Scarica Riassunto Il sistema delle autonomie locali - Vandelli e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! Il sistema delle Autonomie Locali di Luciano Vandelli riassunti a cura di Tony Santo Giovanna Sercia Samanta Orlando Andrea Stella ~ 2 ~ CAPITOLO I Le fonti delle autonomie locali 1.1 Il principio autonomista nella costituzione del 1948 Punto centrale nel disegno costituzionale del 1948 è la sanzione del principio autonomistico: "La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento." [art 5 cost.] Tale principio implica il riconoscimento di potestà pubbliche nel perseguimento di finalità e di interessi propri agli enti locali, secondo un indirizzo politico-amministrativo diverso e relativamente indipendente da quello statale. Il pluralismo autonomista territoriale diviene una componente essenziale della democrazia italiana, quale elemento necessario e fondamentale dell'intero disegno costituzionale. Stabilito il principio di autonomia, il costituente non riservò particolare attenzione agli enti locali; infatti gli articoli ricompresi nel titolo V, dedicato a "le Regioni, le Province, i Comuni", erano rivolti a definire i tratti fondamentali delle regioni, mentre a comuni e province facevano riferimento poche disposizioni rimandando principalmente alla legislazione ordinaria. 1.2 Il testo unico sulle autonomie locali 267 del 2000 Dopo varie leggi statali, che hanno avuto ad oggetto l’attuazione dei principi costituzionali, si giunse all’approvazione di un testo unico degli enti locali nel 2000. Si trattava di un testo unico volto a riunire in un quadro sistematico le disposizioni in materia di: - ordinamento e struttura istituzionale degli enti locali; - sistema elettorale, - stato giuridico degli amministratori, - sistema finanziario e contabile; - controlli; - norme fondamentali sull'organizzazione degli uffici e del personale. Il testo unico non si è proposto l'obiettivo di innovare il sistema, ma quello di coordinare le disposizioni precedenti; disposizioni nei confronti delle quali opera una novazione, sicché dalla sua entrata in vigore è ad esso che bisogna fare riferimento. 1.3 La riforma del titolo V della Costituzione Da tempo il dibattito istituzionale e politico aveva evidenziato l'esigenza di ripensare l'intero titolo V, in una prospettiva di trasformazione in senso federalista del sistema italiano motivato da esigenze di modernizzazione del paese, di adeguamento al quadro europeo, di avvicinamento delle decisioni ai cittadini, di responsabilizzazione dei governanti. Il parlamento, a seguito delle proposte di modifica avanzate dalle autonomie, è pervenuto all'approvazione della modifica del titolo V con la riforma in seguito approvata con referendum popolare il 7 ottobre 2001, divenendo la legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3. ~ 5 ~ CAPITOLO II SOGGETTI E TERRITORI 2.1 Il comune Il Comune è identificato dal t.u.e.l. come l’ente più vicino ai cittadini e come primo soggetto esponenziale degli interessi della comunità locale. Il Comune, quindi, è titolare di tutte le funzioni relative alla popolazione e al territorio comunale, salvo che la legge non demandi queste competenze ad altri soggetti. Questa impostazione è contenuta anche nel titolo V della Cost. in cui l’art.118 afferma che le “funzioni amministrative sono attribuite ai Comini salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato”. Circa l’istituzione di nuovi Comuni e le modifiche alle loro circoscrizioni, l’art. 133 Cost., stabilisce la competenza regionale in materia. Al secondo comma si sottolinea come tale procedimento legislativo sia rinforzato in quanto occorre che vengano sentite le popolazioni locali. I modi di svolgimento di questa consultazione popolare sono disciplinati dalla Regione stessa che ha competenza esclusiva nella materia delle circoscrizioni territoriali. La Corte Cost. ha stabilito che la consultazione delle popolazioni interessate deve effettuarsi necessariamente tramite referendum. Ai fini dell’individuazione delle popolazioni interessate, la Corte Cost. ha stabilito che una legge regionale che intenda costituire un nuovo Comune o modificare la sua circoscrizione, non può consultare soltanto la popolazione delle frazioni richiedenti, ma deve consultare anche gli abitanti della restante parte del Comune che subisce la decurtazione territoriale, a meno che non sussistano elementi idonei a fondare la loro mancanza di interesse qualificato in rapporto alla variazione territoriale proposta. Per evitare l’eccessiva frammentazione territoriale, il t.u.e.l. ha introdotto un limite di dimensione demografica: è preclusa l’istituzione di Comuni con popolazione inferiore a 10.000 abitanti o che comporti che altri Comuni scendano sotto tale soglia. Considerando che la mappa italiana era caratterizzata da una forte frammentazione comunale con una grande differenza di dimensioni, la legge 142/1990 ha puntato sull’aggregazione volontaria dei Comuni minori. Le Regioni avevano il compito di predisporre il programma di fusione dei Comuni più piccoli, ma, per evitare che questi perdessero ogni punto di riferimento istituzionale e amministrativo, è stato previsto che lo statuto del Comune nato dalla fusione possa prevedere l’istituzione di Municipi, la cui organizzazione e funzioni sono disciplinate dallo statuto e dal regolamento comunale. In realtà, l’intento del legislatore del ’90 di ridurre il numero di Comuni presente sul territorio, è stato disatteso perché in realtà esso è cresciuto. Circa il decentramento comunale, la riforma del ‘90 ha previsto che l’istituzione delle circoscrizioni di decentramento comunale fosse obbligatoria per i comuni con popolazione superiore a 100.000 abitanti e facoltativa per i comuni con popolazione compresa tra i 30.000 e i 100.000. La disciplina di tali circoscrizioni è demandata allo statuto e al regolamento che devono, in primis, stabilire i modi di elezione degli organi (se direttamente dai cittadini o in via indiretta da organi comunali o da designazioni esterne). Per ridurre la spesa pubblica, il legislatore ha previsto la soppressione delle circoscrizioni di comuni inferiori a 250.000 abitanti. ~ 6 ~ 2.2 Le forme associative tra comuni Dopo la riforma del 2001, le forme di associazionismo e di cooperazione tra i Comuni si configurano come elemento essenziale del sistema locale. Ad esse si affida la realizzazione del principio di adeguatezza sancito dall’art.118 Cost. “le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni…”. quest’impostazione è presente anche nel t.u.e.l. dove si afferma che il Comune, per l’esercizio delle funzioni in ambiti territoriali adeguati, attua forme sia di decentramento sia di cooperazione con altri Comuni. La giurisprudenza costituzionale ha affermato che la materia delle forme associative tra Comuni rientra nella competenza regionale residuale ex art.117.4 Cost. Nel disegno di sussidiarietà tracciato dalla riforma del titolo V, l’associazionismo tra Comuni è un punto fondamentale. La legge sul federalismo fiscale 42/2009, per sostenere le forme associative, prevede forme premiali, anche attraverso l’incremento dell’autonomia impositiva o maggiori aliquote di compartecipazione ai contributi erariali. Le forme associative tra Comuni sono sostenute e incentivate sia da un fondo statale sia da fondi regionali. 2.2.1 Forme di collaborazione tra comuni • I consorzi: il consorzio è un ente locale complesso dotato di propria organizzazione e di personalità giuridica pubblica. L’individuazione delle funzioni del consorzio è lasciata alle opzioni degli enti associati, la legge fa riferimento solo alla gestione associata di uno o più servizi e all’esercizio associato di funzioni. La costituzione del consorzio avviene con una convenzione tra gli enti aderenti che deve essere approvata a maggioranza assoluta dai Consigli. Tale convenzione regola i rapporti tra i consorziati, disciplinandone anche i profili finanziari. Insieme alla convenzione viene approvato lo statuto che deve determinare l’ordinamento e il funzionamento del consorzio, e individuare per quali atti è richiesta l’approvazione dell’assemblea consorziale. Quest’ultima è formata dal sindaco o dal presidente dell’ente, o da un loro delegato. Ogni membro dispone di un voto proporzionale alla quota di partecipazione dell’ente che rappresenta, nella misura determinata dalla convenzione e dallo statuto. In caso di rilevante interesse pubblico la legge dello Stato può demandare alle leggi regionali l’attuazione di consorzi obbligatori. Dal 2010 sono soppressi i consorzi di funzioni. • Unioni di Comuni: le unioni sono definite dal t.u.e.l come enti locali costituiti da due o più Comuni, di solito confinanti, allo scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza. L’obiettivo non è quello di fondere comuni minori ma è l’esercizio associato di funzioni comunali. L’unione è costituita con deliberazione dei singoli Consigli e contestualmente si approvano atto costitutivo e statuto. La deliberazione è adottata con la maggioranza richiesta per le modifiche statutarie: 2/3 dei consiglieri o se non è raggiunta, lo statuto è approvato se si ottiene per due volte la maggioranza assoluta. Lo statuto deve definire le funzioni dell’unione, le risorse e la sua organizzazione. Lo statuto deve prevedere che il presidente dell’unione sia scelto tra i sindaci dei Comuni interessati e che gli altro organi siano formati da membri dei Consigli e delle Giunte, garantendo la rappresentanza delle minoranze. Le unioni esercitano più funzioni: è lo statuto che stabilisce i limiti di competenza. Lo statuto definisce la potestà regolamentare delle unioni, con cui esse disciplinano la propria organizzazione, lo svolgimento delle funzioni affidategli e i rapporti finanziari con i Comuni. • Comunità Montane: l’organizzazione delle Comunità montane è simile a quella delle Unioni perché è basata su un organo rappresentativo e su uno esecutivo composto da sindaci, assessori o consiglieri. La differenza con le unioni sta nel fatto che per le unioni il presidente deve essere sempre un sindaco, mentre per le comunità montane può anche non esserlo. ~ 7 ~ I rappresentanti dei Comuni delle comunità montane sono eletti dai Consigli dei comuni partecipanti, garantendo la rappresentanza delle minoranze. Funzioni delle Comunità Montane: - Esercizio delle funzioni comunali associate; - Esercizio delle funzioni conferite alle comunità montane da comuni, provincia o regione; - Le funzioni attribuite dalla legge e gli interventi speciali per la montagna stabiliti dall’UE - Adozione di piani pluriennali di opere e individuazione degli strumenti idonei a perseguire l’obiettivo dello sviluppo socioeconomico. La Regione individua gli ambiti delle comunità montane, concordandoli con le autonomie locali, cercando di raggiungere due scopi: la valorizzazione della montagna e l’esercizio associato delle funzioni comunali. Sono esclusi dalla comunità montana i capoluoghi di Provincia e i comuni con più di 40.000 abitanti. Una volta definito l’ambito, la comunità montana viene costituita con provvedimento del Presidente della Giunta Comunale. Il t.u.e.l. affida la materia della disciplina delle comunità montane alla legge regionale. Essa stabilisce: - Modalità di approvazione dello statuto; - Procedure di concertazione - I rapporti con gli altri enti operanti nel territorio • Comunità isolane o di arcipelago: si applicano le stesse norme relative alle comunità montane. 2.3 La Provincia La Provincia rappresenta il livello intermedio di decentramento e di deconcentrazione. Alla provincia spettano le funzioni amministrative di interesse provinciale che riguardino vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale in settori come la difesa dell’ambiente, la valorizzazione dei beni culturali e l’istruzione secondaria o la formazione professionale. In realtà non si tratta dell’identificazione di funzioni, ma di materie, all’interno delle quali andranno identificate le funzioni. La Provincia agisce anche nei confronti degli enti locali fornendo loro assistenza tecnico- amministrativa e coordinando attività con i Comuni per realizzare opere di rilevante interesse provinciale. Un ruolo particolare, di snodo tra Regione e Comuni, è delineato per la Provincia nell’ambito della programmazione: • Circa la programmazione regionale, la Provincia deve: - fungere da punto di raccolta delle proposte dei Comuni inerenti alla programmazione economica, territoriale e ambientale della Regione; - concorrere ala determinazione del programma regionale di sviluppo; - formulare e adottare, relativamente al suddetto programma, propri programmi pluriennali. • Circa la programmazione provinciale, la Provincia formula e adotta propri programmi pluriennali (generali e settoriali) e il piano territoriale di coordinamento. Sia i programmi pluriennali che i piani territoriali sono approvati con un procedimento previsto dalla legge regionale, che garantisce il concorso dei Comuni e che si conclude con un controllo della Regione sulla conformità agli indirizzi della programmazione regionale. • Circa la pianificazione comunale, la Provincia ha una funzione di accertamento della compatibilità degli strumenti comunali con il piano territoriale provinciale. In caso di esito negativo, provvederà la legislazione regionale. Secondo l’art.113 Cost. il mutamento delle circoscrizioni provinciali e l’istituzione di nuove Province sono stabiliti con legge dello Stato, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione. La ~ 10 ~ Caratteristiche delle società che svolgono servizi strumentali a supporto degli enti locali soci: Preclusioni: è precluso alle amministrazioni pubbliche di costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, o di assumere o mantenere partecipazioni in tali società. Per quanto riguarda i rapporti tra enti soci e società partecipata, l’affidamento di attività è estranea al mercato e rappresenta una modalità di autorganizzazione dell’ente pubblico secondo la formula in house che permette l’affidamento diretto di attività o servizi senza procedere a gara. Per la giurisprudenza comunitaria, l’in house è consentito solo se: 1. La società è partecipata solo da enti pubblici; 2. La società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti locali soci; 3. Gli enti pubblici soci esercitino nei confronti della società un controllo particolare cd “analogo”. In base all’art. 2449 c.c. lo statuto di società partecipate da enti pubblici può riservare loro la nomina e la revoca di amministratori e sindaci, in modo proporzionale alla partecipazione al capitale sociale. Essi non possono essere nominati per periodi superiori a tre esercizi. Circa l’attività di produzione di beni e servizi, per evitare alterazioni del mercato e della concorrenza, le società partecipate possono operare esclusivamente in house con gli enti soci: non possono svolgere prestazioni nei confronti di altri soggetti, pubblici o privati. Per quanto riguarda le procedure di acquisto di beni e servizi, le società in house e quelle a partecipazione mista, devono scegliere il contraente con procedure ad evidenza pubblica. La legge 241/1990 estende alle società con capitale pubblico totale o prevalente, l’applicazione delle regole sul procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai documenti. Circa il personale si applicano i limiti stabiliti per l’amministrazione controllante in materia di assunzioni, retribuzioni e indennità. Le società in house devono selezionare il personale secondo procedure competitive ad evidenza pubblica. I controlli degli enti partecipanti all’in house devono concretarsi in un controllo analogo a quello che svolgono nei confronti delle proprie strutture, secondo moduli di diritto pubblico. Si applica alle società il vincolo di patto di stabilità, come requisito di legittimità dei bilanci. La responsabilità amministrativa e la giurisdizione contabile sono attribuiti alla Corte dei Conti per danni arrecati dagli amministratori alle società. La disciplina di diritto privato ha un margine di applicazione molto limitato: funzionamento degli organi e trattamento del personale ( non regolato dal contratto collettivo enti locali, ma dal contratto di comparto settoriale in cui opera ciascuna società). ~ 11 ~ CAPITOLO III L’AUTONOMIA STATUTARIA E REGOLAMENTARE 3.1 L’autonomia statutaria L’autonomia statutaria è stata introdotta nell’ordinamento comunale e provinciale con la legge 142/1990 che riconosceva a Comuni e Province la potestà dell’ente di disciplinare i propri assetti fondamentali, regolando aspetti come le attribuzioni degli organi o l’ordinamento di uffici e servizi. Con la riforma del titolo V, l’autonomia statutaria ha trovato riconoscimento e garanzia costituzionale perché oggi l’art. 114.2 Cost. afferma che i Comuni, le Province le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti. In attuazione di questa previsione, la legge 131/2003 precisa che lo statuto opera in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica e nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in materia di legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali. Lo statuto, entro questi limiti, stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell’ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare. 3.2 I contenuti degli statuti I contenuti obbligatori Secondo il t.u.e.l. gli statuti disciplinano necessariamente: a) Le norme fondamentali dell’organizzazione di governo dell’ente, in particolare: La specificazione degli assetti degli organi. Lo statuto determina il numero degli assessori della Giunta, nei limiti fissati dalla legge. Il riparto delle attribuzioni tra i vari organi di governo, senza incidere sulle attribuzioni del Consiglio ( fissate direttamente dalla legge)e sull’attribuzione alla Giunta della competenza residuale: spetta alla Giunta emanare tutti gli atti di amministrazione non espressamente demandati ad altri organi. I modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente. Le forme di garanzia e partecipazione delle minoranze. b) I criteri generali in materia di organizzazione dell’ente, in particolare: L’ordinamento degli uffici e servizi; La definizione dei compiti dei dirigenti ed eventuale previsione che la copertura di posti di responsabili dei servizi o degli uffici, di qualifiche dirigenziali, possa avvenire mediante contratto a tempo determinato di diritto pubblico o, eccezionalmente, di diritto privato. c) Le forme di collaborazione tra Comuni e Province d) Le forme della partecipazione popolare, in particolare: Le forme di consultazione della popolazione Le procedure per l’ammissione di istanze, petizioni e proposte L’accesso dei cittadini alle informazioni ed ai procedimenti amministrativi e) I modi per assicurare condizioni di pari opportunità tra uomo e donna ~ 12 ~ f) Lo stemma e il gonfalone g) Le forme di controllo, anche sostitutivo. I contenuti facoltativi Accanto ai contenuti obbligatori, ve ne sono altri che la legge ha considerato come facoltativi: il testo unico li considera come una possibilità rimessa alla scelta di ciascun Consiglio comunale o provinciale. Tra questi contenuti vi rientrano la previsione del Difensore Civico e i Referendum che, a differenza delle consultazioni popolari, non devono ma possono essere previsti. 3.3 Limiti e rapporti con la legge Quanto ai limiti posti all’autonomia statutaria, l’art.114 Cost. fa riferimento a statuti adottati secondo i principi fissati dalla Costituzione. Tale riferimento riguarda le fonti cui la Costituzione rinvia. La legge 131/2003 allude ad esigenze di: • Armonia con la Costituzione; • Armonia con i principi generali in materia di organizzazione pubblica, desumibili dall’art.97 Cost. o sviluppati dalla legislazione ordinaria; • Rispetto della legislazione statale in materia elettorale, di organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane. Dopo la riforma del 2001 le disposizioni del t.u.e.l. possono ritenersi vincolanti solo se rientrano negli ambiti che la Costituzione riserva alla legislazione statale. Il testo unico ha stabilito che le future leggi di disciplina di organizzazione e funzioni conferite a Comuni o Province devono enunciare espressamente i principi che costituiscono il limite inderogabile. Solo le leggi che enunciano espressamente tale principi possono abrogare le norme statutarie con esse incompatibili e dalla loro entrata in vigore decorrono 120 gg per l’adeguamento degli statuti. La regola è quindi che, nel silenzio del legislatore, le disposizioni di legge siano generalmente derogabili da parte di statuti e regolamenti locali e non lo siano solo dove il legislatore abbia esplicitamente qualificato il contenuto di determinate disposizioni come espressione di principi-limite inderogabili. 3.4 Il procedimento di formazione dello statuto Gli statuti comunali e provinciali sono approvati con un procedimento rinforzato. Per la deliberazione dello statuto occorre il voto favorevole dei 2/3 dei consiglieri; se questa non viene raggiunta occorre una duplice votazione, ripetuta in successive sedute da tenersi entro 30 giorni, in cui lo statuto è approvato se ottiene per due volte la maggioranza assoluta dei voti dei consiglieri assegnati. Questo procedimento vale anche per le modifiche statutarie. Una volta approvato, lo statuto viene direttamente pubblicato nel bollettino ufficiale della Regione, affisso all’albo pretorio dell’ente per 30 giorni consecutivi e inviato al Ministero dell’Interno per essere inserito nella raccolta ufficiale degli statuti. Entra in vigore decorsi 30 giorni dall’affissione all’albo pretorio. 3.5 L’autonomia regolamentare Lo statuto è la fonte più elevata dell’autonomia statutaria: alle sue disposizioni è vincolato ogni altro atto emanato dall’ente. I regolamenti, infatti, disciplinano l’organizzazione degli enti locali nel rispetto delle norme statutarie. ~ 15 ~ 4.2 La forma di governo negli enti locali La legge 81/1993, conferendo al sindaco una legittimazione democratica in via diretta pari a quella del Consiglio, ha introdotto nel nostro ordinamento un sistema di governo locale bicefalo. La forma di governo comunale e provinciale adottata in Italia nel ’93 corrisponde ad un modello inedito, a tendenza monocratica (sindaco), bilanciata da poteri di indirizzo e controllo in capo al Consiglio. Bisogna rilevare che l’organizzazione di governo degli enti locali è diversa a seconda che si tratti di: • Province e Comuni maggiori, per essi vigono due regole: - Necessaria separazione tra la funzione di presidenza del Consiglio e la funzione di sindaco; - Incompatibilità tra le cariche di consigliere e assessore. • Comuni minori, la necessaria separazione tra funzione di presidente del Consiglio e quella di sindaco si applica solo nei Comuni n cui lo statuto prevede la figura del presidente del Consiglio. Sindaco e Consiglio sono quindi eletti direttamente dal popolo, mentre la Giunta è nominata dal sindaco e lui ha il potere di revocarla. 4.3 Il consiglio comunale e provinciale • Composizione e organizzazione del consiglio Il numero dei componenti del Consiglio comunale varia a seconda del numero di abitanti: oscilla tra i 48, per i Comuni superiori a 1 milione di abitanti, e i 10 consiglieri per i Comuni inferiori a 3.000 abitanti. A questi poi va aggiunto il sindaco, che è componente a tutti gli effetti del Consiglio. Il numero dei componenti del Consiglio provinciale varia tra i 45, per le Province con popolazione residente superiore a 1.400.000 abitanti, e i 24 consiglieri, se la popolazione residente non supera i 300.000 abitanti. Il Consiglio è dotato di autonomia funzionale e organizzativa: dal ’93 è dotato di una propria presidenza che non spetta più, quindi, al sindaco. La figura del presidente del Consiglio è necessaria solo nei Comuni maggiori, nei Comuni con meno di 15.000 abitanti invece, la scelta di prevederla è demandata allo statuto. Il presidente del Consiglio ha una funzione di garanzia in quanto deve assicurare il regolare funzionamento del Consiglio, l’equilibrio nei rapporti tra gruppi politici e il rispetto di ciascun consigliere. La figura del presidente del Consiglio è una figura neutrale che non è definita dal rapporto di fiduciarietà politica con la maggioranza quindi egli può essere revocato solo per cattivo esercizio della sua funzione e non per ragioni politiche. Inoltre la revoca deve essere prevista dallo statuto, mentre, il regolamento ne può disciplinare solo il procedimento. Quando lo preveda lo statuto, il Consiglio può avvalersi di Commissioni che servono per lo svolgimento di compiti preparatori, nei confronti di atti che dovranno essere adottati dal Consiglio, di controllo e di indagine. Tali commissioni sono costituite secondo un criterio proporzionale che quindi riflette gli equilibri tra maggioranza e minoranza presenti nel Consiglio: per rafforzare il potere di quest’ultime il testo unico affida a loro la presidenza delle commissioni di controllo e garanzia. Circa il funzionamento del Consiglio, la disciplina della materia spetta agli statuti e, nei limiti dei principi da esso stabiliti, al regolamento del Consiglio. Esso deve essere approvato a maggioranza assoluta e disciplina: - Modalità di convocazione del Consiglio; - Numero di consiglieri necessario per la validità delle sedute: a tale scopo devono essere presenti almeno 1/3 dei consiglieri per legge assegnati all’ente, non contando tra questi il sindaco. - Modalità di presentazione e discussione delle proposte. ~ 16 ~ Il legislatore stabilisce solo alcuni criteri di fondo: - Le sedute del Consiglio e delle commissioni devono essere pubbliche, salvo i casi espressamente previsti dal regolamento; - Il presidente del Consiglio deve procedere alla convocazione entro 20 giorni se lo richiede 1/5 dei consiglieri o il sindaco, inserendo all’ordine del giorno le questioni richieste. In caso di inerzia interviene il prefetto. Nella prima riunione del Consiglio, che deve essere convocata entro 10 giorni dalla proclamazione e tenersi entro 10 giorni dalla convocazione, si procede all’esame delle condizioni degli eletti cioè all’esame delle condizioni che impediscono l’investitura. • Le competenze dei consigli Il Consiglio è l’organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo. Esso ha una funzione di indirizzo perché tutti gli atti che sono a lui demandati sono proiettati alla produzione di norme e alla programmazione. Ha una funzione di controllo perché, come abbiamo visto sopra, può avvalersi di commissioni di controllo. In relazione alle linee programmatiche del sindaco e dei singoli assessori, il Consiglio ha sia funzione di indirizzo che di controllo. Il Consiglio ha competenza solo per l’emanazione di una serie tassativa di atti fondamentali: - Statuti dell’ente e delle aziende speciali - Regolamenti - Programmi - Piani finanziari, bilanci e rendiconto - Convenzioni tra Comuni e tra Comuni e Provincia - Istituzione e ordinamento dei tributi - Spese - Indirizzi per la nomina dei rappresentanti del Comune L’elencazione è tassativa e non può essere estesa nemmeno dallo statuto. Inoltre tali competenze sono proprie solo del Consiglio e non possono essere adottate da altri organi nemmeno in via d’urgenza. A questa regola fanno eccezione solo le delibere sulle variazioni di bilancio che possono essere adottate per ragioni di urgenza dalla Giunta: in tal caso si richiede la ratifica del Consiglio entro 60 giorni dall’adozione, a pena di decadenza. • Posizione e diritti dei consiglieri Tra consiglieri comunali/provinciali ed elettori non si instaura alcun rapporto di rappresentanza di interessi in senso giuridico, ma solo sociologico. I consiglieri provinciali rappresentano l’intera provincia. Sia i consiglieri comunali che quelli provinciali hanno diritto di: - Assumere iniziative su ogni questione sottoposta alla deliberazione del Consiglio; - Chiedere la convocazione del Consiglio; - Presentare interrogazioni e mozioni, cui il sindaco o gli assessori devono rispondere entro 30 giorni; - Ottenere dagli uffici del Comune o della Provincia, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato essendo tenuti al segreto nei casi previsti dalla legge. Rispetto al diritto di accesso riconosciuto ai cittadini sugli atti amministrativi ( vedi Casetta), quello dei consiglieri comunali e provinciali ha dei tratti di specialità perché si configura come un “diritto soggettivo pubblico funzionalizzato”: esso è direttamente funzionale non all’interesse personale del consigliere ma alla cura dell’interesse pubblico connesso al mandato conferitogli. Quindi il consigliere non è sottoposto agli stessi limiti del privato cittadino come la motivazione della richiesta di accesso e non si applicano a lui le restrizioni derivanti dalla natura delle informazioni visto che è per legge tenuto al segreto. ~ 17 ~ Egli comunque deve rispettare alcune modalità e limiti: deve presentare l’istanza secondo le modalità indicate dal regolamento; deve indicare gli elementi che consentono l’identificazione dell’oggetto dell’accesso; non può aggravare la corretta funzionalità amministrativa dell’ente: sono precluse quindi richieste del tutto generiche abusando del diritto per recare molestia agli uffici. Hanno diritto a percepire un gettone di presenza per la partecipazione alle sedute del Consiglio e delle commissioni. NON POSSONO impugnare le delibere del Consiglio o di altri organi del Comune, tranne quando si tratta di atti che incidono sul loro diritto all’ufficio. • Cessazione dalla carica di consigliere Oltre che per rinnovazione del Consiglio, i consiglieri cessano dalla carica per il verificarsi di determinati eventi: dimissioni e decadenza. La decadenza può essere determinata da motivi attinenti all’ineleggibilità e incompatibilità o dalla mancata partecipazione alle sedute. Il procedimento per la decadenza dalla carica di consigliere può essere iniziato d’ufficio o su istanza di qualsiasi elettore. Tale procedimento dà ampio spazio al contraddittorio: infatti si ha la contestazione, da parte del Consiglio, della causa di ineleggibilità o di incompatibilità. Entro 10 giorni, il consigliere può formulare delle osservazioni, a meno che entro tale termine non decida di eliminare la causa contesta. Il Consiglio delibera sulla sussistenza o meno della causa e nei successivi 10 giorni invita il consigliere a rimuovere la causa ove sussistente. Se il consigliere non provvede entro un ulteriore termine di 10 giorni allora di ha la pronuncia di decadenza. Contro di essa è ammesso ricorso al tribunale territorialmente competente. È possibile anche il tribunale civile si pronunci sulla decadenza, su ricorso di qualsiasi cittadino o del prefetto. Anche ai consiglieri si applicano gli istituti della rimozione e della sospensione. La rimozione è disposta con decreto del ministro dell’Interno quando il consigliere compia atti contrari alla Costituzione o per gravi motivi di ordine pubblico o per gravi e persistenti violazioni di legge. In attesa del decreto di rimozione, se sussistono motivi di grave e urgente necessità, il prefetto può sospendere gli amministratori. La rimozione ha efficacia immediata al momento dell’adozione del decreto. • Cessazione del consiglio Normalmente la cessazione del Consiglio si verifica dopo 5 anni dall’elezione. I Consigli durano in carica fino all’elezione dei nuovi: dopo il decreto di indizione dei comizi elettorale, si limitano solo agli atti urgenti e improrogabili. A parte la cessazione per scadenza del mandato, lo scioglimento del Consiglio può essere disposto: - Quando compia atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico. - Quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi a causa di: a) Impedimento, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della Provincia; b) Dimissioni del sindaco o del presidente della Provincia. Ciò significa che la legge 81/1993 ha collegato le sorti dei due organi elettivi: lo scioglimento del Consiglio può quindi derivare dalla cessazione del sindaco e viceversa. c) Cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, o rese anche con atti separati purchè presentati contemporaneamente al protocollo dell’ente, della metà più uno dei membri assegnati, non contando a questo scopo il sindaco o il presidente della Provincia.; d) Riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del Consiglio; - Quando non sia approvato nei termini di bilancio. ~ 20 ~ 4.5.1 Gli assessori: posizione e cessazione Gli assessori sono membri della Giunta e quindi partecipano alla formazione della volontà collegiale. Oltre a tale funzione, possono esercitare tutte le altre che siano state loro assegnate o tramite delega specifica del sindaco o con atto generale del sindaco che ripartisce i compiti tra tutti gli assessori o tramite ripartizione con atto della Giunta. Agli assessori si applicano le cause di rimozione e sospensione esaminate a proposito dei consiglieri (vedi supra). La cessazione della carica di assessore può verificarsi, oltre che per dimissioni e decadenza, anche per revoca. L’esercizio del potere di revoca è affidato al sindaco e quindi, visto che emerge il carattere fiduciario tra questi due organi, la legge prevede che il Sindaco, nell’esercitare tale potere, ne deve dare motivata comunicazione al Consiglio. Considerando che viene espressamente richiesta una motivazione ai fini della revoca, si dice che essa è un atto asimmetrico rispetto alla nomina che invece non richiede alcuna motivazione. La motivazione della revoca comunque non deve essere collegata a specifici inadempimenti o mancanze dell’assessore, ma potrà assumere contenuti propriamente politici. 4.5.2 Competenze della giunta Spetta alla Giunta l’adozione di ogni atto che non sia riservato dalla legge al Consiglio e che non rientri nelle competenze previste dalla legge o dallo statuto, del sindaco o del presidente della Provincia, degli organi di decentramento, del segretario e dei funzionari dirigenti. Quindi la Giunta è un organo a competenza generale/residuale, mentre agli altri organi spettano le competenze attribuite dalla legge e, nel caso del sindaco, anche dallo statuto. La Giunta opera in stretta connessione con il Consiglio: esercita nei suoi confronti un ruolo di proposta e di impulso, ne attua gli indirizzi generali e riferisce annualmente ad esso sulla propria attività. La Giunta non ha poteri regolamentari, che spettano al Consiglio, tranne per quanto riguarda l’ordinamento degli uffici e dei servizi nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal Consigli. La Giunta opera attraverso deliberazioni collegiali. ~ 21 ~ CAPITOLO V LE FUNZIONI E I SERVIZI 5.1 Le funzioni amministrative nella riforma costituzionale del 2001 La riforma costituzionale del 2001 ha adottato un disegno innovativo, in cui gli enti locali occupano una posizione centrale negli assetti delle funzioni amministrative. Funzioni che, in via generale, sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Citta Metropolitane, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Costituzionalmente, la distribuzione delle funzioni amministrative fa capo in via prioritaria ai Comuni: ciò significa, da un lato, che spettano ai comuni tutte le funzioni che, in conformità ai principi costituzionali, non sono espressamente riservate ad altri soggetti; dall’altro che gli stessi legislatori – statale e regionale – sono tenuti ad esercitare i propri poteri di allocazione di funzioni partendo dagli enti più vicini ai cittadini, salendo progressivamente ai livelli più ampi, soltanto quando tali enti si presentano non rispondenti ai criteri di idoneità ottimale. In ciò i criteri di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione sono inscindibilmente connessi. Nell’esercizio della funzione di allocazione e regolazione delle funzioni, le regioni devono tenere conto di un’altra competenza statale ossia quella di individuare, anche nelle materie di competenza regionale, le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città Metropolitane. L’ossatura di queste funzioni fondamentali, omogenee in tutto il territorio nazionale, è stabilita dalla legge statale mentre alle leggi regionali spetta disciplinare, valorizzare, potenziale queste funzioni applicando i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione. Le funzioni fondamentali hanno trovato un’individuazione in via transitoria nella legge sul federalismo fiscale n. 42 del 2009 in attesa dell’approvazione definitiva del ddl sulla Carta delle autonomie che disciplina nel dettaglio le suddette funzioni. Secondo la normativa transitoria del 2009 le funzioni fondamentali sono provvisoriamente individuate facendo riferimento a funzioni generali di amministrazione e di controllo. L’articolo 118 Cost. riconosce a Comuni, Province e Città Metropolitane (oltre a funzioni conferite con legge statale o regionale) la titolarità di funzioni proprie. Queste funzioni si identificano con quelle che i Comuni possono assumere spontaneamente, con delibera del consiglio comunale quando ricorrano determinate condizioni. Si tratta di funzioni ulteriori rispetto a quelle fondamentali, non implicanti l’esercizio di poteri autoritativi, non attribuite dalle leggi ad altri enti e volte a soddisfare bisogni generali e durevoli della comunità amministrata. L’assunzione di tali funzioni deve avvenire nel rispetto di una certa capacità di conseguire risultati positivi su un piano economico e finanziario, su un piano di miglioramento dei servizi e su un piano organizzativo. 5.2 Le materie di competenza dei Comuni e delle Province nella legislazione statale Secondo le varie leggi statali gli enti locali hanno competenza nei seguenti settori organici: a) Sviluppo economico e attività produttive, nelle materie che riguardano: • Commercio • Artigianato • Industria e sportello per le attività produttive • Energia ~ 22 ~ • Turismo • Agricoltura • Mercato del lavoro b) Territorio ambiente e infrastrutture, nelle materie che riguardano: • Urbanistica e Ambiente • Viabilità, acquedotti, lavori pubblici • Trasporti e circolazione stradale • Protezione Civile e Catasto c) Servizi alla persona e alla comunità, nelle materie che riguardano: • Tutela della salute • Servizi sociali • Istruzione e assistenza scolastica • Polizia locale • Beni e attività culturali • Sport 5.3 L’esercizio delle funzioni in forma coordinata Gli enti locali, qualora se ne ravvisi l’esigenza, possono ricorrere a uno svolgimento coordinato di funzioni e di servizi di comune interesse. La legge 142 del 1990 ha tracciato un quadro generale di riferimento in ordine agli strumenti consensuali, identificati nelle convenzioni e negli accordi di programma: strumenti contraddistinti da caratteri di flessibilità e di adattabilità alle esigenze concrete. • Le convenzioni operano in riferimento a rapporti orizzontali tra enti locali (tendenzialmente di pari livello). I Comuni e le Province possono stipulare convenzioni tra loro al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati. La convenzione stabilisce i fini, la durata, le forme di consultazione degli enti contraenti, i loro rapporti finanziari e i reciproci obblighi e garanzie. • Gli accordi di programma fanno riferimento principalmente ai rapporti verticali tra enti di diverso livello tendendo ad un necessario coinvolgimento, oltre che di Comuni e Province, di Regioni, amministrazioni statali e altri soggetti. Questo strumento mira a soddisfare l’esigenza di realizzare opere o interventi di rilevante complessità, in un contesto sempre più diffusamente contrassegnato da una distribuzione delle competenze e degli interessi coinvolti tra più soggetti istituzionali, nessuno dei quali si presenta di per se autosufficiente rispetto alla realizzazione degli scopi perseguiti. La legge 142 ha riferito l’accordo di programma ad ipotesi di opere, interventi o programmi di intervento che richiedono, per la loro complessa realizzazione, l’azione integrata di Comuni, Province e Regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici. Quanti ai contenuti dell’accordo, essi ricomprendono ogni adempimento connesso e la determinazione dei tempi, dei modi e del finanziamento delle azioni coinvolte. 5.4 I servizi pubblici locali Comuni e Province provvedono, nell’ambito delle proprie competenze, alla gestione di servizi pubblici che abbiano per oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. Una specifica disciplina, contenuta nel testo unico, ha inteso promuovere il miglioramento della qualità dei servizi pubblici locali, assicurare la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro partecipazione, anche tramite le loro associazioni, alle procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi. A questi scopi i gestori dei servizi adottano carte dei servizi che definiscono standard di qualità, condizioni di tutela degli utenti, casi e modalità di indennizzo all’utenza per mancato rispetto degli standard. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene (a seguito della l. 166/2009): ~ 25 ~ dell’amministrazione, gli enti locali sono tenuti ad assicurare l’accesso alle strutture e ai servizi ad enti, organizzazioni e associazioni. 6.3.2 Forme di consultazione e referendum Gli statuti degli enti locali devono prevedere forme di consultazione della popolazione, mentre possono prevedere referendum (art. 8 t.u.e.l.). In sostanza, tutti gli statuti sono tenuti a prevedere modi di coinvolgimento dei cittadini attraverso l’espressione organizzata di opzioni ma non è necessario che questa espressione si traduca nella precisa formalizzazione del referendum. Lo statuto può prevedere: • Referendum sospensivo: l’atto è già stato adottato ma non è ancora in grado di produrre i suoi effetti. In presenza di determinati presupposti (ad esempio, la circostanza che l’atto non sia stato approvato da una determinata maggioranza qualificata), il referendum può essere richiesto, subordinando l’efficacia dell’atto all’esito favorevole dello stesso. • Referendum abrogativo: in queste ipotesi si presuppone un atto non solo adottato, ma già dotato di un’efficacia che il referendum può rimuovere. • Referendum propositivo: in queste ipotesi, si sottopone un progetto al corpo elettorale, il cui esito della consultazione eserciterebbe effetti vincolanti nei confronti dell’organo competente ad adottarlo. • Referendum territoriale: Referendum che ha ad oggetto la variazione delle circoscrizioni territoriali. • Referendum consultivo: questo tipo di referendum mira a conoscere il parere dei consociati. I modi di atteggiarsi di questo referendum sono vari; ad esempio con la sottoposizione al voto di un progetto preciso, oppure di un’ipotesi generica. Varie possono essere le conseguenze dell’esito del referendum sulla decisione finale che spetta all’argano competente: lo statuto può prevedere che il consiglio possa discostarsene soltanto con precisa motivazione, oppure con una maggioranza qualificata. Le consultazioni e i referendum locali devono riguardare materie di esclusiva competenza locale e non possono avere luogo in coincidenza con operazioni elettorali provinciali, comunali e circoscrizionali. 6.4 Le forme di tutela giurisdizionale Soltanto in casi eccezionali, il nostro ordinamento consente che un cittadino, in quanto tale a prescindere dalla titolarità di una posizione soggettiva di diritto o interesse giuridicamente tutelato, possa agire in giudizio a tutela di un interesse della collettività. Tra questi rientra l’azione popolare prevista dalla normativa sull’ordinamento locale, secondo cui ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al Comune e alla Provincia. Recentemente, il legislatore ha introdotto in Italia la cd. class action nei confronti della p.a., vale a dire un ricorso volto a promuovere l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari di pubblici servizi. In questi casi, l’azione non tende al risarcimento del danno, ma al ripristino delle condizioni di regolarità del servizio pubblico. Le ipotesi che rilevano al fine di proporre una class action sono: violazione di termini, mancata emanazione di atti amministrativi generali e obbligatori, violazione degli obblighi previsti nelle carte di servizi, violazione di standard qualitativi ed economici. In presenza dei suddetti presupposti, singoli o gruppi titolari di interessi giuridicamente tutelati e omogenei possono (previa diffida all’amministrazione) presentare ricorso al Tar, il quale, se accerta la violazione, ordina alla p.a. di porvi rimedio entro un termine congruo. In caso di perdurante inadempimento, si procede con giudizio di ottemperanza, per ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi al giudicato dei tribunali. La class action si differenzia dall’azione popolare poiché non è consentita a tutti i cittadini in quanto tali, ma presuppone che i ricorrenti siano titolari di interessi giuridicamente rilevanti. ~ 26 ~ 6.5 Il diritto di accesso e la trasparenza L’ordinamento italiano afferma un principio generale di pubblicità degli atti e dei documenti amministrativi. L’ordinamento degli enti locali, conformandosi al suddetto principio, sancisce con nettezza che tutti gli atti dell’amministrazione, comunale e provinciale, sono pubblici. Le eccezioni a questa pubblicità sono rigorosamente delimitate a due ipotesi: a) gli atti riservati per espressa indicazione di legge; b) gli atti che vengono temporaneamente preclusi all’accesso per effetto di una motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della Provincia che ne vieti l’esibizione. La motivazione deve fare riferimento all’esigenza di evitare che la diffusione di questi atti possa pregiudicare il diritto alla riservatezza delle persone, dei gruppi o delle imprese. In questo quadro, il diritto di accesso agli atti amministrativi è riconosciuto ai cittadini, singoli e associati, prescindendo dalla titolarità o meno di specifiche posizioni giuridiche. La concreta attuazione del principio è demandata ai regolamenti locali chiamati a definire la disciplina del rilascio di copie di atti, previo pagamento dei soli costi. Al regolamento spetta un ruolo più ampio e complessivo nella realizzazione della trasparenza dato che è chiamato a dettare le norme necessarie per assicurare ai cittadini l’informazione sullo stato degli atti e delle procedure e sull’ordine di esame delle domande, progetti e provvedimenti che comunque li riguardino, nonché il diritto dei cittadini di accedere, in generale, alle informazioni di cui è in possesso l’amministrazione. 6.6 Il Difensore civico Il sistema italiano ha introdotto a livello regionale e locale figure volte a svolgere funzioni di garanzia dei cittadini nei confronti dell’amministrazione. Per Comuni e province, l’istituzione di questa figura è stata introdotta come scelta eventuale, demandata allo statuto. Al difensore civico è attribuita una funzione di garanzia dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione comunale o provinciale. In concreto, il suo compito è quello di segnalare, anche di propria iniziativa, gli abusi, le disfunzioni, le carenze ed i ritardi dell’amministrazione nei confronti dei cittadini. Il testo unico si limita a pochi cenni, rinviando allo statuto la disciplina dell’elezione, delle prerogative, dei mezzi del difensore civico etc. La giurisprudenza ha sottolineato l’esigenza di imparzialità e indipendenza di questo funzionario onorario sicché le modalità di investitura devono tendere a salvaguardarne l’indipendenza anche dalla maggioranza. Da norme locali (regolamenti) dipende anche la disciplina dei compiti e dei poteri del difensore civico. Generalmente si prevede che chiunque possa presentare proprie istanze nei confronti di inerzie o comportamenti non corretti dell’amministrazione al difensore civico; viene riconosciuto a quest’ultimo un ampio diritto di accesso; si afferma l’obbligo di favorirne l’attività; si stabilisce un termine per l’esame della pratica; si definiscono i modi di comunicazione delle determinazioni assunte. Normalmente, l’esisto della sua istruttoria si esprime in forme di “persuasione morale” nei confronti dell’organo politico o del funzionario responsabile, piuttosto che di adozione di provvedimenti vincolanti. Alle funzioni tipiche del difensore civico, il legislatore ha inteso affiancare un intervento in funzione di controllo, su richiesta di una quota di consiglieri. In questi casi, il difensore civico, se ritiene illegittima una delibera, invita a eliminare i vizi riscontrati, divenendo efficace la delibera soltanto se confermata dalla maggioranza assoluta dei componenti del consiglio. Di recente un decreto legge del 2010 ha disposto la soppressione della figura dei difensori civici comunali. Oggi, questi organi permangono a livello provinciale, dove assumono la denominazione di “difensori civici territoriali” che concentrano le competenze sia nei confronti dell’amministrazione provinciale, sia di quelle comunali. A tal fine si provvede che i Comuni stipulino apposite convenzioni con la Provincia. ~ 27 ~ CAPITOLO VII I CONTROLLI 7.1 I controlli dalla costituzione del 1948 al testo unico del 2000 La Costituzione del 1948 introdusse all’art. 130 una disciplina sui controlli alquanto problematica che scatenò il malcontento tra gli enti locali in sede di applicazione. Il controllo previsto dalla costituzione doveva essere esercitato da un organo della Regione, costituito nei modi stabiliti dalla legge della Repubblica, sugli atti delle Province, dei Comuni e degli altri enti locali. Questo sistema tracciato dalla costituzione si presentò di difficile applicazione in quanto i vari organi degli enti locali auspicavano ad un sistema di controlli meno incisivo che garantisse agli stessi maggiore libertà di azione. Così, mentre si diffondeva la convinzione che ogni prospettiva di revisione della Costituzione avrebbe comportato l’abrogazione dell’art. 130 del ’48, con un complessivo superamento dei controlli ivi previsto, si affermò la tendenza a ridimensionare drasticamente l’ambito degli atti da inviare necessariamente a controllo del comitato regionale di controllo, limitandolo ai soli atti di valenza normativa, programmatoria, di indirizzo generale dell’attività dell’ente. In questa direzione si mosse la l. 127 del 1997 recepita successivamente nel t.u. del 2000. Il testo unico prevede tre tipi di controlli: • Il controllo necessario (adesso abrogato dalla riforma costituzionale del 2001) Il controllo preventivo necessario era circoscritto a pochissimi atti quali: statuti, regolamenti di competenza del consiglio, bilanci annuali e pluriennali e le relative variazioni, rendiconto della gestione. Questi atti dovevano essere trasmessi al comitato, a pena di decadenza, entro un termine breve e divenivano esecutivi se nei successivi trenta giorni il comitato stesso non avesse adottato un provvedimento motivato di annullamento. • I controlli eventuali Per conseguire l’efficacia dell’atto, il testo unico ha ricompreso la disciplina di qualche ipotesi di controllo eventuale, con attivazione del procedimento su iniziativa: a) della Giunta comunale o provinciale. Il controllo è riferito alle deliberazioni dell’ente. b) di consiglieri. Il controllo concerne atti del consiglio, così come della Giunta. Ad attivarlo è una richiesta scritta e motivata da parte di un certo numero di consiglieri. Il controllo concerne delibere relative ad appalti e affidamento di servizi o forniture superiori alla soglia di rilievo comunitario ovvero relative ad assunzioni del personale, dotazioni organiche e relative variazioni. L’organo competente a esercitare questo tipo di controllo è il difensore civico comunale o provinciale (nel caso in cui non vi sia il difensore civico l’organo competente sarà il comitato regionale di controllo). La misura prevista, in questo caso, non è l’annullamento, ma l’invito ad eliminare i vizi che vengano riscontrati. In tal caso, se l’organo competente non procede alla modifica richiesta, l’atto diviene efficace se viene confermato con il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti del Consiglio. c) del prefetto. Nella prospettiva delle misure di contrasto alla mafia, si è attribuita al prefetto la facoltà di sottoporre a controllo preventivo di legittimità le delibere relative ad acquisti, alienazioni, appalti e in generale a tutti i contratti. • I controlli sostitutivi Questi controlli mirano a superare fenomeni di omissione o di ritardo, da parte di Comuni o Province, nell’emanazione di atti obbligatori per legge. Il procedimento si avvia con un invito a provvedere entro un congruo termine, decorso il quale si provvede tramite un commissario ad acta ~ 30 ~ 7.7 I controlli dopo la riforma costituzionale. Il quadro attuale Dopo la riforma costituzionale, possono ritenersi superati i controlli sui singoli atti, secondo il modello previsto dall’art. 130 Cost. ora abrogato. Allo stato attuale permangono i seguenti tipi di controlli: • Controlli interni, che sono demandati allo statuto, al fine di garantire il funzionamento dell’ente, secondo criteri di efficienza, di efficacia e di economicità dell’azione amministrativa. • Controlli sugli organi, la cui disciplina è mantenuta in capo allo Stato. • Forme di vigilanza sui servizi di competenza statale attribuiti al sindaco quale ufficiale di Governo (in materie quali stato civile, anagrafe, leva militare) Accanto a queste forme, si collocano i controlli della Corte dei conti, con particolare riferimento alla gestione e alla verifica del funzionamento dei controlli interni. Infine, vi sono le forme di intervento sostitutivo previste da leggi statali o regionali, secondo le rispettive competenze, al di fuori dei presupposti considerati nell’art. 129 Cost. ~ 31 ~ CAPITOLO VIII L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA E IL PERSONALE 8.1 L’autonomia organizzativa L’organizzazione degli enti e il regime del relativo personale sono stati modificati dal D.Lgs. del ’93 che, prevedendo la privatizzazione del pubblico impiego, ha introdotto la disciplina privatistica per la regolamentazione del rapporto di lavoro riservando quella pubblicistica all’organizzazione degli uffici. È comunque lo Statuto, in conformità con la Costituzione, ad individuare le linee generali delle amministrazioni mentre spetta ai regolamenti, approvati dalla Giunta, fissarne i criteri quali: - Le responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell’espletamento delle procedure amministrative; - I principi fondamentali di organizzazione degli uffici; - La disciplina delle responsabilità e delle incompatibilità tra impieghi nelle pubbliche amministrazioni ed altre attività e casi di divieto di cumulo di impieghi e incarichi pubblici. 8.2 Personale e ordinamento del lavoro Al personale degli enti locali si applica la disciplina del D.Lgs. 165 del 2001 e quindi principi quali: - La razionalizzazione del costo del lavoro pubblico; - Migliore utilizzazione delle risorse umane, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti; - Efficienza delle amministrazioni. Il singolo dipendente stipula con l’organizzazione amministrativa contratti individuali che devono essere compatibili con i vincoli derivanti dai contratti collettivi nazionali. Questi ultimi sono stipulati dalle organizzazioni sindacali e dall’Aran (Agenzia per la rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) avente personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia organizzativa e contabile. 8.3 Politica e Amministrazione Gli organi di governo hanno le sole funzioni di indirizzo e di controllo politico-amministrativo e quindi compete ad essi l’adozione di atti normativi, programmi, piani, criteri generali e all’esercizio del controllo sulla loro attuazione. La dirigenza amministrativa, invece, ha il compito di emanare provvedimenti puntuali che incidono su concrete situazioni e specifiche posizioni giuridiche assumendosi le responsabilità delle decisioni tecniche adottate. Il regolamento sugli uffici prevede altresì la possibilità di istituire specifici uffici aventi il fine di supportare gli organi di direzione politica. ~ 32 ~ 8.4 Il Segretario Comunale e Provinciale Il segretario (comunale e provinciale) svolge un ruolo centrale presentandosi come figura bifronte perché fa riferimento, per un verso, all’amministrazione statale per tutto ciò che riguarda l’arruolamento, la carriera, le sanzioni disciplinari e, per l’altro, all’ente locale. In quest’ultimo, il segretario, svolge la sua attività di cura dell’istruttoria, di attuazione dei provvedimenti, di verifica di legittimazione dell’azione amministrativa, di partecipazione e verbalizzazione nelle riunioni del Consiglio e della Giunta e di coordinamento dei dirigenti. La legge 127 del 1997 ha qualificato i segretari come dipendenti dell’Agenzia autonoma per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali che svolge attività di carattere tecnico- operativo di interesse nazionale al servizio delle amministrazioni pubbliche. Il segretario viene nominato dal sindaco (segretario comunale) o dal Presidente della Provincia (segretario provinciale), tra gli iscritto all’albo. A quest’albo si accede mediante concorso. La nomina è disposta non prima di 60 giorni e non oltre ai 120 giorni dalla data di insediamento del Sindaco o del Presidente della Provincia. L’incarico del segretario è strettamente legato al suo mandato con la conseguenza che il venir meno dello stesso implica, automaticamente, il venir meno dell’incarico del segretario. Questo può essere revocato con provvedimento del presidente della provincia o del sindaco, previa delibera della Giunta. Il provvedimento deve essere motivato solo se vi sia stata una violazione dei doveri d’ufficio. I compiti del segretario sono: - di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente, in conformità alle leggi, all’azione amministrativa e ai regolamenti; - di esercizio di funzioni consultive, di assistenza alle riunioni del Consiglio e della Giunta curandone la verbalizzazione, - di rogare i contratti in cui l’ente è parte, di autenticare le scritture private e gli atti unilaterali nell’interesse dell’ente; - di esercitare ogni altra funzione attribuitagli dallo Statuto o dai regolamenti, dal Sindaco o dal Presidente; - di svolgere le funzioni del direttore generale quando queste gli sono conferite dal sindaco o dal Presidente; - nei confronti dei dirigenti svolge funzioni di sovraintendenza e coordinamento. 8.5 Il Direttore Generale Al Direttore generale compete: - l’attuazione di indirizzi e di obiettivi stabiliti dagli organi di governo; - sovraintende la gestione dell’ente, perseguendo livelli ottimali di efficacia e di efficienza; - ha una posizione di preminenza rispetto ai dirigenti, coordinandone e controllandone l’attività da essi posta in essere; - individua una regia tecnica per l’ottimizzazione delle attività dell’ente, di impulso e conduzione dei processi di innovazione funzionale e organizzativa; - nell’ipotesi di cooperazione tra più comuni provvede alla gestione coordinata e unitaria dei servizi tra gli stessi. Il direttore è nominato con contratto a tempo determinato, secondo i criteri stabiliti dal regolamento di organizzazione degli uffici e dei servizi. Tra questi vi è la qualificazione professionale e il provvedimento di nomina adottato dal sindaco o dal presidente previa deliberazione della Giunta. La durata dell’incarico può eccedere quella dei mandati e la revoca avviene mediante provvedimento del sindaco o del presidente previa delibera della Giunta. 8.6 I Dirigenti Il ruolo dei dirigenti si incentra nella direzione degli uffici e dei servizi, secondo i criteri e le norme dettate dagli statuti e dai regolamenti. Ad essi compete; ~ 35 ~ Se il Governo non intende conformarsi all’intesa raggiunta dalla Conferenza unificata, trasmette alle Camere e alla Conferenza una relazione nella quale indica le specifiche motivazioni di difformità dell’intesa stessa. La legge prevede, inoltre, particolari peculiarità per l’adozione dei decreti delegati in relazione ai principi fondamentali in materia di armonizzazione dei bilanci e di determinazione dei fabbisogni dei costi standard, il cui schema deve essere trasmesso alle camere con una relazione volta ad definire il finanziamento degli enti territoriali. Nell’adottare tali decreti il Governo deve sempre assicurare la piena collaborazione con le Regioni. La Delega deve rispettare principi e criteri direttivi che prevedono: - Autonomia di entrata e di spesa e maggiore responsabilizzazione amministrativa, contabile e finanziaria di tutti i livelli di governo; - Concorso di tutte le amministrazioni al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica nazionale in conformità con i vincoli comunitari e quelli derivanti dai trattati internazionali; - Attribuzione di risorse autonome a Comuni, Province, Città Metropolitane e Regioni in relazioni alle rispettive competenze; - Determinazione del costo e del fabbisogno standard come indicatore volto a valutare l’azione pubblica; - Individuazione dei principi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci pubblici; - Superamento della spesa storica a favore del fabbisogno standard per il finanziamento dei livelli essenziali; - Corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa; - Premialità dei comportamenti virtuosi e la previsione di meccanismi sanzionatori in caso di mancato rispetto degli equilibri economici e finanziari. Con riguardo al coordinamento e alla disciplina fiscale i decreti legislativi prevedono: - Rispetto degli obiettivi del conto consultivo; - Garanzia della trasparenza delle diverse capacità fiscali per abitante, prima e dopo la perequazione; - Determinazione dei parametri fondamentali in base ai quali è valutata la virtuosità degli enti; - Individuazione di indicatori di efficienza e adeguatezza idonei a garantire adeguati livelli qualitativi di servizi. Nel caso in cui il controllo effettuato sugli enti rilevi che questi non abbiano raggiunto gli obiettivi a loro assegnati, lo Stato, previa intesa della Conferenza unificata, attiva un patto per il conseguimento degli obiettivi di convergenza. Questo è volto ad accertare le cause degli scostamenti e stabilisce le azioni correttive che gli enti devono adottare. La legge Regionale può: - Istituire tributi locali e regionali; - Determinare per gli stessi le variazioni delle aliquote o delle agevolazioni che gli enti locali possono applicare nell’esercizio della loro autonomia; - Istituire compartecipazioni al gettito erariale. I tributi propri dei Comuni e delle Province sono individuati dalla legge statale che ne definisce basi imponibili, soggetti passivi, aliquote etc. Secondo la legge n°42 sono considerate funzioni fondamentali per i Comuni quelle relative alla polizia locale, istruzione pubblica, viabilità e trasporti, territorio, ambiente. Invece, per le Province, quelle relative all’istruzione pubblica, trasporti, territori, mercato del lavoro e tutela ambientale. ~ 36 ~ CAPITOLO X GLI ENTI LOCALI TRA STATO E REGIONI 10.1 La collocazione degli enti locali: i modelli I Comuni e le Province operano in un contesto condizionato da più livelli di governo aventi varietà di dimensioni e di poteri. In questa eterogeneità sono stati diversi i modi di considerare gli enti locali nell’ambito dei poteri superiori e, proprio per questo motivo, sono stati identificati due modelli differenti: - Il primo che prevede la complessiva inclusione degli enti locali nell’ordinamento di poteri intermedi, che possono così decidere in piena autonomia come modellare e disciplinare l’organizzazione e il funzionamento del proprio sistema locale. Questo è il modello adottato negli USA, in cui la Costituzione non contiene alcun riferimento al governo locale. - Il secondo è il modello di integrale riserva al centro di ogni potere che riguardi gli enti locali, da quelli di regolazione a quelli di controllo. È lo Stato centrale a provvedere ai trasferimenti delle risorse e ad irrogazione sanzioni in caso di violazioni. Naturalmente, a livello locale, vi è un organo, il prefetto, avente il compito di coordinare, controllare gli interventi nei confronti degli enti locali. Questo modello trova origine in Francia per poi estendersi in tutta l’Europa. 10.2 L’evoluzione del sistema Italiano Con la Riforma Costituzionale del 2001, l’assetto organizzativo dei vari livelli di governo è stato totalmente modificato in modo da attribuire grande importanza agli enti locali. Infatti, di rilievo è l’art. 114 della Costituzione che recita “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato” anticipando i Comuni allo stesso Stato. Un riconoscimento così significativo presuppone il principio di leale collaborazione che esige una serie di elementi cooperativi e unificanti, quali quello dell’inclusione dei rappresentati degli enti locali nella Commissione parlamentare per l’assunzione di decisioni e la previsione dei Consigli delle autonomie locali. 10.3 Gli enti locali e lo Stato I Comuni, le Province e Città metropolitane si trovano a rapportarsi allo Stato per quanto riguarda; - La legislazione su sistema elettorale, organi di governo, funzioni fondamentali. Nella materia degli organi di governo, oltre la loro istituzione vengono designante, altresì, le funzioni essenziali attribuiti agli stessi. Le funzioni fondamentali, invece, sono quelle proprie e indefettibili dell’ente locale. - La legislazione in materie di stato civile e anagrafe, dai livelli essenziali delle prestazioni relative ai diritti civili, alla tutela dell’ambiente; - I principi fondamentali delle materie concorrenti, dalla tutela e sicurezza del lavoro, alla tutela della salute e al governo del territorio; - L’istituzione di nuove Province; ~ 37 ~ - Gli interventi di controllo sugli organi, in caso di gravi violazioni, ordine pubblico, impossibilità di funzionamento; - I principi in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica. Ad occuparsi delle questioni del governo locale è l’Amministrazione civile del ministero degli Interni e il ministero dell’Economia, per quanto concerne gli aspetti finanziari. Nel 1996 è stata istituita la Conferenza Stato-città-autonomie locali avente il fine di coordinare l’azione dello stato e degli enti locali. Questa è presieduta dal presidente del Consiglio dei ministri e composta dai ministri maggiormente interessati, quali quelli degli interni e del Tesoro, e dai rappresentanti delle Autonomie, come i sindaci e i presidenti di Province. Nel ’97 questa è stata fusa con la Conferenza unificata, formando la Conferenza Stato-Regioni cui è attribuito il compito di promuovere gli accordi e le intese tra Governo, Regioni e Autonomie locali. Tale Conferenza opera con il consenso dato sia dalla Regione sia dagli enti locali che lo devono esprimere all’unanimità. Qualora questa non venga raggiunta, l’assenso è espresso a maggioranza dei rappresentanti di ciascuno dei due gruppi. Con la Riforma del titolo V è stata prevista la partecipazione dei rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione Parlamentare per le questioni regionali. Questa, svolge un ruolo centrale nei procedimenti legislativi e il suo parere incide profondamente sul prosieguo del procedimento. 10.4 Gli enti locali e le Regioni Con la Riforma del Titolo V alle Regioni e agli Enti locali fanno riferimento: - La disciplina legislativa e il preciso conferimento di funzioni alle diverse categorie di enti locali in materie che riguardano le attività produttive, l’assetto del territorio e i servizi sociali. La Regione non può attribuire ai propri organi la potestà regolamentare che è propria dei Comuni e delle Province; - L’istituzione di nuovi Comuni; - La previsione di poteri sostitutivi, in caso di mancato compimento di atti o attività in materie di competenza regionale, sempre che siano stati riservati ad un organo di governo della Regione e siano stabilite congrue garanzie procedimentali, secondo il principio di leale collaborazione. - L’ordinamento delle forme associative e delle Comunità Montane. Alle Regioni è stata riconosciuta la legittimazione a denunciare, dinanzi la Corte Costituzionale, le leggi statali per violazione di competenze degli enti locali. Le riforme Bassanini del ’98 hanno attribuito alle Regioni il compito di prevedere delle procedure di raccordo e di concentrazione per regolamentare i rapporti esistenti tra Regioni ed Enti Locali. Le prime hanno basato questo raccordo su Conferenze tra esecutivi, presiedute dal presidente della Regione e composte dai sindaci e presidenti di Provincia. Qualche regione ha istituito un Consiglio delle autonomie locali(Cal), ossia un organo di rappresentanza unitaria del sistema delle autonomie, composto dai rappresentanti locali con compiti di partecipazione a procedimenti legislativi. I Consigli delle autonomie locali sono caratterizzati da: - Autonomia funzionale e organizzativa che si esplica nell’adozione di un provvedimento volto ad adottare la disciplina delle modalità di funzionamento; - Composizione, oltre ai Sindaci dei Comuni Capoluogo e i Presidenti di Provincia, vi partecipano i Presidenti delle Comunità montane, i presidenti dei Consigli Comunali e provinciali che presiedono per diritto. - Funzionamento, alle sedute del Cal possono partecipare altri amministratori delegati, in sostituzione dei membri, che spesso non godono di diritto di voto. Per le tematiche di interesse collettivo si prevedono sedute congiunte del Consiglio delle Autonomie con l’Assemblea regionale. ~ 40 ~ Indice CAPITOLO I - Le fonti delle autonomie locali di Andrea Stella 1.1 Il principio autonomista nella costituzione del 1948 1.2 Il testo unico sulle autonomie locali 267 del 2000 1.3 La riforma del titolo V della Costituzione 1.4 L’attuazione della riforma CAPITOLO II - Soggetti e territori di Giovanna Sercia 2.1 Il comune 2.2 Le forme associative tra comuni 2.2.1 Forme di collaborazione tra comuni 2.3 La Provincia 2.4 Le città Metropolitane 2.5. Le variazioni territoriali e l’aggregazione di comuni e province ad altra regione 2.6 Le società pubbliche CAPITOLO III - L’autonomia statutarie e regolamentare di Giovanna Sercia 3.1 L’autonomia statutaria 3.2 I contenuti degli statuti 3.3 Limiti e rapporti con la legge 3.4 Il procedimento di formazione dello statuto 3.5 L’autonomia regolamentare CAPITOLO IV - Gli organi del comune e della provincia di Giovanna Sercia 4.1 Elezione del sindaco, del presidente della provincia e dei consigli comunale e provinciale 4.2 La forma di governo negli enti locali 4.3 Il consiglio comunale e provinciale 4.4 Il sindaco e il presidente della provincia 4.4.1. Cessazione del sindaco e del presidente della provincia 4.5 La giunta comunale e provinciale 4.5.1 Gli assessori: posizione e cessazione 4.5.2 Competenze della giunta CAPITOLO V - Le funzioni e i servizi di Tony Santo 5.1 Le funzioni amministrative nella riforma costituzionale del 2001 5.2 Le materie di competenza dei Comuni e delle Province nella legislazione statale 5.3 L’esercizio delle funzioni in forma coordinata 5.4 I servizi pubblici locali ~ 41 ~ CAPITOLO VI - La partecipazione di Tony Santo 6.1 Caratteri della partecipazione 6.2 Forme di partecipazione dei soggetti interessati 6.3 Le forme di tutela degli interessi collettivi 6.3.1 Le forme associative 6.3.2 Forme di consultazione e referendum 6.4 Le forme di tutela giurisdizionale 6.5 Il diritto di accesso e la trasparenza 6.6 Il Difensore civico Capitolo VII - I controlli di Tony Santo 7.1 I controlli dalla costituzione del 1948 al testo unico del 2000 7.2 Controlli sugli organi (rinvio) 7.3 La riforma costituzionale del 2001 e l’abrogazione dell’art.130 della Costituzione 7.4 I controlli sostitutivi nell’art. 120 Cost. e il loro procedimento 7.5 Poteri sostitutivi in caso di mancata approvazione del bilancio 7.6 I controlli della Corte dei Conti 7.7 I controlli dopo la riforma costituzionale. Il quadro attuale Capitolo VIII - L’organizzazione amministrativa e il personale di Samanta Orlando 8.1 L’autonomia organizzativa 8.2 Personale e ordinamento del lavoro 8.3 Politica e Amministrazione 8.4 Il Segretario Comunale e Provinciale 8.5 Il Direttore Generale 8.6 I Dirigenti Capitolo IX - Finanza e contabilità di Samanta Orlando 9.1 L’Autonomia finanziaria nella Riforma Costituzionale 9.2 La Legge 42 del 2009 sul Federalismo Fiscale Capitolo X - Gli enti loali tra Stato e Regioni di Samanta Orlando 10.1 La collocazione degli enti locali: i modelli 10.2 L’evoluzione del sistema Italiano 10.3 Gli enti locali e lo Stato 10.4 Gli enti locali e le Regioni