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Riassunto/dispensa Sociologia generale, Rita Bichi, Dispense di Sociologia

Il documento è completo di tutti gli argomenti utili al conseguimento dell'esame. Comprende appunti delle lezioni, riassunto del libro Ambrogio Sant'Ambrogia e Manuale di sociologia

Tipologia: Dispense

2021/2022
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Caricato il 07/07/2022

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Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunto/dispensa Sociologia generale, Rita Bichi e più Dispense in PDF di Sociologia solo su Docsity! Cosimo Antonio D'Agnano SOCIOLOGIA PRIMO SEMESTRE - INTRODUZIONE - Cos’è la sociologia?  La sociologia è lo studio sistematico dei gruppi umani e della vita sociale nelle società moderne Nasce nel 1838, quando August Comte, nel corso di filosofia positiva, ne coniò il termine. Secondo lo studioso, la sociologia può essere studiata con la stessa logica delle scienze naturali, attraverso appropriati metodi di ricerca. - DURKHEIM - Émile Durkheim nasce a Épinal, in Lorena, nel 1858. Gli autori che lo influenzano maggiormente sono Comte e Kant. Nel 1897 pubblica Il Suicidio, in cui cerca di dimostrare l’applicabilità del metodo sociologico, convinto che la sociologia fosse una disciplina autonoma, capace di soppiantare i più tradizionali e conservatori approcci di filosofia sociale. Egli fu sempre contrario al marxismo rivoluzionario, ma profondamente interessato al socialismo riformista: i veri cambiamenti sociali, dal suo punto di vista, hanno bisogno di tempi lunghi, che non possono essere sostituiti dall’evento rivoluzionario. Dal punto di vista metodologico, egli si preoccupò di dare fondamento empirico e una legittimazione accademica alla sociologia. Dal punto di vista dell’analisi sociale, il suo problema è studiare la nascita dell’individualismo moderno e, quindi cercare di spiegare come sia possibile una società, quella moderna, che si fonda sull’individuo. Durkheim pensa che l’individualismo sia, al tempo stesso, il problema e la risorsa della modernità. Da un lato, infatti disgregando i valori e le strutture sociali tradizionali produce anomia; dall’altro, può però costituire la base di riferimento di una nuova religione civile. Per lui, la società è fondamentalmente anomica. Secondo Durkheim, le azioni degli uomini non sono mosse da interessi. Questi sono troppo mutevoli nel tempo e da persona a persona per poter essere a fondamento della società. Per Durkheim, la società è, invece, un fatto morale, è cioè un insieme di credenze condivise che messe assieme, costituiscono la coscienza collettiva, su cui, a sua volta, si basa la solidarietà sociale, il senso dello stare assieme degli individui socializzati. La società è quindi una realtà ideale, nel senso che è costituita cose immateriali, spirituali, cioè prodotte dallo spirito umano. Il sociologo deve separare il dominio della sociologia da quella psicologia, per non ridurre il primo al secondo – una società non è solo un insieme di individui. - Il fatto sociale  La società è un insieme di fatti sociali  Il suicidio anomico è l’espressione di situazioni caratterizzate da bassa regolamentazione sociale: l’assenza di regole lascia l’individuo davanti al flusso potenzialmente indefinito dei suoi desideri, esponendolo alla frustrazione continua. L’anomia è così una passione per l’infinito. Troviamo questa forma in situazioni sociali sottoposte a un rapido cambiamento sociale, nelle quali le regole tradizionali vengono meno e agli individui si aprono orizzonti tanto inaspettati quanto incerti. Il carattere illuminato del desiderio è una patologia sociale e non individuabile ed è tipica della società industriale moderna.  Il suicidio fatalista è tipico di eccesso di regolamentazione, di una sorta di dispotismo morale esercitato dalle regole sociali, di un eccesso di disciplina che chiude gli spazi del desiderio, come può essere nel caso di ragazzi che si sposano troppo giovani. Questo atto di suicidio può essere positivo o negativo.  Positivo : es. bere un veleno, buttarsi dalla finestra ecc.  Negativo : non nutrirsi, non curarsi da una malattia ecc. I citati sono comunque atti diretti, ma ne esistono anche di indiretti.  Indiretto > l’iconoplasta che distrugge le opere sacre e che poi muore per mano del boia. Ma comunque l’iconoplasta sa con certezza che quell’atto lo porterà alla morte per mano di un altro, un atto non direttamente legato a ciò che ha fatto. L’eutanasia non è un suicidio alla Durkheim poiché nell’atto del suicidio vi è anche un altro soggetto che compone il fatto. Suicidio sì, ma non per Durkheim. - La sociologia nella religione  Ragione e religione sono entrambe, per Durkheim, fatti sociali, cioè prodotti della società. Partendo dalla ragione, lo studioso sostiene che le categorie con cui l’uomo conosce la realtà – spazio, tempo, causa, classificazione, forza, totalità ecc. – sono un prodotto sociale, in due sensi: sono un prodotto del vivere in società ed esprimono cose sociali. Senza società non esistono neppure categorie. Durkheim sostiene che il tempo non sia una categoria a priori dell’intelletto, ma il risultato di un processo di costruzione sociale. Invece, dietro la religione c’è una realtà ancora più vera: la società. Ciò in cui gli uomini credono, le loro credenze più sacre, sono un prodotto collettivo. Gli uomini producono le loro divinità nel momento stesso in cui si costituiscono in società e poi ne dimenticano l’origine. La società appare come autonoma. Gli dei sono la più chiara ed eclatante espressione di questa capacità umana di creare cose che non esistono ma che sono, nonostante ciò, reali perché capaci di produrre effetti reali. L’uomo crea gli dei in quanto uomo socializzato. Di conseguenza, sassi, pezzi di legno, totem ed altro, sono intrisi di forza sociale. - L’individualismo Ciò che nelle società precedenti era l’eccezione, ora diventa normalità. Senza cambiamento, la modernità non è sé stessa, diventa altro. Durkheim non è un moralista antimoderno: egli non vuole conservare il passato. Parte però dall’idra che l’esistenza della vita collettiva e, allo stesso tempo, dell’azione individuale sia una motivazione morale non economica: la vita sociale trova la sua condizione in un insieme di valori comuni che appaiono esterni all’individuo. - MARX - Essere uno scienziato critico: questa è la sfida che il pensiero di Marx pone alle scienze sociali, in un momento in cui sono ancora in una fase di formazione. Sostiene che la scienza della società implichi la critica sia di altri saperi non scientifici sia della società stessa. La critica si esercita verso altre dorme di conoscenza e verso ciò che si studia: è una critica del metodo e dell’oggetto. Quindi, Marx è critico perché è scienziato: il sapere scientifico impone di essere critici, cioè di diventare attori consapevoli, laddove prima si agiva solo inconsapevolmente, obnubilati da falsi saperi.  Senza vero sapere non c’è libertà: quando l’uomo è dominato dai miti o dalla religione, egli non è libero La sua azione nella storia è mossa da falsi saperi. Solo attraverso la scienza egli solleva il velo di oscurità dentro cui è avvolto e coglie la vera natura delle relazioni sociali. Secondo Marx, la storia dell’uomo si gioca: sulla divisione tra chi, in nome di interessi specifici tende a conservare il proprio potere e chi, al contrario, non avendo nulla da perdere, vuole e sceglie il cambiamento, assecondando così la legge di movimento della società umana. Secondo Marx, l’uomo è un ente generico, in quanto si coglie come genere, cioè come uomo e, di conseguenza, come ente universale e però libero. Punto importante, per lo studioso, è il lavoro, il quale implica un’estrazione: l’essenza dell’uomo si realizza oggettivandosi, diventando altro da sé. Attraverso il lavoro, l’uomo produce oggetti in cui riconosce sé stesso perché sono prodotti del suo lavoro, cioè della propria essenza. La storia dell’uomo è la storia della sua progressiva realizzazione come universalità, cioè come ente generico. Egli, oggettivandosi con il suo lavoro, produce un’entità che gli si contrappone, che gli appare come dotata di una realtà oggettiva, anche se è un suo prodotto. Le varie società umane non sono altro che questo: sono le forme con cui l’uomo si relaziona con gli altri uomini per estrinsecare la sua essenza, per produrre oggetti. La storia dell’uomo è così la storia dei modi con l’uomo produce, e l’evoluzione storia non è altro che l’evoluzione di questi modi di produzione. Marx distingue così una struttura economica da una sovrastruttura – religiosa, politica ecc. – pensando che è la prima a determinare la seconda:  Nella prodizione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. Quindi la base della vita sociale è la produzione di beni necessari alla soddisfazione dei bisogni primari. Tale produzione non è illimitata, dipende dalle forze di produzione, cioè tutti gli elementi necessari alla produzione: la forza lavoro, ossia gli uomini che producono; i mezzi di produzione, ossia i mezzi che gli uomini utilizzano per produrre (terra, macchine e così via); le conoscenze tecniche e scientifiche di cui si servono gli uomini per organizzare e migliorare la loro produzione. A una determinata fase di sviluppo delle forze produttive corrisponde un determinato tipo di rapporti di produzione, nonché quei rapporti necessari alla produzione di beni, che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione e che regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di lavoro. Marx identifica quattro tipi di società: tribale, antica, feudale e capitalista. Perciò, per Marx, i protagonisti della storia sono le classi sociali, cioè la forma con cui gli uomini organizzano le loro relazioni dentro le attività produttive. Ogni modo di produzione è caratterizzato da una classe dominante, che incarna lo sviluppo delle forze di produzione in quella specifica fase storica. Nel momento in cui si sviluppano nuove forze di produzione, i vecchi rapporti di produzione iniziano a scricchiolare, perché incapaci di sostenere l’impatto delle nuove tecniche. Si forma una nuova classe sociale, la classe dominata, la quale tenderà, via via che acquista consapevolezza della propria forza, a contrapporsi alla classe dominante. Quindi il cambiamento interviene quando i rapporti di produzione diventano un ostacolo per lo sviluppo delle forze produttive. Ciò avviene poiché le forze produttive, essendo in connessione diretta con i miglioramenti della tecnica, si sviluppano più rapidamente dei rapporti di produzione, i quali invece, esprimendo delle relazioni di proprietà tendono a rimanere statici. Il tutto culmina, nella maggior parte dei casi, in una rivoluzione sociale, nel quale prevale la classe che risulta espressione delle nuove forze produttive, imponendo la sua visione del mondo.  Il materialismo storico è allora il risultato dell’uso del metodo dialettico hegeliano per spiegare la dinamica sociale: si passa da una fase all’altra della storia attraverso il conflitto rivoluzionario tra classi contrapposte, conflitto sostenuto dalle contraddizioni che si aprono tra uno stadio di sviluppo delle forze di produzione e uno successivo e più evolutivo. Differenziandosi, quindi, dallo strutturalismo, in cui le trasformazioni vengono spiegate in base a leggi interne nelle strutture sociali. - TALCOTT PARSONS, lo struttural-funzionalismo - Funzionalismo Alla base del funzionalismo c’è il concetto di funzione. In sociologia, Durkheim può essere visto come un precursore del funzionalismo. Egli nel suo conetto di solidarietà organica pensa all’integrazione sociale come alla cooperazione funzionale tra varie attività lavorative, all’interno di una società vista come un grande organismo  funzionalismo organicista  nel funzionalismo la società è concepita come un insieme di parti interconnesse, nel quale nessuno parte può essere compresa se isolata da altre. Un qualsiasi mutamento in una delle parti è considerato causa di un certo grado di squilibrio, che produce, a sua volta, ulteriori cambiamenti in altre parti del sistema e addirittura una riorganizzazione del sistema stesso. Lo sviluppo del funzionalismo è basato sul modello del sistema organico che troviamo nelle scienze biologiche. Incrociando una dimensione spaziale interno/esterno e una temporale presente/futuro, otteniamo le quattro funzioni: A Adaptation G Goal attainment Economico Politico Culturale (educativo, religioso, familiare) Sociale (legale) L Latency I Integration  (A)daptation: funzione del sistema tesa a procurarsi dall’ambiente le risorse necessarie e renderle disponibili all’interno. Il raggiungimento degli scopi  (G)oal atteinment: funzione che serve a realizzare gli scopi del sistema sociale e a predisporre i mezzi e le energie necessari a raggiungerli. L’integrazione  (I)ntegration mira al mantenimento dell’ordine interno tra i vari sottosistemi. La latenza  (L)atency serve al mantenimento delle credenze condivise al fine della stabilità del sistema. Semplificando, ogni sistema sociale si deve procurare, attraverso l’adattamento all’ambiente esterno (A), i mezzi – risorse materiali – utili a raggiungere i suoi obiettivi esterni (G); per raggiungere, invece, il fine interno della relativa stabilità (I) deve istituzionalizzare un modello latente di credenze – risorse simboliche – (L). Le quattro funzioni corrispondono a quattro sottosistemi funzionali in cui si articola il sistema sociale: il sottosistema economico si occupa dell’adattamento (A); quello politico del raggiungimento dello scopo (G); il sottosistema della cultura (I); in ultimo, la società (L). i quattro sottosistemi interagiscono all’interno di un complesso sistema di interscambio funzionale; ognuno di essi è inoltre caratterizzato da un suo specifico mezzo simbolico di interscambio, cioè di uno strumento del tutto specifico attraverso cui interagisce con gli altri sottosistemi. I quattro mezzi di interscambio sono: il denaro, per il sottosistema economico; il potere, per quello politico; l’influenza, della cultura; l’impegno di valore, della società. - LA SCUOLA DI CHICAGO - Lo sviluppo della sociologia in America ha un grande impulso con la cosiddetta Scuola di Chicago, che ruota intorno al dipartimento di sociologia e antropologia fondato a Chicago, tra gli altri, da Albion Small nel 1892. La sociologia della scuola di Chicago è caratterizzata da alcuni elementi chiave, quali: l’interesse ai problemi sociali, alla povertà, al disadattamento, alle diseguaglianze e al pluralismo delle culture, tutti aspetti che caratterizzano le grandi città americane e, naturalmente, anche Chicago, dove i processi di immigrazione dall’Europa provocano grandi speranze e altrettanto grandi delusioni. Negli Stati Uniti prende forma la sociologia urbana, la centralità della ricerca empirica è infatti un altro elemento caratteristico della sociologia americana: i lavori più importanti sono ricerche sul campo. - Mead e i sistemi di interazioni Secondo Mead, il senso nasce all’interno dell’interazione, e l’interazione, producendo senso, è il luogo dove si formano il sé e la società. Il senso emerge dentro le interazioni tipiche della vita quotidiana, nelle relazioni che intratteniamo ogni giorno nel nostro ambiente. Gli esseri umani sono sempre in interazione con gli altri e costituiscono sé stessi sulla base di tali interazioni. Soggetto e società non sono sostanze, bensì il risultato di un processo complessivo che coinvolge entrambi. Alla base dell’interazione c’è il gesto, che può essere osservato. I rapporti umani sono caratterizzati da gesti significativi, basati su simboli linguistici: l’interazione diventa quindi simbolica e costituisce una vera e propria comunicazione. Il sé è riflessività. Per potersi riconoscere, deve avere un oggetto su cui esercitare la riflessività e tale oggetto proviene dall’esterno, poiché, come abbiamo visto, il pensiero non può pensare sé stesso. Questo oggetto sono i gesti simbolici, o meglio il contenuto di senso che essi contengono e che viene comunicato nell’interazione. Solo facendo proprio l’atteggiamento dell’altro il sé si fa oggetto della sua riflessione, si fa oggetto a sé stesso. Mead chiama me: quella parte del sé che si fa oggetto di sé stesso. Il me è il senso sociale – sociale perché proveniente dall’esterno, cioè dall’interazione con gli altri – che il sé assume al proprio interno, esercitando così la propria riflessività e costituendo sé stesso. Ecco perché per Mead il sé è un prodotto della società: noi ci riconosciamo quando facciamo nostro l’atteggiamento che l’altro ha nei nostri confronti dentro un’interazione sociale simbolicamente connotata, cioè dotata di senso. Senza interazione sociale non c’è assunzione consapevole di senso, la coscienza non ha un oggetto su cui esercitare la propria riflessività, il sé non si costituisce. La società è un grande gioco: è cioè l’insieme strutturato si un’enorme quantità di interazioni simboliche che riflessivamente assunte dal soggetto nella sua interiorità  il sé è un prodotto sociale. Il concetto fondamentale è perciò l’intersoggettività che si costruisce dentro l’interazione: il comportamento non è solo ciò che vediamo dall’esterno, ma anche, e soprattutto, il complesso processo di costruzione e ricostruzione simbolica di cui è espressione.  Il fatto che l’individuo giunga ad avere una coscienza di è e è dovuto all’abilità di assumere gli atteggiamenti degli altri in quanto essi possono essere organizzati. L’assunzione di tutti questi insiemi organizzati di atteggiamenti gli fa avere il proprio “Me”, cioè il “Sé” del quale è consapevole. Come abbiamo visto, solo l’animale risponde immediatamente – cioè non riflessivamente – allo stimolo esterno: la differenza fondamentale tra uomo e animale è che il primo ha una reazione imprevedibile allo stimolo e non determinata da fattori esterni. La coscienza rimane, per Mead, una dimensione interna, con una propria autonomia, anche se può essere conosciuta non introspettivamente, ma solo attraverso il processo con cui si costituisce e nelle sue manifestazioni esteriori: in sostanza, nelle azioni sociali che caratterizzano le interazioni. Il processo sociale complessivo che caratterizza l’interazione sociale vede allora, se così si può dire, la presenza di due flussi: il primo che dall’esterno produce l’interno e che porta alla costituzione del me; il secondo che dall’interno produce l’esterno, e che è il risultato dell’azione autonoma dell’io. Il sé, per Mead, è allora l’insieme di me e io, laddove il primo è il risultato dell’assunzione interna di atteggiamenti esterni, il secondo è la connotazione specifica della risposta che l’interno dà alle regole sociali.  L’io è la risposta che l’individuo dà all’atteggiamento che gli altri assumono nei suoi confronti. L’io dà senso di libertà, di iniziativa. - Hebert Blumer I principi dell’interazionismo simbolico: 1. Gli esseri umani agiscono nei confronti delle cose (oggetti, fisici, esseri umani, istituzioni, idee...) in base al significato che attribuiscono alle cose; 2. Il significato attribuito a tali oggetti nasce dall’interazione tra gli individui che ne condividono così il significato; 3. Tali significati sono costruiti e ricostruiti attraverso un “processo interpretativo messo in atto da una persona nell’affrontare le cose in cui si imbatte” - APPROCCI OLISTICI E INDIVIDUALISTI - Approcci olistici Approcci individualistici  Non si presta attenzione a colui che agisce perché ciò che precede determina l’agire  Centralità dell’individuo - SIMMEL - Secondo Simmel, non esistono fatti sociali di per sé, ma semmai sempre e solo dei contenuti che si danno attraverso forme, che lo spirito soggettivo può cogliere. Il rapporto tra contenuti e forme rimanda a quello più generale di vita e forma: la prima è un fluire incessante, ma allo stesso tempo, una produzione di forme attraverso cui quel fluire si manifesta. Tra i due momenti esiste una continua tensione: la vita tende a superare le forme in cui essa si stabilizza, ma il suo manifestarsi concreto non può evitare di coagularsi ogni volta all’interno di forme sempre nuove. La vita è la lava del vulcano che, emergendo dalle profondità, si raffredda e si rapprende, dandosi forme volta a volta diverse, ognuna delle quali sarà ancora sempre superata da nuove eruzioni. La tensione continua tra contenuto e forme produce il cambiamento culturale. Forma e interazione sociale  sono, allo stesso tempo, opposti e complementari. Gli effetti di reciprocità sono il risultato dell’incontro concreto tra individui che si traggono e si respingono, creando un’infinita gamma di interazioni possibili. Per Simmel, tutto è in rapporto con tutto: ciò che domina nella realtà sociale è l’azione reciproca tra elementi che interagiscono e questa universale relazionalità è il vero oggetto della sociologia in quanto scienza. Quindi, il soggetto come punto di incontro delle interazioni, la società come insieme delle reti di relazioni.  La società è solo il nome con cui si designa la somma delle interazioni, un nome che è utilizzabile solo se queste relazioni siano state accertate e stabilite. La società, quindi, non è una realtà, non è una cosa: a differenza di Durkheim, essa non è per Simmel una realtà autonoma, dotata di una forza costruttiva nei confronti dell’individuo. La sociologia, e il suo metodo, si devono perciò concretizzare in un’attenzione infinita per la complessità delle interazioni tra gli uomini, per le forme che esse si danno, per le sfumature che sono capaci di sviluppare e dentro le quali si conserva la straordinarietà irripetibile della vera e autentica esperienza soggettiva. Un’attenzione che vale – questo sembra essere il motivo simmeliano dominante – la rinuncia alla sistematicità di un metodo sociologico troppo astratto e lontano. - La differenziazione sociale Processi di differenziazione sociale e di individualizzazione  si tratta di processi tra loro connessi e che si alimentano reciprocamente: una società più differenziata implica un aumento dell’individualizzazione e viceversa. Tanto più c’è fusione tra gruppo e individuo, tanto più quest’ultimo scompare perché assorbito dal gruppo a cui appartiene e tanto più bassi saranno i livelli di differenziazione sociale e individualizzazione. Tuttavia con l’espansione del gruppo sociale e il suo allargamento, diminuisce la pressione del gruppo e aumenta il livello di individualizzazione. Allo stesso tempo, il gruppo perde di distinzione e di riconoscibilità e le sue caratteristiche, prima nette e chiare, diventano sempre meno evidenti: la sua forza viene meno quanto più aumenta quella dell’individuo. I gruppi sociali più ampi sono meno forti, sono più differenziati e consentono stili di vita più individualizzati. C’è così una relazione proporzionalmente inversa tra coesione sociale e forza del legame sociale da un lato e differenziazione e individualizzazione dall’altro. L’aumento della differenziazione porta con sé l’aumento del numero delle cerchie sociali cui l’individuo può potenzialmente appartenere. Nel mondo moderno, estremamente differenziato, l’individuo partecipa a numerose cerchie sociali, alcune ristrette come la famiglia, altre più ampie come il partito. Se queste cerchie non si sovrappongono e non sono tra loro coordinate ma, come è più facile, sono separate o addirittura incompatibili, creando così il fenomeno dell’intersecazione delle cerchie sociali, allora l’individuo ha davanti a sé una grande quantità di alternative entro cui è costretto a scegliere, aumentando il suo grado di individualizzazione. Però sorge il pericolo che venga messa a repentaglio l’identità stessa dell’individuo. Egli potrebbe vedere frantumata la propria identità dentro il gioco o il conflitto, tra diverse cerchie sociali, ognuna con le proprie regole e i propri vincoli, facendo alla fine emergere la sua incapacità di far fronte in maniera stabile e coordinata, alle esigenze che da esse provengono. La mutevolezza è la caratteristica prevalente della modernità. Tutto è fuggevole, superficiale, transitorio, fugace, veloce. L’essenza della modernità sta nella capacità di cogliere l’attimo, di vivere un presente fuggevole e leggere, quello che si realizza nelle mode, nelle metropoli, nei gusti sempre mutevoli, nell’imperare della differenziazione. Porta con sé un nuovo tipo di uomo; sradicato, nervoso, pronto a cambiare pelle, a vivere in sintonia con un mondo cangiante, capace di vivere senza un ideali che informi la sua intera vita. - GOFFMAN - Il suo metodo è in prima battuta il suo sguardo, la sua capacità di vedere: egli fa emergere tic, luoghi comuni, stereotipi e banalità che pervadono la nostra vita di tutti i giorni, con un’ironia lucida e pungente, sorretta da una tensione molto rigorosa e profonda, affidata a una scrittura da vero e proprio letterato, fine rigorosa, coinvolgente. I suoi dati vengono raccolti da fonti disparate: articoli di giornale, osservazioni sul luogo, lettere, memorie, biografie, registrazioni radiofoniche ecc. Quella di Goffman è una microsociologia: l’oggetto di riferimento sono i fatti che riempiono le nostre giornate, ciò che quotidianamente facciamo, e non i macro-processi sociali, che riguardano le istituzioni, lo Stato, l’economia ecc. Come egli stesso la definisce, la sua microsociologia dell’interazione sociale, il cui scopo è mostrare come nell’interazione si costruiscano l’ordine sociale e il soggetto: interazione sociale, ordine sociale e soggetto sono i tre ambiti di riferimento concettuale. Dei tre, il primo è il luogo dove si vanno definendo gli altri due ed è perciò l’oggetto da andare a guardare. Il modo con cui Goffman definisce il suo soggetto – l’interazione faccia a faccia – è radicale: esso deve essere affrontato indipendentemente da ogni altra variabile, sia essa psicologica o sociale. Non deve esserci nessuna spiegazione esterna da cui partire nell’analisi: l’interazione è un luogo autonomo, un campo indipendente, che semmai spiega le altre situazioni sociali, ma non può essere a sua volta spiegata. - Il soggetto e la maschera Il soggetto e l’ordine sociale non devono essere visti come entità autonome e stabili, quanto piuttosto come processi instabili e fragili. La cosa più difficile è perciò dire cosa precisamente siano il soggetto e l’ordine sociale. Il soggetto per Goffman  Noi, in senso stretto, non vediamo soggetti che agiscono, ma copioni che vengono recitati: ciò che ci sembra reale, il soggetto, è solo un effetto drammaturgico. Non esiste un soggetto come sostanza che agisce: al contrario, esso è il prodotto delle sue azioni dentro le interazioni. La scena sociale è un palcoscenico teatrale, sul quale recitiamo parti in qualche modo prestabilite. Il soggetto è allora il personaggio e, più in generale, l’insieme dei personaggi dei copioni che recita. Fuor di metafora, il soggetto è l’insieme dei ruoli sociali che mette in atto nelle interazioni.  Consideriamo questo cameriere. Gioca, si diverte. Ma a che cosa gioca? Gioca ad essere cameriere. Il cameriere gioca con la condizione per realizzarla Prendiamo per esempio il sistema di attività che si sviluppa durante un’operazione chirurgica. È in gioco un ideale hollywoodiano: il primario in camicie bianco si mette a lavoro, serio, torvo, rispettando con competenza l’immagine che hanno di lui la sua équipe e lui stesso , e questo in un contesto in cui la manifestazione d’incompetenza di un attimo rischia di mettere in pericolo per sempre il rapporto che gli è consentito di avere con il suo ruolo. Dal momento in cui la fase critica dell’operazione è finita, si fa indietro e con un misto particolare di stanchezza, forza e disdegno si strappa via i guanti; così egli si contamina e abdica al ruolo. Egli può essere un padre, un marito, un tifoso di baseball a casa sua, ma qui è una cosa sola e basta, un chirurgo. Tutti giocano a recitare il loro ruolo, a essere ciò che l’immagine sociale richiese loro di essere, difendendo con le unghie l’immagine dentro la quale è depositata l’essenza della soggettività e la sua irrepetibilità. In un certo senso:  Chi entra in una posizione trova già quindi, virtualmente, un sé: egli non deve fare altro che aderire alle pressioni che subirà e troverà un io bell’e fatto per lui. Il copione è lì pronto: si tratta solo di saperlo recitare. Perché il ruolo sia capace di fornire identità, deve piuttosto avere una natura morale: in gioco non è solo la bravura del soggetto a essere un chirurgo, ma la sua identità, quindi la sua rispettabilità, la sua faccia. Il soggetto si costituisce moralmente dentro le interazioni. Il rapporto tra individuo e ruolo è articolato e complesso, così che si possono avere diverse situazioni, tra cui l’impegno, l’attaccamento e l’assorbimento. Un altro aspetto importante del rapporto tra soggetto e ruolo viene colto da Goffman con la nozione di distanza dal ruolo: si tratta di tutte quelle situazioni in cui, recitando un copione, si prendono anche le distanze da esso, segnando un divario tra l’obbligo e l’effettiva esecuzione. È come se il soggetto provasse a dire al suo pubblico: sto facendo questo, ma questo non è il mio io reale. Le strategie per distanziarsi sono molte e diverse: scontrosità, borbottii, ironie, sarcasmo ecc. Quando un adulto sale sul cavalluccio di una giostra per bambini si ha una distanza massima dal ruolo. Tuttavia non dobbiamo pensare che tale ruolo: anche quando si distanzia dal ruolo, egli Habermas ritiene che questi momenti siano caratteristici dell’uomo. Diversamente da quanto pensava Marx, la storia non è solo storia del lavoro umano, ma deve essere ricondotta a due diverse modalità: il lavoro e l’interazione  gli uomini si rapportano attraverso il lavoro con la natura e attraverso l’interazione con i loro simili  i due momenti sono interconnessi, ma sono anche autonomi e, soprattutto, hanno logiche diverse e irriducibili. Da questa irriducibilità derivano due diverse modalità d’azione l’agire strumentale e l’agire comunicativo; due diversi atteggiamenti conoscitivi, quello tecnico e quello pratico. Le scienze sociali non devono trasformarsi in tecnologia sociale. se lo fanno, diventano ideologia, perché mascherano l’irriducibilità dell’interazione umana alle logiche della pura manipolazione: l’interazione umana è il luogo dell’intesa reciproca, non dell’intervento tecnico, intesa che si consegue sulla base di valori, norme e culture comuni. Il tentativo di Habermas è perciò quello di sviluppare una teoria dell’agire comunicativo capace di identificare le condizioni per l’intesa reciproca, valide in generale, indipendentemente da ogni specifico contesto storico-sociale. Separare il dominio dei fini, ciò che gli uomini vogliono, dal dominio dei mezzi, ciò che consente, o dovrebbe consentire, il perseguimento di quei fini e mantenere la prospettiva di un agire che è razionale anche se non è dominato dalla logica razionalistica tesa a trovare mezzi adeguati. In effetti, l’uomo moderno, impegnato in una rincorsa infinita verso il raggiungimento di sempre nuove tecnologie e catturato dalle possibilità di consumo che esse offrono, sembra dimenticare l’obiettivo fondamentale e caratteristico della propria esistenza, irriducibile alla quantità di beni posseduti. Habermas ritiene che esista almeno una forma di azione indipendente dalla logica della tecnica, quella del discorso argomentato, il cui fine è l’intesa reciproca. Lo studioso, rintraccia una forma particolare di questo tipo di azione, e cioè il discorso pubblico, nonché base per lo sviluppo del concetto di opinione pubblica: l’opinione privata del singolo, passando attraverso il vaglio del pubblico confronto razionale con le opinioni altrui, si trasforma in opinione pubblica, la cui qualità critica e razionale è garantita dalla discussione aperta e generale che l’ha prodotta. - Teoria dell’agire comunicativo L’essenza dell’essere umano è la capacità di linguaggio. L’elemento linguistico qualifica l’azione umana come simbolica, costituita da segni che possiedono significato. L’elemento linguistico qualifica l’interazione come comunicazione, come orientamento reciproco di due o più soggetti umani fondati su espressioni linguistiche. Il cammino di Habermas verso la teoria dell’agire comunicativo inizia con la centralità che egli dà al linguaggio, visto come l’istituzione alla base di tutta la società. Il linguaggio è un prodotto sociale: esso coincide con il suo uso comunicativo. Lo studioso cerca di individuare le regole alla base dell’uso comunicativo del linguaggio. Tali regole padroneggiate dal parlante inconsapevolmente, in modo pratico: egli le usa senza conoscerle. Tuttavia per comunicare con gli altri non basta sapere la lingua: occorrono altre competenze. L’aspetto interattivo e pragmatico della comunicazione è dominato dalla logica dell’intesa: noi, cioè, parliamo con gli altri sulla base del presupposto implicito che sia possibile intendersi, nel duplice senso che l’altro ci possa capire e che sia possibile raggiungere con lui un’intesa  Un’intesa raggiunta comunicativamente non può essere indotta solo tramite un’influenza dall’esterno, ma deve essere accettata come valida dai partecipanti. Un’intesa raggiunta comunicativamente ha un fondamento razionale: non può essere imposta da nessuna parte, può essere certo soggettivamente estorta; ma ciò che accade visibilmente tramite un’influenza esterna o il ricorso alla forza non può contare soggettivamente come intesa. Inoltre, Habermas formula la possibilità, del tutto astratta, di una situazione discorsiva ideale nella quale non c’è nessuna sistemica distorsione della comunicazione e gli atti linguistici sono veri, sinceri e corretti, inoltre caratterizzata dall’assenza di repressione e di disuguaglianze, i cui membri ricorrono ad argomentazioni criticamente fondate nel definire situazioni e pervengono ad un’intesa senza costrizioni. Qui gli attori sociali sono mossi solo dalla volontà di trovare un’intesa con gli altri e da nessun altro scopo. La distinzione tra lavoro e interazione – tra agire strumentale e agire comunicativo – consente a Habermas di formulare una teoria dell’evoluzione sociale. In Teoria dell’agire comunicativo, Habermas specifica meglio questa divaricazione identificando due specifici ambiti: il primo, quello dei sistemi sociali, caratterizzato dall’agire orientato al successo, nelle due forme dell’agire strategico e strumentale; il secondo, quello dei mondi della vita, caratterizzato dall’agire comunicativo, orientato all’intesa. Sistema e mondo della vita sono i due specifici ambiti sociali dove si affermano le logiche del lavoro e dell’interazione. Nel primo la cosa importante è agire strumentalmente in vista di un fine, ottenre cioè un successo; nel secondo il vero obiettivo è l’autonomia, individuale e collettiva, che si acquisisce nella dimensione discorsiva, anche conflittuale, che la comunicazione orientata all’intesa rende possibile. I mondi della vita – la famiglia, le associazioni, i club ecc. – sono quelle situazioni della vita sociale nelle quali non è tanto importante raggiungere successo economici o di potere, quanto realizzare sé stessi e vivere in conformità con le proprie concezioni del bene e del giusto. - Tipi di agire  l’agire teleologico-strategico: l’attore persegue uno scopo mediante la scelta adeguata dei mezzi (mondo oggettivo, mondo degli stati di fatto e degli eventi). È per molti aspetti una riproposizione dell’agire razionale rispetto allo scopo di Weber, infatti, alla base di esso vi è il presupposto secondo cui noi agiamo in vista di scopi bene determinati, adottando una certa strategia. Ciò significa che a dirigere tale agire sono il calcolo dell’utile e dello scopo finale, un calcolo che è però chiamato a tener conto del fatto che il soggetto agente non è solo e sotto una campana di vetro, ma si trova invece ad agire in presenza di altri individui che agiscono come lui con razionalità strumentale e che dunque, perseguendo scopi simili o eguali, possono entrare in conflitto con lui. Significativamente Habermas dice che si ha agire strategico se prendiamo le mosse da almeno due soggetti agenti, agenti in modo finalizzato, che realizzano i loro scopi mediante l’orientamento e l’influenza sulle decisioni di altri attori.  l’agire orientato da norme: l’attore orienta il proprio agire sulla base dei valori e delle norme condivise (mondo sociale, mondo dei fini e dei valori).  l’agire drammaturgico: quando si ha un attore che si autorappresenta dinanzi agli altri come se fosse sulla scena teatrale (mondo soggettivo). Gli individui agiscono ai fini di un’autorealizzazione simbolica, quasi come se si mettessero in scena e recitassero con grand enfasi. Tale tipo di agire è così connotato da Habermas: “dal punto di vista dell’agire drammaturgico, intendiamo un’interazione sociale come un incontro nel quale i partecipanti costituiscono gli uni per gli altri un pubblico visibile e si rappresentano reciprocamente qualcosa”. È la forma di agire in cui meglio sono racchiuse e custodite le componenti sentimentali dell’azione umana (le passioni, le volizioni, le pulsioni, ecc). - FENOMENOLOGIA - La fenomenologia è lo studio dei fenomeni, delle cose per come appaiono. Edmond Husserl è l’autore che più di ogni altro ha sviluppato il metodo fenomenologico. La sua filosofia suggerisce di non dare mai per scontate le cose apprese, ma piuttosto di interrogarsi sul modo in cui si vede la realtà e sul modo in cui a ciascuno di noi si manifesta. La sociologia fenomenologica mette in discussione ciò che diamo per scontato, ma sostiene anche che il nostro mondo sia l’insieme di ciò che diamo per scontato. Occorre evidenziare una stretta circolarità tra soggetto e oggetto: il mondo è ciò che noi vediamo e il senso che noi ad esso diamo, ma al tempo stesso, le nostre percezioni sono plasmate da concetti. Questo aspetto assume un particolare significato per la sociologia: i soggetti costruiscono la società, il loro mondo sociale, ma, a sua volta, la società fornisce i concetti con cui essi vedono il loro mondo sociale. - Schutz Partendo da Weber: studiare l’azione significa interpretare il senso che il soggetto dà all’azione e poi spiegarlo sulla base di categorie astratte, i tipi ideali. La sociologia di Schutz è il tentativo di approfondire la tematica weberiana alla luce ella filosofia fenomenologica di Husserl. Il senso è un prodotto degli individui, della loro coscienza, ma è anche una realtà indipendente e comune. Bisogna allora spiegare questa circolarità, mostrare come il senso soggettivo diventi oggettivo e, a sua volta, come quest’ultimo sia poi alla base del primo. Detto altrimenti: la società è un prodotto degli individui e viceversa, all’interno di un ciclo interrotto. Alla base di tutto vi è il tempo: il concetto di senso intenzionato è legato alla nozione di tempo. Nella vita di tutti i giorni, diamo per scontato che le nostre azioni abbiano un senso; che esso sia il medesimo che gli altri danno alle nostre azioni; che esso sia corretto. La vita quotidiana – che per Schutz è l’oggetto di studio della sociologia – è un fluire continuo di azioni, nostre e altrui, senza che a nessuno appaia necessario chiedersi perché fa così e non altrimenti. Tutto appare scontato, normale; abbiamo la sensazione di vivere quasi automaticamente. Non è che le nostre azioni non siano intenzionali: esse non sono meccaniche o istintive; il fatto è che diamo per scontato il loro senso, che esso ci appare riflessivamente.  Davanti a un semaforo rosso, non c’è bisogno di riflettere prima di fermare la propria automobile: la nostra azione è intenzionale, ma non riflessiva. C’è intenzionalità nel fermarsi al semaforo, ma non c’è riflessività, perché si agisce senza pensare: il senso dell’azione è dato per scontato. Tipizzazioni Le tipizzazioni non hanno vita propria: sono sempre vissute e attualizzate da soggetti che, all’interno delle situazioni tipiche che caratterizzano la vita quotidiana, hanno però la possibilità di creare un nuovo senso. Ogni singola azione può variare da un massimo a un minimo di tipicità. Nella vita quotidiana scelgo la tipizzazione che mi serve sulla base di quella che Schutz chiama struttura della rilevanza. Nella vita quotidiana è regolata da un sistema di rilevanza che dà, a seconda della situazione, peso diverso alle varie tipizzazioni  per la scelta della tipizzazione attingo al mio stock di conoscenze sociali, il quale è un flusso continuo che si arricchisce ad ogni nuova esperienza.  La tipizzazione fondamentale è il linguaggio – non in senso stretto – poiché rende possibile le altre SECONDO SEMESTRE - LA CULTURA - Possiamo definire cultura come un insieme di valori, definizioni della realtà e codici di comportamento condividi da persone che hanno in comune uno specifico modo di vita  Kluckhohn Il concetto di cultura  tutto ciò che deve la sua creazione all’azione cosciente e tendenzialmente libera degli esseri umani, cioè il patrimonio intellettuale e materiale, relativamente stabile e condiviso, proprio dei membri di una determinata collettività e costituito da valori, norme, definizioni, linguaggi, simboli, segni, modelli di comportamento, oggetti materiali. Le sue funzioni principali sono: - Riduzione della complessità - Cognitiva (definisce e spiega la realtà) - Prescrittiva (regolazione dei rapporti) La parola cultura deriva dal latino colere, che significa coltivare, lavorare la terra. Nel medioevo essa si riferiva al progressivo miglioramento dei raccolti, da cui il termine agricoltura. Ma a partire dal XVIII e XIX secolo viene applicata anche all’educazione delle persone, cosicché una persona raffinata e istruita è considerata colta. In quel periodo il termine veniva riferito principalmente alle classi aristocratiche e le distingueva dalle masse incolte. La definizione che oggi le scienze sociali danno della cultura ha tuttavia perso le connotazioni aristocratiche del termine e si riferisce alle convinzioni, ai valori e ai simboli che un gruppo sociale condivide e che costituiscono per i suoi membri un modo di organizzare l’esperienza e una guida al comportamento  L’acquisizione della cultura è una questione di apprendimento. Il concetto di cultura è reso indispensabile dalla documentata plasticità degli esseri umani. Ai membri appena nati di differenti gruppi viene insegnato ad eseguire gli stessi atti in una varietà pressoché infinita di modi diversi. Un tipo di comportamento appreso che, nei suoi aspetti specifici, è comune a un gruppo di persone e trasmesso dalle generazioni più vecchie alle nuove, oppure è trasmesso in parte da un altro gruppo, è detto cultura. La definizione di cultura proposta sottolinea il fatto che essa viene elaborata e insegnata. Questo processo costituisce una parte importante della socializzazione, attraverso la quale valori, ideali, opinioni, norme e regole entrano a far parte della personalità di un bambino e contribuiscono a plasmare il suo comportamento. Se la socializzazione dovesse fallire in misura rilevante, la cultura si estinguerebbe. Poiché modella la personalità di coloro che ne fanno parte, la cultura esercita un notevole controllo sul loro comportamento. L’antropologo Geertz definisce la cultura:  Un insieme di meccanismi di controllo – schemi, prescrizioni, regole, istituzioni – per governare il comportamento. Senza cultura gli esseri umani sarebbero completamente disorientati: se non fosse diretto da modelli di cultura – cioè sistemi organizzati di simboli significativi – il comportamento dell’uomo sarebbe di fatto ingovernabile; somiglierebbe a un insieme caotico e sconnesso di atti ed emozioni. La cultura spesso reprime le pulsioni, in particolare quelle sessuali e aggressive; tuttavia non lo fa mai in modo completo, ma piuttosto definendo le condizioni alle quali può esservi gratificazione. In altre parole, definisce tempi, luoghi e mezzi accettabili per la soddisfazione dei bisogni umani. Un’altra caratteristica fondamentale della cultura è il fatto che essa seleziona solo certi aspetti del comportamento e dell’esperienza, come risultato di questa selettività, le culture sia passate che presenti possono essere completamente diverse tra loro. Seguendo quanto detto prima basta poco per rendersi conto che le differenze culturali possono essere infinite, di conseguenza è più difficile trovare tratti comuni a tutte a le altre, ossia universali culturali. George Murdock ha elencato un numero enorme di universali culturali, tra cui:  Lo sport, l’orientamento del corpo, il lavoro cooperativo, la danza, l’istruzione, i riti funebri, lo scambio di doni, l’ospitalità, il tabù dell’incesto, l’umorismo, il linguaggio, i rituali religiosi, le restrizioni sessuali, la fabbricazione di utensili, i tentativi di controllare le condizioni atmosferiche. Murdock sosteneva che la forma specifica dello sport, dell’orientamento del corpo e degli altri elementi individuati può variare da una cultura all’altra. L’ambiente è uno dei fattori che può causare queste variazioni. Ciascun tratto culturale, inoltre, è il prodotto della sua storia, è stato plasmato da una catena di eventi unica. Ciò che conta non è il tipo di sport, di linguaggio elaborato, ma il fatto che tutte le culture li abbiano in una forma o nell’altra. Perché esistono universali culturali?  Alcuni antropologi credono che molti di essi siano prodotti da fattori biologici comuni a tutti gli esseri umani. Kluckhohn, ad esempio, indica come determinanti l’esistenza dei due sessi, la mancanza di difese del bambino, il bisogno di cibo ecc. tutti questi elementi pongono problemi che richiedono soluzioni culturali. Anche certi valori sono universali: ogni società proibisce l’omicidio e la menzogna, mentre nessuna attribuisce valore alla sofferenza umana. Le culture devono soddisfare un certo insieme di bisogni fisiologici e psicologici, anche se le modalità di tale soddisfazione possono variare. - Gli elementi della cultura Secondo l’antropologo Ward Goodenough la cultura è composta da quattro elementi, descritti qui di seguito:  Concetti : sono strumenti con cui le persone organizzano la propria esperienza. Tutti vediamo il mondo in termini di forme, colori e sapori, ma culture diverse organizzano il mondo in modo diverso.  Relazioni : le culture non si limitano a catalogare il mondo per mezzo di concetti, ma contengono anche credenze riguardo al modo in cui le parti risultanti da tale catalogazione sono in relazione le une con le altre nello spazio. Esistono molte differenze tra le culture nelle spiegazioni riguardanti le relazioni, le culture hanno convinzioni su relazioni che riguardano non soltanto il mondo naturale, ma anche quello soprannaturale. La cosmologia cristiana, ad - Richiedente asilo: è una persona che si sposta attraverso le frontiere in cerca di protezione, ma che non rientra nei rigidi criteri della convenzione di Ginevra, giacché in genere non è in grado di provare di essere il bersaglio individuale di una persecuzione esplicita. - Vittima del traffico: è la persona straniera che viene coinvolta in un attraversamento delle frontiere con la forza o più spesso con l’inganno, condizionata nella libertà di scegliere lavoro e residenza, e costretta a svolgere attività che procurano introiti alla rete che ha organizzato il suo ingresso o ne gestisce il soggiorno. Il caso più tipico è quello della prostituzione forzata, ma fenomeni simili avvengono anche nello sfruttamento delle mendicità o nell’organizzazione di forme di lavoro coatto.  Immigrati irregolari : - Immigrato in condizione irregolare: è identificato come colui che, entrato in maniera regolare, è poi rimasto dopo la scadenza del titolo che gli aveva consentito l’ingresso. - Clandestino: è colui che è entrato in maniera fraudolenta, attraversando la frontiera senza documenti, oppure procurandosi documenti falsi, oppure corrompendo pubblici ufficiali preposti al controllo. - Cause delle migrazioni Spiegazione Macro  si guarda alle grandi cause strutturali. Push factors: sovrappopolazione, disoccupazione, guerre; Pull factors: fabbisogno del mercato del lavoro nei Paesi di destinazione. La critica che subisce questa spiegazione è data dal fatto che vede i migranti come soggetti passivi, spostati attraverso i confini da grandi cause che li superano Spiegazione Micro  si guarda alle scelte individuali dei migranti, visti come attori razionali, calcolatori, che, in accorso con le proprie famiglie, investono le risorse a disposizione sul progetto migratorio verso mercati che massimizzerebbero la rimuneratività della forza-lavoro che mettono a disposizione. In questa spiegazione abbiamo le famiglie come sedi decisionali. Tuttavia la critica che subisce tale spiegazione è data proprio dalla famiglia, poiché questa non è sempre armoniosa e solidale e infatti, nella maggior parte dei casi, si seguono logiche legate alla presenza di connazionali in un dato paese. Spiegazione Meso  il ruolo delle reti migratorie come ponti sociali che collegano immigrati e potenziali migranti nelle comunità di origine. Concentrazione di immigrati provenienti dagli stessi paesi in determinate aree dei paesi di destinazione (catene migratorie), etnicizzazione del mercato del lavoro (nicchie occupazionali occupate da determinate comunità nazionali). Questa è una delle spiegazioni più convincenti perché oltre allo sguardo macro, si pone all’attenzione anche a capire il come e il dove. - L’integrazione Era delle superdiversità: diversificazione interna alla popolazione migrante, maggiore complessità. Una diversità concepita diversamente, e, quindi, diversi trattamenti degli stranieri in base a quanto li consideriamo diversi, lontani, estranei e problematici. - DISCRIMINAZIONI E RAZZISMI - Durante la fase di integrazione, la società ricevente, maggioritaria, ha il potere di accettare, o meno: delimitare confini, includere/escludere, con diverse gradazioni  stratificazione sociale Nella maggior parte delle società, uno o più gruppi etnici esercitano la supremazia sugli altri. Di regola, la definizione gruppo di minoranza, o semplicemente minoranza, è usata per indicare il gruppo più debole.  Un gruppo di persone che, a causa di caratteristiche fisiche o culturali, sono isolate dagli altri membri della società in cui vivono e vengono trattate in modo diverso e diseguale e, per tanto, si considerano oggetto di discriminazione collettiva. Un elemento fondamentale del concetto di minoranza è però il fatto che i suoi membri sono oggetto di discriminazione, ossia sono trattati in modo diverso a causa di presunte caratteristiche negative e perciò vengono percepiti come diversi. Una discriminazione è un comportamento che può presentarsi anche attraverso pratiche istituzionali, come, per esempio, l’accesso limitato ai diritti (istruzione, salute, equo processo ecc.) sancito per legge. Ma, la discriminazione, è anche una pratica quotidiana riscontrabile, per esempio, durante la selezione di un candidato per un posto di lavoro. Uno degli effetti più comuni della discriminazione è che i membri del gruppo discriminato si identificano gli uni con gli altri, sviluppando forti sentimenti di fiducia all’interno del gruppo e di sospetto nei confronti della maggioranza: diventa così più probabile che interagiscano e si muovano tra loro piuttosto che con estranei al gruppo. I gruppi di minoranza sono, nella maggior parte di casi, vittime di stereotipizzazione, i quali si formano durante l’interazione personale nella quale si notano elementi estremi o in cui le emozioni influiscono sull’interazione, oppure attraverso l’apprendimento sociale (dagli altri, dai media). Tuttavia, i tratti ritenuti tipici di quel gruppo non sono certo riscontrabili in egual misura tra tutti i suoi componenti! Anzi, non c’è alcuna base empirica. Continuando, gli stereotipi negativi danno luogo a pregiudizi nonché, come dice il termine, una forma di giudizio riscontrabile attraverso atteggiamenti negativi nei confronti di un intero gruppo sociale.  pensare male degli altri senza una ragione sufficiente Teoria del contatto  più si viene a conoscenza di membri di quel gruppo, meno si producono gli stereotipi. Spesso, però, in realtà riteniamo che siano eccezioni che confermano la regola. - Razzismo  la classificazione di altri gruppi come biologicamente inferiori e la loro discriminazione, oppressione violenta o sfruttamento vengono definiti razzismo. Nel XIX secolo gli occidentali sostenevano di trovarsi su un gradino più alto nella scala evolutiva delle civiltà rispetto ai non occidentali, i quali meritavano per tanto di essere dominati. Pertanto si seguiva una missione civilizzatrice dei colonizzatori, attraverso spiegazione pseudo-scientifiche derivanti dal darwinismo sociale. In questo e in casi analoghi si parla di etnocentrismo da parte di un gruppo dominante, il quale vede la propria cultura come pietra di paragone universale, classificando le altre come culturalmente inferiori. I rapporti tra gruppi dominanti e minoranze possono essere classificati come segue: - Assimilazione: completo assorbimento delle minoranze da parte del gruppo dominante. Tale processo può essere forzato – ad esempio la russificazione – oppure può essere pacifico, attraverso la graduale fusione di vari gruppi in un’unica cultura. - Pluralismo: accettazione delle minoranze da parte del gruppo dominante - Tutela: una sorta di pluralismo formalizzato, che assicura la salvaguardia giuridica delle minoranze - Trasferimento: rimozione di una minoranza dalla società – ad esempio la deportazione in massa degli indiani d’America nelle riserve o, nel caso israeliano, l’importazione di una minoranza in un territorio - Asservimento: riduzione di una minoranza in stato di completa subordinazione da part3e del gruppo dominante - Genocidio: soppressione sistematica di una minoranza da parte del gruppo dominante Il concetto di intersezionalità  compresenza di più caratteristiche – costruite socialmente come differenze. Tale intersezione crea configurazioni uniche di persone ritenute più indesiderabili di altre, una somma di condizioni come razza, genere, classe, età, orientamento sessuale, religione, disabilità. Post-migrant society  dibattito nei paesi europei di più antica immigrazione: tanti ex stranieri hanno acquisito la cittadinanza in società che ormai incorporano gruppi diversi irreversibilmente cancellando la tradizionale bicromia. Ad oggi si hanno società super-diverse che incorporano al proprio interno molte diversità, eredità di migrazioni da varie parti del mondo - STRATIFICAZIONE SOCIALE -  La classificazione di una popolazione di individui o di collettività, in fasce contigue e sovrapposte dette strati sociali, i quali si distinguono tra loro per il differente ammontare di ricchezza (classe), potere, prestigio (status, ceti) Il termine connota l’idea di una gerarchia; ogni strato si situa in relazione agli altri in una posizione superiore o inferiore. Complessi di individui che si definiscono nella stessa situazione di mercato, rientrano in una  classe sociale: imprenditori, agricoltori, militari, intellettuali ecc. e la loro condotta sono controllati sia in classe che fuori. Per la maggior parte della giornata, il loro comportamento è strutturato dalla scuola. In questo modo l’istruzione – insieme con la religione, famiglia e le leggi – fa parte delle istituzioni che contribuiscono al mantenimento della coesione sociale. L’istruzione come  strumento di selezione  Nelle società occidentali il livello di istruzione influisce sulle possibilità di inserimento nel lavoro. Questo presuppone che l’istruzione sia uno strumento razionale di selezione meritocratica, per far sì che gli individui più capacci e motivati raggiungano le posizioni più elevate e gratificanti. Inoltre presuppone che le scuole promuovano pari opportunità e incoraggino la mobilità sociale. Un’altra versione dell’approccio funzionalista vede nell’istruzione un investimento in capitale umano  Gli individui nascono con un certo capitale potenziale sotto forma di dotazione genetica, che viene incrementato nei primi anni dell’infanzia, negli anni di scuola e nei primi anni di lavoro. Questo capitale subisce poi un deprezzamento quando conoscenze e competenze vengono superate e diventano obsolete Questa teoria spiega le differenze tra i redditi negli adulti in base al tipo e alla quantità degli investimenti che gli individui hanno fatto su sé stessi nel corso degli anni. La teoria del capitale umano è apparentemente razionale in quanto asserisce che gli sforzi per migliorare la propria istruzione verranno compensati sulla base del legame proporzionale tra investimento e remunerazione. In conclusione, si può dire che la prospettiva funzionalista sottolinea i modi in cui l’istruzione opera in armonia con le istituzioni sociali, in particolare quelle economiche e politiche. - Approcci conflittualisti Ivan Illich scrisse un libro intitolato Descolarizzare la società  con il termine descolarizzazione Illich intendeva dire che l’istruzione obbligatoria dovrebbe essere abolita e che ai datori di lavoro dovrebbe essere proibito chiedere ai potenziali dipendenti qualsiasi informazione sulla loro istruzione – spezzando il legame che i funzionalisti vedono tra istruzione, inserimento nel lavoro e reddito. Secondo Illich, il sistema di istruzione attuale non promuove lo sviluppo cognitivo, la razionalità e l’autonomia intellettuale, ma piuttosto presiede alla trasmissione di valori e conoscenze tecniche, rendendo gli studenti vittime di esperti e burocrati. Illich, propone istituzioni conviviali che insegnano a chi le frequenta ciò che essi desiderano imparare, invece di imporre loro idee predeterminate. Inoltre sostiene che le persone dovrebbero essere assunte sulla base della loro competenza effettiva e non del loro percorso scolastico. L’istruzione ha un valore nello stesso tempo pratico e simbolico. Chi ha frequentato l’università, ad esempio, usa concretamente le capacità professionali che ha acquisito, ma una laurea è anche un simbolo di prestigio e di status. Randall Collins sostiene che l’espansione del sistema educativo riflette non tanto la necessità di formare competenze specialistiche, quanto la competizione tra gruppi di status per ottenere ricchezza, potere e prestigio. La dinamica è questa: i gruppi privilegiati, come medici o avvocati, difendono la propria posizione sociale certificando l’appartenenza al gruppo e innalzando contro i non appartenenti barriere che consistono nei titoli e nelle prove richiesti per poter essere ammessi alla pratica professionale. Ne risulta una contesa tra coloro che insistono sulla necessità di mantenere certi standard e coloro che invocano il diritto di accesso al gruppo. La conseguenza di tutto ciò è l’espansione abnorme del sistema di istruzione, che ha ben poco a che fare con le reali esigenze del mondo del lavoro. - Teoria neo-marxista Secondo Bowles e Gintis, le scuole sono state istituite in primo luogo per generare e riprodurre le competenze di cui necessita la società capitalista. La scuola elementare di massa, creata nelle società occidentali più o meno in concomitanza con lo sviluppo industriale, insegna la puntualità, l’ordine e l’obbedienza all’autorità, caratteristiche essenziali di una forza lavoro disciplinata. Negli individui destinati a posizione d’élite, invece, le università cercano di stimolare l’autonomia di pensiero, l’indipendenza e la capacitò di prendere decisioni. Dunque, l’istituzione scolastica serve soprattutto a riprodurre delle disuguaglianze di classe. Questa tesi rappresenta l’esatto contrario di quella funzionalista, che insiste sulla selezione meritocratica come promozione delle pari opportunità. - Gli studenti: quattro tipi di culture - Ludica : amano le feste e gli sport, ritengono secondari gli studi e i risultati - Carrieristica : si prefiggono il successo ma non hanno particolari rapporti con i professori, che ritengono ininfluenti per il proprio futuro - Accademica : apprezzano il sapere in sé, sono poetati a proseguire gli studi dopo la laurea, alcuni vogliono diventare docenti - Anticonformista : rifiutano gli interessi carrieristici e anche quelli accademici e preferiscono praticare uno stile di vita diverso, in opposizione ai valori dominanti della società nella quale vivono - LA SOCIALIZZAZIONE - La socializzazione  è il processo attraverso cui apprendiamo le competenze e gli atteggiamenti connessi ai nostri ruoli sociali. Essa, inoltre, assolve la funzione di assicurare la continuità sociale: trasmettendo ideali, valori e modelli di comportamento ai suoi nuovi membri, la socializzazione consente la riproduzione della società, anche se la sua composizione cambia continuamente con la morte e la nascita dei singoli individui Affinché il processo di socializzazione possa avvenire sono necessari tre fattori: - Aspettative di ruolo: un ruolo è un insieme di comportamenti orientati secondo le aspettative di un certo status e ad ogni status corrispondo diversi ruoli. Tutti i ruoli associati a un dato status costituiscono un complesso di ruoli. Come detto, ad ogni ruolo sono associate specifiche aspettative e il (mancato)rispetto di queste comporta (sanzione)premio, permettendo al gruppo sociale di rafforzarsi attraverso comportamenti adeguati. - Propensione alla conformità: vi deve essere da parte dei membri del gruppo attitudine a conformarsi alle indicazioni ricevute - Modifica del comportamento: gli individui devono modificare i propri comportamenti in base alle indicazioni Naturalmente la socializzazione non è un processo univoco né tantomeno meccanico. Attraverso la resistenza, la ribellione, la sfida ecc. è possibile trasformare il processo in una continua negoziazione di ruolo e una socializzazione continua. La socializzazione dipende anche dal contesto culturale, infatti ogni società privilegia specifici valori culturali e li trasmette ai bambini attraverso la socializzazione, selezionando in loro alcuni tratti di personalità a scapito di altri – basti pensare alle differenze culturali tra statunitensi ed indiani. Sui valori poggiano le norme culturali, che regolano l’interazione tra individui. Le più importanti vengono tradotte in leggi, mentre le altre vengono trasmesse ai bambini. In tutte le specie animali, il processo di socializzazione è influenzato da fattori e limiti biologici. Nel caso della socializzazione degli umani, tuttavia, i fattori biologici sono limitatamente rilevanti. Donne e uomini hanno infatti ina scarsa dotazione di comportamenti innati (battere le palpebre, afferrare, succhiare). Per il resto, tutte le abilità umane complesse sono acquisite attraverso processi di apprendimento culturalmente condizionati. E se da un lato questo mette i piccoli umani in una posizione di pericolosa dipendenza dagli adulti, dall’altro una prolungata fase di sviluppo costituisce un vantaggio per la nostra specie, in quanto offre ai bambini l’opportunità di acquisire capacità assai più complesse di quelle degli altri animali, quali l’uso del linguaggio. Tutti i sociologi sono d’accordo sul fatto che esiste una specifica natura umana definibile come l’insieme di predisposizioni genetiche che portano gli individui a comportarsi in un certo modo. Tuttavia i sociobiologici ritengono che  la condotta umana è dominata dai fattori biologici, avanzando l’idea che i fattori genetici abbiano sul comportamento umano un effetto determinante di su comportamenti come l’altruismo o l’aggressività. - Gli agenti della socializzazione Il bambino dipende dagli altri per il nutrimento, il vestiario, il riparo. Inoltre, per svilupparsi in modo armonico necessita di affetti stabili, proprio perché nelle prime fasi dell’infanzia i principali agenti di socializzazione sono la famiglia. Condizioni di isolamento e abbandono producono effetti negativi in termini di apprendimento e capacità di relazione.  Goffman studia un’altra forma di mancanza legata all’istituzionalizzazione  lo studioso utilizza questo termine per riferirsi agli effetti dannosi della permanenza all’interno di istituzioni che negano interazioni affettive, nonché gli le istituzioni totali. Nella seconda fase dell’infanzia e dell’adolescenza i principali agenti di socializzazione sono gli insegnanti, i pasi e i mezzi di comunicazione. La scuola e gli insegnanti portano i soggetti ad apprendere, oltre a nozioni e capacità, anche i valori della società di appartenenza – fungendo anche - Meccanismi psicologici della socializzazione La socializzazione avviene attraverso meccanismi psicologici di incoraggiamento e inibizione. L’imitazione si riferisce ai tentativi consapevoli di riprodurre il comportamento di un modello. L’identificazione è legata ai meccanismi inconsapevoli che portano i bambini ad adottare comportamenti, atteggiamenti e valori degli agenti della socializzazione, assorbendo tratti di personalità. La vergogna è il meccanismo per cui ci si sente umiliati di fronte ad altri per i propri comportamenti. Il senso di colpa è simile alla vergogna, ma è auto-inflitto è la coscienza della colpa a tormentare il soggetto. - DEVIANZA - Qualsiasi azione, credo o caratteristica umana che i membri di una società o gruppo sociale considerano una violazione delle norme del gruppo dal quale il trasgressore probabilmente verrà censurato o punito Un atto per essere considerato deviante deve essere riferito al contesto socioculturale in cui ha luogo. Un comportamento considerato deviante in un paese, in una determinata società o contesto sociale può essere, invece, accettato e considerato molto positivamente in un altro. Quanto detto rappresenta la relatività della devianza, la quale non permette una facile ricerca dei fenomeni devianti. Secondo Durkheim  la devianza è il risultato dell’anomia, ossia della caduta di valori e norme tradizionali non sostituite da altri punti di riferimento. La devianza è inevitabile, in quanto non può esistere consenso totale sui valori e le norme che regolano la società. La devianza ha anche effetti positivi e inaspettati, in quanto rafforza la solidarietà e i sentimenti condividi da un gruppo. Teoria della tensione – secondo Merton  la devianza è l’esito di un contrasto tra le mete culturali prevalenti in una società e i mezzi istituzionalizzati previsti per raggiungerle, che entrano in tensione reciproca. Secondo Merton, quando una persona accetta la meta della ricchezza ma contata che non può raggiungerla con i mezzi socialmente approvati, può decidere di ricorrere a strumenti illeciti, adottando vari tipi di comportamento deviante. Teoria del conflitto – secondo Collins  le disuguaglianze portano a comportamenti devianti, sia da parte degli svantaggi sia da parte di chi gode più vantaggi Teoria dell’etichettamento – secondo Becker  ritiene che la devianza scaturisca dalla capacità che certi gruppi sociali hanno di imporre regole ad altri, nonché la capacità di gruppi più forti di apporre l’etichetta di devianti a membri di gruppi più deboli. Di conseguenza il deviante è una persona alla quale questa etichetta è stata applicata con successo; un comportamento deviante è un comportamento che la gente etichetta come tale. - Devianza primaria: atti devianti occasionali, strani o fuori dall’ordinario. Atti isolati di devianza primaria comportano raramente, se non mai, l’applicazione dell’etichetta deviante - Devianza secondaria: atti che persistono, diventano frequenti e alla fine inducono le persone a organizzare la propria vita e le proprie identità personali ai loro status devianti.