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riassunto - dispensa linguistica generale di M.C. Gatti, Sintesi del corso di Linguistica Generale

Riassunto della dispensa di linguistica generale della professoressa Gatti.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

In vendita dal 03/06/2016

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Scarica riassunto - dispensa linguistica generale di M.C. Gatti e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! 1 DISPENSA DI LINGUISTICA GENERALE Maria Cristina Gatti Introduzione Una prima delimitazione dell’oggetto e del metodo della linguistica I problemi sollevati dalla lingua sono diversi, a seconda delle domande che ad essa si pongono e della prospettiva nella quale ci si colloca. La lingua può rappresentare un problema dal punto di vista della prassi, e in questa prospettiva costituisce un problema anzitutto per il politico. La società politica tende a dare ad una o più lingue il marchio dell’ufficialità rispetto ad altri idiomi che possono essere usati. Si può inoltre considerare la lingua dal punto di vista sociale. La lingua è uno strumento di comunicazione e costituisce quel tessuto che unisce gli individui nella società. L’interazione umana, infatti, è possibile soltanto perché c’è una lingua e quindi un codice comune ad un insieme di parlanti che così vengono a costituire una comunità linguistica. La lingua però ha un valore sociale perché non è soltanto strumento di unione ma anche di divisione, di individuazione. Parlare la stessa lingua è un modo per appartenere allo stesso gruppo, per costituire il “noi” che si oppone al “voi”, agli “altri”. La lingua è rilevante, e in più sensi, dal punto di vista economico. Fin dall’antichità, in epoche di intensi scambi economici, si sono affermante lingue internazionali di vario tipo per consentire le comunicazioni fra nazioni diverse. C’è un rapporto tra la stratificazione economica di una società e la sua stratificazione linguistica. Infine c’è un rapporto fra lingua e cultura, sia intesa in senso generale sia in relazione agli ambiti specifici in cui la cultura si suddistingue. La cultura può essere vista come un super-codice che ha tra i suoi sottosistemi, come perno del proprio funzionamento, la lingua naturale1. La filosofia si regge su un linguaggio; ora questo linguaggio offre al filosofo un sistema di categorie semantiche dalle quali egli non può prescindere e che non può dare per scontate se non rinunciando alla totale assenza di presupposti cui, in quanto filosofo, deve tendere. Esiste poi un rapporto fra lingua e ideologia. I paesi che mutano regime politico modificano anche la loro struttura semantica e spesso il loro frasario; insomma, il modo di affrontare la realtà con il linguaggio. Sempre più spesso l’ideologia si avvale di sofisticate manipolazioni del sistema linguistico: una versione più smaliziata e radicale della retorica. Il rapporto tra lingua e scienza viene posto in luce soprattutto nella nostra epoca. Le diverse scienze sono certo tuttora attente alla loro metodologia e alla loro base sperimentale, tuttavia viene sempre maggiormente alla luce questo rapporto necessitante tra linguaggio, metodo e oggetto di una determinata scienza. Abbiamo una prima definizione della linguistica (o glottologia2): è la scienza che si propone di spiegare come una lingua funziona. 1 La cultura è da intendere come l’insieme delle regole che determinano esplicitamente o implicitamente il comportamento dei membri di una comunità (di un “noi”). 2 I termini “linguistica” e “glottologia” sono equivalenti anche se soltanto il primo sembra ammettere attributi come “strutturale” e “generale” e quindi sembra riferirsi in modo più proprio agli sviluppi che la scienza della lingua ha ricevuto nel nostro secolo. 2 La situazione problematica che si presenta allo studioso della lingua è la seguente: fra i tanti fatti con i quali veniamo a contatto, solo la lingua costituisce un fatto per molti aspetti sorprendente, quasi assurdo; il fatto che delle sequenze di elementi fisici fonici (i suoni), grafici (i caratteri), gestuali ecc. sono portatrici di messaggi. Il messaggio supera la sfera puramente fisica, appartiene alla sfera dei significati. Questo fatto, che è poi l’essenza del fatto linguistico, non deve mai cessare di sorprendere; è proprio perché questo fatto è sorprendente, quasi assurdo, che molti pensatori hanno visto nella lingua il contrassegno della specie umana, l’unico elemento assolutamente indubitabile per distinguere l’umano dal non umano. Se il fato linguistico essenziale è il rapporto tra sequenze di elementi fisici e messaggi, dobbiamo subito affermare che la lingua non può essere affrontata in senso storico perché dobbiamo passare da un atteggiamento diacronico nei confronti della lingua, ad un atteggiamento sincronico, cioè di contemporaneità: dall’analisi di una successione nel tempo all’analisi di una compresenza in una data sezione temporale. Solo ponendoci sul piano della sincronia possiamo capire il funzionamento del linguaggio. 1. La lingua deve essere studiata da un punto di vista strutturale Il concetto di struttura può essere accostato al vecchio concetto di “essenza” che significa ciò che fa di una cosa quel che essa è. Dire “strutturale” equivale a dire “essenziale”. Affrontando lo studio della lingua, il nostro approccio sarà strutturale se fra gli aspetti peculiari che caratterizzano in qualche modo il fatto linguistico (dal punto di vista fonico, sintattico, semantico, politico, culturale, ecc.) faremo emergere solo quei caratteri e quelle proprietà che costituiscono la lingua in rapporto a questa sua funzione essenziale. Si tratterà di far emergere ciò che di essenzialmente linguistico c’è nella lingua. 2. Spiegare come la lingua funzioni “Spiegare” non significa chiarire un concetto in senso didattico (renderlo piano, accessibile) ma formulare delle ipotesi esplicite e coerenti, dalle quali tutti gli aspetti inerenti all’oggetto di indagine possano essere dedotti. Il concetto di spiegazione è legato in modo essenziale ai concetti di ipotesi e di deduzione del dato dall’ipotesi. Il modello ipotetico-deduttivo è una teoria che si propone di spiegare un certo ambito della realtà. Lo strutturalismo classico Cenno sulle origini della linguistica La linguistica è una scienza nuova ma in realtà ha origini storiche remotissime. È necessario anzitutto distinguere due periodi: la nascita ufficiale della linguistica (il cosiddetto periodo scientifico) e la linguistica prescientifica, ossia il pensiero linguistico prima della acquisita consapevolezza della propria autonomia. Se consideriamo scienza un’attività conoscitiva pienamente consapevole della propria individualità e della propria specificità, allora la scienza della lingua nasce ufficialmente nel 1816 con la pubblicazione del volume di Franz Bopp. Se però vogliamo chiamare linguistica ogni ricerca rigorosa, anche se parziale, sul fatto linguistico, allora si può dire che la linguistica è antica quanto l’uomo. Come tutte le altre scienze, in origine era fusa con la filosofia e se n’è staccata proprio attraverso il processo di specificazione che caratterizza l’evo moderno dal punto di vista culturale. 5 Questo recupero del passato sarà però possibile solo dopo aver completato in una dimensione, per molti aspetti più matura, la visione saussuriana. Si è rimproverato alla grammatica classica di non essere scientifica; tuttavia la sua base è meno criticabile e il suo oggetto meglio definito di quel che sia per la linguistica inaugurata da Bopp. Un altro momento che cronologicamente precede questo passaggio dalla linguistica storica alla linguistica strutturale è rappresentato due rappresentanti polacchi della linguistica russa, Baudouin de Courtenay e Kruszewski, che hanno contribuito a portare nello studio della lingua delle nozioni basilari che poi confluiranno, come momenti fondamentali, nello strutturalismo saussuriano. In un passo di Baudouin de Courtenay5 del 1871: Nell’oggetto della fonetica rientrano: a) la considerazione dei suoni dal punto di vista puramente fisiologico, le condizioni naturali della loro formazione, del loro sviluppo e la loro classificazione, la loro suddivisione6; b) il ruolo dei suoni nel meccanismo della lingua e il loro valore per il sentimento del popolo non sempre coincidente con le corrispondenti categorie dei suoni in base al loro aspetto fisico e condizionato da una parte dalla natura fisiologica dei suoni e dall’altra dalla loro origine e dalla loro storia. Il punto di vista qui assunto è chiaramente strutturale; l’intento è di vedere come la lingua funziona, di costruire delle ipotesi sul funzionamento della lingua. Compare la distinzione fra diacronia e sincronia: lo sviluppo genetico dei suoni, la loro storia non coincide con la funzione dei suoni nel meccanismo della lingua. Nel passo esaminato l’enucleazione del punto di vista strutturale è ancora mescolata ad un punto di vista tradizionale; in un passo successivo, scritto intorno al ‘900, il principio strutturale è chiaramente enunciato. Fonema: unità fonetica viva sul piano psichico. Il termine “suono” indica l’unità più semplice della fonazione o della pronuncia che suscita la singola impressione fonetico-acustica, ma levandoci al livello della lingua reale, non ci basterà più il concetto di suono ma dovremo cercare un altro termine che possa designare l’equivalente psichico del suono: questo è il fonema. Il linguaggio è costituito da suoni, il suono è la sede primaria del linguaggio che è anzitutto lingua parlata e solo secondariamente lingua scritta; tuttavia il suono come il fatto fisico concreto che viene pronunciato e udito non ha in sé rilievo linguistico, cioè non basta a far funzionare la lingua. L’infinita varietà, l’infinita ripetibilità dei suoni consente il funzionamento della lingua solo se è posta in corrispondenza con determinati valori, con determinate unità che devono essere presupposte perché il funzionamento della lingua non diventi assurdo7. Il semplice suono non è di per sé linguistico in quanto non può svolgere alcuna funzione; diventa linguisticamente pertinente quando è in corrispondenza con una costante che ha una sua vita psichica permanete a livello mentale. Kruszewski, discepolo di Baudouin de Courtenay, scrive: 5 Nacque vicino a Varsavia nel 1845. 6 La fonetica è lo studio dei suoni linguistici nei loro molteplici aspetti; è la descrizione del suono linguistico dal punto di vista articolatorio, cioè del modo in cui il suono è prodotto, e dal punto di vista acustico, cioè dalle qualità che il suono prodotto possiede. 7 Se si confrontano le realizzazione foniche di una stessa parola in persone diverse, queste presenteranno una diversità materiale molto più accentuata della realizzazione fonica di due parole diverse nella stessa persona. 6 Tutte le parole senza eccezioni, a qualunque strato esse appartengano, portano in sé le tracce di processi fonetici, più o meno durevoli, puramente francesi. […] Nessuna parola può esistere nella lingua senza essersi adattata con il suo aspetto esterno e interno al tutto strutturato che si chiama lingua. Nessuna parola può esistere in una lingua se nella lingua esiste un’altra parola con funzione del tutto identica. In ciascuna lingua ci sono alcune leggi che non operano attraverso la storia, ma nella sincronia, nella contemporaneità (De Saussure dirà nell’asse orizzontale) e predeterminano la singola unità linguistica nel suo aspetto interno ed esterno. Possiamo constatare che: tutti gli uomini con attitudini intellettuali normali giungono con facilità e abbastanza in fretta al possesso di una lingua. Il che non risulterebbe possibile se si dovesse imparare ogni parola e ogni forma verbale come a sé stante. Il fatto è che quando noi impariamo, per esempio, la parola conduce già conosciamo numerose forme come conduci, conduciamo, conducente. Altre parole simili, ma più lontane, sono ancora conduzione, conduttore. C’è quindi una parte della parola, conduc-, che ci è già nota tramite un insieme di altri termini che hanno in comune questa parte. Diventa chiaro che nella forma verbale da noi analizzata, sulla base del funzionamento della nostra memoria e della nostra locuzione, ritroviamo due parti che non appartengono alla singola parola, ma a insiemi di parole. Qualsiasi parola appare legata con le altre dai nessi dell’associazione per somiglianza. Osservazione 1 – Importanza dei due assi associativi per il funzionamento della lingua Si opera nel meccanismo della lingua di queste due dimensioni: l’asse della similarità e l’asse della contiguità. Si parte dall’enunciato “Luigi beve molta birra” funziona perché è collocato all’intersezione dei due assi. Aver individuato questi due assi fondamentali sui quali si regge l’atto linguistico equivale ad aver posto i due concetti centrali dello strutturalismo. Se connettiamo queste affermazioni di Kruszewski con quella di Baudouin de Courtenay constatiamo che già viene in luce la teoria strutturale. Nessuno dei due autori fornisce un’esposizione ben organizzata delle proprie teorie, tale da potersi considerare una dottrina. La dottrina di Ferdinand De Saussure De Saussure si contrappone in modo netto alla linguistica diacronica: cerchiamo di comprendere le ragioni della scelta di Saussure a favore della sincronia. Si tratta sempre della stessa ragione: l’intendo di considerare la lingua da un punto di vista funzionale, di capire come la lingua sia fatta e come opera. Per poter fare questo è necessario restare entro la sincronia. La distinzione fra l’asse della sincronia, o della simultaneità, e l’asse della diacronia, o delle successioni, è operante in numerose scienze, soprattutto in quelle che hanno a che fare con dei valori e la linguistica è una scienza che tipicamente opera con valori. La nozione di valore è abbastanza complessa: 7 La prima cosa che colpisce quando si studiano i fatti di lingua è che per il soggetto parlante la loro successione nel tempo è inesistente: il parlante si trova dinanzi a uno stato. E così il linguista che vuol comprendere tale stato deve fare tabula rasa di tutto ciò che l’ha prodotto e ignorare la diacronia. Lo stesso è per la lingua: non è possibile né descriverla né fissarne le norme d’uso se non collocandosi in un certo stato. Per determinare la natura del linguaggio non si deve prescindere soltanto dalla diacronia, ma anche da tutti gli aspetti concomitanti (geografici, politici, culturali ecc.) con i quali la lingua è legata nella sua esistenza concreta. Saussure distingue di conseguenza una linguistica esterna e una interna. Entro quest’ultima il linguaggio, ossia il fatto linguistico globalmente inteso, si articola in due momenti complementari ma ben distinti: la langue, intesa come sistema di segni e la parole, intesa come esecuzione o uso di questo sistema di segni nella comunicazione. La langue può essere studiata indipendentemente dalla parole. Così le lingue morte, che pur non sono parlate (non hanno quindi una parole), possono benissimo essere studiate nel loro meccanismo. Quella esposta finora è una definizione funzionale di langue e parole; noi infatti individuiamo questi due momenti ponendoci di fronte alla lingua come a un sistema di segni, analizzando cioè la lingua dal punto di vista della sua funzione espressivo-comunicativa8. Notiamo che questa definizione è in piena coerenza con la distinzione fra linguista esterna e linguistica interna. Sarà sviluppata nel nucleo centrale della dottrina saussuriana (forma, entità, unità, valore). Questa definizione funzionale di langue e parole tratta di due punti di vista nettamente distinti. Così, in rapporto alla langue e alla parole ci si può chiedere quale sia la funzione di ciascun momento della comunicazione, oppure quale dei due momenti sia legato alla società e quale all’individualità. Se ci poniamo di fronte alla lingua come sistema di segni che servono per la comunicazione di un certo gruppo di individui, troveremo che la langue è identica in tutti gli individui di quel gruppo, che è caratterizzato per altro proprio dall’avere la stessa lingua, ossia dalla reciproca comprensione. Scopriremo ancora che la parole è più vicina all’individualità: i singoli parlanti sono gli esecutori della parole, sono coloro ai quali va fatta risalire la responsabilità dei discorsi. La lingua non è una funzione del soggetto parlante: è il prodotto che il soggetto registra passivamente… La parole, al contrario, è un atto individuale di volontà è di intelligenza. Il segno è definito in modo apparentemente simile a quello tradizionale: Saussure distingue un signifiant (significante) e un signifié (significato). Il segno linguistico unisce non una cosa e un nome ma un concetto e un’immagine acustica. Quest’ultima non è il suono materiale ma la traccia psichica di questo suono, la rappresentazione che vi diene data dalla testimonianza dei nostri sensi. Il segno sia sul piano del significato sia sul piano del significante è un’entità interamente psichica. 8 Fin qui la concezione di Saussure è assai vicina alla concezione implicata dalla distinzione baudouiniana fra fonema e suono. Baudouin de Courtenay parlava del fonema che è necessario postulare al di là del suono; ebbene il suono appartiene chiaramente alla parole, all’esecuzione, all’attuazione, il fonema invece alla langue, ai tipi, alle costanti che vivono solo psichicamente. Una stretta vicinanza è riscontrabile anche fra la posizione saussuriana e quanto afferma Kruszewski sull’associazione per similarità e per contiguità. La langue è la sede delle classi di elementi equivalenti, la parole è l’attuazione, cioè l’estrazione dalla langue di certi elementi che vengono combinati e sono contigui. 10 Nel significante non ha importanza la qualità positiva, ma la sua essenza negativa, il suo contrapporsi, la sua opposizione, il suo non essere gli altri significanti. La natura concreta, la sostanza, del significante non è rilevante dal punto di vista del funzionamento della lingua. Anche entro i significati ciò che caratterizza ciascun significato entro il sistema è il non essere gli altri significati. Il fatto indubitabile che ciascuna lingua distribuisce a modo suo i significati sulle parole viene interpretato da Saussure come prova del fatto che l’articolazione del significato si modella sull’articolazione del significante, in altri termini, come prova dell’esistenza di un legame assoluto, inscindibile tra pensiero e linguaggio, in quanto la peculiare articolazione del significato in ciascuna lingua sarebbe determinata dalla peculiare articolazione del significante. Il nucleo centrale della dottrina saussuriana può essere così sintetizzato: la forma linguistica del significante emerge in rapporto alla forma linguistica del significato; ma a sua volta la forma linguistica del significato emerge in rapporto alla forma linguistica del significante. È evidente il circolo vizioso. Riprendendo l’esame dei contrassegni del guardaroba diciamo che i contrassegni per differenziarsi devono essere fatti in un modo tale che ci consenta di distinguerli gli uni dagli altri; saranno di materiale diverso, di diverso colore o avranno una diversa numerazione, ma devono in qualche modo differenziarsi, e per ciò stesso, devono avere delle qualità positive proprie. In rapporto allo spettatore, tuttavia, ciò che interessa è la loro funzione differenziativa, non la loro natura intrinseca. Tornando alla lingua si afferma che la forma del significante viene determinata in rapporto alla forma del significato ma questa viene determinata in rapporto alla forma del significante. Da una parte, nel discorso, le parole contraggono tra loro, in virtù del loro concatenarsi, dei rapporti fondati sul carattere lineare della lingua, che esclude la possibilità di pronunciare due elementi alla volta. Si schierano le une dopo le altre sulla catena della parole. Queste combinazioni che hanno per supporto l’estensione possono essere chiamate sintagmi. Il sintagma dunque si compone sempre di due o più unità consecutive. Posto in un sintagma, un termine acquisisce il suo valore solo perché opposto a quello che precede o a quello che segue ovvero a entrambi. Il discorso non è per noi completamente nuovo; ricordiamo quanto affermava Kruszewski affermava sui rapporti di contiguità e di similarità; in questo caso si stratta dei rapporti di contiguità. D’altra parte, fuori del discorso, le parole offrenti qualche cosa di comune si associano nella memoria e si formano così dei gruppi nel cui ambito regnano rapporti assai diversi. Queste coordinazioni sono di una specie affatto diversa rispetto alle prime. Esse non hanno per supporto l’estensione; la loro sede è nel cervello; fanno parte di quel tesoro interiore che costituisce la lingua in ciascun individuo. Le chiameremo rapporti associativi. Il rapporto sintagmatico è in praesentia; si basa su due o più termini egualmente presenti in una serie effettiva. Al contrario il rapporto associativo unisce dei termini in absentia in una serie mnemonica virtuale. Ha importanza il sistema, il lessico e la divisone del lessico in classi (le parti del discorso), ma ciò che soprattutto importa per il meccanismo della lingua è il modo in cui gli elementi appartenenti alle varie parti del discorso 11 possono o non possono connettersi in un testo. La regola determina appunto l’uso di queste classi; non solo, ma l’individuazione stessa delle classi è fatta anche sulla base del comportamento quindi di tipo sintattico. Ora Saussure, che ha dato della langue e della parole una caratterizzazione psico-sociologica e non puramente semiotica, si trova impigliato in questa aporia e non riesce ad uscirne. La parole è la sede individuale e quindi dipende dalla libera scelta ma i rapporti sintagmatici sono nella parole. La frase, che è l’unità sintagmatica fondamentale per eccellenza, fa parte della parole; i rapporti sintagmatici dovrebbero allora essere liberi, questo però non è vero. Al presente (alla sincronia) “le locuzioni belle e fatte” appartengono come unità compatte, quasi come singoli lessemi. Saussure attribuisce alla lingua e non alla parole, tutti i tipi di sintagmi costruiti su forme regolari. Le strutture del pensiero si proiettano in modo immediato, diretto nelle strutture del linguaggio. Il rapporto fra pensiero e lingua viene in effetti ridotto alla saldatura delle due articolazioni del significante e del significato. Si presuppone ancora la attribuzione del ruolo di segno alle parole e non a strutture sintattiche di senso compiuto. La sintassi, in questa prospettiva, viene ridotta in sostanza a una delimitazione dei modi in cui gli elementi che appartengono a quel tesoro che c’è nel cervello di ciascuno e alla lingua possono combinarsi tra loro: è sottinteso che, una volta combinati, questi elementi corrispondono ad altrettante unità del pensiero. Natura del segno linguistico Per certe persone la lingua, ricondotta al suo principio essenziale, è una nomenclatura, cioè una lista di termini corrispondenti ad altrettante cose. : arbor : equos : albero : cavallo Questa concezione è criticabile per molti aspetti. Suppone delle idee già fatte preesistenti alla parole; non ci dice se il nome è di natura vocale o psichica, perché arbor può essere considerato sotto l’uno o l’altro aspetto; infine lascia supporre che il legame che unisce un nome a una cosa sia un’operazione del tutto semplice, ciò che è assai lontano dalla realtà. Tuttavia visione semplicistica può avvicinarci alla verità, mostrandoci che l’unità linguistica è una cosa doppia, fatta del raccostamento di due termini. Nel circuito della parole si è visto che i termini implicati nel segno linguistico sono entrambi psichici ed uniti nel nostro cervello dal legame dell’associazione. Il segno linguistico unisce non una cosa e un nome ma un concetto e un’immagine acustica11. Quest’ultima non è il suono materiale, cosa puramente fisica, ma la traccia psichica di questo suono, la rappresentazione che ci viene data dalla testimonianza dei nostri sensi: è sensoriale e se ci capita di chiamarla “materiale” avviene solo in tal senso e in opposizione all’altro termine di associazione, il concetto, generalmente più astratto. 11 L’immagine acustica è per eccellenza la rappresentazione naturale della parola in quanto fatto di lingua virtuale, fuori d’ogni realizzazione mediante la parole. 12 Per il fatto che le parole della lingua sono per noi immagini acustiche occorre evitare di parlare dei fonemi di cui sono composte. Parlando di suoni e di sillabe di una parola si evita il malinteso purché ci si ricordi che si tratta di immagini acustiche. Il segno linguistico è quindi un’entità psichica a due facce che può essere rappresentata dalla figura: Questi due elementi sono intimamente uniti e si richiamano l’un l’altro. Sia che il senso della parola latina arbor sia che cerchiamo la parola con cui il latino designa il concetto “albero”, è chiaro che solo gi accostamenti consacrati dalla lingua ci appaiono conformi alla realtà, e scartiamo tutti gli altri che potrebbero immaginarsi. Noi chiamiamo segno la combinazione del concetto e dell’immagine acustica ma nell’uso corrente questo termine designa soltanto l’immagine acustica. L’ambiguità sparirebbe se si disegnassero le tre nozioni con dei nomi che si richiamano l’un l’altro pur opponendosi. Si propone di conservare la parole segno per designare il totale e di rimpiazzare concetto ed immagine acustica rispettivamente con significato e significante: questi termini hanno il vantaggio di rendere evidente l’opposizione che li separa sia tra di loro sia dal totale di cui fanno parte. Il segno linguistico possiede due caratteristiche: 1. Primo principio: l’arbitrarietà Il legame che unisce il significante al significato è arbitrario poiché intendiamo con segno il totale risultante dall’associazione di un significante a un significato, possiamo dire più semplicemente che il segno linguistico è arbitrario. Nessuno contesta il principio dell’arbitrarietà del segno ma spesso è più facile scoprire una verità che assegnarle il posto che le spetta. Si può dire che i segni interamente arbitrari realizzano meglio di altri l’ideale del procedimento semiologico: è perciò che la lingua, il più complesso e diffuso tra i sistemi di espressione, è anche il più caratteristico di tutti. In questo senso la linguistica può diventare il modello generale di ogni semiologia, anche se la lingua non è che un sistema particolare. Il simbolo, per carattere, non è completamente arbitrario: non è vuoto, implica un rudimento di legame naturale tra il significante e il significato. concetto immagine acustica “albero” arbor arbor 15 Queste tre componenti (praghese, russa ed occidentale) saranno sintetizzate anzitutto nell’opera di Trubeckoj, il quale darà di questa sintesi un’applicazione alla fonologia. Osserviamo che l’importanza che la fonologia riveste nella scuola di Praga è tale che talvolta si parla dei praghesi come di fonologi, cioè come di studiosi che avrebbero curato esclusivamente la fonologia. È più corretto parlare di funzionalisti perché, se la fonologia ebbe un’importanza preminente, gli altri campi non furono affatto trascurati13. La lingua, in quanto prodotto dell’attività umana, deve essere analizzata in rapporto alla sua funzione che è di espressione o di comunicazione. È definita come “un sistema di mezzi d’espressione appropriati a uno scopo”. La prospettiva fondamentale è quella sincronica ma l’evoluzione non può essere trascurata. Per quanto riguarda l’analisi del suono si sottolinea la preminenza funzionale dell’aspetto acustico su quello articolatorio. Si dovrà distinguere ancora il suono “come fatto fisico, come rappresentazione, come elemento del sistema funzionale”. La descrizione del suono dal punto di vista fisico non ci dà l’aspetto essenziale del suono linguistico; le immagini acustiche soggettive (le rappresentazioni) possono essere considerate elementi di un sistema linguistico “soltanto quando svolgono in questo sistema una funzione di differenziazione dei significati”. Solo in questo caso si parla di fonemi. Essenziale è l’individuazione dei rapporti del fonema con gli altri fonemi del sistema. Il fonema deve essere caratterizzato dal punto di vista sintagmatico con la determinazione: - delle combinazioni ammesse rispetto a quelle teoricamente possibili; - dell’ordine dei fonemi in ciascuna combinazione; - dell’estensione delle combinazioni stesse. Attigua alla fonologia è la morfofonologia, che studia l’uso morfologico delle differenze fonologiche. Il morfonema è “un’immagine complessa di due o più fonemi che possono sostituirsi reciprocamente, secondo le condizioni della struttura morfologica, all’interno di uno stesso morfema”. Fondamento della denominazione è la parola, necessariamente presente in tutte le lingue anche se diversamente strutturata. L’atto sintagmatico fondamentale, che è insieme l’atto creatore della frase, è la predicazione. Il rapporto del soggetto grammaticale con il tema – inteso come ciò di cui si dice – da una parte e del predicato grammaticale con il rema (o enunciazione) – inteso come ciò che si dice del tema – dall’altra parte, è diverso nelle diverse lingue. Le forme linguistiche sono usate più spesso per pensare che per parlare. Le manifestazioni linguistiche possono caratterizzarsi per la prevalenza dell’aspetto intellettuale o dell’aspetto affettivo. Il linguaggio intellettuale ha una destinazione soprattutto sociale mentre il linguaggio emotivo può essere rivolto sia all’uditore per suscitare in lui determinate emozioni quanto destinato ad essere uno sfogo dell’emozione. Il linguaggio orientato socialmente ha una funzione comunicativa o una funzione poetica a seconda che sia diretto verso la realtà o verso il segno stesso. La funzione comunicativa può essere pratica quando il linguaggio è “di situazione” o teoria quando tende a formare un tutto il più possibile chiuso, ad essere completo e preciso, usando parole-termini e frasi-giudizi (linguaggio formale). 13 La distinzione fra la Scuola di Praga e la Linguistica Funzionale sottolinea i mutati contesti in cui alcuni degli studiosi della scuola praghese continuarono le loro ricerche con sviluppi originali. 16 Non si deve identificare il linguaggio intellettuale con la langue e quello emotivo con la parole. La struttura linguistica non può essere oggetto di introspezione: si tratta di un fatto psichico, ma non tutto ciò che è nella coscienza e nella psiche può essere oggetto di osservazione diretta mediante introspezione. Osservazione 3 – Primo accostamento al problema della posizione ontologica delle lingue La lingua è certo un tipo di conoscenza, ma proprio il modo in cui essa funziona ci costringe a introdurre nel concetto di conoscenza delle distinzioni essenziali. Si dovrà distinguere fra una conoscenza di cui noi siamo immediatamente consapevoli e una conoscenza che certo noi possediamo, ma di cui non abbiamo consapevolezza. Ci sono cose che noi non sappiamo di sapere. La natura della struttura linguistica è affine al tipo di conoscenza che tutti abbiamo di questo principio. Lo studio della struttura linguistica non è una problema puramente fenomenologico, non si tratta semplicemente di cogliere una realtà che ci si dà direttamente. Possiamo giungere a questa realtà solo attraverso procedimenti di mediazione. In altri termini, la conoscenza della struttura linguistica passa attraverso i consueti procedimenti delle scienze empirico-deduttive. Si verifica la pertinenza mediante la prova di commutazione. Nella Scuola di Praga, e in Trubeckoj in particolare, si sintetizza il contributo occidentale (saussuriano) con il contributo praghese e il contributo orientale. Trubeckoj tiene conto del magistero saussuriano: nella lingua contano soltanto le differenze, ossia non gli aspetti positivi ma il differenziarsi e il contrapporsi di questi aspetti. Le opposizione foniche: sono le svariate differenze dei suoni che intervengono nei testi dei parlanti. Ma entro le opposizioni foniche andranno individuate e inventariate come costitutive della struttura linguistica soltanto alcune di queste opposizioni, quelle fonologiche. Tali opposizioni sono dette fonologiche perché non si lasciano ridurre a semplici differenze foniche (fisiche) ma intervengono nel meccanismo della lingua svolgendo una funzione distintiva o diacritica. La prova di commutazione consiste in un procedimento abbastanza semplice: si tratta di vedere se si danno delle coppie oppositive (nelle quali cioè compaia una certa differenza fonica) e di controllare se la presenza di questa differenza fonica comporti una differenziazione sul piano dei valori intellettuali, cioè dei contenuti. Si distinguono due tipi di opposizioni fonologiche: dirette e indirette. AGGIUNGERE PARTE IN MATITA Questa distinzione è importante perché consente di chiarire alcune altre nozioni fondamentali. Si ha un’opposizione fonologica diretta quando siamo stati in grado di trovare un segmento di testo tale che sostituendovi uno degli estremi dell’opposizione considerata con l’altro si ottiene un testo diverso. Se due grandezze contendono delle proprietà essenziali diverse, esse saranno essenzialmente diverse. In altri termini l’opposizione fra i due suoni sarà fonologica e non semplicemente fonica. Le opposizioni fonologiche si dividono in costanti e neutralizzabili. Si dirà neutralizzabile l’opposizione fonologica che in certe posizioni o contesti non è operante, non serve per distinguere segni diversi poiché in quella sede è possibile l’occorrenza di una realizzazione fonica intermedia fra i due fonemi. La naturalizzazione può essere determinata interamente se dà esito a un suono connesso con un contesto fonologico mentre è determinata internamente se dipende dalla posizione e non dai tratti presenti nel contesto. 17 La neutralizzazione non riguarda tutti i tipi possibili di opposizione fonologica, riguarda solo le opposizioni bilaterali. Le opposizioni fonologiche hanno come loro estremi i fonemi. Siccome un’opposizione è fonologica quando serve a distinguere delle parole, la funzione dei fonemi è distintiva o diacritica. Questa è senza dubbio la funzione fondamentale del suono linguistico. Ci sono altre funzioni di cui va tenuto conto come la funzione culminativa e quella demarcativa. La funzione culminativa: l’accento di parola nella lingua italiana svolge una tipica funzione culminativa: ciascuna parola ha il suo accento. Dato un accento si ha una parola e data una parola si ha un accento. La funzione culminativa consente di individuare l’unità ai vari livelli. La funzione demarcativa o delimitativa segnala dove comincia o dove finisce un’unità. A volte lo stesso elemento linguistico può avere funzione culminativa e demarcativa. Jakobson arriva al Circolo di Praga ricco dell’esperienza formalista e l’interesse per la struttura dell’opera poetica resta effettivamente una costante della sua ricerca. A differenza dei formalisti lui cerca la soluzione del problema della struttura poetica nella cornice di una compiuta concezione linguistica. Il tratto, che con la sua presenza o assenza fa distinguere i due estremi dell’opposizione privativa, è detto marca di correlazione. Jakobson ritiene possibile dare di qualsiasi sistema fonologico una descrizione mediante le sole marche di correlazione, ossia mediante tratti distintivi binari. Tali tratti sono categorie universali atte alla descrizione di tutti i sistemi fonologici. Jakobson interpreta la struttura del linguaggio poetico in una concezione generale della struttura linguistica. La poetica è per lui parte della linguistica poiché corrisponde a una delle funzioni del linguaggio e il linguaggio va studiato in tutte le sue funzioni. La determinazione delle funzioni parte dal rilevamento dei fattori costitutivi di ogni processo linguistico. Il mittente invia un messaggio al destinatario. Per essere operante il messaggio richiede in primo luogo il riferimento a un contesto (il “referente” secondo un’altra terminologia), contesto che possa essere afferrato dal destinatario e che sia verbale o suscettibile di verbalizzazione. In secondo luogo esige un codice interamente, o almeno parzialmente, comune al mittente e al destinatario (o al codificatore e al decodificatore del messaggio). Infine un contatto, un canale fisico e una connessione psicologica fra il mittente e il destinatario, che consenta loro di stabilire e di mantenere la comunicazione. CONTESTO MITTENTE MESSAGGIO DESTINATARIO ………………………. CONTATTO CODICE Le funzioni corrispettive saranno le seguenti: REFERENZIALE EMOTIVA POETICA CONATIVA FATICA 20 Vi sono messaggi che servono essenzialmente a stabilire, prolungare o interrompere la comunicazione, a verificare se il canale funziona, ad attirare l’attenzione dell’interlocutore o ad assicurarsi la sua continuità. Questa accentuazione del contatto (la funzione fatica) può dare luogo ad uno scambio sovrabbondante di formule stereotipate, a interi dialoghi il cui unico scopo è di prolungare la comunicazione. La logica moderna ha introdotto una distinzione fra due livelli di linguaggio: il “linguaggio-oggetto”, che parla degli oggetti e il “metalinguaggio” che parla del linguaggio stesso. Ma il metalinguaggio non è soltanto uno strumento scientifico necessario utilizzato dal logici e dai linguisti, svolge anche una funzione importante nel linguaggio di tutti i giorni. Ogni volta che il mittente e/o il destinatario devono verificare se essi utilizzano lo stesso codice, il discorso è centrato sul codice, che svolge una funzione metalinguistica o di chiosa. La messa a punto rispetto al messaggio in quanto tale, cioè l’accento posto sul messaggio per se stesso, costituisce la funzione poetica del linguaggio. L’analisi del verso è di stretta competenza della poetica, e quest’ultima può essere definita come quella parte della linguistica che tratta della funzione poetica nelle sue relazioni con le altre funzioni del linguaggio. La poetica, in senso lato, si occupa della funzione poetica non solo in poesia, dove questa funzione predomina sulle altre funzioni del linguaggio, ma anche all’infuori della poesie, quando qualche altra funzione si sovrappone alla funzione poetica. Opposizioni foniche e opposizioni fonologiche Nel dominio della fonologia rientra lo studio della funzione dei foni, ossia i suoni di una lingua. Nell’analisi fonologica interessano quei tratti che, distinguendo un fono da un altro, distinguono anche un fonema da un altro fonema. Per individuare un’opposizione fonologica bisogna verificarne la pertinenza, la funzione entro il sistema. La prova di commutazione Nell’organizzazione dei suoni nella lingua sono fondamentali le differenze. Un’opposizione fonica che distingue una parola da un’altra realizza un’opposizione fonologica. Se alla commutazione dei due estremi di un’opposizione fonica corrisponde una commutazione di parole, l’opposizione fonica è anche fonologica, ossia l’opposizione ha funzione distintiva entro il sistema. I fonemi Gli estremi di un’opposizione fonologica sono unità fonologiche, che possono essere complesse o semplici. Le unità fonologiche semplici sono chiamate fonemi. Un fonema è sempre rilevato all’interno di una opposizione fonologica. Si individua e si definisce prima l’opposizione fonologica come opposizione fonica pertinente poi il fonema come estremo di una opposizione fonologica. Un fonema di una lingua può essere diverso dal fonema di un’altra lingua. Sono le opposizioni fonologiche che individuano i fonemi e il sistema delle opposizioni è stabilito entro la singola lingua. 21 Varianti libere e varianti di posizione È il tratto di “vibrante” che, ad esempio, si oppone al tratto “laterale” di /l/ stabilendo l’opposizione /r/ : /l/ che distingue parole come rana : lana. La variante è libera perché la sostituzione è sempre possibile. Si può dire, in tali casi, che la realizzazione dipende dalle circostanze in cui vivono i parlanti, non dalla lingua. Fonemi e allofoni Il contesto fonologico di un fonema è una somma di tratti distintivi che si realizzano nella sostanza fonica ma si individuano in riferimento ad un piano diverso da quello della sostanza fonica. Il fonema si configura come un prototipo che si realizza in unica classe di foni. I fattori di deviazione sono diversi: i singoli dialetti, le koinai dialettali e degli italiani regionali, le diversità socio- culturali e generazionali. Il modello, l’ideale, è l’invariante. Tutte le realizzazioni fra loro diverse sono le varianti, chiamate anche allofoni. Sono come le interpretazioni del fonema. Classificazione delle opposizioni Abbiamo visto che i tratti pertinenti di un fonema sono rilevati ricorrendo a coppie minime. Le opposizioni fonologiche i cui estremi si caratterizzano per la presenza o l’assenza di un tratto distintivo sono chiamate opposizioni privative. Se gli estremi della coppia oppositiva si distinguono per il grado di presenza di un tratto, si hanno opposizioni graduali. Le opposizioni che non sono né privative né graduali sono chiamate equivalenti. Abbiamo così classificato le opposizioni in base al rapporto fra gli estremi. Vediamo ora quali rapporti intercorrono tra le diverse opposizioni. Dobbiamo considerare gli estremi non solo per il tratto o i tratti distintivi ma anche per il contenuto fonologico comune ad entrambi, ossia la base di comparazione. Un’opposizione fonologica che non condivide la base di comparazione con alcun’altra opposizione fonologica è chiamata bilaterale mentre un’opposizione fonologica che condivide la base di comparazione con altre opposizioni fonologiche è chiamata multilaterale. Una coppia oppositiva che presenta un rapporto identico a quello di altre coppie oppositive costituisce un’opposizione proporzionale. Se consideriamo la forza distintiva le opposizioni possono essere costanti oppure neutralizzabili. Le correlazioni Una serie di coppie correlative i cui estremi si oppongono per lo stesso tratto costituisce una correlazione. Il tratto che, per la sua presenza oppure assenza, caratterizza gli estremi delle coppie correlative è detto marca di correlazione. Nel nostro caso è la sonorità. Il nucleo del sistema fonologico di una lingua è dunque fondato su correlazioni. Lo strutturalismo americano Il linguista Boomfield (1887-1949) abbracciò le tesi del comportamentismo americano. Per comprendere il pensiero di Bloomfield dobbiamo dedicare qualche cenno al comportamentismo. 22 Lo sfondo ideologico del comportamentismo è un materialismo meccani scisto per il quale tutta la realtà dovrebbe essere ridotta a materia, ossia a una sostanza analizzabile con i metodi delle scienze naturali. Tutta la realtà dovrebbe essere trattata in termini di causa e di effetto. Il comportamentismo crede di poter ricongiungere questa catena mediante le due nozioni di stimolo e di risposta che costituirebbero la continuazione entro il mondo vivente, in particolare umano, della catena delle cause e degli effetti. Noi dobbiamo attenerci ad un unico tipo di dati, quelli suscettibili di verifica empirica intersoggettiva. De Saussure aveva parlato di entità puramente psichiche. Inoltre, mentre per il significante si ha una realizzazione di tipo acustico nella parole, a proposito del significato il problema non si pone nemmeno. Il significato (il contenuto) è dunque un punto di riferimento costante di tutto lo strutturalismo europeo. In questa prospettiva americana il significato costituisce un ostsacolo pressoché insormontabile e va ridotto a comportamento. Bloomfield riesce o crede di riuscire a ricondurre il linguaggio da manifestazione dello spirito (da fatto mentale) a fenomeno fisico, materiale, a comportamento. Secondo Bloomfield il linguaggio, in quanto comportamento, si caratterizza come comportamento a basso contenuto energetico. La linguistica americana è impegnata a far emergere una metodologia che sia, al tempo stesso, adeguata all’oggetto e conforme ai principi, che sembrano non confutabili, di rigore scientifico, diffusi nelle scienze naturali e nelle scienze esatte. In pratica, così concependo il significato, Bloomfield esclude la possibilità della sua analisi da parte del linguista. Gli eventi fisicamente rilevanti che accompagnano l’atto linguistico non sono oggetto di competenza del linguista. La posizione di Bloomfield può essere sintetizzata così: il significato è quell’insieme di eventi non linguistici, ma importanti energeticamente, che accompagnano l’atto linguistico. Uno dei concetti fondamentali della teoria di Bloomfield è quello di forma linguistica. Per forma linguistica si intende una forma fonetica che ha un significato. La forma linguistica emerge e si analizza attraverso un procedimento di comparazione fra catene fonetiche parzialmente simili. Bloomfield ebbe numerisi discepoli che generalmente definirono il loro indirizzo linguistica descrittiva. Il loro proposito è di offrire gli strumenti per una descrizione “automatica”, immediata delle lingue sia note che non note. Fra i maggiori esponenti della scuola ricordiamo Harris, importante non solo come continuatore dell’opera di Bloomfield, ma anche come maestro di Chomsky. Il generativismo sintattico Un discorso sul generativismo prende le mosse da Noam Chomsky. Discepolo di Harris in linguistica, è una figura preminente della linguistica contemporanea, un autentico innovatore che non solo ha modificato il metodo e la teoria linguistica ma ha capovolto la prospettiva delle scienze umane. L’influsso della linguistica chomskiana è assai rilevante nella teoria linguistica e in tutte quelle scienze che prima di lui erano chiamate Scienze del comportamento e che ora vengono denominate Scienze umane. 25 questa lingua possiamo studiare statisticamente l’uso di essa in vari modi e lo sviluppo dei modelli probabilistici per l’uso della lingua può risultare estremamente utile. Chomsky osserva però che queste ricerche quantitative sul linguaggio devono esser precedute dalle ricerche strutturali. Chomsky per evidenziare l’insufficienza della grammatica a stati finiti costruisce tre lingue in miniatura L1, L2 ed L3, dotate di alcune proprietà riscontrabili anche nelle lingue naturali. Una qualsiasi lingua è definita da due elementi: dal suo alfabeto, e dall’insieme degli enunciati corretti di questa lingua. Queste lingue non possono essere considerate delle lingue a stati finiti perché è solo quando si è raggiunto uno stato di macchina si hanno le regole per lo stato di macchina successivo. C’è una legge della contiguità del rapporto per cui ciascun elemento è determinato solo in rapporto all’elemento immediatamente precedente. La grammatica a strati finiti è una grammatica elaborata entro la teoria dell’informazione. L’assunzione di base è che un elemento, quanto più è frequente in un certo contesto, tanto meno è informativo; quanto più è alta la sua probabilità di occorrenza, tanto è inferiore il carico di informazione di cui esso è portatore. Il secondo modello analizzato da Chomsky è la Grammatica a struttura sintagmatica: Di solito la descrizione linguistica a livello sintattico è formata in termini di analisi in costituenti (analisi logica). A Chomsky non sfugge la vicinanza tra l’analisi per costituenti immediati e l’analisi logica: “Luigi beve il latte”. - analisi grammaticale  Luigi = nome; beve = verbo; il = articolo; latte = nome; - analisi logica  Luigi = soggetto; beve = predicato verbale; il latte = complemento oggetto. E SN SV N Verbo SN Art N Luigi beve il latte Si tratta di un’analisi di tipo logico-grammaticale analoga a quella da sempre praticata nelle scuole. Seguendo Chomsky scopriremo i punti deboli della grammatica tradizionale. La grammatica per costituenti immediati non può essere considerata una grammatica generativa. La grammatica generativa si oppone a tutta la grammatica tradizionale per essere sintetica e non analitica, per proporsi la costruzione delle strutture di certi livelli degli enunciati e non per proporsi la scomposizione degli enunciati stessi nelle loro parti costituenti e l’individuazione dei rapporti che legano queste parti fra loro. Occorre tener presente tre principi (limitazioni) nell’applicazione di queste regole: 1. il simbolo E deve comparire una sola volta; 26 2. si può scrivere uno e un solo simbolo alla volta; 3. non si può ricorre alla storia derivazionale. La parentesizzazione può essere “etichettata” ponendo a destra della parentesi di sinistra e a destra della parentesi di destra il simbolo indicante la categoria cui appartiene l’espressione contenuta nella parentesi. Gli svantaggi possono essere una eccessiva complessità rotazionale e la difficoltà nel seguire la progressiva applicazione delle regole. Ciascuna di queste tre nozioni ha quindi vantaggi e svantaggi. Ora che abbiamo descritto la grammatica a struttura sintagmatica passiamo alla sua valutazione. Dobbiamo chiederci se questa grammatica che non è altro che la versione generativa dell’analisi logica spieghi tutte le relazioni effettive che intercorrono fra i simboli, tanto le relazioni fra i simboli nella gerarchia quanto quelle che legano i simboli contigui nella sequenza derivazionale che in un determinato momento si raggiunge. La struttura sintagmatica ha come presupposto teorico fondamentale che fra la struttura del pensiero e la struttura del discorso, così come quest’ultimo si manifesta concretamente, ci sia una proiezione diretta, ossia che si possa segmentare la catena, in unità che hanno ciascuna il loro status nel sistema categoriale. Osservazione 2 – Spunti per una prima valutazione critica Fin qui non abbiamo esposto tanto la grammatica di Chomsky quanto il modo in cui Chomsky giudica debba essere costituita ogni grammatica, ossia che cosa Chomsky intenda per grammatica. Nell’interpretazione chomskiana della grammatica come calcolo ricorsivo che genera tutti e soli gli enunciati grammaticali di una lingua abbiamo invece la possibilità di verificare la validità della grammatica. In altri termini si è tratto di riformulare la grammatica tradizionale facendola diventare una scienza della lingua. La grammatica a struttura sintagmatica, invece di proporsi dei compiti di analisi, si propone dei compiti generativi: è la riformulazione della grammatica tradizionale per evidenziarne la capacità teorica. Inteso come calcolo però questo modello elaborato da Chomsky lascia un po’ a desiderare perché i presupposti sono un po’ troppi. Chomsky ingloba il modello a struttura sintagmatica nel proprio modello linguistico e sarà questo uno dei motivi per i quali il modello chomskiano non risulterà completamente soddisfacente. Chomsky fa proprie le categorie della grammatica tradizione e della linguistica descrittiva senza darne una propria definizione. Chomsky si limita ad assumere come già costruite le classi del lessico e come già definite le categorie maggiori. La limitazione imposta alla struttura sintagmatica di riscrivere un solo simbolo alla volta non è più ammissibile, perché qui le determinazioni comportano la riscrittura dell’intero indicatore sintagmatico o per lo meno della parte di esso entro la quale opera questa intersezione della struttura sintagmatica. Abbiamo superato la grammatica a struttura sintagmatica e intravisto il modo in cui Chomsky intende sostituire questa grammatica. Non il rifiuto della grammatica a struttura sintagmatica ma la sua integrazione in una grammatica più completa, nella quale intervengono regole di ordine diverso che tengono conto di questo particolare rapporto tra pensiero e linguaggio. Quando ci troviamo di fronte ad una congiunzione gli elementi congiunti devo essere anzitutto costituenti effettivi e, in secondo luogo, devono essere costituenti dello stesso tipo. 27 Quando abbiamo in due enunciati un’identità parziale bisogna fare attenzione che l’identità parziale non intersechi i confini di sintagma. Inoltre i membri congiunti devono essere dello stesso tipo. Quando abbiamo in due enunciato un’identità parziale bisogna fare attenzione che l’identità parziale non intersechi i confini di sintagma. Inoltre i membri congiunti devo essere dello stesso tipo. Osservazione 3 – Polisemia delle strutture congiunte Trattare indistintamente gli enunciati dove compia la congiunzione e come il risultato di una trasformazione che fonde insieme due enunciati diversi non è certo opportuno. La congiunzione presuppone o pone in essere un gruppo di due o più elementi accomunati dall’essere nella stessa situazione secondo un rapporto che può essere di contiguità o in senso lato. La nozione di trasformazione è un’operazione in cui una sequenza (string) di simboli, analizzata nei termini di un indicatore sintagmatico di base o derivato, ossia tale che ad esso è già stata applicata qualche trasformazione. Si parte da una sequenza di simboli che sono stati analizzati mediante un indicatore sintagmatico ad essa associato. Chomsky osserva: Se la grammatica a struttura sintagmatica è arbitrariamente limitata a un certo sottoinsieme di enunciati dichiarativi semplici, allora la grammatica più alta nella valutazione è adeguata insieme dal punto di vista intuitivo e sistematico. Uno dei requisiti fondamentali della grammatica è la semplicità e una grammatica che risparmi il ricorso a derivazioni diverse è ovviamente una grammatica più semplice perché ricorre ad un minor numero di principi esplicativi. La grammatica trasformazionale consente di derivare l’enunciato innestando ad un certo punto della derivazione dei meccanismi trasformativi con cui si ottengono diversi tipi di enunciato. La grammatica trasformazionale non solo “risparmia” numerosi procedimenti generativi ma evidenzia ciò che questi enunciati hanno in comune. Un componente trasformazionale è costituito da regole trasformative di due tipi: 1. trasformazioni obbligatorie: la regola trasformativa che pone –s (in inglese) come affisso verbale, quando si abbia un sintagma nominale singolare, non è una regola che si può applicare o non applicare per avere l’uno o l’altro tipo di enunciato, è una regola che si deve comunque applicare per avere un enunciato. 2. trasformazioni facoltative: sono le trasformazioni che abbiamo introdotto per ottenere diversi tipi di enunciato. Applicando le regole di riscrittura e le trasformazioni obbligatorie otteniamo gli enunciati nucleari, costituenti il nucleo della lingua. Applicando invece le regole di riscrittura, le trasformazioni facoltative e le trasformazioni obbligatorie otteniamo gli enunciati derivato o non nucleari. Le trasformazioni generalizzate si oppongono alle trasformazioni singolari. L’ordine indicato non è arbitrario. Le trasformazioni facoltative non vanno applicate alle sequenze cui già sono state applicate le trasformazioni obbligatorie ma alla sequenza sottostante, ossia alla sequenza che si ottiene all’uscita del componente sintagmatico. 30 Per la costruzione di una teoria semantica noi non manchiamo tanto di materiale, di informazione ma piuttosto di un sistema di categorie e di regole coerente ed univoco che organizzi questo complesso d’informazioni dando luogo a una teoria semantica. Il compito della teoria è di rendere conto dei diversi aspetti della competenza semantica dei parlanti. In questa competenza rientra il riconoscimento delle anomalie semantiche. In generale vale il principio che tutta l’informazione semantica necessaria per la formulazione delle regole che presiedono alla costituzione dei enunciati semanticamente ben formati, operando ogni regola per definizione nel generale e non nel particolare, deve essere affidata agli indicatori semantici e non ai distintori. In ogni voce lessicale compaiono informazioni di tre tipi: l’indicatore grammaticale, l’indicatore semantico e il distintore. Tuttavia in molti dizionari compare un altro tipo di informazione che è essenziale per l’interpretazione. L’informazione nuova che mettiamo a fuoco è la selezione dei significanti dei morfemi in rapporto al loro contesto. Attraverso la teoria semantica che si appoggia sul lessico e sulle regole di proiezione, dobbiamo stabilire quali e quanti siano i significati di questo enunciato partendo dal significato dei costituenti. L’informazione grammaticale che qui ci bastava era quella data dalla struttura sintagmatica poiché l’enunciato che ci trovavamo di fronte era un enunciato nucleare che richiedeva l’intervento delle sole trasformazioni obbligatorie, le quali non toccano il significato. Come ci si deve comportare di fronte agli enunciati non nucleari? Si può costruire una teoria semantica per gli enunciati nucleari oppure attraverso una profonda modifica della teoria grammaticale poiché impone che le trasformazione non modifichino in nessun caso il significato. La seconda via resta l’unica possibile. La teoria standard Per ragioni interne al suo stesso pensiero e per esigenze sottolineate dai discepoli, Chomsky passa alla formulazione di una seconda teoria sintattica in cui il posto della semantica è ben diverso rispetto alla prima teoria. Il testo fondamentale in cui viene esposta questa teoria, chiamata teoria standard, è Aspects of the theory of syntax del 1965. La teoria standard è un po’ il modello classico di tutto il generativismo, nel senso che sia fautori sia avversari non posso non farvi riferimento. In questo modello restano soltanto le trasformazioni obbligatorie avendo un valore puramente sintattico. La teoria che si costruirà dovrà prevedere un livello della generazione dell’enunciato che ci caratterizza per essere responsabile del significato. Questo livello dovrà comprendere due tipi di informazioni: le informazioni sintattiche profonde (cioè quelle sintagmatiche) e le informazioni lessicali. Una delle regole della prima grammatica trasformazionale stabiliva che il simbolo E può comparire nel componente sintagmatico una sola volta e le combinazioni di più enunciati venivano trattate mediante lo strumento della trasformazione generalizzata. La trasformazione generalizzata coinvolge il significato giacché il modo in cui gli enunciati costituenti sono saldati per formare l’enunciato maggiore non indifferente per il significato di questo enunciato maggiore, non possiamo trattare trasformativamente il rapporto fra gli enunciati 31 che costituiscono l’enunciato maggiore. La sede del significato è la struttura profonda e quindi quel ruolo che nella prima grammatica trasformazionale era svolto dalle trasformazione generalizzate dovrà essere qui svolto anzitutto dal componente sintagmatico profondo. Come si può stabilire se una certa struttura profonda è davvero la struttura profonda del nostro enunciato e, data una struttura profonda, come si può stabilire che un certo enunciato è l’enunciato che viene derivato da quella struttura profonda? Chomsky confessa che non esiste nessun criterio esplicito formalizzabile per ricostruire, dato un enunciato, la struttura profonda ad esso propria. C’è un riferimento, pur non formale, al significato; ossia se una struttura profonda ha significato identico a quel certo enunciato superficiale, essa è la sua struttura profonda. In altri termini la struttura profonda è una formulazione di un enunciato tale che rispetti determinati requisiti formali, cioè si avvalga di determinati simboli sviluppati in un certo modo. Il modello Senso  Testo di I.A. Mel’čuk La scarsa attenzione riservata al modello Senso  Testo nella cultura linguistica italiana fin qui ha impedito di cogliere nei suoi aspetti più originali e di valorizzare in sede teorica e applicativa un numero enorme di ricerche e di ipotesi che condividono presupposti e metodi di questo modello. Fondamenti teorici e sviluppi applicativi Fra la fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 70 si è andata sviluppando, in Unione Sovietica, una nuova teoria linguistica. Si tratta della teoria dei modelli linguistici Senso  Testo. È nata dalle ricerche di più studiosi – Mel’čuk, Žolkovskij, Apresjan ed altri – ma il ruolo svolto da Mel’čuk è stato preponderante a tal punto che la teoria è spesso legata al suo nome. Mel’čuk è un linguista segnalatosi fra l’altro per un approfondita preparazione nel campo della matematica. Le sue ricerche costituiscono un importante contributo a quel ricco filone della teoria linguistica che è stata in Unione Sovietica la linguistica matematica. La linguistica matematica in URSS Si tratta di uno sviluppo della linguistica che si è definito consapevolmente, nel panorama della ricerca sovietica come altrove, solo di recente. Nella seconda metà degli anni 50 si è susseguita una serie di fatti scientifici e tecnici che documentano l’esistenza di un quid ben individuabile, anche se non uniforme, chiamato genericamente “linguistica matematica”. Dal 1956 ebbe inizio in URSS un ampio dibattito sullo strutturalismo, al quale si cominciò a guardare con interesse forse soprattutto per le promettenti prospettive che apriva nel campo della linguistica applicata. La linguistica matematica sovietica emerse proprio nel corso di tale dibattito. Nel 1959 a Leningrado si riunì una conferenza riguardante specificatamente i metodi matematici in linguistica. Le numerosissime relazioni presentate (58 in soli sette giorni) attestano in modo eloquente la grande vitalità di questo settore di ricerche in quei primi anni. 32 Nel 1960 la presenza della linguistica matematica nel mondo accademico sovietico, fino a quel momento ufficiosa, ricevette una ratifica ufficiale. All’università di Mosca venne creato un apposito Istituto di Linguistica matematica, dove presero l’avvio corso di formazione per linguistici matematici. Il termine linguistica matematica ha una molteplicità di accezioni. Deve essere però intesa come uno sviluppo della disciplina linguistica in quanto tale, la quale, qualora voglia darsi un rigore metodologico, non può prescindere dal ricorso allo strumento matematico, in modo conforme al processo di matematizzazione avvenuto nelle varie scienze. Tra i fattori che ne hanno favorito la nascita troviamo “l’urgenza” di assurgere allo status di scienza esatta. Una teoria qualsiasi, per poter risponder a criteri di scientificità, si dovrà contraddistinguere per coerenza logica, univocità ed esplicitezza, requisiti tipici di una teoria formale, ossia essenzialmente matematica. Accanto a questo primo fattore, interno, all’origine della linguistica matematica troviamo un secondo fatto, questa volta esterno. È la richiesta di nuova applicazioni che aprono per la linguistica nuovi compiti e nuovi problemi, la cui soluzione rende inevitabile il ricorso a metodi formali. A partire dagli inizi degli anni 60 la linguistica sovietica ha sviluppato una serie di modelli, diversi sia per l’apparato matematico in essi utilizzato che per l’estensione dell’oggetto sottoposto ad indagine. Il modello «Senso  Testo»: dalle prime intuizioni alla formulazione matura La teoria dei modelli linguistici Senso  Testo rappresenta in realtà la sintesi più matura di anni di ricerche. Attratti soprattutto dai problemi di natura semantica implicati dalla pratica della traduzione meccanica, questi ricercatori da subito orientarono i loro sforzi principalmente alla formazione dei significati. Ciò li portò alla formulazione di una serie di proposte teoriche nuove, che nel modello Senso  Testo hanno poi trovato “la più completa e coerente applicazione”. La teoria Senso  Testo è stata presentata dai suo autori nel corso di una serie di pubblicazioni, le quali segnano nel contempo le tappe della sua evoluzione. La sua storia può essere articolata sostanzialmente in due fasi: una anteriore e una posteriore al 1977. Il Circolo Semantico di Mosca La teoria Senso  Testo venne presentata per la prima volta nel 1965 in un breve articolo pubblicato su una rivista. In questa primissima fase non si parla ancora né di modello né di teoria Senso  Testo ma nel nuovo approccio si trova già delineato l’impianto generale di quella che sarà la futura teoria dei modelli linguistici Senso  Testo. In questi articoli vengono prese le distanze dal metodo tradizionale che si incentra prevalentemente nell’analisi della grammatica del testo in lingua 1 per l’individuazione immediata del lessico corrispondente in lingua 2, processo ostacolato dai casi di omonimia. Žolkovskij e Mel’čuk propongono di concentrare gli sforzi sulla costruzione di un algoritmo di sintesi in grado di dare tutte le varianti traduttive, a partire a una rappresentazione del significato estratto dal testo o dai testi iniziali, che sostengono una traduzione che passi “attraverso il senso” ossia di tipo semantico, in modo analogo al comportamento del traduttore che inizialmente comprende il testo, per poi procedere all’espressione nella seconda lingua di quanto ah precedentemente capito. 35 Questo modello non si occupa dell’analisi interna del significato, ma solo della sua espressione corretta dal punto di vista linguistico. Il suo comportamento è pertanto analogo a quello di un traduttore che debba tradurre l’espressione contraddittoria “cerchio quadrato”. Realtà  Senso  Testo  Suono I II III Nella linguistica in senso stretto rientra unicamente il modello II (Senso  Testo). Il modello III (Testo  Suono) è di pertinenza della fonetica acustica ed articolato ria mentre il modello I (Realtà  Senso) rientra nell’ambito di varie discipline, da quelle tradizionali (filosofia, psicologia e logica) all’intelligenza artificiale. Lineamenti del modello nella sua formulazione compiuta Un sistema stratificazionale Per descrivere la struttura interna del modello Mel’čuk parte dai fenomeni della sinonimia e dell’omonimia, che evidenziano la complessità della funzione che associa sensi e testi. Sorge così la necessità di articolare tale passaggio in una serie di tappe successive, introducendo tra i sensi e i testi due livelli intermedi di rappresentazione dell’enunciato: quello sintattico e quello morfologico. Per ciascuno di essi si introduce un formalismo specifico di rappresentazione: reti per la semiotica, alberi per la sintassi e catene per la morfologia e la fonetica. Il modello Senso  Testo prevede 7 livelli di rappresentazione dell’enunciato: semantico, sintattico profondo e superficiale, morfologico e profondo e superficiale, fonetico profondo e superficiale. Il passaggio dall’uno all’altro avviene mediante sei componenti (semantico, sintattico profondo e superficiale, morfologico profondo e superficiale e fonetico profondo) collegati in serie. Ciascuno di essi opera secondo il principio “un ingresso ma molte uscite”. L’architettura globale del modello può essere rappresentata graficamente dal seguente schema dal quale risulta un sistema multistratificato: semantica 1 profonda 2 sintassi superficiale 3 profonda 4 morfologia superficiale 5 fonemica 6 Livelli di rappresentazione La rappresentazione dell’enunciazione linguistica è data perciò ora dalle rappresentazioni sintattiche profonde delle singole frasi in cui essa si articola. La direzione indica quale nodo sia dominante e quale dipendente, il numero precisa secondo quale rapporto sintattico profondo il secondo dipenda dal primo. Sono previsti nove rapporti sintattici profondi: 36 - sei rapporti predicativi che intercorrono fra il nodo predicato ed i suoi argomenti o attanti, corrispondenti al soggetto grammaticale ed ai complementi in senso stretto; - il rapporto attributivo che intercorre fra il nodo radice e i suoi “modificatori”, attributi e circostanti; - il rapporto coordinativo fra gli elementi delle costruzioni congiunte o coordinate; - il rapporto parentetico che connette il nodo radice con un elemento “sciolto” quale un’espressione parentetica, un’interiezione, il destinatario in un’allocuzione diretta etc. I rapporti sintattici profondi sono universali ed astratti. Essi descrivono i fenomeni sintattici in un modo generalizzato. Il passaggio dalla RSem a quella sintattica profonda avviene attraverso una serie di operazioni descritte neo componente semantico. Nella lessicalizzazione intervengono regole di quattro tipi, conformemente ai vari tipi di lessemi generalizzati che possono comparire ai nodi dell’albero. Il componente semantico provvede inoltre alla topicalizzazione, individuando i blocchi tema/rema, vecchio/nuovo etc., all’anaforizzazione stabilendo i legami fra i nodi coreferenziali e alla prosodizzazione. La sintassi superficiale utilizza un albero delle dipendenze non linearizzato i cui nodi corrispondono a lessemi effettivi. Apposite regole lessicali del componente sintattico profondo sostituiscono i lessemi generalizzati della struttura sintattica profonda con lessemi concreti. I rapporti sintattici superficiali sono di numero molto superiore rispetto a quelli profondi e specifici per le singole lingue. Per rappresentazione morfologica profonda di una forma lessicale si intende il lessema, accompagnato dagli indici che ne danno la caratterizzazione morfologica completa. Al livello morfologico superficiale si evidenzia l’organizzazione morfematica interna delle singole forme lessicali. Ricompaiono anche gli indici intonazionali e le indicazioni delle pause che erano già presenti nella rappresentazione morfologica profonda. L’esposizione dell’architettura del modello Senso  Testo può essere a questo punto considerata completa. Riguardo al livello fonetico profondo e superficiale occorre osservare che essi coincidono con la tradizionale trazione fonetica e fonetica dell’enunciato, alle quali Mel’čuk non aggiunge informazioni di particolare rilievo. Aspetti lessicologici del modello: verso una grammatica del lessico Il lessico riveste un’importanza primaria nel passaggio dal senso al testo per la costruzione di quest’ultimo. Le approfondite ed intense ricerche sono confluite per la più parte nella creazione del Vocabolario interpretativo- combinatorio. Fra i risultati più significativi conseguiti nell’ambito di queste indagini segnaliamo l’individuazione di un originale strumento per l’analisi del lessico, ossia le funzioni lessicali. Le funzioni lessicali offrono un principio di strutturazione del lessico individuando in esso una rete di rapporti concettuali. Teoria dei sintagmi condizionati Le funzioni lessicali, che costituiscono un efficace strumento di analisi delle locuzioni fraseologiche si situano nell’ambito di una teoria fraseologica più ampia. Teoria delle funzioni lessicali 37 La teoria delle funzioni lessicali tratta della prestazione più approfondita dal punto di vista teorico e più ricca per l’esemplificazione. L’autore sottolinea che, pur parlando di funzioni lessicali come di sensi, non si deve attribuire a loro natura semantica. Una funzione lessicale deve soddisfare due condizioni di fondo: presentare una combinabilità semantica piuttosto ampia e disporre di una certa ricchezza espressiva nelle varie combinazioni. Le forme lessicali che soddisfano entrambi questi requisiti sono dette standard e si contrappongono al quelle non standard. Mel’čuk esamina solo le funzioni lessicali semplici. ESAME DA FREQUENTANTE (NO PROVA MEDIO TERMINE) 1° parte - dispensa fino a pag. 28 - la comunicazione verbale fino al capitolo 4.5 - gli articoli sulla persuasione che si trovano sulla pagina della prof 2° parte - dispensa: il generativismo sintattico e la scuola di Praga - la grammatica del lessico (file sulla pag della prof) - 2 capitoli a scelta della negazione - finire la comunicazione verbale (da 4.6 fino a fine libro) più scegliere un argomento solo dal capitolo 8.