicatori di performance nei sistemi sanitario, giudiziario, istruzione, abolizione Province). Per le due legislature seguenti è stato seguito alla lettera il programma proposto dalla lettera della BCE. Chiaramente molti degli interventi erano già nelle intenzioni del Governo e la lettera servì anche come giustificazione (ce lo chiede l’Europa). In ogni caso la lettera è l’esemplificazione dello strapotere dei soggetti europei, che operano al di fuori di ogni legalità formale, contro la Costituzione talvolta. Basti pensare al fatto che la lettera è stata mandata all’esecutivo, ma pretendeva azioni anche dal Parlamento come la conversione in legge dei decreti approvati senza un’effettiva urgenza e l’approvazione di leggi costituzionali. Si invitava il Premier a usare la decretazione d’urgenza a sproposito, riducendo anche i tempi per la conversione. Addirittura la conversione viene chiamata ratifica. La richiesta di riforma costituzionale troverà luogo in seguito nell’applicazione del Fiscal Compact. In questo modo la teoria neoliberista del pareggio di bilancio viene interamente inserita nelle Costituzioni statali. Il governo del tempo si dimise, quelli successivi si conformarono alla lettera di Draghi. 7. I signori del credito Non fu solo la BCE ad atteggiarsi a guardiana del credito, ma anche altri organi: pensiamo alla crisi greca del 2015 e alla Troika (Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale, organi di controllo informale dell’Unione), i cosiddetti creditori ufficiali dell’Unione. Ricordiamo bene la storia: nel 2009 si apre la crisi greca perché il premier rivela la falsificazione dei dati di bilancio compiuta dai governi precedenti per entrare nell’eurozona. Il paese è messo al bando, gli investimenti precipitano e il debito pubblico declassato. I creditori ufficiali iniziano a prestare miliardi per evitare il default, sottoponendoli a stringentissime politiche che modificano anche l’intero assetto sociale, come tagli di stipendi e pensioni. Altri prestiti, crisi politiche, il premier si dimette, entra in scena la Troika che verifica i conti greci e il rispetto delle condizionalità. Un referendum del 2015 rifiuta le proposte formulate dai creditori, ma il governo di sinistra del partito Syriza ne accetta di anche peggiori. La politica greca viene commissariata del tutto dalla Troika, che ha messo in atto la sua strategia di salvataggio. Con l’avanzare della crisi abbiamo scoperto quindi quanto sono forti questi enti economici, che stabiliscono l’intera politica dei 31 Diritto o Barbarie – Parte II Paesi membri senza avere legittimazione formale o rappresentatività istituzionale (la Troika è organo informale). L’unico credo è l’estinzione del debito visto come male assoluto, il denaro è la religione e il debito è la colpa. 8. La filosofia della colpa La politica finisce così per assumere sembianze religiose, le parole sono oracolari ed eteree, non connesse alla vita reale dei cittadini ma ad una verità superiore, trascendente, la logica razionale del neoliberismo. Non si vuole più creare una società armonica improntata al bene ma solo la stabilità economica. È così che le persone reali diventano insignificanti, come la diversità, il conflitto, il confronto culturale e ideologico. L’astrattezza della religione domina. I sacerdoti della Troika parlano per noi, non i detentori del potere terreno, che sono asserviti completamente. Quando un paese sta per cadere nel debito, non si cerca di salvarlo in base alla solidarietà, si definisce solo un percorso di rientro a tutti i costi con canoni inviolabili. Un sistema del tutto impermeabile ai valori costituzionali che conosciamo. Il debito è il peccato e la stabilità finanziaria è la salvezza: si impone la filosofia della colpa, l’indebitamento è una colpa da espirare, non una condizione da emendare. Che inferno è questa Europa, per chi è indebitato. 9. L’ospite inatteso La filosofia della colpa deve però fare i conti con l’umano e soprattutto con la realtà: il sopraggiungere del virus ha rimpiazzato la colpa con l’istinto di sopravvivenza e l’Europa, di fronte all’accumularsi dei morti ha dovuto interrompere ogni attività, anche quelle relative allo sviluppo. L’umanità si è fermata e ha guardato sé stessa. Non ha capito granché ma ha capito che non tutto può essere sacrificato all’economia, non la salute, comprendendo così la centralità della persona come principio cardine. Abbiamo viste limitate tutte le nostre libertà costituzionali, neanche potevamo seppellire i nostri morti. L’Europa ha così potuto scorgere il valore essenziale da assegnare alla dignità dell’uomo, è riemerso il terrore dell’ignoto che per Hobbes porta l’uomo ad aggregarsi. Forse è proprio la reazione all’incertezza del futuro a portarci sotto il comando del dio mortale che ora è diventato il dio neoliberale. L’Europa ha un’incredibile possibilità, quella di costruire un futuro diverso, riportando la persona al centro. Già nel passato i traumi hanno portato l’uomo a capire, quello che manca è l’azione. L’Europa ha sospeso le proprie regole più imponenti, ma non sembra ancora aver ripensato a sé stessa: dopo l’emergenza sanitaria si torna a Maastricht o si prova ad andare a Ventotene? L’Europa ha sospeso il Patto di Stabilità e fermato molti dei controlli, adottando misure a favore dei paesi in recessione, trasformando istituti. Sembra che la governance funzioni meglio, che gli organi abbiano trovato un nuovo equilibrio tra di loro. L’Europa non è rimasta inerte, ha rinviato a tempi migliori il risanamento dei conti. Sembra probabile che si tornerà alla situazione di prima, ma con risvolti peggiori economicamente. Bisogna ripensare una riforma intellettuale e morale per rifondare un’Europa che ponga la persona al centro sul serio, non come è vacuamente scritto in molte Carte dei diritti europei. Questa sfida è ardua e coinvolge tutta l’umanità, non solo l’Europa. Inizialmente bisogna capire quali sono i presupposti istituzionali e materiali per cambiare. 32