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Riassunto Epoca 4. Letteratura italiana, dalle Origini a metà Cinquecento, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Riassunto dettagliato ed esaustivo dell'epoca 4: La cultura delle corti (pag. 393-476, esclusi i testi), per esame di Letteratura italiana del Medioevo e del Rinascimento.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 06/06/2023

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Scarica Riassunto Epoca 4. Letteratura italiana, dalle Origini a metà Cinquecento e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! EPOCA 4: LA CULTURA DELLE CORTI INTRODUZIONE 1) Un nuovo equilibrio politico (1454-1494) Nel corso della seconda metà del 400, dopo un periodo di guerre e rivolgimenti politici della prima metà del secolo, il quadro politico della penisola italiana è caratterizzato da una lunga stagione di stabilità, avviato dalla pace di Lodi nel 1454, che sanciva un nuovo assetto politico dominato da cinque grandi stati: Milano, Repubblica di Venezia, Firenze, Napoli e Stato Pontificio, destinato a perdurare fino al termine del XV secolo. Benché non manchino motivi di tensione sia fra le diverse Signorie o all’interno dei singoli stati (es: 1478 congiura dei Pazzi a Firenze) si registra il mantenimento di un equilibrio che permette il consolidarsi delle strutture delle istituzioni politiche e delle condizioni per lo sviluppo culturale, artistico e letterario. Il policentrismo politico sebbene costituisca una premessa per una debolezza costituzionale dell’Italia nei confronti dei nascenti stati nazionali Europei (calata francese in Italia di Carlo VIII nel 1494), è anche il terreno sociale e politico che consente lo sviluppo della cultura nelle singole corti, che divengono luoghi di elaborazione di modelli culturali che andranno a costituire i fondamenti della società europea d’Antico regime. 2) La cultura delle corti e il nuovo ruolo del volgare La corte diventa il centro di irradiamento di una nuova cultura che ha il compito di offrire un ritratto idealizzato e splendido delle singole realtà politiche, e proporre paradigmi culturali, etici ed artistici, collante ideologico della società. Luogo di esercizio del potere e spazio in cui si consuma la vita intellettuale, è soggetto della letteratura e delle diverse manifestazioni artistiche, che ne descrivono i valori e il suo destinatario ideale (grazie alla rappresentazione artistica si consolida un terreno comune). Un primo cambiamento che si registra è il nuovo rapporto gerarchico tra lingua latina e lingua volgare. Dopo il trionfo dell’Umanesimo latino dei primi decenni del 400 (rivendicazione dell’autonomia del mestiere dell’intellettuale come protagonista attivo della vita sociale), nella seconda parte del secolo si assiste alla crescita del prestigio volgare (strumento espressivo d’eccellenza) legittimato a stare alla pari con il latino (lingua di prestigio). Benché non vi siano ancora forti istanze in direzione di una linguistica comune (marcate caratterizzazioni in senso regionale), tuttavia si ha la consapevolezza che il volgare possa ormai essere utilizzato come lingua di cultura, capace di accogliere sia la tradizione italiana che il patrimonio classicoporta ad un classicismo volgare capace di marginalizzare il latino. Un secondo mutamento riguarda la definizione del ruolo interpretato rispetto al potere politico, perché tale relazione è definita attraverso le forme del mecenatismo, segnando un progressivo passaggio verso una maggiore subordinazione dello scrittore, impiegato in un’attività culturale che ha come obiettivo la celebrazione della corte presso la quale è ospitato e della Signoria in cui opera (sebbene siano presenti anche forme di resistenza e rivendicazione di autonomiaRoma=Accademia di Pomponio Leto). 3) Geografia e storia della cultura cortigiana A partire della rivendicazione uniforme del prestigio del volgare è importante ricordare che la geografia politica, segnata da policentrismo, ha come conseguenza che le medesime istanze culturali siano declinate in modo diverso nelle varie realtà locali (+ anche gli stati di dimensioni più modeste assumono un ruolo di primo piano nella produzione letteraria ed artistica es.: Ferrara, Mantova, Urbino), definendo un quadro di espressioni affini ma non identiche, in rapporto di competizione. Di assoluta centralità resta la politica culturale di Firenze, diretta da Lorenzo de’ Medici, capace di pensare alla letteratura e alle arti come strumenti di affermazione egemonica nei confronti delle altre realtà politiche e culturali della penisola italiana. Si possono individuare all’interna della proposta fiorentina 3 direttrici: • Sviluppo della riflessione filosofica , riconducibile all’Accademia di Marsilio Ficino, traduttore e interprete del pensiero platonico. Attraverso la sua opera si ridefiniscono alcune esperienze letterarie (poesia d’amore) e si ripensa il rapporto con il pensiero cristiano. • Forte rivendicazione di una letteratura volgare a baricentro fiorentino , che va da Dante sino ai contemporanei. A testimonianza di ciò abbiamo la Raccolta Aragonese, antologia manoscritta inviata come omaggio al re di Napoli, nella quale è racchiusa una sorta di storia della letteratura italiana. • Decisiva matrice a carattere umanistico , che trova espressione nella raffinata esperienza di Poliziano, filologo, poeta e maestro di un’intera generazione di letterati. Il tratto veramente distintivo della cultura fiorentina è il fitto dialogo tra queste 3 linee (pur con resistenzePulci), poiché tutte sembrano convergere verso un unico punto di fuga, in nome del quale cultura filosofica, poesia volgare e grande patrimonio della classicità si intrecciano. In nome della medesima dialettica tra esperienza umanistica e nuove istanze di cultura volgare si muovono anche tutte le altre corti italiane. Se nella Napoli aragonese resta significativa l’importanza del latino (Pontano, pur terreno di avvio delle sperimentazioni di Sannazaro), nella corte di Ferrara si assiste a un dialogo più sperimentale tra il portato della scuola umanistica e la proposta di opere in volgare, tanto nei volgarizzamenti e traduzioni per il teatro, che nell’ innesto di elementi classici in generi tradizionalmente volgari come la lirica o il romanzo cavalleresco. Si avvia un processo di fondazione di una cultura in lingua volgare che ambisce a dare voce ad una nuova realtà socio-politica, e costituire un elemento di coesione e riconoscibilità. 4) Oltre la corte: le accademie e il mondo della tipografia Accanto al mondo della corte vi sono però altri spazi in cui il letterato opera.  le ACCADEMIE, cenacoli letterari non sempre rigidamente regolamentati, spesso in diretto rapporto con il potere politico che ne legittima l’esistenza. L’Accademia platonica di Firenze, che vede come figura centrale Marsilio Ficino, o quella napoletana retta da Pontano rappresentano delle esperienze culturali d’avanguardia per la formazione degli intellettuali e per l’elaborazione di un patrimonio di idee retroterra ideologico della corte. I l mondo letterario italiano del secondo 400 è attraversato da una “rivoluzione inavvertita” (Eisenstein) con l’invenzione della STAMPA A CARATTERI MOBILI, nuovo modo economico di garantire la riproducibilità dei testi, efficace e rapida, in virtù della quale si produce un mutamento profondo dell’idea stessa di opera letteraria, del pubblico e dell’autore. Dapprima in rapporto stretto con le forme di lavoro dei manoscritti, poi con maggiore autonomia, la tipografia infatti richiede competenze tecniche e abilità filologiche, reclutando tra i torchi delle stamperie umanisti accanto ad interpreti del nuovo strumento, in particolare a Venezia. I traguardi più alti sono raggiunti da Aldo Manuzio, editore e tipografo che lavora a Venezia tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, il quale inventerà nuova forma del libro (maneggevole e leggibile nitidamente), e fornirà la proposta di una biblioteca di autori classici presentati con accuratezza filologica in modo da costituire l’ideale biblioteca del mondo umanistico e rinascimentale. 5) I generi letterari della letteratura volgare Alcuni generi costituiscono delle esperienze privilegiate, in virtù della loro capacità di farsi lingua comune, quindi elemento unificante. In questo caso la LIRICA conosce la fioritura più rilevante, sotto le forme di un’imitazione diretta di Petrarca, una ripresa che è sì esibita ed evidente, ma che ne tradisce il senso più profondo, perché non viene più posto l’accento sul sofferto scavo dell’interiorità (a detrimento della mondanità) ma si punta piuttosto a celebrare anche una dimensione sociale e collettivaGli Amorum libri tres di Boiardo da avvio alla storia d’amore cantata non tra le pareti di una chiesa (Petrarca), ma nel corso di una festa a corte, ambiente ideale che la parola poetica celebra L’imitazione di Petrarca si realizza attraverso una sorta di “lessicalizzazione” (Santagata) della sua opera, poiché si sfrutta la lingua dei Rerum vulgarium fragmenta per dar voce a un mondo nuovo, diverso dai confini dell’universo petrarchesco. Se la lirica viene piegata in un gioco di intrecci tra finalità encomiastiche, occasioni sociali e momenti di approfondimento interiore, alle esigenze della corte, questa spinta motiva anche la nuova attenzione che si registra per il teatro, inteso come momento di spettacolarizzazione della cultura: perde di forma una vera e propria pratica teatrale capace di avanzare una prima mediazione tra la tradizione antica e le forme del moderno. Si registra in questo periodo un’intensa attività di allestimento di spettacoli nelle corti di Milano, Ferrara, Mantova e Firenze, in coincidenza con i grandi eventi della vita politica, e con il coinvolgimento di una pluralità di figure. CAPITOLO 1: IL PASSAGGIO DAL MANOSCRITTO ALLA STAMPA 1) Una mirabile invenzione La paternità dell’invenzione va riconosciuta a Johan Gutenberg (fine XIV-1468), egli fu il responsabile dei due assicurare la centralità dell’aspetto visivo. Il dominio dell’occhio ‘nella fronte’ si accompagna a quello dell’occhio ‘nel cervello’, favorendo un vedere profondamente, intellettualenuova rivoluzionaria organizzazione dei sensi umanicambiamento di mentalità della civiltà occidentale. • CAPITOLO 2: L’AMBIENTE LAURENZIANO 1) 1469-1492: Il progetto culturale di Lorenzo de’ Medici 1.1) “due persone diverse, quasi con impossibile congiunzione” Lorenzo de’ Medici è l’abile regista della vita intellettuale fiorentina del suo tempo, capace di fare del rinnovamento culturale un elemento fondamentale dell’arte di governare. Letterato raffinato in grado di coniugare l’impegno politico con quello poetico, destreggiandosi in una grande varietà di stili e generi. La poliedricità è ciò che caratterizza l’attività letteraria e la personalità di Lorenzo, caratteristica data da Niccolò Machiavelli nel libro ottavo delle Istorie Fiorentine: si vedeva in lui essere due persone diverse, quasi con impossibile congiunzione congiuntefine letterato/accorto politico. Nacque a Firenze il 1° Gennaio del 1449 da Pietro di Cosimo il Vecchio e Lucrezia Tornabuoni, Lorenzo riceve un’educazione umanistica sotto la guida del suo precettore, Gentile Becchi, ascolta le lezione del dotto greco Giovanni Agiropulo, ma preferisce la letteratura volgare e si dedica allo studio della tradizione toscana, infatti già da adolescente scrive un’operetta mitologica in terzine Corinto, sull’amore non corrisposto del pastore Corinto per la ninfa Galatea e comincia a comporre liriche di ispirazione petrarchesca, nucleo del suo Canzoniere. Ricopre fin da giovane incarichi di rilievo nella vita politica cittadina e nel 1469 (morte del padre), diviene signore di fatto di Firenze. 1.2) Un gioco incessante di forme e contenuti Al magistero di Petrarca, Lorenzo affianca l’esempio espressionistico di Luigi Pulci, nel Simposio, l’uccellagione di starne e la Nencia da Barberino (1460-70)vena comico realistica. • SIMPOSIO: rassegna dei maggiori bevitori fiorentini in un convito prosaico; riscrittura burlesca del Simposio platonico e del commento che ne fece Ficino; • UCCELLAGIONE DI STARNE: poemetto che racconta di una battuta di caccia di un gruppo di amici di Lorenzo, nello stile delle “cacce” in versi di tardo Trecento (insistiti giochi onomatopeici e inserzioni di discorsi diretti); • NENCIA DA BARBERINO: parodia in ottave dell’egloga rusticale, a cui Pulci replicherà con la Beca da Dicomano; pervenuta in 4 redazioni diverse (discussa attribuzione), combina un lessico popolareggiante con una costruzione sintattica più elevata nel canto del contadino Vallera per la bellezza di Nancia (fornita una descrizione che è eroica degradazione a livello materiale e rustico della rappresentazione dell’amata della tradizione petrarchesca). Testi stilisticamente sperimentali che testimoniano la convinzione di Lorenzo che la lingua toscana sia capace di un’espressività tale da eguagliare il latino, idea base del progetto della Raccolta Aragonese, silloge di componimenti poetici in lingua toscana a partire dal Duecento, approntata da Lorenzo nel 1476 per Federico d’Aragona, figlio minore del re di Napoli, con l’aiuto di Poliziano. 1.3) Palinodia di una parodia: tra Simposio e De Summo Bono Testi estremamente differenti, pur con fitta rete di richiami: • SIMPOSIO: antiplatonico nei suoi rimandi alla sfera carnale e corporale dell’esistenza umana; parodia dei Trionfi in terzine, in cui sfilano personaggi virtuosi genere che aveva mostrato un rovesciamento caricaturale già nell’opera di Bernardo di Stefano, noto come Giambino d’Arezzo, al quale dobbiamo un poema diviso in due libri: Delle genti idiote d’Arezzo e Degli uomini famosi d’Arezzo e d’Italia, la cui rassegna dei personaggi ridicoli e stupidi della città toscana è perfetto speculum deformato di quella degli uomini di valore. Lorenzo fa la sua vena parodica di Giambino arricchendola di elementi dotti, atti ad irridere, sino a giungere alla blasfemia, temi evangelici e ficiniani: es. tema della sete (Vangelo di Giovanni; in Ficino immagine dell’inesausto desiderio di pervenire a Dio) dileggiato in versi che celebrano invece la tensione all’ubriacatezza. • DE SUMMO BONO: opera filosofica di ambientazione pastorale composta nel 1474, una parafrasi in volgare dell’epistola De felicitae e dell’Oratio ad Deum Theologica di Marsilio Ficino una palinodia del Simposio, prova dell’interesse di Lorenzo per la filosofia di Ficino; introdotta da un’orazione a Minerva (dea della vita contemplativa) e ad Apollo (dio del furor poetico)l’argomentazione per giungere alla definizione del sommo bene segue il metodo dialettico platonico che attraverso divisioni dicotomiche, giunge all’universale. Con questo componimento Lorenzo tenta di mostrare quale sia l’iter che conduce all’unità divina. In un tessuto verbale di allegorie con sfumature orfiche ed ermetiche, secondo le dottrine dei prisci theologi torna l’immagine della sete in senso ficiniano. • Opere in cui stessi temi vengono declinati in direzioni opposte, mostrando la capacità laurenziana di impostare la sua scrittura al servizio di posizioni e di ideologie anche lontane. 1.4) Una nuova politica culturale La posizione e l’incolumità di Lorenzo vengono messe in serio pericolo dalle mire espansionistiche di Girolamo Riario, signore di Imola e di Forlì e nipote di papa Sisto IV. La famiglia Pazzi sfrutta l’occasione per accordarsi con l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, e con il placet del papa, per ordire una congiura che sfocia, il 26 aprile 1478 nell’uccisione in S. Maria del Fiore, di Giuliano. L’interdetto di Sisto IV (alleato a Ferdinando di Napoli) getta Firenze in una profonda crisi, dalla quale però Lorenzo risolleva con successo recandosi personalmente a Napoli, alla fine del 1479, convincendo il re a terminare le ostilità. Si tratta del primo atto di una sapiente politica di alleanze e accordi (il figlio Giovanni prende la porpora cardinalizia) che rende Lorenzo il perno dell’equilibrio italiano e gli garantisce la possibilità di consolidare lo status della famiglia e di dedicarsi all’attività di mecenate, facendo di Firenze la capitale culturale d’Italia e guadagnandosi l’appellativo di Magnifico. Intorno a lui si raccolgono poeti, artisti (Sandro Botticelli e Giuliano da Sangallo), filosofi quali Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola. Lorenzo segue inoltre gli studi filologici di Poliziano, che recupera su suo incarico numerosi manoscritti greci nell’Italia settentrionale, ed ottiene una cattedra nello studio fiorentino. Accanto ad altri esercizi di minore rilievo (novelle Giacoppo e Ginevra, poemetto mitologico in ottave incompiuto Ambra, le Selve d’Amore scritte in ottave sul modello delle Silvae di Stazio) è soprattutto significativo nella produzione lirica. Negli anni 80 Lorenzo compone altre liriche per il suo Canzoniere (classicismo volgare di Poliziano), comincia anche a lavorare al Comento de’ miei sonetti in cui, come nella Vita nova, parafrasa in prosa i sonetti per l’amata Lucrezia Donati (amore venato di riferimenti neoplatonizzanti). 1.5) Tempus fugit Lorenzo è anche autore di canzoni a ballo e carnascialesche, in cui ricorrente è il tema del carpe diem. Al carnevale del 1490, risalgono la Canzona de’ sette pianeti e la Canzona di Bacco, con precisi riferimenti biblici e alla filosofia ficiniana, ma toni giocosi. Nella Canzona de’ sette pianeti viene riproposta l’idea (già in De vita coelitus comparanda di Ficino) della trama di corrispondenze che lega le vicende umane all’influsso dei pianeti, nella Canzona di Bacco la necessità per l’uomo di cogliere l’attimo non è soltanto un invito epicureo al godimento dei beni terreni, ma svolge una sorta di parafrasi dell’Ecclesiaste + recupero di temi della lettera di Ficino a Lorenzo del 1474 Tempus parcere expendendum, in dialogo contestuale con il senecano De brevitate vitae. La ierogamia tra Bacco e Arianna rappresenta neoplatonicamente il ricongiungimento dell’anima umana al divino, ed è esempio del percorso di ascensione umana a Dio, allontanando da sé le inutili preoccupazioni della vita quotidiana. Al 1491 risale infine la Rappresentazione di san Giovanni e Paolo, unica opera drammatica di Lorenzo, dedicata persecuzione dei cristiani da parte di Giuliano l’Apostataforte poliedricità di L. Lorenzo morì l’8 aprile 1492 nella villa di Careggi, segnando la fine di un’epoca sul piano storico-culturale. 2) La tradizione popolare fiorentina e l’esperienza dei Pulci 2.1) Le muse dei Pulci Nato nel Mugello nel 1432 da una famiglia nobile decaduta, Luigi è il più dotato di tre fratelli scrittori. Dopo una formazione in provincia, passa a Firenze, entrando nel circolo della famiglia Medici. Viene preso sotto la protezione di Lucrezia Tornabuoni, che gli commissiona di comporre un poema sulle gesta di Carlo Magno, poi divenuto il Morgante. Qui entra in contatto con la migliore cultura volgare del periodo, da Alberti a Burchiello, e classica (Virgilio e Ovidio produce il Vocabolista, una raccolta di lemmi tratti dal greco e dal latino). Già negli anni 60 stringe rapporti con Lorenzo, figura di riferimento del percorso di Pulci e che assiste alle sue prime prove, caratterizzate da uno spiccato sperimentalismo linguistico. Nel 1465 si impegna in sonetti polemici contro il cancelliere della Signoria Bartolomeo della Scala, dove mette in caricatura le umili origini di Scala in rapporto agli altri incarichi ottenutiinclinazione polemica. Nel 1469, in occasione di una giostra vinta da Lorenzo de’ Medici, viene scelto per comporre un poemetto celebrativo (rapporto consolidato) e scrive la Beca da Dicomano, una sorta di risposta puntuale alla Nencia da Barberino, costituita con gli stessi toni di parodia della poesia amorosa e della celebrazione delle bellezze delle donne. A partire dai primi anni 70 Pulci misura una progressiva distanza dalle linee culturali promosse da Lorenzo. L’ascesa del ruolo di Ficino e della filosofia neoplatonica mette in ombra la sua poesia, che prova a reagire in chiave polemica: ragiona sull’origine dell’amore e per discute alcuni aspetti della filosofia di Ficino (correggendo l’interpretazione di Plotino). Lo studio delle diverse tradizioni filosofiche lo porta alla convinzione di una loro convergenza in una sapienza comune. Quest’ideale di una possibile sintesi filosofica domina le 900 Conclusiones, pubblicate nel 1486 a Roma e anticipate da un’orazione De dignitate hominis, che rappresenta un elogio delle capacità e delle possibilità assegnate all’uomo che essendo libero (in essenza ed origini), può elevarsi a una dimensione intellettuale grazie alla libera volontà, superando la sfera terrena. A Firenze stringe amicizia con Poliziano, fondata sui comuni interessi filosofici, e si avvicina alla religiosità di Savonarola. Si trova al capezzale di Lorenzo de’ Medici, nel 1492 su sua ispirazione avvia la composizione delle Disputationes adversus astrologos che attaccano le pretese degli astrologi sulle influenze dei pianeti sulla vita degli individui libera condizione dell’uomo nella definizione del proprio percorso. Pico muore a Firenze nel 1494. 5) Angelo Poliziano: poeta e intellettuale mediceo 5.1) La formazione, tra Montepulciano e Firenze Angelo Ambrogini nasce nel 1454 a Montepulciano, il padre viene assassinato nel 1464 e Angelo si sposta presto a Firenze, per completare i suoi studi. Entra in contatto con maestri della cultura greca come Giovanni Agirupolo e i protagonisti dell’ambiente laurenziano quali Cristoforo Landino e con Marsilio Ficino. Nel 1469 (a 15 anni) avvia la traduzione dell’Iliade in esametri latini, indirizzata alla casata Medici. L’opera gli vale l’ingresso nel circolo del Magnifico: ha così la possibilità di studiare i codici della biblioteca di casa Medici, infatti risalgono già ai primi anni 70 i primi postillati, manoscritti nei cui margini matura una conoscenza dei classici e la sicurezza nel metodo filologico (continuerà a lavorare alla versione omerica). Si impegna in altri esercizi poetici, mirati all’acquisto di una posizione di rilievo vicino a Lorenzo: nel 1473 compone un’elegia indirizzata a Bartolomeo Fonzio dove vi inserisce elogi di Lorenzo e Ficino (in ombra gli altri come il Landino e Pulci). Già si intravede quello lo stile caratteristico di Poliziano: la capacità di costruire opere attraverso la combinazione e l’intarsio di un gran numero di memorie classiche, ora soprattutto da autori latini, da Virgilio a Ovidio versi carichi di memoria, stratificati di letture ed eleganza: un equilibrio che trova i suoi esiti più alti nelle Stanze per la giostra. 5.2) Le Stanze per la giostra Nel gennaio 1475 una giostra promuove l’ingresso nella vita politica di Giuliano de’ Medici e la celebrazione dell’evento viene affidata a Poliziano, che compone Le Stanze per la giostra, opera in ottave lontana dal precedente di Pulci. Entro un poemetto ambizioso, d’impatto allegorico, Poliziano narra del giovane Iulio (Giuliano) che, inizialmente dedito alla caccia e restio alla passione amorosa, viene colpito da Cupido e fatto così innamorare dalla giovane e bellissima Simonetta Cattaneo (donna amata da Giuliano). Inizia così un percorso di elevazione che lo porta ad abbandonare la caccia e la vita silvestre e lo spinge a invocare la Virtù, l’Amore e la Gloria. L’opera si interrompe alla stanza 46 del secondo libro e offre solo la prima parte del percorso ascensionale del giovane: dopo l’abbandono della vita sensuale e dopo il passaggio alla vita attiva, è verosimile che l’ascesa si completasse con il passaggio alla vita contemplativa, ricalcando dunque, alcuni cardini della filosofia platonica di marca ficiniana. Su questo disegno intervengono in modo decisivo gli eventi storici: nell’aprile del 1476 la scomparsa di Simonetta ma soprattutto nel 1478 la congiura de’ Pazzi ordita contro i Medici, e causa della morte di Giuliano. I disordini e il nuovo clima venutosi a creare determinano l’interruzione del progetto. Nelle 171 ottave che ci sono pervenute, si rivelano il capolavoro della lirica volgare del 400. Mettendo in pratica le indicazioni di Lorenzo sulla nobilitazione della lingua volgare (linea fiorentina esemplata dalla Raccolta Aragonese), in esse risuonano i grandi modelli greci e latini e la migliore tradizione volgare. Poliziano raccoglie le memorie della tradizione classica (soprattutto ovidiana nella descrizione del palazzo di Venere) e la filtra attraverso la padronanza degli autori trecenteschi, dai Fragmenta di Petrarca alle opere in versi di Boccaccio. Nelle Stanze emerge anche la tecnica di costruzione per tasselli, per tableaux, tipica di Poliziano: quadretti conclusi e levigati, con una forte tensione figurativa, una poesia di frammenti sapientemente connessi su ambiziose arcate narrative con un’evidente marca allegorica. 5.3) L’Orfeo e le Rime La stessa venatura allegorica caratterizza l’Orfeo (anch’esso in volgare), che Antonio Atissoni Benvenuti riporta alla stagione delle Stanze (entro il 1478) nel quale Poliziano riprende in poche centinaia di versi il mito di Orfeo, la sua storia d’amore e disperazione per la perdita di Euridice (sostanziato dal De consolationae Philosophiae di Boezio e dalla Genealogia deorum gentilium di Boccaccio). L’errore del cantore che, dopo esser riuscito a riscattare Euridice dagli Inferi, si volta, infrangendo il divieto impostogli, può essere letto come la ricaduta da parte degli uomini nella dimensione terrena, scelta che impedisce per sempre un cammino di liberazione e di ascesi dalla dimensione sensuale a quella contemplativa, dunque Orfeo si volge all’amore omoerotico, decidendo di mai più piegarsi a una passione che produce sofferenza. Nella condanna del “feminile amor” e nel rivolgersi alla “primavera del sexo migliore”, Orfeo rovescia la una parabola, confinandosi a un amore tutto sensuale. Di qui giunge la condanna, con il suo corpo straziato dalle Beccanti, in una conclusione che ha un andamento quasi orgiastico. L’Orfeo è il primo dramma profano in lingua volgare e dimostra la capacità di Poliziano di sperimentare. Più umile delle Stanze nello stile, offre al suo interno una mobilità virtuosistica anche nei metri si alternano e si intrecciano secondo un principio di varietas declinando i modelli classici riscritti da Poliziano. Un riflesso di questo sperimentalismo emerge anche nelle Rime (piano di minor rilievo). I numerosi esercizi di poesia, in volgare e in latino, non vengono organizzati in un canzoniere, né sottoposti a riorganizzazione autoriale, ma sono esercizi di un’arte estemporanea, esiti laboratoriali discontinui e accostati. Poliziano si allontana dalla linea del petrarchismo, abbandona quasi i metri tradizionali di sonetti e canzoni e si indirizza verso i rispetti (ottava rima isolata) e le ballate, metri adatti a misurati e brevi quadretti talvolta dalla lettura allegorica. Compone anche prove di gusto quasi comico recuperando ad esempio la tradizione della vituperatio vetulae, e componendo versi di grande realismo. 5.4) Il filologo e il professore: le Sylvae e i Miscellanea. Dopo il 1478 della congiura de’ Pazzi, il percorso di Poliziano prende una piega più filologica ed erudita. Il volgare perde rilievo nella sua scrittura, e acquistano invece importanza gli studi filologici e l’attività di serrato commento ai classici che svolge nei corsi presso lo Studio fiorentino. Nascono a margine dei corsi le Sylvae, ciascuna elaborata all’esordio di un ciclo di lezioni riservato ai classici, secondo questo scema: • Manto, 1482, per un corso sulle Bucoliche virgiliane; • Rusticus, 1483, per un corso su Le opere e i giorni di Esiodo e sulle Georgiche virgiliane; • Ambra, 1485, per un corso sui poemi omerici; • Nutricia, 1486, per un corso sull’epica. L’estrazione accademica e il confronto diretto con i classici comportano una stratificazione ancora più marcata della componente erudita, le Sylvae nascono da un raffronto ravvicinato con le Silvae di Stazio, ma accentuano la riscrittura dei modelli latini e greci, maggiori o minorisi offrono come un manifesto del valore nobile e sacro della parola poetica, capace di portare dottrina e conoscenza, e dunque civiltà. Sono gli stessi ideali che guidano l’attività filologica, infatti sul suo scrittoio si accumulano manoscritti annotati, appunti e zibaldoni Poliziano mette a punto un metodo filologico che mira al recupero della parola originaria degli antichi, sanando le corruttele, producendo una prima raccolta, i Miscellaneorum centuria prima, nel 1489, mentre nella seconda, Miscellaneorum centuria secunda rimane inedita e sarà pubblicata soltanto nel secondo 900 (manoscritto appartenente alla fondazione Cini di Venezia). In uno dei suoi viaggi, nei primi anni 90, Poliziano incrocia a Venezia Pietro Bembo. Insieme collazionano un antichissimo codice di Terenzio: una scena simbolica, nella quale può ravvisarsi il passaggio del testimone tra il protagonista della cultura di fine 400 e una delle figure principali del primo Rinascimento. • CAPITOLO 3: L’AMBIENTE FERRARESE E BOIARDO 1) La Ferrara estense: politica e cultura Ferrara nel 400 è la capitale di uno stato debole sul piano politico- istituzionale: lo sviluppo mercantile è favorito dalla posizione geografica, ma ostacolato dal potere di Venezia, con cui era spesso in guerra; la successione all’interno della casa d’Este, feudataria dello Stato della Chiesa, è un passaggio delicato, sia che l’erede maschio venga a mancare, sia per i pretendenti causa di contese interne. Il passaggio tra il marchese Niccolò III (1393-1441) e il figlio illegittimo Leonello (1407-1450), non incontra difficoltà, Borso (1413-1471) deve vincere le resistenze del partito che sostiene il nipote Niccolò, figlio dodicenne di Leonello. Legittimare il proprio potere divenne l’obbiettivo costante di Borso Nel 1452 ottiene da Federico III imperatore il titolo di duca per la città di Modena e Reggio, nel 1461 richiama a Ferrara i figli legittimi di Niccolò III, Ercole e Sigismondo, esiliati a Napoli da Leonello per facilitare la successione di Niccolò. Il 14 aprile 1471 poco prima di morire, è creato duca di Ferrara da Paolo II . Il nuovo status comporta un aumento delle ambizioni politiche e dinamiche estensi, di cui per primo porta il peso Ercole. La sua ascesa al potere deve scontrarsi con le armate di Niccolò di Leonello, lo scontro si protrae al 1476, concluso con la decapitazione di Niccolò. Nel corso di questi sviluppi politici, la cultura ferrarese tradizionalmente legata al gusto e alla letteratura francese, si trasforma: subisce una svolta nel 1429 con l’arrivo di Guarino Guarini (1374-1460). Chiamato da Niccolò III come docente universitario, grecista, filologo, pedagogo, Guarino è una delle più grandi figure dell’Umanesimo fonda una scuola celebre: alle sue lezioni assistono allievi da tutta Europa, richiamati dal modo educativo, fondato sulle humanae litterae, su una formazione graduale dell’uomo (dai rudimenti di lingua ai testi della filosofia antica) e armonica (fisica e intellettuale, scientifica e morale). Allievo di Guarino fu Leonello, il quale incarna l’ideale del principe-umanista. Nella Politia letteraria [L’eleganza letteraria], di Angelo Decembrio (1415- post 1466) iniziata nel 1447 e terminata dopo la morte del marchese, Leonello è uno dei protagonisti e vi discetta assieme ad altri, di argomenti vari (lessico, etimologie, discussioni filologiche, poetiche), mostrando un’èlite ferrarese in cui la politia (eleganza ed educazione all’eleganza) è un valore letterario e umano distintivo. Episodio: A Leonello si presenta Ugolino Pisani- istrione famosissimo nelle corti Europee- con una farsa goliardica, la Repetitio Zanini coqui (la discussione di laurea di un cuoco) in cui Ugolino vanta l’eleganza di un manoscritto, che non è condivisa da Leonello e da Guarino per l’uso improprio di alcune espressioni e l’incoerenza dello stile della commedia la colpa di Ugolino è di aver proposto ad intellettuali un libro formalmente inaccettabile, ed aver confuso la politia di un libro, come di un uomo, con una bella rilegatura, nel celare la rozzezza con la bella apparenza, e non nel contenuto e nell’animo. Con l’incontro tra classicismo guariniano e tradizione cortese nasce il peculiare gusto del Rinascimento ferrarese: ne riflette la complessa raffinatezza, il ciclo di affreschi del Salone dei mesi di palazzo di Schifanoia commissionato da Borso. Diversamente da Leonello, questi preferisce alla cultura classica, i romanzi cavallereschi. 2) Matteo Maria Boiardo La vicenda letteraria e umana di Boiardo si inquadra nel rapporto con la corte estense, le sue vicende dinastiche e politico- militari, esigenze, gusti culturali, in quanto è per nascita e formazione, un uomo di corte, di governoil nesso tra politica e letteratura, fra servizio cortigiano e poesia, è alla base dell’esercizio di Boiardo e all’origine delle sue opere. Grazie a questa vicinanza, l’opera di Boiardo incarna il gusto del Rinascimento ferrarese, sintesi di tradizione cavalleresca e Umanesimo, mondo medievale e classico-umanistico di cui conosce i modelli culturali, rinnovando i generi letterari dall’interno, con uno sperimentalismo contenutistico e formale. Esso si concretizza in opere chiuse dall’architettura perfetta, caratterizzate da studiatissime simmetrie e proporzioni numeriche, e al tempo stesso ‘aperte’, di prodigiosa capacità narrativa, animate da vitalità che si radica nel valore attribuito all’amore, fonte e culmine degli ideali cavallereschi e letterari, dell’esuberante e raffinata humanitas boiardesca. 2.1) Boiardo: tradizione culturale e fedeltà estense Matteo Maria nasce nel maggio-giugno 1441 a Scandiano da Lucia Strozzi e da Giovanni Boiardo. Suo zio materno è Tito Vespasiano Strozzi, allievo di Guarino, il più importante poeta latino ferrarese del tempo, autore di una raccolta di epigrammi d’amore (l’Eroticon), una di ecloghe (Bucoliche) e un poema in onore di Borso d’Este (Borsias, iniziata prima del 1460), di cui è cortigiano e funzionario. Dal “blocco politico” (Santagata) formato dagli strozzi e dai Boiardo, Matteo Maria eredita quindi il vincolo di lealtà con gli Este, in particolare con Borso (1469 dona terre al nonno Feltrino – uomo di stato e allievo di Guarino, presente nella Politia dove ricorda una propria traduzione delle Metamorfosi di Apuleio -, accrescendo il feudo di Scandiano). Nel 1451 Matteo Maria perde il padre e la madre. Grazie agli Strozzi e a Feltrino, riceve una solida educazione umanistica. Morti anche il nonno e lo zio Giulio Ascanio, Matteo Maria eredita il feudo ma lo deve governare col cugino Giovanni (sotto tutela della madre Cornelia Taddea Pio, imparentata con i Pio signori di Carpi, in lotta con Boiardo). Matteo Maria inizia così la propria vita pubblica in continuo rapporto con la corte di Ferrara dove si trasferisce fra Dal settembre 1478 boiardo rientra a Scandiano e si sposa (79) con Taddea Gonzaga dalla quale avrà sei figli. Ercole lo richiama ai doveri d’amministrazione e diventa governatore di Reggio (luglio 1480-gennaio 1482), impegnato ad affrontare la guerra che dal 1482 Ferrara combatte con Venezia (iniziali vittorie venete riscossa ferrarese ad opera di Alfonso duca di Calabrialo scontro termina in modo umiliante per gli Este: distruzioni, pestilenze, perdita di Rovigo e del Polesine sancita con la pace di Bagnolo (1484) vissuta come tradimento di Alfonso. Le vicende storiche e personali si riflettono nelle Pastorali (concepite tra il 1482-84), bucoliche in volgare (guarda alla pubblicazione nel 1482 dello stampatore Miscomini, a Firenze, di una raccolta di ecloghe volgari fiorentine e senesi+ più attento recupero virgiliano). La scelta linguistica dipende sia dalle preferenze della corte sia da un umanesimo che vuole ricreare i generi classici in volgare. Pastoralia sono 10 ecloghe di cui 5 di tema politico (1-2-4-8-10) e 5 di tema amoroso (3-5-7-9), di veste allegorica e unite da connessioni intertestuali. Nell’ecloga 1 il dialogo tra Titiro (Tito Strozzi) e Mopso (Boiardo) propone il lamento del primo per le vittorie del Leone veneziano e le sofferenze ferraresi prive del sostegno del duca ammalato e la distruzione della propria villa di Ostellato. Il secondo lo rincuora leggendo una profezia incisa su un tronco d’alloro in cui si narra del glorioso condottiero Alfonso (profezia ripetuta nella X). La lode del duca di Calabria principio e fine della raccolta è all’origine delle pastorali e causa del loro fallimento. La delusione estense per la pace di Bagnolo rende impossibile la diffusione dell’opera (pubblicata a stampa solo nel 1820). L’allegoria pastorale permette di trattare anche temi personali (es. ecloga 6 adombra il passaggio dall’amore per Antonia al matrimonio con Taddea). Le egloghe cantano sempre amori infelici, poesia d’amore e poesia politica hanno la stessa funzione di reagire alla sorte avversa consolando nell’atto stesso di comunicare il dolore (forse le Pastorali, per quanto attiene alla poesia d’amore, sono la prosecuzione degli Amorum Libri). 2.6) La “bela historia” d’Orlando e Rugiero La composizione delle pastorali avviene negli anni in cui viene stampata la prima edizione dei libri I-II dell’Inamoramento de Orlando. Il libro primo 29 canti è composto durante la signoria di Borso, a cui interessano i romanzi cavallereschi, mentre Ercole amava i libri di storia e le arti spettacolari. Il secondo libro di 31 canti viene scritto tra anni 70-80. Gennaio 1487 boiardo è capitano ducale di Reggio, più alta autorità cittadina, in continuo rapporto con il podestà e il massaro. Numerose lettere vengono inviate a Ferrara (difficoltà amministrative), frequenti attacchi di gotta ne mirano la salute e le possibilità di dedicarsi alla scrittura diminuiscono. La stesura del 3 libro di 9 canti procede lentamente. L’innamoramento de Orlando è lasciato incompiuto per la morte di Boiardo, il 19 dicembre 1494 (il ducato è attraversato dalle truppe francesi di Carlo 8° fine al mondo delle corti quattrocentesche). La trentennale stesura del poema era iniziata con giovanile baldanza. Innamoramento de Orlando caratterizzato da una dizione orale (in parte fittizia) che peculiarità del poema:  Il pubblico preciso è la corte estense e la sua attenzione deve essere costantemente tenuta desta;  fa riferimento ad una modalità romanza non classica di produzione e fruizione dell’opera;  Modello sono le recite dei cantari (non le opere classiche) cavallereschi dei cantimbanchi sulle piazze delle città  ‘Bela storia’ in cui l’attenzione si sposta dallo stile all’invenzione, alle ‘cose nove’ che devono succedersi in modo incalzante per essere dilettose, portando alla complessità narrativa: continuo succedersi di storie diverse portate avanti contemporaneamente il cui racconto si interrompe sempre sul più bello per passare al racconto di un’altra vicenda narrativa Ogni canto (unità discorsiva) non coincide con una precisa unità narrativa e nemmeno con la conclusione della vicenda, questa tecnica narrativa, detta entrelacement viene ereditata dai romanzi francesi cari alla corte estense, ed utilizzata da B. in modo originale. Il passaggio da una storia a un’altra dipende dal capriccio del poeta-cantore e dal suo rapporto con il pubblico, e non dalle necessità interne al racconto. La figura del poeta assume ruolo e presenza costanti nel testo comparendo spesso negli esordi e nelle chiusure dei canti per riattivare il contatto con l’uditorio o per commentare la storia che sta narrando. La novità che mette in moto la macchina narrativa è Orlando innamorato, ovvero un ossimoro, reso plausibile ricorrendo a Turpino, l’ipotetico autore del libro che l’autore finge di riprendere. Orlando è nella tradizione narrativa il paladino per eccellenza, devoto, casto e votato esclusivamente alla guerra contro i saraceni cioè al suo destino epico (nella memoria collettiva è un eroe cristiano). //L’amore lo introduce in un ambiente narrativo estraneoalla verità della storia, alla monodirezionalità della crociata, si sostituisce la dispersività e potenzialmente infinita serie di ‘mirabil prove’ tipiche del mondo incantato dei cavalieri erranti che nella avventura trovano la loro identità. L’innamoramento di Orlando si fonda sulla contraddizione dei personaggi carolingi che vivono nell’universo letterario del ciclo bretone legato alla dimensione dell’avventura e del racconto amoroso (nodo ideologico tematizzato da B. nel proemio di II, XVIII). La grande tradizione poetica italiana aveva sempre declassato il mondo cavalleresco arturiano e i suoi elementi meravigliosi e magici come immorali menzogne, mentre egli nel proemio di I,I fonda il primato della corte arturiana sull’Amore, che diviene valore fondamentale dell’ethos guerriero e cavalleresco e dell’humanitas cortese , da cui nascono gli Amorum libri. Amore (come negli Amorum libri, nei Pastorialia e in Timone) è quindi presentato come forza naturale inarrestabile, civilizzatrice, fonte di ogni arte, che risveglia l’uomo e lo conduce al bene, a una vita lontana dall’attaccamento ai beni materiali, piena e intensa//Tuttavia come tutti i piaceri terreni se perseguito ossessivamente può essere fonte di smarrimento dell’uomo (già negli Amorum libri)Alla vanità delle cose, alla loro capacità di ridurre schiavi gli uomini si deve opporre la misura e la coscienza di sé (costruzione filosofico morale derivata non dai canterini, ma da Virgilio, Lucrezio, nel platonismo, epicureismo quattrocenteschi e nel medievale Roman de la Rose)maggiori ambizioni culturali ed ideologiche rispetto ai cantari precedenti. L’Inamoramento di Orlando è concepito in funzione delle esigenze politico-dinastiche estensi. Boiardo introduce nel libro II un nuovo personaggio: Rugiero (ripreso dalla Borsias; non deriva né dal ciclo carolingio né da quello bretonegli associa un’appartenenza la mondo arturiano ed una missione epico-dinastica) che discende dal mitico eroe troiano Ettore ed è destinato a sposare la cristiana Bradamante, a morire giovane ma ad essere il progenitore degli Este. La discendenza da un eroe troiano è innovativa (e dinasticamente significativa, tutte le casate regnanti occidentali ne erano provviste), gli Este erano tradizionalmente fatti discendere da Gano di Maganza, il traditore di Orlando a Roncisvalle si mette al paio degli imperatori romani, la cui gens Iulia discendeva dal troiano Enea. La promozione ducale di Borso consente anche a gli Este di dotarsi di una nobilissima ascendenza storico mitologica dopo aver rivendicato per sé e per la propria corte l’eredità spirituale della corte arturiana. È nella corte di Ferrara che si rinnova l’età d’oro, la primavera splendida e breve della civiltà cortese che terminerà nell’inverno 1494. Il romanzo s’interrompe sull’innamoramento di Fiordispina per Bradamante con una ottava che registrerà la rovina dell’Italia, con un ottava, la 26 del 9 canto del 3 libro, gravida del doppio lutto per la morte del poeta e la fine di un’epoca, e che mostra che per Boiardo il racconto è cosa distinta, ma non distante, dalle lotte dinastiche e dalla crisi politico militare La letteratura è risposta alle esigenze del presente, tentativo di contrastare la crisi. CAPITOLO 5: L’AMBIENTE NAPOLETANO 1) L’umanesimo alla corte di Alfonzo I (1442-1458) Nel contesto napoletano l’umanesimo si sviluppa in ritardo di un paio di decenni, legata alla figura di Alfonso V d’Aragona che prendendo il controllo del regno nel 1442 (Alfonso 1° re di Napoli), inaugura la stagione aragonese, che durerà fino a fine secolo. Senza essere direttamente interessato alle questioni letterarie comprende il ruolo di legittimazione derivante da una corte di letterativalore politico di un mecenatismo. Attorno a lui si raccoglie una generazione di letterati la cui attività si distribuisce tra la corte e lo Studio -istituzione che doveva supportare la formazione dei giovani studenti- e la biblioteca che arricchisce di codici, luogo di elaborazione intellettuale. Nascono nell’ambiente napoletano le ricerche delle avanguardie umanistiche, opere che mirano alla celebrazione del principe Poggio Bracciolini dedica ad Alfonso una versione latina della Ciropedia di Senofonte, ritratto di un sovrano ideale; gli viene dedicato il De dignitate et excellentia hominis di Giannozzo Manetti, dotto fiorentino protetto dagli aragonesi (testimonia l’apertura culturale di Napoli agli apporti di altri centri, purché inseriti nella politica culturale del sovrano). La figura di Alfonso risulta ingigantita dall’operazione corale di encomi e l’umanesimo aragonese assume una forte impronta monarchica  nasce il mito del Magnanimo, sovrano virtuoso e illuminato sostenitore delle lettere e ripagato da una celebrazione in chiave di principe ideale, immagine affidata nella sua costituzione agli umanisti, immersi anche nel funzionamento materiale della corte e dell’amministrazione. 2) La stagione del Panormita Fondamentale durante la prima stagione dell’Umanesimo napoletano è Antonio Panormita (Antonio Beccadelli). Nato nel 1394 a Palermo si forma nelle migliori scuole dell’Italia settentrionale: Siena, Milano, Pavia (corte di Filippo EPOCA 4: LA CULTURA DELLE CORTI INTRODUZIONE 1) Un nuovo equilibrio politico (1454-1494) Nel corso della seconda metà del 400, dopo un periodo di guerre e rivolgimenti politici della prima metà del secolo, il quadro politico della penisola italiana è caratterizzato da una lunga stagione di stabilità, avviato dalla pace di Lodi nel 1454, che sanciva un nuovo assetto politico dominato da cinque grandi stati: Milano, Repubblica di Venezia, Firenze, Napoli e Stato Pontificio, destinato a perdurare fino al termine del XV secolo. Benché non manchino motivi di tensione sia fra le diverse Signorie o all’interno dei singoli stati (es: 1478 congiura dei Pazzi a Firenze) si registra il mantenimento di un equilibrio che permette il consolidarsi delle strutture delle istituzioni politiche e delle condizioni per lo sviluppo culturale, artistico e letterario. Il policentrismo politico sebbene costituisca una premessa per una debolezza costituzionale dell’Italia nei confronti dei nascenti stati nazionali Europei (calata francese in Italia di Carlo VIII nel 1494), è anche il terreno sociale e politico che consente lo sviluppo della cultura nelle singole corti, che divengono luoghi di elaborazione di modelli culturali che andranno a costituire i fondamenti della società europea d’Antico regime. 2) La cultura delle corti e il nuovo ruolo del volgare La corte diventa il centro di irradiamento di una nuova cultura che ha il compito di offrire un ritratto idealizzato e splendido delle singole realtà politiche, e proporre paradigmi culturali, etici ed artistici, collante ideologico della società. Luogo di esercizio del potere e spazio in cui si consuma la vita intellettuale, è soggetto della letteratura e delle diverse manifestazioni artistiche, che ne descrivono i valori e il suo destinatario ideale (grazie alla rappresentazione artistica si consolida un terreno comune). Un primo cambiamento che si registra è il nuovo rapporto gerarchico tra lingua latina e lingua volgare. Dopo il trionfo dell’Umanesimo latino dei primi decenni del 400 (rivendicazione dell’autonomia del mestiere dell’intellettuale come protagonista attivo della vita sociale), nella seconda parte del secolo si assiste alla crescita del prestigio volgare (strumento espressivo d’eccellenza) legittimato a stare alla pari con il latino (lingua di prestigio). Benché non vi siano ancora forti istanze in direzione di una linguistica comune (marcate caratterizzazioni in senso regionale), tuttavia si ha la consapevolezza che il volgare possa ormai essere utilizzato come lingua di cultura, capace di accogliere sia la tradizione italiana che il patrimonio classicoporta ad un classicismo volgare capace di marginalizzare il latino. Un secondo mutamento riguarda la definizione del ruolo interpretato rispetto al potere politico, perché tale relazione è definita attraverso le forme del mecenatismo, segnando un progressivo passaggio verso una maggiore subordinazione dello scrittore, impiegato in un’attività culturale che ha come obiettivo la celebrazione della corte presso la quale è ospitato e della Signoria in cui opera (sebbene siano presenti anche forme di resistenza e rivendicazione di autonomiaRoma=Accademia di Pomponio Leto). 3) Geografia e storia della cultura cortigiana A partire della rivendicazione uniforme del prestigio del volgare è importante ricordare che la geografia politica, segnata da policentrismo, ha come conseguenza che le medesime istanze culturali siano declinate in modo diverso nelle varie realtà locali (+ anche gli stati di dimensioni più modeste assumono un ruolo di primo piano nella produzione letteraria ed artistica es.: Ferrara, Mantova, Urbino), definendo un quadro di espressioni affini ma non identiche, in rapporto di competizione. Di assoluta centralità resta la politica culturale di Firenze, diretta da Lorenzo de’ Medici, capace di pensare alla letteratura e alle arti come strumenti di affermazione egemonica nei confronti delle altre realtà politiche e culturali della penisola italiana. Si possono individuare all’interna della proposta fiorentina 3 direttrici: • Sviluppo della riflessione filosofica , riconducibile all’Accademia di Marsilio Ficino, traduttore e interprete del pensiero platonico. Attraverso la sua opera si ridefiniscono alcune esperienze letterarie (poesia d’amore) e si ripensa il rapporto con il pensiero cristiano. • Forte rivendicazione di una letteratura volgare a baricentro fiorentino , che va da Dante sino ai contemporanei. A testimonianza di ciò abbiamo la Raccolta Aragonese, antologia manoscritta inviata come omaggio al re di Napoli, nella quale è racchiusa una sorta di storia della letteratura italiana. • Decisiva matrice a carattere umanistico , che trova espressione nella raffinata esperienza di Poliziano, filologo, poeta e maestro di un’intera generazione di letterati. Il tratto veramente distintivo della cultura fiorentina è il fitto dialogo tra queste 3 linee (pur con resistenzePulci), poiché tutte sembrano convergere verso un unico punto di fuga, in nome del quale cultura filosofica, poesia volgare e grande patrimonio della classicità si intrecciano. In nome della medesima dialettica tra esperienza umanistica e nuove istanze di cultura volgare si muovono anche tutte le altre corti italiane. Se nella Napoli aragonese resta significativa l’importanza del latino (Pontano, pur terreno di avvio delle sperimentazioni di Sannazaro), nella corte di Ferrara si assiste a un dialogo più sperimentale tra il portato della scuola umanistica e la proposta di opere in volgare, tanto nei volgarizzamenti e traduzioni per il teatro, che nell’ innesto di elementi classici in generi tradizionalmente volgari come la lirica o il romanzo cavalleresco. Si avvia un processo di fondazione di una cultura in lingua volgare che ambisce a dare voce ad una nuova realtà socio-politica, e costituire un elemento di coesione e riconoscibilità. 4) Oltre la corte: le accademie e il mondo della tipografia Accanto al mondo della corte vi sono però altri spazi in cui il letterato opera.  le ACCADEMIE, cenacoli letterari non sempre rigidamente regolamentati, spesso in diretto rapporto con il potere politico che ne legittima l’esistenza. L’Accademia platonica di Firenze, che vede come figura centrale Marsilio Ficino, o quella napoletana retta da Pontano rappresentano delle esperienze culturali d’avanguardia per la formazione degli intellettuali e per l’elaborazione di un patrimonio di idee retroterra ideologico della corte. I l mondo letterario italiano del secondo 400 è attraversato da una “rivoluzione inavvertita” (Eisenstein) con l’invenzione della STAMPA A CARATTERI MOBILI, nuovo modo economico di garantire la riproducibilità dei testi, efficace e rapida, in virtù della quale si produce un mutamento profondo dell’idea stessa di opera letteraria, del pubblico e dell’autore. Dapprima in rapporto stretto con le forme di lavoro dei manoscritti, poi con maggiore autonomia, la tipografia infatti richiede competenze tecniche e abilità filologiche, reclutando tra i torchi delle stamperie umanisti accanto ad interpreti del nuovo strumento, in particolare a Venezia. I traguardi più alti sono raggiunti da Aldo Manuzio, editore e tipografo che lavora a Venezia tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo, il quale inventerà nuova forma del libro (maneggevole e leggibile nitidamente), e fornirà la proposta di una biblioteca di autori classici presentati con accuratezza filologica in modo da costituire l’ideale biblioteca del mondo umanistico e rinascimentale. 5) I generi letterari della letteratura volgare Alcuni generi costituiscono delle esperienze privilegiate, in virtù della loro capacità di farsi lingua comune, quindi elemento unificante. In questo caso la LIRICA conosce la fioritura più rilevante, sotto le forme di un’imitazione diretta di Petrarca, una ripresa che è sì esibita ed evidente, ma che ne tradisce il senso più profondo, perché non viene più posto l’accento sul sofferto scavo dell’interiorità (a detrimento della mondanità) ma si punta piuttosto a celebrare anche una dimensione sociale e collettivaGli Amorum libri tres di Boiardo da avvio alla storia d’amore cantata non tra le pareti di una chiesa (Petrarca), ma nel corso di una festa a corte, ambiente ideale che la parola poetica celebra L’imitazione di Petrarca si realizza attraverso una sorta di “lessicalizzazione” (Santagata) della sua opera, poiché si sfrutta la lingua dei Rerum vulgarium fragmenta per dar voce a un mondo nuovo, diverso dai confini dell’universo petrarchesco. Se la lirica viene piegata in un gioco di intrecci tra finalità encomiastiche, occasioni sociali e momenti di approfondimento interiore, alle esigenze della corte, questa spinta motiva anche la nuova attenzione che si registra per il teatro, inteso come momento di spettacolarizzazione della cultura: perde di forma una vera e propria pratica teatrale capace di avanzare una prima mediazione tra la tradizione antica e le forme del moderno. Si registra in questo periodo un’intensa attività di allestimento di spettacoli nelle corti di Milano, Ferrara, Mantova e Firenze, in coincidenza con i grandi eventi della vita politica, e con il coinvolgimento di una pluralità di figure. CAPITOLO 1: IL PASSAGGIO DAL MANOSCRITTO ALLA STAMPA 1) Una mirabile invenzione La paternità dell’invenzione va riconosciuta a Johan Gutenberg (fine XIV-1468), egli fu il responsabile dei due assicurare la centralità dell’aspetto visivo. Il dominio dell’occhio ‘nella fronte’ si accompagna a quello dell’occhio ‘nel cervello’, favorendo un vedere profondamente, intellettualenuova rivoluzionaria organizzazione dei sensi umanicambiamento di mentalità della civiltà occidentale. • CAPITOLO 2: L’AMBIENTE LAURENZIANO 1) 1469-1492: Il progetto culturale di Lorenzo de’ Medici 1.1) “due persone diverse, quasi con impossibile congiunzione” Lorenzo de’ Medici è l’abile regista della vita intellettuale fiorentina del suo tempo, capace di fare del rinnovamento culturale un elemento fondamentale dell’arte di governare. Letterato raffinato in grado di coniugare l’impegno politico con quello poetico, destreggiandosi in una grande varietà di stili e generi. La poliedricità è ciò che caratterizza l’attività letteraria e la personalità di Lorenzo, caratteristica data da Niccolò Machiavelli nel libro ottavo delle Istorie Fiorentine: si vedeva in lui essere due persone diverse, quasi con impossibile congiunzione congiuntefine letterato/accorto politico. Nacque a Firenze il 1° Gennaio del 1449 da Pietro di Cosimo il Vecchio e Lucrezia Tornabuoni, Lorenzo riceve un’educazione umanistica sotto la guida del suo precettore, Gentile Becchi, ascolta le lezione del dotto greco Giovanni Agiropulo, ma preferisce la letteratura volgare e si dedica allo studio della tradizione toscana, infatti già da adolescente scrive un’operetta mitologica in terzine Corinto, sull’amore non corrisposto del pastore Corinto per la ninfa Galatea e comincia a comporre liriche di ispirazione petrarchesca, nucleo del suo Canzoniere. Ricopre fin da giovane incarichi di rilievo nella vita politica cittadina e nel 1469 (morte del padre), diviene signore di fatto di Firenze. 1.2) Un gioco incessante di forme e contenuti Al magistero di Petrarca, Lorenzo affianca l’esempio espressionistico di Luigi Pulci, nel Simposio, l’uccellagione di starne e la Nencia da Barberino (1460-70)vena comico realistica. • SIMPOSIO: rassegna dei maggiori bevitori fiorentini in un convito prosaico; riscrittura burlesca del Simposio platonico e del commento che ne fece Ficino; • UCCELLAGIONE DI STARNE: poemetto che racconta di una battuta di caccia di un gruppo di amici di Lorenzo, nello stile delle “cacce” in versi di tardo Trecento (insistiti giochi onomatopeici e inserzioni di discorsi diretti); • NENCIA DA BARBERINO: parodia in ottave dell’egloga rusticale, a cui Pulci replicherà con la Beca da Dicomano; pervenuta in 4 redazioni diverse (discussa attribuzione), combina un lessico popolareggiante con una costruzione sintattica più elevata nel canto del contadino Vallera per la bellezza di Nancia (fornita una descrizione che è eroica degradazione a livello materiale e rustico della rappresentazione dell’amata della tradizione petrarchesca). Testi stilisticamente sperimentali che testimoniano la convinzione di Lorenzo che la lingua toscana sia capace di un’espressività tale da eguagliare il latino, idea base del progetto della Raccolta Aragonese, silloge di componimenti poetici in lingua toscana a partire dal Duecento, approntata da Lorenzo nel 1476 per Federico d’Aragona, figlio minore del re di Napoli, con l’aiuto di Poliziano. 1.3) Palinodia di una parodia: tra Simposio e De Summo Bono Testi estremamente differenti, pur con fitta rete di richiami: • SIMPOSIO: antiplatonico nei suoi rimandi alla sfera carnale e corporale dell’esistenza umana; parodia dei Trionfi in terzine, in cui sfilano personaggi virtuosi genere che aveva mostrato un rovesciamento caricaturale già nell’opera di Bernardo di Stefano, noto come Giambino d’Arezzo, al quale dobbiamo un poema diviso in due libri: Delle genti idiote d’Arezzo e Degli uomini famosi d’Arezzo e d’Italia, la cui rassegna dei personaggi ridicoli e stupidi della città toscana è perfetto speculum deformato di quella degli uomini di valore. Lorenzo fa la sua vena parodica di Giambino arricchendola di elementi dotti, atti ad irridere, sino a giungere alla blasfemia, temi evangelici e ficiniani: es. tema della sete (Vangelo di Giovanni; in Ficino immagine dell’inesausto desiderio di pervenire a Dio) dileggiato in versi che celebrano invece la tensione all’ubriacatezza. • DE SUMMO BONO: opera filosofica di ambientazione pastorale composta nel 1474, una parafrasi in volgare dell’epistola De felicitae e dell’Oratio ad Deum Theologica di Marsilio Ficino una palinodia del Simposio, prova dell’interesse di Lorenzo per la filosofia di Ficino; introdotta da un’orazione a Minerva (dea della vita contemplativa) e ad Apollo (dio del furor poetico)l’argomentazione per giungere alla definizione del sommo bene segue il metodo dialettico platonico che attraverso divisioni dicotomiche, giunge all’universale. Con questo componimento Lorenzo tenta di mostrare quale sia l’iter che conduce all’unità divina. In un tessuto verbale di allegorie con sfumature orfiche ed ermetiche, secondo le dottrine dei prisci theologi torna l’immagine della sete in senso ficiniano. • Opere in cui stessi temi vengono declinati in direzioni opposte, mostrando la capacità laurenziana di impostare la sua scrittura al servizio di posizioni e di ideologie anche lontane. 1.4) Una nuova politica culturale La posizione e l’incolumità di Lorenzo vengono messe in serio pericolo dalle mire espansionistiche di Girolamo Riario, signore di Imola e di Forlì e nipote di papa Sisto IV. La famiglia Pazzi sfrutta l’occasione per accordarsi con l’arcivescovo di Pisa Francesco Salviati, e con il placet del papa, per ordire una congiura che sfocia, il 26 aprile 1478 nell’uccisione in S. Maria del Fiore, di Giuliano. L’interdetto di Sisto IV (alleato a Ferdinando di Napoli) getta Firenze in una profonda crisi, dalla quale però Lorenzo risolleva con successo recandosi personalmente a Napoli, alla fine del 1479, convincendo il re a terminare le ostilità. Si tratta del primo atto di una sapiente politica di alleanze e accordi (il figlio Giovanni prende la porpora cardinalizia) che rende Lorenzo il perno dell’equilibrio italiano e gli garantisce la possibilità di consolidare lo status della famiglia e di dedicarsi all’attività di mecenate, facendo di Firenze la capitale culturale d’Italia e guadagnandosi l’appellativo di Magnifico. Intorno a lui si raccolgono poeti, artisti (Sandro Botticelli e Giuliano da Sangallo), filosofi quali Marsilio Ficino e Giovanni Pico della Mirandola. Lorenzo segue inoltre gli studi filologici di Poliziano, che recupera su suo incarico numerosi manoscritti greci nell’Italia settentrionale, ed ottiene una cattedra nello studio fiorentino. Accanto ad altri esercizi di minore rilievo (novelle Giacoppo e Ginevra, poemetto mitologico in ottave incompiuto Ambra, le Selve d’Amore scritte in ottave sul modello delle Silvae di Stazio) è soprattutto significativo nella produzione lirica. Negli anni 80 Lorenzo compone altre liriche per il suo Canzoniere (classicismo volgare di Poliziano), comincia anche a lavorare al Comento de’ miei sonetti in cui, come nella Vita nova, parafrasa in prosa i sonetti per l’amata Lucrezia Donati (amore venato di riferimenti neoplatonizzanti). 1.5) Tempus fugit Lorenzo è anche autore di canzoni a ballo e carnascialesche, in cui ricorrente è il tema del carpe diem. Al carnevale del 1490, risalgono la Canzona de’ sette pianeti e la Canzona di Bacco, con precisi riferimenti biblici e alla filosofia ficiniana, ma toni giocosi. Nella Canzona de’ sette pianeti viene riproposta l’idea (già in De vita coelitus comparanda di Ficino) della trama di corrispondenze che lega le vicende umane all’influsso dei pianeti, nella Canzona di Bacco la necessità per l’uomo di cogliere l’attimo non è soltanto un invito epicureo al godimento dei beni terreni, ma svolge una sorta di parafrasi dell’Ecclesiaste + recupero di temi della lettera di Ficino a Lorenzo del 1474 Tempus parcere expendendum, in dialogo contestuale con il senecano De brevitate vitae. La ierogamia tra Bacco e Arianna rappresenta neoplatonicamente il ricongiungimento dell’anima umana al divino, ed è esempio del percorso di ascensione umana a Dio, allontanando da sé le inutili preoccupazioni della vita quotidiana. Al 1491 risale infine la Rappresentazione di san Giovanni e Paolo, unica opera drammatica di Lorenzo, dedicata persecuzione dei cristiani da parte di Giuliano l’Apostataforte poliedricità di L. Lorenzo morì l’8 aprile 1492 nella villa di Careggi, segnando la fine di un’epoca sul piano storico-culturale. 2) La tradizione popolare fiorentina e l’esperienza dei Pulci 2.1) Le muse dei Pulci Nato nel Mugello nel 1432 da una famiglia nobile decaduta, Luigi è il più dotato di tre fratelli scrittori. Dopo una formazione in provincia, passa a Firenze, entrando nel circolo della famiglia Medici. Viene preso sotto la protezione di Lucrezia Tornabuoni, che gli commissiona di comporre un poema sulle gesta di Carlo Magno, poi divenuto il Morgante. Qui entra in contatto con la migliore cultura volgare del periodo, da Alberti a Burchiello, e classica (Virgilio e Ovidio produce il Vocabolista, una raccolta di lemmi tratti dal greco e dal latino). Già negli anni 60 stringe rapporti con Lorenzo, figura di riferimento del percorso di Pulci e che assiste alle sue prime prove, caratterizzate da uno spiccato sperimentalismo linguistico. Nel 1465 si impegna in sonetti polemici contro il cancelliere della Signoria Bartolomeo della Scala, dove mette in caricatura le umili origini di Scala in rapporto agli altri incarichi ottenutiinclinazione polemica. Nel 1469, in occasione di una giostra vinta da Lorenzo de’ Medici, viene scelto per comporre un poemetto celebrativo (rapporto consolidato) e scrive la Beca da Dicomano, una sorta di risposta puntuale alla Nencia da Barberino, costituita con gli stessi toni di parodia della poesia amorosa e della celebrazione delle bellezze delle donne. A partire dai primi anni 70 Pulci misura una progressiva distanza dalle linee culturali promosse da Lorenzo. L’ascesa del ruolo di Ficino e della filosofia neoplatonica mette in ombra la sua poesia, che prova a reagire in chiave polemica: ragiona sull’origine dell’amore e per discute alcuni aspetti della filosofia di Ficino (correggendo l’interpretazione di Plotino). Lo studio delle diverse tradizioni filosofiche lo porta alla convinzione di una loro convergenza in una sapienza comune. Quest’ideale di una possibile sintesi filosofica domina le 900 Conclusiones, pubblicate nel 1486 a Roma e anticipate da un’orazione De dignitate hominis, che rappresenta un elogio delle capacità e delle possibilità assegnate all’uomo che essendo libero (in essenza ed origini), può elevarsi a una dimensione intellettuale grazie alla libera volontà, superando la sfera terrena. A Firenze stringe amicizia con Poliziano, fondata sui comuni interessi filosofici, e si avvicina alla religiosità di Savonarola. Si trova al capezzale di Lorenzo de’ Medici, nel 1492 su sua ispirazione avvia la composizione delle Disputationes adversus astrologos che attaccano le pretese degli astrologi sulle influenze dei pianeti sulla vita degli individui libera condizione dell’uomo nella definizione del proprio percorso. Pico muore a Firenze nel 1494. 5) Angelo Poliziano: poeta e intellettuale mediceo 5.1) La formazione, tra Montepulciano e Firenze Angelo Ambrogini nasce nel 1454 a Montepulciano, il padre viene assassinato nel 1464 e Angelo si sposta presto a Firenze, per completare i suoi studi. Entra in contatto con maestri della cultura greca come Giovanni Agirupolo e i protagonisti dell’ambiente laurenziano quali Cristoforo Landino e con Marsilio Ficino. Nel 1469 (a 15 anni) avvia la traduzione dell’Iliade in esametri latini, indirizzata alla casata Medici. L’opera gli vale l’ingresso nel circolo del Magnifico: ha così la possibilità di studiare i codici della biblioteca di casa Medici, infatti risalgono già ai primi anni 70 i primi postillati, manoscritti nei cui margini matura una conoscenza dei classici e la sicurezza nel metodo filologico (continuerà a lavorare alla versione omerica). Si impegna in altri esercizi poetici, mirati all’acquisto di una posizione di rilievo vicino a Lorenzo: nel 1473 compone un’elegia indirizzata a Bartolomeo Fonzio dove vi inserisce elogi di Lorenzo e Ficino (in ombra gli altri come il Landino e Pulci). Già si intravede quello lo stile caratteristico di Poliziano: la capacità di costruire opere attraverso la combinazione e l’intarsio di un gran numero di memorie classiche, ora soprattutto da autori latini, da Virgilio a Ovidio versi carichi di memoria, stratificati di letture ed eleganza: un equilibrio che trova i suoi esiti più alti nelle Stanze per la giostra. 5.2) Le Stanze per la giostra Nel gennaio 1475 una giostra promuove l’ingresso nella vita politica di Giuliano de’ Medici e la celebrazione dell’evento viene affidata a Poliziano, che compone Le Stanze per la giostra, opera in ottave lontana dal precedente di Pulci. Entro un poemetto ambizioso, d’impatto allegorico, Poliziano narra del giovane Iulio (Giuliano) che, inizialmente dedito alla caccia e restio alla passione amorosa, viene colpito da Cupido e fatto così innamorare dalla giovane e bellissima Simonetta Cattaneo (donna amata da Giuliano). Inizia così un percorso di elevazione che lo porta ad abbandonare la caccia e la vita silvestre e lo spinge a invocare la Virtù, l’Amore e la Gloria. L’opera si interrompe alla stanza 46 del secondo libro e offre solo la prima parte del percorso ascensionale del giovane: dopo l’abbandono della vita sensuale e dopo il passaggio alla vita attiva, è verosimile che l’ascesa si completasse con il passaggio alla vita contemplativa, ricalcando dunque, alcuni cardini della filosofia platonica di marca ficiniana. Su questo disegno intervengono in modo decisivo gli eventi storici: nell’aprile del 1476 la scomparsa di Simonetta ma soprattutto nel 1478 la congiura de’ Pazzi ordita contro i Medici, e causa della morte di Giuliano. I disordini e il nuovo clima venutosi a creare determinano l’interruzione del progetto. Nelle 171 ottave che ci sono pervenute, si rivelano il capolavoro della lirica volgare del 400. Mettendo in pratica le indicazioni di Lorenzo sulla nobilitazione della lingua volgare (linea fiorentina esemplata dalla Raccolta Aragonese), in esse risuonano i grandi modelli greci e latini e la migliore tradizione volgare. Poliziano raccoglie le memorie della tradizione classica (soprattutto ovidiana nella descrizione del palazzo di Venere) e la filtra attraverso la padronanza degli autori trecenteschi, dai Fragmenta di Petrarca alle opere in versi di Boccaccio. Nelle Stanze emerge anche la tecnica di costruzione per tasselli, per tableaux, tipica di Poliziano: quadretti conclusi e levigati, con una forte tensione figurativa, una poesia di frammenti sapientemente connessi su ambiziose arcate narrative con un’evidente marca allegorica. 5.3) L’Orfeo e le Rime La stessa venatura allegorica caratterizza l’Orfeo (anch’esso in volgare), che Antonio Atissoni Benvenuti riporta alla stagione delle Stanze (entro il 1478) nel quale Poliziano riprende in poche centinaia di versi il mito di Orfeo, la sua storia d’amore e disperazione per la perdita di Euridice (sostanziato dal De consolationae Philosophiae di Boezio e dalla Genealogia deorum gentilium di Boccaccio). L’errore del cantore che, dopo esser riuscito a riscattare Euridice dagli Inferi, si volta, infrangendo il divieto impostogli, può essere letto come la ricaduta da parte degli uomini nella dimensione terrena, scelta che impedisce per sempre un cammino di liberazione e di ascesi dalla dimensione sensuale a quella contemplativa, dunque Orfeo si volge all’amore omoerotico, decidendo di mai più piegarsi a una passione che produce sofferenza. Nella condanna del “feminile amor” e nel rivolgersi alla “primavera del sexo migliore”, Orfeo rovescia la una parabola, confinandosi a un amore tutto sensuale. Di qui giunge la condanna, con il suo corpo straziato dalle Beccanti, in una conclusione che ha un andamento quasi orgiastico. L’Orfeo è il primo dramma profano in lingua volgare e dimostra la capacità di Poliziano di sperimentare. Più umile delle Stanze nello stile, offre al suo interno una mobilità virtuosistica anche nei metri si alternano e si intrecciano secondo un principio di varietas declinando i modelli classici riscritti da Poliziano. Un riflesso di questo sperimentalismo emerge anche nelle Rime (piano di minor rilievo). I numerosi esercizi di poesia, in volgare e in latino, non vengono organizzati in un canzoniere, né sottoposti a riorganizzazione autoriale, ma sono esercizi di un’arte estemporanea, esiti laboratoriali discontinui e accostati. Poliziano si allontana dalla linea del petrarchismo, abbandona quasi i metri tradizionali di sonetti e canzoni e si indirizza verso i rispetti (ottava rima isolata) e le ballate, metri adatti a misurati e brevi quadretti talvolta dalla lettura allegorica. Compone anche prove di gusto quasi comico recuperando ad esempio la tradizione della vituperatio vetulae, e componendo versi di grande realismo. 5.4) Il filologo e il professore: le Sylvae e i Miscellanea. Dopo il 1478 della congiura de’ Pazzi, il percorso di Poliziano prende una piega più filologica ed erudita. Il volgare perde rilievo nella sua scrittura, e acquistano invece importanza gli studi filologici e l’attività di serrato commento ai classici che svolge nei corsi presso lo Studio fiorentino. Nascono a margine dei corsi le Sylvae, ciascuna elaborata all’esordio di un ciclo di lezioni riservato ai classici, secondo questo scema: • Manto, 1482, per un corso sulle Bucoliche virgiliane; • Rusticus, 1483, per un corso su Le opere e i giorni di Esiodo e sulle Georgiche virgiliane; • Ambra, 1485, per un corso sui poemi omerici; • Nutricia, 1486, per un corso sull’epica. L’estrazione accademica e il confronto diretto con i classici comportano una stratificazione ancora più marcata della componente erudita, le Sylvae nascono da un raffronto ravvicinato con le Silvae di Stazio, ma accentuano la riscrittura dei modelli latini e greci, maggiori o minorisi offrono come un manifesto del valore nobile e sacro della parola poetica, capace di portare dottrina e conoscenza, e dunque civiltà. Sono gli stessi ideali che guidano l’attività filologica, infatti sul suo scrittoio si accumulano manoscritti annotati, appunti e zibaldoni Poliziano mette a punto un metodo filologico che mira al recupero della parola originaria degli antichi, sanando le corruttele, producendo una prima raccolta, i Miscellaneorum centuria prima, nel 1489, mentre nella seconda, Miscellaneorum centuria secunda rimane inedita e sarà pubblicata soltanto nel secondo 900 (manoscritto appartenente alla fondazione Cini di Venezia). In uno dei suoi viaggi, nei primi anni 90, Poliziano incrocia a Venezia Pietro Bembo. Insieme collazionano un antichissimo codice di Terenzio: una scena simbolica, nella quale può ravvisarsi il passaggio del testimone tra il protagonista della cultura di fine 400 e una delle figure principali del primo Rinascimento. • CAPITOLO 3: L’AMBIENTE FERRARESE E BOIARDO 1) La Ferrara estense: politica e cultura Ferrara nel 400 è la capitale di uno stato debole sul piano politico- istituzionale: lo sviluppo mercantile è favorito dalla posizione geografica, ma ostacolato dal potere di Venezia, con cui era spesso in guerra; la successione all’interno della casa d’Este, feudataria dello Stato della Chiesa, è un passaggio delicato, sia che l’erede maschio venga a mancare, sia per i pretendenti causa di contese interne. Il passaggio tra il marchese Niccolò III (1393-1441) e il figlio illegittimo Leonello (1407-1450), non incontra difficoltà, Borso (1413-1471) deve vincere le resistenze del partito che sostiene il nipote Niccolò, figlio dodicenne di Leonello. Legittimare il proprio potere divenne l’obbiettivo costante di Borso Nel 1452 ottiene da Federico III imperatore il titolo di duca per la città di Modena e Reggio, nel 1461 richiama a Ferrara i figli legittimi di Niccolò III, Ercole e Sigismondo, esiliati a Napoli da Leonello per facilitare la successione di Niccolò. Il 14 aprile 1471 poco prima di morire, è creato duca di Ferrara da Paolo II . Il nuovo status comporta un aumento delle ambizioni politiche e dinamiche estensi, di cui per primo porta il peso Ercole. La sua ascesa al potere deve scontrarsi con le armate di Niccolò di Leonello, lo scontro si protrae al 1476, concluso con la decapitazione di Niccolò. Nel corso di questi sviluppi politici, la cultura ferrarese tradizionalmente legata al gusto e alla letteratura francese, si trasforma: subisce una svolta nel 1429 con l’arrivo di Guarino Guarini (1374-1460). Chiamato da Niccolò III come docente universitario, grecista, filologo, pedagogo, Guarino è una delle più grandi figure dell’Umanesimo fonda una scuola celebre: alle sue lezioni assistono allievi da tutta Europa, richiamati dal modo educativo, fondato sulle humanae litterae, su una formazione graduale dell’uomo (dai rudimenti di lingua ai testi della filosofia antica) e armonica (fisica e intellettuale, scientifica e morale). Allievo di Guarino fu Leonello, il quale incarna l’ideale del principe-umanista. Nella Politia letteraria [L’eleganza letteraria], di Angelo Decembrio (1415- post 1466) iniziata nel 1447 e terminata dopo la morte del marchese, Leonello è uno dei protagonisti e vi discetta assieme ad altri, di argomenti vari (lessico, etimologie, discussioni filologiche, poetiche), mostrando un’èlite ferrarese in cui la politia (eleganza ed educazione all’eleganza) è un valore letterario e umano distintivo. Episodio: A Leonello si presenta Ugolino Pisani- istrione famosissimo nelle corti Europee- con una farsa goliardica, la Repetitio Zanini coqui (la discussione di laurea di un cuoco) in cui Ugolino vanta l’eleganza di un manoscritto, che non è condivisa da Leonello e da Guarino per l’uso improprio di alcune espressioni e l’incoerenza dello stile della commedia la colpa di Ugolino è di aver proposto ad intellettuali un libro formalmente inaccettabile, ed aver confuso la politia di un libro, come di un uomo, con una bella rilegatura, nel celare la rozzezza con la bella apparenza, e non nel contenuto e nell’animo. Con l’incontro tra classicismo guariniano e tradizione cortese nasce il peculiare gusto del Rinascimento ferrarese: ne riflette la complessa raffinatezza, il ciclo di affreschi del Salone dei mesi di palazzo di Schifanoia commissionato da Borso. Diversamente da Leonello, questi preferisce alla cultura classica, i romanzi cavallereschi. 2) Matteo Maria Boiardo La vicenda letteraria e umana di Boiardo si inquadra nel rapporto con la corte estense, le sue vicende dinastiche e politico- militari, esigenze, gusti culturali, in quanto è per nascita e formazione, un uomo di corte, di governoil nesso tra politica e letteratura, fra servizio cortigiano e poesia, è alla base dell’esercizio di Boiardo e all’origine delle sue opere. Grazie a questa vicinanza, l’opera di Boiardo incarna il gusto del Rinascimento ferrarese, sintesi di tradizione cavalleresca e Umanesimo, mondo medievale e classico-umanistico di cui conosce i modelli culturali, rinnovando i generi letterari dall’interno, con uno sperimentalismo contenutistico e formale. Esso si concretizza in opere chiuse dall’architettura perfetta, caratterizzate da studiatissime simmetrie e proporzioni numeriche, e al tempo stesso ‘aperte’, di prodigiosa capacità narrativa, animate da vitalità che si radica nel valore attribuito all’amore, fonte e culmine degli ideali cavallereschi e letterari, dell’esuberante e raffinata humanitas boiardesca. 2.1) Boiardo: tradizione culturale e fedeltà estense Matteo Maria nasce nel maggio-giugno 1441 a Scandiano da Lucia Strozzi e da Giovanni Boiardo. Suo zio materno è Tito Vespasiano Strozzi, allievo di Guarino, il più importante poeta latino ferrarese del tempo, autore di una raccolta di epigrammi d’amore (l’Eroticon), una di ecloghe (Bucoliche) e un poema in onore di Borso d’Este (Borsias, iniziata prima del 1460), di cui è cortigiano e funzionario. Dal “blocco politico” (Santagata) formato dagli strozzi e dai Boiardo, Matteo Maria eredita quindi il vincolo di lealtà con gli Este, in particolare con Borso (1469 dona terre al nonno Feltrino – uomo di stato e allievo di Guarino, presente nella Politia dove ricorda una propria traduzione delle Metamorfosi di Apuleio -, accrescendo il feudo di Scandiano). Nel 1451 Matteo Maria perde il padre e la madre. Grazie agli Strozzi e a Feltrino, riceve una solida educazione umanistica. Morti anche il nonno e lo zio Giulio Ascanio, Matteo Maria eredita il feudo ma lo deve governare col cugino Giovanni (sotto tutela della madre Cornelia Taddea Pio, imparentata con i Pio signori di Carpi, in lotta con Boiardo). Matteo Maria inizia così la propria vita pubblica in continuo rapporto con la corte di Ferrara dove si trasferisce fra Dal settembre 1478 boiardo rientra a Scandiano e si sposa (79) con Taddea Gonzaga dalla quale avrà sei figli. Ercole lo richiama ai doveri d’amministrazione e diventa governatore di Reggio (luglio 1480-gennaio 1482), impegnato ad affrontare la guerra che dal 1482 Ferrara combatte con Venezia (iniziali vittorie venete riscossa ferrarese ad opera di Alfonso duca di Calabrialo scontro termina in modo umiliante per gli Este: distruzioni, pestilenze, perdita di Rovigo e del Polesine sancita con la pace di Bagnolo (1484) vissuta come tradimento di Alfonso. Le vicende storiche e personali si riflettono nelle Pastorali (concepite tra il 1482-84), bucoliche in volgare (guarda alla pubblicazione nel 1482 dello stampatore Miscomini, a Firenze, di una raccolta di ecloghe volgari fiorentine e senesi+ più attento recupero virgiliano). La scelta linguistica dipende sia dalle preferenze della corte sia da un umanesimo che vuole ricreare i generi classici in volgare. Pastoralia sono 10 ecloghe di cui 5 di tema politico (1-2-4-8-10) e 5 di tema amoroso (3-5-7-9), di veste allegorica e unite da connessioni intertestuali. Nell’ecloga 1 il dialogo tra Titiro (Tito Strozzi) e Mopso (Boiardo) propone il lamento del primo per le vittorie del Leone veneziano e le sofferenze ferraresi prive del sostegno del duca ammalato e la distruzione della propria villa di Ostellato. Il secondo lo rincuora leggendo una profezia incisa su un tronco d’alloro in cui si narra del glorioso condottiero Alfonso (profezia ripetuta nella X). La lode del duca di Calabria principio e fine della raccolta è all’origine delle pastorali e causa del loro fallimento. La delusione estense per la pace di Bagnolo rende impossibile la diffusione dell’opera (pubblicata a stampa solo nel 1820). L’allegoria pastorale permette di trattare anche temi personali (es. ecloga 6 adombra il passaggio dall’amore per Antonia al matrimonio con Taddea). Le egloghe cantano sempre amori infelici, poesia d’amore e poesia politica hanno la stessa funzione di reagire alla sorte avversa consolando nell’atto stesso di comunicare il dolore (forse le Pastorali, per quanto attiene alla poesia d’amore, sono la prosecuzione degli Amorum Libri). 2.6) La “bela historia” d’Orlando e Rugiero La composizione delle pastorali avviene negli anni in cui viene stampata la prima edizione dei libri I-II dell’Inamoramento de Orlando. Il libro primo 29 canti è composto durante la signoria di Borso, a cui interessano i romanzi cavallereschi, mentre Ercole amava i libri di storia e le arti spettacolari. Il secondo libro di 31 canti viene scritto tra anni 70-80. Gennaio 1487 boiardo è capitano ducale di Reggio, più alta autorità cittadina, in continuo rapporto con il podestà e il massaro. Numerose lettere vengono inviate a Ferrara (difficoltà amministrative), frequenti attacchi di gotta ne mirano la salute e le possibilità di dedicarsi alla scrittura diminuiscono. La stesura del 3 libro di 9 canti procede lentamente. L’innamoramento de Orlando è lasciato incompiuto per la morte di Boiardo, il 19 dicembre 1494 (il ducato è attraversato dalle truppe francesi di Carlo 8° fine al mondo delle corti quattrocentesche). La trentennale stesura del poema era iniziata con giovanile baldanza. Innamoramento de Orlando caratterizzato da una dizione orale (in parte fittizia) che peculiarità del poema:  Il pubblico preciso è la corte estense e la sua attenzione deve essere costantemente tenuta desta;  fa riferimento ad una modalità romanza non classica di produzione e fruizione dell’opera;  Modello sono le recite dei cantari (non le opere classiche) cavallereschi dei cantimbanchi sulle piazze delle città  ‘Bela storia’ in cui l’attenzione si sposta dallo stile all’invenzione, alle ‘cose nove’ che devono succedersi in modo incalzante per essere dilettose, portando alla complessità narrativa: continuo succedersi di storie diverse portate avanti contemporaneamente il cui racconto si interrompe sempre sul più bello per passare al racconto di un’altra vicenda narrativa Ogni canto (unità discorsiva) non coincide con una precisa unità narrativa e nemmeno con la conclusione della vicenda, questa tecnica narrativa, detta entrelacement viene ereditata dai romanzi francesi cari alla corte estense, ed utilizzata da B. in modo originale. Il passaggio da una storia a un’altra dipende dal capriccio del poeta-cantore e dal suo rapporto con il pubblico, e non dalle necessità interne al racconto. La figura del poeta assume ruolo e presenza costanti nel testo comparendo spesso negli esordi e nelle chiusure dei canti per riattivare il contatto con l’uditorio o per commentare la storia che sta narrando. La novità che mette in moto la macchina narrativa è Orlando innamorato, ovvero un ossimoro, reso plausibile ricorrendo a Turpino, l’ipotetico autore del libro che l’autore finge di riprendere. Orlando è nella tradizione narrativa il paladino per eccellenza, devoto, casto e votato esclusivamente alla guerra contro i saraceni cioè al suo destino epico (nella memoria collettiva è un eroe cristiano). //L’amore lo introduce in un ambiente narrativo estraneoalla verità della storia, alla monodirezionalità della crociata, si sostituisce la dispersività e potenzialmente infinita serie di ‘mirabil prove’ tipiche del mondo incantato dei cavalieri erranti che nella avventura trovano la loro identità. L’innamoramento di Orlando si fonda sulla contraddizione dei personaggi carolingi che vivono nell’universo letterario del ciclo bretone legato alla dimensione dell’avventura e del racconto amoroso (nodo ideologico tematizzato da B. nel proemio di II, XVIII). La grande tradizione poetica italiana aveva sempre declassato il mondo cavalleresco arturiano e i suoi elementi meravigliosi e magici come immorali menzogne, mentre egli nel proemio di I,I fonda il primato della corte arturiana sull’Amore, che diviene valore fondamentale dell’ethos guerriero e cavalleresco e dell’humanitas cortese , da cui nascono gli Amorum libri. Amore (come negli Amorum libri, nei Pastorialia e in Timone) è quindi presentato come forza naturale inarrestabile, civilizzatrice, fonte di ogni arte, che risveglia l’uomo e lo conduce al bene, a una vita lontana dall’attaccamento ai beni materiali, piena e intensa//Tuttavia come tutti i piaceri terreni se perseguito ossessivamente può essere fonte di smarrimento dell’uomo (già negli Amorum libri)Alla vanità delle cose, alla loro capacità di ridurre schiavi gli uomini si deve opporre la misura e la coscienza di sé (costruzione filosofico morale derivata non dai canterini, ma da Virgilio, Lucrezio, nel platonismo, epicureismo quattrocenteschi e nel medievale Roman de la Rose)maggiori ambizioni culturali ed ideologiche rispetto ai cantari precedenti. L’Inamoramento di Orlando è concepito in funzione delle esigenze politico-dinastiche estensi. Boiardo introduce nel libro II un nuovo personaggio: Rugiero (ripreso dalla Borsias; non deriva né dal ciclo carolingio né da quello bretonegli associa un’appartenenza la mondo arturiano ed una missione epico-dinastica) che discende dal mitico eroe troiano Ettore ed è destinato a sposare la cristiana Bradamante, a morire giovane ma ad essere il progenitore degli Este. La discendenza da un eroe troiano è innovativa (e dinasticamente significativa, tutte le casate regnanti occidentali ne erano provviste), gli Este erano tradizionalmente fatti discendere da Gano di Maganza, il traditore di Orlando a Roncisvalle si mette al paio degli imperatori romani, la cui gens Iulia discendeva dal troiano Enea. La promozione ducale di Borso consente anche a gli Este di dotarsi di una nobilissima ascendenza storico mitologica dopo aver rivendicato per sé e per la propria corte l’eredità spirituale della corte arturiana. È nella corte di Ferrara che si rinnova l’età d’oro, la primavera splendida e breve della civiltà cortese che terminerà nell’inverno 1494. Il romanzo s’interrompe sull’innamoramento di Fiordispina per Bradamante con una ottava che registrerà la rovina dell’Italia, con un ottava, la 26 del 9 canto del 3 libro, gravida del doppio lutto per la morte del poeta e la fine di un’epoca, e che mostra che per Boiardo il racconto è cosa distinta, ma non distante, dalle lotte dinastiche e dalla crisi politico militare La letteratura è risposta alle esigenze del presente, tentativo di contrastare la crisi. CAPITOLO 5: L’AMBIENTE NAPOLETANO 1) L’umanesimo alla corte di Alfonzo I (1442-1458) Nel contesto napoletano l’umanesimo si sviluppa in ritardo di un paio di decenni, legata alla figura di Alfonso V d’Aragona che prendendo il controllo del regno nel 1442 (Alfonso 1° re di Napoli), inaugura la stagione aragonese, che durerà fino a fine secolo. Senza essere direttamente interessato alle questioni letterarie comprende il ruolo di legittimazione derivante da una corte di letterativalore politico di un mecenatismo. Attorno a lui si raccoglie una generazione di letterati la cui attività si distribuisce tra la corte e lo Studio -istituzione che doveva supportare la formazione dei giovani studenti- e la biblioteca che arricchisce di codici, luogo di elaborazione intellettuale. Nascono nell’ambiente napoletano le ricerche delle avanguardie umanistiche, opere che mirano alla celebrazione del principe Poggio Bracciolini dedica ad Alfonso una versione latina della Ciropedia di Senofonte, ritratto di un sovrano ideale; gli viene dedicato il De dignitate et excellentia hominis di Giannozzo Manetti, dotto fiorentino protetto dagli aragonesi (testimonia l’apertura culturale di Napoli agli apporti di altri centri, purché inseriti nella politica culturale del sovrano). La figura di Alfonso risulta ingigantita dall’operazione corale di encomi e l’umanesimo aragonese assume una forte impronta monarchica  nasce il mito del Magnanimo, sovrano virtuoso e illuminato sostenitore delle lettere e ripagato da una celebrazione in chiave di principe ideale, immagine affidata nella sua costituzione agli umanisti, immersi anche nel funzionamento materiale della corte e dell’amministrazione. 2) La stagione del Panormita Fondamentale durante la prima stagione dell’Umanesimo napoletano è Antonio Panormita (Antonio Beccadelli). Nato nel 1394 a Palermo si forma nelle migliori scuole dell’Italia settentrionale: Siena, Milano, Pavia (corte di Filippo Visconti) ed entra in contatto con Poggio Bracciolini e Lorenzo Valla. Dimora nella Firenze di Cosimo a cui dedica l’Hermaphroditus, raccolta di epigrammi satirici dal contenuto osceno (circola dal 1425 circa)gusto dell’azzardo e della materia oscena + uso sapiente dei modelli classici, intreccia scandalo e raffinatezza e recuperando la tradizione dell’epigramma antico (Marziale) per cercare di difendersi dalle censure. L’Hermaphroditus non riesce a guadagnargli la protezione di Cosimo, scatenando pesanti reazioni dell’autorità ecclesiastica (fino al rogo ottenuto da Bernardino da Siena). Nel 1434 entra al servizio di Alfonso d’Aragona come intellettuale impegnato nell’azione di governo, avviando un ventennio di collaborazione con Alfonso e celebrazione del sovrano che assume forma organica (dopo il 1442) e trova il punto più alto nella raccolta del 1445 De dictis et factis alphonsi regis (rievoca i Factorum ac dictorum memorabilium libri IX di Valerio Massimo). Alla morte di Alfonso passa al servizio di Ferrante e lo aiuto nella difesa della corona e assumendolo come modello di principe nell’opera encomiastica Liber rerum gestarum ferdinandi regis, racconto della giovinezza del principe con modello la Ciropedia di Senofonte. Il Panormita lascia un segno nella cultura quattrocentesca per il modello dell’accademia sperimentato nella Porticus Antoniana, consesso che si riuniva nella sua dimora e proseguiva l’attività dell’accademia prima riunita introno ad Alfonso. Fondamentale l’epistolario ampio spartito tra versante pubblico e privato, destinato a diventare modello di prosa latinasi costruisce un’esperienza importante per l’umanesimo italiano per la rete di contatti e confronti in esse testimoniato e per la conferma della centralità del latino, lingua principe per elaborazione letteraria. 3) La novella alla corte aragonese: Masuccio Salernitano Il mondo aragonese ospita anche esperienze di natura diversa, in cui viene ripreso il modello dei classici trecenteschi. Tommaso Guardati noto come Masuccio Salernitano nasce tra 1410 e 1415, formatosi tra Salerno e Napoli, prima indirizzato agli studi ecclesiastici e poi letterari. Masuccio si inserisce nell’ambiente della corte senza assumere incarichi diretti e entra in contatto con membri della nobiltà del regno (poi omaggiati nei paratesti della sua opera). A partire dal 1450 comincia a comporre una serie di novelle diffuse in forma autonoma alla spicciolata, ma che poi decide di raccogliere all’interno di un macrotesto riprendendo BoccaccioNasce il Novellino, raccolta di cinquanta novelle articolata in cinque gruppi di dieci, ciascuno raccordato su un tema cui Masuccio lavora fino alla morte nel 1475. Dopo la scomparsa dell’autore l’autografo viene distrutto dall’autorità ecclesiastica per censura, ma l’opera viene comunque stampata a Napoli (1476-77, princeps perduta, noi abbiamo quella di Milano 1483). Il novellino rivela struttura particolare. Per ogni novella vi è schema: • Argomento: annuncia il contenuto; • Esordio: indirizza la novella a un particolare destinatario, attivando rapporti ed omaggi alla nobiltà napoletana; • Narrazione; • La sezione di ‘Masuccio’: bilancio in chiave morale che l’autore assume sotto la propria voce; I materiali narrativi sui motivi consueti alla tradizione novellistica: misoginia con condanna della natura femminile, satira mirata contro gli ordini ecclesiastici depositari di vizi e responsabili di sopraffazioni. La fisionomia della raccolta è marcata dalla grana stilistica, la presenza di elementi caricaturali e grotteschi, adozione di una lingua vivacissima e popolare, dalle forti coloriture meridionali. Presentando l’intera opera alla dedicataria Ippolita Maria Sforza, duchessa di Calabria, alludeva alle ‘molte ruggine’ del libro, del quale altrove avrebbe riconosciuto il ‘rozo idyoma’, e che tuttavia sperava entrasse nella biblioteca reale, ammesso nella fascia alta della cultura aragonese. A dispetto dell’abbassamento, anche tradizionale, è la struttura ambiziosa e il passaggio alla costruzione di un’opera unitaria a partire dalle novelle singole, a dichiarare l’obiettivo di una ripresa del modello decameroniano (ultima decade dedicata alla magnanimità e alle virtù aristocratiche) insieme a un suo aggiornamento sia sul piano della diagnosi morale sia su quello linguistico e stilistico. 4) Il magistero di Giovanni Pontano Il secondo quattrocento napoletano è segnato sul piano politico e letterario da Pontano, nato in Umbria (Cerreto di Spoleto) nel 1426. Dopo una formazione umbra passa a Napoli entrando nella corte di Alfonso (1448), guadagna dove la protezione del Panormita e completa gli studi con l’approfondimento del greco. Nel 52 viene assunto nella Cancelleria e il rapporto con il potere si fa più solido durante il regno di Ferrante. Della prima stagione è l’esercizio della lirica latina, esordisce con il Pruritus, raccolta di epigrammi osceni sul modello del Panormita, e compone poi un 2) L’egloga in volgare. La raccolta delle Bucoliche elegantissimamente composte Nella dinamica di diffusione del volgare applicato ai generi poetici, nell’ultimo quarto del XV secolo, si colloca un’iniziativa direttamente pensata in funzione della stampa (potenzialità di diffusione): a Firenze, nel 1482, per lo stampatore Miscomini, viene pubblicata una raccolta di Bucoliche elegantissimamente composte con:  Traduzione delle Bucoliche di Virgilio realizzata da Berdardo Pulci;  Egloghe volgari del sensese Francesco Arzocchi, del fiorentino Girolamo Benivieni e del senese Jacopo Boninsegni. Alternanza di autori fiorentini e senesi+ dedica di stampa nel suo insieme a Lorenzo de Mediciletta come un’operazione di matrice politica. Pochi anni dopo la congiura dei Pazzi la raccolta vale a dare legittimazione al regime mediceo (morte di Giuliano rievocata dalla 4 egloga da Boninsegni) accostando figure autorevoli della cultura fiorentina e due autori senesi schierati a sostegno del Magnifico. Operazione che avviene coerentemente all’interno del genere bucolico, spesso impiegato per parlare di materia politica in modo coperto, attraverso il travestimento pastorale. La stampa del Miscomini rappresenta inoltre un nodo per la legittimazione della poesia in volgare che si registra negli ultimi anni del 400espemplare è la collocazione in apertura della traduzione virgiliana di Bernanrdo Pulci (anni 60), a riprendere uno dei modelli fondativi del genere e riportarlo in volgare sotto il segno di una continuità profonda. Nelle prove dell’Arzocchi (anni 50) domina il modello del Dante delle Egloghe, in quelle di Boninsegni del Petrarca del Bucolicum carmen e del Boccaccio dell’Amleto per completare un pantheon di autori su cui fondare la nuova tradizione. Sempre presso Miscomini vengono pubblicate le Pistole di Luca Pulci, riscrittura in volgare delle Heroides ovidiane con l’analogo obiettivo di verifica (sul genere dell’elegia) della tenuta della nobile lingua toscana. Nell’81- 82 Poliziano dedica il suo corso alle Bucoliche di Virgilio e probabilmente la sua riflessione si proiettò sulle Bucoliche elegantissimamente composte in un’operazione parallela a quella della Raccolta aragonese, che avrà degli effetti sui contemporanei Boiardo e Sannazzaro. 3) La poesia cortigiana del secondo Quattrocento La poesia in volgare nel secondo quattrocento ha una fase di allargamento e di affermazione. Marco Santagata ha proposto di collegare lo sviluppo della poesia cortigiana dagli anni 60 al consolidarsi di un sistema di corti in molte città italiane, intorno all’epicentro culturale della Firenze medicea. A Ferrara e a Mantova, a Urbino e a Milano e Napoli si creano delle condizioni sociopolitiche che promuovono la poesia volgare come strumento di legittimazione di una classe di intellettuali collocati intorno al principe e alla sua famiglia la lirica volgare diventa un codice condiviso di riferimento e trasmissione dei valori, rispecchia la vita di corte. Il patrimonio poetico a cui si rivolgono i poeti cortigiani è quello dei Rerum vulgarium fragmenta, modello che viene ripreso nel lessico e nei temi in una assunzione epidermica, tralasciando la tensione strutturale all’unità e la profonda interrogazione morale petrarchesca. Si tratta infatti di una poesia episodica mirata alla stilizzazione del singolo frammento, animata da una ricerca spesso ingegnosa ma occasionale negli esiti (Petrarca è solo uno degli elementi del petrarchismo di secondo Quattrocento). Poesia che accanto a Petrarca riprende autori classici e contemporanei in una struttura spesso ibrida per toni e risultati. Oltre a Baldassarre Olimpo da Sassoferrato, o Vincenzo Colli detto il Calmeta, il ruolo centrale di questa stagione è da assegnare ad Antonio Tebaldeo (1463-1537), prima precettore a Mantova di Isabella d’Este e poi segretario a Ferrara di Lucrezia Borgia divenuta consorte di Alfonso 1° d’Este. Il Tebaldeo è autore prolifico anche sul versante latino, per formazione solida e nutrita dei classici. La produzione più significativa però è quella in volgarescrive una prima edizione delle Opere già nel 1498, concentrata sulle forme metriche dei capitoli e dei sonetti. Definito da un giudizio contemporaneo ‘di grande ingegno ma gravità nulla’, per la scrittura vivace ma poco profonda, limitata nel respiro e nelle tematiche. Es. sonetto infarcito di topoi petrarcheschi, di pacata colloquialità intorno a un’invenzione iniziale (il poeta mascherato dalla propria sofferenza mentre intorno sfilano le maschere festose di carnevale) e si chiude con l’apparizione di amore accanto alla donna amata, Flavia, più sbiadita della Laura petrarchesca. La scarsa riuscita del primo sonetto delle Rime mostra lo scarso interesse per l’organizzazione di un macrotesto ambizioso, sul modello dei Fragmenta, ma la tendenza alla moltiplicazione in orizzontale dell’esercizio poetico// Tuttavia vedrà vivace fortuna della produzione lirica, ruolo di capofila e di modello per i contemporanei. Serafino Cimminelli dell’Aquila, noto come Serafino Aquilano (1466-1500) diventa presto celebre per la sua arte dell’improvvisazione e per l’abilità nel liuto con cui accompagna i versi, egli avrà una produzione abbondantissima ma che rimane lontana dalla forma canzoniere, accettando una suddivisione in ordine metrico: dalle barzellette scritte in forma di ballata alle egloghe che riprendono i modelli napoletani (De Jennaro e Sannazaro), dagli strambotti legati alla pratica musicale ai sonetti (schema ABBA ABBA CDC CDC). È proprio il precedente di Tebaldeo a sollecitare Serafino verso la pratica estesa del sonetto declinata con un largo ricorso al patrimonio dei Fragmenta evocato e insieme svuotatoricorrono modelli classici della poesia cortigiana, il patrimonio che incornicia la figura della donna e offre i pretesti per una sua celebrazione galante, dal cagnolino all’uccellino al ritratto L’invenzione talora assume le forme dell’iperbole, si fa bizzarra e estrema, tanto che molti dei suoi componimenti hanno un gusto quasi seicentesco. Poesia esile nel suo sostrato ideale ma che ebbe straordinario successo (numerose decine di edizioni). La morte di Serafino avvenuta precocemente nel 1500 dà origine a una eccezionale celebrazione poetica: nel 1504 vengono pubblicate le Collettanee in morte di Serafino Aquilano, raccolta dove molti autori contemporanei a partire da Tebaldeo tributano un omaggio al sodale scomparsoper i protagonisti che vi aderiscono e la collocazione storica si tratta del segnale di chiusura della fase della poesia cortigiana. Sono ormai alle porte gli anni del Bembo (gli Asolani, 1505), che aprono una nuova stagione di un petrarchismo più regolato e ortodosso.