Scarica Fondamentali Concetti di Energia: Le Fonti, L'Elettricità e il Sistema Energetico Italiano e più Sintesi del corso in PDF di Economia e Gestione Delle Imprese solo su Docsity! Verso una gestione sostenibile dell’energia Dispense a cura della Prof.ssa Maria Proto Anno accademico 2011-2012 1 Parte I – L’energia: alcuni concetti fondamentali 1.1 Le leggi dell’energia e i suoi fondamenti 1.2 Le fonti di energia convenzionali Carbone Petrolio Gas naturale Combustibile nucleare 1.3 Le fonti di energia rinnovabili (fer) 1.4 L’energia elettrica Parte II – Il sistema energetico italiano 2.1 Il Bilancio Energetico Nazionale (BEN) 2.2 Gli obiettivi del sistema energetico italiano al 2020 2.3 La politica energetica europea Parte III – La sostenibilità energetica: sfide ed opportunità 3.1 Energia e ambiente 3.2 La decarbonizzazione del sistema energetico nazionale 3.3 Il percorso verso la sostenibilità: il ruolo dei meccanismi di sostegno alle fer 3.4 L’approccio italiano al miglioramento dell’efficienza energetica: I Titoli di Efficienza Energetica 2 Tutte le grandezze vengono misurate, operativamente, mediante sistemi ed apparecchiature che consentono un confronto diretto con le rispettive unità di misura. L’unità di misura della lunghezza è il metro (m), che è pari alla lunghezza di una sbarra di platino-iridio conservata nell’Ufficio Internazionale di Pesi e Misure di Sèvres (Parigi). Per la misura delle superfici si usa il metro quadrato (m2) ed i suoi multipli e sottomultipli, quali il centimetro quadrato (cm2), il chilometro quadrato (km2), etc.. In agricoltura, invece, si usa comunemente l’ettaro (ha) che è pari a 10.000 m2. Il volume di un corpo, definito come lo spazio occupato dalla sua materia, viene misurato mediante il m3 e i suoi multipli e sottomultipli (km3, dm3, cm3, etc.). Un dm3 corrisponde ad un litro (L), una unità di misura volumetrica, comunemente utilizzata (si pensi all’acquisto di carburante); per grandi quantitativi di prodotti liquidi viene impiegato nelle operazioni commerciali anche l’ettolitro (hL) che è pari a 100 litri, o il metro cubo (m3), pari a 1.000 litri. Per la massa di un corpo, definita come la sua quantità di materia, l’unità di misura è il chilogrammo (kg), cioè la stessa massa di un cilindro di platino-iridio (90% Pt e 10% Ir) conservato a Sèvres o quella di 1 dm 3 di acqua distillata, alla temperatura di 4°C. Tuttavia, la misura della massa viene praticamente effettuata mediante la bilancia tecnica, ovvero uno strumento che confronta la forza peso di un corpo con quella esercitata dalla massa di 1 kg. Anche in questo caso si usano multipli - ad esempio, la tonnellata (t) - e sottomultipli, ad esempio, il grammo (g). Per alcune merci è importante definire la densità, o massa volumica o peso specifico assoluto, che è il rapporto tra la massa e l’unità di volume e viene indicata in g/L, kg/m3, etc. Inoltre, per alcuni prodotti è utile indicare il peso specifico relativo – definito spesso più semplicemente peso specifico - che è il rapporto tra la massa di un corpo e quella di un uguale volume di acqua distillata a 4°C. Esso, pertanto, è un numero adimensionale cioè privo di unità di misura. Se delle merci materiali se ne percepiscono concretamente le caratteristiche (massa, volume, densità, etc.), dell’energia se ne rilevano gli effetti (variazione di temperatura, esecuzione di un lavoro, etc.). La temperatura (T) di un corpo, nel S.I. , si misura in gradi kelvin (°K), secondo una scala di riferimento che va dallo zero assoluto all’infinito. Presso vari paesi, fra cui l’Italia, però, la temperatura viene comunemente misurata in gradi Celsius (°C) secondo una scala di riferimento (scala centigrada) che prevede come valore zero (0°C) la temperatura di fusione del ghiaccio e come valore cento (100°C) la temperatura di ebollizione dell’acqua. E’ possibile convertire la T espressa in °K in quella espressa in °C, utilizzando la seguente relazione: T(°K) = T(°C) + 273,16. Un’altra scala termometrica largamente utilizzata nei paesi anglosassoni è la scala Fahrenheit, che assegna il valore 32 alla temperatura di fusione del ghiaccio (0°C) e 212 a quella di ebollizione dell’acqua (100°C). L’intervallo tra questi due valori di temperatura viene diviso in 180 parti uguali e ciascuna di esse rappresenta il grado Fahrenheit (°F). Il passaggio da una scala all’altra si può ottenere con una semplice proporzione: detti TC e TF i valori della temperatura di uno stesso corpo misurata, rispettivamente, in gradi Celsius e gradi Fahrenheit, si ha TC : 100 = (TF – 32) : 180 da cui deriva TF = (1,8 x TC) + 32. Il calore, una particolare forma di energia, viene definito come “l’energia che transita tra corpi a temperatura differente”. Pertanto, la sua misurazione può essere effettuata valutando le variazioni di temperatura di una definita massa di acqua, sottoposta a riscaldamento (calorimetria). Infatti, nel S.I., l’unità di misura dell’energia è il joule (J), ovvero la quantità di calore necessaria a fare aumentare la temperatura di 1 g di acqua distillata di 0,239°K. E’ interessante sottolineare che - poiché l’energia viene definita come la capacità di un sistema a compiere un lavoro e, siccome il lavoro può essere trasformato in calore e viceversa - sia il lavoro, sia il calore rappresentano due aspetti della stessa grandezza fisica. Pertanto, il J è anche l’unità di misura del lavoro. Comunemente, viene utilizzata un’altra unità di misura, ovvero la caloria (cal), definita come la quantità di calore necessaria per far aumentare di 1°C (precisamente da 14,5°C a 15,5°C) la temperatura di 1g di acqua distillata. Per trasformare il calore in lavoro meccanico (ovvero trasformare energia termica in energia meccanica) occorre una macchina (macchina termica) che può essere una macchina a vapore, una turbina, un motore a scoppio, un turboreattore, etc. Ogni macchina ha una propria attitudine ad effettuare un lavoro in un certo intervallo di tempo, ovvero ha una sua potenza (lavoro compiuto nell’unità di tempo). L’unità di misura della potenza, nel S.I., è il watt (W) ed è pari ad 1 joule al secondo (1J/s). Pertanto, una macchina della potenza di un watt che funzioni per un secondo produce un joule di energia. Più comunemente, invece del watt, viene utilizzato un suo multiplo, il chilowatt (kW), che è pari a 1.000 joule al secondo (1.000J/s ovvero kJ/s). Nel caso in cui una macchina della potenza di un kilowatt funzioni per un’ora – ovvero per 3.600 secondi - produce un chilowattora (kWh) di energia, che è pari a 1.000J x 3.600, ovvero 3.600.000J, corrispondenti a 3,6 MJ (860 kcal). L’energia, generalmente, viene definita come l’attitudine di un sistema a compiere un lavoro e, pertanto, viene misurata in joule (J); altre unità di misura comunemente adottate sono la chilocaloria (kcal) oppure - come avviene nelle numerose pubblicazioni relative agli scambi commerciali di energia o in quelle riguardanti le valutazioni circa i tendenziali scenari energetici relativi alla domanda e all’offerta – in tonnellate equivalenti di petrolio (tep) o in tonnellate equivalenti di carbone (tec). La tep (tonnellata equivalente di petrolio) è la quantità di calore che si sviluppa dalla combustione completa di una tonnellata di petrolio “di riferimento” ed equivale a 42GJ. La tec (tonnellata equivalente di carbone) è la quantità di calore che si sviluppa dalla combustione completa di una tonnellata di carbone “di riferimento” ed equivale a 31 GJ; tuttavia in alcune pubblicazioni si riporta un’equivalenza, per la tec, di 29 MJ, molto probabilmente riferita al carbone coke. Le unità di misura vengono espresse, molto spesso, mediante multipli e sottomultipli, qui di seguito indicati (Tabella 1). Tabella 1 - Multipli e sottomultipli definiti dal Sistema Internazionale (S.I.) Prefisso Fattore Simbolo Prefisso Fattore Simbolo Deca 10 da deci 10-1 d Etto 102 h centi 10-2 c Chilo 103 k milli 10-3 m Mega 106 M micro 10-6 μ Giga 109 G nano 10-9 n Tera 1012 T pico 10-12 p Peta 1015 P femto 10-15 f Per ottenere energia, dunque, occorre poter disporre di un “sistema” e di “fonti”, ovvero di risorse, da cui l’energia è prodotta in “forme” diverse – termica, meccanica, elettrica, raggiante, chimica, nucleare, etc. – le quali sono trasformabili l’una nell’altra, con diversi rendimenti. Alcune forme di energia – ad esempio, quella elettrica – sono più “pregiate”, in quanto presentano rendimenti di trasformazione più elevati, al contrario di altre – ad esempio, l’energia termica a bassa temperatura – i cui rendimenti sono inferiori. L’energia è regolata da leggi - le leggi “economiche” dell’energia – meglio note come i tre principi della termodinamica. Secondo il primo principio, la quantità di energia prima della sua trasformazione è sempre uguale alla quantità, complessiva, di energia dopo tale trasformazione. Il secondo principio, introducendo il concetto di “energia utile” (esergia), afferma che la quantità di energia “trasformata” è sempre minore della quantità iniziale, in quanto tale trasformazione genera un aumento dell’entropia del sistema, poiché parte dell’energia iniziale viene dissipata nell’ambiente. Ad esempio, per trasformare energia termica (calore) in energia meccanica occorre un “sistema” (una macchina termica) nel quale il calore viene fatto passare da una temperatura (T1) espressa in gradi Kelvin (°K)3, ad una più bassa (T0); il rendimento4 di tale trasformazione è dato dalla formula, nota come Ciclo di Carnot5: = (T1-T0) / T1 . L’energia “perduta” per ragioni fisiche (attrito, resistenza, etc.) che viene immessa nell’ambiente (acqua, atmosfera, etc.) come “energia di rifiuto”, generalmente sotto forma di calore, è dunque responsabile di “inquinamento termico”. Il terzo principio della termodinamica afferma che esiste un limite fisico nel campo delle basse temperature, perché non è possibile raffreddare un corpo a 0°K, ovvero allo zero assoluto, equivalente a - 273,16 gradi Celsius (°C), in quanto tale temperatura è attualmente irraggiungibile. 3 In base al Sistema Internazionale (S.I.) delle unità di misura - adottato nell’ottobre del 1960, in occasione della 11a Conferenza Generale dei Pesi e Misure di Parigi, con l’obiettivo di eliminare la confusione derivante dalla adozione, da parte dei diversi Paesi, di differenti unità di misura riferite alle stesse grandezze - la temperatura va indicata in gradi Kelvin (°K), secondo una scala che va dallo zero assoluto all’infinito. Nella pratica, però, la temperatura si indica in base alla scala dei gradi Celsius (°C), nella quale lo zero è posto, per convenzione, alla temperatura di fusione del ghiaccio e 100°C alla temperatura di ebollizione dell’acqua. Al di sotto dello zero i gradi Celsius sono negativi, al di sopra giungono all’infinito. Vale la pena evidenziare che la temperatura di 0°C corrisponde a 273,16°K e che 0°K corrisponde a – 273,16°C. 4 In generale, qualsiasi macchina idonea a produrre lavoro assorbe una certa quantità di energia che, allo stato attuale delle conoscenze, non è mai inferiore rispetto al lavoro prodotto. Se il lavoro prodotto fosse equivalente all’energia fornita si avrebbe il caso ideale di un rendimento del 100%, ma ciò nella pratica non avviene, in quanto parte dell’energia fornita è dissipata sotto forma di calore, attrito, etc. Ad esempio, le prime macchine a vapore avevano un rendimento energetico di appena l’1% (occorrevano 100 parti di calore - energia termica ottenuta dalla combustione del carbone - per ottenerne una soltanto di energia meccanica); le moderne turbine a vapore hanno un rendimento superiore al 40%, con una conseguente riduzione della quantità di combustibile utilizzato. Una centrale idroelettrica (dove avviene la trasformazione dell’energia potenziale dell’acqua in energia elettrica), invece, ha mediamente un rendimento dell’80% . 5 Sadi Nicolas Léonard Carnot (1796-1832), fisico francese, è considerato uno dei fondatori della termodinamica. Infatti, a lui si deve l’enunciazione del secondo principio della termodinamica e l’ideazione della una macchina termica, il cui ciclo ideale di funzionamento viene definito Ciclo di Carnot. All’inizio del secolo scorso, inoltre, in base alla teoria della relatività formulata da Albert Einstein (1879- 1955) è stata stabilita anche l’equivalenza tra massa ed energia6, un fenomeno alla base delle reazioni nucleari di fissione (e di fusione) utilizzabili – fra l’altro – anche per scopi energetici. Le forme di energia maggiormente diffuse, ai fini delle attività antropiche, sono l’energia termica a bassa temperatura (utilizzata prevalentemente nel settore civile e in alcune attività agricole e industriali), l’energia termica ad alta temperatura (impiegata, ad esempio, in alcuni processi industriali e per la produzione di energia elettrica), l’energia meccanica (alla base dei trasporti ed usata anche in varie attività industriali e domestiche), l’energia elettrica (adoperata in maniera trasversale in tutti i settori della nostra economia, da quello agricolo a quello minerario, dal settore dei trasporti a quello domestico, dal settore industriale a quello terziario e del tempo libero). Tutte le forme di energia si ricavano da risorse, delle quali alcune sono già disponibili in natura (risorse naturali); esse si distinguono in fonti rinnovabili (ad esempio, le biomasse e, in genere, tutte quelle derivanti direttamente o indirettamente dall’energia solare) e non rinnovabili (ad esempio, i combustibili fossili), a seconda che, rispettivamente, siano o meno legate ai cicli biologici della natura e, dunque, destinate a rinnovarsi ciclicamente oppure ad esaurirsi nel corso del tempo. Talvolta le risorse energetiche utilizzate in determinati campi di impiego (industria metallurgica, settore dei trasporti, etc.) sono ottenute da fonti naturali sottoposte a trasformazione mediante specifici processi di lavorazione, come accade, ad esempio, per il carbone coke (che si ottiene dal carbone fossile), per le benzine (che si ricavano dal petrolio greggio), per l’idrogeno (ottenibile dall’acqua, dagli idrocarburi, etc.), per i materiali fissili artificiali (prodotti mediante reazioni nucleari), etc. Un’altra possibile classificazione delle fonti di energia è quella basata sul ruolo svolto nell’ambito dello scenario energetico di riferimento (mondiale, comunitario, nazionale, etc.); ad esempio, si dicono convenzionali le risorse ampiamente impiegate e caratterizzate dalla “maturità” delle tecnologie adottate per renderle disponibili, e integrative o alternative quelle che, avvalendosi di tecnologie innovative – e, pertanto, ottenibili a costi di produzione più elevati - hanno un’incidenza più o meno marginale. 6 Secondo le attuali conoscenze scientifiche e, più precisamente, secondo la teoria della relatività, la massa (ovvero la quantità di materia) e l’energia non sono due entità fisiche distinte e separate, ma due manifestazioni della stessa realtà. Infatti, la materia può essere trasformata in energia (come, ad esempio, nelle esplosioni nucleari, nella fissione e fusione nucleare per scopi energetici, etc.), ma anche l’energia può trasformarsi in materia (come avviene negli acceleratori di particelle). Pertanto, tra massa (m) ed energia (E) esiste la seguente relazione, definita equazione di Einstein, E = mc2, dove con c si intende la velocità della luce nel vuoto (300.000.000 m/s). Carbone Fra i combustibili fossili, il carbone – che deriva da processi di conversione (carbogenesi) 10 di biomasse vegetali in ambienti acquiferi - vanta usi pratici che risalgono ad epoche storiche di fondamentale importanza ai fini del processo di industrializzazione che, a partire dalla metà del diciottesimo secolo, ha coinvolto i sistemi produttivi di numerosi paesi. Infatti, gli impieghi crescenti e sempre più diversificati del carbone, unitamente alla invenzione e diffusione della macchina a vapore11, contribuirono in maniera rilevante alla “rivoluzione industriale”, un fenomeno di portata epocale che determinò, fra l’altro, notevoli cambiamenti sia nei processi produttivi, che nell’organizzazione dei sistemi economico-finanziari e socio-ambientali. Il binomio carbone-macchina a vapore ha reso possibile la transizione dall’uso di risorse per lo più rinnovabili, quali acqua, vento, legno12 a quelle fossili, consentendo di svincolare l’ubicazione degli impianti industriali dai luoghi in cui erano presenti le fonti energetiche. Un tale cambiamento ha favorito, come è noto, anche lo sviluppo dei sistemi di trasporto navale e ferroviario. La composizione chimica dei carboni fossili è molto varia, in quanto è legata a molteplici fattori complessi e, principalmente, alla tipologia di materiale organico vegetale da cui si sono originati (alberi, arbusti, piante inferiori, quali alghe, etc.), alla struttura delle rocce (generalmente di tipo sedimentario) ed alle caratteristiche dell’ambiente (presenza di microrganismi e di acqua, pressione, temperatura, etc.) in cui ha avuto luogo il processo di carbogenesi nonché alla sua durata, misurata in milioni di anni. Durante tale processo i costituenti principali delle biomasse vegetali (cellulosa, lignina, emicellulose, sostanze azotate, etc.) si sono decomposti a spese dell’ossigeno e dell’idrogeno presenti in esse, provocando una progressiva carbonizzazione del materiale organico di partenza. Tutto ciò spiega le profonde differenze delle caratteristiche chimico-fisiche dei carboni fossili, dalle quali dipendono i relativi impieghi. In base all’epoca di formazione, i carboni si distinguono in: · antraciti ovvero i carboni più antichi che risalgono al paleozoico o era primaria (570-225 milioni di anni or sono); · litantraci che appartengono al periodo compreso fra il paleozoico e il mesozoico (350-65 milioni di anni or sono); · ligniti, relativamente più recenti, che risalgono al cenozoico; · torbe di formazione ancora più recente, appartenenti al neozoico (2 milioni – 100 mila anni or sono). Tuttavia, la distinzione effettuata in base alle epoche di formazione non è del tutto rigorosa, in quanto – ad esempio - si ritrovano antraciti presenti in terreni del mesozoico e litantraci in quelli del cenozoico o era terziaria (65-2 milioni di anni or sono). Le caratteristiche chimiche e fisiche dei carboni - così come il loro aspetto esteriore - cambiano a seconda dell’epoca di formazione, in quanto la maggiore durata del processo di fossilizzazione comporta un aumento progressivo del tenore di carbonio ed una diminuzione delle sostanze volatili presenti. Le torbe, infatti, somigliano fortemente ai materiali lignocellulosici da cui si sono originate e presentano un alto contenuto di acqua (che può raggiungere il 95%) e un basso potere calorifico (allo stato secco esso varia da 12 a 19 MJ/kg). Esse non trovano impiego come combustibili, ma vengono largamente utilizzate in agricoltura come ammendante dei terreni. Le ligniti, che hanno un potere calorifico variabile da 18 MJ/kg a 26MJ/kg, presentano ancora in parte la struttura legnosa, che invece è quasi del tutto assente nelle litantraci, che costituiscono la tipologia di carbone più diffusa e usata come combustibile; queste hanno un potere calorifico che può raggiungere anche 36 MJ/kg. Alcune litantraci polverizzate presentano la proprietà di rammollirsi se riscaldate - in assenza di aria e a 10 Il processo di carbogenesi è l’insieme dei fenomeni (geologici, fisici e chimici) che, nel corso di ere geologiche, ha determinato la trasformazione di accumuli di vegetali, sottoposti a differenti condizioni di pressione, temperatura e profondità nella crosta terrestre, attraverso la progressiva eliminazione di idrogeno e di ossigeno ed il conseguente arricchimento indiretto in carbonio. 11 La macchina a vapore di Thomas Newcomen (1663-1729), che fu utilizzata per la prima volta in Inghilterra (1712) per il prosciugamento delle miniere, venne perfezionata circa 50 anni dopo da James Watt (1736-1819). Infatti, nel 1769, Watt ottenne il brevetto di ”un nuovo metodo per diminuire il consumo di vapore e di combustibile nelle macchine a vapore”. 12 Il legno ha rappresentato, in passato, una fonte energetica insostituibile per ottenere energia termica, ma ha svolto anche un importante ruolo come materiale da costruzione. Di qui il fenomeno della sua progressiva “scarsità”, che ha dato luogo alla transizione verso altre fonti energetiche. temperature al di sopra di 350°C - e di agglomerarsi (potere agglomerante). Pertanto, si distinguono litantraci grasse – ovvero con notevole potere agglomerante – e litantraci magre o secche (con scarso potere agglomerante). Inoltre, in base alla percentuale di sostanze volatili presenti, si differenziano le litantraci a fiamma lunga (con elevato tenore di sostanze volatili) da quelle a fiamma corta. I carboni fossili più pregiati sono le antraciti; esse presentano il più elevato tenore in carbonio (90-95%) e un potere calorifico di circa 32MJ/kg. I carboni fossili possono essere classificati anche secondo altri criteri; ad esempio, in base alle differenti prestazioni tecnologiche che ne determinano i diffusi impieghi. Adottando tale approccio, la Commissione Economica delle Nazioni Unite ne ha proposto una classificazione merceologica fondata su alcuni requisiti, quali contenuto di sostanze volatili, potere calorifico, potere agglomerante, potere cokificante, assunti come base di valutazione nelle contrattazioni commerciali (Tabella 4). Sostanze volatili. Durante il processo di distillazione secca dei carboni fossili, ovvero riscaldando il carbone ad alte temperature in assenza di aria, si sviluppa una miscela di prodotti volatili costituiti da idrocarburi gassosi (metano, etano, etilene, etc.), liquidi (benzene, etc.,) e solidi (naftalina), nonché da idrogeno, ossido di carbonio e anidride carbonica, azoto ed ammoniaca, composti solforati, etc.13 La presenza di sostanze volatili – generalmente espressa in percentuale – viene riferita al carbone privo di umidità e di ceneri e, come precedentemente accennato, permette di distinguere carboni a fiamma corta da quelli a fiamma lunga. I carboni con elevate quantità di sostanze volatili consentono di ottenere, attraverso idonei processi di distillazione, maggiori quantità di prodotti gassosi, un tempo utilizzati per scopi illuminanti ed energetici, oppure per produrre varie merci e numerosi prodotti intermedi (nell’industria carbochimica). Oggi tali sostanze trovano impiego presso gli impianti di cokizzazione e presso gli stabilimenti siderurgici a ciclo integrato (altoforni), come fonti ausiliarie di energia termica. Potere calorifico. Come precedentemente accennato, il potere calorifico (PC) è la quantità di calore che si produce dalla combustione completa di 1 kg di combustibile e si esprime in kcal/kg o in J/kg. Esso varia, notevolmente in relazione al tenore di umidità, al contenuto di idrogeno, alla presenza di ceneri, etc. Tabella 4 - Alcune caratteristiche dei carboni fossili Carbonio Sostanze Volatili Potere Calorifico % % MJ/kg Torba 60 50-65 12,0-19,0 Lignite 65-75 35-50 18,0- 26,0 Litantrace secca a fiamma lunga 75-80 40-45 32,5-34,0 Litantrace secca a fiamma corta 80-85 30-40 33,5-35,0 Litantrace grassa a fiamma lunga 88-91 15-25 35,0-37,5 Litantrace magra a fiamma corta 90-92 10-15 35,6-36,5 Antracite 93-95 < 10 32,0-34,5 Pertanto, in base alla provenienza geografica e dalla differente composizione chimica l’AIE (Agenzia Internazionale per l’Energia) – IEA (International Energy Agency) - ha pubblicato i PCI dei carboni destinati alla produzione di vapore (steam coal) (Tabella 5). Tabella 5 - PCI dei carboni destinati alla produzione di vapore (steam coal) distinti per provenienza 13 La maggior parte delle sostanze volatili sono, a loro volta, dei combustibili; infatti, nell’800, dalla distillazione secca del carbone si otteneva il gas illuminante o gas di città utilizzato, appunto, per l’illuminazione stradale e domestica. Tale gas, a partire dai primi del 1900, fu soppiantato, per gli usi nella illuminotecnica, dall’elettricità e, per quelli domestici (riscaldamento, usi di cucina, etc.), dal metano (gas naturale). Paese di provenienza PCI tep/t USA 0,659 Australia 0,611 Germania 0,572 Sud Africa 0,564 Polonia 0,546 Russia 0,545 Cina 0,541 Ucraina 0,516 India 0,441 Fonte: IEA, Key World Energy Statistics, 2004 Potere agglomerante. Tale potere (detto anche potere agglutinante) misura il grado di coesione ovvero la resistenza meccanica del coke ottenibile. Esso, infatti, si identifica con la capacità di formare – a seguito della distillazione secca - un agglomerato compatto (coke) e resistente. In base a tale caratteristica si distinguono i carboni grassi, che presentano un alto potere agglutinante, dai magri (con basso potere agglutinante). Più alto è il potere agglomerante, come nel caso delle litantraci grasse a fiamma corta, di migliore qualità risulta il coke ottenibile. Potere cokificante. E’ l’attitudine di un carbone ad aumentare il proprio volume (dilatabilità), assumendo una elevata porosità per effetto del processo di cokizzazione. Oltre ai requisiti tecnologici di cui sopra, altre importanti caratteristiche, che influiscono sul prezzo dei carboni fossili, sono il contenuto di zolfo e la presenza di ceneri. Queste ultime provengono dagli elementi minerali presenti nel materiale di origine e/o da sostanze assorbite durante la formazione dei giacimenti carboniferi. Esse hanno, perciò, una composizione simile a quella dei materiali naturali diffusi sulla terra (silice, allumina, ferro, etc.). Tuttavia, essendo sostanze inerti e non combustibili, vengono in parte (circa l’80%) trascinate nell’atmosfera, attraverso i fumi liberati dalla combustione (ceneri leggere) e in parte (20% circa) depositate sulle pareti del materiale refrattario o accumulate sul fondo delle caldaie e sulle griglie dei bruciatori, in quanto più pesanti (ceneri pesanti) 14. Ai fini commerciali, il carbone viene classificato in hard coal (rappresentato dai carboni bituminosi e dalle antraciti, con potere calorifico > 5700 kcal/kg) e brown coal (rappresentato dalle ligniti e dai carboni sub- bituminosi, con potere calorifico < 5700 kcal/kg). Oggi, il “ciclo” del carbone si articola in tre principali fasi: estrazione, trasporto e utilizzazione. L’incidenza dei costi di estrazione e di trasporto (oceanico) sulla formazione del prezzo di vendita, è, rispettivamente, pari a circa il 30% e 70%. I problemi ambientali associati al ciclo del carbone riguardano tutte le fasi, dall’estrazione all’uso. Infatti, nel processo di combustione del carbone, oltre ad energia termica, si generano i gas di combustione: anidride carbonica (CO2), vapore acqueo (H2O) ed altre sostanze volatili (SOx e NOx) derivanti dalla presenza di impurità a base di zolfo, azoto, etc. Inoltre, si producono delle ceneri, ovvero sostanze incombuste sotto forma di particelle volatili (particolato), emesse con i fumi di scarico, e particelle più pesanti che si depositano sulle griglie dei bruciatori. Per quanto riguarda la fase dell’estrazione carbonifera, ovviamente, essa richiede la rimozione del terreno di copertura (e della vegetazione sovrastante) nel caso di miniere “a cielo aperto” 15, mentre nel caso di miniere “sotterranee” occorre effettuare, oltre all’escavazione di pozzi e al trasporto in superficie delle rocce rimosse, anche importanti opere di ingegneria mineraria per la costruzione ed il consolidamento delle gallerie. In entrambi i casi, anche se con impatto diverso, i materiali di scarto provocano problemi per il loro smaltimento, 14 Dal punto di vista granulometrico, le ceneri leggere hanno una finezza simile a quella del cemento, mentre le ceneri pesanti sono assimilabili alla sabbia; queste ultime possono essere reimpiegate per la costruzione di manufatti edili (manufatti in fibro-cemento, cartongesso, mattoni refrattari, etc.). 15 La miniera è un impianto che permette lo sfruttamento di un giacimento minerario. Nelle miniere “a cielo aperto” il filone carbonifero si trova a pochi metri di profondità nel sottosuolo e, pertanto, il carbone può essere estratto utilizzando gigantesche escavatrici che lavorano all’aperto. Nelle miniere “sotterranee”, invece, il giacimento è situato a profondità maggiori e, pertanto, si rende necessaria la costruzione di pozzi, gallerie sotterranee e di particolari impianti di sollevamento e di trasporto, in superficie, dei materiali. Attualmente la principale fonte di energia utilizzata a livello mondiale è il petrolio, un combustibile fossile costituito da una densa e complessa miscela di idrocarburi gassosi, liquidi e solidi – variamente formati da carbonio (C) e da idrogeno (H) - e di altre sostanze minori a base di zolfo (S), azoto (N), composti ossidati, etc. La formazione del petrolio ha origine da processi di fermentazione, in assenza di ossigeno (anaerobiosi) e in particolari condizioni di pressioni e temperature su organismi, prevalentemente di origine animale, presenti sui fondali marini o lacustri, mescolati a sedimenti di varia natura. Tale processo (naftogenesi), la cui durata si misura in milioni di anni, ha determinato una serie di reazioni che, agendo sull’ammasso di sedimenti organici (sapropel), ha condotto alla formazione del petrolio greggio. Nell’arco di tempi geologici, gli idrocarburi sono migrati, attraverso fessure e rocce permeabili, dal luogo in cui si erano inizialmente formati verso altre zone (migrazione primaria), fino ad incontrare sbarramenti di rocce impermeabili (trappola petrolifera, rocce serbatoio) dove, per l’effetto di un graduale accumulo, hanno dato luogo ai giacimenti petroliferi23. Tuttavia, in tali giacimenti il petrolio non è presente, come comunemente si pensa, in cavità sotto forma di “laghi” sotterranei, ma generalmente è impregnato nelle rocce che lo contengono all’interno delle proprie porosità da cui, talvolta, per l’azione del violento cambiamento di pressione esercitato dalle perforazioni dei giacimenti viene spinto spontaneamente all’esterno. Esistono varie tipologie di petrolio greggio in relazione alla sua composizione chimica che, peraltro, riflette sia la diversità del materiale organico di origine, sia la sua particolare storia geologica. Esso, tuttavia, è sempre costituito da frazioni gassose (idrocarburi contenti fino ad un massimo di quattro atomi di carbonio, quali metano CH4, etano CH3CH3, propano CH3CH2CH3 e butano CH3CH2CH2CH3), da frazioni liquide, ovvero idrocarburi costituiti da un numero di atomi di carbonio compreso fra cinque e quindici (quali, ad esempio, eptano a 7 atomi di C, ottano ad 8 atomi di C, etc.), nonché da idrocarburi molto complessi dall’aspetto viscoso (ad esempio, paraffine con un elevato numero di atomi di C) e da composti solidi (bitume). La storia del petrolio è, senza dubbio, più recente rispetto a quella del carbone, ma non meno interessante. Infatti, se il carbone è considerato il “protagonista” della rivoluzione industriale e, quindi, il fattore propulsivo delle dinamiche scientifiche, tecnologiche, economiche e sociali della fine del diciottesimo secolo e del diciannovesimo, il petrolio lo è stato per il ventesimo secolo. Il petrolio, che ancora oggi fa tanto parlare di sé, sia in ambienti economici che politici, è apparso sullo scenario energetico nella seconda metà del 1800: un periodo caratterizzato da invenzioni epocali in campi che spaziano dalla chimica alla metallurgia, dalla motoristica alla elettrotecnica. L’inizio della lunga e, ancora non conclusa, storia del petrolio si suole far coincidere con la scoperta e la perforazione del primo pozzo petrolifero, avvenuta nel 1859 in Pennsylvania (USA) ad opera di un ormai leggendario colonnello, Edwin Drake che, insieme al magnate Rockefeller, in breve tempo, ha dato l’avvio ad un vero e proprio impero basato su attività “integrate” verticalmente ed orizzontalmente, tese alla estrazione ed alla raffinazione del petrolio greggio nonché alla commercializzazione dei suoi derivati. Inizialmente venivano richiesti i prodotti più leggeri, per l’illuminazione e per il riscaldamento, nonché i più pesanti, come impregnanti e lubrificanti. Pertanto, le frazioni petrolifere intermedie, ad esempio le benzine, non trovarono subito applicazioni utili, anzi costituivano uno scomodo “sottoprodotto” di lavorazione. La successiva invenzione del motore a scoppio e lo sviluppo di importanti settori industriali, quale quello automobilistico, hanno reso tali frazioni sempre più importanti nello scenario energetico mondiale, tanto da essere considerate oggi, insieme al gasolio, tra i prodotti principali della filiera petrolifera. Quest’ultima si articola in numerose fasi che spaziano dalle attività di ricerca e perforazione dei giacimenti di petrolio greggio, fino alla distribuzione ed impiego dei numerosi prodotti (combustibili, carburanti, lubrificanti, etc.) ottenuti dai processi industriali di raffinazione e di conversione. Il ciclo del petrolio, dunque, inizia con le attività di upstream, che consistono nella ricerca ed estrazione del petrolio attraverso tre diverse fasi: · la ricerca dei territori con adatte condizioni naftogeniche; · la perforazione; · l’estrazione vera e propria. La prima fase si avvale di una molteplicità di conoscenze acquisite da vari campi del sapere, che vanno dalla geologia alla geochimica e alla geofisica, per ottenere idonee mappe del sottosuolo. Pertanto, vengono effettuate 23 A causa della differente densità dei componenti che costituiscono il petrolio greggio avviene una sorta di separazione in fasi (migrazione secondaria), che dà luogo ad una successione di strati aventi diversa densità; essi, infatti, sono costituiti da una fase gassosa che, essendo più leggera, sovrasta la fase liquida idrocarburica e questa, a sua volta, sovrasta la fase acquosa (salmastra) più pesante. analisi stratigrafiche delle rocce nonché studi sulle caratteristiche tettoniche, avvalendosi anche di prospezioni sismiche24. Infatti, studiando la tipologia di propagazione delle onde sismiche nel sottosuolo si riesce a risalire alla diversa densità degli strati litosferici ed alla particolare stratificazione litologica del territorio. Se le analisi effettuate evidenziano - con buona probabilità – le condizioni adatte alla naftogenesi si passa alla seconda fase, ovvero all’allestimento delle strutture necessarie per dar luogo alle prime trivellazioni. Tali perforazioni sperimentali consentono di estrarre cilindri di roccia, che permettono di studiare più dettagliatamente la stratificazione del territorio e di accertare la eventuale presenza di idrocarburi, onde procedere alla fase di perforazione dei pozzi per l’estrazione petrolifera. Talvolta, durante la fase di trivellazione si incontrano strati di idrocarburi sotto pressione che determinano la fuoriuscita spontanea di sostanze gassose e liquide. A tali attività - che richiedono, generalmente, alcuni anni (4-6) - segue la fase di sviluppo del giacimento, attraverso la pianificazione delle perforazioni da eseguire e delle opere strutturali da realizzare. Anche questa ulteriore fase, può richiedere alcuni anni (2-4 anni). Si procede, infine, alla fase di estrazione, la cui durata (20-30 anni) dipende dalle caratteristiche quantitative e qualitative del giacimento. Il petrolio greggio si presenta come un liquido denso, viscoso e, generalmente, maleodorante, di colore variabile (dal nero, al verde, al giallo); in base alla composizione chimica si distinguono: petroli alifatici paraffinici (CnH2n+2), se prevalgono idrocarburi paraffinici - ovvero catene lineari oramificate costituite da atomi di carbonio legati tra di loro, e ad atomi di idrogeno, con legami semplici e olefinici (CnH2n), se sono presenti idrocarburi che, pur avendo strutture molecolari analoghe a quelle paraffiniche, presentano almeno un doppio legame tra due atomi di carbonio; petroli naftenici (CnH2n), se prevalgono idrocarburi cicloparaffinici, ovvero catene chiuse ciclicamente,in cui gli atomi di carbonio sono legati tra di loro, e ad atomi di idrogeno, con legami semplici; petroli aromatici (CnHn), se prevalgono idrocarburi ciclici aromatici25. Questi ultimi si caratterizzano per la presenza di un anello benzenico nella loro struttura. Nella molecola di benzene (C6H6) gli elettroni sono delocalizzati, cioè si muovono tra tutti gli atomi di carbonio della molecola ciclica (fenomeno dell’aromaticità). Il benzene e molti suoi derivati trovano molteplici utilizzazioni nell’industria chimica Ad esempio, i petroli della Pennsylvania sono ricchi di idrocarburi paraffinici, quelli del Texas di aromatici e quelli del Caucaso di naftenici. La differente composizione chimica si riflette sia sul potere calorifico sia sulla resa delle diverse frazioni petrolifere ottenibili dal processo di raffinazione e, dunque, sulla destinazione d’uso e sul prezzo di mercato, generalmente espresso in $/barile (1 barile equivale a 159 litri). Le principali caratteristiche merceologiche dei petroli sono: · il potere calorifico (42GJ/t); · la densità (0,8 kg/L); · il contenuto di impurità (zolfo, azoto, composti ossidati). Il potere calorifico (PC) medio del petrolio è individuato in 42 MJ/kg (o 10.000 kcal/kg), indicabile anche con un’altra unità di misura convenzionale: la tep, ovvero tonnellata equivalente di petrolio. Le frazioni petrolifere più leggere (quali, ad esempio, le benzine) hanno un PC più elevato, poiché essendo costituite da catene carboniose più piccole, presentano un maggiore contenuto in idrogeno, il cui potere calorifico è molto più elevato di quello del carbonio. Le frazioni via via più pesanti, invece, come ad esempio il gasolio e gli oli combustibili, presentano un PC più basso. Pertanto, in realtà, il PC del petrolio varia moltissimo, in relazione alla sua composizione; un greggio paraffinico ha un potere calorifico più elevato di quello di un greggio naftenico-aromatico. Infatti, come dianzi accennato, la maggiore presenza di idrogeno negli idrocarburi saturi, determina un maggiore PC e, al contempo, una minore densità (rapporto tra massa e volume) (Tabella 6). Tabella 6 - PCI dei petroli greggi distinti per provenienza. 24 Esse si basano sull’utilizzo di cariche di esplosivo che, generando dei microsismi, producono onde sismiche che si propagano nei vari strati del sottosuolo, con velocità e direzione diverse a seconda della densità e composizione degli stessi. Questi, a loro volta, riflettono le onde in superficie, dove vengono rilevate da speciali sismografi opportunamente disposti. Lo studio dei tempi di ritorno delle onde e la tipologia delle stesse forniscono indicazioni utili alle attività di estrazione. 25 Gli idrocarburi ciclici aromatici. Paese di provenienza PCI tep/t Venezuela 1,069 Regno Unito 1,037 USA 1,033 Iran 1,019 Arabia Saudita 1,016 Norvegia 1,014 Federazione Russa 1,005 Cina 1,000 Messico 0,979 Fonte: IEA, Key World Energy Statistics, 2006. La densità rappresenta, dal punto di vista commerciale, la caratteristica più importante; si esprime sia in kg/m3, sia in gradi API (American Petroleum Institute). I gradi API (°API) si calcolano in base alla formula: °API= 141,5/d-131,5 dove d rappresenta la densità del greggio, ovvero il rapporto tra la massa di un volume di greggio - misurata alla temperatura di 15,5°C (60°F) - e la massa di un uguale volume di acqua misurata alla stessa temperatura. La misurazione della densità si effettua con un densimetro graduato in gradi API e la lettura, effettuata ad una determinata temperatura, viene estrapolata – utilizzando specifiche tabelle di conversione - a quella prevista a 15,5°C (60°F). Pertanto un greggio “pesante” con densità relativa pari a 1, come quella dell’acqua, ha 10 °API. La densità del petrolio greggio dipende dalla differente composizione percentuale delle diverse frazioni. Infatti, un petrolio più “leggero” (meno denso), cioè con un più alto °API (in quanto nella formula sopra riportata la densità è al denominatore), presenta una maggiore quantità di idrocarburi a bassa temperatura di ebollizione (molecole con catene più piccole di atomi di C) e fornisce, per distillazione, maggiori rese in benzine e gasolio, i derivati più pregiati. Pertanto, in base alla densità, è possibile classificare il greggio in: · “ultra-pesante” con > 1000 kg/m3 ovvero °API < 10; · “pesante” con compresa tra 920- 1000 kg/m3 ovvero °API compresi tra 10 e 22,3; · “medio” con compresa tra 870-920 kg/m3 ovvero °API compresi tra 22,3 e 31,1; · “leggero” con < 870 kg/m3 ovvero °API > 31,1. La presenza di sostanze indesiderate, nel petrolio greggio, varia notevolmente; ad esempio, per quanto riguarda lo zolfo (S), essa oscilla dall’1% ad oltre il 4% e rappresenta un elemento negativo, ai fini della sua valutazione commerciale, in quanto durante la combustione si formano composti chimici dannosi, quali ossidi di zolfo (anidride solforosa e solforica) che reagendo con l’umidità presente nell’aria, si trasformano in acidi corrosivi (acidi solforoso e solforico), dando luogo al noto fenomeno delle piogge acide. In base al tenore in zolfo, è possibile distinguere tre diverse tipologie di greggi: sweet (con presenza di zolfo < 0,5% in peso), medium sour (tra 0,5% e 1,5%) e sour (>1,5%). I più pregiati sono quelli a basso contenuto di zolfo e, generalmente, sono anche i più leggeri. Altre caratteristiche, importanti ai fini delle applicazioni industriali dei greggi, sono: la viscosità (viscosity), domestici, nelle zone non servite dai metanodotti, nonché come carburanti per l’autotrazione e come materia prima per l’industria chimica. Essi vengono liquefatti, alla temperatura ambiente (20°C), con pressioni dell’ordine di 20 kg/cm2. Le benzine rappresentano il più noto e pregiato derivato petrolifero; sono costituite da miscele di idrocarburi (aventi, mediamente, 6-10 atomi di carbonio) che distillano a temperature inferiori ai 200°C. Esse, vengono impiegate come carburanti e possono essere prodotte sia mediante distillazione primaria del greggio, sia in seguito ad operazioni di conversione (cracking, reforming, etc.) dei prodotti petroliferi più pesanti. Una delle principali caratteristiche della benzina è la detonabilità, ovvero la misura della tendenza ad “accendersi” spontaneamente (detonazione), quando viene compressa dai pistoni nei cilindri del motore a scoppio prima che si produca la scintilla delle candele. In generale, gli idrocarburi a catena lineare – indicati come “normali” – presentano la massima tendenza a detonare, mentre quelli con catena ramificata – detti “isomeri” - hanno un basso potere detonante. Per valutare la detonabilità di una benzina si suole far riferimento a quella di una miscela costituita da due particolari idrocarburi: il normal eptano (n-eptano, idrocarburo a 7 atomi di carbonio legati tra loro in modo da formare una molecola a struttura lineare) e l’iso-ottano (idrocarburo a catena ramificata costituito da 8 atomi di carbonio); mentre il n-eptano ha il massimo potere detonante, l’iso-ottano il minimo ovvero il massimo potere antidetonante. Pertanto, la detonabilità di una benzina è riferita ad una scala empirica, definita scala dei “numeri di ottano” (N.O.), che attribuisce il valore zero al n-eptano (N.O.0) ed il valore 100 all’iso-ottano (N.O.100). Ad esempio, una benzina con numero di ottano pari a 95 si comporta, in relazione alla detonabilità, come una miscela costituita dal 95% di iso-ottano e per il rimanente 5% da n-eptano. Per migliorare l’antidetonabilità di una benzina, sono stati impiegati, nel corso del tempo, vari additivi, ad esempio, il piombo tetraetile34; una sostanza il cui uso è stato vietato in quanto agente inquinante per gli ecosistemi. Infatti, la Direttiva 98/70/CE35, recepita in Italia dal DPCM 23/11/2000 n. 4343639, ha previsto all’articolo 3 -“per ragioni di tutela della salute e dell’ambiente”- il divieto della commercializzazione della benzina contenente piombo, consentendo l’impiego di altri particolari additivi - definiti “ossigenati” - conformi a determinate “specifiche ecologiche dei combustibili”37. Inoltre, tale Direttiva, ha anche previsto la riduzione del tenore di zolfo38. Pertanto, attualmente sono impiegati altri additivi - quali ad esempio l’alcool etilico (etanolo), l’alcol metilico (metanolo), l’alcool isopropilico, l’alcool butilico terziario, l’alcol isobutilico e diversi eteri contenenti 5 o più atomi di carbonio per molecola, quali l’MTBE (Metil-terz-butil-etere) – che, nei diversi paesi, vengono aggiunti alle benzine in proporzioni differenti che, generalmente, non superano il 10% v/v39. L’etanolo è prevalentemente utilizzato in Brasile, il metanolo negli USA e l’MTBE in Europa. Il gasolio rappresenta un importante derivato del petrolio, utilizzato come carburante nei motori diesel per autotrazione e, in quota minore, per il riscaldamento domestico; esso è costituito da una miscela di idrocarburi aventi 15-25 atomi di carbonio e distilla a temperature comprese fra i 250°C e i 350°C. Il gasolio deve avere un punto di infiammabilità non inferiore a 45°C ed un “numero di cetano” (N.C.) non inferiore a 51. Esso misura il ritardo con cui il gasolio subisce l’autoaccensione, quando viene iniettato nel 34 L’aggiunta di 0,1 g/L di piombo tetraetile produce un incremento del numero di ottano di una unità. 35 La “Direttiva 98/70/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 ottobre 1998 relativa alla qualità della benzina e del combustibile diesel e recante modificazione della Direttiva 93/12/CEE del Consiglio” è stata pubblicata nella G.U.C.E. n. L 350 del 28/12/1998. Tale Direttiva ha definito, sia per la benzina che per il gasolio, la curva di distillazione, il contenuto di zolfo e il tenore di aromatici. 36 Il DPCM 23 novembre 2000, n. 434 – “Recepimento della Direttiva 98/70/CE - Qualità della benzina e del combustibile diesel” – è stato pubblicato nella G.U. della Repubblica Italiana n. 25 del 31/12/2000. Tale Decreto ha vietato, dal 31 dicembre 2001, l’immissione sul mercato nazionale della benzina contenente piombo. 37 Tali specifiche sono riportate negli Allegati della Direttiva 98/70/CE. 38 Dal 1° gennaio 2005, ai sensi dell’art. 3 della Direttiva 98/70/CE, il tenore massimo di zolfo consentito sia per la benzina che per il carburante diesel – previsto, rispettivamente, in 150 e 350 mg/kg nel 2000 - è stato ridotto a 50 mg/kg. 39 Tranne gli eteri contenenti 5 o più atomi di carbonio per molecola - ad esempio, l’MBTE - per i quali si prevede un limite massimo del 15% v/v (volume/volume). cilindro e si miscela con l’aria compressa40. Prove di laboratorio - realizzate con un motore diesel standard - hanno dimostrato che il cetano (C16H34) conferisce il minimo ritardo (ovvero la massima attitudine) all’autoaccensione mentre il trimetil-benzene [C6H3(CH3)3] determina il massimo ritardo (ovvero la minima attitudine). Pertanto, il ritardo o l’attitudine all’autoaccensione del carburante diesel è riferito ad una scala empirica, definita scala dei “numeri di cetano” (N.C.), che assegna il valore 100 - ai fini dell’attitudine all’autoaccensione - al cetano puro (N.C. 100) e il valore zero al trimetil-benzene (N.C. 0). Ad esempio, un gasolio con numero di cetano pari a 50 si comporta, in relazione all’autoaccensione, come una miscela costituita per il 50% da cetano e per l’ulteriore 50% da trimetil-benzene. In Italia, nel 2009, nell’ambito della domanda dei prodotti petroliferi, il gasolio per autotrazione ha rappresentato la quota principale (33,9% con 25,3 Mt), seguito dalle benzine (13% con 10,6 Mt) e dagli oli combustibili (4,8% con 4,1Mt). Invece, il GPL e le benzine avio (carboturbo) hanno rappresentato, rispettivamente il 4% e il 4,5%. Gli oli combustibili rappresentano le frazioni più pesanti del petrolio, con punto di ebollizione superiore a 350°C. Essi sono utilizzati, come combustibili, nella centrali termoelettriche e in alcuni impianti industriali (cementifici, vetrerie, cartiere, impianti metallurgici, etc.). Rappresenta la frazione in cui è generalmente presente zolfo (oli combustibili a basso tenore di zolfo – BTZ – e oli combustibili ad alto tenore di zolfo – ATZ). Gli oli lubrificanti41 presentano un punto di infiammabilità superiore a 125°C, possiedono particolari caratteristiche di viscosità42 e costituiscono prodotti ad alto valore aggiunto, per unità di peso. Essi, impiegati per ridurre fenomeni di attrito di macchine in movimento, sono largamente richiesti sia dal settore industriale che da quello dei trasporti, Inoltre, poiché per ogni particolare tipologia di applicazione si richiedono specifiche caratteristiche di viscosità43 - in relazione alle differenti condizioni di pressione44 e di temperatura45 - è stata realizzata una vastissima gamma di prodotti lubrificanti classificati in relazione alla tipologia di impiego (per motori, trasmissione, turbine, etc.). In generale, un buon lubrificante è tanto più apprezzato quanto minori sono le variazioni della sua viscosità all’aumentare della temperatura Al fine di valutare tale attitudine, è stata costruita dalla American Society of Testing and Materials (ASTM) una scala empirica - definita scala degli “indici di viscosità” (Iv) - che prevede il valore 0 per la viscosità di oli derivati da petroli aromatico-naftenici caratterizzati da ampie variazioni di viscosità, all’aumentare della temperatura, ed il valore 100 per la viscosità di oli derivati da petroli paraffinici caratterizzati da piccole variazioni di viscosità, all’aumentare della temperatura. Pertanto, l’indice di viscosità di un olio lubrificante è un numero che viene definito empiricamente in relazione ai valori di viscosità di altri oli di riferimento. Maggiore è l’indice di viscosità e migliore sarà la “qualità termica” del lubrificante ovvero minore sarà la variazione della sua viscosità all’aumentare della temperatura. Pertanto, un alto indice di viscosità caratterizza buoni lubrificanti, in quanto capaci di svolgere efficacemente la loro funzione entro ampi intervalli di temperatura. Inoltre, l’aggiunta di particolari additivi 46 migliora notevolmente alcune caratteristiche per cui, nel settore automobilistico, sono stati realizzati oli multigrade, ovvero utilizzabili in tutte le stagioni dell’anno, avendo una ottima capacità lubrificante alle differenti variazioni climatiche. Per distinguere le differenti prestazioni degli oli lubrificanti destinati al settore automobilistico, la Society of 40 Nel motore diesel, l’aria – nel cilindro – viene compressa in modo tale da raggiungere la temperatura di circa 900°C. A tale temperatura, il gasolio iniettato nel cilindro brucia rapidamente (autocombustione). 41 Sono sostanze che interposte tra parti meccaniche in movimento vi aderiscono stabilmente e ne diminuiscono l’attrito. 42 La viscosità è l’attrito interno di un liquido, cioè l’attrito che le molecole incontrano nello scorrere le une sulle altre in strati sottilissimi, realizzando un moto laminare ovvero uno scorrimento reciproco di strati di materia. Essa esprime la resistenza che un liquido oppone al proprio flusso o scorrimento. 43 Infatti, affinché si abbia un buon effetto lubrificante l’olio deve permanere sulle superfici da lubrificare senza ostacolarne, con un’eccessiva viscosità, il movimento. 44 Più è alta la pressione di esercizio della macchina in movimento e maggiore dovrà essere la viscosità del lubrificante. 45 La viscosità di un olio si riduce all’aumentare della temperatura. 46 Ad esempio, prodotti in grado di migliorare l’indice di viscosità, quali gli additivi EP (Extreme Pressure) per carichi elevati, gli inibitori di corrosione, gli antiossidanti, etc. Automotive Engineers (SAE) - raggruppando gli oli in diverse classi, ciascuna delle quali contraddistinta da un numero o da una sigla convenzionale - ha classificato gli oli in fluidissimi, fluidi, semifluidi e densi. In particolare, per gli oli multigrade, al fine di indicare le prestazioni sia “a motore freddo”47 che “a motore caldo”48, vengono utilizzati codici alfanumerici; ad esempio, nella sigla 5W40, il numero che precede la lettera W (Winter) indica la viscosità a freddo49, mentre il numero che segue la viscosità a caldo. Gli oli lubrificanti devono soddisfare anche altri requisiti, quali la resistenza agli agenti chimici e l’inerzia chimica ovvero non devono svolgere azione corrosiva o dar luogo ad altre reazioni. Inoltre, vengono valutati anche in base alle caratteristiche di untuosità50, nonché di stabilità rispetto ai processi di ossidazione e riscaldamento. Tuttavia, la maggior parte di queste frazioni petrolifere, prima della commercializzazione, viene sottoposta ad operazioni di conversione e di raffinazione chimica, allo scopo di ottenere maggiori rese in prodotti dalle caratteristiche merceologiche ed ambientali rispondenti a quelle richieste dal mercato e conformi alle specifiche tecniche imposte dalla legislazione vigente. I principali processi secondari sono: hidrotreating, per ridurre la presenza di zolfo in alcune frazioni (carburanti per aerei e gasolio); coking per eliminare, attraverso trasformazione in frazioni più leggere, il residuo pesante; cracking e reforming. Il cracking51 è un processo di conversione che consente di ottenere, partendo da idrocarburi pesanti a catena lunga, molecole più piccole, facendo aumentare le rese di idrocarburi più leggeri, quali ad esempio le benzine. Il processo – che avviene sempre ad alte temperature (piroscissione) - può essere di tipo termo-catalitico (cracking catalitico) e termo-idro-catalitico (hydrocracking) o semplicemente termico. Il cracking catalitico prevede l’impiego di catalizzatori52, ovvero di sostanze che accelerano le reazioni di rottura delle molecole in altre di minore dimensione. Esso si applica ai distillati medi e consente di migliorare le rese in benzine. Il processo di piroscissione può avvenire anche in presenza di un eccesso di idrogeno, a temperature di 450- 500 °C e a pressioni di 200 kg/cm2 (hydrocracking). Il reforming, invece, consiste nel trasformare le molecole di idrocarburi lineari in molecole ramificate caratterizzate da un più elevato potere antidetonante e, pertanto, serve a migliorare la qualità ottanica dei prodotti leggeri, quali le benzine. Dal mix di impianti in grado di eseguire le suddette operazioni, dipende la “flessibilità” (quantitativa e qualitativa) del ciclo produttivo di una raffineria, allo scopo di soddisfare tempestivamente la domanda del mercato, a sua volta condizionata da molteplici fattori (stagionalità, incidenza dei trasporti, congiuntura economica, etc.). La capacità di raffinazione mondiale, così come le dimensioni degli impianti, sono aumentate nel corso del tempo, fino ai primi anni ottanta del novecento, seguendo la crescita dei consumi mondiali di greggio, quintuplicatisi nel ventennio compreso tra il 1950 e il 1970. Tuttavia, in seguito al controshock petrolifero, a partire dalla seconda metà degli anni ottanta, l’industria di raffinazione, ha dovuto affrontare un drastico processo di ridimensionamento della capacità produttiva e di riqualificazione degli impianti e dei processi, rispettivamente, ristrutturati e riorganizzati in base ad importanti innovazioni tecnologiche anche a valenza ambientale. L’attuale capacità di raffinazione italiana annua realizzata in 16 raffinerie supera di poco i 100 milioni di t di greggio, con una riduzione del 37% rispetto al 1980, e con un utilizzo medio degli impianti di circa l’80%. I derivati del petrolio hanno molteplici campi di impiego; essi spaziano dal settore civile (per il riscaldamento domestico, gli usi di cucina, etc.) a quello industriale (energia termica, etc.), dal settore dei trasporti aerei, navali e stradali a quello elettrico (per la generazione di energia elettrica), dall’industria 47 Ovvero in fase di avviamento ed in climi particolarmente rigidi (-18 °C). 48 Ovvero nel funzionamento a regime dei motori (100 °C). 49 Più piccolo è il numero che precede la lettera W e più fluido è l’olio alle basse temperature. 50 E’ la proprietà di un lubrificante di aderire tenacemente alle superfici metalliche. 51 Il termine cracking deriva dall’inglese to crack (rompere) ed indica il processo di trasformazione di composti e materiali costituiti da macromolecole in prodotti più semplici. 52 Come catalizzatori si impiegano silicati di alluminio, zeoliti, etc. produce oltre ad acqua allo stato di vapore anche anidride carbonica 58, ma in misura inferiore rispetto al petrolio e, soprattutto, al carbone, la sua utilizzazione è in continua crescita, per favorire il processo di “decarbonizzazione” delle opzioni energetiche59. Fra i combustibili fossili, il gas naturale si caratterizza per la più recente diffusione. Infatti, nonostante fosse remota la conoscenza della sua disponibilità in natura, le applicazioni pratiche su vasta scala sono state rallentate dalle difficoltà connesse alla estrazione, trasporto e distribuzione di una fonte energetica allo stato gassoso. Ciononostante, la storia del gas naturale affonda le proprie radici in epoche lontane, allorché affioramenti spontanei che – dando luogo a sorprendenti fenomeni, quali fuochi naturali, fontane ardenti, etc. – venivano interpretati come vere e proprie manifestazioni a carattere trascendentale. Le prime applicazioni a scopi pratici risalgono al IV secolo d.C. in Cina, dove il calore generato dalla combustione del gas naturale veniva adoperato per l’evaporazione dell’acqua di mare, al fine di ricavarne sale (cloruro di sodio) allo stato solido. Peraltro, soltanto con l’affermarsi delle conoscenze scientifiche moderne del mondo occidentale, furono avviati studi sistematici sulle leggi fisiche dei gas e un notevole contributo per la comprensione circa la natura organica del metano60 - il principale costituente del gas naturale – fu dato nel 1776 da Alessandro Volta (1745-1827). A partire dai primi decenni del 1800, l’utilizzazione del gas naturale per l’illuminazione e, successivamente, per scopi industriali e domestici si diffuse rapidamente dagli Stati Uniti all’Europa. Attualmente, il gas naturale sta assumendo un ruolo di primo piano nello scenario energetico mondiale e nazionale, poiché la sua composizione, ricca in idrogeno, ne favorisce le performance tecnico-economiche ed ambientali. Infatti, il più favorevole rapporto H/C e la disponibilità di tecnologie innovative ecoefficienti ( Best Available Techniques – BAT) per la generazione elettrica determinano un significativo vantaggio ambientale, rispetto alle tecnologie convenzionali basate sul carbone e/o l’olio combustibile. I campi di impiego del gas naturale, inizialmente circoscritti al settore civile – dove viene impiegato per usi domestici, riscaldamento, etc. – e ad alcuni comparti del settore industriale, oggi sono notevolmente ampi e diversificati. Esso trova larga diffusione anche nella generazione termoelettrica mondiale, per i suoi vantaggi sia in termini di ridotto inquinamento atmosferico, che di minori costi di investimento e maggiore flessibilità operativa degli impianti. Inoltre, il gas naturale rappresenta un’importante materia prima per la produzione di merci non energetiche in quanto, oltre ad essere un’ottima “fonte” di idrogeno 61, può anche essere utilizzato per ottenere una molteplicità di prodotti e di sostanze intermedie in un settore particolarmente interessante, noto come metanochimica. 58 Infatti, una molecola di metano si combina – nella combustione – con due molecole di ossigeno per formare una molecola di anidride carbonica ed una molecola di acqua. Ciò può essere semplicemente schematizzato, utilizzando il linguaggio chimico, dalla seguente reazione: CH4 + 2 O2 CO2 + 2H2O. 59 Il fattore di emissione del gas naturale, ossia le tonnellate di CO2 emesse per ogni TJ di energia prodotta (tCO2/TJ), pari a circa 56, lo rende il combustibile fossile più “virtuoso” al fine del contenimento dell’effetto serra. L’olio combustibile, infatti, ha un fattore di emissione pari a circa 77 tCO 2/TJ, il carbone bituminoso pari a circa 95 tCO2/TJ. 60 Il metano (CH4), la cui molecola è costituita da un atomo di carbonio (C) e quattro di idrogeno (H), è il composto più semplice appartenente alla categoria degli alcani, ovvero degli idrocarburi saturi o paraffinici. Il metano, è un gas inodore, incolore, più leggero dell’aria, dove brucia con fiamma bluastra. Alla temperatura di 15°C ed a pressione atmosferica (1atm) ha un peso specifico di 0,678 kg/m 3. In queste condizioni 1 m3 di metano sviluppa 37,8 MJ (9.024 kcal), pari al contenuto energetico di 1,5 kg di carbone o di 0,90 kg di petrolio. 61 L’idrogeno rappresenta un vettore energetico, ma anche una materia prima per la sintesi dell’ammoniaca, per l’idrogenazione degli idrocarburi nel processo di cracking, per l’idrogenazione degli oli alimentari ai fini della trasformazione in grassi semisolidi (come avviene, ad esempio, per le margarine, etc.) ed, inoltre, per l’ottenimento di tutta un’ampia gamma di prodotti chimici intermedi utilizzabili in molteplici applicazioni industriali. Combustibile nucleare A differenza dei combustibili tradizionali (fossili e non) che forniscono energia termica per effetto della reazione di ossidazione, che vede coinvolti i legami degli atomi che costituiscono le molecole, le sostanze generalmente definite “combustibili nucleari” riescono a liberare enormi quantità di calore per effetto dei fenomeni (di fissione e di fusione) legati alla struttura di alcuni nuclei atomici. Come è ben noto, l’atomo ha un nucleo centrale che costituisce praticamente la sua massa, formato da protoni, ovvero particelle con carica elettrica positiva, e da neutroni, particelle prive di carica elettrica. Intorno al nucleo “ruotano” particelle aventi carica elettrica negativa, dette elettroni. L’atomo risulta neutro in condizioni normali, poiché la carica elettrica negativa degli elettroni eguaglia quella positiva del nucleo. La materia - che è costituita da atomi - e l’energia – che è la capacità di svolgere un lavoro – possono, come si è detto in precedenza, essere considerate due diverse manifestazioni della stessa entità ed, infatti, sono interconvertibili. Questa trasformazione è regolata dalla relazione di Einstein secondo cui E = m c2, dove E è l’energia, m la massa e c la velocità della luce, ovvero 300.000 km/sec. L’energia che tiene insieme i componenti di un nucleo atomico (protoni e neutroni) può essere liberata spontaneamente (radioattività naturale) o essere provocata mediante fissione. Grazie agli studi ed alle scoperte, susseguitesi fin dalla seconda metà del 1800, Enrico Fermi, nel 1942, riuscì ad ottenere energia nucleare in modo controllato. Dalla fissione del nucleo di uranio62, si genera energia e principalmente energia termica63, ma si formano anche altri nuclei, con diverso peso atomico, alcuni dei quali ad elevata radioattività. Tuttavia, è anche possibile ottenere energia dalla fusione di nuclei leggeri quali, ad esempio, gli isotopi64 dell’idrogeno65 (deuterio66 e trizio67). Infatti, nel sole e nelle stelle l’energia emessa (luce, calore, etc.) viene prodotta dalla fusione di nuclei leggeri68, un fenomeno che avviene a temperature dell’ordine di milioni di °C e a pressioni elevatissime. La massa complessiva dei nuclei che si formano nelle reazioni di fusione è minore di quella iniziale. Pertanto, da tale perdita di massa (difetto di massa) si genera energia. Per ottenere la fusione, purtroppo, occorrono temperature e pressioni elevatissime ed, in tali condizioni, gli elementi utilizzati non possono essere contenuti nei comuni reattori, ma sospesi ed imprigionati in 62 L’uranio (U) è il 92° elemento della tavola periodica ed è costituito da 92 protoni, 92 elettroni e 146 neutroni. Pertanto il suo numero di massa (somma dei neutroni e protoni) è 238 e l’atomo viene indicato con il simbolo 238U. L’uranio presente in natura è per circa il 99,3% 238U mentre la rimanente parte (0,7%) è rappresentata da uranio 235 (235U), un isotopo fissile di 238U (ovvero un atomo che ha lo stesso numero di protoni, ma differisce per quello dei neutroni, 143 anziché 146). L’uranio 238 non è fissile, per cui deve essere sottoposto ad opportuni trattamenti. E’ possibile, anche, effettuare l’arricchimento dei minerali uraniferi, portando la concentrazione di 235U ad un titolo del 3- 4%, per poter procedere alla fissione. 63 Si pensi che dalla fissione di ogni nucleo di 235U si liberano 200 MeV (megaelettronvolt) di energia (1 MeV è uguale a 0,160 x 10-12 J). 64 Un atomo di un elemento è caratterizzato da un numero atomico (N°dei protoni = N° degli elettroni) e da un numero di massa (somma dei protoni e dei neutroni). Gli atomi di uno stesso elemento hanno sempre lo stesso numero atomico, cioè lo stesso numero di protoni. Ad esempio, tutti gli atomi di uranio hanno numero atomico pari a 92. Gli isotopi di un elemento sono atomi dello stesso elemento che differiscono per il numero di massa, cioè per avere un diverso numero di neutroni nel nucleo. 65 L’atomo di idrogeno è costituito soltanto da 1 protone e 1 elettrone (non ha neutroni) e si indica con il simbolo H. 66 Il deuterio, un isotopo dell’idrogeno, è costituito da 1 protone, 1 elettrone e 1 neutrone (il suo numero di massa è 2) e viene indicato come 2H o 2D. 67 Il trizio, un isotopo dell’idrogeno, è costituito da 1 protone, 1 elettrone e 2 neutroni (il suo numero di massa è 3) e viene indicato come 3H o 3T. 68 Nel sole, la cui temperatura interna è ritenuta pari a 14 milioni di gradi, la reazione di fusione di nuclei di idrogeno (reazione protone-protone) è responsabile di gran parte dell’energia che giunge sulla terra. Nella reazione i nuclei di atomi leggeri, quali deuterio (2H) e trizio (3H), a temperature e pressioni elevate, si fondono originando nuclei di elementi più pesanti - come l’elio (4He) - e neutroni (n). Poiché la massa complessiva dei prodotti è inferiore a quella delle particelle interagenti, secondo il principio di equivalenza tra massa ed energia, si libera energia (E). La reazione termonucleare può essere schematizzata dalla seguente relazione: 2H + 3H (4He + 1n + E). fortissimi campi magnetici (plasma). Pertanto, mentre la fusione non è considerata “economicamente” utilizzabile, la fissione nucleare - già da tempo - ha avuto applicazioni pratiche in campo energetico. I “combustibili” attualmente usati nella fissione sono l’uranio 235 (235U), l’uranio 233 (233U)69 e il plutonio 239 (239Pu). Di questi solo l’uranio 235 è presente in natura nei minerali e, in misura minore, nell’acqua di mare. Gli altri due (233U e 239Pu) sono ottenuti attraverso reazioni nucleari, partendo - rispettivamente - da torio 232 (232Th) e da uranio 238 (238U) ovvero dai nuclei detti “fertili” proprio perché in grado di trasformarsi in nuclei fissili. Esistono varie tecnologie che consentono di ottenere energia dal nucleo, ma qui di seguito si descriverà – molto sinteticamente – la più diffusa, che si basa sull’impiego di Uranio 235 (235U) arricchito e di acqua utilizzata sia per rallentare la velocità dei “proiettili”, ovvero dei neutroni, necessari alla fissione, sia per recuperare il calore prodotto70. Per ottenere energia dalla fissione nucleare occorre mettere in atto una serie di operazioni così schematizzabili: estrazione del minerali di uranio e preparazione degli ossidi di uranio; arricchimento dell’uranio fissile 235; fissione nucleare; trasformazione dell’energia termica in energia elettrica; trattamento delle scorie radioattive. L’uranio, un elemento abbastanza diffuso in natura71, è presente nella litosfera sotto forma di minerali, dai quali viene estratto per separazione della ganga e trasformato in ossido di uranio. Tuttavia, è necessario evidenziare che dell’uranio presente in natura solo lo 0,7% è sotto forma di 235U, un elemento fissile, il restante 99,3% è costituito prevalentemente dall’isotopo 238U, che non è fissile ma “fertile”. Infatti, per cattura neutronica, da quest’ultimo si ottiene Plutonio 239 (239Pu), un elemento fissile (artificiale), impiegato anche per scopi bellici (bomba al plutonio). Per poter essere utilizzato ai fini della produzione di energia, l’Uranio 235, deve essere “arricchito”, ovvero la sua concentrazione deve raggiungere il 3%. A tale scopo l’ossido di uranio viene trasformato in un composto gassoso, esafluoruro di uranio (UF6), per poter procedere al suddetto arricchimento mediante filtrazione gassosa72. L’esafluoruro di uranio, in cui è presente 235U arricchito al 3%, viene trasformato in ossido di uranio che, sotto forma di piccole sfere (60 mm di diametro) immesse in opportuni involucri di adatta lega (barre di zirconio), è caricato nell’impianto, il cui nocciolo è formato da schiere di barre di “combustibile” racchiuse in un reattore in pressione. Dalla fissione nucleare, che avviene per effetto del bombardamento dei nuclei di uranio con neutroni aventi una velocità adatta, si produce calore che viene rimosso dall’acqua posta in circolazione e che funge, pertanto, sia da refrigerante che da moderatore della velocità dei neutroni. Per controllare il livello di energia, nel nocciolo sono presenti barre di controllo che vengono inserite per bloccare, eventualmente, la reazione. Nel circuito di raffreddamento primario del reattore, l’acqua ad alta temperatura fluisce attraverso 69 L’uranio 233 (233U) può essere prodotto attraverso reazioni nucleari che prevedono il bombardamento, con neutroni, del torio 232 (232Th). 70 La fissione di un atomo è in pratica la fissione del suo nucleo. Nel nucleo atomico sono presenti protoni dotati di carica elettrica positiva e neutroni (privi di carica elettrica). Quando si bombarda un nucleo atomico con neutroni, esso si rompe (fissione) dando luogo ad una grande quantità di energia (calore, radiazioni, etc.) producendo, contestualmente, gruppi di particelle (nuclei più piccoli) nonché alcuni neutroni liberi. Questi ultimi, provocano la fissione di altri atomi innescando un ciclo di reazioni a catena (esplosione atomica). Se tale reazione viene “controllata”, si riesce ad utilizzare l’energia ottenuta per produrre energia meccanica e/o elettrica. La trasformazione in energia elettrica avviene, comunque, sempre nel modo tradizionale, ovvero attraverso il riscaldamento dell’acqua e la produzione di vapore che, azionando turbine collegate ad alternatori, genera corrente elettrica. L’energia nucleare, liberata nel cuore di un reattore, serve dunque a riscaldare un fluido (acqua, gas, sodio liquido). 71 L’uranio è diffuso anche nell’acqua di mare, con una concentrazione media di 0,003 ppm (parti per milione) ovvero di circa 3 mg/m3 (3mg/1000L). 72 Essa consiste nel separare i due isotopi (235U e 238U), per variarne la rispettiva concentrazione, mediante il “passaggio” del composto gassoso (UF6) in opportuni filtri, attraverso i quali far passare prevalentemente gli atomi di 235U rispetto a quelli di 238U, che presentano nel nucleo tre neutroni in più. Il prodotto di scarto di tale processo è rappresentato da “uranio impoverito”, utilizzato nell’industria militare. internazionale, nell’ambito del Protocollo di Kyoto76. Eppure, da recenti analisi condotte presso importanti enti internazionali di ricerca, fra i quali il Massachussetts Institute of Technology (MIT), emerge che attualmente non si ravvisano le condizioni che hanno favorito, in passato, l’adozione e la diffusione di tali tecnologie. Le principali argomentazioni in materia sono riconducibili ai profondi cambiamenti che da qualche decennio caratterizzano lo scenario energetico internazionale, comunitario e nazionale, orientato alla liberalizzazione dei mercati, che di fatto penalizza la diffusione di tecnologie ad alta intensità di capitale. Infatti, in mercati deregolamentati la produzione di energia elettrica in centrali nucleari non appare economicamente competitiva, rispetto a quella delle centrali a combustibili fossili, né in termini di costi di investimento, di tempi di realizzazione e di vita utile, né in termini di rendimenti termici e di sicurezza, soprattutto in relazione alla dismissione ed inertizzazione delle scorie radioattive. Infatti, i rifiuti radioattivi, derivanti dalle attività di produzione di energia elettro-nucleare77, si presentano sotto differenti forme, con diversi livelli di attività radioattiva e con tempi di decadimento tali da richiederne una gestione differenziata. Essi sono classificabili in tre macrotipologie – in relazione alle caratteristiche ed alle concentrazioni dei radioisotopi presenti – alle quali corrispondono differenti tecniche di smaltimento. Alla prima categoria appartengono i rifiuti che richiedono tempi inferiori ad un anno. Generalmente, essi si originano da attività di ricerca scientifica o da usi medici. Sono classificati di seconda categoria, i rifiuti che richiedono tempi variabili da qualche decina di anni ad alcune centinaia; essi provengono sia da cicli di produzione di energia elettro-nucleare che da operazioni di decommissioning. Nella terza categoria sono inseriti i rifiuti che non appartengono alle precedenti due e che richiedono tempi dell’ordine di migliaia di anni. Rientrano in tale tipologia i rifiuti liquidi ad elevata attività specifica ed i rifiuti solidi in cui questi possono essere convertiti. Le caratteristiche dei contenitori destinati a ricevere rifiuti radioattivi, non solo devono garantire importanti funzioni – ovvero costituire una valida barriera per il contenuto delle sostanze radioattive durante le operazioni di riempimento, movimentazione, stoccaggio, etc. – ma prevedere anche un sistema di corretta schedatura e di etichettatura indelebile, onde poter desumere informazioni relative all’ente produttore, alle caratteristiche del rifiuto e del relativo contenitore, etc. Il ciclo dei rifiuti nucleari si articola in molteplici fasi che vanno dalla raccolta, cernita, trattamento78 e 76 Il Protocollo di Kyoto sancisce il primo tentativo di governare le traiettorie di sviluppo del sistema energetico mondiale, in un’ottica di transizione verso la sostenibilità, attraverso un processo di costruzione del consenso tra nazioni. Esso, com’è noto, impegna i paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione, pur se con obiettivi differenziati, a ridurre le loro emissioni globali di gas serra - ovvero di anidride carbonica (CO2), metano (CH4), protossido di azoto (N2O), idrofluorocarburi (HFC), perfluorocarburi (PFC), esafluoro di zolfo (SF6) - del 5,2 % rispetto ai livelli del 1990, nel periodo compreso tra il 2008 ed il 2012¸ il cosiddetto first commitment period. Grazie alla ratifica della Russia, l’entrata in vigore del Protocollo - subordinata al coinvolgimento di almeno 55 paesi che rappresentino il 55% delle emissioni di CO2 dei paesi industrializzati– si è verificata nel febbraio 2005. Essa è stata oggetto di estenuanti trattative a livello internazionale, caratterizzate da speranze deluse, rinvii, visioni contrastanti che vedevano, purtroppo, lontane le posizioni del paesi del cosiddetto Umbrella Group – guidato dagli Stati Uniti, ancora oggi non inclusi tra i paesi firmatari - che hanno assunto un atteggiamento critico nei confronti degli impegni del Protocollo e quelle dell’Unione Europea, connotate da una maggiore consapevolezza ecologica. La ratifica della UE è stata accompagnata dal cosiddetto Burden-sharing agreement, ovvero “Accordo per la ripartizione degli oneri tra gli Stati membri”, nel quale è stato suddiviso l’onere comune dell’8% tra i 15 paesi, in considerazione delle differenti aspettative di crescita economica e delle variegate strutture economiche ed energetiche. In base a tale ripartizione, l’Italia deve ridurre le sue emissioni del 6,5%, rispetto a quelle del 1990, entro il 2012. I dieci Stati membri entrati a far parte dell’UE in seguito all’allargamento del 2004 hanno ratificato il Protocollo e si sono impegnati a conseguire propri obiettivi (cfr. par. 2 del Cap III). 77 Le altre fonti di generazione di rifiuti sono le attività collegate al ciclo del combustibile, alla produzione ed uso di radioisotopi (medicina, industria), alla decontaminazione e disattivazione di impianti nucleari. 78 Il trattamento consiste in un complesso di operazioni che, mediamente l’applicazione di processi fisici e/o chimici, modificano la forma fisica e/o la composizione chimica dei rifiuti radioattivi con l’obiettivo principale di operare una riduzione del volume e/o di preparare i rifiuti radioattivi alla successiva fase di condizionamento. condizionamento79 fino al deposito temporaneo, trasporto e smaltimento. Nel mondo sono state adottate differenti soluzioni per la gestione dei rifiuti radioattivi. Alcuni paesi (USA, Federazione Russa) ne hanno deciso lo stoccaggio sotterraneo, altri (Francia, Belgio, Inghilterra, Giappone), invece, hanno adottato una strategia diversa, in quanto volta al loro riciclo e riutilizzo. Sebbene siano due approcci opposti, con implicazioni politiche e strategiche totalmente differenti, entrambi sono contemplati nel noto Trattato di Non Proliferazione (Non Proliferation Treaty – NPT) tendente a minimizzare i rischi di incidenti. I principi di base cui far riferimento per gestire i rifiuti radioattivi sono riconducibili alla protezione delle presenti e future generazioni da esposizione alle radiazioni e dal riciclo, nella biosfera, dei radionuclidi. Tali obiettivi vengono perseguiti attraverso l’applicazione del concetto “multibarriera”, ovvero di un sistema costituito da barriere di tipo fisico e chimico, per assicurare l’immobilizzazione dei radionuclidi e, dunque, evitarne il trasporto, nella biosfera, da parte di acque di origine meteorica o sotterranea. Per altri aspetti, invece, l’opzione nucleare viene vista da molti come la via necessaria - pur in presenza di un’articolata gamma di opzioni disponibili fra cui il ricorso alle fonti rinnovabili, al miglioramento dell’efficienza nella generazione e negli usi finali dell’energia, allo sviluppo di tecnologie per “catturare” l’anidride carbonica - per “decarbonizzare” la produzione di energia. Ciò allo scopo di ridurre in modo consistente le emissioni in atmosfera di gas ad effetto serra, il cui trend è in aumento, nonostante gli impegni imposti dalla ratifica, avvenuta nel 2005, del Protocollo di Kyoto. Le tematiche, fin qui accennate, evidenziano come le politiche energetiche ed ambientali – e, dunque, anche il ritorno al nucleare – non possano che essere valutate e gestite in ambito sopranazionale e attraverso la previa acquisizione del consenso da parte del contesto sociale di riferimento. Come precedentemente accennato, nel nostro Paese, in seguito ad un referendum popolare svoltosi nel 1987, è stata sospesa la produzione di energia elettrica da fissione e con il D.Lgs. 230/1995 sono state prese in considerazione, per la prima volta, nell’ambito del quadro legislativo nazionale le problematiche inerenti la fase di gestione, disattivazione e dismissione degli impianti nucleari, intendendo per disattivazione “l’insieme delle azioni pianificate, tecniche e gestionali, da effettuare su un impianto nucleare a seguito del suo definitivo spegnimento o della cessazione definitiva dell’esercizio, nel rispetto dei requisiti di sicurezza e di protezione dei lavoratori, della popolazione e dell’ambiente sino allo smantellamento finale o comunque al rilascio del sito esente da vincoli di natura radiologica”80. Tale processo può schematizzarsi nelle seguenti tre fasi principali: · Custodia sorvegliata. Tale fase prevede, innanzitutto, la rimozione del combustibile spento dal reattore ed il suo trasferimento in adatte piscine. Dopo un periodo di permanenza necessario, tra l’altro, per ridurre a valori trascurabili la potenza termica generata dal decadimento dei prodotti di fissione, il combustibile può essere immagazzinato in contenitori, raffreddati ad aria, collocati in depositi che possono essere localizzati sia nell’area dell’impianto che essere destinati al riprocessamento. Durante questa fase viene effettuato il drenaggio ed il trattamento dei liquidi radioattivi dai sistemi e dai componenti del reattore. Viene effettuata, inoltre, la disattivazione dei sistemi operativi, il bloccaggio e la sigillatura delle aperture meccaniche quali valvole e tubazioni, in modo da consentire il controllo dell’atmosfera dell’edificio di contenimento. L’impianto è posto sotto custodia protettiva, con accesso controllato, e vengono eseguite ispezioni e test periodici per confermare e garantire nel tempo le condizioni di sicurezza dell’impianto stesso. · Rilascio progressivo di aree e/o edifici. E’ una fase durante la quale possono essere disattivate e disassemblate tutte le apparecchiature, per decontaminare la maggior parte dell’impianto. In tal modo vengono ridotte le dimensioni dell’area per le quali è necessario garantire la sorveglianza dei materiali contaminati. Gli edifici possono essere adibiti ad impieghi convenzionali o essere demoliti. Anche in questa fase sono effettuate delle ispezioni e adottati opportuni test di controllo. · Rilascio incondizionato. In tale fase si prevede, a meno di non riutilizzare gli edifici e le strutture per un nuovo impianto nucleare, la rimozione completa nonché la decontaminazione di tutte le strutture, unitamente alla bonifica del suolo. 79 Il condizionamento è un processo effettuato all’interno di un contenitore, con l’impiego di agenti solidificanti, allo scopo di produrre un manufatto (rifiuti radioattivi condizionati+contenitore) nel quale i rifiuti radioattivi sono inglobati in una matrice solida. 80 D.Lgs. 17 marzo 1995, n. 230, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 136 del 13 giugno 1995, recante norme in tema di “Attuazione delle direttive Euratom nn. 80/836, 84/467, 84/466, 89/618, 90/641 e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti”. In Italia sono state ritirate dall’esercizio le unità di potenza del Garigliano nel 1978, di Latina nel 1986, di Caorso nel 1986 e di Trino nel 1987. Le centrali di Trino e Caorso, tuttavia, sono state mantenute in condizioni tali da poter essere riavviate fino alla delibera CIPE del 26/07/90, che ne ha deciso la chiusura definitiva. Alla fine degli anni ’80 è stata fermata anche l’attività degli impianti pilota dell’Ente Nazionale per l’Energia Atomica, poi trasformatosi in Ente Nazionale per l’Energia Alternativa (ENEA). Gli Enti, cui spettava l’onere di gestire la disattivazione degli impianti nucleari, principalmente Enel ed ENEA, hanno elaborato specifici programmi ed intrapreso le azioni più urgenti, compatibilmente con il quadro complessivo, sotto il controllo dell’Autorità di sicurezza. Inizialmente, è stata adottata dall’ENEL una strategia (SAFSTOR), comprendente le seguenti fasi: · attività per la cessazione dell’esercizio, con l’allontanamento del combustibile dal generatore nucleare e la caratterizzazione dei principali elementi dell’impianto, nonché attività connesse con la gestione dei rifiuti prodotti durante l’esercizio; · cambio di licenza con revisione dei regolamenti, delle prescrizioni tecniche nonché dei piani di emergenza; · decontaminazione e messa in sicurezza; · custodia protettiva passiva (CPP), con l’intesa di ritardare le attività di smantellamento di almeno 30 – 40 anni rispetto alla data di arresto definitivo dell’impianto; · disattivazione finale del sito per successive riutilizzazioni. Tale strategia è stata oggetto di una analisi tecnico/economica, al fine di eseguire una completa ed aggiornata rivalutazione dei costi e degli oneri finanziari. Gli indirizzi del Governo hanno, tuttavia, manifestato nel tempo un progressivo orientamento verso strategie di smantellamento immediato degli impianti nucleari italiani. Dopo una serie di analisi e di valutazioni, che hanno coinvolto i principali operatori istituzionali - Ministero dell’Industria, oggi Ministero dello Sviluppo economico, ANPA trasformata successivamente in ISPRA, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare – è stato presentato, nel dicembre 1999, un documento sugli “indirizzi strategici per la gestione degli esiti del nucleare” nel quale viene definitivamente stabilito di dar corso allo smantellamento, immediato degli impianti nucleari italiani. Dal 1/11/1999, nel quadro degli adempimenti previsti dal decreto di liberalizzazione del mercato dell’energia elettrica – D. Lgs. n. 79 del 1999, noto come Decreto Bersani81 – è divenuta operativa la Società per la Gestione degli Impianti Nucleari (SOGIN), alla quale sono stati conferiti i quattro impianti nucleari italiani (Trino, Caorso, Latina, Garigliano), precedentemente di proprietà dell’Enel, per la gestione delle relative attività di smantellamento, di chiusura del ciclo del combustibile e delle attività connesse. La SOGIN ha già avviato la revisione dei programmi di smantellamento, alla luce dei nuovi indirizzi, con l’obiettivo di realizzare tale attività entro il 2020. Per l’attuazione dei programmi stabiliti82 la SOGIN utilizzerà risorse finanziarie provenienti da un fondo trasferito all’uopo dall’Enel nonché da un finanziamento accordato dal governo sulla base delle determinazioni dell’Autorità per l’Energia ed il Gas (AEEG), a valere sulla voce “oneri nucleari”, una componente della tariffa elettrica pagata dagli utenti. Peraltro, di recente, in Italia – in seguito all’incidente che ha coinvolto in Giappone il reattore nucleare di Fukushima (marzo 2011) – sono state abrogate le normative che avevano ripristinato un progetto nazionale di produzione di energia elettrica. Infatti, l’impennata dei prezzi dei combustibili fossili, nel periodo 2005-2008, e gli impegni assunti in tema di de carbonizzazione del nostro sistema energetico – attraverso la riduzione delle emissioni dei gas serra – avevano condotto il Governo a deliberare in merito al ritorno al nucleare, nella misura del 25% della domanda di energia.83 Relativamente, invece, alla fusione nucleare, occorre evidenziare che delle due tecnologie note - fusione calda e fusione fredda - la seconda è ancora in una fase sperimentale. 81 Tale decreto, fra l’altro, ha disposto la trasformazione dell’Enel in una holding formata da diverse società indipendenti, tra cui appunto la SOGIN per le attività nucleari. 82 Oltre alle quattro centrali nucleari, è in carico alla SOGIN anche lo smantellamento, entro il 2015, dei cinque impianti italiani presso cui si svolge il ciclo del combustibile nucleare ovvero i due della Casaccia (vicino Roma), quello di Rotondella (vicino Matera), di Saluggia (Vercelli) e di Bosco Marengo (Alessandria). 83 Gli interventi legislativi a favore del ripristino della produzione di energia elettrica nucleare in Italia riguardano: DL 25/6/2008 n. 112, L. 23/7/2009 n. 99 e D.Lgs. 15/2/2010 n. 31 . Il referendum abrogativo si è svolto, invece, nel giugno 2011. tecnologie energetiche “pulite”, alla base delle fonti rinnovabili, caratterizzate da emissioni basse, se non nulle, di anidride carbonica e di altri gas ad effetto serra. L’effettivo decollo delle fer, dunque, potrebbe attivare dinamiche di crescita economica, sia a livello locale che globale, attraverso l’implementazione di sistemi energetici orientati alla sostenibilità ambientale, peraltro utilizzabili nei diversi settori della domanda. Energia geotermica All’interno della crosta terrestre, come è noto, vi è del calore naturale la cui temperatura aumenta, mediamente, di circa 3°C ogni 100 metri di profondità. Esso si propaga per conduzione 89 nelle rocce compatte e per convezione90 in quelle permeabili e fratturate; in alcuni casi esso, con l’ausilio di un vettore fluido, quale l’acqua, può affiorare in superficie (sotto forma di sorgenti di acqua calda, fumarole, geyser); in altri casi può restare intrappolato nel sottosuolo, formando i cosiddetti serbatoi geotermici 91. Mediante la costruzione di opportuni pozzi, l’acqua calda o il vapore in essi contenuto possono essere portati in superficie ed impiegati in impianti per la produzione di energia elettrica – centrali geotermoelettriche – oppure utilizzati a scopo non elettrico (uso diretto del calore per il riscaldamento di edifici, serre, etc.). Un limite alla utilizzazione dell’energia geotermica, peraltro, può essere rappresentato dalla presenza di elevate concentrazioni di sostanze più o meno tossiche e di inquinanti (arsenico, elementi radioattivi, idrogeno solforato, etc.). Al contrario, in molti giacimenti sono presenti sostanze utilizzabili, in particolare il boro, che vengono recuperate per l’impiego in vari settori92. La potenza geotermica installata a livello mondiale, nel 2010, è di quasi 11.000 MWe, con una produzione di circa 70 TWh/anno. L’Italia si colloca al quinto posto nel mondo e al primo in Europa per una potenza installata di oltre 900 MWe e una produzione complessiva di 5 TWh/anno. L’efficienza di generazione di elettricità da vapore geotermico è del 10-17%, circa tre volte inferiore rispetto a quello delle fonti tradizionali. Energia idroelettrica La produzione di energia da fonti idriche si basa sulla trasformazione, attraverso il sistema turbina- alternatore, dell’energia cinetica di una massa d’acqua in rapido movimento in energia meccanica ed elettrica, facilmente utilizzabile. Nei sistemi idroelettrici - costituiti generalmente da un complesso di opere strutturali ed impiantistiche - l’acqua viene captata attraverso condotte forzate e convogliata in un bacino da cui viene fatta defluire ad un livello più basso per ottenere energia utile. L’energia idroelettrica è la più importante tra le fer, avendo contribuito in maniera rilevante alla elettrificazione di molti paesi oggi industrializzati (Italia, Austria, Svizzera, Svezia, Norvegia, ma anche Canada, Giappone, etc). Infatti, il poter disporre di una fonte energetica rinnovabile, a buon mercato, come quella idrica, ha segnato, per molti paesi poveri di combustibili fossili, il passaggio da economie agricole ed artigianali ad economie avanzate. Essa, governata dal ciclo naturale dell’acqua, è la fonte rinnovabile per eccellenza, caratterizzata da una tecnologia ormai matura, connotata da bassi costi di esercizio e di manutenzione, ma soprattutto da rendimenti 89 La conduzione consiste nel passaggio del calore da una parte all’altra, dello stesso corpo, senza movimento o alterazione di questo. 90 La convezione si ha allorché il trasferimento di energia è associato ad uno “spostamento” di materia. 91 Nell’ambito dell’energia geotermica, si suole parlare di “sistemi” geotermici; essi sono costituiti da un “serbatoio” di acqua, da una “sorgente” di calore e dalle cosiddette “aree di ricarica”, ovvero aree rocciose dotate di fratture che consentono il passaggio del calore, dell’acqua, etc. Tali sistemi, caratterizzati da una molteplicità di fenomeni e di proprietà chimico-fisiche, sono sinteticamente classificabili in: sistemi idrotermali, sistemi magmatici e sistemi a rocce calde. 92 I più importanti composti del boro sono i derivati ossigenati, quali ossidi e acidi, fra cui l’acido borico. Quest’ultimo si caratterizza per i molteplici impieghi: ad esempio, nell’industria del vetro, della ceramica e degli smalti porcellanati, nonché per i suoi usi in fotografia, in cosmetica, nei trattamenti per la conservazione di legno, carta e cartone. Viene impiegato, inoltre, in metallurgia per ottenere leghe di boro e ferro-boro, nell’industria conciaria come antisettico e antiputrido. assai elevati, che nei moderni impianti idroelettrici93 superano persino l’80%. A livello mondiale, il ruolo del comparto idroelettrico è particolarmente rilevante rilevante (circa 900 GW di capacità installata nel 2010), con una produzione che si aggira intorno a 3200 TWh/anno. In Italia, le centrali idroelettriche, hanno raggiunto un potenza complessiva di quasi 18 GW, nel 2010, e una produzione complessiva di energia elettrica di oltre 50 TWh, pari al 15,3% del fabbisogno nazionale, con diversa incidenza nelle differenti aree del Paese. È necessario evidenziare un incremento significativo, nel corso degli ultimi anni, degli impianti con potenza inferiore ai 10 MW ai quali sono maggiormente legate le future dinamiche di sviluppo del settore idroelettrico94. Questi ultimi, caratterizzati da una capacità inferiore a 10 MW, rappresentano il “nuovo” idroelettrico, grazie alla loro attitudine ad integrarsi negli ecosistemi locali, dove possono utilizzare l’energia cinetica della corrente dei fiumi, senza richiedere la costruzione di complesse ed imponenti opere ingegneristiche, spesso causa di rilevanti alterazioni idrogeologiche e paesaggistiche. Gli impianti di piccola taglia, peraltro, riflettono gli emergenti schemi di generazione, distribuiti sul territorio, in grado di favorire un uso plurimo ed equilibrato della risorsa acqua. Diversamente, i sistemi idroelettrici tradizionali, connotati dalle grandi dimensioni, comportano un notevole impatto ambientale, legato alla creazione di dighe e di bacini artificiali, che possono danneggiare l’ecosistema locale, riducendone la biodiversità e comportando sconvolgimenti negli insediamenti locali. Essi rappresentano un modello di “produzione” energetica superato, non più in linea con gli attuali principi di sostenibilità ambientale e sociale. Inoltre, sembra utile evidenziare che l’acqua rappresenta anche una importante materia prima per ottenere idrogeno, l’elemento chimico con la struttura atomica più semplice (il suo nucleo ha un solo protone), presente sul nostro pianeta allo stato elementare solo in quantità trascurabili, e più diffusamente sotto forma di vari composti (acqua, idrocarburi, carboidrati, proteine, grassi, etc). Esso rappresenta il combustibile per eccellenza, avendo un potere calorifico inferiore pari a 120 MJ/kg (equivalente a 28.660 kcal/kg), ma soprattutto è il vettore da cui si può ottenere energia elettrica, mediante l’uso di celle a combustibile (fuel cells)95. Attualmente, la gran parte dell’idrogeno prodotto a livello mondiale viene estratto dal gas naturale 96, attraverso processi di steam reforming97 e in minore misura dall’acqua, mediante il processo elettrolitico98, che utilizza energia elettrica. Energia eolica 93 Gli impianti idroelettrici hanno un ruolo strategico, in quanto rappresentano l’unica maniera, indiretta, per accumulare energia elettrica. Nei periodi di basso consumo, infatti, l’energia elettrica prodotta in eccedenza viene utilizzata per pompare acqua da un serbatoio inferiore ad uno collocato ad altezza superiore. Qui essa viene accumulata, pronta a restituire energia nei momenti di picco, caratterizzati da consumi elevati. 94 Peraltro, non va sottaciuto che la produzione di energia da fonte idroelettrica risente notevolmente delle condizioni climatiche che determinano l’afflusso idrico nei bacini. 95 Una cella a combustibile (fuel cell) è un dispositivo fondamentalmente semplice che, alimentato da idrogeno ed ossigeno, è costituito da due elettrodi (un anodo e un catodo) con interposto un elettrolita, uno speciale polimero o altro materiale che permette la diffusione degli ioni. In essa - che funziona utilizzando idrogeno ricavato da composti abbondanti in natura quali, ad esempio, l’acqua - avvengono una serie di fenomeni, al termine dei quali si produce energia elettrica e, come sottoprodotto, acqua riutilizzabile di nuovo. 96 Anche dal carbone, così come dalle biomasse, dopo un processo di gassificazione, si può ricavare idrogeno; tuttavia, tali trasformazioni comportano costi molto più elevati rispetto all’impiego del gas naturale. 97 Lo steam reforming è un processo che implica la reazione di metano e vapore (steam), in presenza di catalizzatori. 98 Sebbene l’elettrolisi dell’acqua sia un processo noto da oltre un secolo, non viene diffusamente utilizzato a causa degli elevati costi di produzione per il notevole consumo di energia elettrica. Infatti, l’idrogeno elettrolitico ha un costo fino a tre o quattro volte superiore rispetto a quello dell’idrogeno ottenuto dal metano mediante steam reforming. Lo sfruttamento dell’energia cinetica del vento99 risale ad epoche remote, tanto da essere considerata, insieme a quella idrica, la prima fonte energetica utilizzata dall’uomo dopo quella “muscolare”. Tuttavia, solo di recente essa viene impiegata per produrre elettricità. Mediante macchine eoliche, definite aerogeneratori, è possibile trasformare l’energia cinetica del vento in energia meccanica e/o elettrica. Attualmente (2010), gli impianti eolici installati a livello mondiale hanno una potenza elettrica complessiva pari a 198.000 MWe e se ne prevede un trend in forte crescita. La potenza eolica installata in Italia è di quasi 5.800 MW e vengono prodotti ogni anno circa 8.400 GWh di energia elettrica. Peraltro, la diffusione di impianti eolici su vasta scala è fortemente limitato dalla bassa concentrazione energetica, dalla elevata irregolarità del vento, dall’alternarsi delle diverse stagioni dell’anno, oltre che dalla impossibilità di accumulare direttamente energia meccanica. Nell’ultimo decennio, le innovazioni tecnologiche e la progressiva riduzione dei costi di impianto e di gestione hanno contribuito allo sviluppo non solo di fattorie del vento, le cosiddette wind farm, ma anche di impianti off-shore, caratterizzati dal ridotto impatto visivo, in quanto non dislocati su terra ferma. Energia solare Il sole rappresenta la fonte di energia per eccellenza: basti pensare che la maggior parte delle fonti energetiche impiegate dall’uomo dipendono, seppur in maniera differente, dal sole100. L’energia che il sole emana direttamente sulla Terra è il risultato di complesse reazioni di fusione nucleare che avvengono al suo interno. Dell’energia totale emessa dal sole, soltanto una parte infinitesimale giunge sul nostro pianeta, mentre della restante cospicua parte una quota raggiunge gli altri pianeti ed un’altra si perde nello spazio. L’energia solare, pur essendo così abbondante101, diffusamente presente e disponibile in modo gratuito, ai fini del suo impiego per usi energetici ha da sempre presentato problemi tecnici ed economici. Tali problemi sono sostanzialmente riconducibili alla bassa densità energetica, al modesto rendimento di conversione, alla necessità di impiegare ampie superfici territoriali per l’installazione degli impianti, ai costi di investimento ancora troppo elevati, senza tralasciare altri fattori di criticità collegati alla discontinuità con cui si manifestano le radiazioni solari, al ciclo delle stagioni, alle condizioni meteorologiche, all’alternanza del giorno e della notte, etc. Nell’ambito delle tecnologie disponibili per lo sfruttamento dell’energia solare per scopi termici, sono diffusi vari sistemi distinguibili in passivi e attivi. Nei primi si annoverano quelli adottati nel settore dell’edilizia, dove il trasferimento dell’energia derivante dal sole avviene spontaneamente, attraverso sistemi di “bioarchitettura climatica” o “passiva”. Ai secondi appartengono, invece, una molteplicità di dispositivi particolari, tra i quali i collettori solari, comunemente definiti “pannelli solari”, in grado di fornire calore a bassa temperatura (inferiore a 100°C), prevalentemente utilizzati nel settore civile. Dall’impiego dei sistemi attivi a media ed alta temperatura si può ottenere, invece, anche energia meccanica ed elettricità. Al fine di raggiungere temperature maggiori e, dunque, rendimenti più elevati è necessario utilizzare sistemi in grado di concentrare le radiazioni solari su superfici ridotte, ovvero su “collettori” o “concentratori”102, quali lenti, specchi e parabole. Nel panorama delle “tecnologie solari”, la conversione fotovoltaica è l’unica che consente di ottenere direttamente energia elettrica. Il processo fotovoltaico è basato sulla proprietà di alcuni materiali definiti semiconduttori, come ad esempio il silicio, che opportunamente trattati consentono di generare direttamente energia elettrica. Il sistema 99 Il vento ha origine dall’azione esercitata dal sole sulla Terra: grazie alle radiazioni solari, infatti, alcune zone della superficie terrestre si riscaldano più di altre, favorendo la circolazione di masse d’aria aventi differenti temperature. Tale flusso di masse d’aria genera i venti. 100 Anche i combustibili fossili (in particolare il carbone), infatti, sono il risultato delle trasformazioni, avvenute nel corso di ere geologiche, di sostanze organiche di origine vegetale e, quindi, formatesi, grazie all’energia solare, per effetto della fotosintesi clorofilliana. 101 La sua disponibilità alle nostre latitudini è stimata, mediamente, pari a 1.000-3.000 kcal/m2/giorno, nei mesi più freddi, e 4.000-6.000 kcal/m2/giorno, nei mesi più caldi. In un anno la radiazione solare è, dunque, stimabile mediamente in circa 4GJ/ m2. 102 Tra i diversificati sistemi con rendimenti di conversione significativi vi è quello a torre e campo a specchi, in cui l’Italia vanta una posizione pionieristica. Infatti, nel 1965 in provincia di Genova è stato realizzato il primo impianto a livello sperimentale. L’energia elettrica112 viene prodotta presso centrali le cui caratteristiche tecnologiche cambiano a seconda delle risorse energetiche utilizzate. Esistono, infatti, centrali termoelettriche, idroelettriche, nucleari, geotermiche, eoliche, fotovoltaiche, mareomotroci, da biomassa. Generalmente113 nelle centrali elettriche sono presenti tre unità fondamentali, ovvero: · il motore primario (di solito una turbina) che opera la trasformazione in energia meccanica; · il generatore di corrente (dinamo o alternatore114) connesso al motore che trasforma l’energia meccanica in energia elettrica; · il trasformatore, installato nelle immediate adiacenze della centrale elettrica, che innalza la tensione della corrente elettrica, in genere alternata115, e ne abbassa l’intensità, per ridurre le perdite di trasporto116. Infatti, l’energia elettrica viene prodotta in luoghi che spesso - per motivi legati a fattori di convenienza tecnico-economica ed ambientale - sono lontani dai centri (urbani e industriali) dove viene utilizzata. Pertanto, attraverso gli elettrodotti117 si trasporta elettricità fino ai luoghi di utilizzazione118, dove altri trasformatori abbassano la tensione a valori direttamente utilizzabili dall’utenza (ad esempio, dell’ordine dei 10 kV per grossi motori sincroni) oppure a valori intermedi (ad esempio, dell’ordine di 10-20 kV) per le reti di distribuzione. Alle suddette reti sono, poi, collegati altri trasformatori che abbassano ulteriormente la tensione, per consentire qualunque tipologia di uso immediato, sino ai 220 V per gli usi domestici, dove è trasformata in energia meccanica, termica, chimica, luminosa. Per poter soddisfare le richieste in rete, caratterizzate da un’elevata variabilità che dipende, tra l’altro, sia dalla differente tipologia di utenza (settore industriale, terziario, domestico, ecc.) sia dalle condizioni climatiche, sia dall’alternanza del giorno e della notte, è necessario gestire il processo produttivo e quello distributivo in modo tale da far coincidere l’offerta con la domanda. Ciò in quanto occorre evidenziare che, nell’ambito della filiera elettrica, è necessario che si verifichi la contestualità tra produzione e consumo per l’impossibilità di poter accumulare elettricità in modo diretto119; essa, pertanto, deve essere prodotta in funzione della richiesta da parte degli utenti. A tal fine, il parco di generazione elettrica nazionale prevede differenti tipologie di impianti, alcuni 112 Per produrre corrente elettrica, generalmente è necessario disporre di energia meccanica, oppure di una forma di energia convertibile in energia meccanica, nonché di un generatore. La pila di Volta, in cui veniva convertita l’energia chimica in energia elettrica, rappresenta il primo generatore realizzato dall’uomo. 113 Nelle centrali fotovoltaiche, invece, le celle fotovoltaiche convertono direttamente l’energia luminosa in energia elettrica. 114 Le dinamo generano corrente continua, gli alternatori corrente alternata. 115 La produzione di corrente alternata risulta più conveniente rispetto alla continua per i minori costi degli impianti di trasformazione e trasporto. Con la diffusione della corrente alternata è stato necessario sviluppare trasformatori in grado di convertirla in corrente continua per gli impieghi per i quali tale tipo di corrente è indispensabile (telecomunicazioni, trazione elettrica, ecc.). 116 Normalmente i grossi generatori elettrici erogano energia ad una tensione di circa 10-15 kV, per esigenze impiantistiche ed economiche che impediscono l’adozione di tensioni molto più elevate. La tensione viene innalzata per ridurre l’intensità di corrente e, quindi, la sezione dei conduttori da utilizzare. Infatti, poiché la quantità di energia elettrica trasportata nell’unità di tempo, è uguale al prodotto della differenza di potenziale espressa in volt per l’intensità di corrente - ossia W=VxI, a parità di potenza (W), aumentando la tensione (V) diminuisce la corrente (I). 117 L’elettrodotto è una conduttura destinata al trasporto dell’energia elettrica. Gli elettrodotti possono essere aerei o in cavo, anche se nella maggior parte dei casi appartengono alla prima categoria, in quanto risultano più economici in termini di costi di impianto e di manutenzione. 118 L’energia è, pertanto, proporzionale al prodotto della tensione elettrica per la corrente elettrica, il trasporto su lunghe distanze deve essere effettuato ad alta tensione; se così non fosse si avrebbero correnti molto elevate che darebbero luogo sui conduttori delle linee a perdite per effetto Joule elevatissime, oltre ad una serie di altri inconvenienti (cadute di tensione, instabilità del trasporto). Infatti, il trasporto della corrente elettrica dalle centrali di generazione fino ai centri di utilizzazione implica la dispersione, sotto forma di calore, di parte dell’energia prodotta a causa della resistenza opposta dal conduttore. Tale perdita di energia dipende da vari fattori fra cui la distanza percorsa, il materiale e il diametro del conduttore. 119 È possibile accumulare energia elettrica in modo indiretto, ad esempio, attraverso grandi dighe che vengono aperte allorché occorre produrre energia elettrica. funzionanti per lunghi periodi, senza arresti (impianti baseload) a basso rapporto tra costi variabili e costi fissi. Essi soddisfano la domanda di base e forniscono energia agli utenti che necessitano ininterrottamente di essa (ad esempio, le ferrovie, le industrie metallurgiche ed elettrochimiche). Altre tipologie di centrali sono, invece, destinate alla modulazione del carico della rete (impianti di mid-merit) e, quindi, operano per un numero limitato di ore all’anno, onde adeguare l’offerta di energia (assicurata dagli "impianti base") alla domanda della rete; esistono, infine, impianti caratterizzati da un elevato rapporto tra costi variabili e costi fissi (“impianti di punta”), messi in funzione per un esiguo numero di ore all’anno, allo scopo di integrare la produzione delle centrali di base. Essi vengono utilizzati per fornire energia in presenza di picchi della domanda e presentano un’elevata elasticità, in quanto devono essere in grado di operare rapidamente ed in maniera economicamente efficace120. Nel corso degli ultimi decenni, i profondi cambiamenti intervenuti nel tessuto economico, sociale e culturale hanno contribuito a far assumere all’energia elettrica un ruolo strategico per lo sviluppo del nostro Paese. La centralità della “filiera elettrica” – articolata nei quattro segmenti della generazione121, trasmissione122 sulla rete ad alta tensione, distribuzione su reti a media e bassa tensione e vendita123 al consumatore finale – emerge soprattutto in considerazione dell’incessante incremento dell’uso di tale interessante merce nel nostro sistema economico. Infatti, il suo impiego non solo fornisce un importante contributo a tutte le attività produttive, ma costituisce un fattore di fondamentale rilievo nella vita sociale, tanto che il relativo accesso – e conseguente disponibilità – sono considerati servizi pubblici essenziali per la comunità. La crescente penetrazione dell’energia elettrica nel sistema energetico italiano, ma anche mondiale, e nella economia in generale, è testimoniata dalla trasformazione di una frazione sempre maggiore delle fonti primarie di energia in elettricità. La penetrazione elettrica è, infatti, un indice che rappresenta, all’interno di un paese, la percentuale di energia primaria utilizzata per la produzione di energia elettrica, ovvero, la scelta operata a favore di questa forma di energia rispetto alle altre. Consumo di fonti primarie per la produzione di energia elettrica Penetrazione elettrica = Consumo totale di fonti energetiche primarie Attualmente, in Italia, oltre un terzo delle fonti primarie di energia viene utilizzato per la produzione di energia elettrica; infatti, negli ultimi quattro decenni, tale penetrazione è passata dal 24% al 36%. Essa è destinata a crescere ulteriormente, favorita dai progressi tecnologici – che, peraltro, consentono progressivi miglioramenti nella efficienza dei rendimenti di conversione in energia elettrica – e, soprattutto, dal suo impiego in settori – quali quello dell’informatica, dell’elettronica, dell’automazione, delle telecomunicazioni, dell’industria elettrochimica e galvanica, etc. - in cui essa non è sostituibile. Non a caso, infatti, un’elevata penetrazione elettrica è, oggi, considerata un indicatore del grado di benessere e di sviluppo economico, industriale e sociale di un paese, poiché il consumo di energia elettrica segue, con 120 Un tipico esempio di centrali di punta è rappresentato dalle centrali idroelettriche, perché attraverso il sistema delle dighe viene accumulata in via indiretta energia elettrica, consentendo, nelle ore di punta di far entrare in funzione la centrale, con l’apertura delle dighe e la generazione di elettricità. 121 La generazione concerne la produzione di energia elettrica nelle centrali elettriche. 122 La trasmissione è l’attività relativa al trasporto dell’elettricità attraverso la rete delle linee ad alta e altissima tensione. Comprende il vettoriamento, ovvero l’attività di trasporto per conto terzi fino all’utente, e il dispacciamento, con cui si fa riferimento all’ordinamento operativo secondo criteri tecnici o economici degli impianti di generazione per fare fronte, istante per istante, alla richiesta di energia elettrica a livello nazionale. 123 La fornitura comprende la distribuzione, relativa all’erogazione di energia elettrica ai punti di prelievo e la vendita, attività di commercializzazione dell’energia elettrica all’utenza finale. Inoltre, a latere di queste fasi si colloca la fornitura di altri servizi tra cui l’approvvigionamento delle fonti primarie, i servizi ancillari o ausiliari di rete (servizi connessi alla gestione delle reti di trasmissione/distribuzione quali riserva statica, servizi dinamici, regolazione di tensione), il servizio di allacciamento (deviazione della linea di distribuzione dalla rete al punto di prelievo dell’utente) e i servizi post-contatore (servizi a valore aggiunto connessi con l’utilizzo dell’energia elettrica da parte dell’utente finale). immediatezza, i cicli dell’economia e condiziona largamente pressoché ogni processo produttivo, di cui essa costituisce uno dei più importanti input. Tuttavia, i prezzi dell’energia elettrica in Italia sono tra i più alti in Europa e la liberazione del mercato elettrico, tuttora in corso, difficilmente potrà consentire una significativa riduzione della bolletta energetica, in quanto l’80% del costo di produzione è dovuto a combustibili soggetti a “cartello” e non a “mercato”. Negli ultimi quarant’anni si è assistito ad un notevole incremento della richiesta di energia elettrica, con variazioni che vanno dal 110% nel decennio 1960-1970, al 27% nell’ultimo decennio. Peraltro, previsioni al 2015, confermano la tendenza in aumento (oltre il 40%) (Tabella 8); si stima, infatti, una evoluzione del tasso medio annuo di crescita del 2,7%. Tabella 8 - Dinamiche evolutive della richiesta di energia elettrica in Italia. Anni Energia elettrica richiesta TWh Variazione % 1960 54,7 - 1970 115 110,2 1980 179,5 56,1 1990 235,1 40,0 2000 298,5 27,0 2010 377,0 26,3 2015* 432,0 14,6 Fonte: GRTN * Stime A dimostrazione di ciò basti analizzare le dinamiche evolutive di un importante indicatore economico quale l’intensità elettrica (o intensità d’uso dell’energia elettrica), ovvero la quantità di elettricità, espressa in kWh, utilizzata da ciascun settore, per unità del rispettivo contributo alla formazione del Pil di un Paese. Esse, infatti, manifestano un andamento in continua crescita, dal 1980 ad oggi (Figura 1). L’intensità elettrica, dopo un aumento del 7% verificatosi nel decennio che va dal 1980 al 1990, ha raggiunto un incremento superiore all’8% nel decennio successivo, per poi collocarsi su una crescita del 4% circa nel periodo 2000-2010. Figura 1 - Dinamiche evolutive dell’intensità elettrica in Italia. Figura 4 - Principali gruppi elettrocommerciali (1946-1962). Adattato da E. Rossi, L’elettricità senza baroni, Bari, 1962. Progressivamente tale sistema si è evoluto fino al cambiamento radicale dell’assetto giuridico-istituzionale del settore elettrico nazionale, avvenuto con il DL n. 333 dell’11 luglio 1992, convertito nella Legge n. 359 dell’8 agosto dello stesso anno (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 agosto, n. 190). Di conseguenza, l’Enel ha assunto la veste di Società per Azioni, primo passo verso la privatizzazione, e le sono state attribuite, a titolo di concessione, attività che inizialmente erano riservate all’Ente per legge. Infatti, già nel corso della prima metà degli anni novanta, il nostro Paese ha intrapreso un processo di revisione e ripensamento circa l’intervento dello Stato nell’economia, processo concretizzatosi nella trasformazione in società per azioni di vari enti pubblici economici. In effetti, il progressivo disimpegno dello Stato italiano in importanti settori dell’economia ha anticipato, in qualche modo, il più ampio e diffuso processo di liberalizzazione verificatosi poi, a livello europeo, nel settore energetico. Ciò è avvenuto, in primo luogo, sia attraverso l’abbattimento delle barriere legali all’entrata - nelle attività rispetto alle quali era possibile la concorrenza – sia attraverso l’abbandono della proprietà pubblica quale strumento di controllo, rivelatosi, tra l’altro, poco efficace a spronare le imprese verso l’efficienza ed, inoltre, non più necessario – come in passato – a tutelare i consumatori. Tra il finire degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta, infatti, in moltissimi paesi comunitari, si è avuto un profondo ripensamento circa il ruolo dell’intervento pubblico nei differenti settori e, dunque, anche in quello dell’energia. Tale tendenza è stata stimolata non solo dal progresso tecnologico, ma soprattutto dall’affermarsi di orientamenti di politica economica più favorevoli, rispetto al passato, alla iniziativa privata. Infatti, i regimi di monopolio legale, o comunque di protezione, che a lungo hanno caratterizzato la gestione dei servizi pubblici - definiti “servizi di interesse economico generale” - sono stati considerati, a distanza di tempo, veri e propri ostacoli al corretto sviluppo delle attività economiche, secondo i modelli della concorrenza e del mercato. Pertanto, a livello comunitario, i processi di privatizzazione, liberalizzazione ed internazionalizzazione dei servizi di pubblica utilità hanno costituito la condizione necessaria per creare un regime di competizione, nel quale l’intervento pubblico dovrebbe limitarsi alla definizione di regole, tese a sviluppare la competitività, così come l’occupazione e l’innovazione, garantendo contestualmente sicurezza ed affidabilità dei servizi offerti. Ciò al fine di creare i presupposti basilari per raggiungere, in tali settori, elevati standard di efficienza tecnica, organizzativa e gestionale. I processi di radicale ristrutturazione dei mercati energetici (energia elettrica e gas) sono stati accompagnati, dunque, nella maggior parte dei paesi europei, da una profonda revisione dei tradizionali sistemi di regolazione settoriale e, quindi, dall’affermarsi di una nuova “cultura” della regolazione. Il modello di “Stato imprenditore”, garante diretto del servizio e della sicurezza energetica, viene sostituito dallo “Stato regolatore”, promotore di regole chiare, trasparenti e non discriminatorie, valide per tutti gli operatori ed indispensabili per assicurare una corretta transizione verso un assetto concorrenziale dei mercati. Si è assistito, dunque, alla creazione di apposite Autorità indipendenti – generalmente con funzioni di natura consultiva e di controllo, talvolta con funzioni normative - che assumono in tutti i paesi il ruolo di garanti della liberalizzazione dei mercati energetici, sia nei confronti dei nuovi soggetti operanti sul mercato, sia dei consumatori. La creazione di tale sistema di regolazione si è resa necessaria, soprattutto, in vista della privatizzazione di imprese di pubblica utilità, in base al presupposto secondo cui non si possono trasmettere ai privati imprese precedentemente gestite da enti pubblici, specialmente se operanti in regime di monopolio. Occorre, invece, garantire preventivamente la tutela degli utenti, attraverso attività di controllo da affidare ad un organismo all’uopo predisposto. Infatti, in un tale contesto, l’impresa privata monopolistica sarebbe libera di imporre prezzi e condizioni, anche inique, ai consumatori, i quali non soltanto non possono rivolgersi ad un altro produttore, ma non possono nemmeno rinunciare al servizio, in quanto essenziale. Affinché i vantaggi di un mercato “libero” siano trasferiti all’utenza, quindi, occorre creare un clima di certezza ed un sistema di regole trasparenti, idonee a garantire l’efficacia e la qualità del servizio stesso125. Il processo di trasformazione ha richiesto, pertanto, la definizione di un nuovo assetto di regole per l’accesso alle reti – che in molti casi possono costituire un monopolio naturale – nonché il rafforzamento delle attività di controllo e di vigilanza sulle imprese. A tal fine, in Italia, con la legge 14 novembre 1995, n. 481126, è stato costituito uno specifico organismo di regolamentazione: l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas (AEEG), con la funzione di vigilare sul rispetto delle regole della concorrenza, nei rispettivi mercati 127, al fine di promuovere 125 I paesi anglosassoni, latino-americani e nordeuropei sono stati fra i primi ad adottare, alla fine degli anni ottanta, il nuovo modello di regolazione. Nella seconda metà degli anni novanta, la riforma del settore elettrico e l’istituzione di organismi di regolazione indipendenti si sono diffusi anche in altri paesi europei, fra cui l’Italia. Nell’ambito dei vari paesi, le figure dei regolatori – dissimili per natura, competenze e poteri - si caratterizzano per i diversi gradi di indipendenza e di autonomia dal potere politico, in funzione delle rispettive caratteristiche istituzionali e amministrative. Nella maggior parte dei casi, tali autorità sono costituite da organi collegiali - in genere commissioni composte da un numero variabile di componenti, scelti fra esperti di elevata professionalità e neutralità rispetto ai settori regolati, e da un presidente - le cui decisioni sono deliberate a maggioranza. Le procedure volte ad assicurare un’adeguata trasparenza dell’operato hanno un carattere fortemente innovativo, in quanto, oltre agli obblighi di pubblicazione delle decisioni e della relazione annuale, sono previste consultazioni ed audizioni estese ad una molteplicità di soggetti coinvolti. Le competenze dei regolatori indipendenti sono definite non solo dall’ampiezza degli ambiti di intervento (tariffe, standard di qualità, concessioni, assetti di mercato e protezione dei consumatori), ma anche, e forse soprattutto, dalla natura delle relative funzioni. I poteri dei regolatori e degli strumenti adottati, invece, sono riconducibili alla richiesta di informazioni nonché alla realizzazione di ispezioni; in alcuni casi, essi vengono rafforzati da possibili azioni sanzionatorie, peraltro essenziali per lo svolgimento dei compiti di regolazione. 126 Con la legge 14 novembre 1995, n. 481 sono state istituite le Autorità chiamate a regolamentare i servizi di pubblica utilità, competenti, rispettivamente, per l’Energia Elettrica e il Gas e per le Telecomunicazioni. 127 In Italia, come in altri paesi europei, è stata istituita, per la generalità dei settori, con la legge 287 del 1990, la tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti. L’AEEG è un’autorità indipendente, con funzioni di regolazione e di controllo nei settori dell’energia elettrica e del gas, che assume le proprie decisioni in base alla legge istitutiva nonché ai propri procedimenti e regolamenti. Il 23 aprile 1997, in seguito alla pubblicazione del regolamento di organizzazione e funzionamento, si è conclusa la fase costitutiva ed all’Autorità sono state trasferite tutte le funzioni in precedenza esercitate dalle diverse amministrazioni dello Stato (art. 2, comma 14, e art. 3, comma 1, della legge n. 481/95). Nell’esercizio delle proprie funzioni l’Autorità opera in piena autonomia, con indipendenza di giudizio e di valutazione, così come mostrano le procedure di selezione e di nomina dei componenti128 e l’elevata competenza tecnica e professionale necessaria per attuare “interventi mirati con strumenti definiti”. La sua indipendenza non è, tuttavia, priva di limiti. Questi ultimi, infatti, sono riconducibili sia al mandato istitutivo, che ne evidenzia - accanto all’obiettivo primario di promozione dell’efficienza - finalità di indirizzo generale, nonché obiettivi sociali ed ambientali, sia dalla tipologia di controlli previsti dall’ordinamento statale. Un tipico strumento di controllo consiste nell’obbligo dell’Autorità di presentare al Parlamento ed al Governo una Relazione annuale sullo stato dei servizi di sua competenza e sull’attività svolta 129. Tale adempimento rappresenta il principale strumento con cui l’Autorità, da una parte, rende conto del proprio operato e, dall’altra, evidenzia i problemi da affrontare, suggerendo le eventuali misure d’intervento. Fra i compiti dell’Autorità, i principali consistono nel: · favorire la promozione della concorrenza e dell’efficienza; · garantire adeguati livelli di qualità nei servizi in condizioni di economicità e di redditività; · assicurare la fruibilità e la diffusione dei servizi in modo omogeneo sull’intero territorio nazionale; · promuovere la tutela degli interessi di utenti e consumatori; · definire un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, aggiornando le tariffe dei servizi dell’energia elettrica e del gas nonchè i parametri di riferimento, in relazione all’andamento del mercato. Un ruolo di primaria importanza assume la funzione dell’AEEG ai fini della qualità dei servizi e della tutela dei consumatori. In merito al primo aspetto, basti considerare che tra le finalità della legge che istituisce l’Autorità vi è un riferimento esplicito alla garanzia della “promozione di adeguati livelli di qualità dei servizi” riguardanti aspetti di natura sia contrattuale (come tempestività di intervento e risposta a reclami), sia tecnica (come la continuità dei servizi e la sicurezza). Ciò al fine di promuovere il miglioramento medio complessivo del servizio e, dunque, favorire la tutela dei diritti dei clienti. Per perseguire tali obiettivi con efficacia, l’Autorità dispone di molteplici funzioni e poteri che si svolgono con innovativi strumenti di regolamentazione (direttive che impongano requisiti di trasparenza alle bollette e ai contratti, atti di indirizzo e di controllo, standard di servizio), autoritativi (ispezioni, ordini di cessazione) e di garanzia (valutazione dei reclami, delle istanze e delle segnalazioni presentate dagli utenti/consumatori in relazione al rispetto dei livelli qualitativi e tariffari, come pure gestione delle controversie attraverso procedure di conciliazione o di arbitrato, analisi comparative) che rafforzano la consapevolezza dei diritti degli utenti in materia di servizi pubblici. La promozione della tutela degli interessi dei consumatori e degli utenti si basa anche su misure di partecipazione che prevedono un coinvolgimento diretto e indiretto dei consumatori130 nel processo di regolazione, attraverso consultazioni e rilevazioni della soddisfazione degli utenti e dell’efficacia dei servizi. l’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato, che ha introdotto la normativa antitrust. Tale Autorità ha il compito di vigilare sulle intese restrittive della concorrenza, sugli abusi di posizione dominate e sulle operazioni di concentrazione che comportano la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante, capace di eliminare o ridurre, in misura sostanziale e duratura, la concorrenza. Per i settori che forniscono servizi in rete – energia elettrica, gas e telecomunicazioni - è stata prevista, invece, un’autorità di regolazione: un organismo di portata tipicamente settoriale, che in parte si sostituisce al mercato, fissando in via amministrativa tariffe e condizioni del servizio, in parte usa gli stessi poteri di determinazione amministrativa per promuovere la concorrenza, laddove le condizioni tecnologiche e di costo ne consentano il funzionamento, ma ne precludano, nell’immediato, uno sviluppo spontaneo. Tra l’Autorità Garante della Concorrenza e l’Autorità di regolazione non vi è, quindi, dicotomia, ma complementarità e interazione. 128 I componenti dell’AEEG vengono scelti fra persone dotate di riconosciuta professionalità e competenza nel settore e, una volta terminato il loro mandato, non possono essere riconfermati. 129 Un ulteriore controllo avviene con il riscontro operato ex post dalla Corte dei conti sul rendimento annuale. difficilmente duplicabili, la cui accessibilità rappresenta un fattore nevralgico in un contesto liberalizzato136. L’obiettivo dell'unificazione tra proprietà e gestione della rete è, principalmente, quello di garantire la terzietà della gestione della rete rispetto agli operatori del settore, al fine di superare le criticità legate a tale fase della filiera elettrica. Queste ultime sono legate, tra l’altro, al permanere della disponibilità diretta o indiretta della rete principale, che assicura il trasporto a lunga distanza, da parte dell’operatore dominante137 e al lento sviluppo della rete di trasmissione, che fin dagli anni ’70 ha proceduto ad un ritmo inferiore a quello della crescita della domanda elettrica138. Inoltre, l’espansione della rete nazionale deve adeguarsi ai più ampi processi di liberalizzazione che coinvolgono i mercati elettrici europei e che vedono nella connessione di nuove aree un’opportunità economica oltre che un’esigenza correlata alla sicurezza degli approvvigionamenti. Basti considerare che i paesi dell'Est europeo rappresentano una riserva importante di capacità di generazione a costi competitivi, attualmente utilizzata da gran parte dei Paesi Europei per far fronte alla crescita della domanda. Pertanto, con il Decreto legislativo n. 239 del 2003, poi trasformato nella legge n. 290 del 2003, è stata creata Terna S.p.A. – Rete Elettrica Nazionale (RTN), operativa dal 1 novembre 2005, che ha acquisito dal GRTN le attività di trasmissione e dispacciamento e sviluppo della rete ad alta e altissima tensione nell’intero territorio nazionale. Le attività di gestione, di promozione e di incentivazione delle fonti energetiche rinnovabili sono, invece, rimaste in capo al GRTN successivamente denominato Gestore dei Servizi Energetici (GSE)139 (Figura 5). Figura 5 – Il nuovo assetto del Gestore della rete di trasmissione 136 La separazione tra gestione e proprietà della rete, che ha caratterizzato il settore elettrico nei primi sei anni dall’avvio della liberalizzazione, ha indebolito la posizione del gestore della rete e reso possibili comportamenti dilatori da parte della proprietà rispetto allo sviluppo e alla costruzione di nuovi tratti della rete idonei a consentire la connessione di impianti di nuovi produttori. Si tratta di modalità discriminatorie non immediatamente perseguibili ma certamente capaci di ritardare lo sviluppo della concorrenza. 137 Il Decreto che ha avviato la riunificazione di proprietà e gestione della rete, infatti, prevede che la gestione della rete si basi su principi di neutralità ed imparzialità, senza discriminazione di utenti o di categorie di utenti. 138 Con la liberalizzazione del settore della produzione di energia elettrica la determinazione della taglia e dell’ubicazione dei nuovi impianti di generazione non scaturisce più da un processo di pianificazione integrato, in quanto la libera iniziativa dei produttori rende di fatto le proposte di nuove centrali elettriche un vero e proprio input al processo di pianificazione della RTN. 139 Il Gestore dei Servizi Energetici - GSE S.p.a. ricopre un ruolo centrale nella promozione, nell'incentivazione e nello sviluppo delle fonti rinnovabili in Italia. Azionista unico del GSE è il Ministero dell'Economia e delle Finanze che esercita i diritti dell'azionista con il Ministero dello Sviluppo Economico. Il GSE è capogruppo delle due società controllate AU (Acquirente Unico) e GME (Gestore dei Mercati Energetici) e RSE (Ricerca sul Sistema Energetico). In particolare, il Gestore dei Servizi Energetici è il soggetto istituzionale deputato a sostenere lo sviluppo delle fonti rinnovabili con l’erogazione di incentivi per la produzione elettrica e promuovere lo sviluppo sostenibile con campagne di sensibilizzazione sull’uso efficiente dell’energia. GRTN Gestore Rete Trasmissione Nazionale DPCM del 11/05/2004 Trasferimento del ramo d’azienda relativo a trasmissione, dispacciamento e sviluppo rete a Terna S.p.A. Dispacciamento Trasmissione Sviluppo rete Promozione e Sviluppo delle Fonti Rinnovabili RETE ELETTRICA NAZIONALE (TERNA) GESTORE DEI SERVIZI ELETTRICI (GSE) Fonte: elaborazione personale Preliminarmente alla nascita del nuovo soggetto unificato è stato redatto un “Codice di trasmissione, dispacciamento, sviluppo e sicurezza della rete”, meglio noto come Codice di Rete 140 che regola i rapporti tra Terna - RTN e gli utenti della rete. La realizzazione del Codice di Rete ha rappresentato l’occasione per raccogliere e razionalizzare la regolamentazione vigente, in termini di diritti e obblighi, riguardante le attività di trasmissione, sviluppo, dispacciamento e manutenzione della rete, adeguandola alle esigenze del nuovo soggetto connotato dalla proprietà e gestione della RTN. Inoltre, ha previsto una serie di azioni tese ad assicurare la più ampia partecipazione degli utenti141 disciplinando la qualità del servizio di trasmissione, sulla base dell’esperienza maturata in altri contesti nazionali. Il nuovo assetto adottato si pone, pertanto, l’obiettivo di potenziare la capacità e l’efficacia dell’operatore di trasmissione nella realizzazione degli investimenti necessari a superare le principali criticità della rete, per garantire l’esercizio in sicurezza, nonché risolvere le congestioni ed aumentare il livello di competitività dei mercati. Nell’ambito delle sue attività, Terna è tenuta a predisporre annualmente un Piano di Sviluppo (PdS), che deve essere approvato dal Ministero dello Sviluppo Economico, nel quale vengono analizzate le criticità attuali e prospettiche del sistema elettrico e individuati i principali interventi da realizzare sulla RTN. La pianificazione dello sviluppo della RTN, infatti, è orientata al raggiungimento di obiettivi legati alle esigenze di adeguatezza del sistema elettrico per la copertura del fabbisogno nazionale. Ciò attraverso un’efficiente utilizzazione della capacità di generazione disponibile - nel rispetto delle condizioni di sicurezza di esercizio, un incremento della affidabilità ed economicità della rete di trasmissione - nonché mediante il miglioramento della qualità e continuità del servizio142. 140 Tale documento è stato predisposto in conformità a quanto previsto nel D.P.C.M. 11 maggio 2004 in materia di unificazione tra proprietà e gestione della rete e sulla base delle Direttive dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas di cui alla delibera n. 250/04. Il Codice di rete, positivamente verificato dall’Autorità per l'energia elettrica e il gas con delibere n. 79/05 e 49/06 nonché dal Ministero delle Attività Produttive, è sottoposto ad un continuo processo di aggiornamento secondo le procedure dallo stesso previste. 141 A tal fine è stato istituito il Comitato di consultazione, quale organo di rappresentanza degli utenti stessi, dotato di funzioni propositive e consultive nell’evoluzione della regolamentazione del settore. Inoltre, è stata prevista una procedura di contestazione, attivabile anche dagli utenti in contraddittorio e con il coinvolgimento dell’Autorità. 142 Gli interventi di sviluppo pianificati sulla RTN sono riconducibili a quattro tipologie: il miglioramento della sicurezza e continuità della fornitura, basato su interventi di realizzazione di nuovi elettrodotti, di potenziamento di quelli esistenti o di realizzazione di stazioni di smistamento. La necessità di assicurare l’equilibrio tra domanda e l’offerta in un contesto liberalizzato garantendo gli standard di sicurezza previsti, richiede, infatti, nel medio e nel lungo periodo, l’adeguamento della rete di trasmissione L’attività di trasmissione - che si configura come un monopolio naturale, per la difficoltà economica e tecnica di riprodurre la rete stessa - richiede una gestione unitaria sul territorio nazionale ed è stata organizzata e gestita differentemente rispetto a quella di distribuzione. Quest’ultima, che attiene al trasporto di energia elettrica su linee a media e bassa tensione, è l’unica attività soggetta a concessione; normalmente riguarda il collegamento con gli utenti finali, ma può anche collegare direttamente i generatori con gli utenti. Essa si configura come un monopolio naturale a carattere locale e, dunque, non necessita di una gestione unitaria143. L’impegno più rilevante dei gestori di tali reti è, invece, legato alla loro manutenzione e sviluppo per garantirne il funzionamento in ogni situazione144. Inoltre, le imprese concessionarie sono obbligate a connettere alla propria rete tutti i soggetti che ne facciano richiesta e ad assicurare la continuità del servizio, da erogarsi nel rispetto di regole tecniche poste dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas. Il Decreto legislativo n. 79/99, ha previsto il rilascio di una sola concessione di distribuzione per ambito comunale e ha attribuito alle società partecipate dagli enti locali la facoltà di chiedere all’ex monopolista Enel la cessione dei rami d’azienda concernente l’attività di distribuzione nel territorio comunale. L’obiettivo che, in tal modo, si pone il legislatore è di razionalizzare l’attuale assetto dell’attività di distribuzione, promuovendo la nascita di un mercato della distribuzione di energia elettrica, caratterizzato dalla presenza di numerosi operatori economici e, quindi, da uno spiccato pluralismo nell’offerta di tale servizio. È opportuno, inoltre, evidenziare che il servizio di trasporto sulla rete di distribuzione è stato tradizionalmente effettuato in modo congiunto a quello della vendita, della misurazione e della fatturazione dell’elettricità ceduta agli utenti finali. La recente spinta alla liberalizzazione del settore elettrico ha consentito di individuare e separare le attività connotate da un carattere più commerciale (vendita, misura e fatturazione), che si collocano a valle del servizio di trasporto, che risulta legato, invece, ad una struttura fisica non economicamente replicabile. L’attività di vendita agli utenti finali dell’energia elettrica, infatti, può essere aperta alla concorrenza, in quanto un soggetto può stipulare un contratto con un generatore (vendita all’ingrosso), pagare il prezzo per il trasporto sulle reti di trasmissione e di distribuzione e rivendere l’elettricità all’utenza finale. Si tratta, però, di un’attività che comporta sia costi, che margini di guadagno contenuti. Per questo motivo i venditori pongono in essere una serie di attività volte a fidelizzare i propri clienti al fine alle continue variazioni dell’entità e della localizzazione dei prelievi e delle immissioni di potenza; la riduzione delle congestioni e l’aumento della disponibilità di offerta elettrica in rete, attraverso azioni finalizzate alla connessione di nuove centrali elettriche in rete e alla risoluzione delle possibili congestioni che potrebbero determinarsi. La presenza di limitazioni e vincoli nell’interscambio di energia elettrica è una delle cause dell'esistenza di posizioni di mercato dominanti che potrebbero determinare una lievitazione dei prezzi dell’energia. A questa categoria, oltre alle opere per le connessioni di nuove centrali elettriche alla RTN, appartengono gli interventi rivolti alla realizzazione o al potenziamento di elettrodotti in alcune sezioni critiche che possano favorire la trasmissione di energia dai centri di produzione ai centri di consumo; l’incremento dell’energia di interscambio con l’estero, grazie ad interventi di sviluppo che, elevando il numero o la potenza dei collegamenti transfrontalieri, permettono di incrementare la disponibilità di energia elettrica a basso costo proveniente da mercati esteri. Si tratta della realizzazione di nuovi potenti elettrodotti con i Paesi confinanti, ma anche di interventi di più modesta entità per eliminare strozzature e vincoli di esercizio; il miglioramento della qualità del servizio mediante opere di razionalizzazione della rete elettrica, mirate al potenziamento della capacità di trasporto della rete elettrica attraverso la sostituzione di elementi obsoleti o di limitate prestazioni con impianti di maggiore potenza e dotati di diversa tecnologia. Un esempio è rappresentato dalla realizzazione di nuove stazioni di trasformazione che, attraverso l’iniezione di potenza dai livelli di tensione superiori, incrementano la capacità di trasporto e migliorano i profili di tensione della rete ai livelli di tensione inferiori. Tra questi interventi ricadono anche le opere di connessione alla RTN delle cabine primarie di distribuzione, ovvero stazioni di trasformazione che alimentano la rete di media tensione aumentandone gli standard di qualità; 143 Quando l’elettricità arriva alle reti di distribuzione è, infatti, troppo tardi per intervenire sugli impianti di generazione, qualora ciò fosse richiesto dalla necessità di mantenere l’equilibrio tra domanda e offerta. 144 Secondo quanto previsto dalla Direttiva comunitaria i distributori sono i gestori manutentori in esclusiva della rete di distribuzione in una certa area, in base ad una designazione assimilabile ad un rapporto di concessione il cui rilascio avviene subordinatamente alla sottoscrizione di una convenzione e alla verifica della sussistenza di requisiti tecnici ed economici necessari allo svolgimento dell’attività. Il debutto della Borsa elettrica, in Italia, simbolo e al tempo stesso pilastro del processo di liberalizzazione ha avuto un iter piuttosto articolato e complesso nonchè connotato da forti ritardi. La sua “partenza”, al 31 marzo 2004, a ben cinque anni dall’emanazione del D. Lgs 79/99 che ne aveva previsto l’avvio il 1° gennaio 2001, è stata scandita da più fasi succedutesi nel tempo - durante le quali sono state svolte dapprima transazioni di prova con gli operatori - nonchè da un sistema transitorio di offerte di vendita di energia elettrica, per la fornitura al mercato vincolato (STOVE), oltre che da configurazioni sperimentali, perdurate fino al 30 giugno 2005, momento in cui, il mercato elettrico è giunto alla completa operatività149. In base agli indirizzi espressi, il 31 luglio 2003, dall’allora Ministero delle Attività Produttive e al Testo Integrato della Disciplina del mercato elettrico, approvato il 19 dicembre 2003 e successivamente modificato, il Mercato Elettrico organizzato dal GME, attualmente, si articola nel Mercato Elettrico a Pronti (MPE), nel Mercato a Termine dell’energia elettrica con obbligo di consegna e ritiro (MTE) e nella Piattaforma per la consegna fisica dei contratti conclusi sull’Italian Derivates Energy Exchange -IDEX (CDE). Il MPE comprende il Mercato del Giorno Prima (MGP) e il Mercato Infragiornaliero (MI) per lo scambio di energia tra operatori e il Mercato del Servizio di Dispacciamento (MSD) per l’approvvigionamento delle risorse necessarie a garantire la sicurezza del sistema. In particolare il MGP ha per oggetto la contrattazione di energia tramite offerta di vendita e di acquisto150 e si svolge in un’unica sessione151 in asta implicita relativa al giorno successivo. Pertanto, nel MGP, sulla base delle offerte presentate dagli operatori, vengono definiti i programmi di immissione in rete (per la produzione) e di prelievo dalla rete (per il consumo) relativi a ciascuna ora del giorno la richiesta di un bilanciamento istantaneo e continuo tra le quantità di energia immessa in rete e quelle prelevate dalla rete, tenuto conto delle perdite di trasporto e distribuzione; il mantenimento della frequenza e della tensione dell’energia in rete all’interno di un intervallo ristrettissimo, per tutelare la sicurezza degli impianti; la necessità che i flussi di energia su ogni singolo elettrodotto non superino i limiti massimi di transito ammissibili sull’elettrodotto stesso. Deviazioni anche minime da uno qualsiasi dei parametri sopra indicati, per più di qualche secondo, possono condurre rapidamente a stati di crisi del sistema. Il rispetto dei questi vincoli è reso ulteriormente difficile dalle caratteristiche delle tecnologie e delle modalità con cui l’energia elettrica viene prodotta, trasportata e consumata. 149 La completa operatività della Borsa elettrica - resa possibile dalla partecipazione attiva della domanda - è stata, pertanto, graduale in quanto è stato previsto un regime provvisorio - prorogato dall’allora Ministero delle Attività Produttive fino al 30 giugno 2005 – durante il quale erano in vigore misure volte ad attenuare gli oneri economici derivanti dagli scostamenti tra programmi di prelievo e consumi effettivi di energia elettrica. Tale fase di transizione ha consentito alle differenti tipologie di acquirenti (AU, clienti idonei, grossisti, etc.) – non ancora competenti per esprimere esatte previsioni circa i propri consumi - di effettuare una sorta di training allo scopo di perfezionare le rispettive capacità previsionali nonché di acquisire un sufficiente grado di conoscenza dei complessi meccanismi. 150 Le offerte sono costituite da coppie di quantità e di prezzo unitario di energia (MWh; €/MWh) ed esprimono la disponibilità a vendere (o comprare) una quantità di energia non superiore a quella specificata nell’offerta ad un prezzo non inferiore (o non superiore) a quello specificato nell’offerta stessa. Le offerte sono riferite ai “punti di offerta” (ossia alle unità fisiche di produzione e di consumo) ed a singole ore: ciò significa che, per ogni giorno e per ogni punto di offerta, possono essere presentate al massimo 24 offerte e che ciascuna offerta è indipendente dalle altre. Le offerte possono essere: - Semplici, costituite da una coppia di valori che indicano la quantità di energia offerta sul mercato da un operatore ed il relativo prezzo per un determinato periodo rilevante; - Multiple, costituite dal frazionamento di una quantità complessiva offerta sul mercato dallo stesso operatore per lo stesso periodo rilevante per la stessa unità di produzione e stesso punto di prelievo; - Predefinite, costituite da offerte semplice o multiple che giornalmente vengono proposte al GME. 151 Il Mercato Elettrico si compone di una serie di sessioni di mercato, ossia di un’insieme di attività direttamente connesse al ricevimento e alla gestione delle offerte, nonché alla determinazione del corrispondente esito del mercato. Nell’ambito di ogni sessione è fissato un intervallo di tempo per la ricezione delle offerte: tale intervallo prende il nome di seduta. seguente152. Tali programmi, tuttavia, sono suscettibili di modifiche da parte degli operatori, attraverso scambi sul MI, che si svolge subito dopo il MGP ed entro il termine di presentazione delle offerte in apertura del MSD. Il Mercato Infragiornaliero è dedicato, dunque, alla contrattazione delle sole variazioni di energia, in aumento o in diminuzione, rispetto alle quantità definite sul MGP, al fine di apportare idonee correzioni in vista dell’effettivo scambio. Alla chiusura di ciascuna sessione di MI, il GME, così come avviene per la conclusione del MGP, comunica a Terna i transiti e i programmi aggiornati di immissione e prelievo, rilevanti ai fini del dispacciamento. Il MSD, infine, articolato in MSD ex ante e Mercato di Bilanciamento (MB), ha per oggetto l’approvvigionamento da parte di Terna delle risorse necessarie per il servizio di dispacciamento, ossia per la gestione ed il controllo del sistema, per risoluzione delle congestioni intrazonali, la creazione delle riserve di energia ed il bilanciamento in tempo reale. La negoziazione di energia elettrica, tanto nel MGP e nel MI, quanto attraverso contratti bilaterali, rientra nella tipologia di compravendita “a termine”, poiché gli impegni di acquisto e di vendita sono riferiti ad istanti temporali successivi. Nel caso della Borsa, il riferimento è a ciascuna ora del giorno successivo, rispetto a quello di negoziazione; nel caso dei contratti bilaterali il riferimento si sposta su un orizzonte temporale più lungo, pari solitamente ad un anno. Il Mercato per l’approvvigionamento delle risorse per il Servizio di Dispacciamento, invece, si avvale di Terna, per definire la previsione del fabbisogno di energia e accettare le offerte dei produttori, in considerazione dei vincoli afferenti al sistema. Terna, infatti, si approvvigiona dell’energia necessaria ai servizi di dispacciamento, per la gestione e il controllo del sistema elettrico153, onde garantire la copertura del fabbisogno nazionale e il servizio di trasporto attraverso la realizzazione dell’equilibrio “fisico”, in tempo reale, tra energia elettrica offerta e domandata. Infatti, la combinazione di molteplici fattori - quali le oscillazioni impreviste dei prelievi di energia elettrica, errori di programmazione, indisponibilità accidentali dei generatori e degli elementi di rete, nonché l’impossibilità di immagazzinare l’energia elettrica - fa sì che per l’esercizio in sicurezza del sistema occorre predisporre una riserva di potenza utilizzabile in tempo reale, al fine di assicurare l’equilibrio di immissioni e prelievi di energia elettrica, nel rispetto dei vincoli di rete. Nel sistema elettrico italiano, il MSD rappresenta l’unico mercato organizzato di contrattazione spot dell’energia elettrica, poiché funziona in una prospettiva temporale prossima al tempo reale. Esso è articolato in più segmenti, ognuno dei quali deputato alla negoziazione di risorse necessarie per una specifica funzione (ad esempio, risoluzione delle congestioni, riserva secondaria, riserva terziaria e bilanciamento). Ciò al fine, tra l’altro, di offrire ai partecipanti al mercato un’informazione trasparente in merito al costo delle differenti tipologie di risorse essenziali per il sistema elettrico, diversificato in base alle prestazioni rese. Il MSD si contraddistingue, dunque, per due esiti distinti: il primo (MSD ex-ante) relativo alle offerte di energia elettrica, accettate da Terna per la risoluzione delle congestioni e la costituzione di un adeguato margine di riserva; il secondo (Mercato del Bilanciamento - MB) relativo alle offerte accettate da Terna, in tempo reale, per il bilanciamento tra immissioni e prelievi. Il suo ruolo, pertanto, è fondamentale per realizzare l’equilibrio “fisico” dello scambio di energia elettrica, le cui fasi precedenti si svolgono, sulla base delle previsioni, fuori Borsa, tramite contratti bilaterali, o sui Mercati del Giorno Prima e Infragiornaliero. L’energia scambiata in questo mercato ha un ruolo peculiare rispetto a quella oggetto di negoziazione negli altri mercati (MGP, MI, mercato dei contratti bilaterali) e ciò si evince sia dalla differente tipologia di domanda da soddisfare, sia dall’offerta abilitata a parteciparvi. 152 La Borsa elettrica italiana, infatti, è basata sullo scambio di contratti di tipo fisico, in cui la definizione dell’“unit commitment” (programmazione) degli impianti avviene in via decentralizzata, grazie alle offerte di acquisto e di vendita degli operatori. Le borse elettriche basate esclusivamente sullo scambio di contratti finanziari, invece, modello attualmente predominante a livello europeo, non esprimono un programma di funzionamento degli impianti, bensì rappresentano piattaforme centralizzate di scambio in cui la gestione contrattuale e quella fisica dei flussi di elettricità vengono separate e si muovono in modo autonomo. 153 Tale mercato è organizzato per risolvere sia i problemi relativi alle congestioni di rete (che si verificano in caso di inadeguatezza della rete di trasmissione rispetto all’energia che si programma di immettere o di prelevare), sia quelli relativi all’acquisto della riserva operativa per il giorno successivo e per la disponibilità di energia elettrica necessaria al bilanciamento del sistema in tempo reale. In tale mercato la domanda, infatti, è espressa da Terna e risulta essere anelastica rispetto al prezzo, essendo sostanzialmente “vincolata” dalla necessità di garantire sicurezza al sistema. Dal lato dell’offerta, invece, si ravvisa una partecipazione obbligatoria e circoscritta a specifiche unità di produzione, le cui caratteristiche tecniche siano in grado di garantire adeguate quantità di energia, nei tempi utili per la sicurezza del sistema. Inoltre, la formazione del prezzo dell’energia elettrica segue regole diverse nei Mercati del Giorno Prima e Infragiornaliero rispetto al Mercato del Servizio di Dispacciamento. Nei primi due, gli scambi si concludono ad un prezzo di equilibrio (market clearing price) variabile di ora in ora; esso, in assenza di congestioni, è unico in tutta Italia, ma in momenti di criticità varia, da zona a zona, solo per i venditori, poiché gli acquirenti continuano a pagare lo stesso prezzo154. Nel MSD, invece, l'energia elettrica viene contrattata in base al prezzo indicato nell'offerta stessa (pay as bid). Alcuni fra i principali elementi che caratterizzano il funzionamento del Mercato a Pronti, in Italia, sono schematicamente riportati in Tabella 9. Tabella 9 – Struttura del Mercato a Pronti Mercato del Giorno Prima (MGP) Mercato di aggiustamento (MA) Mercato per l’approvvigionamento delle risorse per il servizio di dispacciamento MSD (ex-ante) MB Risorsa scambiata Energia Energia per la soluzione delle congestioni e per i margini di riserva Energia per il bilanciamento in tempo reale Unità ammessa a partecipare Tutti i punti in immissione e in prelievo Tutti i punti in immissione e in prelievo abilitati alla fornitura dei servizi di dispacciamento Operatori ammessi a partecipare Operatori di Mercato Utenti di dispacciamento abilitati Prezzo Prezzo di equilibrio Prezzo indicato nell’offerta Fonte: Adattato da Gestore del mercato elettrico, 2012. Le offerte di acquisto e di vendita - presentate dagli operatori ammessi a partecipare al mercato elettrico - vengono accolte secondo un ordine di merito economico, ovvero sono selezionate in ordine crescente nel caso delle offerte di vendita e decrescente nel caso delle offerte di acquisto, al fine di ottimizzare, attraverso la definizione di un prezzo di equilibrio, il valore delle transazioni155. Queste ultime vengono gestite attraverso una piattaforma informatica156, a cui gli operatori possono accedere via internet, con adeguate procedure di accesso (firma elettronica tramite smart card) che consentono di comunicare e ricevere varie informazioni, quali, ad esempio, quelle in merito agli esiti del mercato, alle fatturazioni, ai programmi di produzione e di consumo. Tale prezzo è unico e viene determinato dal prezzo di offerta dell’ultimo impianto chiamato a produrre, ossia di quello che, nel sistema, produce energia al costo marginale più elevato. Il Mercato elettrico a Pronti, nel 2008, è stato affiancato dal Mercato a Termine dell’Energia Elettrica (MTE) 154 Al fine di gestire eventuali congestioni di rete, il mercato dell’energia elettrica è suddiviso in zone “virtuali”, corrispondenti a determinate aree territoriali in cui sono presenti limiti fisici di scambio dell’energia con le zone confinanti. Nei Mercati dell’Energia, in presenza di flussi di energia elettrica tali da saturare i vincoli di capacità di trasmissione tra territori limitrofi, il prezzo di vendita dell’energia elettrica è differente fra le varie zone di mercato (cd. “prezzi zonali”), mentre rimane unico su tutto il territorio nazionale il prezzo di acquisto per la domanda (PUN). Quest’ultimo è dato dalla media dei prezzi zonali di MGP ponderata con gli acquisti totali, al netto di quelli provenienti dalle unità di pompaggio e dalle zone estere. 155 Tale sistema permette di soddisfare la domanda espressa dai clienti al minimo costo richiesto dai produttori. 156 È stata predisposta una Sala mercato in cui sono installati tutti gli strumenti informatici che permettono la raccolta, l'elaborazione e la gestione delle offerte relative ai mercati organizzati dal GME. Parte II - Il sistema energetico italiano
2.1 Il Bilancio Energetico Nazionale (BEN)
2.2Gli obiettivi del sistema energetico italiano al 2020
2.3La politica energetica europea
2.1 Il Bilancio Energetico Nazionale (BEN) Al fine di effettuare una valutazione delle dinamiche evolutive inerenti la domanda e l’offerta di energia nel nostro Paese, sembra opportuno analizzare, seppur sinteticamente, lo scenario energetico a livello mondiale. Attualmente, sul nostro pianeta, il fabbisogno annuo di fonti di energia si aggira intorno ai 12 miliardi di tep, una quantità enorme in termini di flussi di materiali estratti, raffinati, trasformati, distribuiti e utilizzati nei differenti comparti dell’economia mondiale e intorno ai quali gravitano risorse umane e finanziarie, conoscenze scientifiche e know-how a carattere tecnologico, sfide politiche, sconvolgimenti ambientali, trasformazioni sociali e, spesso, prevaricazione dei diritti umani. Negli ultimi decenni il consumo di energia, a livello globale, è aumentato di circa del 127% e si è assistito alla progressiva crescita dell’uso del gas naturale (190%), dei combustibili solidi (157%), della fonte idro-geoelettrica (605%) e di quella nucleare (1081%) (Tabella 10). Tabella 10 - I consumi energetici mondiali (Milioni di tep) 1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 % 1970 % 2010 Δ% 1970- 2010 Petrolio 2.715 2.659 3.015 2.808 3.154 3.264 3.556 3.907 3.914 51,0 32,4 44 Combustibili solidi 1.449 1.486 1.761 2.075 2.237 2.285 2.364 3.064 3.731 27,3 30,9 157 Gas naturale 992 1.017 1.247 1.505 1.892 1.938 2.193 2.508 2.881 18,6 23,8 190 Nucleare 53 100 186 335 453 526 585 627 626 1,0 5,2 1081 Idro-geo 110 124 161 453 495 570 611 659 776 2,1 6,4 605 Altre Rinnovabili - - - - 28 36 51 83 159 - 1,3 Totale 5.319 5.386 6.370 7.176 8.259 8.619 9.360 10.848 12.087 100,0 100,0 127 Fonte: Unione Petrolifera, Relazione annuale 2012; Ministero Attività Produttive. Peraltro si è manifestato un consistente rallentamento del trend relativo al contributo del petrolio, passato dal 47%, nel 1980, all’attuale 33%, un altalenante trend del nucleare e una crescita del contributo del gas naturale (Tabella 11). Tabella 11 – Contributo percentuale (%) delle principali fonti al consumo energetico mondiale 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 Combustibili solidi 27,7 29,7 28,8 27,5 26,1 27,9 29,6 Gas naturale 19,6 20,7 21,6 22,4 23,7 23,2 23,8 Petrolio 47,3 41,1 40,0 39,5 39,5 36,2 33,6 Idro-geo e altre rinnovabili 2,5 2,8 2,8 3,1 3,1 7,3 7,8 Nucleare 2,9 5,7 6,8 7,5 7,6 5,4 5,2 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 Fonte: Unione Petrolifera, Relazione annuale 2010; Ministero Attività Produttive. Tabella 12 – I consumi energetici dei principali paesi (2008) (Milioni di tep) Solidi Petrolio Gas naturale Idro- Elettricità(1) Nucleare(1) Totale tep/pro capite Mondo 3.303,7 3.927,9 2.726,1 717,5 619,7 11.294,9 1,7 Area OCSE 1.170,6 2.179,8 1.354,1 288,3 515,7 5.508,5 4,5 Stati Uniti 565,0 884,5 600,7 56,7 192,0 2.298,9 7,5 Ex Urss 176,9 189,5 548,6 54,0 60,0 1.029,0 3,6 Giappone 128,7 221,8 84,4 15,7 57,0 507,6 4,0 Cina 1.406,3 375,7 72,6 132,4 15,5 2.002,5 1,5 India 231,4 135,0 37,2 26,2 3,5 433,3 0,4 Area UE (27 Paesi) 301,2 702,6 441,1 70,6 212,7 1.728,2 3,5 Belgio/Lussemburgo 4,6 41,3 15,3 0,1 10,4 71,7 6,3 Francia 11,9 92,2 39,8 14,3 99,6 257,8 4,1 Germania 80,9 118,3 73,8 4,4 33,7 311,1 3,8 Olanda 9,2 46,5 34,7 --- 0,9 91,3 5,5 Regno Unito 35,4 78,7 84,5 1,1 11,9 211,6 3,4 Spagna 14,6 77,1 35,1 3,8 13,3 143,9 3,1 ITALIA 17,0 80,9 69,9 8,2(2) --- 176,6 2,9 (1) Dato relativo alla produzione (2) Valore diverso da quello fornito dalle statistiche nazionali, per una diversa valutazione del potere calorifico attribuito a ogni kWh prodotto. Fonte: BP Statistical Review. Tabella 13 – Il grado di dipendenza energetica e petrolifera (2008) Percentuale di dipendenza energetica dall’estero Incidenza percentuale del petrolio nel bilancio energetico Mondo --- 34,8 Area OCSE 32 39,6 Stati Uniti 27 38,5 Ex Urss --- 18,4 Giappone 86 43,7 Cina 9 18,8 India 34 31,0 Area UE (27 Paesi) 58 40,7 Belgio/Lussemburgo 84 57,6 Francia 56 35,8 Germania 69 38,0 Olanda 32 50,9 Regno Unito 25 37,2 Spagna 84 53,6 ITALIA 88 45,8 (1) Dati non coincidenti con quelli forniti dalle statistiche nazionali, per una diversa metodologia di calcolo. Fonte: BP Statistical Review. Nel nostro continente, l’Europa Occidentale articola i propri consumi tra petrolio (40% circa), gas naturale (23% circa), carbone (18% circa), nucleare (12%), idroelettrico (7%) (Tabella 12). Dal consumo energetico delle principali aree geografiche mondiali si evince che il petrolio rappresenta la principale fonte di energia per la maggior parte delle suddette aree, con una dipendenza dell’area UE di oltre il 40% (Tabella 13), mentre il gas naturale lo è per alcuni paesi ed il carbone soltanto per l’Asia e per le aree del Pacifico. Da una più attenta analisi dei dati emerge che le fonti fossili incidono per oltre l’85% sul consumo totale, un fattore, questo, che non incoraggia all’ottimismo circa la soluzione delle attuali stringenti problematiche legate alla “sicurezza” energetica, sempre più indebolita dalle minacce derivanti dalla grave instabilità geopolitica, particolarmente sentita nelle aree maggiormente interessate dalle attività di approvvigionamento di tali risorse, soprattutto di quelle petrolifere. Inoltre, tale circostanza determina notevoli pressioni anche dal punto di vista della salvaguardia ambientale, in quanto le filiere energetiche associate ai combustibili fossili sono caratterizzate da un enorme impatto inquinante: tale fattore di criticità ha determinato, già da qualche tempo, una crescente attenzione da parte di importanti organismi internazionali e comunitari. La Commissione Europea, nell’ambito delle sfide evidenziate nel Libro Verde “Verso una Da qualche tempo, in realtà, si sta delineando una grave carenza negli investimenti finanziari necessari per ampliare ed ammodernare adeguatamente la capacità estrattiva, di trasporto e di raffinazione del greggio, onde poter fronteggiare la crescita della domanda che recentemente si evidenzia particolarmente sostenuta nei paesi ad economia in transizione, come quelli asiatici e del Pacifico. Il secondo ordine di considerazioni riguarda, invece, la natura delle fonti che prevalentemente contribuiscono a fronteggiare i consumi nazionali: si tratta di combustibili fossili, ovvero risorse esauribili, il cui impatto sull’ambiente, durante l’intero ciclo di vita164 è da tempo oggetto di forti preoccupazioni. Il ciclo del petrolio, del gas naturale e del carbone hanno inizio con processi di prospezione, escavazione, estrazione, trasporto, raffinazione, per proseguire con distribuzione e uso. Ognuna di queste fasi è responsabile di una molteplicità di tipologie di inquinamento del suolo, delle acque e dell’atmosfera. E’ forse su quest’ultimo aspetto che di recente va sempre più soffermandosi l’attenzione da parte di organismi internazionali e del mondo scientifico, nonché dell’opinione pubblica, in quanto l’inquinamento atmosferico è strettamente collegato ai cambiamenti climatici ed alle relative conseguenze. Sia a livello comunitario che mondiale si è diffusa, ormai da tempo, la consapevolezza che le scelte di politica energetica dovranno essere sempre più improntate a criteri riconducibili alla: sicurezza e diversificazione degli approvvigionamenti; valorizzazione delle risorse naturali; maggiore efficienza nei processi di trasformazione dell’energia. Ciò anche alla luce delle modifiche del quadro istituzionale di riferimento, orientato alla liberalizzazione ed integrazione dei mercati (elettrico e del gas), nonché dei vincoli derivanti dagli impegni internazionali assunti in tema di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra, sanciti dal Protocollo di Kyoto e, ancor più, dalla recente politica europea in tema di energia e ambiente. (Pacchetto Clima/Energia e Roadmap al 2050). Dunque, il sistema energetico nazionale richiede un forte e diversificato impegno, un processo di “ripensamento” e di “rifondazione” energetica che esige il necessario contributo di una molteplicità di attori: da un lato, le istituzioni governative e gli operatori economici e, dall’altro, le numerose categorie di consumatori e utenti che, attraverso i propri comportamenti possono favorire la diffusione di modelli di acquisto più consapevoli, orientati alla sostenibilità economica, ambientale e sociale. prodotti finiti (virtuali), spuntando un margine di raffinazione. 164 Il “ciclo di vita” di un prodotto non è altro che la sua “storia naturale” raccontata attraverso l’analisi ambientale delle fasi che lo conducono “dalla culla alla tomba” (Nebbia G., 1991). Come definito dalla Society of Environmental Toxicology and Chemistry (SETAC), esso comprende le fasi di approvvigionamento delle materie prime e delle fonti di energia, di lavorazione e trasformazione, di produzione, trasporto e distribuzione, di utilizzo e manutenzione, di riciclo, recupero e smaltimento finale. 2.2 Gli obiettivi del sistema energetico italiano al 2020 Gli argomenti relativi a questo paragrafo sono tratti dal seguente sito http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20100706_00/testointegrale20100706.pdf 6 luglio 2010 Il sistema energetico italiano e gli obiettivi ambientali al 2020 L’Istat presenta un quadro sintetico del sistema energetico italiano nel 2009 e con riferimento all’ultimo decennio. L’analisi si basa su dati resi disponibili dai principali produttori di statistiche energetiche sul territorio: il Ministero dello Sviluppo Economico, l’Enea e la società Terna165.Ad essi si affiancano quelli prodotti dall’Istat necessari per tener conto delle interrelazioni tra la dimensione energetica e le dimensioni economiche e ambientali del Paese. Viene, inoltre, presentato un confronto tra i principali indicatori energetici nazionali e quelli di alcuni Paesi dell’Unione europea (Ue), in vista degli obiettivi ambientali previsti per il 2020 nella Strategia europea. Principali risultati Al fine di promuovere una crescita sostenibile, l’Unione europea ha fissato nella Strategia europea 20/20/20 tre obiettivi strategici: la riduzione del 20 per cento, rispetto ai livelli del 1990, delle emissioni di gas a effetto serra; il raggiungimento della quota di fonti rinnovabili del 20 per cento rispetto al consumo finale lordo166; il miglioramento dell’efficienza degli usi finali dell’energia del 20 per cento. Per l’Italia, tale strategia si è tradotta in un duplice obiettivo vincolante per il 2020: la riduzione dei gas serra del 14 per cento rispetto al 2005 e il raggiungimento di una quota di energia rinnovabile pari al 17 per cento del consumo finale lordo (nel 2005 tale quota era del 5,2 per cento). Nel 2009 risulta ancora predominante la quota dei combustibili fossili, e in particolare dei prodotti petroliferi, che incidono per il 41 per cento sul consumo interno lordo. Nel periodo 1996-2005 le emissioni di gas serra in Italia sono aumentate, secondo i dati Eurostat, del 9,7 per cento, mentre dal 2005 al 2007 si sono ridotte del 3,7 per cento circa. Nella produzione complessiva di energia elettrica si è registrato un calo della produzione termoelettrica tradizionale, che passa dall’81,2 per cento del 2004 al 76,4 per cento del 2009, a vantaggio della quota di rinnovabili, la cui incidenza sulla produzione complessiva passa dal 18,8 per cento del 2004 al 23,6 per cento del 2009 (in questo caso il target europeo è fissato al 25,0 per cento al 2010). Tra i settori utilizzatori finali di energia, la quota più elevata (pari al 35,2 per cento) nel 2009 è attribuita al settore degli usi civili (che include il settore domestico, il commercio, i servizi e la Pubblica Amministrazione); seguono il settore dei trasporti (32,2 per cento) e quello industriale (22,6 per cento). Complessivamente gli usi finali di energia sono aumentati dell’8,7 per cento nel periodo 2000-2005 e sono diminuiti del 9,2 per cento negli anni 2005-2009. Il settore energetico italiano nel decennio 2000-2009 Nell’ultimo decennio il settore energetico nazionale è stato interessato da significativi cambiamenti avvenuti in ambito istituzionale e di mercato, che hanno avuto come obiettivo la riforma del mercato elettrico e del gas167, lo sviluppo delle fonti rinnovabili, la promozione dell’efficienza, del risparmio 165 Si ringraziano il dottor Giovanni Perrella del Ministero dello sviluppo economico, che ha contribuito alla realizzazione del presente documento e il dottor Piero Leone della società Terna. 166 Consumo finale lordo come definito nella Direttiva 2009/28/CE del Parlamento e europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009. 167 I principali provvedimenti normativi che caratterizzano la Riforma sono il Decreto Legge del 29 novembre 2008, n.185 (Art.3), convertito in Legge del 28 gennaio 2009, n.2 e il Decreto del Ministro dello sviluppo economico del 29 aprile 2009. energetico e della sicurezza degli approvvigionamenti. Inoltre, è stata predisposta la legislazione di base168 necessaria al riavvio di una produzione di elettricità da fonte nucleare, i cui effetti si vedranno a partire dal 2020. Tali cambiamenti, unitamente ad altri fattori, quali quello climatico e quello economico, hanno influito sull’andamento e sulla composizione dell’offerta e della domanda di energia e hanno contribuito a delineare le peculiarità del sistema energetico nazionale. L’Italia, infatti, rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea, si contraddistingue per una maggiore vulnerabilità dal lato degli approvvigionamenti e per una maggiore dipendenza dagli idrocarburi, soprattutto nella generazione elettrica; di contro presenta un minore contenuto di energia per unità di Pil rispetto ad altri Paesi. Il confronto dei dati europei169 relativi all’intensità energetica primaria (il rapporto tra disponibilità interna lorda di energia e Pil) conferma, infatti, una tendenza decrescente di tale indicatore già a partire dal 1996 sia per l’Unione europea nel complesso che per alcuni Paesi europei. L’Italia inoltre si pone sempre con valori inferiori alla media dell’Europa e ad alcuni Paesi quali Germania, Francia e Spagna. Disponibilità interna lorda di energia Dal 1995 al 2005 la disponibilità interna lorda di energia, definita come la quantità di energia prodotta all’interno del Paese più quella importata al netto delle esportazioni e delle variazioni delle scorte, è sempre stata in crescita, ma dal 2005 al 2009 si è rilevata una inversione di tendenza, particolarmente accentuata nell’anno 2008, in corrispondenza di una riduzione del Pil pari all’1,3 per cento e soprattutto nel 2009, quando la disponibilità energetica si è ridotta del 5,8 per cento rispetto all’anno precedente e il Pil ha subito una contrazione del 5,1 per cento (Figura 7). Rispetto al 2005, l’intensità energetica primaria si è ridotta, attestandosi nel 2009 al di sotto dei 150 tep per milione di euro prodotto. Figura 7 - Disponibilità interna lorda di energia e Prodotto interno lordo (numeri indice, base 1995=100) Fonte: Elaborazione su dati Istat e Ministero dello Sviluppo Economico, Bilanci energetici nazionali Il piano strategico dell’Unione europea per il 2020 La Strategia messa a punto dall’Unione europea per l’anno 2020, secondo quanto prevede la direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009, fissa degli obiettivi vincolanti per ciascuno degli Stati membri relativamente al ricorso alle fonti rinnovabili. Tali obiettivi, calcolati secondo la metodologia e le definizioni fissate dal regolamento CE n.1099/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008, relativo alle statistiche sull’energia, sono calcolati con 168 Legge del 23 luglio 2009, n. 99; Decreto legislativo n.31 del 15 febbraio 2010. 169 Cfr. Eurostat, Energy statistics. Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico (b) Le importazioni sono suddivise per Paese di provenienza fisica del gas e non contrattuale. Energia elettrica Nel 2009 la domanda di energia elettrica, pari a 317,6 miliardi di kWh, è diminuita del 6,4 per cento rispetto all’anno precedente, seguendo un andamento che si è presentato, anche se con una intensità molto più lieve, già a partire dal 2005 (Tabella 17). Il fabbisogno elettrico complessivo è soddisfatto per il 90,0 per cento dalla produzione nazionale171, effettuata in gran parte utilizzando i combustibili primari, e per il 13,9 per cento dalle importazioni nette di energia elettrica prodotta all’estero, che nel 2009 sono aumentate dell’11 per cento rispetto al 2008 (mentre nel 2008 erano diminuite del 13,6 per cento). Tra le varie fonti energetiche rinnovabili utilizzate nel settore elettrico, quella idrica ha la maggiore incidenza (70,4 per cento sulla produzione totale da fonte rinnovabile), seguita dalle biomasse e dai rifiuti solidi urbani usati prevalentemente nelle centrali termoelettriche (11,5 per cento), dalla fonte eolica e fotovoltaica (10,1 per cento) e infine dalla geotermica (5,4 per cento). Nel 2009 la quota da fonti rinnovabili è aumentata di 4,6 punti percentuali rispetto all’anno precedente (+4,8 punti percentuali rispetto al 2004), soprattutto grazie alla fonte idroelettrica (+3,4 punti percentuali rispetto al 2008 e +2,2 rispetto al 2004). Inoltre, rispetto al 2008 è salita di 1,1 punti percentuali la quota delle altre rinnovabili (eolico e biomasse a seguire il fotovoltaico) e di 0,1 punti quella della geotermia. Per quanto riguarda la produzione termoelettrica tradizionale, si osserva un’incidenza sulla produzione lorda complessiva cha passa dall’81,2 per cento del 2004 al 76,4 per cento del 2009, a vantaggio della quota di rinnovabili la cui incidenza sulla produzione complessiva passa dal 18,8 per cento del 2004 al 23,6 per cento del 2009. Tra i combustibili impiegati per la produzione termoelettrica si conferma il primato del gas naturale che, nel 2009, è pari al 66,7 per cento della produzione termoelettrica complessiva (53,9 per cento nel 2004). Si riduce, inoltre, la produzione termoelettrica da carbone (dal 18,9 per cento del 2004 al 17,9 per cento del 2009) e soprattutto quella da prodotti petroliferi, passata dal 16,0 per cento nel 2004 al 6,3 per cento nel 2009 (-9,7 punti percentuali). Tabella 17 – Bilancio di copertura dell’energia elettrica richiesta in Italia (miliardi di KWh) 171 Si considera la produzione lorda, ossia comprensiva delle perdite di trasmissione e distribuzione; al netto di tali perdite, l’incidenza è dell’86 per cento. Fonte: Terna. (b) Al netto degli apporti da pompaggio. (c) Solare, eolico, rifiuti solidi urbani, colture e rifiuti agro-industriali, biogas. (d) Olio combustibile, gasolio ,distillati leggeri, coke di petrolio, orimulsion e gas residui di raffineria. (e) Gas di cokeria e d'altoforno, gas d'acciaieria, prodotti e calore di recupero, espansione di gas in pressione. (f) A partire dal 1983 nella voce "assorbimenti per servizi ausiliari di centrale", in conformità alla metodologia adottata a livello internazionale, sono comprese le perdite relative ai trasformatori di centrali, in precedenza comprese nelle perdite di trasmissione e di distribuzione. (g) L'energia elettrica richiesta sulla rete, pari ai consumi degli utilizzatori ultimi più le perdite di trasmissione e di distribuzione, corrisponde alla produzione netta disponibile (al netto cioè degli assorbimenti per servizi ausiliari e per pompaggi) più o meno il saldo fra importazioni ed esportazioni dall'estero. Usi finali di energia La domanda energetica da parte degli utilizzatori finali (usi o consumi finali) 172 ha mostrato un andamento crescente fino al 2005 e una riduzione nel periodo successivo, particolarmente rilevante dal 2007 al 2008 (-1,3 per cento) e nel 2009 (-5,6 per cento). Complessivamente gli usi finali di energia sono aumentati dell’8,7 per cento nel periodo 2000-2005 e sono diminuiti del 9,2 per cento negli anni 2005-2009173. Nel decennio 1995-2005 i consumi energetici per abitante hanno mostrato un trend in crescita a seguito della variazione dei consumi energetici, sempre più intensa rispetto alla variazione della popolazione e del Pil. Nel 2005 si è registrata la punta massima sia per la crescita dei consumi finali che per il consumo unitario, mentre a partire dal 2006 i consumi totali e unitari hanno evidenziato una inversione di tendenza (Figura 10). Figura 10 – Consumi finali di energia per abitante e PIL 172 Nei consumi finali è contabilizzata l’energia fornita all’utente finale per tutti gli impieghi energetici, al netto dei consumi e perdite del settore energetico (dovuti per esempio al funzionamento degli impianti di trasformazione o alle perdite di distribuzione e trasporto) e delle trasformazioni delle diverse fonti in energia elettrica 173 In base a quanto previsto dalla direttiva 2006/32/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici, gli Stati membri possono fissare autonomamente un obiettivo di risparmio energetico superiore al 9 per cento dell'ammontare medio annuo del consumo energetico interno annuo finale. Esempi di misure di miglioramento dell'efficienza energetica che possono essere sviluppati ed attuati e il metodo di calcolo dell'obiettivo nazionale indicativo di risparmio energetico sono specificati negli allegati della citata direttiva. Fonte: Elaborazione su dati Ministero dello Sviluppo Economico e Istat. (a) Per l’anno 2009 i dati sono provvisori. L’analisi dei consumi energetici finali per fonte evidenzia, in generale, un andamento diversificato nel ricorso alle varie fonti energetiche. In particolare, diminuisce nel 2008 (-3,4 per cento) e nel 2009 (-5,5 per cento) il ricorso ai prodotti petroliferi, che comunque continuano ad essere la fonte energetica predominante con un’incidenza sul consumo energetico complessivo di poco superiore al 47 per cento (sia nel 2008 che nel 2009). Nel 2009 si osserva una riduzione del ricorso a tale fonte nel settore trasporti (-3,0 per cento), nell’industria (-14,6 per cento) e negli usi civili (-2,5 per cento). Nel 2009 sono aumentati gli impieghi di fonti rinnovabili (20,5 per cento rispetto al 2008), mentre si sono ridotti i combustibili solidi (-49,7 per cento nel 2009), la cui incidenza sul consumo totale è comunque inferiore al 2 per cento. Il gas naturale è diminuito del 2,8 per cento, con una flessione nel settore industriale (-15 per cento) e un incremento nel settore degli usi civili (+4,6 per cento). Tabella 18 – Usi finali di energia per fonte (2000-2009) (milioni di tonnellate equivalenti petrolio) Fonte: Ministero dello Sviluppo Economico, Bilancio energetico nazionale, vari anni Dal 2005 si rileva, comunque, una diminuzione degli impieghi energetici in tutti i settori utilizzatori: nel 2009 continua la forte flessione della domanda energetica del comparto industriale (-19,6 per cento) che, come per il 2008, ha riguardato, in generale, tutti i settori manifatturieri (Figura 11). Nell’ambito del settore industriale, la “Siderurgia” è responsabile di circa il 19 per cento dei consumi dell’intera industria, seguita dalla branca “Chimica e Petrolchimica” (15 per cento) e “Materiali da Costruzione” (15 per cento circa). Nel settore degli usi civili, in cui vengono contabilizzati i consumi energetici del settore residenziale e dei servizi pubblici e commerciali, i consumi energetici sono aumentati del 4,8 per cento nel 2008 e di un ulteriore 3,5 per cento nel 2009. I consumi di questo settore, incidono nella determinazione del consumo finale complessivo per una quota salita dal 30,8 per cento del 2004 al 35,2 per cento del 2009. Si tratta del settore con la più alta incidenza nella determinazione del consumo energetico finale complessivo, seguito dai trasporti (32,2 per cento del totale) e dall’industria (22,6 per cento). pesca, ivi compreso il consumo di elettricità e di calore del settore elettrico per la produzione di elettricità e di calore, incluse le perdite di elettricità e di calore con la distribuzione e la trasmissione, come definito dalla Direttiva Europea 28/2009.. Consumi propri del settore elettrico: comprendono l’energia assorbita dai servizi ausiliari degli impianti di trasformazione, trasmissione e distribuzione dell’energia elettrica, dai magazzini e dagli uffici del settore elettrico. Efficienza energetica: il rapporto tra i risultati in termini di rendimento, servizi, merci o energia e l'immissione di energia, come definito nella Direttiva Europea 32/2006. Energia elettrica destinata ai pompaggi: energia elettrica impiegata per il sollevamento di acqua, a mezzo pompe, al solo scopo di utilizzarla successivamente per la produzione di energia elettrica. Energia richiesta su una rete in un determinato periodo: la produzione destinata al consumo meno l’energia elettrica esportata più l’energia elettrica importata. L’energia elettrica richiesta è anche pari alla somma dei consumi di energia elettrica presso gli utilizzatori ultimi e delle perdite di trasmissione e distribuzione. Fonti energetiche rinnovabili: le fonti energetiche rinnovabili sono quelle fonti non fossili, come quelle eolica, solare, geotermica, aerotermica, idrotermica, l'energia oceanica, idroelettrica, la biomassa, i gas di discarica, i gas residuati dai processi di depurazione e i biogas. Gas serra: sono chiamati gas serra quei gas presenti in atmosfera, di origine sia naturale sia antropica, che assorbono ed emettono a specifiche lunghezze d'onda nello spettro della radiazione infrarossa, emessa dalla superficie terrestre, dall'atmosfera e dalle nuvole. Questa loro proprietà causa il fenomeno noto come effetto serra. Il vapore acqueo (H2O), il biossido di carbonio (CO2), l'ossido di azoto (N2O), il metano (CH4) e l'ozono (O3) sono i gas serra principali nell'atmosfera terrestre Intensità energetica primaria: l’intensità energetica primaria è calcolata come rapporto tra il consumo interno lordo di energia espresso in milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (tep) e il Pil. L’intensità energetica è assunta come indicatore di sostenibilità dello sviluppo da diverse istituzioni di rilievo internazionale, fra cui la Commissione per lo sviluppo sostenibile dell’Onu (Uncsd), l’Agenzia ambientale europea (Eea) e l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Oecd). L’indicatore esprime maggiori livelli di efficienza, laddove un pari ammontare di Pil sia prodotto con minore consumo di energia. Miglioramento dell'efficienza energetica: un incremento dell'efficienza degli usi finali dell'energia, risultante da cambiamenti tecnologici, comportamentali e/o economici come definito nella Direttiva Europea 32/2006 Perdite di energia elettrica di una rete in un determinato periodo: differenza tra l’energia richiesta e i consumi, compresi quelli del settore elettrico. Produzione lorda di energia elettrica (in riferimento ad un insieme di impianti di generazione, in un determinato periodo): somma delle quantità di energia elettrica prodotte, misurate ai morsetti dei generatori elettrici. Produzione netta di energia elettrica (in riferimento ad un insieme di impianti di generazione, in un determinato periodo): somma delle quantità di energia elettrica prodotte, misurate in uscita dagli impianti, deducendo cioè la quantità di energia elettrica destinata ai servizi ausiliari della produzione (servizi ausiliari di centrale e perdite nei trasformatori di centrale). Produzione netta destinata al consumo: produzione netta meno la quantità di energia elettrica destinata ai pompaggi. Rete elettrica di trasmissione nazionale: include tutta la rete ad altissima tensione (pari a 22.029 km di linea in corrente alternata, 1.069 km di linea in corrente continua e 265 stazioni), parte della rete ad alta tensione (pari a 22.074 km di linea in corrente alternata e 90 stazioni) e 18 linee di interconnessione che permettono lo scambio di elettricità con i Paesi esteri. Complessivamente al 31 dicembre 2005, ha una consistenza complessiva di 45.172 km di linee e 355 stazioni di trasformazione e di smistamento. Risparmio energetico: la quantità di energia risparmiata, determinata mediante una misurazione e/o una stima del consumo prima e dopo l'attuazione di una o più misure di miglioramento dell'efficienza energetica, assicurando nel contempo la normalizzazione delle condizioni esterne che influiscono sul consumo energetico; Tonnellata equivalente di petrolio (Tep): unità di misura del consumo di energia equivalente a 10 milioni di kcal (chilocalorie). Il Tep consente di esprimere in una unità di misura comune le varie fonti energetiche, tenendo conto del loro diverso potere calorifico. Trasmissione: attività di trasporto e di trasformazione dell’energia elettrica sulla rete interconnessa ad alta ed altissima tensione ai fini della consegna ai clienti, ai distributori e ai destinatari dell’energia autoprodotta. 2.3 La politica energetica dell’Unione Europea e la situazione dell’Italia (FABRIZIO BASTIANELLI - La comunità internazionale fasc. 3/2006 pp. 443-468, Editoriale Scientifica Srl) LO SCENARIO ENERGETICO MONDIALE - L’energia è uno dei fattori fondamentali per assicurare la competitività dell’economia e la qualità della vita della popolazione. Il petrolio, che nel mix energetico riveste una posizione di primo piano, sta diventando una materia prima sempre più cara. È indubbio che nessuna materia prima, negli ultimi 70 anni, ha avuto l’importanza del petrolio sullo scenario politico ed economico mondiale, per l’incidenza che ha sulla economia degli Stati e, di conseguenza, nel condizionare le relazioni internazionali, determinando le scelte per garantire la sicurezza nazionale; forse, nessuna materia prima ha mai avuto la valenza strategica del petrolio e, per questo, nessuna materia prima ha tanto inciso sul destino di interi popoli. Se si riflette sul fatto che nel 1925 i consumi mondiali di energia per fonti primarie erano appena di 1 miliardo e 45 milioni di tep e le previsioni indicano che nell’anno 2030 si arriverà a superare i 16 miliardi di tep, è comprensibile che i mass-media e l’opinione pubblica non nascondano il timore che la produzione di petrolio e di gas naturale potrebbero non essere più in grado di fronteggiare la domanda tra alcuni anni174. Questi timori sono condivisi anche da alcuni esperti (il geofisico Hubbert, gli studiosi Campbell e Laherrère) e le forti incertezze che gravano sul futuro energetico del nostro pianeta riguardano non solo la quantificazione della domanda, ma anche la sua sostenibilità ambientale175. L’Agenzia Internazionale dell’Energia di Parigi (IEA), nell’ultimo rapporto176, formula due scenari di riferimento riguardanti il fabbisogno energetico mondiale nell’anno 2030: lo scenario basato sulle politiche energetiche in atto, prevede che la domanda si aggirerà attorno ai 16 miliardi di tep e le emissioni di anidride carbonica aumenterebbero ad un tasso pari a quello della domanda d’energia; quello basato sulla razionalizzazione della domanda e sul ricorso alle fonti rinnovabili indica 14 miliardi di tep e un contenimento anche delle emissioni di anidride carbonica. Le riserve mondiali stimate di petrolio ammontano a 174 miliardi di tonnellate per cui, ai consumi attuali, se teoricamente non si dovessero fare ulteriori scoperte di giacimenti, basterebbero per soli 45 anni; le riserve mondiali stimate di gas naturale ammontano a 178.000 miliardi di metri cubi per cui, ai consumi attuali, basterebbero per altri 74 anni, ma è difficile pensare che la popolazione mondiale non cresca a ritmi elevati e che la fame di energia di Stati come la Cina e l’India, che si stanno rapidamente modernizzando, non incida massicciamente sull’entità delle riserve. 174 Non tutti gli esperti sono pessimisti sul futuro. Il World Energy Investement Outlook 2003 della International Energy Agency ritiene che «L’investimento totale nelle infrastrutture di approvvigionamento di energia per il periodo 2001-2030 sarà di 16 mila miliardi di dollari. Tale investimento servirà sia ad aumentare la capacità di approvvigionamento, sia a sostituire le attuali e future infrastrutture che saranno esaurite o diventeranno obsolete durante il periodo di previsione. … Le risorse energetiche mondiali sono sufficienti a far fronte alla domanda prevista, ma, per mobilitare l’investimento necessario a trasformare tali risorse in approvvigionamenti disponibili, occorrerà che il settore energetico sia competitivo rispetto agli altri settori dell’economia». Vedi anche D’ERMO, Il futuro dell’Energia tra sfide politiche, economiche e ambientali, in L’Ape ingegnosa – Rivista del Dipartimento di Scienze dello Stato, n. 1-2, 2005, 235-250; CURCIO, Le paure del nostro futuro energetico, in Bollettino di Informazione dell’Associazione Italiana degli Economisti dell’Energia, maggio 2006, 1-2. 175 Per una analisi del timore degli esperti vedi D’ERMO, op. cit., 239-240, il quale riporta pareri altrettanto autorevoli, quali quelli dell’United States Geological Survey, secondo cui le riserve di petrolio e di gas oggi stimate costituiscono solo una frazione di quelle che potranno essere scoperte nell’arco di 30 anni nei bacini sedimentari più promettenti del mondo. Non si può non ricordare che oltre alle riserve convenzionali di petrolio e di gas, esistono abbondanti riserve accertate di petrolio non convenzionale (“Orinoco heavy oil belt” , in Venezuela; “Atabaska tar sands”, in Canada). In conclusione, per i prossimi 40 anni, le valutazioni di una parte importante dei geofisici e dei geologi sono rassicuranti per quanto riguarda la disponibilità fisica di idrocarburi. Inoltre, la situazione è molto migliore per quanto riguarda le riserve mondiali accertate di uranio, sufficienti per un secolo ai ritmi della produzione attuale ed è decisamente tranquillizzante per il carbone le cui riserve accertate basterebbero, ai consumi attuali, per oltre due secoli. Tra l’altro, i mercati mondiali del carbone e dell’uranio – a differenza di quelli del petrolio e del gas – sono ben distribuiti geograficamente e non presentano tensioni sui prezzi. 176 Vedi, INTERNATIONAL ENERGY AGENCY, World Energy Outlook, Paris, 2004. fondamentale importanza rispetto al piano decennale 1975-1985: da una filosofia monistica, basata prevalentemente sull’aspetto “esterno” per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico della Comunità, si passa ad una filosofia dualistica che abbina l’aspetto “esterno” alla realizzazione del mercato interno dell’energia (aspetto “interno”) inteso come riduzione e, possibilmente, eliminazione di tutti quegli ostacoli che si erano riscontrati nel precedente decennio, quali: importanti differenze di prezzo, marcate differenze tra regimi fiscali, indisponibilità di fonti energetiche da porre in concorrenza non solo all’interno di ogni singolo Stato membro, ma nell’intera Comunità. Il fallimento del secondo piano energetico decennale comunitario è determinato da diversi fattori e, tra questi, dalla inadeguatezza dello strumento che lo avrebbe dovuto realizzare: la Risoluzione, manifestazione di volontà politica comune agli Stati membri, atto non vincolante che quindi non può imporre obblighi ai destinatari, per cui le politiche energetiche dei singoli Stati avrebbero dovuto convergere “spontaneamente” verso un risultato comune; in sostanza, la politica energetica comunitaria veniva ad essere la somma delle singole politiche energetiche nazionali che hanno avuto un limitato grado di convergenza verso gli obiettivi indicati dalla Risoluzione, a causa del mantenimento di un mix energetico e di un uso dell’energia molto diverso tra Stato e Stato. Se passiamo all’esame del complesso degli obiettivi “1985 per il 1995” osserviamo una evidente propensione carbonifera e una discreta tendenza a valorizzare l’elettronucleare, intravedendo l’influenza della CECA e dell’EURATOM e il condizionamento della Francia e della Repubblica Federale Tedesca che avevano la loro strategia energetica ed economica basata in proporzioni non indifferenti su queste due fonti. Inoltre, sotto l’aspetto operativo, un piano decennale, predisposto per raggiungere obiettivi energetici, rischia di non poter tener conto delle evoluzioni strutturali (in quegli anni si è verificata, ad esempio, la flessione della fonte nucleare a seguito dell’incidente di Chernobyl e soprattutto di quella carbonifera), o di fatti nuovi e imprevedibili (nel fallimento del piano comunitario ha inciso la forte discesa, in quegli anni, del prezzo del petrolio), che possono accadere sullo scenario internazionale. Ma sono state soprattutto le marcate differenze di strategia e di comportamento in politica energetica adottata dai più importanti Stati membri, oltre alla differenza tra chi aveva raggiunto l’autosufficienza energetica e gli altri Stati che, a vario livello, erano più o meno dipendenti dalle importazioni di energia, a determinare il fallimento del secondo piano energetico comunitario e ad ostacolare la realizzazione di una politica energetica comunitaria attraverso strumenti adeguati. Profonde ed oggettive sono, infatti, le differenze tra gli Stati membri con riguardo all’energia e all’ambiente, per eterogeneità di condizioni geologiche, di autosufficienza o di dipendenza energetica, attraverso fonti note o potenziali. Così riscontriamo che il Regno Unito e la Danimarca - che ha un peso inferiore in considerazione della sua minore popolazione – non solo hanno raggiunto la completa autosufficienza energetica, ma sono paesi esportatori di energia. Il Regno Unito ha sviluppato una politica di eccellenza anche per la valida diversificazione delle fonti e l’equilibrio nel mix energetico: nonostante la ricchezza dei fertili bacini mineralizzati ad idrocarburi della piattaforma continentale del Mare del Nord che ricadono sotto la giurisdizione inglese, mantiene un impegno, anche se ridimensionato, nella produzione del carbone, tra l’altro di eccellente qualità perché a basso tenore di zolfo e una congrua presenza nel nucleare. La Francia ha effettuato una radicale mutazione del mix energetico puntando con grande determinazione sul nucleare che le consente anche una capacità di esportazione di energia elettrica verso gli Stati limitrofi; ha sospeso la produzione e ha fortemente ridimensionato il consumo del carbone (12,5 milioni di tep nel 2004), ha contenuto l’impiego del petrolio, ha incrementato i consumi di gas naturale. La Repubblica Federale Tedesca è rimasta legata al carbone per motivi strategici e sociali e, pur utilizzando in modo principale il petrolio, ha una buona produzione di energia elettrica di derivazione nucleare e un consumo di gas naturale che si avvicina al doppio di quello francese; in sostanza la Repubblica Federale Tedesca presenta un bilancio energetico molto ben equilibrato. L’Italia importa l’85% del proprio fabbisogno energetico. Insieme alla Francia fa un basso ricorso al carbone, ma a differenza della Francia ha rinunciato al nucleare; il paese dipende eccessivamente dalle importazioni e ha un mix energetico squilibrato in quanto l’utilizzo degli idrocarburi ha un peso eccessivo. diminuire a causa della caduta della produzione di carbone della Francia e del Regno Unito, della flessione della produzione di petrolio dal Mare del Nord e dell’incremento delle importazioni di gas naturale; la quota del gas naturale non resta stabile, ma aumenta da 201 milioni di tep a 275 milioni di tep; la quota di utilizzo del carbone, anziché aumentare, diminuisce pesantemente da 320 milioni di tep a 237 milioni di tep; la quota di energia elettrica prodotta con idrocorburi non si riduce del 15%, ma resta invariata; le fonti rinnovabili avrebbero dovuto fornire un contributo “significativo” ma, se si fa eccezione per l’idroelettrico, l’apporto resta molto basso. I Paesi Bassi nella cui piattaforma continentale del Mare del Nord hanno scoperto l’eccezionale giacimento di gas naturale di Groeningen in grado di soddisfare completamente il loro fabbisogno, fanno un uso significativo del petrolio il che consente di esportare il loro gas e hanno anche una debole presenza nell’elettronucleare. La Spagna fa un adeguato uso del carbone, dell’elettronucleare e del gas naturale soprattutto attraverso il gasdotto di recente realizzazione dal Maghreb, anche se il grosso del mix energetico è ancora rappresentato dal petrolio. Belgio e Lussemburgo presentano nel mix energetico una situazione assimilabile a quella tedesca, con un ricorso molto contenuto al carbone. Grecia e Portogallo dipendono prevalentemente dal petrolio, anche se la Grecia ricorre al carbone quasi per un quarto del suo fabbisogno. Dall’analisi di questi bilanci di quasi tutti gli Stati dell’Europa a 15 emergono le difficoltà insormontabili incontrate dalla Comunità in considerazione sia della peculiare “storia energetica” di ogni Stato, sia degli specifici interessi di cui ognuno è portatore finendo col prestare particolare attenzione alle risorse energetiche del proprio Paese, alle proprie condizioni politiche, economiche, di mercato e ai propri progetti, per cui la maggioranza dei Paesi membri non solo non ha sottovalutato la valenza strategica dell’energia, ma, al contrario, ha manifestamente voluto che una politica, ritenuta di importanza vitale, non potesse essere conferita alla Comunità. Il fallimento del secondo piano decennale segna la fine di questo tipo di azioni in materia di politica energetica basate su previsioni aleatorie, sul raggiungimento di obiettivi qualitativi e quantitativi per singole fonti energetiche, sull’impossibile coordinamento “spontaneamente convergente” delle singole politiche energetiche nazionali in assenza di una struttura comunitaria centralizzata di programmazione e controllo. Sicuramente durante le grandi crisi energetiche internazionali degli anni ‘70 e ‘80184, gli Stati della Comunità hanno dovuto fronteggiare problemi comuni alla grande maggioranza: rischio della disponibilità fisica di petrolio, alti prezzi con impatto pesante sulla bilancia commerciale, politica di gestione delle scorte strategiche, programmi di emergenza per il contenimento forzato dei consumi, misure restrittive alla libera circolazione delle merci, definizione di un sistema nazionale di controllo dei prezzi massimi, adozione di una posizione comune e coordinata nelle relazioni esterne, sviluppo di nuove risorse situate al di fuori dell’area di crisi, incentivi per la ricerca e lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Sotto questo aspetto le crisi energetiche internazionali sono state salutari perché hanno fatto emergere la consapevolezza dell’importanza, nell’interesse generale, di poter contare su una politica energetica comune e coordinata, tesa a ridurre la dipendenza dall’estero, garantire la sicurezza dell’approvvigionamento, liberalizzare i mercati nazionali dell’energia abolendo i monopoli legali e di fatto e, soprattutto, facendo accrescere il convincimento che la “dimensione geopolitica dei problemi energetici” è fondamentale, per cui la cooperazione energetica internazionale multilaterale non può essere considerata una opzione, anche se rilevante, ma diventa un’imprescindibile necessità. In seguito al crollo dell’Unione Sovietica, nuovi attori si sono affacciati sul mercato internazionale dell’energia che è divenuto ancor più globale e hanno spostato il peso delle valutazioni geopolitiche che sono divenute prevalenti rispetto a quelle economiche; la Russia e le Repubbliche Caucasiche vengono considerate una delle ultime grandi frontiere per la ricerca e la produzione degli idrocarburi (la Russia Siberiana, Vostochno; il Kazakistan, Karachaganac; l’Azerbaigian e il Turkmenistan, Mar Caspio). II. 3. La Carta Europea dell’Energia e il Trattato sulla Carta dell’Energia. - Il Consiglio Europeo di Dublino del 25-26 giugno 1990, essendo ormai superata la fase storica della “guerra fredda”, esamina il “Memorando Lubbers”185 che lancia per la prima volta l’idea di costituire una “Comunità Paneuropea dell’Energia” allo scopo di superare la precedente divisione economica del continente europeo. La Carta Europea dell’Energia viene firmata all’Aja il 17 dicembre 1991 e viene inizialmente concepita come uno strumento per approfondire le relazioni complementari in materia energetica tra gli Stati che prima erano inglobati nell’Unione Sovietica, quelli dell’Europa Centrale ed Orientale e la Comunità Europea in particolare (anche per la contiguità geopolitica) e l’Occidente. Tra gli scopi della Carta – dichiarazione di intenti di notevole rilevanza politica, ma giuridicamente non vincolante, attualmente firmata da 53 Stati e dalla Comunità Europea – vi sono, da una parte, quello di contribuire allo sviluppo economico degli Stati una volta parte dell’URSS e del COMECON, fornendo 184 Il conflitto tra Israele e Egitto del 1973 (il petrolio sale a 11 $ al barile); la rivoluzione iraniana che provoca la caduta dello Scià e l’inizio della guerra tra Iraq ed Iran (il petrolio sale a 34 $ al barile); l’invasione irachena del Kuwait (il petrolio sale a 40 $ al barile). 185 Il “Memorando Lubbers” prende il nome dal Primo Ministro Olandese Ruud Lubbers, il cui contenuto venne condiviso dalla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Parigi, 19-21 novembre 1990) e dalla Commissione Europea. ingenti capitali (lo IEA prevede 1.600 miliardi di $ di cui avranno sicuramente bisogno, nel periodo 2001- 2030)186, e fornir loro il know-how delle compagnie petrolifere occidentali per lo sviluppo delle risorse energetiche; dall’altra, offrire all’Unione Europea e ai paesi importatori di energia maggiori sicurezze nell’approvvigionamento, diversificando le importazioni dall’area Medio Orientale e, più in generale, dai Paesi produttori facenti parte dell’OPEC. In sostanza, la Carta Europea dell’Energia getta le basi per l’istituzione di una “Comunità Energetica” tra Stati divisi sino a poco prima dalla cortina di ferro. Questa ampia Comunità, risultante dalla percezione di una nuova dimensione geopolitica per la soluzione dei problemi energetici, tende a raggiungere i seguenti obiettivi: soddisfare il requisito della complementarietà tra mercati, capitale, tecnologia occidentale e risorse naturali dell’Est; arrestare il declino dell’ex-URSS attirando capitali stranieri grazie alla riduzione dei rischi politici in base al principio della non discriminazione tra investitori nazionali e stranieri; rafforzare la sicurezza e la stabilità delle relazioni Est-Ovest attraverso una stretta cooperazione in un settore altamente strategico; aumentare la sensibilità per i problemi ambientali; accrescere la sicurezza nell’uso dell’energia nucleare; favorire il risparmio energetico ottimizzando l’efficienza nelle fasi di produzione, trasformazione, trasporto, distribuzione e utilizzazione dell’energia. Sulla base dei principi contenuti nella Carta Europea dell’Energia, prende avvio il negoziato, svoltosi in tempi straordinariamente brevi (dal 1990 al 1994) – in considerazione del notevole numero degli Stati che vi hanno preso parte, delle forti differenze esistenti tra le loro economie, della diversa cultura giuridica e della stessa complessità che la materia oggetto della trattativa presenta – che si conclude con successo: a Lisbona, il 17 dicembre 1994, viene firmato il “Trattato sulla Carta dell’Energia” che entrerà in vigore il 16 aprile 1998, a seguito del deposito del 30° strumento di ratifica. Il Trattato, attualmente firmato da 51 Stati e ratificato da 46, nonché dalla Comunità Europea, non impone privatizzazioni, né mette in discussione la sovranità sulle risorse naturali, ma prevede disposizioni normalmente inserite nei contratti stipulati tra Stati e investitori stranieri in materia energetica relative alla tutela degli investimenti con l’applicazione rigorosa del principio della non discriminazione, alla libertà di scegliere il personale per gli incarichi di maggior rilievo, al trasferimento degli utili all’estero e al rimpatrio dei capitali, all’indennizzo rapido, adeguato ed effettivo nel caso di nazionalizzazioni, all’arbitrato internazionale in caso di controversie non solo tra Stati parti, sull’interpretazione e l’applicazione del Trattato, ma anche tra Stati ed operatori economici stranieri187. Inoltre, il Trattato prevede il libero commercio delle materie prime energetiche, dei prodotti energetici e delle attrezzature per produrre l’energia, basato, inizialmente sulle regole del GATT e, in seguito agli emendamenti del 1988, sulle regole e la pratica del WTO. Con il Trattato si istituisce anche una organizzazione internazionale intergovernativa per la cooperazione tra gli Stati parti in materia energetica188 che al tempo stesso intrattiene i rapporti con gli altri soggetti di diritto internazionale ed è fonte di promozione del diritto – per cui il “system of law” è in costante evoluzione – potendo predisporre progetti di Protocolli e emendamenti al Trattato stesso per meglio perseguirne gli obiettivi, adeguandosi ai mutamenti di scenario, disciplinando in modo sempre più completo ed efficace il regime degli investimenti stranieri, il commercio dell’energia e il trasporto attraverso le frontiere degli Stati. Il Trattato tende anche ad un progressivo ravvicinamento delle legislazioni del settore e alla graduale rimozione delle barriere legislative agli investimenti stranieri e agli scambi di materie prime e prodotti energetici, allo scopo di assicurare un mercato aperto e competitivo (trasparenza nei prezzi, liberalizzazioni); uno specifico Protocollo sull’Efficienza Energetica e sugli Aspetti Ambientali Correlati è stato ratificato da 46 Stati oltre che dalla Comunità a dimostrazione di quanto il binomio energia-ambiente sia strettamente connesso e non possa non far parte del nuovo modello di cooperazione energetica internazionale a lungo termine189. In sostanza, sebbene il Trattato si sia sviluppato seguendo i principi della Carta Europea dell’Energia del 1991 e nasca come una 186 Cfr. World Energy, cit., 2. 187 Sulla Carta Europea dell’Energia e sul Trattato della Carta dell’Energia è disponibile una vasta documentazione a cura del Segretaiato generale dell’omonima Organizzazione internazionale; per una ottima guida per gli investitori alle disposizioni del Trattato cfr. The Energy Charter Treaty - A Reader’s Guide; per una conoscenza dei programmi di lavoro annuali del Segretariato cfr. Energy Charter Secretariat – Work Programme for 2004 e anni successivi; cfr. inoltre Il Primo Trattato della Carta Europea dell’Energia – una prospettiva preliminare per gli investitori, Commissione Europea, dicembre 1994. 188 Il Segretariato generale, istituito nel 1995, ha sede in Bruxelles e assicura stabilmente il funzionamento della Organizzazione. La Conferenza della Carta, istituita nel 1994, è l’organo politico decisionale ed è il più importante foro governativo internazionale finalizzato a promuovere la cooperazione tra gli Stati dell’Est e quelli dell’Ovest nel settore energetico; ne fanno parte tutti gli Stati che hanno ratificato il Trattato o che successivamente vi hanno aderito. Gli osservatori della Conferenza della Carta sono in tutto 17 Stati, di cui 8 sono Paesi membri dell’OPEC; Stati Uniti, Canada, Serbia e Pakistan sono osservatori della Conferenza e firmatari della Carta Europea dell’Energia. Le lingue di lavoro sono due: l’inglese e il russo. liberalizzazione del mercato interno dell’elettricità in tutti i comparti (generazione, trasmissione, distribuzione e fornitura dell’energia elettrica); la direttiva 2003/55/CE del 26 giugno 2003 per completare la liberalizzazione del mercato interno del gas naturale in tutti i comparti (trasporto, distribuzione, fornitura e stoccaggio del gas naturale). Entrambe le direttive abrogano le due precedenti del 1996 e del 1998. A partire dal 1° luglio 2004 “tutti i clienti non civili” e dal 1° luglio 2007 “tutti i clienti civili” (i clienti che acquistano per il proprio consumo domestico, cioè le famiglie) potranno liberamente scegliere il proprio fornitore. Nonostante il periodo iniziale della liberalizzazione risulti in larga misura positivo – ed è dimostrato dai prezzi dell’elettricità che in termini reali sono inferiori a quelli del 1997, nonostante l’aumento dei prezzi del petrolio, del gas e del carbone – siamo ancora molto lontani dall’integrazione dei mercati nazionali dell’elettricità e del gas naturale per l’esistenza di barriere all’ingresso, per l’uso inadeguato delle infrastrutture esistenti e per l’insufficiente interconnessione delle reti elettriche tra molti Stati membri che comporta fenomeni di congestione alle frontiere. Un ulteriore indicatore dell’assenza di una effettiva concorrenza è rappresentato dal fatto che i clienti difficilmente cambiano fornitore all’interno di ogni Stato membro e la scelta di un fornitore che opera in un altro Stato membro è del tutto eccezionale per cui, come è stato storicamente sin dalle origini, i mercati del gas e dell’elettricità nell’Unione restano “mercati nazionali”, registrando significative differenze nei prezzi delle forniture e un basso livello di scambi transfrontalieri causato da strozzature nella infrastruttura elettrica. II. 6. Il Libro Verde“Verso una strategia europea di sicurezza dell’approvvigionamento energetico”. - Il Libro Verde sulla Sicurezza dell’Approvvigionamento Energetico, adottato il 29 novembre 2000, rappresenta – dopo il fallimento dell’inserimento di un capitolo “energia” nella revisione del Trattato di Amsterdam e dopo l’avvio della realizzazione del mercato interno dell’energia – l’atto sicuramente più importante di politica energetica dell’Unione. La situazione energetica di base dell’Unione imponeva, in tempi rapidi, la chiara predisposizione di una linea strategica in considerazione della debolezza strutturale del suo approvvigionamento energetico e del rischio di un ulteriore aumento nella dipendenza dalle importazioni che sta purtroppo tornando a livelli superiori al 50% dei fabbisogni. L’Unione è sicuramente un importantissimo soggetto del mercato energetico mondiale: rappresenta il 16% dei consumi mondiali di energia da parte di una popolazione che è il 7,2% di quella del pianeta, ma che produce, con l’utilizzo di questa energia, circa il 20% del PIL mondiale; è il maggiore importatore mondiale di petrolio e di gas naturale, ha un consumo energetico pro-capite superiore al doppio della media mondiale, ma con questo consumo produce una ricchezza tre volte superiore alla media mondiale; l’Unione, però, ha una scarsa influenza nella formazione dei prezzi internazionali dell’energia, pur coprendo una quota molto alta nel commercio mondiale, non è in grado di adottare una politica soddisfacente per prevenire le crisi energetiche, siano acute o a lungo termine, mancando di adeguati mezzi di negoziato e di pressione e, soprattutto, dipende eccessivamente dalle importazioni. Inoltre, le scarse risorse energetiche interne all’Unione cominciano ad esaurirsi ed hanno costi di estrazione più alti che altrove: per il carbone si può parlare di un “esaurimento economico”, in quanto è troppo caro presentando costi di produzione superiori di 3-4 volte al prezzo mondiale; il petrolio del Mare del Nord, nella migliore delle ipotesi, rappresenta 25 anni di produzione, o 8 anni di consumi ai livelli attuali; rispetto al petrolio, appare più tranquillizzante la situazione delle riserve di gas naturale del Mare del Nord se si considerano i giacimenti della Norvegia in quanto membro dello Spazio Economico Europeo; scarse sono le riserve di uranio (2% di quelle mondiali) e da una analisi dei prezzi, molto bassi sul mercato internazionale, non possiamo che concludere che i giacimenti europei diventeranno sempre meno competitivi. L’Unione ha una potenziale abbondanza di energie rinnovabili, ma il loro decollo su vasta scala presuppone forti incentivi economici, in grado di sostenerne gli elevati costi di produzione. Si può quindi ipotizzare, senza rischiare troppo nella valutazione, che tra 20-30 anni l’Unione potrebbe dipendere da Paesi terzi al 90% per il petrolio, al 70% per il gas naturale e al 100% per il carbone. Di fronte a questo realistico scenario il Libro Verde opportunamente suggerisce di intervenire sulla domanda di energia per orientarla e per contenerla, evitando di rispondere alla domanda con una offerta sempre maggiore; anzi, auspica la necessità di riequilibrare la politica dell’offerta attraverso precisi cambiamenti comportamentali dei consumatori tesi ad orientare la domanda verso consumi meglio gestiti e maggiormente rispettosi 194 Come le merci circolano liberamente all’interno del territorio dell’Unione, così anche i servizi di fornitura di energia, che viene considerata una “commodity” come le altre, devono essere offerti a qualità e prezzi competitivi e l’obiettivo sarà raggiunto pienamente quando non solo le grandi e piccole aziende, ma anche le famiglie, potranno liberamente scegliersi il fornitore. Per approfondimenti cfr. COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE Relazione sullo stato di avanzamento della creazione del mercato interno del gas e della elettricità, COM (2005) 568 definitivo. dell’ambiente, soprattutto nei settori dei trasporti e dell’edilizia, nonché assegna la priorità allo sviluppo delle energie nuove e rinnovabili per fronteggiare la sfida del riscaldamento del pianeta causato dall’effetto serra. In concreto il Libro Verde delinea una politica energetica dell’Unione tesa a raggiungere i seguenti obiettivi: nell’anno 2010 il 22% dell’elettricità dovrebbe essere prodotta da fonti rinnovabili al cui sviluppo dovranno essere destinati importanti aiuti economici; occorre puntare sul risparmio energetico negli edifici, il cui consumo rappresenta ben il 40% (riscaldamento in inverno, acqua calda, aria condizionata in estate), mentre con buone condizioni di risparmio e di efficienza sarebbe possibile economizzare un quinto; nel settore dei trasporti – che assorbono il 32% del consumo energetico dell’Unione e provocano il 28% delle emissioni di gas a effetto serra – lo sforzo di riduzione della domanda riveste carattere prioritario, attraverso il rilancio delle ferrovie, lo sviluppo del trasporto marittimo a corto raggio e di quello fluviale, oltre a massicci investimenti per eliminare le strozzature nelle strade e nelle autostrade di rilevante importanza; nell’anno 2020 una quota del 20% del diesel e della benzina per i trasporti stradali potrebbe essere sostituita da biocarburanti che però hanno un alto costo di produzione; occorre incentivare la ricerca per lo sviluppo del nucleare pulito, cioè dei “reattori del futuro” e delle fonti rinnovabili; è opportuno gestire in comune le scorte di petrolio in caso di crisi energetica ed includere nelle scorte strategiche anche gli stoccaggi di gas naturale; fondamentale è l’attività diplomatica diretta a privilegiare la partnership strategica con la Russia. II. 7. L’energia e il Trattato Costituzionale dell’Unione. - Ci sono voluti più di 40 anni prima che venisse previsto un articolo, esattamente l’articolo 157, sulla politica dell’Unione nel settore dell’energia, operando, se e quando il Trattato Costituzionale verrà ratificato, un trasferimento settoriale di poteri sovrani, seppur circoscritto, dagli Stati membri all’Unione. Se esaminiamo il contenuto dell’articolo 157 e lo poniamo in relazione sia con la proposta per un capitolo “energia” da inserire nei Trattati – avanzata nel lontano 1994 dal Comitato Economico e Sociale nel parere in merito alla “Politica energetica comunitaria” – sia con il progetto di capitolo “energia” proposto dalla D.G. Energia della Commissione nel maggio del 1997, osserviamo che gli aspetti fondamentali sono comuni, nella sostanza, a tutti e tre. L’articolo 157 della Costituzione sembra privilegiare la realizzazione del mercato interno dell’energia, mentre la proposta del Comitato Economico e Sociale è più dettagliata e, forse, anche più completa in quanto prevede che «…il rifornimento di energia dovrà avvenire alle migliori condizioni economiche possibili, in una situazione soddisfacente di sicurezza d’approvvigionamento e di protezione dell’ambiente, nel quadro dei principi del libero mercato senza dimenticare però la necessaria coesione economica e sociale...». Comunque, in tutti e tre i progetti, anche se disposti in ordine diverso, si ritrovano i contenuti fondamentali della politica energetica dell’Unione: la realizzazione del mercato interno dell’energia, la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, la forte sensibilità per la protezione dell’ambiente. L’articolo 157 al punto c) prevede di «promuovere il risparmio energetico, l’efficienza energetica e lo sviluppo di energie nuove e rinnovabili...», obiettivi che ritroviamo anche nel progetto per un capitolo “energia” della Commissione, ma che non sono presenti nella proposta del Comitato Economico e Sociale, mentre l’importanza della politica estera in materia energetica non è presente nell’articolo 157, invece è enfatizzata negli altri due progetti. Per stabilire le misure necessarie per conseguire gli obiettivi della politica energetica, l’articolo 157 prevede l’uso della legge (che sostituirà l’attuale regolamento, mantenendo, in tutto, le caratteristiche dello stesso), o della legge quadro europea (che sostituirà l’attuale direttiva, atto che vincola lo Stato membro a raggiungere il risultato, restando salva la competenza degli organi nazionali quanto alla scelta della forma e dei mezzi). Il salto di qualità rispetto alle risoluzioni con cui vennero adottati dal Consiglio i due piani energetici decennali 1975- 1985 e 1985-1995 è evidente. L’articolo 157 prevede nell’ultimo comma una clausola di salvaguardia, i cui effetti, negativi o positivi, potranno essere valutati in concreto, decorso un certo periodo di tempo dall’applicazione di questa norma: «...Detta legge o legge quadro non incide sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo, fatto salvo l’articolo III-130, paragrafo 2, lettera c)...». Questo richiamo comporta che … «...il Consiglio dei Ministri adotta all’unanimità leggi o leggi quadro che prevedono… misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo...». Quel che lascia molto perplessi del contenuto dell’articolo 157 è la mancata previsione di relazioni di politica estera in campo energetico. È vero che in quasi tutti i “Consigli energia” uno spazio è sempre riservato all’esame del Trattato della Carta dell’Energia e alla sua applicazione ed evoluzione, ma se il tema della sicurezza dell’approvvigionamento dell’Unione resta centrale nella politica energetica, non sarebbe stato forse fuori luogo riprendere, pur con formulazione diversa, quanto indicato dalle proposte in materia sia del Comitato Economico e Sociale, sia della Commissione. La linea politica da seguire per garantire l’approvvigionamento energetico dell’Unione – come si è visto, largamente dipendente dalle importazioni – richiede una attenta politica estera “comune”, ben diversa da “molteplici politiche nazionali più o meno convergenti”, non solo come estremo rimedio cui far ricorso durante le crisi energetiche internazionali. Alla politica estera dell’Unione si chiede di sviluppare costruttive, costanti e solide relazioni internazionali, impostate sulla complementarietà e sulla interdipendenza, con i Paesi produttori ed esportatori di materie prime energetiche, data la situazione attuale in cui le considerazioni geopolitiche prevalgono su quelle economiche, proprio perché produzione e “trade” si giocano sullo scacchiere internazionale, nelle aree dove sono situate le maggiori risorse. Il Trattato della Carta dell’Energia e gli annessi Protocolli sono gli strumenti fondamentali di questa nuova linea di condotta imperniata sull’importanza che debbono avere le relazioni internazionali. Oltre allo spazio classico di complementarietà, quello Medio-Orientale, sono di fondamentale importanza la Russia, l’area del Mar Caspio, il Kazakistan e i Paesi che si affacciano sulla sponda Sud del Mar Mediterraneo. Per Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Cipro e Malta, uno spazio di complementarietà economica ed energetica è costituito proprio dai Paesi dell’Africa Mediterranea: nel Nord del Mediterraneo si affacciano i Paesi industrializzati, importatori netti di fonti energetiche primarie; sulla sponda Sud sono situati i Paesi in Via di Sviluppo, dotati di ampie riserve energetiche e di importanti capacità produttive. Questa diversità bipolare, tra l’altro favorita non poco dalla geografia, è un classico esempio di potenziale integrazione e interdipendenza, di grande opportunità da cogliere per tutti gli attori, potenziando le reti infrastrutturali esistenti che oggi fondamentalmente riguardano il gas naturale, ma un domani, costruendone di nuove, potrebbero servire per trasportare anche petrolio, elettricità ed acqua potabile. III. LA SITUAZIONE DELL’ITALIA. - La situazione italiana presenta, in modo molto più accentuato, tutte le problematiche che abbiamo preso in considerazione nell’esaminare lo scenario energetico dell’Unione Europea, in quanto ci collochiamo agli ultimi posti nella scala dell’autosufficienza energetica (rapportandoci naturalmente agli Stati membri che hanno una popolazione superiore ai 15 milioni di abitanti) e all’ultimo posto nella scala di dipendenza dagli idrocarburi: importiamo l’85% del nostro fabbisogno energetico contro il 50% circa della media dell’Unione. Non possiamo certo confrontarci con la straordinariamente felice situazione del Regno Unito che addirittura è esportatore netto di energia e ha un eccellente mix energetico, ma nemmeno con quella della Germania che ha una buona produzione di carbone e di energia elettrica con il nucleare, né con la Francia che ha realizzato completamente il suo piano nucleare che le consente, con riferimento all’energia elettrica, anche una capacità di esportazione verso gli Stati confinanti. Quanto alla dipendenza energetica dalle importazioni la nostra situazione si avvicina a quella della Spagna, che però è decisamente migliore quanto a mix energetico, perché produce 14 milioni di tep con l’elettronucleare; la Polonia gode di una situazione migliore della nostra grazie a una cospicua produzione di carbone, per non parlare del divario esistente tra la nostra situazione e quella dei Paesi Bassi che sono esportatori di gas naturale e hanno anche una presenza nel nucleare. Inoltre, l’Italia ha un mix energetico fortemente squilibrato, poiché sin dagli anni ’70 ha scelto di privilegiare l’utilizzo degli idrocarburi. La prima negativa conseguenza di questo squilibrio si fa sentire quando si è in presenza di una crescita eclatante delle quotazioni internazionali del petrolio che si ripercuote con impatto pesante sulla nostra bolletta energetica e frena lo sviluppo195. Gli effetti negativi potrebbero essere devastanti per l’Italia se si dovesse fronteggiare una crisi energetica mondiale con taglio o sospensione di alcune forniture di petrolio o di gas naturale. Di fronte a questo scenario – essendoci privati dell’elettronucleare e non volendo ricorrere al “carbone pulito” per produrre energia elettrica e migliorare il mix energetico – è difficile trarre una valutazione rassicurante. Per fronteggiare questa situazione i rimedi cui dovrebbe far ricorso la politica energetica italiana sono quelli indicati dal “Libro Verde – Verso una strategia europea di sicurezza dell’approvvigionamento energetico” e dall’ulteriore “Libro Verde – Una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura” 196, con 195 Nel 2005 la bolletta energetica italiana ha registrato uno tra gli incrementi più elevati degli ultimi 20 anni: con un balzo di oltre 9 miliardi di Euro rispetto all’anno 2004, si è arrivati a superare i 38,5 miliardi di Euro e nel volgere di soli 2 anni abbiamo pagato 12 miliardi di Euro in più per approvvigionarci dall’estero; il grosso dell’esborso è rappresentato dall’acquisto del petrolio (22,213 miliardi di Euro), seguito dal gas naturale la cui spesa netta per l’approvvigionamento è passata da 8,901 a 12,299 miliardi di Euro e dalle importazioni nette di energia elettrica passate da 1,762 a 2,134 miliardi di Euro. In termini di peso sul PIL la fattura energetica oggi rappresenta il 2,9%, contro il 2,2% dell’anno 2004. Cfr. Intervento del Presidente dell’Unione Petrolifera, cit., 9- 10. 196 COMMISSIONE DELLE COMUNITÀ EUROPEE Libro Verde – Una strategia europea per un’energia sostenibile, competitiva e sicura, COM (2006) 105 definitivo dell’8 marzo 2006. 3.1 Energia e Ambiente Da alcuni decenni, le tematiche ambientali sono al centro di numerosi dibattiti ispirati dalla accresciuta consapevolezza della scarsità delle risorse e della limitata carrying capacity della Terra, ovvero della limitata capacità della natura di sopportare gli effetti delle attività umane199. Una corretta gestione del patrimonio naturale presuppone il rispetto di regole volte alla conservazione e valorizzazione delle risorse, regole che a differenza del passato, sono state, invece, ignorate con l’avvento della società industriale. Infatti, fin dalle prime società agricole, l’uomo, nella consapevolezza dei limiti imposti dalla natura, nonché dalla disponibilità e fertilità del suolo, ha dimostrato per millenni di saper trovare un equilibrio fra attività di prelievo e attività di restituzione nei confronti del patrimonio naturale, onde evitare il rischio di provocare crisi e carestie e di esserne sopraffatto. Tali equilibri hanno cominciato a vacillare con l’affermazione di una società caratterizzata dall’uso massiccio di beni provenienti non soltanto dall’agricoltura, ma soprattutto da materie prime non rinnovabili, quali quelle minerarie ed energetiche. Le successive dinamiche di sviluppo, che hanno avuto inizio con la Rivoluzione Industriale200, hanno manifestato una forte accelerazione dei ritmi di produzione e, quindi, un crescente tasso di prelievo di risorse naturali nonché di immissione di rifiuti nell’ambiente. In realtà, la storia degli ultimi due o tre secoli si caratterizza per la smodata convinzione da parte dell’uomo di potersi affrancare dai limiti fisici imposti dalle leggi della natura. Il manifestarsi dei primi sintomi di crisi risale, quindi, al processo di industrializzazione e al forte aumento della popolazione, fattori che hanno determinato – fra i molteplici effetti – anche un crescente ricorso all’estrazione di risorse di origine fossile. Già alla fine del 1700, peraltro, alcuni studiosi ebbero modo di evidenziare i limiti allo sviluppo della popolazione in relazione alla disponibilità di cibo per tutti. Infatti, l’attuale diffuso concetto di “sviluppo sostenibile” – reso noto in Italia dalla celebre pubblicazione del 1988 “Il futuro di noi tutti”, relativa al rapporto elaborato dalla Commissione Bruntland201 (Our common future, 1987) istituita dalle Nazioni Unite - affonda le sue radici in tempi molto più lontani e, precisamente, risalenti ad oltre due secoli or sono. Infatti, T.R. Malthus nel suo celebre saggio sulla popolazione mondiale (1798) già paventava il pericolo di terribili crisi innescate dall’insufficiente quantità di cibo disponibile per soddisfare i bisogni della crescente popolazione di quell’epoca. Egli, pur avendo a disposizione dati molto limitati sui tassi di crescita della popolazione inglese e di quella mondiale e sui tassi di crescita della disponibilità di cibo, indicò che se la popolazione mondiale fosse cresciuta secondo una legge esponenziale (e continua a crescere con legge esponenziale ancora oggi) e la produzione di alimenti con legge lineare (e, oggi, cresce lentamente con legge lineare) si sarebbe giunti ad una situazione in cui i nuovi arrivati al grande “banchetto” della natura sarebbero stati respinti da quelli già presenti, pena la mancanza di cibo per tutti. In seguito anche altri studiosi, fra cui economisti, quali Stuart Mill, Pigou, Jevons, Marshall e Pareto, rilevarono – con diverse interpretazioni - come l’apparente disponibilità di beni in quantità illimitata (beni liberi) ne determinasse un uso sconsiderato, provocando indesiderati effetti negativi sull’ambiente (diseconomie esterne). Risale, quindi, a tempi lontani la consapevolezza della limitata “carrying capacity” del nostro pianeta, ovvero della circoscritta attitudine che i vari corpi della natura dimostrano di avere in relazione alla “sopportazione” della presenza degli esseri viventi, delle relative attività poste in essere e del conseguente fenomeno del loro “metabolismo”. Le crisi ambientali, in altri termini, rappresentano il risultato della violazione di alcune leggi della 199 Cfr. Nebbia G., Lo sviluppo sostenibile, Edizione Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (FI), 1991. 200 Se si esamina la lunga storia della Rivoluzione Industriale si può, molto sinteticamente, affermare che il suo obiettivo è stato quello di fornire una serie crescente di beni, grazie a tecnologie di produzione basate sull’impiego di macchine azionate dall’energia (prima termica e poi elettrica), con il conseguente spostamento di forza lavoro dal settore agricolo a quello industriale e, successivamente, al settore terziario (cfr. Colombo U., Energia. Storia e Scenari, Donzelli Editore, Roma, 1996). Una fondamentale caratteristica di tale evoluzione è ravvisabile nella “polarizzazione” del sistema tecnologico per lunghi periodi, 50-60 anni, “onde di Kondratiev” su un ristretto numero di innovazioni, divenute portanti per l’economia e lo sviluppo sociale. Cfr. Chiacchierini E., Lucchetti M.C., Materie prime, trasformazione ed impatto ambientale, Edizione Kappa, Roma, 1997. 201 Tali tematiche, in realtà, come si vedrà furono oggetto di interesse e di ricerche sin dal 1968, da parte del Club di Roma, struttura internazionale costituita da figure di notevole spessore intellettuale, appartenenti a diversi campi culturali e professionali, ma accomunate dalla radicata preoccupazione circa l’irragionevole incapacità del genere umano di governare saggiamente le problematiche ambientali in un’ottica di sostenibilità. natura, come sottolineano gli studiosi di ecologia202, alcuni dei quali a partire dalla fine degli anni ’50 hanno impresso un forte impulso agli studi volti ad analizzare, in modo sistematico, la conflittualità emersa tra obiettivi economici ed esigenze a carattere ambientale. Anche se economia ed ecologia sono due termini che hanno in comune la stessa radice greca “oikos” (casa), in quanto la prima (l’economia) si occupa dello studio della gestione della casa, intesa come “casa” di tutti gli uomini, e la seconda (l’ecologia) della conoscenza delle regole che la governano. Tuttavia, nel tempo i rispettivi interessi si sono rivelati divergenti, se non addirittura contrapposti e, quindi, conflittuali 203. Peraltro, una gestione oculata del patrimonio naturale, finalizzata al sostentamento della specie umana, dovrebbe presupporre l’elaborazione di principi ed il rispetto di regole tese al suo corretto uso. Fin dai primi anni ’60 del novecento, si sono levate autorevoli voci sulle problematiche ambientali e sull’urgente esigenza di individuare strumenti idonei di intervento, volti a fronteggiare gli effetti della crescita economica sulle risorse naturali204. Il decennio compreso tra gli anni ’60 e ’70 del novecento ha segnato, dunque, una svolta in merito alla nascente consapevolezza ecologica, tanto da essere definito “primavera dell’ecologia”205. Gli anni successivi, caratterizzati dalle due gravi crisi energetiche del 1973 e del 1979, misero ancor più in risalto la vulnerabilità, a livello internazionale, dei sistemi di produzione delle merci e di quello energetico, in particolare. Tuttavia, la pubblicazione che maggiormente ha sollevato accesi dibattiti è stata quella a cura dei coniugi Meadows, commissionata dal Club di Roma e presentata nel maggio del 1972 con il titolo “I limiti dello sviluppo”. In tale pubblicazione, basata sul rapporto elaborato dal Massachussetts Institute of Technology (MIT) di Boston, sono state individuate nella crescita esponenziale della popolazione e della domanda di risorse – che avrebbero provocato una pressione eccessiva sull’ambiente - le cause di una irreversibile crisi del pianeta. Pertanto, si suggeriva di porre dei limiti alla crescita della produzione e dei consumi. Sebbene violentemente criticata da molti, essa ebbe il notevole pregio di catalizzare l’attenzione pubblica sui problemi collegati al progressivo degrado ambientale ed all’urgenza di realizzare uno sviluppo ambientalmente, economicamente e, quindi, socialmente sostenibile. Il percorso dello sviluppo sostenibile, dunque, è iniziato negli anni ’70, allorché la consapevolezza della necessità di intraprendere azioni coordinate e pianificate strategicamente, ha condotto all’organizzazione della prima conferenza mondiale delle Nazioni Unite sull’Ambiente Umano (Earth Summit). I rappresentanti di oltre cento Nazioni, riuniti a Stoccolma, nel 1972, hanno riconosciuto nella difesa e nel miglioramento dell’ambiente uno “scopo imperativo per tutta l’umanità”: un obiettivo da perseguire insieme ad altri obiettivi, fra i quali quello della pace e dello sviluppo, sia economico che sociale, a livello mondiale. In tale incontro è stato redatto un piano d’azione contenente 109 raccomandazioni ed è stata adottata una Dichiarazione, basata su 26 principi inerenti i diritti e le responsabilità dell’uomo in relazione all’ambiente globale. Ciò al fine di guidare sia le attività umane che le politiche di sviluppo, anche attraverso l’istituzione, in ambito ONU, della Convenzione Mondiale per lo Sviluppo e l’Ambiente e del Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite (United Nations Environment Programme - UNEP). Nel corso degli anni ’80 si è, quindi, assistito al riorientamento degli studi sulle problematiche ambientali associate alle attività antropiche, in un’ottica di “sostenibilità”, quale esplicito riconoscimento dell’applicazione ai sistemi economici di regole analoghe a quelle che vigono in natura. È emersa, pertanto, l’esigenza di cambiare rotta, promuovendo misure volte a ridurre l’impatto ambientale associato alle attività antropiche e, in particolare, all’uso di combustibili fossili. Nel 1983, l’ONU ha istituito la Commissione Mondiale per lo Sviluppo e l’Ambiente, presieduta da Gro Harlem Brundtland, il cui rapporto (Our common future), noto come Rapporto Brundtland, riporta una efficace definizione di Sviluppo Sostenibile, inteso come “sviluppo in grado di soddisfare i bisogni della generazione presente, senza compromettere la possibilità che le generazioni future riescano a soddisfare i propri”206. 202 Cfr. Nebbia G., “Produzione, tecnica, natura”, Seminario di Tecnologia dei cicli produttivi, Università degli Studi di Salerno, dicembre 2001. 203 Cfr. Bresso M., Economia ecologica, Jaca Book, Torino, 1997. 204 In realtà fin dalla seconda metà dell’Ottocento – e in maniera sempre più incalzante nel corso del tempo – sono stati ravvisati i segni del depauperamento di alcune risorse; basti pensare alle miniere inglesi di carbone, a quelle siciliane di zolfo, ai minerali fosfatici delle isole dell’Oceania e, in tempi più recenti, ai pozzi petroliferi degli Stati Uniti. 205 Cfr. Nebbia G., “Contabilità monetaria e contabilità ambientale”, Economia e ambiente, 1999, 18, 3, 9-13; Le Merci e i valori, Edizioni Jaca Book, Milano, 2002. 206 In letteratura è riportata un’ampia ed articolata gamma di definizioni di Sviluppo Sostenibile. La più nota, e diffusamente accettata, è di sicuro quella proposta dalla Commissione Brundtland (“Development that L’improrogabile necessità di individuare un percorso universale, in grado di realizzare uno sviluppo veramente sostenibile, ha indotto la comunità mondiale a riunirsi a Rio de Janeiro nel 1992 per la Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (United Nations Conference on Environment and Development - UNCED) alla quale hanno partecipato i rappresentanti di ben 178 Paesi, fra cui circa cento capi di Stato e un migliaio di Organizzazioni non Governative. I Paesi aderenti hanno riconosciuto che le problematiche ambientali devono essere affrontate in maniera universale, attraverso il coinvolgimento di tutti gli Stati. Nell’ambito della conferenza sono stati negoziati e approvati tre Accordi e firmate due Convenzioni globali, come di seguito riportato: la Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo; l’Agenda 21 (il Programma d’Azione per il XXI secolo); la Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste207; la Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici; la Convenzione Quadro sulla Biodiversità. È stata anche varata l’istituzione della Commissione per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (Commission on Sustainable Development - CSD) per sovrintendere all’applicazione degli accordi, con il mandato di elaborare indirizzi politici per le attività future e di promuovere il dialogo e la realizzazione di partnership tra governi e gruppi sociali. Nello stesso anno (1992) l’Unione Europea ha approvato il Quinto Piano d’Azione Ambientale “Per uno sviluppo durevole e sostenibile” (1993-1999), al fine di rendere operativi gli accordi siglati a Rio. Tale Piano è stato redatto con l’auspicio di un cambiamento dei modelli di comportamento della società, promuovendo la partecipazione di tutti i settori e rafforzando lo spirito di corresponsabilità tra pubblica amministrazione, imprese e collettività. Per l’attuazione del programma sono stati varati strumenti di natura legislativa, economica e finanziaria e fra i principali settori di intervento coinvolti vi è quello energetico, per un ripensamento globale degli usi energetici e della tutela ambientale, attraverso il coinvolgimento dei Paesi in via di sviluppo e di quelli in via di transizione. L’evento più importante per le implicazioni di natura tecnologica, economica ed ambientale è rappresentato, senza dubbio, dal Protocollo Internazionale per la riduzione dei gas serra, responsabili del “global warming” ovvero del surriscaldamento del nostro Pianeta, firmato a Kyoto il 7 dicembre 1997. L’aumento della concentrazione di alcuni gas, gas serra (greenhouse gases), immessi in atmosfera per effetto della crescita delle attività economiche (industriali, energetiche, di trasporti, etc.) è legata principalmente alla combustione di combustibili fossili ed è all’origine dell’aumento della temperatura terrestre. La crescente rilevanza dei problemi ambientali, determinata dalla consapevolezza di dover fronteggiare fenomeni “globali”208, che investono l’intero pianeta, ha condotto i paesi industrializzati a firmare nel dicembre 1997 a Kyoto un Protocollo per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. meats the needs of the present, without compromising the ability of future generations to meet their own needs”) secondo cui la crescita economica non va messa in discussione, ma va realizzata compatibilmente con il rispetto degli equilibri naturali attuali e futuri. “D’altra parte l’insostenibilità degli attuali sistemi economici e sociali era stata messa in evidenza, fin dai primi anni settanta del Novecento, da Nicholas Georgescu-Roegen, un economista, sia pure considerato del dissenso, che aveva spiegato il ruolo devastante del secondo principio della termodinamica nei confronti della crescita economica. Ogni volta, infatti, che si estrae calore dai combustibili fossili (materiali a bassa entropia) o metalli dai minerali, si ottengono energia e materiali ad alta entropia che non possono più, o possono solo parzialmente, essere trasformati nella loro forma originale. Infatti, anche per i materiali vale un simile criterio – «matter matters too», secondo un «quarto principio» della termodinamica, come l’ha chiamato ironicamente Georgescu-Roegen – che toglie le illusioni della infinita riciclabilità dei prodotti usati. E’ certamente necessario riutilizzare i materiali e gli oggetti usati, ma per quanto si faccia, per quanto si rallenti l’estrazione di materie prime dalle cave, dalle miniere, dai pozzi, dalle foreste, ogni attività che si svolge nella tecnosfera porta sempre ad un impoverimento e ad un peggioramento della qualità delle risorse naturali lasciate alle generazioni future” (Cfr. G. Nebbia, Ecologia ed Economia, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 80-81, 2000). 207 La Dichiarazione dei principi per la gestione sostenibile delle foreste sancisce il diritto degli Stati di utilizzare le foreste secondo le proprie necessità, senza ledere i principi di conservazione e sviluppo delle stesse. 208 Accanto ai cosiddetti fenomeni globali, quali la perdita della biodiversità, l’effetto serra, il deterioramento dello strato di ozono, le piogge acide, vi sono fenomeni ambientali a carattere locale, individuabili soprattutto in problemi di inquinamento più circoscritti, come ad esempio la eccessiva concentrazione di pesticidi nelle acque sotterranee, la contaminazione dei suoli, l’inquinamento elettromagnetico, etc. quelli socio-ecologici in un’ottica unitaria. A tal fine sarà utile favorire la diffusione di strategie gestionali eco-efficienti, volte a sviluppare percorsi tecnologici basati sul recupero e riciclo di sottoprodotti e di scarti, e occorrerà attuare sistemi produttivi il più possibile “chiusi”, in analogia a quanto accade in natura. Si colloca, infatti, in tal senso lo sforzo di ricerca nel settore delle cleaner technologies, ovvero di tecnologie a ridotto input energetico (energy saving technologies) o di quelle dirette al recupero e al riciclo (no waste technologies) o di tecnologie non inquinanti (zero emission technologies), in grado di offrire un valido contributo alla tutela ambientale e di suggerire percorsi più idonei all’uso corretto delle risorse naturali. Sembra, peraltro, necessario evidenziare che le pressioni alle quali oggi viene sottoposto l’ambiente rappresentano fenomeni diffusi in tutti i sistemi economici, non solo nei cosiddetti paesi ricchi, ma anche in quelli in via di sviluppo. Infatti, il degrado ambientale caratterizza sia le aree sviluppate del Nord del mondo che quelle meno sviluppate o sottosviluppate: basti pensare ad alcuni Paesi dell’Est europeo e del Sud America, per rendersi conto della dimensione planetaria di tali problematiche. Nonostante ciò, persistono attualmente ancora varie incertezze circa la reale natura e il grado stesso delle interdipendenze globali esistenti tra crescita economica e sistemi di difesa dell’ambiente naturale. D’altronde, oggi non si è nemmeno in grado di quantificare con esattezza i rischi per le generazioni future derivanti da fenomeni di impatto ambientale, quali quelli associati alle piogge acide, alla distruzione della fascia di ozono o all’effetto serra. I problemi socio-ambientali, che si pongono quindi in maniera interrelata tra sistemi economici e sistemi naturali, come si è visto, sono caratterizzati da elementi a forte complessità, per cui solo attraverso una migliore comprensione delle diversificate interazioni esistenti tra tali sistemi sarà possibile una corretta analisi e una gestione illuminata degli stessi. Pertanto, preliminarmente, sembra opportuno identificare i principali fattori sui quali influire per contenere le emissioni di anidride carbonica: l’emblema dei gas serra attualmente sotto osservazione. 3.2 La decarbonizzazione del sistema energetico nazionale Uno strumento utile a valutare la quantità di anidride carbonica prodotta dalle attività umane è la Kaya Identity, una relazione che riconduce, in modo semplice efficace e sintetico, le emissioni di CO 2 a quattro coefficienti chiave: CO2 = (CO2/E) x (E/PIL) x (PIL/POP) x POP Tale relazione, in pratica, lega le emissioni annue di anidride carbonica (CO2) all’energia (E) utilizzata nel mondo, ma anche in una determinata area geografica o in un territorio di riferimento, al Prodotto Interno Lordo (PIL) ed alla popolazione (POP). In particolare, il tendenziale accumulo di anidride carbonica di origine antropica è funzione del rapporto fra la CO2 prodotta per unità di energia impiegata (carbon intensity), del rapporto fra la suddetta energia e il prodotto lordo del sistema economico mondiale, oppure riferito ad un Paese (intensità energetica), nonché funzione del reddito pro-capite e della popolazione. Tali coefficienti, com’è intuibile, hanno caratteristiche differenti: soltanto i primi due, infatti, sono di natura energetico-ambientale e rappresentano le leve di policy sulle quali è possibile ed auspicabile intervenire, per conseguire le riduzioni di gas serra. La carbon intensity, infatti, dipende dal mix energetico, in virtù dei differenti coefficienti di emissione delle differenti fonti utilizzate. E’ evidente che la transizione energetica dalle fonti fossili a più elevato rapporto carbonio/idrogeno (C/H) - quali il carbon fossile ed il petrolio - al gas naturale e, ancor più alle fonti rinnovabili di energia ed, eventualmente, al nucleare, può offrire un notevole contributo alla “decarbonizzazione” delle economie, ovvero ad una riduzione della loro intensità carbonica. L’intensità energetica è un indicatore della produttività dell’impiego delle risorse energetiche: essa dipende dalla struttura dell’economia, dall’efficienza tecnica nella domanda finale e nella generazione elettrica, dal grado di “razionalità” negli usi energetici. Il conseguimento della diminuzione del valore dell’intensità energetica può essere ottenuto attraverso una maggiore efficienza tecnica del sistema produttivo o civile, ma anche mediante cambiamenti strutturali dell’economia, quali, ad esempio, la sua “terziarizzazione”, la sostituzione di produzioni energy intensive con altre energy saving, nonchè l’adozione di tecnologie efficienti, fra cui, ad esempio, la cogenerazione e i cicli combinati nella generazione elettrica. Il Prodotto Interno Lordo è funzione di un interrelato e complesso mix di fattori sociali ed economici. Pur non rappresentando una variabile di natura energetica, esso contribuisce a determinare le emissioni di CO 2; infatti, a parità di struttura dell’economia, di mix energetico, di efficienza tecnica le emissioni saranno tanto più elevate quanto maggiore è il reddito procapite. Tale relazione evidenzia il costante rischio che le politiche e le misure volte al contenimento delle emissioni determinino un impatto depressivo sulla crescita economica. La popolazione, infine, nei paesi industrializzati, connotati da bassa o nulla crescita demografica, rappresenta – com’è intuibile - un coefficiente poco significativo per le azioni volte alla limitazione delle emissioni. Esso, però, assume rilievo centrale in un’ottica prospettica, in considerazione della necessaria futura implementazione di politiche nei Paesi in via di sviluppo, o meglio, di nuova industrializzazione a forte crescita demografica. I principali fattori e le politiche che influenzano i coefficienti della Kaya Identity sono schematizzati nella Tabella 21. Tabella 21 – Fattori e politiche che influiscono sui coefficienti della Kaya identity Coefficienti Fattori Possibili azioni e politiche Intensità carbonica (CO2/E) mix energetico maggiore diffusione di: gas naturale, fonti rinnovabili, energia nucleare, etc Intensità energetica (E/PIL) struttura dell’economia efficienza tecnica usi razionali dell'energia terziarizzazione dell’economia diffusione di tecnologie più efficienti diffusione di tecnologie energy saving Reddito procapite (PIL/POP) fattori socio-economici azioni di contenimento della crescita economica Popolazione (POP) fattori socio-economici e culturali azioni di contenimento della crescita demografica Fonte: adattata da E. Di Giulio e L. Cozzi, “Il Protocollo di Kyoto: contenuti, aspetti critici e implementazioni per i paesi industrializzati”, Studi & Ricerche, 3, 1999.