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Riassunto iniziale cap 1 Inside The White Cube di O'Dohearty, Appunti di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto del primo capitolo (Osservazioni sullo spazio espositivo) fino a "limiti del campo"

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 10/01/2023

gigilili
gigilili 🇮🇹

4.5

(6)

4 documenti

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Scarica Riassunto iniziale cap 1 Inside The White Cube di O'Dohearty e più Appunti in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! INSIDE THE WHITE CUBE 1. Osservazioni sullo spazio espositivo Paragone film di fantascienza. Navicella si allontana da Terra. All’individuo si sostituisce la razza, vista da una certa altezza la gente appare generalmente buona. Ma la distanza orizzontale è diversa. La vita è orizzontale. La storia è diversa. Con il mutamento di scala, gli strati del tempo si sovrappongono e noi proiettiamo su di essi le prospettive che ci consentono di recuperare e correggere il passato. La storia dell’arte è confusa dall’immagine che abbiamo di fronte. Al centro della costante “tradizione” , la storia e lo sguardo vivono un profondo conflitto. La tradizione del MODERNISMO è circoscritta da un orizzonte. La sua armatura è formata a partire dalla filosofia idealista. Via via che la nave si allontana, la tradizione sembra un assemblaggio cinetico tenuto insieme da riproduzioni in cui fanno bella mostra i modellini dei musei. In mezzo a tutto questo spicca una cellula: lo SPAZIO ESPOSITIVO. La storia dell’arte moderna è strettamente inquadrata in quello spazio e può essere messa in relazione con i cambiamenti che hanno investito quello spazio e il modo di considerarlo. Oggi vediamo prima lo spazio e poi l’arte. L’immagine che viene in mente = spazio bianco ideale che potrebbe costituire l’archetipo dell’arte del 900 e si definisce solitamente al processo associato all’arte che contiene. La galleria ideale priva l’opera di tutti i riferimenti che si sovrappongono al suo essere arte. È isolata da tutto quello che potrebbe nuocere alla sua autovalutazione. Acquisisce una presenza tipica dei luoghi dove si preserva un sistema chiuso di valori (sacralità chiesa, formalismo tribunale, fascino laboratorio sperimentale – si uniscono alla’eleganza del design per produrre una camera dall’estetica unica. All’interno, il campo di forze percettive è così potente che l’arte, una volta fuori, può scadere in una dimensione terrena. Le cose diventano arte in uno spazio in cui potenti idee sull’arte si concentrano su di esse. L’oggetto diventa spesso il mezzo con cui queste idee si manifestano. Allora la dimensione sacrale dello spazio diventa evidente come anche le leggi proiettive del modernismo: + invecchia, + il contesto diventa contenuto. È l’oggetto introdotto nella galleria a inquadrare la galleria stessa e le sue leggi. Una galleria è costruita in base a leggi rigorose. Poiché il mondo esterno deve restare fuori - le finestre sono sigillate, i muri sono dipinti di bianco, il soffitto è fonte di luce, il pavimento di legno è così tirato a lucido che si avverte distintamente il rumore dei passi/è coperto da un tappeto che attutisce quel suono. L’arte è libera di vivere la sua vita. L’unico mobile discreto forse è una scrivania. La trasposizione della percezione (dalla vita verso i valori formali) avviata dal modernismo trova qui il suo completamento (una delle sciagure). Questo spazio senza ombre, bianco, pulito, artificiale è dedicato alla tecnologia dell’estetica. Le opere d’arte sono montate, appese, distanziate per essere studiate. L’arte esiste in una specie di eternità dell’esposizione e non conosce tempo (anche se si distinguono caratteristiche di periodo). Status comparabile al limbo, bisogna essere già morti x accedervi. Il nostro corpo è un’intrusione. Gli occhi e le mente sono ben accetti, i corpi no/tollerati in quanto manichini. Questo paradosso è rafforzato da uno degli emblemi della nostra cultura visiva: la foto dell’allestimento senza figure, dove osservatore è eliminato. Siamo lì senza esserci. La foto dell’allestimento è una metafora dello spazio espositivo. Salon del 1830s definisce implicitamente una galleria = luogo dotato di un muro a sua volta ricoperto da un muro di dipinti. Il muro non ha estetica propria: è una semplice necessità per un animale eretto. La Galleria del Louvre di Samuel F.B. Morse: tappezzeria di capolavori, non ancora separato l’uno dall’altro, ne isolati nello spazio, c’è un’accozzaglia di periodi e stili. L’alto e il basso sono zone ingrate. Gli artisti si lamentano spesso di essere stati messi troppo in alto, ma mai rasoterra. I dipinti vicino al pavimento erano accessibili e potevano accogliere lo sguardo ravvicinato. I quadri più grandi, più facili da vedere a una certa distanza, si elevano verso l’alto e a volte sono inclinati per rispettare il piano dell’osservatore. Le tele migliori occupano la zona intermedia. Quelle piccole finiscono in basso. L’allestimento perfetto è un ingegnoso mosaico di cornici che non lascia libero nemmeno un pezzetto di muro. Legge percettiva giustifica ciò: ciascun dipinto era considerato un’entità autonoma ed era totalmente isolato da una massiccia CORNICE esterna, e al suo interno grazie a un sistema prospettico completo. Lo spazio era discontinuo e categorizzabile, allo stesso modo in cui le case in cui questi quadri erano appesi avevano stanze e funzioni diverse. La scoperta della prospettiva coincide con il successo del QUADRO DA CAVALLETTO. C’è un rapporto tra un murale e un quadro: una parete dipinta è sostituita da un pezzo di parete trasportabile. I suoi limiti sono stabiliti e incorniciati, la miniaturizzazione favorisce l’illusione. Lo spazio della pittura murale tende a essere poco profondo. La parete stessa è identificata come un limite alla profondità (non la possiamo attraversare). Gli angoli e il soffitto limitano l’ampiezza. Visti da vicino, i murali: illusione svanisce in un chiacchiericcio sul metodo. I murali proiettano una serie di vettori ambivalenti e instabili ai quali l’osservatore cerca di allinearsi. Il quadro da cavalletto sulla parete indica immediatamente dove guardare. Il quadro da cavalletto è una specie di finestra trasportabile che attraversa in profondità il muro. Tema ripetuto nell’arte del nord Europa dove una finestra all’interno del dipinto conferma i limiti della cornice. L’aspetto di scatola è legato all’immensa distanza che contengono e alla perfezione dei particolari. La cornice è un contenitore psicologico sia x l’artista che per lo spettatore. La prospettiva colloca tutto ciò che il dipinto racchiude lungo un cono spaziale che la cornice seziona come una griglia. Più forte è l’illusione, più forte è l’invito rivolto all’occhio dello spettatore. La sicurezza dei contorni della cornice definisce l’esperienza che si svolge all’interno. Se il margine tronca o elide il soggetto lo fa in modo da rafforzare il bordo. È il modello della prospettiva della cornice che permette ai quadri di stare attaccati. Una simile intenzione è presente nei quadri in cui l’atmosfera e il colore corrodono la prospettiva. Il paesaggio è il progenitore delle foschie traslucide che mettono la prospettiva in contrasto con la tonalità-colore, perché ciascuna rimanda a una diversa interpretazione del muro su cui il quadro è appeso. Cominciano ad apparire dipinti che fanno pressione sulla cornice, dove la composizione tipo è la linea dell’orizzonte che separa cielo e mare. La composizione formale è superata, le cornici nella cornice sono svanite, resta una superficie ambigua che la linea dell’orizzonte inquadra parzialmente dall’interno. Dipinti di questo genere (Courbet, C.D. Friedrich, Whister) si collocano tra profondità infinita e piattezza e tendono a essere visti come modelli e tendono a focalizzarsi su un frammento indeterminato di paesaggio sbagliando soggetto. Introducono l’idea di un occhio che scruta. Lo sguardo rende la cornice incerta, si comincia a prendere coscienza dello sguardo al di fuori del quadro escluso dalla cornice (diventa parentesi). La separazione dei dipinti lungo la parete diventa inevitabile. Il fenomeno viene accentuato dalla fotografia. In fotografia la collocazione del margine è decisione prioritaria xk compone o scompone quello che inquadra, ma non è sempre stato così. In parte, l’incorniciatura continuava a essere compito di quel che restava delle convenzioni pittoriche: i punti di sostegno interni erano forniti da alberi e colline creati ad hoc. Le migliori fotografie degli esordi interpretano il margine senza ricorrere a convenzioni pittoriche. Esse allentano la pressione sul margine permettendo al soggetto di comporsi da solo. Studiare i LIMITI DEL CAMPO è invece un’abitudine 900esca. Abbiamo l’illusione di ampliare un campo quando lo estendiamo lateralmente. La fotografia ha imparato subito a rifuggire alle cornici pesanti e a