Scarica RIASSUNTO FORMAZIONE DEL CONTRATTO G. D'AMICO+ SENTENZE CGUE 2019 n68117+ SENT 2023/n.5652 e più Tesine universitarie in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! FORMAZIONE DEL CONTRATTO G.D’AMICO (PAG 576 SS.) RIASSUNTO FORMAZIONE CONTRATTO Introduzione d’amico sez. 1 In tema di formazione del contratto il primo riferimento da fare è quello relativo al “Nuovo diritto dei contratti” = Con tale espressione intendiamo la formula entrata nell’uso corrente per indicare il diritto contrattuale di matrice comunitaria che a partire dagli anni 90 del secolo scorso costituisce la principale fonte di trasformazione e evoluzione della disciplina contrattuale. A tale matrice Europa, inoltre, si riconosce la reintroduzione della “Qualità soggettiva” dei contraenti, alludendo alla rottura del legame tra parte generale sul contratto e singoli contratti (parte speciale) che invece era stato uno dei prodotti della codificazione del 1942, come si evince dalla lettura dell’articolo 1323 c.c., sebbene non corrispondete al diritto positivo. Ad oggi si osserva, infatti, una tendenza della disciplina dei singoli contratti a distaccarsi sempre più dalla disciplina generale. La novità estranea al legislatore è costituita dalla differenziazione dello statuto normativo del contratto, stipulato tra professionista e consumatore; in questi contratti si verifica una asimmetria di potere contrattuale. In particolare, di nuova “scoperta”, è il fenomeno della contrattazione standardizzata (art 1341- 1342) che era avvenuta in passato senza distinguere se il “predisponente” fosse un consumatore ovvero un (altro) imprenditore. Oggi si parla di una tripartizione della materia contrattuale: 1. Contrattazione assoggettata al diritto comune (ambito residuale) 2. Contrattazione dei consumatori 3. Contrattazione diseguale tra imprese Prima di procedere all'analisi delle ultime due, si premette che il tema della formazione del contratto può essere analizzato secondo un duplice punto di vista: Cioè nella “dimensione dinamica della formazione dell'accordo”, oppure considerandolo nella “dimensione Statica del contratto assunto come concluso” (profilo in cui si collocano anche | problemi attinenti alla validità); con la precisazione che, nella prima prospettiva, rileva la categoria del procedimento (formativo), mentre nella seconda, rileva la categoria della fattispecie contrattuale). La visuale prescelta in questa sede sarà la prima (quella del procedimento di formazione dell'accordo). Inoltre, è bene chiarire che per “contratto di diritto comune” si intende il contratto assoggettato ai principi e alle regole che già il legislatore del codice civile del 1942 definiva nella parte generale, come disciplinato negli art. 1321 -1469 c.c. Questo costituisce un modello ideale/astratto dove non è necessario che avvenga una totale identificazione del singolo contratto con lo schema, quello che rileva è che sia ascrivibile al modello (è naturale che la disciplina del singolo, tipo di, contratto contenga deroghe, adattamenti, modifiche, integrazioni rispetto alla disciplina generale del contratto). Ben diverso è il fenomeno che prevede (non singole deviazioni dal modello) ma un nuovo modello (o paradigma) contrattuale: fenomeno che sembra essersi verificato con la comparsa, a livello normativo, della categoria dei «contratti dei consumatori». In sintesi, le norme in materia contrattuale oggi costituiscono “un corpus organico idoneo a porsi come un vero e proprio modello differente ed autonomo rispetto al modello del “contratto di diritto comune”. CONFRONTO con il tradizionale recesso contrattuale Il confronto consente di mettere in evidenza la portata innovativa che assume all’interno dell’ordinamento. È bene sottolineare, innanzitutto, che rispetto al tradizionale recesso, questo “diritto di pentirsi” consenta di far fronte a diversi gruppi di ipotesi legate alla recedibilità che può esercitare il contraente: 1. viene ravvisata questa esigenza, in primo luogo, per i rapporti contrattuali di durata e/o a tempo indeterminato, creando un meccanismo (generalmente il recesso prevede il preavviso, in alcune ipotesi effetto immediato) atteso anche lo sfavore con cui sono visti i vincoli di lungo periodo. (esempi di locatio operis, dall’appalto, al lavoro autonomo, alla prestazione d’opera professionale, al mandato oneroso ecc.; in particolare la ratio della recedibilità è quella di evitare, attraverso tale strumento, che vengano compiute opere o servizi dei quali colui stesso che li ha commissionati non ritiene di potersi più giovare; tende, quindi, a prevenire sprechi veri e propri di risorse, che certamente non possono essere favoriti da un sistema giuridico tendenzialmente rispettoso delle regole di mercato »). La caratteristica principale di questo gruppo di casi è individuabile sul piano degli effetti, in quanto “l’esercizio del recesso non determina un vero e proprio scioglimento del rapporto, bensì` una modificazione del suo contenuto, giacche ́al prestatore dell’attività è riconosciuto non solo il corrispettivo per quanto già eseguito, ma anche il guadagno che avrebbe ritratto dall’esecuzione così come originariamente convenuta” (detratti soltanto i costi che egli avrebbe sopportato per la prestazione ancora da eseguirsi) 2. consentire ad un contraente di provocare (unilateralmente) lo scioglimento del contratto in presenza di fatti che vengano a turbare l’originario programma contrattuale (sia che si tratti di fatti non imputabili alla controparte del recedente, sia che si tratti invece di comportamenti di detta controparte qualificabili come inadempimento) 3. terzo gruppo, il più frequente, attribuisce al contraente un “diritto di pentirsi”, consentendo di sciogliersi dal rapporto, perché non più interessato alla sua continuazione. Va inoltre osservato, che le ipotesi del tradizionale recesso, non coinvolgono contratti ad esecuzione istantanea o anche in presenza di una iniziata esecuzione del contratto e financo nel caso in cui il contratto abbia già ricevuto integrale esecuzione (dove invece opera recesso del consumatore o anche chiamato “recesso di protezione”). Inoltre si differenzia perché non lascia residuare in capo al recedente alcuna obbligazione “indennitaria” esso non produce, insomma, alcuna (parziale) modificazione (riduzione) del programma negoziale, come avviene (di norma) nelle comuni ipotesi di recesso di pentimento, bensì una integrale caducazione del programma, a seguito della quale deve soltanto ripristinarsi lo stato anteriore all’assunzione del vincolo. Infine il recesso di protezione si differenzia nettamente, per le ipotesi di recesso cd. «di impugnazione » accordato per consentire di reagire a turbamenti sopravvenuti del programma contrattuale, è un recesso “vincolato” (cioè non rimesso alla libera scelta del recedente, ma legato al sopravvenire di singoli fatti o di situazioni — si pensi alle ipotesi di recesso cosiddetto « per giusta causa » — che giustificano lo scioglimento unilaterale dal vincolo), al contrario del recesso di protezione (del consumatore) che è assolutamente libero, e non richiede da parte del recedente l’allegazione di alcuna motivazione. In estrema sintesi deduciamo che la funzione, diversa, oltre che innovativa « è quella di revocare il consenso già manifestato, sia pure entro limiti temporali tendenzialmente assai stretti » che non attiene alla vicenda attuativa di un rapporto in corso, ma bensì quella formativa del medesimo. Per quanto concerne il meccanismo della decorrenza del dies, “l’ esercizio del diritto di recesso è certamente tale da farsi-quando il professionista abbia tardato nel fornire l’informazione sul diritto di recesso, o addirittura abbia totalmente violato tale obbligo informativo — che lo scioglimento del contratto possa intervenire anche a distanza (relativamente) di parecchio tempo dalla conclusione del contratto, e quando magari le prestazioni derivanti dal contratto siano state (magari anche in rilevante misura) già eseguite. Resta vero che ciò avviene in ipotesi che devono essere considerate patologiche (e cioè quando ricorra, da parte del professionista, l’inadempimento dell’obbligo di informazione sul diritto di recesso, o il tardivo adempimento di tale obbligo). Ove invece l’informazione sia (tempestiva e corretta) lo spatium deliberandi per l’esercizio dell’eventuale recesso del consumatore è destinato ad esaurirsi (il più delle volte) prima della (o, comunque, qualche giorno soltanto dopo la) conclusione del contratto; ed è con riferimento a queste ipotesi di funzionamento (per dir così) fisiologico dell’istituto, che ne vanno principalmente individuate la natura e la funzione.” (parte sottolineata utile per le sentenze) 1. SENTENZA CGUE 27/03/2019, n. 681/17 La sentenza ha in oggetto la disciplina afferente all’ipotesi in cui un soggetto (consumatore) decida di concludere un affare con un altro soggetto (professionista) in un luogo diverso dal locale commerciale. La giurisprudenza è notevole a riguardo: numerose sentenze si sono soffermate su tale disciplina e sulla tutela che deve essere accordata al consumatore, in quanto la sua posizione rischia di essere compromessa all’interno dei rapporti negoziali. La sentenza della Corte (Sesta Sezione) del 27 marzo 2019, in particolare, riguarda: L’ACQUISTO ONLINE DI UN MATERASSO DA PARTE DI UN PRIVATO PRESSO UN SITO INTERNET DI VENDITA DI UN’AZIENDA TEDESCA. La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della direttiva 2011/83/UE (relativa alla tutela del consumatore) in riferimento all’analisi - dell’articolo 16 lettera e) -l’articolo 6 paragrafo 1 lettera k) CASO: Impresa online che commercializza materassi prevede come condizioni generali del contratto di vendita il diritto di recesso per il consumatore, dichiarando in particolare che i costi di recesso sarebbero stati a carico dell’impresa a meno che il consumatore non avesse alterato la qualità del bene dopo aver tolto il sigillo di igiene e sicurezza del bene stesso (rimandando quindi all’articolo 16 della direttiva del 2011 che esclude il recesso) Al momento della consegna il privato rimuove la pellicola protettiva al materasso. Successivamente, il privato invia un’e-mail all’azienda dichiarando di voler restituire il bene, chiedendo all’azienda stessa di occuparsi del trasporto del materasso. Il trasporto però avviene a spese del privato: ne consegue una domanda di rimborso da parte del privato all’azienda per l’acquisto del bene e dei costi di trasporto, oltre agli interessi e spese legali. Dopo il giudizio davanti al tribunale, si arriva davanti alla Corte federale di giustizia in Germania. Il giudice di rinvio ritiene che l’articolo 16 lettera e) della direttiva del 2011 escluda il diritto di recesso solo quando, una volta aperto, il bene non possa definitivamente essere più oggetto di commercio “per motivi igienici o connessi alla protezione della salute”, come nel caso di prodotti cosmetici o igienici (es. come spazzolini da denti). Per questo il ragionamento non vale per i materassi, che possono essere puliti e riutilizzati da altri soggetti, come accade negli alberghi, o addirittura rivenduti su siti di materassi usati. Sulla base di questo ragionamento, secondo il giudice di rinvio allora bisogna analizzare bene il termine “sigillato”, in modo da capire se il mancato sigillo effettivamente impedisce il commercio successivo del bene o meno (alla luce dell’articolo 16 lettera e) della direttiva): bisogna quindi capire se, nel caso in questione, l’imballaggio è avvenuto per fini igienici o solo per garantire il trasporto. (L’articolo 16 non ci dà un’esatta nozione di “beni sigillati che non si prestano ad essere restituiti per motivi igienici o connessi alla protezione della salute e sono stati aperti dopo la consegna” che quindi ci permetta di capire se il materasso rientri o meno nella definizione.) È in tale contesto che la Corte federale di giustizia Tedesca ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali: 2. SENTENZA CGUE 05/10/2023, n. 565/22 Anche qui tema è possibile analizzare il tema della forma nei contratti conclusi fuori dei locali commerciali (ai sensi dell'art. 50 cod. cons.) e nei contratti a distanza (ai sensi dell'art. 51 cod. cons.). Il caso ha ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dall’Oberster Gerichtshof (Corte suprema, Austria). Vede coinvolta una SOCIETÀ CHE FORNISCE SERVIZI DI APPRENDIMENTO ONLINE per scolari e per studenti delle scuole secondarie. Essa offre i suoi servizi su tutto il territorio austriaco e instaura così rapporti giuridici con consumatori che hanno domicilio o residenza abituale in Austria. Prevede per gli utenti che sottoscrivono un abbonamento nelle sue condizioni generali di vendita, un periodo di prova gratuito di 30 giorni decorrenti dalla data di conclusione del contratto. Durante questo periodo, il contratto può essere risolto senza preavviso. Al termine dei 30 giorni, l'abbonamento a pagamento convenuto al momento della sottoscrizione iniziale, in mancanza di risoluzione tempestiva, si rinnova automaticamente per un periodo di tempo determinato. L'associazione di consumatori (VKI) sosteneva che il consumatore avesse il diritto di recedere non solo durante il periodo di prova gratuito ma anche dopo la trasformazione dell'abbonamento gratuito in abbonamento standard e per i suoi successivi rinnovi. In particolare quest’ultima chiede che la società nell’ambito dei suoi rapporti commerciali informi “in maniera chiara e comprensibile” i consumatori “sulle condizioni, dei termini e delle procedure per esercitare il loro diritto di recedere da tale contratto, mediante la messa a disposizione del modulo tipo di recesso o con modalità̀ analoghe.” La vicenda subisce i tre gradi di giudizio, poiché dopo l’accoglimento da parte del giudice del tribunale, avverso la sentenza la società propone appello- in cui viene respinta la domanda- quindi il VKI ha successivamente proposto ricorso per cassazione. La Corte suprema austriaca ha sollevato una questione pregiudiziale sull'interpretazione dell'articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2011/83/UE, in quanto recepisce l’articolo 9 all’interno dell’ordinamento austriaco adottando l’articolo 11 FAGG (il quale prevede analogamente all’art 9 che il consumatore possa recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali entro un termine di quattordici giorni, senza dover motivare la propria decisione). Tuttavia la soluzione prospettata non consente di rispondere al quesito (per questo ricorso CGUE) inerente: “il diritto del consumatore di recedere, da un contratto a distanza, riconosciuto una sola volta in relazione ad un contratto avente ad oggetto una prestazione che prevede un periodo iniziale gratuito, seguito in assenza di risoluzione o di recesso da parte del consumatore, durante tale arco da un periodo a pagamento, rinnovato automaticamente, se il contratto non è stato risolto, per una durata determinata; oppure nel senso che il consumatore dispone di tale diritto in occasione di ciascuna di tali fasi di trasformazione e di rinnovo del contratto” Conclusione a cui è giunta Corte rispetto alla questione sollevata è che l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2011/83 deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore di recedere da un contratto a distanza è garantito una sola volta; a condizione che, in occasione della conclusione di tale contratto, il consumatore sia informato in maniera chiara, comprensibile ed esplicita dal professionista che, dopo detto periodo iniziale gratuito, la prestazione di servizi diventa a pagamento. Le motivazioni che hanno fondato tale decisione sono: Il diritto di recesso, mira a compensare lo svantaggio subito dal consumatore in un contratto a distanza, accordandogli un termine di riflessione appropriato durante il quale egli ha la possibilità di esaminare e testare il bene acquistato. Difatti, poiché nelle vendite a distanza non è possibile vedere i beni prima di concludere il contratto, al consumatore dovrebbe essere consentito, dopo l’acquisto, di testarli e ispezionarli nella misura necessaria per stabilire «la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni». Nel caso in esame, la possibilità per il consumatore di esaminare e testare il bene è stata, in effetti, adeguatamente soddisfatta durante il periodo gratuito. La Corte evidenzia come al consumatore, prima della conclusione del contratto, debbano essere fornite tutte le informazioni necessarie per la corretta esecuzione del contratto e l'esercizio dei suoi diritti. In particolare, il professionista deve comunicare “in modo chiaro ed evidente” il prezzo totale dei servizi oggetto del contratto prima che il consumatore inoltri l’ordine. È altresì obbligato ad informare il consumatore in maniera inequivocabile che, “cliccando” il pulsante indicato o una funzione analoga, l’inoltro dell’ordine implica l’obbligo di pagare il professionista. La dottrina (Pagliantini) sottolinea come la button solution abbia elevato «un formalismo lessicale a presupposto certificante la consapevolezza del consumatore quanto all'onerosità del suo ordine». Ciò ingenera una presunzione assoluta di conoscenza che soddisfa l’interesse del professionista alla standardizzazione dell’onere probatorio. L’art. 8 dir. 2011/83/UE, comma 2, si conclude con la previsione che, qualora il professionista non osservi le prescrizioni poste dal comma stesso, «il consumatore non è vincolato dal contratto o dall’ordine». Ci si chiede se l’inosservanza della disposizione comporti il mancato rispetto di una formalità che è condizione di perfezionamento del contratto o se, in alternativa, si tratti di un’ipotesi di nullità virtuale di protezione. La dottrina evidenzia come, essendo prevista una vincolatività esclusivamente per il professionista, è da preferirsi la tesi a sostegno della nullità formale. (Breve riferimento fatto nella tesina del gruppo) NEOFOMALISMO Nel proseguire la trattazione della tematica inerente alla formazione del contratto si innesta con l’ultima sentenza, sulla base delle richieste avanzate dalla VKI, la tematica del “Neoformalismo” La disciplina dei contratti del consumatore presenta, infatti, elementi inerenti alla Forma che si distaccano dal contratto di diritto comune. La questione erroneamente si riduce a considerare una contrapposizione tra un modello che si basa sul principio della “libertà di forma” e un altro che, all’inverso, commuterebbe questa libertà da regola in eccezione. La più vistosa ragione di questo paradigma alternativo è che mentre i contratti di diritto comune (emblematicamente denominati anche “individuali”) di norma sono caratterizzati da una fase di trattative, nei contratti di massa il professionista predispone un regolamento negoziale che «non si consuma ed esaurisce nella singola applicazione, ma rimane al di là del contenuto come recipiente ancora utilizzabile in futuro». (Irti) Questa considerazione, fuorviante, in realtà non tiene conto che numerosi contratti dei consumatori ogni giorno sono conclusioni con semplici accordi verbali, dando vita a “scambi senza accordi”. Per cui il neo-formalismo non va confuso con un ritorno al formalismo negoziale; la forma richiesta come requisito dell’atto è in realtà espressione di una funzione. La forma secondo la dottrina di GIORGIANNI “svolge una pluralità di funzioni, a tutela di interessi molteplici”; in tal caso si rileva carattere “protettivo” di una delle parti del contratto. In aggiunta sembra il moderno formalismo dare una funzione inedita alla forma (oltre quelle già note) rappresentata dalla presenza di clausole che contengano prescrizioni di contenuto obbligatorio che il contratto deve rispettare e, necessariamente, contenere (più corretto dire imporre). La questione non concerne la forma che devono rivestire, quanto piuttosto che queste costituiscano oggetto di specifica pattuizione, poiché sono elementi attraverso cui il contraente può avere piena contezza (o, quanto meno, la possibilità di acquisirla sui diritti e obblighi), che gli consentono di formare una autonoma e consapevole volontà negoziale. La determinazione analitica e dettagliata del contenuto del contratto risponde all’esigenza di rendere immediatamente percepibili dal consumatore gli “elementi rilevanti” dei quali, nei vari tipi di contratti disciplinati, si tiene normalmente conto (o comunque è opportuno — secondo la valutazione dello stesso legislatore — tener conto) al momento della conclusione dell’operazione. Prescrivendo, inoltre, che sia concluso per iscritto e che una copia di esso sia consegnata al consumatore. È inoltre difficile parlare delle conseguenze che derivano dalla mancata osservanza di tali precetti, poiché non individuabili in maniera unitaria, anche quando il legislatore parla di nullità in realtà l’applicazione sarà certamente corretta qualora l’intero accordo sia concluso verbalmente, ma quando incompleto di alcune indicazioni (esempi fatti: elementi marginali come il domicilio, o comunque informazioni acquisibili o che sono stati già forniti nel documento informativo ma poi non riprodotti nel contratto) appare una sanzione sproporzionata poiché non in linea con le finalità che la forma riveste per questi contratti (che ho esposto prima). SEZ 3 “CONTRATTI TRA IMPRESE” Ulteriore ambito al quale dobbiamo adesso volgere l’aeenzione è quello dei «contrag tra imprese”, anche deeo “terzo contraeo” e più specificamente l’ambito di quelle relazioni in cui le imprese contraenf si presenfno (l’una rispeeo all’altra) in situazione di asimmetria di potere contraeuale. Il riferimento normafvo va, principalmente, a leggi come la l. 18 giugno 1998, n. 192, sulla subfornitura (v., specialmente, l’art. 9, che delinea la ben nota fagspecie dell’« abuso di dipendenza economica »), oppure al d. lg. 9 oeobre 2002, n. 231 (sui ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali), o, più recentemente, alla l. 6 maggio 2004, n. 129 (sul contraeo di franchising). Le considerazioni più rilevanf concerne il parallelismo che può essere faeo tra i «contrag dei consumatori» e «contrag diseguali tra imprese» come modelli che danno vita ad un paradigma unitario che la doerina di Roppo riunisce nel termine «contra:o con asimmetria di potere contra:uale ». Secondo D’amico, in realtà si alluderebbe nella tesi citata solo a un’assimilazione deeata dalla generica “debolezza” contraeuale che connota i due rapporf. Infag, il nuovo modello in esame non riesce a essere del tueo persuasivo perché i due profili di contrag non possono essere sovrapposf, sopraeueo sul piano normafvo, sebbene presenfno qualche aspeeo in comune, presentano norme distanf oltre che diverse. La fondamentale differenza si colloca nel contrapporsi una contraeazione tendenzialmente di massa (standardizzata e uniforme) che si svolge per lo più nei “mercaf finali” dove si incontrano professionisf e consumatori e la contraeazione che si realizza tra le imprese nei “mercaf intermedi”; contraeazione quest’ulfma che risponde (pur sempre) al modello (proprio del contraeo di dirieo comune) della con- traeazione “individuale” (che vede la conclusione del contraeo quale esito, generalmente, di lunghe e complesse traeafve, a volte fortemente personalizzate, come avviene ad esempio nelle relazioni contraeuali ). Inoltre, la contraeazione standardizzata si colloca per lo più in contesf tendenzialmente concorrenziali nei quali sovente non si prospeea un problema di controllo sulla parte “normafva” del contraeo (in relazione alla quale le imprese cercano di recuperare con metodi a volte, scorreg i margini di profieo erosi dalla compefzione sui prezzi), ben diversa è la situazione che si presenta nelle relazioni contraeuali tra imprese. In queste ulfme l’eventuale abuso del contraente che disponga in partenza (o sia riuscito ad acquisire nel corso del rapporto) una posizione di dominanza sull’altra parte è un abuso che tendera` a realizzarsi proprio sul terreno delle condizioni economiche del rapporto, in quanto il contraente cercherà col proprio comportamento (opportunisfco) di appropriarsi (ai danni dell’altra parte) della maggiore quanfta` possibile del surplus di valore che la relazione commerciale instaurata è suscegbile di generare (cd. Potere di mercato). In sintesi: si desume che sia vano lo sforzo di accumunare in unico paradigma le diverse normafve. La generica (tutela) di una situazione di debolezza (o di asimmetria di potere contraeuale) non può consenfre di accomunare contrag col consumatore e contrag “diseguali” tra imprese: perché, non appena si specifichi la qualifica di «contraente debole» ci si rende conto che i modi e le tecniche di tutela devono necessariamente differenziarsi, rimanendo irriducibili a uno schema unitario. La stessa emanazione del codice del consumo, che raccoglie e colloca fuori dal Codice civile tuea la normafva relafva al contraeo con i consumatori, sembra avallare la prospegva della differenziazione anziché quella di una arfficiale unità del dirieo contraeuale. Tendenza a ricercare soluzioni comuni, in parfcolare che ricompongano uno statuto generale del contraeo, sono sempre più affermate negli altri ordinamenf.