Scarica Riassunto Donne, Razza e Classe, Angela Davis e più Sintesi del corso in PDF di Storia solo su Docsity! ANGELA DAVIS DONNE, RAZZA E CLASSE Reflections on the black women’s role in the Community of Slaves, 1971: in questo saggio Angela Davis spiega le motivazioni principali che la spinsero a intraprendere uno studio storico della condizione delle donne afroamericane durante lo schiavismo per sfatare certi miti e pratiche misogine. MITO DEL MATRIARCATO NERO Lo schiavismo ha distrutto i rapporti familiari tradizionali tra gli afroamericani ridotti in schiavitù, ma ha avvantaggiato le donne nere, conferendole potere e autorità rispetto agli uomini. Questo mito giustifica l’assenza di ribellioni delle donne nere e sarebbe all’origine della crisi della mascolinità e dei rapporti familiari dopo l’emancipazione e una delle cause dell’alto tasso di povertà. BLACK POWER DEGLI ANNI SETTANTA Tendenza a vedere la liberazione degli uomini neri dal razzismo anche come un processo di riconquista di una mascolinità castrata, causata dalla combinazione di oppressione razziale e sovversione dei rapporti di genere all’interno della famiglia. DUPLICE OBIETTIVO del saggio del ’71 e poi sviluppato in “Donne, razza e classe” nel 1981: Sfatare il mito del matriarcato nero in base al quale le donne nere avrebbero beneficiato di un potere relativo rispetto agli uomini durante lo schiavismo; Mettere in luce il ruolo dimenticato delle donne nere nelle ribellioni contro lo schiavismo e nel movimento abolizionista. Davis sperava che il movimento di liberazione nero ripensasse pienamente il processo di liberazione dall’oppressione razziale come liberazione delle donne dall’oppressione di genere. Il testo del Combahee River Collective dell’aprile 1977 rappresenta una delle prime esplorazioni femministe dell’intreccio di oppressione di genere, oppressione razziale e sfruttamento di classe. La ricostruzione di Angela Davis della collaborazione e delle tensioni tra movimento suffragista e movimento abolizionista mostra come queste si siano riproposte negli anni Sessanta e Settanta tra movimento femminista e le donne afroamericane. Emerge, inoltre, una cecità del movimento femminista americano rispetto alle differenze di esperienze e di politicizzazione tra donne bianche e donne afroamericane. Davis sfata il mito dell’indifferenza delle donne nere rispetto a temi come il diritto all’aborto e alla contraccezione. Il problema non risiedeva nell’interiorizzazione di ideologie sessiste da parte delle donne afroamericane, ma piuttosto nella mancata presa in considerazione del movimento femminista della storia complessa dei diritti riproduttivi delle donne di colore, vittime di politiche eugenetiche. Secondo Angela Davis un movimento di liberazione, per essere veramente universalista, deve quindi tenere conto della stratificazione delle esperienze dei diversi soggetti. Davis adotta un approccio marxista riguardo alla questione del rapporto tra capitalismo americano e oppressione delle donne di colore. Davis nota come l’esclusione delle donne nere ebbe anche un marcato carattere di classe. METODO DI RICERCA o riscoperta e valorizzazione della storia dimenticata dei processi di ribellione, partecipazione e soggettivazione politica delle donne nere; o approccio integrato all’interconnessione dei rapporti di classe, razza e genere, considerati non solo nella loro dimensione soggettiva ed esperienziale, ma anche dal punto di vista della loro dinamica all’interno di rapporti di produzione capitalistici. Il saggio della Davis ci invita a tenere conto di come le identità di genere non siano mai neutre dal punto di vista razziale e come l’oppressione di genere assuma forme diverse a seconda dell’identità etnica, religiosa o razziale. Dunque è necessario considerare la complessità di processi di politicizzazione concreti che possano vedere come protagoniste le donne di colore e migranti. 1)L’eredità della schiavitù. Principi per una nuova condizione delle donne. Durante gli anni Settanta il dibattito sulla schiavitù è riemerso con rinnovato vigore. In una marea di pubblicazioni si nota l’assenza di un libro che affronti in maniera esplicita il tema delle schiave. Davis propone un riesame della storia delle donne nere durante la schiavitù. Le donne nere hanno sempre lavorato al di fuori delle proprie abitazioni e lo spazio dedicato al lavoro è sempre stato ampio. Questo è un modello avviato durante i primissimi tempi della schiavitù. Dunque il punto di partenza per ogni ricerca sulle vite delle donne nere durante la schiavitù dovrebbe essere l’analisi del loro ruolo in quanto lavoratrici. I neri nel sistema schiavistico erano considerati beni mobili e le donne erano considerate al pari degli uomini, quindi prive di genere. Le donne nere erano delle anomalie dal punto di vista dell’ideologia della femminilità sviluppatasi nel XIX secolo, che evidenziava i ruoli della donna come madre allevatrice di figli, gentile compagna o casalinga a vantaggio del marito. Le donne schiave lavoravano nei campi, accanto agli altri uomini schiavi. In tal senso l’oppressione delle donne era identica all’oppressione degli uomini e non si deve dare per scontato che la tipica donna schiava fosse una domestica. Inoltre le donne soffrivano in altre maniere, come gli abusi sessuali. Il profitto determinava i comportamenti del proprietario schiavista verso le schiave: quando era redditizio sfruttarle erano considerate “asessuate”, mentre quando le si puniva esse erano rinchiuse in ruoli esclusivamente femminili. Con l’abolizione della tratta internazionale degli schiavi, gli schiavisti si affidarono alla riproduzione naturale per l’incremento della popolazione nazionale di schiavi. Fu fissato un premio per la capacità riproduttiva della schiava. Tuttavia l’esaltazione ideologica della maternità, popolare nel XIX secolo, non si applicava alle schiave. Le donne schiave non erano “madri”, ma dei semplici strumenti che garantivano la crescita della forza lavoro schiavizzata. Difatti i loro bambini potevano essere venduti e allontanati da loro, come i vitelli delle vacche. Le donne schiave erano vulnerabili a qualsiasi forma di coercizione sessuale. Lo stupro era l’espressione più esplicita della supremazia economica del proprietario e del controllo del sorvegliante sulle donne Nere in quanto “lavoratrici”. Il sistema schiavista scoraggiava inoltre la supremazia maschile dei Neri sulle Nere, mettendo così da parte gli atteggiamenti conservatori e sessisti quando non erano motivati da fini repressivi: le donne Nere, come lavoratrici, non erano definite “sesso debole” o “casalinghe” e gli uomini Neri non potevano candidarsi alla figura di “capofamiglia”, perché ciò avrebbe provocato una pericolosa rottura della catena di comando. I proprietari si assicuravano che le loro “riproduttrici” facessero quanti più bambini possibile, biologicamente, ma non arrivarono mai al punto da esonerare dal lavoro nei campi le donne incinte o le madri dei neonati. Negli precedenti la Guerra Civile furono promossi timidi tentativi di industrializzazione e il lavoro degli schiavi integrava o addirittura era in competizione con il lavoro degli operai liberi. Le donne schiave erano arruolate negli stabilimenti ed erano considerate più redditizie degli operai liberi o degli schiavi maschi. La maggioranza delle donne che sopravvisse acquisto qualità considerate dei tabù dall’ideologia della femminilità del XIX secolo. Le donne che avevano lavorato sotto la minaccia della frusta sicuramente non provavano orgoglio per il lavoro eseguito, ma erano consapevoli dell’enorme potere di produrre e creare. CAPACITA’ DI DURO LAVORO FIDUCIA NELLA CAPACITA’ DI LOTTARE PER SE STESSE. Con l’avvio dell’industrializzazione aggressiva negli Stati Uniti, si sviluppò l’ideologia della femminilità. Le donne bianche cominciarono ad essere percepite come abitanti di una sfera completamento separata dal regime del lavoro riproduttivo. “Donna” divenne simbolo di “madre” e “casalinga” ed entrambe queste etichette portavano con sé uno stigma di inferiorità. Le forme economiche della SCHIAVITU’, invece, contraddicevano i ruoli sessuali gerarchici incorporati nella nuova ideologia. Le relazioni maschio-femmina nella comunità di schiavi non potevano conformarsi al modello ideologico dominante. La rivolta di Nat Turner annunciò che gli uomini e le donne neri erano scontenti del destino di schiavi, ed iniziarono ad opporvisi. Nel 1831 nacque il movimento abolizionista organizzato e nello stesso periodo iniziarono manifestazioni e scioperi di giovani donne e bambini. Nello stesso periodo alcune ricche donne bianche cominciarono a combattere per il diritto all’educazione e per l’accesso a carriere lavorative al di fuori delle proprie case. Le donne bianche paragonavano la propria situazione con la schiavitù per denunciare l’oppressione. Sicuramente erano le operaie ad avere più diritto delle donne della classe media a fare confronti con lo schiavismo. Tuttavia furono le donne più ricche ad invocare lo schiavismo per esprimere la natura oppressiva del matrimonio. Però ignoravano che identificando le due istituzioni (schiavitù-matrimonio) si affermava che la schiavitù non fosse peggio del matrimonio. La cosa importante era che le donne bianche di classe media sentivano una certa affinità con le donne e gli uomini neri . Difatti le donne bianche furono attivamente coinvolte nel movimento abolizionista. Philadelphia Female Anti-Slavery Society (1833), American anti-slavery society , fatti di Canterbury e nascita del giornale Liberator (1831) Un discreto numero di donne bianche manifestò sostegno alla causa dei Neri, gettando le basi per un’alleanza tra due gruppi oppressi. Sempre nel 1833 Prudence Crandall, insegnante di Canterbury, sfidò gli abitanti bianchi della sua città, accettando nella propria scuola una ragazza Nera. Questa presa di posizione divenne il simbolo della possibilità di un’alleanza tra la lotta per la liberazione dei Neri e la battaglia per i diritti delle donne. Charles Harris presentò Crandall a William Lloyd Garrison che pubblicava su Liberator, giornale antischiavista, articoli sulla scuola. I cittadini di Canterbury si opposero contro di progetti di Crandall: “la nazione con tutte le sue istituzioni di diritto, appartengono agli uomini bianchi”. Prudence Crandall non aveva solo violato il codice di segregazione razziale1, ma aveva anche sfidato le norme tradizionali di condotta delle donne bianche. Nel 1833 il giornale abolizionista Liberator si era creato un ampio gruppo di abbonati neri e di operaie bianche. Tuttavia le donne bianche più in vista erano quelle che non erano obbligate a lavorare per un salario donne della classe media e della nascente borghesia. In quegli anni le donne “casalinghe” dell’era del capitalismo industriale, avevano perso importanza nella casa e il loro status aveva avuto una conseguente svalutazione. Esse avevano però guadagnato tempo libero. Alla fondazione della American Anti-Slavery Society parteciparono solo quattro donne, nelle vesti di “ascoltatrici”. Inoltre esse non furono invitate a firmare la Declaration of sentimens and purposes. Insomma, il sessismo impedì agli uomini di coinvolgere nel movimento abolizionista un vasto potenziale di donne. Tra queste Lucretia Mott organizzò l’assemblea inaugurale del Philadelphia Female Anti-Slavery Society nei giorni successivi al congresso maschile. La Boston Female Anti-Slavery Society era un’altra delle organizzazioni femminili che fiorirono nel New England dopo la formazione dell’associazione di Philadelphia. Durante i convegni spesso le donne erano assalite dalla folla inferocita e razzista rischiando la vita. All’interno del movimento abolizionista le donne bianche approfondirono la conoscenza della natura dell’oppressione umana. Esse affermarono il proprio diritto a opporsi alla schiavitù e allo stesso tempo protestarono contro la propria esclusione dall’arena politica. Nella campagna contro la schiavitù le donne erano stimate per la loro attività concreta. Esse impararono a sfidare la supremazia maschile all’interno del movimento contro la schiavitù: il sessismo poteva essere combattuto nell’arena della lotta politica. Eleanor Flexner mette in luce come quest’esperienza politica fu essenziale per lanciare la campagna per i diritti delle donne più di un decennio dopo. Appresero l’uso della petizione contro 1 Sistema di dominazione dei bianchi sugli afroamericani sorto negli ex Stati confederati dopo la guerra civile statunitense (1861-1865). Comportò la separazione fisica nella vita sociale, il confinamento dei neri in alcuni settori occupazionali a basso reddito e la loro esclusione dal voto. Avallata dalla Corte suprema alla fine del sec. 19°, fu dichiarata incostituzionale con la desegregazione delle scuole nel 1954 e dei trasporti negli anni successivi. Le sue ultime vestigia legislative furono eliminate con le leggi sui diritti civili e politici del 1964 e 1965. la schiavitù e al tempo stesso erano obbligate a battersi per il proprio diritto a impegnarsi nella politica. Le sorelle Sarah e Angelina Grimke hanno collegato in modo magistrale il tema della schiavitù e l’oppressione delle donne. Queste sorelle cominciarono a tenere conferenze nel New England ed un gruppo sempre più grande di uomini iniziò a parteciparvi. Queste assemblee non avevano precedenti perché nessuna donna era mai riuscita a rivolgersi regolarmente a un pubblico misto senza trovarsi davanti urla di disprezzo e forme di derisione. Tuttavia dalle autorità religiose arrivarono le più grandi accuse. Nel 1837 il Council of Congregationlist Ministers of Massachussets si espresse con una lettera pastorale punendo le sorelle perché sovvertivano il ruolo delle donne prescritto dalla divinità, cioè quello di “consapevolezza della debolezza che Dio ha fornito le donne”. Bisogna sottolineare che la priorità delle sorelle era mettere in luce l’essenza inumana del sistema schiavistico e la speciale responsabilità delle donne nella sua riproduzione. Dopo gli attacchi dei suprematisti bianchi, esse si resero conto che dovevano difendersi in quanto DONNE. Nel saggio “The Equality of the Sexes and the Condictions of Womens” (1838) Sarah Grimke metteva in discussione l’idea che la disuguaglianza tra i sessi fosse comandata da Dio. Un decennio prima della nascita del movimento per i diritti delle donne contro l’ideologia suprematista maschile, le sorelle Grimke spronavano le donne a resistere alla passività e dipendenza imposte dalla società. Le sorelle Grimke erano consapevoli del fatto che le donne bianche del Nord e del Sud prendessero coscienza dei particolari legami che le legavano alle sorelle Nere. Dato che l’abolizione della schiavitù era la necessità politica prioritaria dell’epoca, spronarono le donne a partecipare a quella lotta sapendo che la loro stessa oppressione era alimentata dalla permanenza del sistema schiavistico. 3) Classe e razza agli albori della lotta per i diritti delle donne. L’apertura della World Anti-Slavery Convention (1840, Londra) segna l’inizio del movimento organizzato delle donne negli Stati Uniti. Un’interpretazione comune vede il movimento per i diritti delle donne originariamente ispirato da un’intollerabile supremazia maschile nel movimento anti-schiavista. Le donne degli USA, che rappresentavano l’American Anti-Slavery Society, parteciparono a questa conferenza, ma si ritrovarono escluse dal voto. Lucretia Mott, ad esempio, aveva lottato per partecipare in piena uguaglianza ai lavori dell’Anti-Slavery Society. Elizabeth Cady Stanton, invece, non aveva esperienza politica, ma era solo la moglie di un leader abolizionista. Le mancavano quindi anni di lotta in difesa del diritto delle donne a partecipare alla causa antischiavista. Alla Convention del 1840 le abolizioniste si resero comunque conto di aver raggiunto risultati positivi. Alcuni leader antischiavisti uomini si opposero alla scelta di escluderle (come W. L. Garrison e N. P. Rogers, che si unì alle donne in galleria invece di sedersi in platea, e Charles Remond). Dunque alcuni avevano iniziato a sfidare le ingiustizie del suprematismo maschile. La vita di Stanton, che aveva passato una lotta personale contro il sessismo, era particolarmente sensibile alla situazione delle donne bianche di classe media=DILEMMA DELLA DONNA DI CLASSE MEDIA: Competenze intellettuali Matrimonio e maternità che le precludono la conquista delle mete che si era proposta di raggiungere da donna non sposata. Molte donne stavano diventando consapevoli delle contraddizioni delle proprie esistenze e avevano imparato che era possibile combattere per l’uguaglianza. Durante la preparazione del congresso di Seneca Falls2 Stanton propose il suffragio femminile, ma Mott si oppose. L’unica persona che l’appoggiò fu Frederick Douglass. Nel 1848 a Seneca Falss l’argomento del diritto di voto delle donne fu l’unico punto di divisione: la risoluzione sul suffragio non venne accolta in maniera unanime. F. Douglass si mobilitò pubblicamente per l’uguaglianza politica delle donne: “tutto ciò che caratterizza l’uomo come essere intelligente e responsabile è altrettanto vero per la donna”. Negli Stati Uniti a metà Ottocento l’argomento dell’uguaglianza delle donne non era ancora accettato dall’opinione pubblica, ma era parte di un movimento embrionale, sostenuto dai Neri che lottavano per la libertà. Declaration of Sentiments: al cuore della dichiarazione di Seneca Falls c’erano l’istituzione del matrimonio e i suoi effetti negativi sulle donne, che erano private dei diritti di proprietà e dipendenti del marito sul piano economico e morale. Quest’ultimo aveva il diritto di punirle e le leggi sulla separazione e il divorzio si basavano sulla supremazia dell’uomo. Le donne pativano una disuguaglianza nelle istituzioni educative e nelle professioni e di conseguenza avevano scarso rispetto e fiducia in se stesse. In questa dichiarazione è fondamentale il ruolo di chiara coscienza dei diritti delle donne dell’epoca. Era l’apice di sfide verso una condizione oppressiva per le donne della borghesia e del nuovo ceto medio. Tuttavia la dichiarazione quasi ignorava il dramma delle bianche di classe operaia e delle Nere. Questa dichiarazione propose un’analisi della condizione della donna che trascurava le condizioni di tutte quelle che non appartenevano alla classe sociale di coloro che avevano stilato il documento. Operaie: le donne erano la vasta maggioranza dei lavoratori industriali nel 1831, quando l’industria tessile rappresentava ancora il cuore della nuova rivoluzione industriale. Tuttavia queste donne operaie non appartenevano alla classe sociale di coloro che avevano scritto la Declaration of Sentiments. La vita negli opifici era descritta come il preludio della vita matrimoniale, ma in realtà vi erano atroci condizioni di lavoro, dormitori affollati e poco tempo per i pasti. Le operaie in sostanza protestavano contro la doppia oppressione che pativano in quanto donne e operaie. Nell’estate del 1848 all’epoca del congresso di Seneca Falls, le condizioni di lavoro si erano talmente deteriorate, che le figlie dei contadini erano diventate una minoranza. A sostituire queste donne “nate bene” vi erano immigrate che stavano diventando il proletariato industriale della nazione. Quest’ultime protestavano per il diritto a sopravvivere. Le donne della Lowell Female Labor Reform Association lottava per la riduzione della giornata di lavoro a dieci ore e raggiunsero il primato di un’inchiesta sulle condizioni di lavoro da parte di un organo governativo nella storia degli USA. Le operaie bianche hanno ottenuto il diritto di essere considerate delle pioniere del movimento. Esse hanno sfidato la supremazia maschilista in un loro maniera specifica, ma non furono prese in considerazione dalle figure di spicco che avevano lanciato il nuovo movimento, ad esempio la Seneca Falls Convention. Un’operaia che si chiamava Charlotte Woodward aveva partecipato a quell’incontro per migliorare la propria condizione di lavoratrice e Lucretia Mott propose una risoluzione chiedendo che “alle donne venisse assicurata una partecipazione uguale agli uomini negli affari”. Forse il piccolo contingente di operaie a Seneca Falss aveva protestato per l’esclusione dei propri interessi dalle risoluzioni originarie, ma in ogni caso erano in minoranza. Un gruppo di donne a cui mancò completamente un appoggio furono le schiave. 2 Seneca Falls Convention, assembly held on July 19–20, 1848, at Seneca Falls, New York, that launched the woman suffrage movement in the United States. Seneca Falls was the home of Elizabeth Cady Stanton, who, along with Lucretia Mott, conceived and directed the convention. The two feminist leaders had been excluded from participating in the 1840 World Anti-Slavery Convention in London, an event that solidified their determination to engage in the struggle. Non deve stupire se il Partito democratico cercasse di ostacolare l’estensione del diritto di voto ai maschi Neri, difendendo il suffragio femminile. OPPORTUNISTI ERANO: o I democratici che si preoccupavano per l’uguaglianza delle donne; o I repubblicani che sostenevano il suffragio maschile dei Neri. Nel 1869 la Equal Rights Association tenne un’assemblea mentre il XV emendamento (proibiva la discriminazione elettorale su base razziale o precedente stato di schiavitù, MA NON LA DISCRIMINAZIONE DI GENERE) stava per diventare legge. Le principali sostenitrici del suffragio femminile si opposero a questo emendamento, anche se F. Douglass dimostrava che gli ex schiavi pativano un’oppressione che era qualitativamente e brutalmente differente da quella delle donne di classe media. Douglass sosteneva anche che l’approvazione del XV emendamento fosse il “completamento della prima metà delle nostre richieste”. La poetessa nera Frances E. W. Harper diceva: “quando si tratta di questioni razziali, lasciamo stare le questioni di genere, che sono di minore importanza”. Stanton e Susan Anthony appoggiarono lo scioglimento della Equal Rights Association e formarono la National Woman Suffrage Association. La fine della Equal Rights Association pose un termine all’alleanza tra il movimento per la liberazione dei Neri e quello per la liberazione delle donne. Sebbene all’interno dell’Associazione non ci fossero sempre sostenitori dell’uguaglianza tra i sessi e alcuni leader fossero dei suprematisti maschi (sessismo), la risposta razzista di Stanton era priva di giustificazione (razzismo): “degradato e oppresso, il maschio Nero sarebbe più dispotico, se avesse il potere, di quanto non siano i nostri dominatori sassoni”. F. Douglass rimane il più importante sostenitore maschile dell’emancipazione delle donne di tutto il XIX secolo, anche se merita critiche severe non tanto per l’appoggio al suffragio maschile quanto per il motivo del potere del voto per il Partito repubblicano. Questo partito infatti si opponeva alle richieste rivoluzionarie della popolazione Nera e partecipò in maniera sistematica alla privazione dei diritti civili del popolo Nero (=sia il razzismo sia l’iniziale sostegno al suffragio dei Neri erano un espediente per il vincolo di fedeltà al capitalismo). La visione di Douglass del voto come rimedio ai mali dei Neri, può aver incoraggiato la rigidità razzista delle femministe. 5) Il significato dell’emancipazione secondo le donne Nere Dopo 25 anni, un gran numero di donne Nere ancora lavorava nei campi. 1890 2,7 milioni di donne Nere e di ragazze con più di 10 anni: o 38,7% in agricoltura o 30,8% in servizi domestici o 15,6% in lavanderia o 2,8% in manifattura Spesso le donne ex-schiave si trovavano costrette a firmare contratti a condizioni precedenti alla guerra oppure se prendevano “in affitto” la terra di rado possedevano il denaro per saldare le rate dell’affitto o per acquistare dei beni. Poiché i proprietari terrieri fissavano delle ipoteche sui raccolti, i Neri erano obbligati a stare sempre dentro ai ruoli della schiavitù. Inoltre erano arrestati col minimo pretesto e venivano dati alle autorità come “lavoratori forzati”. Il sistema dei lavori forzati non faceva differenze tra lavoro maschile e lavoro femminile: una delle ragioni per la fondazione dell’Afro-American League era l’indifferenziata mescolanza tra uomini e donne nelle carceri. I proprietari del sud si affidavano in maniera esclusiva alla manodopera carceraria, dunque sia i latifondisti sia le autorità statali acquisirono un interesse economico nell’incrementare la popolazione penitenziaria. Questo sistema di giustizia era oppressivo per gli ex schiavi, ma le donne erano quelle a subire le più brutali violenze del sistema giudiziario. Gli abusi sessuali patiti durante la schiavitù non si fermarono con l’emancipazione. Se le donne non lavoravano nei campi, erano domestiche e anche loro con un’impronta della schiavitù. Fuori dal sud le donne bianche che lavoravano come domestiche erano generalmente immigrate europee che erano obbligate ad accettare qualsiasi lavoro. Le donne Nere per più di 2/3 furono obbligate a svolgere mansioni come: cuoca, bambinaia, sguattera, cameriera d’albergo, venditrice ambulante o portinaia. Lavoravano 14 ore al giorno con un solo pomeriggio libero ogni due settimane. Erano chiamate sempre con il nome di battesimo o con appellativi come “La Negra” o “La schiava”. Uno degli aspetti più umilianti era la revoca temporanea delle leggi di Jim Crow nel momento in cui un servitore Nero si trovava ad accompagnare un bianco (una nera poteva sedere, ad esempio, sul bus con i bianchi se era una “bambinaia”). Le donne Nere che lavoravano come domestiche consideravano l’abuso sessuale fatto dall’uomo di casa come uno dei principali rischi professionali. Nel 1919 le leader degli stati del sud della National Association of Colored Woman condivisero le proprie lamentele e in cima alla lista c’erano le condizioni del lavoro domestico. La condizione vulnerabile delle lavoratrici domestiche ha alimentato i miti sull’immoralità delle Nere: esse sono viste come inette e promiscue. I datori di lavoro al nord non avevano sostanzialmente un atteggiamento diverso da quello dei precedenti proprietari. In 32 stati su 48 il servizio domestico era l’occupazione dominante per uomini e donne Neri: emigrati dal sud, al nord avevano scoperto che non c’erano altre occupazioni disponibili per loro. I datori di lavoro pensavano di fare dei complimenti ai Neri, dichiarando di preferirli ai bianchi come lavoratori domestici. Così facendo, sostenevano che i Neri erano destinati a fare i servitori. La definizione dei Neri come servitori è un puntello essenziale dell’ideologia razzista. CONVERGENZA RAZZISMO e SESSIMO nel lavoro domestico la condizione delle donne lavoratrici bianche è spesso legata allo status oppressivo delle donne di colore. Difatti la paga per la domestica bianca migrante è fissata da criteri razzisti per calcolare le paghe delle servitrici Nere (vicinanza tra Nere e migranti). Tuttavia, le donne bianche si trovavano a lavorare come domestiche, perché non trovavano altri, ma le donne Nere sono state intrappolate in queste mansioni fino alla Seconda guerra mondiale. A New York, ad esempio, si poteva contare negli anni Quaranta circa duecento “mercati di schiave”, dei veri e propri punti di raccolta per donne alla ricerca di lavoro. Inoltre, il lavoro domestico era anche il più difficile da sindacalizzare. Nel 1939 solo 350 domestiche su 100.000 si erano unite nella New York Domestic Workers Union. Inoltre le donne bianche (anche le femministe) hanno manifestato una riluttanza a riconoscere le lotte delle domestiche: questo perché le persone che lavorano come servitrici sono generalmente viste come subumane. La serva è considerata una mera estensione di se stessa e le femministe non erano consapevoli del proprio ruolo attivo come agenti di oppressione. Angelina Grimke in “Appeal to the Christian Women of the South” sosteneva che le donne bianche non mettevano in discussione la schiavitù avevano grandi responsabilità riguardo la disumanità di questa istituzione. Difatti la Domestic Workers Union espose il ruolo delle casalinghe di classe media nell’oppressione delle lavoratrici domestiche Nere. La situazione economica delle donne Nere non mostrò segni di cambiamento fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale. Nel 1940 il 59,5% delle assunte era una lavoratrice domestica e il 16% era impiegato ancora nei campi. Quando gli Stati Uniti entrarono in guerra, il lavoro femminile fece girare l’economia bellica e più di 400.000 donne Nere smisero di fare un lavoro domestico. W. E. B. DuBois sosteneva che “fino a quando il servizio domestico dei Neri fosse rimasto la regola, l’emancipazione sarebbe sempre rimasta un concetto astratto”. 6) Educazione e liberazione: le prospettive delle donne Nere Milioni di donne e uomini Neri pensavano che l’emancipazione sarebbe stata “la venuta del signore”. Tuttavia, quando arrivò l’emancipazione i Neri ebbero difficoltà a celebrare i principi astratti della libertà. Ciò che volevano era: la terra, il diritto di voto e il diritto all’istruzione. Il diritto all’istruzione era fondamentale per l’emancipazione. Ad esempio, F. Douglass aveva un enorme desiderio di conoscenza quando era uno schiavo da bambino, mentre i proprietari di schiavi sostenevano che: “la cultura può rovinare il migliore Negro al mondo”. Anche la terra era indispensabile per l’emancipazione. Per avere la terra dovevano combattere, così come per il potere politico. La comunità Nera di Memphis si riunì in assemblea e decise che l’educazione era la priorità. Secondo l’ideologia prevalente i Neri erano considerati incapaci di progressi intellettuali e inferiori rispetto agli esseri umani bianchi. Tuttavia, se fossero stati davvero inferiori, non avrebbero manifestato il desiderio e la capacità di istruirsi e quindi CI SAREBBE STATO BISOGNO DI VIETARLO. L’immagine più straordinaria di questo primo desiderio di educazione è stato quanto fatto da una donna nata in Africa e che un tempo era stata schiava. Già nel 1793 Lucy Terry Prince chiese agli amministratori del Williams College for Men spiegazioni riguardo al rifiuto di ammettere nell’istituto suo figlio. Questa donna riuscì a difendere il diritto e il desiderio di istruzione della sua gente. Nello stesso anno una ex schiava fondò una scuola a New York, conosciuta come Katy Ferguson’s School for the Poor. Quarant’anni dopo Prudence Crandall difese il diritto delle ragazze Nere di frequentare la sua scuola a Canterbury in Connecticut. Crandall fu imprigionata per essersi rifiutata di chiudere la scuola. Non è un caso che gli esempi di sorellanza tra bianche e Nere fossero associati alla storica lotta del popolo Nero per l’istruzione. Margareth Douglass e Myrtilla Miner ebbero la stessa sorte di Crandall: la prima fu imprigionata a Norfolk per aver diretto una scuola per bambini Neri e la seconda rischiò la vita nel 1851 fondando una scuola superiore per la formazione di insegnanti di colore a Washington (uno stato in cui l’istruzione per i Neri era considerata un crimine). Secondo F. Douglass pochi bianchi fuori dalla cerchia degli attivisti abolizionisti avrebbero simpatizzato con la causa di Myrtilla Miner, perché era un periodo in cui la solidarietà verso i Neri andava diminuendo. Gli studenti di Miner e lei stessa furono vittime di sfratti, tentativi di incendi e crimini di un’aggressiva teppa razzista. Al fianco di queste giovani insegnanti coraggiose, c’era giovani donne e abolizionisti come Harriet Beecher Stowe. Tante donne bianche difesero le sorelle Nere nelle situazioni più pericolose per affermare il diritto all’educazione. Inoltre i Neri e le Nere che avevano ricevuto un’istruzione scolastica associavano il sapere alla battaglia collettiva del proprio popolo per la libertà . L’insaziabile sete di conoscenza era forte tra gli schiavi del sud come i Neri liberi del nord, anche se le restrizioni contro l’alfabetizzazione entrano più rigide negli stati schiavisti che nel nord. Dopo la rivolta di Nat Turner (1831)3 fu resa più severa la legge che proibiva l’istruzione degli schiavi. In tutto il sud i proprietari di schiavi dovettero affidarsi alla frusta e alle flagellazioni per contrastare il bisogno di studiare degli schiavi: IL POPOLO NERO ERA DECISO AD ISTRUIRSI. Secondo molti storici c’era un grande desiderio di apprendimento, una “smania per l’istruzione” (Lerone Bennet). Nella massiccia campagna educativa organizzata dal Freedman’s Bureau si nota che metà degli insegnanti volontari erano donne. Queste donne bianche del nord andarono al sud per assistere le Nere per spazzare l’analfabetismo di milioni di ex schiavi. L’analfabetismo raggiungeva infatti 3 Rivolta di Nat Turner: Nat Turner (1800-1831), nato schiavo, sostenuto dal convincimento di aver ricevuto da Dio la missione di salvare gli schiavi, nell’agosto 1831 fu protagonista, con alcuni seguaci, di una violenta insurrezione; catturato, fu impiccato. Innumerevoli documenti storici confermano l’atmosfera di aggressioni razziste e al tempo stesso registrano le potenti sfide lanciate dai Neri. RAZZISMO-SESSISMO: con l’inizio del Novecento, la promozione della propaganda razzista si diffuse assieme alle idee sull’inferiorità delle donne. Le persone di colore erano dipinte come “barbari incompetenti” e le donne bianche erano rigorosamente rappresentate come figure materne, la cui funzione principale era allevare i maschi. Le bianche erano considerate le “madri della razza”. Il razzismo stava sviluppando radici durature all’interno delle organizzazioni femminili bianche e anche il culto sessista della maternità si era infilato nel movimento per il suffragio femminile. Al Congresso del 1901 Anthony sosteneva delle idee che riflettevano l’influenza dell’eugenetica. Le donne assurgevano ad un nuovo scopo: diventare salvatrici della Razza ---> dunque, per questa ragione, Anthony chiede “l’immediata e incondizionata emancipazione da ogni soggezione politica, industriale e religiosa”. Durante lo stesso Congresso, la nuova presidente, Carrie Chapman Catt, metteva in evidenza tre grandi ostacoli per il suffragio delle donne: o Militarismo o Prostituzione o Diritto di voto “allo straniero, al Negro e all’indiano” --> “introduzione nel corpo politico di un vasto numero di cittadini irresponsabili, hanno reso timida la nazione”. Nel 1903 la NAWSA fu testimone di un’esplosione di argomentazioni razziste: le propugnatrici della supremazia bianca erano decise a prendere il controllo dell’organizzazione. Le tesi razziste si associavano al culto della maternità. Belle Kearney (delegata del Mississipi) si riferiva con durezza alla popolazione Nera del sud, sostenendo che il loro voto era un “peso mortale”. Inoltre Kearney insisteva sul gatto che le scuole per i Neri erano “adatte solo a dare potere al Negro” e il risultato sarebbe stato la guerra razziale. Un senatore, Ben Tillman della South Carolina, avvertì che i college e le scuole per Neri del sud avrebbero inevitabilmente condotto al conflitto razziale. E’ da sottolineare anche il fatto che il conflitto razziale non emergeva spontaneamente, ma era pianificato dai rappresentanti delle classi economiche in ascesa. L’obiettivo era impedire l’unità delle classi lavoratrici in modo da facilitare i propri progetti di sfruttamento. Le “rivolte razziali” erano orchestrate al fine di incrementare le tensioni e l’antagonismo all’interno della working class multiculturale. Belle Kearney al congresso del NAWSA di New Orleans disse di aver scoperto un modo sicuro per contenere gli antagonismi razziali all’interno di limiti accettabili: dare il diritto di voto alle donne, applicando al tempo stesso dei limiti al diritto di voto basati su istruzione e proprietà ---> le donne avrebbero assicurato una duratura supremazia bianca. Questa teoria orribile rifletteva le teorie che stavano diventando popolari all’interno del movimento per il suffragio femminile. Per anni la NAWSA aveva giustificato l’indifferenza verso l’uguaglianza razziale invocando l’argomento della scelta tattica. ORA, ad inizio secolo, il suffragio femminile era rappresentato sempre come una scelta tattica, ma per conquistare la supremazia razziale. Quello che doveva essere preservato a ogni costo non era più l’uguaglianza politica delle donne, ma la superiorità razziale dei bianchi. 8) Le donne Nere e il movimento dei club Nel 1900 la General Federation of Women’s Club (nata nel 1890) si rivelò razzista, perché escluse la delegata Nera inviata dal Boston’s Women’s Era Club. Questo gruppo era il frutto dei primi tentativi delle donne Nere di organizzarsi all’interno del movimento. La rappresentante Josephine St. Pierre Ruffin sarebbe stata accolta come rappresentante di un altro club bianco di cui faceva parte, ma non del Boston’s Women’s Era Club. Il caso Ruffin dimostrava la segregazione razziale all’interno della General Federation of Women’s Clubs. Poco tempo dopo una notizia falsa riportata dalla federazione, fece tornare sui propri passi le donne bianche che avevano protestato contro l’esplicito razzismo dell’organizzazione. La storia di una donna bianca, figlia della presidente di un club, che aveva avuto un “figlio nerissimo” da un ragazzo (figlio di una donna Nera appartenente al club) difficilmente identificabile come Nero, voleva dimostrare che i club misti avrebbero deturpato l’immagine delle donne bianche. Nel 1895 aveva avuto luogo il primo congresso nazionale delle donne Nere. Le prime esperienze delle Nere risalgono a prima della Guerra civile, che, come le donne bianche, avevano preso parte a società letterarie e organizzazioni di beneficienza. L’obiettivo principale delle donne Nere era la lotta contro la schiavitù. Le Nere erano state spinte meno da uno spirito caritatevole e più dall’esigenza materiale della sopravvivenza del proprio popolo. A seguito dell’abolizione della schiavitù, gli anni Novanta dell’Ottocento furono i più difficili per la popolazione Nera. Fu infatti a seguito di un’ondata furiosa di linciaggi e violenze sessuali indiscriminate nei confronti di Nere che venne fondato il primo club. L’origine della General Federation of Women’s Club risale all’esclusione delle donne dal New York Press Club nel 1868: nasce la fondazione del Sorosis a New York e il New England Women’s Club. Da qui iniziò la proliferazione di club e nel 1890 nacque una federazione nazionale. Nel 1892 la General Federation of Women’s Club contava 190 circoli. Le donne Nere che lavoravano al di fuori delle case erano molto più numerose rispetto alle loro sorelle bianche e non dovevano affrontare la vita domestica delle bianche di classe media. TUTTAVIA i club delle Nere non erano composti da donne lavoratrici e ciò che le distingueva dalle bianche era la consapevolezza della necessità di opporsi al razzismo. Ciò le rese più vicine alle sorelle della working class molto più che alle donne bianche di classe media. Il primo importante incontro indipendente delle donne Nere fu a seguito dell’aggressione razzista (distruzione della sede del suo giornale a Memphis) della giornalista Ida B. Wells. Qualche tempo dopo un comitato di 250 donne si diede il compito di “risvegliare l’intera opinione pubblica”. All’incontro dell’ottobre 1982 al New York’s Lyric Hall Ida B. Well intervenne con parole molto toccanti sulla questione del linciaggio. In seguito a questa manifestazione, le donne che ne avevano curato l’organizzazione decisero di creare delle organizzazioni permanenti, cui diedero il nome di Women’s Loyal Union. Questi furono i primi club guidati esclusivamente da Nere ---> INIZIO DEL MOVIMENTO DEI CLUB DELLE DONNE DI COLORE. Molti club permanenti vennero formati a seguito degli incontri organizzati da Wells, come ad esempio il Boston’s Women’s Era Club. Wells fu un’organizzatrice dinamica e fondatrice del primo club di Nere a Chicago. Inoltre affiancò F. Douglass nella protesta contro l’Esposizione universale del 1893 (opuscolo pubblicato in occasione della fiera con il nome “Perché le donne di colore sono assenti dall’Esposizione universale di Chicago”). Poco dopo Wells convinse le donne a creare un club permanente come avevano fatto altre Nere. Nel club di Chicago erano coinvolte le famiglie Nere più abbienti, cioè la nascente borghesia Nera, ma anche insegnanti, casalinghe e studentesse. Questo club era apertamente impegnato nella lotta per la liberazione dei Neri. Allo stesso tempo il Club di Boston continuava la strenua difesa delle persone Nere. A seguito del rifiuto della Chiesa unitariana di approvare una risoluzione contro il linciaggio, le componenti del Club di Boston protestarono e pubblicarono una lettera aperta: viene sottolineata la privazione di spazi di formazione e cultura subita dalle Nere e fanno appello ad una protesta di massa contro il linciaggio. 1895: a Boston si tenne la First National Conference of Colored Women. La Conferenza non era una semplice emulazione della General Federation of Women’s Clubs, ma una strategia comune di resistenza alle aggressioni propagandistiche contro le Nere e al dispotismo della legge sul linciaggio ---> SOSTENGO ALLA CAMPAGNA CONTRO IL LINCIAGGIO DI IDA WELLS. Differenza tra club delle Nere e delle bianche: il movimento dei club delle donne Nere dedicava tutto il suo impegno alla lotta per la liberazione dei Neri, le dirigenti di ceto medio bianche adottavano a volte degli atteggiamenti elitari nei confronti delle masse popolari. Nel 1895 la National Federation of Afro-American Women riunì più di 30 club attivi e nel 1896 fu fondata a Washington la National League of Colored Women. Nel giro di poco tempo le due associazioni si fusero nell’ASSOCIATION OF COLORED WOMEN’S CLUB. Tuttavia si poteva notare un’ostilità reciproca tra le dirigenti (Mary Church Terrell e Ida B. Wells). Secondo Wells la preoccupazione di non essere eletta presidente portò Terrell a escludere l’ex giornalista e a minimizzare la questione della lotta al linciaggio che la sua rivale era arrivata a personificare. Mary Church Terrell (nata in una famiglia di ex-schiavi) era la terza donna Nera diplomata nel paese e divenne la prima donna nera a ricevere un incarico dal Board of Education. Avrebbe sicuramente avuto successo attraverso una carriera accademica, ma la preoccupazione per la liberazione collettiva dei Neri, la portò a dedicare tutta la sua vita adulta alla lotta per la liberazione del popolo nero. Anche Ida B. Wells era nata in una famiglia di ex schiavi e le sue difficoltà personali non le impedirono di intraprendere un percorso di attivismo antirazzista. Dopo la distruzione della sede del suo giornale contro il linciaggio a Memphis (come già detto), fu costretta all’esilio: il suo appello riuscì a ottenere un seguito inaspettato. Nella sua lunga esperienza contro il linciaggio, divenne un’esperta di tattiche di agitazione e conflitto. Tuttavia, nessuna eguagliava Terrell come promotrice della liberazione dei Neri, nello scrivere e nel parlare. La faida tra le due fu una costante nella storia del movimento dei club delle donne Nere, ma furono senza dubbio le due Nere più eccezionali del proprio tempo. 9) Lavoratrici, donne Nere e la storia del movimento suffragista Durante la Guerra civile un numero enorme di donne bianche era andato a lavorare al di fuori delle proprie abitazioni. Il 70% delle donne lavoratrici nel 1870 svolgeva mansioni domestiche e un quarto del lavoro al di fuori del settore agricolo era svolto da donne. Nel settore dell’abbigliamento erano la maggioranza. Contemporaneamente il movimento operaio stava crescendo e contava circa 30 organizzazioni sindacali nazionali. Nel movimento operaio solo i lavoratori del tabacco e i tipografi aprirono alle organizzazioni alle donne. Nel 1866 fu fondata la National Labor Union, i cui delegati furono obbligati a riconoscere gli sforzi organizzativi delle lavoratrici del tessile (esse erano il più ampio gruppo di donne a lavorare fuori casa e contemporaneamente iniziò un fervente clima di sindacalizzazione nelle città dell’industria dell’abbigliamento). Il congresso inaugurale della National Labor Union sosteneva la generale sindacalizzazione delle donne e la piena uguaglianza salariale tra i sessi, riscuotendo la partecipazione di numerose delegate donne tra cui E. C. Stanton e S. B. Anthony. Il Congresso approvò soluzioni più radicali sostenendo la lotta per i diritti delle lavoratrici con maggiore serietà. Alla National Colored Labor Union (1869) le donne furono accolte fin dall’inizio. I lavoratori Neri non volevano commettere l’errore di escludere le donne, come i bianchi. Questo sindacato nero nacque a causa delle politiche escludenti delle organizzazioni bianche e diede prova di essere maggiormente impegnato verso i diritti delle lavoratrici rispetto alle omologhe organizzazioni bianche. Se la National Labor Union aveva solamente approvato delle risoluzioni a favore dell’uguaglianza delle donne, la National Colored Labor Unione elesse una donna nel comitato politico ed esecutivo, Mary S. Carey. Difatti Stanton e Anthony non parlarono mai dei traguardi anti-sessisti del sindacato Nero . In Revolution (con a capo Anthony), il messaggio rivolto alle donne era di lottare per il diritto di voto. Con il suffragio femminile, si sarebbe realizzato il trionfo della morale sul crimine e la miseria in tutta la nazione . Il giornale sostenne sempre la Anche gli Industrial Workers of the World (obiettivo era il socialismo e la strategia la lotta di classe senza tregua), comunemente conosciuti come i “Wobblies” e fondati nel 1905, ammettevano le donne nelle loro strutture e le incoraggiavano a diventare leader e agitatrici. Tuttavia solo gli Industrial Workers avevano un’esplicita politica di lotta contro il razzismo: il Socialist Party non riconobbe mai l’oppressione specifica dei Neri. La maggioranza di loro erano lavoratori e lavoratrici del settore agricolo ma i socialisti sostenevano che solo i proletari fossero rilevanti per il loro movimento. Per i socialisti la principale preoccupazione era la lotta tra capitale e lavoro e il principale obiettivo era l’organizzazione della classe lavoratrice e lo sviluppo di una coscienza di classe rivoluzionaria e socialista. Per quanto riguarda il numero di Nere all’interno del Socialist Party, esse erano veramente rare. Prima della Seconda guerra mondiale il numero di Nere che lavoravano nei settori industriali era esiguo. L’atteggiamento di indifferenza dei socialisti nei confronti delle Nere fu una delle eredità che il Communist Party dovette superare. Tuttavia nel decennio successivo, i comunisti arrivarono a riconoscere la centralità del razzismo nella società statunitense. Lucy Parsons (1853-1942) Parsons è ancora oggi una di quelle poche donne Nere di cui si fa menzione nelle cronache del movimento operaio statunitense. L. Parsons è molto di più di una moglie fedele a sostegno del marito Albert Parsons5. Il suo percorso politico oscillò dalle posizioni anarchiche della gioventù all’adesione al Communist Party in età adulta. Nel 1877 aderì al Socialist Labor Party. Dopo che suo marito fu arrestato a Haymarket, diede inizio a una campagna per la liberazione dei manifestanti di Haymarket. Divenne così una nota leader del movimento operaio e grande sostenitrice dell’anarchismo. Benché fosse NERA e fosse una DONNA, L. Parsons sostenne che il razzismo e il sessismo fossero questioni di secondo ordine rispetto allo sfruttamento capitalista della classe lavoratrice. I Neri e le donne subivano lo sfruttamento capitalista non meno dei bianchi e degli uomini, dunque la strategia principale doveva essere la lotta di classe. Dal punto di vista di Parsons i Neri e le donne non subivano una specifica oppressione e non esisteva la necessità di un movimento di massa che avesse come causa il razzismo e il sessismo (queste erano caratteristiche esistenziali del padronato). L. Parsons e Mary Jones6, conosciuta come Mother Jones, furono le prime a unirsi agli Industrial Workers of the World. Nel discorso che L. Parsons tenne un discorso al congresso di fondazione dei Wobblies nel 1905 e sostenne che le donne erano state strumentalizzate dai capitalisti al fine di ridurre i salari dell’intera classe operaia. Durante gli anni Venti, L. Parsons iniziò a sentirsi sempre più vicina alle lotte del Communist Party e divenne fiduciosa che col tempo la working class avrebbe trionfato anche negli Stati Uniti d’America. Ella Reeve Bloor (1862-1951) Nata nel 1862, Mother Bloor fu una straordinaria sindacalista, una militante per i diritti delle donne, dei Neri, per la pace e il socialismo. Bloor militò nel Socialist Party fino a diventarne una dirigente e divenne una leggenda vivente per la classe lavoratrice di tutto il paese. Dall’ingresso nel Socialist Party alla militanza nel Communist Party, Bloor non teneva conto dell’oppressione specifica dei Neri. Da comunista, invece, lottò contro le tante espressioni del razzismo. 5 Albert Richard Parsons (1848–1887) was a pioneering American socialist and later anarchist newspaper editor, orator, and labor activist. E’ considerato uno dei cosiddetti martiri di Chicago che fu condannato a morte con l'accusa di aver partecipato alla rivolta di Haymarket Square. 6 Mary Harris Jones, nota come Mother Jones, (Cork, 1º maggio 1837 – Silver Spring, 30 novembre 1930), è stata una sindacalista e operaia statunitense di origine irlandese, membro dell'IWW. Durante i primi anni Trenta del Novecento Mother Bloor si recò ad un incontro in Nebraska in sostegno delle lavoratrici di un’azienda e a causa della presenza di persone Nere all’assemblea, le scioperanti furono aggredite da un gruppo di razzisti. Negli stessi anni organizzò la partecipazione di una delegazione statunitense a una conferenza internazionale delle donne a Parigi (1934). Quattro di queste donne erano Nere: Capitola Tasker, Lulia Jackson, Mabel Byrd. Capitola Tesker alla conferenza di Parigi fu eletta segretaria della conferenza. Inoltre propose un confronto tra il fascismo che attraversava l’Europa in quel momento e il terrore razzista subito dai Neri negli USA. Dopodiché descrisse la violenta repressione patita dai mezzadri che avevano cercato di organizzarsi in Alabama. Lulia Jackson sostenne che “la causa della guerra era il capitalismo” e il manifesto contro la guerra fu approvato. Come sosteneva Mother Bloor, la classe lavoratrice non avrebbe mai potuto assumere il ruolo di forza rivoluzionaria se i lavoratori e le lavoratrici non avessero lottato senza sosta contro il dilagante razzismo. La vita di Bloor rivela che come comunista bianca fu una profonda alleata del movimento di liberazione dei Neri. Anita Whitney (1867-1955) Whitney nacque nel 1867 e divenne presidente del Communist Party in California. Nel 1914 aderì al Socialist Party e nonostante le posizioni di relativa indifferenza del partito verso le lotte dei Neri, A. Whitney appoggiò molte lotte antirazziste. Nel 1919 divenne una delle fondatrici del Communist Labor Party e poco dopo l’organizzazione confluì nel Communist Party degli Stati Uniti. Nel novembre 1919 analizzò “il problema Negro degli Stati Uniti” e affrontò la questione del linciaggio. Nel 1919 era ancora molto raro che una persona bianca esortasse altri della sua razza a sollevarsi contro la piaga del linciaggio. La propaganda razzista e il mito dello stupratore Nero alimentarono la segregazione e l’emarginazione. Le persone bianche spesso esitavano a esprimersi contro il linciaggio poiché era giustificato come una reazione alle aggressioni sessuali degli uomini Neri sulle donne bianche del sud. A. Whitney era tra le poche persone bianche che rifiutarono la propaganda razzista dominante e fu sicuramente una delle prime donne bianche del XX secolo a lottare contro il razzismo. Elizabeth Gurley Flynn (1890-1864) Alla sua morte nel 1964, E. G. Flynn aveva militato per la causa socialista e comunista per circa 60 anni. All’età di 16 anni la sua carriera come agitatrice in difesa dei diritti della classe operaia era già iniziata. Flynn si unì alle lotte degli Industrial Workers of the World nel Montana e a Washington. Flynn fu l’ispirazione più forte per le lavoratrici del tessile che protestavano a Lawrence, in Massachusetts, dove i salari degli operai erano bassissimi e la mortalità infantile era molto elavata (come in tutti i villaggi operai). Flynn fu anche al fianco di Frank Little, celebre leader nativo americano e aggredito da un gruppo di razzisti dopo aver promosso uno sciopero di minatori. Un mese dopo la morte di Frank, Elizabeth fu la sola donna tra gli accusati in un’indagine federale per aver “cospirato insieme a F. Little allo scopo di impedire l’esecuzione delle leggi degli Stati Uniti”. Flynn era consapevole sin dall’inizio del suo attivismo dell’oppressione specifica subita dai Neri. L’organizzazione sindacalte dei Wobblies era composta prevalentemente da lavoratori del settore industriale, quasi tutti bianchi. Nella ristretta minoranza di operai Neri le donne erano quasi del tutto assenti perché bandite dall’occupazione industriale. Nel 1937 Flynn entrò a far parte del Communist Party ed emerse come una delle più brillanti leader dell’organizzazione. Criticando la disuguaglianza tra le donne e gli uomini veterani di guerra, Flynn ricordò ai suoi lettori che le donne Nere veterane soffrivano ancora di più delle loro sorelle bianche. Infatti erano soggiogate da una triplice oppressione: NERE, LAVORATRICI, DONNE. Durante l’attacco al Communist Party negli anni del maccartismo Flynn fu arrestata a New York, insieme a tre altre donne (Marian Bachrach, Betty Gannet e Claudia Jones), e denunciata per “insegnamento ed esortazione al rovesciamento violento delle istituzioni”. Nel giugno 1951 le quattro comuniste furono prese dalla polizia e portate alla New York Women’s House of Detention. Dopo il processo per violazione dello Smith Act7, le tre donne furono condannate a scontare la pena nel Federal Reformatory for Women, in Virginia. Poco prima del loro arrivo la prigione aveva ricevuto mandato dal tribunale di sopprimere la segregazione razziale nelle strutture carcerarie. Tuttavia, come sosteneva Flynn, l’abolizione per legge della segregazione nelle prigioni non aveva sancito la fine della discriminazione razziale . Come leader del Communist Party aveva maturato un profondo impegno nella lotta per la liberazione dei Neri ed era arrivata a realizzare che la loro resistenza non era sempre coscientemente politica. Flynn notò una certa solidarietà tra le Nere in carcere e allo stesso tempo erano più ricettive nei confronti di Flynn. Forse percepirono in questa donna bianca comunista un’istintiva affinità nella lotta. Claudia Jones (1915-1964) C. Jones da ventenne assunse un ruolo di responsabilità nella commissione nazionale femminile del partito comunista. Nell’articolo “Per la fine dell’indifferenza verso i problemi delle donne Nere” intendeva rifiutare il classico stereotipo maschilista sul ruolo delle donne. C. Jones rimproverò ai progressisti e ai sindacalisti di non aver riconosciuto gli sforzi di organizzazione delle lavoratrici domestiche Nere. La maggioranza delle lavoratrici Nere erano ancora impiegate nel lavoro domestico e gli atteggiamenti paternalistici nei confronti delle donne di servizio influenzavano la definizione delle Nere come gruppo sociale. Jones credeva nel socialismo come via di liberazione delle donne Nere, così come di tutti i Neri e dell’intera classe lavoratrice multirazziale e sosteneva che le bianche nel movimento progressista, e soprattutto le comuniste, dovessero assumersi una specifica responsabilità nei confronti delle donne Nere. Infatti, Jones sosteneva che la relazione economica che intercorre tra Negre e bianche (“serva-padrona”) manifestava che le donne bianche progressiste dovessero lottare con consapevolezza contro tutte le manifestazioni suprematiste bianche. Jones scoprì, sulla sua pelle, che l’abolizione della segregazione razziale non era effettivamente implementata: Claudia fu assegnata a una “struttura di colore” e fu isolata dalle sue compagne (E. G. Flynn e B. Gannet). 11) Stupro, razzismo e il mito dello stupratore Nero La violenza sessuale sta emergendo come emblema delle disfunzioni della società capitalista contemporanea. L’interesse riguardo al fenomeno ha motivato tante donne a raccontare pubblicamente gli episodi di violenza subita. E’ venuto alla luce tale fatto: poche donne possono affermare di non aver subito o rischiato almeno una volta nella loro vita un’aggressione sessuale. Negli USA (come in altri paesi capitalisti) le leggi sullo stupro erano strutturate a tutela degli uomini delle classi superiori, le cui figlie o moglie rischiavano di essere aggredite. Le donne della working class hanno suscitato di rado l’attenzione dei tribunali e, di conseguenza, un minimo numero di uomini bianchi ha subito un processo per violenza sessuale nei confronti di queste donne. Di rado gli stupratori sono stati portati a giudizio, mentre la denuncia per stupro ha colpito in modo indiscriminato gli uomini Neri, colpevoli o innocenti che fossero. FALSA ACCUSA DI STUPRO ---> strumento forgiato dal razzismo. Il mito dello stupratore Nero è stato evocato ogni volta che era necessario giustificazioni convincenti alla violenza contro la comunità Nera. L’assenza evidente delle Nere dal movimento contro lo stupro deriva dall’indifferenza del movimento nei confronti delle false denunce per violenze sessuale come 7 Smith Act: U.S. federal law that made it criminal offense to advocate the violent overthrow of the government or to organize or be a member of any group or society devoted to such advocacy. The first prosecutions under the Smith Act, of leaders of the Socialist Workers Party (SWP), took place in 1941. After World War II the statute was used against the leadership of the American Communist Party (Communist Party of the United States of America; CPUSA). linciaggio era una forma esplicita di contro-insurrezione per garantire che i Neri non raggiungessero la cittadinanza e l’uguaglianza economica. 2. Quando divenne esplicito che le cospirazioni, complotti, rivolte dei Neri erano solo delle montature, fu modificata la giustificazione del linciaggio: era considerata una misura necessaria per impedire la supremazia Nera sulle persone bianche. 3. Dopo la privazione dei diritti civili ai Neri con la Ricostruzione, l’idea della supremazia politica Nera divenne obsoleta. Eppure, il numero di linciaggi continuò ad aumentare. LO STUPRO ERA EMERSO COME PRINCIPALE GIUSTIFICAZIONE PER I LINCIAGGI. Il linciaggio era ora giustificato per vendicarsi delle aggressioni da parte degli uomini Neri sulle donne bianche del sud. L’allarme razzista sullo stupro divenne una motivazione diffusa e fu molto più efficace delle altre. Gli uomini Bianchi erano scusati di ogni possibile eccesso perché motivati dal dover difender le proprie donne. Il mito dello stupratore Nero soffocò ogni opposizione al linciaggio e riuscì a indebolire il supporto dei Bianchi alla causa dell’uguaglianza dei Neri. Il numero degli stupri effettivi non era nemmeno comparabile con il numero di accuse che si diffusero a causa di questo mito. Secondo F. Douglass accusare in generale i Neri di stupro non era credibile per la semplice ragione che prima e durante la Guerra civile non si registrò nemmeno un caso di stupro di una donna bianca da parte di uno schiavo, MA SOLTANTO DOPO. Ciò avrebbe implicato un cambiamento radicale e istantaneo del carattere morale e mentale delle persone di colore. Anche le circostanze reali di molti linciaggi contraddicevano il mito dello stupratore Nero. Molti sostenitori del linciaggio rivendicavano il dovere degli uomini bianchi di difendere le proprie donne fino a commettere aggressioni così brutali. La colonizzazione dell’economia del sud da parte dei capitalisti del nord diede un grande impulso ai linciaggi. I capitalisti godevano di un doppio vantaggio sulla classe lavoratrice dei Neri: L’ipersfruttamento della forza lavoro Nera assicurava ulteriori profitti; Si potevano disinnescare le ostilità dei lavoratori bianchi nei confronti dei loro padroni, poiché si innescava una solidarietà razziale. I linciaggi sarebbe diminuiti se i Neri avessero accettato uno status inferiore, ma giustamente non abbandonarono mai i sogni di progresso e più di 10.000 persone furono linciate nei 30 successivi alla Guerra civile. Se qualcuno osava sfidare la GERARCHIA RAZZIALE, era considerato una potenziale vittima di linciaggio. L’opinione pubblica era convinta che il linciaggio fosse una risposta legittima alle presunte violenze sessuali contro l’onore delle bianche. Tuttavia venivano stuprate e linciate anche moltissime donne Nere. Si tratta dunque di una vera e propria aggressione contro i Neri come gruppo sociale, dal momento che la figura dello STUPRATORE NERO fa da contraltare a quella della FACILE DONNA NERA. Le donne Nere si misero presto alla guida del movimento contro il linciaggio. Ida B. Wells Barnett fu la principale autrice della crociata contro il linciaggio (vedi pag. 179). Nel 1892 tre conoscenti di Wells furono linciati da una folla di razzisti perché il negozio che avevano aperto stava competendo con successo con un negozio di un proprietario bianco. Wells denunciò questo linciaggio nel suo giornale The Free Speech e al suo ritorno da New York, dopo tre mesi, i locali della redazione erano dati completamente alle fiamme. Inoltre fu minacciata lei stessa di linciaggio. Decise allora raccontare al mondo la tragedia del linciaggio dei Neri negli USA. Le Nere organizzarono una campagna in sua difesa e arrivarono alla fondazione della ASSOCIATION OF COLORED WOMEN’S CLUB (vedi cap. 8). In Gran Bretagna fu organizzato un importante movimento di solidarietà verso Wells e ciò ebbe un impatto profondo nell’opinione pubblica statunitense. Anche Mary Church Terrell è stata una protagonista della lotta contro il linciaggio. Con logica inconfutabile contraddisse l’articolo del North American Review “Il linciaggio dei Negri: cause e prevenzione” che giustificava il linciaggio in quanto risposta alle presunte aggressione sessuali perpetrate sulle donne bianche. Nel 1922 fu fondata l’organizzazione Anti-Lynching Crusaders, sotto l’egida della National Association for the Advancement of Colored People e guidata da Mary Talbert. L’obiettivo era creare un movimento non segregazionista di donne contro il linciaggio. In questo momento le Nere stavano chiedendo aiuto alle sorelle bianche. I club delle Nere stavano collettivamente persuadendo il movimento dei club delle donne bianche a investire una parte delle loro energie nella campagna contro il linciaggio. Le bianche non risposero a questi appelli fino al 1930, quando fu fondata la Association of Southern Women for the Prevention of Lynching, il cui obiettivo era mettere in discussione il linciaggio come pratica necessaria a difendere le donne del sud. All’incontro inaugurale furono discussi vari argomenti: le donne bianche erano agenti attive del linciaggio e permettevano ai loro bambini di assistere agli omicidi delle persone Nere, indottrinandoli alle pratiche razziste del sud. Uno studio dimostrava che una delle peggiori conseguenze dei linciaggi fosse la deformazione delle menti dei bambini bianchi del sud. L’associazione nata nel 1930 ottenne 40.000 firma alla dichiarazione: “Dichiariamo che il linciaggio è un crimine indifendibile, lesivo di tutti i principi di governo, odioso e contrario ad ogni valore umano e religioso, avvilente e degradante per tutte le persone coinvolte.” Senza la battaglia di queste donne, l’orda del linciaggio non si sarebbe arrestata facilmente. TUTTAVIA, L’AIUTO DA PARTE DELLE SORELLE BIANCHE ARRIVO’ CON 40 ANNI DI RITARDO. L’associazione fu una risposta tardiva all’appello delle sorelle Nere, ma ebbe un grandissimo eco. Le Bianche avrebbe potuto identificarsi con la causa Nera in virtù dell’oppressione che vivevano in quanto donne: LINCIAGGIO--->strumento del--->RAZZISMO---->rafforza---->DOMINIO MASCHILE Nel 1894 F. Douglass precisò che le sue dichiarazioni contro il mito dello stupratore Nero non avrebbero dovuto essere fraintese come una difesa dello stupro in quanto tale. Douglass, infatti, dice: “Non intendo dire che i Neri siano tutti santi, ma dissento radicalmente dall’idea che essi siano più propensi a commettere uno stupro di quanto non lo siano altre varietà del genere umano”. Douglass si definiva un difensore delle persone di colore in quanto CLASSE. A volte il mito dello stupratore Nero è stato legittimato dalle donne bianche schierate contro lo stupro. E’ il caso del libro “Una questione di razza” di Susan Brownmiller. Quest’ultima tenta di persuadere i propri lettori che le parole assurde e sensazionalistiche di E. Cleaver “lo stupro è un atto insurrezionale contro la società bianca” siano emblematiche. Il discorso di Brownmiller è al limite del razzismo. Fingendo di difendere la causa di tutte le donne vittime di stupro, si chiude a tratti nella difesa particolare delle donne bianche. Il mito dello stupratore Nero continua ad alimentare l’ideologia razzista e ciò è sintomo del fallimento delle attiviste contro lo stupro nel far emergere l’identità dei tanti stupratori anonimo che non sono stati denunciati, né processati, né condannati. Le loro analisi si sono ridotte agli abusi denunciati e i Neri vengono visti inevitabilmente come i responsabili dell’attuale epidemie di violenze sessuali. I crimini sessuali degli uomini bianchi raramente vengono alla luce. Molte di queste violenze riguardano le donne NERE ---> il razzismo ha invitato a stuprare le Nere. La struttura di classe della società capitalista alimenta un incentivo allo stupro: I CAPITALISTI E GLI UOMINI DI CLASSE MEDIA SEMBRANO IMMUNI AI PROCEDIMENTI GIUDIZIARI. Non è un segreto la diffusione di molestie sessuali sui luoghi di lavoro: avendo già stabilito un dominio economico sulle donne, i datori di lavoro sentono di poter affermare la propria autorità in termini sessuali. Invece, gli UOMINI DELLA CLASSE LAVORATRICE possono essere incentivati a violentare sulla base del presupposto che la virilità conceda loro il privilegio di dominare le donne. Tuttavia, non avendo l’immunità penale data dall’autorevolezza sociale o economica, tale incentivo non ha la stessa efficacia della classe capitalista. Quando gli uomini della working class rispondono all’invito allo stupro, in realtà accettano un’illusoria compensazione della loro mancanza di potere. Il capitalismo incentiva gli uomini di potere (politico ed economico) a diventare agenti quotidiani dello sfruttamento sessuale. Ad una crescita del potere della classe capitalista, crescono gli stupri. Inoltre mentre l’incidenza degli stupri aumenta, la condizione delle lavoratrici peggiora. AGGRESSIONE ECONOMICA ---> SESSISMO E RAZZISMO ---> VIOLENZA SESSUALE. La subalternità delle donne rispecchia la situazione degradante dei lavoratori di colore e la crescente influenza del razzismo. Il segno della ripresa del razzismo è la nuova visibilità del Ku Klux Klan. La lotta contro il razzismo deve essere una questione PERMANENTE nel movimento contro gli abusi, che deve difendere sia le donne di colore sia le molte vittime dell’accusa di stupro. La minaccia di violenza continuerà a esistere fino a quando l’oppressione delle donne farà da stampella al capitalismo. Il movimento contro lo stupro e contro l’oppressione delle donne devono avere come obiettivo la sconfitta definitiva del capitalismo monopolistico. 12) Razzismo, controllo delle nascite e diritti riproduttivi Durante il XIX secolo le femministe rivendicano per la prima volta la maternità consapevole. Questa idea era audace in una società che non considerava il diritto delle mogli di sottrarsi alle necessità sessuali dei mariti. Col tempo il controllo delle nascite entrò a far parte del senso comune degli USA. Eppure, nel 1970, sia l’aborto legale e accessibile sia la questione della maternità scelta erano temi controversi. Il controllo delle nascite, la scelta individuale, i metodi contraccettivi sicuri e l’aborto sono tutti requisiti per l’emancipazione delle donne. Tuttavia, questo movimento poche volte è riuscito a unire donne di diversa estrazione sociale. Le argomentazioni delle attiviste per il controllo delle nascite avevano premesse razziste. Nonostante il potenziale progressista di questo genere di rivendicazioni, questo movimento non ha fatto passi avanti sul terreno della lotta al razzismo e allo sfruttamento di classe. La più importante vittoria del movimento per il controllo delle nascite è avvenuta nei primi anni Settanta con la legalizzazione dell’aborto. Nel gennaio 1973 la campagna raggiunse il suo acme con i casi giudiziari “Roe vs Wade” e “Doe vs Bolton”, in cui la Corte suprema degli USA stabilì che il diritto di una donna a decidere della propria vita priva non potesse prescindere dal diritto di abortire o meno. PERCHE’ IN QUESTA CAMPAGNA NON VI FURONO MAI NUMERI CONSISTENTI DI DONNE DI COLORE? Generalmente venivano date due spiegazioni: o Le donne Nere erano sovraccaricate dalla lotta contro il razzismo o Non avevano ancora preso coscienza della centralità del sessismo. La verità però stava nella base ideologica del movimento. Le attiviste bianche ignorarono un argomento centrale: esse avevano difeso la STERILIZZAZIONE FORZATA, una forma razzista di controllo di massa delle nascite. Le Nere chiedevano innanzitutto la fine della sterilizzazione forzata e poi il diritto di pianificare le proprie gravidanze. Le donne di colore non ignorarono l’importanza della campagna per il diritto all’aborto legale, dato che a New York, per esempio, l’80% delle morti causate da aborti illegali riguardò donne Nere e portoricane. Inoltre, subito dopo la legalizzazione, la metà degli aborti legali fu praticata da Nere. Dunque, in sostanza durante la campagna per l’aborto le Nere non erano pronte a esprimersi a favore dell’aborto: erano a favore del DIRITTO ALL’ABORTO, ma NON SOSTENITRICI DELL’ABORTO. Il ricorso all’aborto di Nere e latine è molto alto soprattutto a causa delle condizioni sociali miserabili di queste donne. Le Nere erano abituate ad abortire sin dai tempi della schiavitù. Un medico intorno alla metà del XIX secolo si accorse che le interruzioni di gravidanza e gli aborti spontanei erano molto più ideologica del razzismo e delle teorie eugenetiche nel movimento per il controllo delle nascite, spogliato così del potenziale progressista. In questo modo, il movimento non lottava per il diritto individuale al controllo delle nascite ma una strategia razzista di controllo della popolazione. Non dobbiamo quindi stupirci se così poche Nere aderirono alla campagna per il diritto all’aborto negli anni Settanta. Era necessario prima decostruire le modalità razzista di chi prima di loro aveva sostenuto il controllo delle nascite come mezzo razzista di eliminazione degli “inadatti”. L’opposizione alle sterilizzazioni forzate emerse solo dopo l’estate del 1973 quando i media rivelarono lo scandalo della sterilizzazione di due ragazze Nere (caso sorelle Relf) a Montgomery, in Alabama. In sostanza gli stati applicavano le teorie eugenetiche e la giustificazione che davano era la limitazione della riproduzione delle persone con deficienza mentale. Ci fu addirittura il caso di un ginecologo che aveva sterilizzato sistematicamente le beneficiarie dell’assistenza sanitaria che avessero già più due o più bambini. Essendo l’unico ginecologo di una piccola cittadina del South Carolina, questo dottore diceva alle sue pazienti che se avessero voluto essere aiutate durante il parto dovevano poi sottomettersi alla sterilizzazione volontaria. In cambio, riceveva 60.000 dollari dalle casse dello stato per le sterilizzazioni che praticava. Durante il processo a lui intentato, la South Carolina Medical Association dichiarò che i medici avevano il diritto morale di chiedere la sterilizzazione prima di accettare i pazienti. Ciò portò alla luce la complicità del governo federale. Questa carneficina non riguardava solo le Nere, ma anche le donne indiane native americane: nel 1976 circa il 24% delle donne in età di gestazione era stato sterilizzato. Alcuni opuscoli informativi mostravano che più bambini significava più povertà e meno bambini più ricchezza. Tuttavia l’agiatezza economica non dipendeva affatto dall’avere pochi bambini, ma da cause sociali. Le politiche demografiche degli USA hanno un inquietante aspetto razzista. La diffusione della sterilizzazione di massa alla fine degli anni Settanta è stata probabilmente più elevata che in passato. L’emendamento Hyde (19777) ha fornito un ulteriore incentivo alla sterilizzazione forzata: i fondi federali per le interruzioni di gravidanza sono stati eliminati tranne che per i casi di stupro, rischio di morte o malattia grave e per le donne la sterilizzazione (rimasta gratuita) è l’unica alternativa all’aborto, ormai fuori dalle loro possibilità economiche. Durante gli ultimi anni la lotta contro la sterilizzazione è stata portata avanti dalle donne portoricane, Nere, chicane e native americane e ancora il movimento delle donne non ha abbracciato la loro causa. Nella classe media c’è una certa riluttanza a sostenere le rivendicazioni della campagna contro la sterilizzazione forzata, perché alle donne bianche spesso è stato negato il diritto di essere sterilizzate quanto loro desideravano compiere questo passo: Le donne di colore sono sollecitate a divenire sterili; Le donne bianche benestanti sono sollecitate a riprodursi. IN GIOCO C’E’ LA NEGAZIONE DI UN DIRITTO RIPRODUTTIVO FONDAMENTALE PER TUTTE LE DONNE DI OGNI ESTRAZIONE SOCIALE. 13) Verso la fine del lavoro domestico: una prospettiva working class I lavori domestici occupano mediamente 4.000 ore l’anno della vita di una casalinga. Questi dati non tengono però conto della costante attenzione che le madri devono dare ai figli. Le cure materne sono date per scontate e di rado attirano gli apprezzamenti della famiglia. La nuova presa di coscienza del movimento delle donne ha incoraggiato a sgravarsi di questo lavoro ingrato. Sempre più uomini hanno iniziato ad aiutare le donne in casa, fino a ripartirsi equamente le faccende domestiche. Tuttavia c’è sempre lo stereotipo che il lavoro domestico sia prettamente un lavoro da donne. Le donne probabilmente sarebbero entusiaste dell’avvento dell’uomo di casa, ma la desessualizzazione del lavoro domestico non ne altererebbe la natura oppressiva. In sostanza, nessuno dovrebbe perdere tempo prezioso con un lavoro né stimolante, né creativo, né produttivo. La società a capitalismo avanzato nasconde bene la possibilità di una trasformazione radicale della natura del lavoro domestico. Il lavoro domestico non ha bisogno di essere necessariamente considerato un’attività a carattere privato e potrebbe essere diventare industrializzato grazie a macchinari a tecnologia avanzata per le pulizie, delle squadre di lavoratori qualificati e ben pagati. Tuttavia, l’economia capitalistica è strutturalmente ostile all’industrializzazione del lavoro domestico. Questo perchè la socializzazione del lavoro domestico implicherebbe sussidi statali per garantire l’accesso al servizio anche alle famiglie della classe lavoratrice. Inoltre, ne deriverebbe un profitto molto ridotto. L’industrializzazione e la socializzazione del lavoro di cura sono diventate delle oggettive necessità sociali. Il lavoro domestico sta diventando sempre di più meno individuale e privato, eppure nelle rappresentazioni sociali di oggi, la condizione femminile è sempre associata all’angelo del focolare. Tuttavia, il lavoro domestico femminile non è sempre stato così, perché il lavoro è un prodotto mutevole della storia. Come sostiene Frederick Engels in “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato” la disparità dei sessi non esisteva prima dell’avvento della proprietà privata. Nelle prime epoche della storia umana la divisione sessuale del lavoro nel sistema di produzione economica era complementare ma non gerarchica: entrambi i sessi svolgevano un compito economico che era ugualmente essenziale per la sopravvivenza della collettività. In comunità pre-capitaliste, come quella masai, il lavoro domestico delle donne non è meno produttivo né meno essenziale del contributo economico degli uomini ed hanno un elevato status sociale. Nelle società capitaliste, invece, l’attività domestica delle donne è un compito di assistenza che raramente produce un’evidenza tangibile e che ne sminuisce lo status sociale. Secondo l’ideologia borghese, la donna di casa è la serva del proprio marito per tutta la vita . Nel periodo pre-capitalista, le donne erano LAVORATRICI A PIENO TITOLO in un sistema economico a base domestica. Non solo creavano a mano la maggior parte dei prodotti di cui necessitava la famiglia, ma erano anche le garanti della salute sia del loro nucleo che della comunità. Negli Stati Uniti il picco di industrializzazione dell’epoca postrivoluzionaria portò alla proliferazione di fabbriche tessili e le donne furono le prime lavoratrici reclutate dai proprietari. Il grande paradosso fu che furono poi escluse dal mondo della produzione. Mentre l’industrializzazione avanzava, il lavoro domestico delle donne perse strutturalmente importanza. Da un lato i lavori tradizionali erano usurpati dal nuovo sistema delle fabbriche; Dall’altra l’intera economia si allontanò dalla casa privando molte donne di un ruolo economico significativo. Molti prodotti che prima si facevano in casa, iniziarono a essere prodotti su scala industriale. Ci fu una ridefinizione generale della produzione imposta dal nuovo sistema economico: le merci prodotte in fabbrica si definivano per il proprio valore di scambio, ovvero per la capacità di soddisfare la domanda di profitto degli imprenditori. Questa concezione della produzione economica rivelava una fondamentale separazione strutturale tra l’ economia domestica e l’ economia orientata al profitto . Poiché il lavoro domestico non genera profitto, fu definito come una forma inferiore in confronto al lavoro salariato. Questa radicale trasformazione economica generò la casalinga, la custode di una vita domestica ormai svuotata dal suo valore. Essa personificava la prosperità economica delle classi medie emergenti. La borghesia e la classe media imposero il ruolo della casalinga e della madre come modelli universali di femminilità. Il lavoro domestico femminile rappresentava una vocazione di tutte le donne, per l’ideologia dominante. Le donne non potevano essere trattate come lavoratrici salariate a pieno titolo e potevano essere tranquillamente sfruttate . La separazione dell’economia pubblica del capitalismo e dell’economia privata della casa è stata rafforzata dall’arretratezza del lavoro domestico, che non è avanzato qualitativamente con progressi tecnologici apportati dal capitalismo industriale. Nel 1903 Charlotte Perkins Gilman diceva che la “casa non si è sviluppata proporzionalmente alle nostre altre istituzioni” e che il lavoro domestico minaccia l’umanità delle donne. Questa tesi è avvalorata dalla storia delle donne Nere negli USA. Nei secoli precedenti la maggioranza di esse lavorava al di fuori delle proprie case. Nel contesto lavorativo le schiave erano uguali agli schiavi uomini. Per via delle occupazioni svolte fuori di casa, il lavoro domestico non è mai stato la priorità nella vita delle donne Nere. Così sono sfuggite al danno psicologico che il capitalismo industriale ha inflitto alle casalinghe bianche di classe media, le cui supposte virtù erano la vulnerabilità femminile e la sottomissione coniugale. Le donne Nere, invece, dovevano cercare di sopravvivere e hanno dimostrato la propria energia attraverso del lavoro implacabile. Di rado sono state “solo casalinghe”, ma hanno sempre svolto anche lavoro domestico. Per le Nere e le sorelle della working calss, la possibilità di condividere con al società il peso del lavoro domestico e della cura dei bambini è una delle prospettive radicali di liberazione. La cura dei bambini e il lavoro domestico dovrebbero essere socializzati e industrializzati, nonché accessibili alla classe lavoratrice. IDEOLOGIA BORGHESE: L’assenza di un dibattito pubblico su questa trasformazione è sintomo della capacità dell’ideologia borghese di nascondere queste necessità. Tuttavia, è indubbio che il movimento delle donne abbia considerato il lavoro domestico come un elemento fondamentale dell’oppressione delle donne. Il lavoro domestico è degradante e oppressivo perché è NON PAGATO. Questi movimenti hanno avanzato delle rivendicazioni salariali, cioè un assegno statale settimanale. Il movimento per il lavoro domestico salariato ha avuto origine in Italia nel 1974. La rivendicazione del salario è portata avanti nella lotta per la liberazione delle donne in generale, come affermato da Mariarosa Dalla Costa in “Potere femminile e sovversione sociale” ---> il carattere privato dei servizi in casa è in realtà un’illusione. I reali beneficiari delle attività della casalinga sono il datore di lavoro del marito e i futuri datori di lavoro dei suoi figli. La rivendicazione si basa sull’idea che queste donne producono una merce fondamentale che ha valore quanto le merci che produce il marito. Le donne sono quindi una specifica classe di lavoratrici sfruttate dal capitalismo che permettono ai membri della loro famiglia di lavorare. Tesi della Davis: MA CIO’ SIGNIFICA CHE LE DONNE POSSANO ESSERE DEFINITE DAL RUOLO DOMESTICO, INDIPENDENTEMENTE DALLA CLASSE O DALLA RAZZA? La rivoluzione industriale ha prodotto una separazione tra economia domestica ed economia pubblica, quindi la casalinga non può essere una componente integrale della produzione capitalistica, ma è piuttosto connessa alla produzione in quanto precondizione . Il datore di lavoro capitalista è interessato alla capacità di generare il profitto e questo processo presuppone l’esistenza di una riserva di lavoratori sfruttabili. Un caso emblematico è quello del Sud Africa. Il lavoro dei Neri rendeva profitti più alti se la vita domestica veniva eliminata. Con la legge sudafricana le donne Nere disoccupate sono bandite dalle aree bianche e persino dalle città in cui lavorano i loro mariti. La vita domestica dei Neri è quindi ritenuta superflua. Il consolidarsi di famiglie africane nelle città industriali è percepito come un rischio perché la vita domestica potrebbe dar vita alla resistenza all’apartheid --> la vita di famiglia è rigorosamente proibita. L’apartheid stava erodendo il tessuto intimo della vita dei Neri e ciò spiega quanto l’economia capitalista dipenda dal lavoro domestico. UN REGIME CAPITALISTA COME QUELLO SUD AFRICANO NON AVREBBE INTRAPRESO LA DISSOLUZIONE DELLA VITA FAMILIARE DEI NERI SE I SERVIZI DOMESTICI DELLE DONNE FOSSERO STATI UN ELEMENTO ESSENZIALE AL LAVORO SALARIATO DEGLI UOMINI. Inoltre gli stipendi statali alle casalinghe legittimerebbero ulteriormente la schiavitù domestica. Ciò che serve è invece un LAVORO FUORI DALLA CASA e dei SERVIZI GRATUITI PER L’INFANZIA. Lo stress del lavoro domestico delle donne offre una riflessione sulla forza del sessismo, che sommata a quella del razzismo, ha costretto un numero sterminato di Nere a svolgere i propri lavori di casa insieme a quelli della casa di un’altra donna. Inoltre, molte donne sono “solo casalinghe” perché in realtà sono disoccupate. Dunque dovrebbe essere garantito un accesso egualitario ai posti di lavoro di alto livello. Il movimento per il salario delle casalinghe disincentiva le donne a cercare un lavoro al di fuori della casa. PRIMA deve venire il diritto a essere pagate in modo uguale agli